Dynamic Identities

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Dynamic Identities Studio per la progettazione di una Brand Identity Territoriale applicata alla CittĂ di Torino





City Branding: Evoluzione del Brand Territoriale


2.1 Realtà Urbana come Identità Complessa

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La città è da sempre il luogo dell’incontro, del lavoro e del commercio. E’ naturalmente il posto dove convergono e si incontrano modi diversi di vivere e pensare, diverse esperienze, che entrano in modo più o meno diretto o forzato in relazione tra di loro costruendo nuovi significati, e di conseguenza evoluzione e progresso. Proprio a causa della natura di “luogo d’incontro” la città è anche “luogo di scontro”. Il contatto con il diverso genera sempre conflitto, e questo porta a un continuo incontro/scontro di opinioni che convogliano in un’unica pubblica piazza. E’ inevitabile che da questo pubblico conflitto nascano sempre nuove rappresentazioni, creando una pluralità, uno scambio di visioni che grazie alla loro mutua antitesi diventano generatrici di significati, entità propulsive di nuova cultura. Citando il semiologo Ugo Volli, “lo spazio urbano è sempre plurale, complesso e indefi-

nito, nonostante i continui tentativi di uniformarlo compiuti da monarchi, architetti e pianificatori. L’eterogeneità dello spazio urbano non annulla la sua dimensione strategica, ma la moltiplica e la rende internamente conflittuale.” (Volli, 2002, p. 1). L’autore afferma inoltre che la città si presenta come un testo di lettura, un tessuto (tessuto urbano) che riporta i caratteri di complessità, incompiutezza (la città è continuamente in fieri, e ogni edificio è “postumo a se stesso” diventando, quando termina l’utilizzo per cui era stato pensato, testimonianza di un’espressione del passato), conflittuale e vivente.

Volli, 2002, p. 6


La conformazione stessa della città, con la sua struttura e la presenza dei suoi vari edifici, è manifestazione di precisi significati semantici: possiamo quindi leggere la città attraverso i suoi edifici storici, che simboleggiano il potere sociale e politico e il genius dell’epoca in cui sono stati costruiti. Accanto a resti romani, troviamo castelli medievali e palazzi borghesi, edifici neoclassici, prefabbricati industriali e case operaie. Ognuna di queste componenti è un elemento di lettura della Storia, simboleggia un cambiamento, una presa di potere di una nuova classe, avvenuta spesso in maniera conflittuale. Troviamo nella città di oggi una grande varietà della composizione urbana, con elementi che sono testimonianza di diverse epoche storiche, e il quale riuso (il palazzo barocco che diventa sede di uffici o museo) comporta una risignificazione del contesto cittadino in base a sempre nuove esigenze. Scegliendo di leggere e comprendere la città come se fosse un testo, all’interno del quale ogni elemento urbano è simbolo di un’operazione da parte dell’uomo, ci troviamo subito davanti a un’importante considerazione: l’agglomerato urbano è un testo scritto a più mani, “orfano” di un autore definito che gli doni un senso univoco o che abbia un progetto iniziale e chiaro per esso.

Volli, 2002, p. 8

L’analisi del lavoro di Italo Calvino ne “Le Città Invisibili” (1972) , guidata dalla puntuale critica che ne fa Ugo Volli nel brano “Il Testo Urbano: Visibilità e Complessità” (2002) risulta essere un utile strumento di approccio al tema della rappresentazione della città. Non un manuale o una teoria sulla comunicazione urbana ma una serie di spunti e riflessioni: Marco Polo, nel raccontare al Kublai Kan le città che ha visitato, ne evidenzia sempre e solo una singola proprietà che diventa connotativa del luogo, rendendo ogni città unica e diversa da tutte le altre. Egli, quindi, isola, astrae, semplifica, gli elementi della realtà e riporta solo quelli per lui importanti. Viene utilizzata una prassi narrativa che, operando una selezione e semplificazione della realtà, ne riesce a risaltare gli elementi che intende comunicare: questo processo permette un’attribuzione di senso al caos irrimediabile della realtà, che a causa della sua complessità non può essere compreso e comunicato se non semplificandolo. Quelli di Calvino sono quindi esemplari “esercizi di comprensione” delle città, che al pari dei lavori di altri scrittori, come Queneau in “Esercizi di Stile”, propongono una scomposizione della realtà, isolando certi elementi narrativi per conferirgli in questo modo rilevanza. Parlando del lavoro di Calvino, Ugo Volli afferma che

(Volli, 2002, p. 9). Emerge con estrema chiarezza la necessità di dare un senso all’agglomerato urbano moderno: la città è un luogo necessario

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Così un quartiere costruito in un’epoca passata può essere considerato “pittoresco e caratteristico” oppure essere svalutato, considerato pericoloso e lasciato decadere.


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Fig. 2.1.Italo Cavino, autore de “Le Città Invisibili”. da roma.lecool.com

alla vita della nostra società ed è composta da una estrema pluralità di voci, che vanno dalle varie tribù urbane che si sono stabilite al suo interno, a quelle che vi convivono da secoli fino alle minoranze che vi si sono insediate a causa dei cambiamenti sociali, economici e geopolitici degli ultimi anni. Oltre a questioni socio-demografiche troviamo una complessità intrinseca alla struttura stessa della città: essa è composta da luoghi di aggregazione, da simboli e significati, derivati da diversi momenti storici e diverse matrici di potere: basti pensare che chiese e cattedrali, che furono costruite come simbolo del potere vigente, hanno oggi assunto il valore di monumenti, mentre il “potere” della società odierna viene espresso in nuovi modi, quali ad esempio la costruzione di grattacieli, sempre più grandi e imponenti. All’interno di questa realtà, di questo testo “senza autore” (Volli, 2002, p.8) costituito da una pluralità di voci, alcune più forti di altre, certe più durature e altre passeggere,

alcune concordanti e altre in conflitto, emerge la necessità, da parte dell’uomo, del cittadino, di trovare un senso del luogo, una direzione all’interno della quale poter dare significato e peso agli eventi, inserendoli all’interno di una opportuna cornice interpretativa. Ecco quindi che diviene chiara la necessità di una narrazione, di una descrizione o un racconto tramite cui creare un lietmotiv che colleghi tra di loro gli eventi cittadini e offra una precisa chiave di lettura, operando sulla realtà per sottrazione e riducendo l’eccesso di complessità e di caos in modo da donare un ordine, in un’operazione di semplificazione che rende il contesto urbano più semplice e quindi intellegibile e comunicabile. L’approccio narrativo alla realtà complessa, oltre a operare su astrazione, semplificazione e riduzione dell’entropia e degli elementi in scena, presenta un’altra importante caratteristica: la rappresenta-


zione avviene spesso per mezzo di una relazione. E’ infatti dall’esperienza che uno fa, nel mutuo scambio con la città, che ognuno la definisce e le attribuisce un’identità in base al proprio vissuto. Vedremo nel corso del capitolo come questi attributi, semplificazione e relazionalità, sono una chiave non solo di comprensione ma anche di comunicazione e sono da tenere a mente nelle operazioni di marketing per costruire correttamente l’immagine della città.

2.2 Comunicare la Città Le precedenti considerazioni tendono a dipingere un paesaggio urbano complesso, articolato e conflittuale, che ha bisogno di trovare una sua voce autentica, che non produca eco dispersive e sia il più unitaria possibile, in modo da potersi esprimere e relazionare efficacemente con i diversi pubblici che ne vengono a contatto. In uno scenario mondiale sempre più internazionalizzato e globalizzato, il modo in cui una città comunica la sua “personalità” diventa uno strumento essenziale ai fini della sua sopravvivenza, della sua vita e soprattutto del suo sviluppo: ecco quindi che negli ultimi anni si parla sempre più spesso di City Branding. Il City Branding ha lo scopo di comunicare ai diversi stakeholders della città una personalità e un’immagine autentiche e accattivanti, e agisce su tre diversi piani strategici:

Turismo. Incremento della domanda turistica e dell’afflusso di visitatori. Attrattività. Creazione e aumento dell’attrattività e della visibilità della città al fine di richiamare investitori, aziende, lavoratori di alto livello, studenti e ricercatori.

Identità. Creazione di un sentimento di identità, affiliazione e orgoglio nei residenti Per raggiungere gli obiettivi sopra individuati l’immagine della città viene costruita tramite strategie di comunicazione affidate a esperti del settore: creare un’identità cittadina significa affidarsi agli strumenti del marketing, e più nello specifico a quelli della disciplina del branding. Nello sviluppo del capitolo andremo quindi ad analizzare il concetto di branding, e cercheremo di delineare analogie, peculiarità, sviluppi e differenze tra quest’ultimo e i suoi casi particolari rivolti al territorio, Place Branding e City Branding, per andare infine ad analizzare, nella seconda parte del capitolo, le applicazioni sul campo e alcuni casi pratici di tale disciplina.

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della città, convertibile in comportamenti virtuosi da parte di quest’ultimi.


PARTE II PROGETTARE L’IMMAGINE DELLA CITTA’

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2.7 Verso un’Immagine Coordinata Dinamica La costruzione di un’immagine urbana forte e connotativa rappresenta un’esigenza sempre più sentita in un’epoca dove la globalizzazione genera una competizione per le risorse ogni giorno crescente. L’immagine coordinata deve comprendere un logo che diventi l’emblema dello spirito della città, non un blasone statico, freddo e distante, bensì un elemento in grado di trasmettere una specifica identità, capace di entrare in una reale relazione con gli utenti grazie a una connotazione emotiva e partecipativa. La qualità di una buona immagine cittadina non risiede nella sua perfezione ma nella sua capacità di entrare in relazione con le diverse utenze. Il segno visivo che fonda le basi dell’identità non deve essere solo un elemento riconoscibile, ma deve essere uno strumento di identificazione tramite la possibilità di una narrazione, di una metafora grazie alla quale si può interpretare e dare senso alla città e fondare un linguaggio a essa dedicato. Deve quindi essere usabile, con un significato maneggiabile da più persone.

“Il segno deve essere in primo luogo un dispositivo di narrazione, il propulsore di una lingua dedicata e l’educatore di una nuova scrittura.” Piazza, Partire dal Cuore della Città Nella storia del City Branding troviamo esempi di grande successo, che per la loro forza comunicativa hanno contribuito a cambiare in modo determinante il destino delle città a cui sono stati applicati. Vedremo ora alcuni casi, esemplari per la loro influenza storica o per la loro riuscita in termini progettuali.


2.8 Analisi dei Casi Studio

“L’occhio non vede cose, Ma cose che significano altre cose.” Italo Calvino, Le Città Invisibili

I primi due casi soggetto d’analisi trattano di due progetti di City Branding di carattere tradizionale, che hanno portato alla creazione di due dei loghi cittadini tra i più famosi al mondo, quelli di New York e Amsterdam. Definite le prassi del City Branding “classico” verranno proposti tre recenti casi di City Branding che definiremo dinamico e relazionale, degni di grande interesse per il carattere innovativo del processo di progettazione dell’immagine coordinata, pensati rispettivamente per le città di Melbourne, Bologna e Porto.

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In questa parte verranno presi in considerazione cinque casi studio di progettazione di brand territoriali e della relativa immagine coordinata cittadina. Si è cercato di proporre una collezione di casistiche in grado di convogliare al suo interno quante più tematiche inerenti al tema trattato possibili: si parlerà di riqualificazione urbana, di linguaggio cittadino e di come comunicare identità multiple e complesse. Non mancheranno alcuni spunti e considerazioni di carattere tecnico utili ai fini della progettazione del City Branding.


2.8.1 Brand Tradizionali 2.8.1.1 I Love New York

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Design: Milton Glaser, New York, 1975

Fig. 2.2. Logo I Love NY di Milton Glaser,1975. da iloveny.com

Il logotipo “I Love New York”, forse il logo più conosciuto della storia, è considerabile come il primo esempio moderno di City Branding. Nasce come conseguenza di precise contingenze storiche: negli anni ‘70 New York viveva un periodo di depauperamento e la criminalità era diventata una vera e propria emergenza; occorreva quindi risollevare le sorti della città cambiandone la percezione da parte dei residenti e dei turisti. Fu così che l’amministrazione dello stato di New York pose in piedi un’ope-

razione di riqualificazione partendo dal miglioramento dell’immagine della città, e affidando a questo scopo la progettazione del logotipo al grande graphic designer newyourkese Milton Glaser, noto nel mondo della grafica come fondatore del Push Pin Studio e per l’ideazione del celebre poster di Bob Dylan. Il designer si ricorda della commissione di questo lavoro nel suo libro Art is Work con queste parole:


“Nel 1975 Bill Doyle, allora assistente alla commissione per il commercio dello stato di New York, mi propose un incarico interessante. Lo stato stava per avviare una campagna di promozione turistica che fosse efficace anche nei confronti dei residenti. New York era percepita come un covo del crimine, una città poco accogliente, se non ostile. La campagna, basata sullo slogan ‘I love New York’ mirava a sovvertire questa visione negativa. C’era bisogno, per iniziare, di tradurre la frase in un’immagine, in un emblema. Realizzai e proposi una soluzione tipografica che fu approvata. Una settimana dopo scarabocchiavo dentro un taxi, ebbi un’altra trovata. (...) Questo piccolo progetto che ha rischiato di non essere mai realizzato, è diventato il mio lavoro più noto. (.…) Questa immagine è entrata a far parte del lessico comune, al punto che è difficile credere ci sia stato il bisogno di inventarla e che non sia sempre esistita. Come e perché sia accaduto rimane un mistero.” Glaser, 2000

I Love New York fu progettato pro bono dall’autore, che credeva fermamente nella causa. Ad oggi il suo valore è stimato intorno ai 30 milioni di dollari l’anno. Il logo si presenta come ben studiato e di impatto immediato grazie alla sua estrema semplicità. Imitato in ogni parte del mondo, ILoveNY è considerabile come l’antesignano di due tendenze che prenderanno da quel momento in poi largamente piede: da una parte quella all’uso massivo di icone, simboli e pittogrammi come mezzo di semplificazione nella veicolazione del messaggio commerciale, dall’altra sarà da esempio e darà un forte impulso alle più varie operazioni di City Branding.

Fig. 2.3. Altri celebri lavori di Milton Glaser. da miltonglaser.com

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Il logo di Glaser deve il suo successo al processo di semplificazione linguistica che innesca: la riformulazione di un messaggio tipico del linguaggio parlato (l’espressione di un sentimento) in modalità grafica prevede il passaggio dall’utilizzo di un canale verbale a un canale visivo e simbolico e questo rende il messaggio diretto,universale e comprensibile a tutti. L’elaborazione del messaggio richiede inoltre una partecipazione attiva da parte del destinatario, poiché per comprenderlo la prima volta che lo si vede si ha il bisogno di tradurlo: occorre riconoscere le lettere come delle parole dotate di senso e interpretare il cuore come simbolo di un’emozione. Questa componente attiva della comunicazione è senza dubbio estremamente efficace perché dona un ruolo attivo al ricevente e contribuisce alla creazione di una relazione comunicativa. Infine, il logo comprende una tensione interna tra l’emotività e il colore del cuore e la geometrica “freddezza” delle lettere, contrasto che dona un forte dinamismo alla composizione.


2.8.1.2 I Amsterdam Design: KesselsKramer Studio, Amsterdam, 2004

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Fig. 2.4. Logo I Amsterdam. da kesselkramer.com

La reputazione della città di Amsterdam, nel bene e nel male, è sempre stata chiara e ben tracciata. All’inizio degli anni 2000 l’amministrazione cittadina del comune si è resa però conto di star perdendo molte posizioni all’interno delle classifiche delle città turistiche europee, a favore delle nuove località emergenti. La perdita del suo appeal era dovuta anche alla diffusione e perpetuazione di rappresentazioni negative legate alla città: l’immagine percepita dipingeva ormai una località stereotipata, composta da canali e mulini a vento, e il cui mercato e la cui vita erano legati indissolubilmente al mondo della droga e della prostituzione riflettendo un’immagine legata al classico slogan “sesso, droga e Rock’n’Roll”. In un momento di crescente competizione c’era bisogno di curare e rinnovare l’identità del luogo, rendendola più completa, moderna e accattivante per riscattarsi finalmente da quest’immagine e attirare di conseguenza un nuovo turismo, nuovi residenti e investimenti, in modo da uscire da questa crisi e munirsi di uno strumento di prevenzione a lungo termine. A tali fini nel 2004 viene creata una partnership tra settore pubblico e privato, la Amsterdam Partners, con la funzione di organo coordinatore della strategia di city marketing.


Fig.2.5. Applicazioni del logo. da amsterdam.net

logo è servito a creare un maggiore coinvolgimento, incentivando un sentimento di fierezza e orgoglio identitario nell’“essere Amsterdam” convertibile in un notevole miglioramento dell’immagine della città da parte dei diversi pubblici: è infatti il residente il primo promotore del luogo. Un’altra forza del logo è il suo messaggio partecipatorio: è uno strumento fatto per essere usato da tutti, che incoraggia l’utente a identificarsi in esso e a esprimere la sua voce. Fig. 2.6. Materiale pubblicitario. da kesselkramer.com

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Nel 2002 inizia la fase di ricerca atta a individuare i nuovi valori della città, che porterà alla creazione di un apposito concept, basato concettualmente sull’impronta del glaseriano ILoveNY, I am Amsterdam, cuore della campagna, lanciata ufficialmente nel 2004. Creando un gioco di parole basato su assonanze con il nome stesso della città, io sono Amsterdam diventa lo slogan ombrello cittadino. Vengono riutilizzati i colori classici del blasone tradizionale, cercando però di creare uno strumento di inclusione atto ad aumentare la consapevolezza verso i valori della città: Amsterdam è il luogo della creatività, dell’innovazione e dello spirito di commercio. Il logo diventa un efficace catalizzatore di cambiamento grazie alla sua forza inclusiva e identitaria; non parla solo ai turisti ma è rivolto a tutti, e funge efficacemente da mezzo espressivo dell’orgoglio cittadino: chi vive, chi studia, chi lavora, è lo spirito di Amsterdam, è Amsterdam. Esprimendo supporto e amore per la città il


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Il logo prevede diverse applicazioni e viene utilizzato per tutta la comunicazione cittadina. Un’idea che si è rivelata essere un punto forte della strategia, per via della sua natura non convenzionale, è una specifica declinazione del logo, che è stata utilizzata per la creazione di un’installazione urbana permanente collocata nella piazza cittadina di Museumplein. L’opera, composta da un lettering in fattezze tridimensionali, diventa un grande monumento alla città alto 2 metri e di una lunghezza complessiva di 23 metri.


Questo inusuale utilizzo del brand l’ha complessivamente rafforzato e reso piÚ visibile, facendolo diventare una nota icona. Rapportarsi con qualcosa di fisico e tangibile permette al turista e al cittadino di esprimere in maniera spontanea la sua vicinanza alla città : viene quindi facile immortalarsi attraverso delle fotografie insieme a questo monumento, che diventa in questo modo virale, costituendo una forte leva per marketing. Amsterdam Partners stima che il monumento sia fotografato in media 8.000 volte al giorno.

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Fig.2.7. Installazione urbana I Amsterdam. da spanish.fansshare.com


2.8.2 Brand Dinamici 2.8.2.1 Identità Multiple e Complesse A partire dal leggendario logo di Milton Glaser molti sono stati i casi di successo nella storia del branding cittadino. La maggior parte dei progetti ha però seguito e segue le prassi e la filosofia del Corporate Design, ossia dei sistemi visuali progettati per le aziende. Utilizzare lo stesso approccio che viene applicato nella sfera commerciale porta molte volte a risultati non soddisfacenti a causa delle differenze insite nella natura dei due temi da promuovere: in primis, nel Corporate Branding si assiste a un processo di riduzione dei valori da trasmettere, l’immagine è univoca e statica e vuole comunicare un unico messaggio. La città funziona in un altro modo, e presenta una ricchezza di aspetti e una complessità nettamente superiori a quelle aziendali, per cui risulta per certi versi limitante definirla in base a un unico concept; mentre nel mondo commerciale viene utilizzata una strategia di sintesi e riduzione dei contenuti ai fini della distintività e della differenziazione del prodotto, la città, perdendo i suoi aspetti sfaccettati, complessi e conflittuali, perderebbe sicuramente una grande fetta della sua identità. In secondo luogo, oltre all’impossibilità di delimitare la città all’interno dei confini di un unico messaggio, appaiono tra i due temi delle differenze nella strutturazione del concept: il Corporate si sviluppa all’interno di un ambiente con una struttura piramidale e controllata, per cui l’identità viene costruita, promossa e mantenuta dagli organi addetti. Nella città invece l’identità non è da costruire ma da trovare: essa è l’espressione delle persone che la abitano quotidianamente, e la componente umana determina lo spirito del luogo con cultura, costumi, modi di vivere, conoscenze, abilità, artefatti, tutti elementi che vanno a costituire il patrimonio culturale del luogo e che sono inscindibili da esso. L’aspetto dinamico, di trasformazione e cambiamento, è insito nella struttura genetica di ogni luogo, che muta e si evolve alla stregua di un organismo vivente. La questione della ricerca di un “segno” per il territorio deve far fronte alle sue caratteristiche e cercare di trasmettere, già a partire dall’immagine atta a comunicarlo, una sintesi significativa dei suoi caratteri intrinseci di dinamicità, movimento, complessità e relazionalità.


Il brand passa dall’essere un unico elemento monolitico a quello che possiamo definire Brand Dinamico: per esprimere tante realtà diverse il segno non è più uno, fisso e statico, ma si evolve, si adatta e si trasforma in base alle necessità della comunicazione. Assistiamo quindi a un fiorire di nuovi segni, coerenti tra di loro e riconoscibili come concepiti all’interno di un’unica famiglia e un unico progetto. Questa modalità di rappresentazione si può porre come alternativa ai tradizionali sistemi visivi dove il logo è sempre uguale a se stesso: in questo modo la realtà cittadina ha la possibilità di essere espressa nella sua complessità. Inoltre, questo tipo di sistema si presenta maggiormente duttile e maneggiabile rispetto al classico brand: la possibilità di declinare il segno in base a diversi messaggi ed evenienze permette di veicolare i temi cittadini mantenendo un’alta coerenza nell’immagine proposta. Vedremo tramite i casi studio che i sistemi di immagine dinamici presentano delle caratteristiche ricorrenti. Essi sono: aperti, contestuali e relazionali. Aperti perché si ha la costante possibilità di intervenire per arricchirli, aggiornarli e ampliarli in qualsiasi momento e secondo necessità, non sono mai finiti e terminati ma rimangono “open-ended”; contestuali perché il loro utilizzo è sempre riferito e funzionale al contesto, al territorio e alla situazione alla quale vengono applicati; relazionali perché sono rivolti ai cittadini e permettono a quest’ultimi diversi gradi di partecipazione, ponendosi in modo interattivo nei loro confronti.

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Verranno analizzati ora i sistemi visivi dinamici in uso nelle città di Melbourne, Bologna, e infine Porto.


2.8.2.2 Una Nuova Immagine per la Città di Melbuorne Design: Landor Associates Studio , Sidney, 2009 Melbourne, capitale dello stato del Victoria, è la seconda città più popolosa dell’Australia dopo Sidney; pur avendo un forte posizionamento e identità la sua immagine è però spesso offuscata dalla vicina e più grande metropoli. Per donarle nuova luce e visibilità, nel 2007 è stata avviata un’indagine mirata a delineare un nuovo profilo alla città, che ne comunicasse le ambizioni e il carattere di città prospera e sostenibile, ma anche all’avanguardia nei campi del design e della cultura.

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Fig. 2.8. Logo di Melbuorne. da behance.net

Si è arrivati così nel 2009 alla presentazione di un progetto caratterizzato dall’espressione dei caratteri di dinamismo, attività e capacità d’innovazione tipici del luogo. La soluzione visiva applicata alla città di Melbourne prevede un sistema d’immagine il cui cuore è il logo, palesato sotto le fattezze di una figura geometrica. Si è scelto di utilizzare come elemento di partenza la lettera M (l’iniziale del nome della città), rendendola però come un accattivante segno grafico, astraendola e plasmandola fino al punto di non renderla più identificabile in un semplice elemento tipografico. Il payoff scelto come accompagnamento del logo non è connotativo di nessun aspetto particolare della città, ma risulta come una pura affermazione ed esplicitazione dello stesso (“City of Melbourne”). L’esigenza di creare una nuova immagine coordinata per la città nasce inoltre dall’eccessiva frammentizzazione delle sue varie identità visive, declinate in un’eccessiva quantità di loghi non coerenti tra di loro, e quindi dal bisogno di creare un unico brand “ombrello” che le potesse riunire tutte e che desse in questo modo un nuovo vigore e una maggiore coerenza all’immagine cittadina. Lo scopo di base era quello di migliorare la reputazione internazionale di Melbourne, cercando di comunicare il suo carattere di cosmopolita città dell’arte, del design, dell’innovazione e delle eccellenze tecnologiche.


Il logo è quindi poliedrico come vuole esserlo il carattere della città, e il suo stile è teso a trasmettere suggestioni di creatività e innovazione. Osservando la lettera si può notare il passaggio dal complesso al semplice: gli intrecci geometrici e le sovrapposizioni del lato sinistro si diradano e sfumano progressivamente passando al lato destro, donando così un appeal moderno alla composizione. La forma esterna del logo, costruita a partire da una griglia a base romboidale, è la costante del progetto di immagine coordinata e costituisce l’elemento che rende sempre riconoscibile il brand. L’identità visiva infatti è flessibile e dinamica per quando riguarda i pattern e i colori usati all’interno della M, atti a esprimere i diversi mood e le diverse identità cittadine, mentre le linee esterne che compongono la forma fungono da vero e proprio contenitore e non vengono mai modificate, in modo da garantire riconoscibilità e costanza visiva. Fig. 2.9. Griglia del logo di Melbourne. da behance.net

La scelta di utilizzare forme geometriche è inoltre strategica ai fini dello sviluppo del sistema di comunicazione: le stesse linee vengono riprese nelle applicazioni dell’immagine sui vari supporti e come veicolo dei differenti argomenti cittadini. Si può giocare su diverse combinazioni di composizioni e scomposizioni di forme e colori, in modo tale che lo stile di tutti i contenuti della comunicazione cittadina, che vanno dalla promozione di mostre ed eventi, al sito, alla comunicazione istituzionale, risulti omogeneo e coordinato ma mai uguale a se stesso. Avendo gli strumenti pratici per applicare alla città un unico segno dalle molteplici declinazioni si risolve il problema iniziale della pluralità delle identità cittadine, e questo porta risultati su due diversi aspetti: la comunicazione al cittadino viene snellita, diventando più diretta, veloce ed efficace, mentre i prodotti comunicativi orientati al pubblico esterno acquistano valore aggiunto in riconoscibilità e attrattività, comunicando sempre e in modo intrinseco il dinamismo e la poliedricità della città. Fig.2.10. Declinazioni del logo. da behance.net


2.8.2.3 Bologna City Branding Project Design: Matteo Bartoli e Michele Pastore, vincitori del Concorso indetto da Urban Center Bologna e AIAP, 2014

La città di Bologna è stata una delle prime in Italia a comprendere la necessità di un progetto di marketing territoriale. Lo scopo prefissato è stato duplice e prevede un fronte esterno e uno interno: da una parte si è voluto creare un nuovo posizionamento per la città in modo da farla conoscere a livello nazionale e internazionale e farla entrare in modo originale nel circuito delle città d’arte italiane; d’altra parte, invece, si sentiva l’esigenza di creare un’identità e una consapevolezza forti a vantaggio dei cittadini stessi. Il progetto è stato avviato nell’ottobre del 2012 e ha previsto un’analisi completa della città e della sua percezione comprensiva di: • Ricerca tramite questionari inviati a persone italiane e straniere che hanno soggiornato a Bologna, ai fini di un’indagine sull’immagine percepita della città. • Recupero dei dati tramite ricerche precedentemente effettuate sulla percezione della città e sulla sua immagine. • Analisi della presenza di Bologna sul web con Web Reputation e Sentiment Analysis. • Serie di Focus Group con diversi personaggi rappresentativi della città.

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• Lancio di un contest online con l’hashtag #caroamicotinvito, invitando i residenti a raccontare perché Bologna merita di essere visitata. Una volta effettuata l’analisi sull’identità percepita e da questa poi sull’identità desiderata per la città, è stato indetto un concorso di idee internazionale alla ricerca della migliore proposta per il brand. Il brief lanciato può essere sintetizzato nel modo seguente: Bologna è una città aperta, che “ti fa sentire a casa”. Si differenzia dalle altre città d’arte perché non propone una visione musealizzata dell’esperienza turistica ma si pone come città moderna e sperimentale dove vecchio e nuovo possono coesistere, è una “trama aperta” che non ti offre una gerarchia di attrazioni da vedere ma ti consente di scegliere in totale libertà il tuo percorso di visita e di vita, in linea con la sua “atmosfera orizzontale”. L’invito è quello di perdersi in modo serendipico per la città, secondo un personale e originale percorso di scoperta. Il concorso, indetto nel 2013, è stato vinto dai designer triestini Matteo Bartoli e Michele Pastore con il loro progetto èBologna. La proposta di progetto è incentrata su un processo dinamico di generazione del logo: il primo passo effettuato dei due creativi è stato quello di partire dall’analisi degli elementi fisici e architettonici che caratterizzano maggiormente la città, estrapolandoli dal contesto con lo scopo di creare un vero e


proprio sistema narrativo basato su di essi, composto da un apposito linguaggio per Bologna. Sono stati presi come ispirazione gli elementi urbani più caratteristici, tra cui la cinta muraria, i mattoni, i mosaici, le decorazioni, etc. Questi elementi, una volta raccolti, hanno subìto un processo di astrazione e sintesi fino a diventare dei segni geometrici puliti, che sono serviti poi a comporre gli elementi di base di un nuovo linguaggio: ogni elemento è stato associato a una specifica lettera dell’alfabeto latino e usato per sostituirla.

Fig.2.11. Gli elementi geometrici tratti dalla città.da urbancenterbologna.it

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Le varie lettere, o più precisamente simboli, del nuovo alfabeto, costruiti con proporzioni fisse e su una griglia standard, vanno poi a sovrapporsi l’uno sull’altro secondo gradienti di trasparenza prestabiliti e in modo concentrico, fino a comporre forme geometriche più articolate, che rappresentano, in base agli elementi-lettera contenuti, le parole che si vogliono esprimere. In questo modo, in base alla parola che si desidera “scrivere”, è possibile generare una quantità infinita di segni basati su una font grafica esclusiva di Bologna, che vanno a completare il semplice payoff “è Bologna”, andando a costituire ogni volta un logo diverso.

Fig. 2.12. Font Bolognese. da urbancenterbologna.it


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Fig. 2.13. Composizione delle parole. da ubancenterbologna.it

L’innovazione di questo sistema risiede nella possibilità, tramite la comunicazione “istituzionale” e cittadina, di poter creare un vero e proprio sistema narrativo, un discorso sulla città che viene rappresentato tramite l’astrazione dei suoi stessi elementi. Le lettere-elementi grafici, che sovrapposte tra di loro creano le parole, possono essere utilizzate per esprimere qualsiasi concetto. E’ proprio questo il motivo per cui è stato scelto il progetto di Bartoli e Pastore, che è stato in grado di rispondere in modo completo alle richieste del brief: l’immagine di Bologna è quella di un luogo per tutti, dove è possibile esprimersi e partecipare ai racconti della città in modo libero e personale. Il progetto presenta inoltre un altro aspetto di innovazione: il sistema generativo di costruzione dell’immagine cittadina può avvenire tramite un processo che possiamo definire di Design Partecipativo, all’interno del quale appositi algoritmi generativi permettono la partecipazione non solo del progettista ma anche dell’utente finale.

Per capire meglio i risultati che questa struttura progettuale comporta si può navigare sul sito www.ebologna.it: digitando qualsiasi parola si desideri essa verrà istantaneamente “tradotta”, utilizzando l’alfabeto dei segni bolognese, nel suo corrispondente simbolo grafico. La possibilità di auto-costumizzare il brand in base ai propri interessi permette a ognuno di avere una sua personale trasposizione visiva della sua idea di Bologna, secondo quella filosofia di “democrazia orizzontale” scaturita dal concept. La gamma di segni grafici, che tramite questo processo è potenzialmente infinita, è pensata per passare dal digitale all’analogico (l’ambiente urbano) per supplire così a tutte le esigenze di comunicazione cittadine: si va dai negozianti, che possono richiedere un logo personalizzato in alta definizione, a tutti gli eventi, iniziative e ambiti cittadini. L’intento è stato quindi quello di costituire una trama cittadina riconoscibile e caratteristica, che tramite gli elementi stessi della città accompagni l’utente in una narrazione e un racconto liberi e co-costruiti.


Fig. 2.14. Esempi di applicazione. da ubancenterbologna.it

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Si è molto dibattuto sulla natura di questo sistema aperto, sul quale sono giunte critiche e lodi: se da una parte l’assenza di un unico logo, che perde univocità per venire moltiplicato in mille varianti in modo potenzialmente infinito, può comportare il rischio di una debolezza nella coerenza e nella riconoscibilità dell’immagine cittadina, d’altra parte èBologna costituisce senza dubbio un sistema altamente innovativo e relazionale, che permette un dinamismo e delle potenzialità espressive e di interazione altrimenti impensabili.

Fig. 2.15. Layout del sito ebologna.it . da ubancenterbologna.it


2.8.2.4 Le Icone di Porto Design: White Studio, Porto, 2014 L’ultimo caso oggetto di discussione è il progetto di City Branding della città di Porto, seconda città per dimensioni e importanza del Portogallo. Nel giugno del 2014, la Câmara Municipal do Porto invita due dei maggiori studi portoghesi, Atelier Martino&Jaña e White Studio, a progettare un nuovo sistema visivo per la città, che fosse un sistema semplice, aperto e facilmente applicabile ai vari media. Viene scelto il progetto del White Studio, guidato dall’art director Eduardo Aires. Il concept di base si articola partendo dalla necessità di sviluppare nei cittadini un sentimento di appartenenza per la città nella sua interezza, per ogni strada e per ogni scorcio che fa parte di Porto. La città non è considerata come una semplice località geografica, ma è un organismo vivente, composto da una estrema varietà di icone, simboli, scorci e panorami, stili di vita, culture e abitudini. Non può essere rappresentata come una somma di edifici, la sua identità non è chiusa e fissa ma è dinamica, cresce e si sviluppa ogni giorno grazie all’interazione con i suoi cittadini.

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“Porto has always been a very passionate city. It has a scale that allows for a relationship of proximity. Here we feel cozy, we feel at home. We develop a feeling, a ownership with every landmark, with every street. The city is ours. And with each step we recognize its accent and its attitude.” Questa idea di partenza, che segue la filosofia dei sistemi aperti dei brand dinamici, va a costituire il focus visivo del progetto. Alla domanda posta ai cittadini da parte dei creativi: “Che cos’è Porto per te?” si è riscontrato che le risposte e la lista delle possibili “Porto” erano infinite. Non ci si poteva limitare alle grandi icone urbane, che altro non avrebbero costituito che dei cliché già visti, ma si doveva tentare di rappresentare un’entità complessa, viva e articolata, di cui facevano parte tantissimi elementi peculiari, dal particolare accento del nord, al vino rosso tipico, ai modi di vivere e le feste tradizionali, alla gastronomia. L’elenco dei simboli di Porto è illimitato, e dalle parole di ogni persona che vive la città nasce una nuova possibile icona.

“ This idea of ownership felt very important for us. This unique home that each one of us finds in the city needed to be represent. Everyone should have their own Porto. [...] Thus it became clear to us that Porto needed to be much more than a single icon, much more than a single logo. It needed complexity. It needed life. It needed stories. It needed personality.” White Studio, Behance


Il filo conduttore dell’identità visiva deriva dalle linee delle famose maioliche a mattonelle blu sparse per la città, che ne rappresentano un elemento particolarmente tipico e fanno parte dell’importante bagaglio culturale e artistico del territorio. Partendo da questa ispirazione si è creato, per il disegno delle icone, uno stile riconoscibile grazie all’utilizzo delle famose linee blu, mantenute di uno spessore e un colore omogeneo. Le icone, al momento del lancio del progetto, costituivano un set composto da circa una settantina di elementi, ma l’idea è quella di poterle far crescere in modo infinito, rappresentando sempre nuovi aspetti della città.

Fig. 2.16. Maioliche cittadine. da behance.net

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Le icone sono state disegnate su una griglia che rimane costante, e che permette di gestirle in modo vario ed eclettico. Ogni elemento può vivere da solo o andare a comporre un tassello di una trama più ampia, andando a far parte di un network visivo che si presenta con pannelli dal forte potere evocativo e decorativo.

Fig. 2.17. Pannello con le icone del City Branding. da behance.net

I vari pittogrammi sono declinati e organizzati in modo da parlare dei diversi aspetti della città: vanno dall’architettura, alle feste, alla gastronomia, ai trasporti etc. Possono assurgere a diversi scopi: creare suggestioni, essere informativi, raccontare storie o trasmettere delle emozioni specifiche.


La forza di questo progetto consiste nell’essere un sistema totalmente aperto. Non vengono costituite gerarchie tra gli elementi: ognuno di essi ha lo stesso valore espressivo e rappresentativo della città di qualunque altro, e insieme vanno a comporre un “coro” di rappresentazioni flessibile e quindi con una sempre aperta possibilità di sviluppo. Tutto ciò ha avuto luogo tenendo a mente che l’identità cittadina è per sua natura un’identità condivisa, e proprio la possibilità di partecipazione e di espressione che nasce dalla moltitudine di icone vuole suggerire la volontà di apertura della città, con l’intento di comunicare un luogo che mira a essere quanto più possibile accogliente e includente nei confronti di tutti, permettendo in questo modo la formazione di un forte e condiviso sentimento di identità. Il payoff è anche in questo caso molto semplice: è composto dal nome della città seguito da un punto, utilizzando come font un sans serif dello stesso colore delle icone.

“Porto is a city with a strong personality. It has a recognizable attitude that is unmistakably ours. So living along the network of symbols, we needed a brand with a clear message, one that summed up our identity. The word was enough. In a simple direct affirmation of who we are and what we are. Nothing else but Porto. The city is undisputed, unavoidable, incomparable. It’s Porto.” White Studio, Behance La tipografia, insieme alle linee base, alla griglia, e al tipico colore che ricorda le belle maioliche cittadine rappresentano gli elementi fissi del progetto che ne garantiscono la stabilità e permettono l’implementazione e lo sviluppo di tutto il set multiforme di icone.

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Fig. 2.18. Presentazione icone. da behance.net Fig. 2.19,2.20, 2.21 p. affiancata. Applicazioni dell’immagine. da whitestudio.pt



2.9 Elementi Caratterizzanti dei Brand Dinamici L’analisi dei casi studio ci permette di andare a ricomporre le linee di una prassi progettuale comune: anche se i progetti proposti portano a dei risultati visivi molto differenti, sono presenti degli elementi ricorrenti a livello strutturale che sono proprio quelli che permettono ai brand il dinamismo necessario a rappresentare una realtà complessa come quella cittadina.

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Innanzitutto, un primo elemento da considerare è la coerenza riscontrabile nella scelta dei payoff: a un’immagine coordinata variegata, multiforme e flessibile si contrappongono dei claim essenziali e privi di connotazioni specifiche. “éBologna”, “Porto.” e “City of Melbourne”. La necessità di comprendere in un unico progetto le tante identità urbane porta a due movimenti opposti e complementari: mentre il livello grafico del segno si espande in una pluralità di varianti potenzialmente illimitata, il livello del testo subisce una contrazione ai fini del raggiungimento del maggior grado di sintesi possibile: viene presentato solo il nome della città, privo di specifiche connotazioni. Questa scelta permette la più ampia adattabilità del payoff ai diversi contesti, e lo rende un contenitore adeguato a raccogliere la pluralità di messaggi che la grafica trasmette. Andando ora ad analizzare il livello grafico si nota che esso è implementato su una struttura progettuale che presenta elementi di similitudine in tutti i progetti: emerge come, per ottenere il risultato dinamico desiderato, gli elementi strutturali che compongono i brand possano essere raggruppati in due classi distinte, in equilibrio tra di loro e catalogabili in base alla natura dei loro elementi: la prima classe che appare sempre presente comprende quelli che possono essere definiti gli elementi stabili del progetto, che, rimanendo invariati e costanti, servono a conferire riconoscibilità al sistema e lo rendono consistente. Questi elementi stabili fungono da base, da substrato, per sviluppare il progetto che a partire da essi può assumere un carattere multiforme. La seconda classe, quella connotativa e caratteristica dei sistemi dinamici, comprende invece tutti quelli che sono gli elementi variabili, che possono mutare e declinarsi in base al contesto, al tempo e al significato da veicolare. Questi elementi mutevoli e dinamici sono quelli che conferiscono vita al sistema. E’ proprio grazie a loro che l’identità dinamica può evolversi e adattarsi, pur mantenendosi entro i limiti della coerenza formale. Citando Caprioli e Corraini (2008), “introdurre la dimensione temporale nella

progettazione grafica significa attribuire al marchio una vera e propria essenza vitale” (p.43).

E’ opportuno però tenere a mente che i sistemi dinamici, nonostante la libertà consentita dall’apertura verso un progetto visuale aperto, mantengono comunque le caratteristiche fisse dei sistemi di Corporate classici e più “rigidi”: elementi come logo, payoff, set tipografico, palette cromatica, stile e tono di voce rimangono costanti all’interno dei vari progetti, mentre sono gli sviluppi grafici quelli che possono cambiare continuamente.


L’innovazione dei sistemi dinamici è rappresentata dall’adozione di una metodologia progettuale più flessibile, che sposta il focus del progetto dal risultato grafico finale al processo di generazione dei contenuti visivi, e che comporta da parte del designer un vincolo verso un codice progettuale piuttosto che verso un codice visivo definito. Questo slittamento di prospettiva verso un approccio più morbido permette di ottenere, grazie all’implementazione degli opportuni meccanismi generativi, risultati multiformi e aperti che però sfuggono maggiormente a uno stretto controllo da parte dei progettisti. E’ possibile catalogare i sistemi in base alle varie modalità di progettazione dell’identità visiva, che corrispondono a una diversa tipologia di relazione tra gli elementi costanti e quelli mutevoli. Ognuno dei progetti precedentemente presentanti si offre come esempio di specifici modelli di progettazione (e quindi di rapporto tra elementi costanti e dinamici), che permettono il fiorire e prolificare di una pluralità di segni all’interno della struttura fissa di un unico progetto visuale.

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Il primo caso analizzato, quello della città di Melbourne, si sviluppa a partire da un unico elemento fisso, la struttura esterna del logo a forma di M, che ha lo scopo di fungere da vero e proprio contenitore per le diverse forme grafiche che lo vanno a riempire in modo libero. Nel caso di Bologna l’elemento che dona costanza è la stessa struttura logica e generativa del progetto: all’interno della progettazione della font geometrica ogni elemento può auto-generarsi andando a manifestare risultati visuali sempre diversi. Le icone di Porto invece sono rese costanti da una apposita griglia di costruzione e da uno specifico stile, che impone standard che vanno dallo spessore e tipologia delle linee alla palette cromatica, e che riesce a donare una forte uniformità visiva alla composizione.


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