Le vie della felicità. Ogni uomo ha diritto di essere felice

Page 1

OGNI UOMO HA DIRITTO DI ESSERE FELICE



OGNI UOMO HA DIRITTO DI ESSERE FELICE Curatori Luciano Baiguera Paola Mutti Margherita Sommese


LE VIE DELLA FELICITĂ€ Auditorium BCC Agrobresciano Ghedi 27 ottobre - 12 novembre 2017

Con il patrocinio gratuito

Con il contributo

Assessorato alla cultura

Un sentito ringraziamento a tutti coloro che in vari modi hanno contribuito alla realizzazione di questo volume. Giuseppe Fusari Paolo Linetti Arturo Mor Carmela Perucchetti Massimo Rossi Luisa Ruggeri Paolo Sacchini Simonetta Scalvini Debora Tonini Progetto grafico Mara Cominardi

Con la collaborazione

ASSOCIAZIONE CULTURALE


Ave Gratia Plena Beata colei che ha creduto perché quanto le è stato detto da parte del Signore avrà compimento

27

Via Sanctitatis Beati coloro che non hanno visto e hanno creduto

43

Via Lucis Così risplenda la vostra luce davanti agli uomini

107

Via Hominis Tutto è vanità e un correre dietro al vento?

119

I linguaggi del presente

233

Lo sguardo dell’infanzia

indiceindiceindiceindi

13



Questa rassegna espositiva giunge alla quinta edizione grazie all’importante collaborazione con il Museo Diocesano di Brescia e con alcuni collezionisti privati; da quest’anno le collaborazioni si sono arricchite con opere provenienti dalla Pinacoteca Bellini di Sarnico, dalla Collezione Paolo VI di Concesio e dall’Associazione per l’arte Le Stelle Brescia. Nei sette anni di attività l’Associazione Culturale Nexus ha costantemente operato nella convinzione che l’arte e la cultura rivestano un ruolo centrale sia per la crescita individuale sia, di conseguenza, per la stessa coesione della comunità. Si situano in linea con questa mission le mostre tenutesi dal 2010 ad oggi presso l’Auditorium della Bcc, per un totale complessivo di oltre cinquemila visitatori. Questa mostra, dal titolo “Le vie della felicità – ogni uomo ha diritto di essere felice”, vuole essere dunque un nuovo momento di arricchimento culturale, un’occasione di conoscenza e di ulteriore avvicinamento ai grandi temi dell’uomo attraverso l’arte. Un percorso a tema articolato in sei sezioni che intende affrontare un

argomento complesso, a volte erroneamente banalizzato o non giustamente valorizzato. Diversi linguaggi artistici sono invitati a confrontarsi in un ideale dialogo fra antico e contemporaneo. Non esiste un’unica definizione corretta di Felicità , ma alcune delle cose per cui questa parola viene usata sono più importanti di altre. Una visione diffusa identifica la felicità, approssimativamente, con una sorta di giudizio: essere felici è essere soddisfatti della nostra vita nel suo complesso. Sicuramente la felicità è un tesoro che ogni essere umano possiede ma che deve imparare a trovare. Le testimonianze e gli esempi che ci provengono dalle scuole filosofiche del passato ci possono aiutare a trovare il nostro modello di felicità che possa basarsi su una felicità interiore, non soggetta alle mode ma frutto di conquista. Oggi però alcuni modelli filosofici del passato possono essere molto distanti, evidentemente tante cose sono cambiate nel corso della storia e la conoscenza dell’uomo sull’uomo si è fatta più sofisticata, ma un dato antropologico fondamentale rimane:

7

leviedellafelicitàlevied

Ogni uomo ha diritto di essere felice


omnes beati esse volumus, tradotto: tutti noi vogliamo essere felici. Una citazione ciceroniana che Agostino in qualche modo fa propria, e che attraversa la storia dell’umanità, sempre attuale, sempre vera. L’anelito ad essere felici attraversa tutti i tempi e la sua radice è anche la rivelazione: la nostra storia inizia in Eden attorno ad un frutto capace di dare conoscenza perfetta e felicità piena. L’uomo desidera la felicità da sempre e sempre ne è in ricerca: come raggiungerla? Il titolo della mostra sollecita non una risposta univoca ma una pluralità di voci e una pluralità di vie che il pensiero umano, nel suo cammino, ha individuato e provato: nei testi sacri, nelle virtù civiche, nella letteratura, nella filosofia, nell’esperienza relazionale di ogni giorno. La vita ci interpella, ci provoca straordinariamente su questo tema. Ci dà anche delle risposte. A noi la capacità di coglierle. Prima di poter dire che cosa ci rende felici, dobbiamo dire con chiarezza che cosa intendiamo con la parola felicità. All’antropologia teologica, il compito di rischiarare con la rivelazione quella che è la

comprensione odierna dell’uomo: la mostra sviluppa il tema incentrando la riflessione sulla beatitudine tra Antico e Nuovo Testamento, attraverso un percorso visivo che parte dall’icona antica e giunge all’arte moderna e contemporanea e nel contempo invita gli artisti di oggi ad interrogarsi e ad affrontarlo con i linguaggi del proprio tempo. Un ringraziamento particolare va al sostegno della Bcc Agro Bresciano di Ghedi che sin dall’inizio ha ospitato nell’Auditorium della sede di Ghedi le varie mostre, a tutti i fotografi, poeti e artisti contemporanei che liberamente si confrontano con i temi proposti e alla spontaneità e freschezza dei bambini delle classi Terze della Scuola Primaria Istituto Comprensivo “E. Rinaldini” di Ghedi. La mostra è ricca di opere che sono un vero e assoluto piacere per gli occhi e per la mente. Ma tutti sono avvertiti, nessuno uscirà dall’Auditorium della Bcc di Ghedi con la ricetta della felicità in tasca. Di certo, però, si lascerà il luogo un pizzico più felici!

Margherita Sommese

8


Se mi dicessero come essere felice, non ci crederei. E non seguirei quello che mi dicono di fare. La felicità non è un percorso già dato, perché non è un luogo uguale per tutti. In più è una percezione differente a seconda di chi la prova. Anzi: è un’illusione credere che la felicità possa essere un diritto. Perché è una situazione. E le situazioni non soggiacciono alla prova di forza dei diritti. Non ci può essere una legge per la felicità; quindi nemmeno un diritto. Perché la felicità è uno stato che nasce da un desiderio. Sì, questo sì: la felicità è un desiderio e per averla siamo disposti a credere a molte cose. Ma non siamo capaci profondamente di cercarla. Preferiamo i medicamenti delle maghe che la promettono, ma non ci muoviamo sulla strada della ricerca interiore, per quella strada che va verso la felicità. La scorciatoia delle felicità (al plurale) è il segno della fragilità della nostra volontà di cercare la felicità. Diciamo di cercarla, ma non lo facciamo. Perché confondiamo l’arrivo con il percorso. Invece il percorso non è felice; lo è l’arrivo. Quindi cre-

diamo di non arrivarci mai, o di poter avere ricette che la promettono, la confezionano, la pubblicizzano. Senza che poi arrivino davvero a quello che è il cuore della felicità. Qualche anno fa un vecchio prete mi raccontava a suo modo cosa fosse la felicità. Si paragonava ai giovani in discoteca che, a centinaia, con la stessa musica, sono soli e lui, da solo in canonica (era in un paese di montagna) – diceva – solo a cantare ‘Noi vogliam Dio’ aveva tutto il mondo a fargli compagnia. Chi ha conosciuto questo vecchio prete, oggi defunto, ricorda che davvero era felice. Si chiamava don Giovita. Era il suo percorso, la sua via. Senza scorciatoie, senza ricette. Perché non mi aveva suggerito di fare la stessa cosa. Mi aveva solo raccontato la sua strada. Ce ne sono migliaia di strade. E migliaia quelli che le tentano. E la felicità è così diversa che può sembrare contraddittoria a vederla sul viso di uomini e donne diversi. Potrebbe essere che la chiamiamo obiettivo della vita. Ma è così pesante, come titolo per la felicità, che di

9

leviedellafelicitàlevied

La via della felicità


suo è lieve (non leggera) e quando arriva sembra che gli ostacoli non ci siano più. Anche se dura poco e fa desiderare una felicità più lunga, più soda, più duratura. È lì che la vita si incontra con qualcosa di più e che spesso è impossibile da raccontare.

Ma si tramuta in qualcosa che riempie la vita. Non l’obiettivo, ma il senso. Allora sì: lì si può scoprire Dio e, come qualcuno ha fatto, riuscire a far diventare la propria felicità anche quella degli altri per quella misteriosa armonia che nasce quando Dio non è scritto ma provato. Come nella notte di Pascal, o nelle parole innamorate di Agostino:

Tardi ti ho amato, bellezza tanto antica e sempre nuova, tardi ti ho amato. Ed ecco: Tu eri con me e io ero fuori di me. Mi tenevano lontano da Te le tue creature che senza di Te nemmeno esisterebbero. Mi hai chiamato e il tuo grido ha rotto la mia sordità. Hai brillato e il tuo splendore ha distrutto la mia cecità. Hai sparso il tuo profumo: l’ho sentito e ora ti desidero. Ti ho gustato e ora ho fame e sete di Te. Mi hai toccato e ora brucio nel desiderio della tua pace. Giuseppe Fusari

10


di 200 opere tra i dipinti, sculture e arredi, l’opera d’arte è perfetta allorquando soddisfa le due differenti opzioni di richiamo alla felicità ultima, quella ultraterrena e perfetta, e alla felicità del contingente, attraverso la modalità propria della fruizione estetica. Piace, quindi, indicare il Museo civico d’arte e del territorio “G. Bellini” di Sarnico come felice prestatore di alcuni dei suoi tesori d’arte che nel loro dichiarato tono sacro e religioso bene interpretano il concetto di felicità come diritto e come agognato traguardo di armonia e di realizzazione umana e cristiana.

Non pare inopportuno sottolineare come all’interno di una mostra intitolata “Le vie della felicità” trovino posto opere dal tono dichiaratamente penitenziale e mistico. Questo perché l’ossimoro solo apparente insegue da vicino i dettami evangelici della rinuncia al mondo per una felicità futura, più compiuta e perfetta. Ma all’intendimento evangelico si accosta, per così dire, anche un altro e ben differente livello di interpretazione. Il piacere estetico, quello dell’arte, diviene, esso stesso, viatico per un solitario ed esclusivo riposo spirituale, condizione, questa, necessaria per una incipiente o conseguibile felicità del mondo. Così nell’ottica del Reverendo Don Gianni Bellini, sacerdote sarnicese, connoisseur e collezionista che potè raccogliere poco meno

Il Conservatore del Museo civico d’arte del territorio “G. Bellini” di Sarnico Dott. Massimo Rossi

11

leviedellafelicitàlevied

Per una mistica della felicità


Sezione di apertura, dedicata interamente all’Annuncio e alla figura di Maria che ha accolto pienamente la volontà divina e percorso con fede la via di salvezza tracciata: “Avvenga per me secondo la tua parola” (Lc 1,38). Sono accostate opere sul tema appartenenti ad epoche diverse e caratterizzate da differenti linguaggi espressivi: icone antiche e contemporanee accanto ad opere pittoriche e scultoree risalenti al periodo compreso tra il XVI e il XXI secolo.


Beata colei che ha creduto perché quanto le è stato detto da parte del Signore avrà compimento

avegratiaplenaavegrati

AVE GRATIA PLENA


avegratiaplenaavegrati

La cattedrale CRISTINA BROGNOLI Scultura in legno e pietra

L’Antico testamento gesta la gioia dell’annuncio del Nuovo. La “novità” si ammanta di “felicità”. La radice è Una ma i suoi rami si sviluppano nell’immensità dello spazio, toccando i cuori che vogliono aprirsi al mistero dell’Amore.

14


15


avegratiaplenaavegrati

Annunciazione GIACOMINA ROVEGGIO cm 70x55

La festa del 25 marzo coincide con l’equinozio di primavera, tempo in cui secondo antiche concezioni fu creato il primo uomo: Maria è la nuova Eva, da cui nasce Gesù. Accanto alle solennità della Pasqua e dell’Epifania, che sottolineano la centralità di Cristo, la festa dell’Annunciazione esalta la divina maternità di Maria (concilio di Efeso del 431). La data della festa, il 25 marzo, cade nove mesi esatti prima della natività (25 dicembre) e sei mesi dopo il concepimento di Giovanni Battista (23 settembre): Maria infatti riceve da Gabriele la notizia che anche Elisabetta, sua cugina, futura madre del Battista, e al sesto mese di gravidanza (Lc 1,36-37). Le prime icone dell’Annunciazione ci presentano la Vergine e Gabriele in piedi, uno di fronte all’altro, in un dialogo muto di occhi e di mani. L’iconografia delI’ Annunciazione, prendendo spunto dal Protovangelo di Giacomo, si divide in due momenti:

l’arcangelo appare una prima volta al pozzo, mentre Maria è intenta ad attingere acqua; poi, una seconda volta nella casa, mentre la Vergine sta filando la porpora per il velo del Tempio. Quel velo è il corpo di Gesù che ha preso carne in lei. La Vergine ha il capo chino in ascolto dell’angelo, la mano destra ripete il saluto dell’angelo e Cristo prende forma nel suo seno: Gesù è infatti simbolicamente rappresentato tra Ie pieghe del manto, quasi nascesse dal filo di porpora della matassa che Maria tiene nell’altra mano. La natura umana di Maria è simboleggiata dalla tunica verde-blu, mentre il manto rosso scuro indica che essa è stata rivestita di regalità divina. La predella su cui Maria poggia i piedi la colloca in una dimensione sacra e regale. L’arcaica solennità dell’arcangelo si manifesta nella dolce fermezza del movimento benedicente del braccio.

16


Annunciazione di Ustyug, 1120 ca. Galleria Tret’jakov, Mosca.

17


avegratiaplenaavegrati

Annunciazione

AGOSTINO GALEAZZI Olio su tela, cm 52x68. Collezione privata, Museo Diocesano Brescia

II dipinto è un bellissimo esempio di ripresa da parte di uno dei maggiori esponenti della bottega del Moretto, Agostino Galeazzi, di un’opera del maestro, l’Annunciazione databile tra il 1535 e il 1540. A quella data il Galeazzi doveva già essere nella bottega del maestro, nella quale rimaneva almeno fino al 1549 quando, ormai quasi trentenne, e ricordato insieme a Giovan Battista Moroni come testimone per un mutuo assunto dal maestro (c. Boselli citato in P. V. BEGNI REDONA, Agostino Galeazzi. Biografia, in Pittura del Cinquecento a Brescia, a cura di M. Gregori, Milano 1986, p. 240) e non è da escludere che, come gli altri pittori che gravitavano nella sfera del Moretto, abbia potuto utilizzare i cartoni dell’artista realizzando copie da prototipi moretteschi. In questo caso il Galeazzi, mantenendo inalterata la proporzione delle figure ha ingrandito la composizione originaria, soprattutto nella parte superiore, così da dare più respiro all’insieme e concedere più spazio all’apertura sul paesaggio. II risultato è intimamente differente

rispetto a quello che ottenne Moretto: a una costruzione chiusa, quasi ancora quattrocentesca nell’impostazione, Galeazzi sostituisce un organismo più espanso dove Ie figure entrano in rapporto con la stanza, divenuta quasi un’aerea loggia aperta sullo sfondo montagnoso, anche grazie a un generale schiarimento della tavolozza e a una raffinata (e dosata) scelta di particolari che impreziosiscono l’insieme. Galeazzi sostituisce ai toni metallici e al profondo chiaroscuro utilizzati dal maestro una gamma cromatica smagliante, giocata sui rosa e sugli azzurri, tutta accordata sui toni chiarissimi dove, con tocco quasi miniaturistico, I’oro dei capelli dell’angelo è rilevato con piccoli tocchi di colore a sottolineare la leggera capigliatura riccia, mentre il velo quasi trasparente sul capo della Vergine lascia trasparire un’acconciatura complessa, con una treccia che ferma i capelli spartiti al centro, secondo il solito canone morettesco. G. Fusari in Pittori intorno a Moretto, compagnia della stampa, Massetti Rodella Editori, 2014. 18


Alessandro Bonvicino detto il Moretto, 1535-1540 ca. Olio su tavola, cm 38,8x55,2. Pinacoteca Tosio Martinengo, Brescia.

19


avegratiaplenaavegrati

Annunciazione SCUOLA DI JAROSLAV XVIII secolo. cm 33 x27

Le prime icone dell’Annunciazione ci presentano la Vergine e Gabriele in piedi, uno di fronte all’altro, in un dialogo muto di occhi e di mani. Se la mano di Maria è rivolta verso I’arcangelo, quasi a fermarlo, indica riserbo e distacco; se invece è ripiegata sul petto esprime consenso e sottomissione. In seguito la composizione acquista movimento e I’arcangelo corre verso la Vergine che è seduta su un trono regale. L’icona infatti è contraddistinta dall’irruente moto dell’arcangelo, giunto come “lieto portatore dell’annunzio della gioia universale”. Dall’altro canto il marcato, impetuoso e insieme docile inchino di Maria indica la profonda umiltà della Sposa del Dio sovrano: “Ascolta , figlia, guarda, porgi l’orecchio” (Sal 45,11). Entrambe le figure sono presentate sullo sfondo di edifici insolitamente alti dall’architettura splendida e complessa. Attraverso di essi non solo vengono offerte variazioni musicali e ritmiche del movimento delle figure dell’arcangelo e di Maria, ma si rispecchiano la comune esultanza del mondo e le innumerevoli sfumature

di significato racchiuse nei paragoni e nelle metafore di cui traboccano gli inni della festa e i sermoni dei Padri della Chiesa dedicati alla Madre di Dio. II tono di esultanza è rafforzato dalla luce che si posa sulla figura di Gabriele e sulle facciate degli edifici, creando I’impressione di un vasto spazio aperto. La simbologia architettonica è legata inoltre alle metafore della Madre di Dio “dimora luminosissima” “palazzo del grande Sovrano”, reggia animata del Re degli angeli” (Gregorio il Taumaturgo). L’alto seggio regale di Maria con basamento simboleggia la sua particolare venerazione: «Esaltate il Signore nostro Dio, prostratevi allo sgabello dei suoi piedi» (Sal 99,5). La figura della Madre di Dio nella concezione dei teologi supera quella del tempio terreno. Il raggio di luce con la raffigurazione della colomba dello Spirito attraversa la sontuosa architettura, per giungere a sfiorare il capo di Maria: “Ecco giungere Cristo Verità…per prendere dimora in Te” (Teofane).

20


Annunciazione, primo quarto del XV secolo. Galleria Tret’jakov, Mosca.

21


avegratiaplenaavegrati

L’annuncio GIUSEPPE MONGUZZI Olio su tela, cm 120x120. Associazione per l’arte Le Stelle, Brescia

gestuale carica di memoria della tradizione iconografica, che si rivela tramite spunti formali ridotti all’essenziale. Una comunicazione immediata ed emozionante, che rivela, attraverso segni esaltati dalla gestualità pittorica, simboli riconoscibili di un comune sentire. L’opera è stata realizzata per la mostra Un paradosso chiamato Maria a cura dell’Associazione per l’arte Le Stelle (Brescia e Concesio, 2010 – 2011).

Nell’ampio spazio pittorico dominato dal buio del fondo nero, lunghe pennellate verticali individuano drammaticamente l’incontro tra l’umanità di Maria e il Verbo divino. Monguzzi affida la forza misteriosa dell’Incarnazione ai bagliori dorati che, come sprigionati dal biancore dell’annuncio angelico, si riverberano sull’azzurra presenza di Maria, vivida nell’oscurità terrena. Fedele alla matrice informale lombarda, l’artista di Lissone imprime al colore una importante connotazione

Carmela Perucchetti

22



avegratiaplenaavegrati

Madonna del latte SCUOLA LOMBARDA XVII secolo. Cartapesta policroma, cm 55x50. Collezione privata, Manerbio

costituisce un unicum nel Cinquecento. L’uso in grande quantità di cartapesta nelle feste barocche è ampiamente testimoniato dalle fonti, che riferiscono di straordinari apparati effimeri, pochissimi sopravvissuti al tempo e il cui fasto e magnificenza venne solo in parte tradotto nei monumenti più solidi di marmo e di bronzo di quell’epoca. Nel Seicento si assiste, comunque, ad un fortunato fiorire dell’arte della cartapesta legato a fattori storici precisi: lo sviluppo del culto, l’intensificarsi delle committenze degli ordini religiosi della Controriforma, preoccupati di arginare i pericoli del Luteranesimo, che dovettero sollecitare le botteghe artigiane ad una ininterrotta fornitura di statue sacre, ordinate dalle numerose fraterie religiose, dalle autorità ecclesiastiche, dai curati delle città e delle campagne. Le opere in cartapesta, umili nella materia, ma raffinatissime nella fattura, possono essere ormai considerate al giorno d’oggi delle vere e proprie opere d’arte.

Le più antiche tracce della cartapesta in Italia risalgono al Rinascimento. Nel Rinascimento toscano la cartapesta segna la fase sperimentale che interessò alcuni dei maggiori scultori del primo Rinascimento che, nello stesso periodo in cui si riscopriva la terracotta come materiale scultoreo, si cimentavano con altri materiali plastici come lo stucco o appunto la cartapesta. La cartapesta e la scultura polimaterica col tempo si spostano in altri ambiti, come quello veneto, dove i grandi scultori del XVI secolo usarono la cartapesta sia per creare modelli da riprodurre con materiali più solidi, sia come materiale per la realizzazione delle opere definitive. È questo il caso di Jacopo Sansovino, fiorentino di nascita ma veneziano d’adozione. Di Jacopo Sansovino sono rimaste diverse realizzazioni: la più diffusa forse resta la bellissima Madonna in cartapesta del Bargello; realizzata in un materiale raro e fragile, se ne conoscono almeno altri dieci esemplari, in musei europei e americani. Il caso di un così alto numero di rilievi in cartapesta 24


25


Sezione incentrata sulle figure dei santi, secondo la tradizione iconografica che da sempre li identifica. Partendo da san Tommaso che ha creduto dopo “aver toccato con manoâ€? il percorso si sviluppa attorno ad alcuni esempi di santitĂ che hanno illuminato la storia della Chiesa con la loro esistenza e la loro testimonianza, in pregevoli opere d’arte del Seicento e del Settecento.


Beati coloro che non hanno visto e hanno creduto

viasanctitatisviasancti

VIA SANCTITATIS


viasanctitatisviasanctit

Incredulità di San Tommaso DANIEL SEITER 1670 - 1680 circa. Olio su tela, cm 95x133. Museo Civico “G. Bellini”, Sarnico

Daniel Seiter (Vienna, 1642 o 1647 – Torino, 1705) è stato un pittore austriaco, che studiò ed operò in Italia durante il periodo barocco. Iniziò il suo apprendistato a Venezia nella bottega di Johann Carl Loth per poi spostarsi a Roma dove lavorò presso la bottega di Carlo Maratta. Si spostò quindi a Torino dove collaborò alla realizzazione degli affreschi della cupola della Cappella dell’Ospedale Maggiore ed eseguì anche delle decorazioni nel Palazzo Reale e nella Villa della Regina. Lavorò anche a Kremsmünster, Brunswick e Dresda in Germania per poi terminare i suoi giorni a Torino. In questa tela dai toni caravaggeschi a parlare dell’episodio è il Vangelo di S. Giovanni. Dopo l’apparizione di Gesù agli apostoli e dopo che essi ne ebbero gioito, Tommaso, detto anche Didimo, che non era con gli altri al momento dell’apparizione, fu restio a credere che il Cristo morto fosse apparso in mezzo a loro, così affermò che avrebbe creduto solo se avesse messo un dito nella piega del costato

di Gesù. Otto giorni dopo Gesù apparve di nuovo agli apostoli e visto fra di loro Tommaso gli disse:” Metti qui il tuo dito e guarda le mie mani; tendi la tua mano e mettila nel mio fianco; e non essere incredulo, ma credente!” ( Gv. 20,19-31 ). Seiter, come nella famosa tela di Caravaggio del 1601, nella dimensione orizzontale della tela ‘fotografa’ il momento della constatazione in una inquadratura di tre quarti dove sono disposte le quattro figure su di uno sfondo neutro e scuro. Questa scelta permette di concentrare l’attenzione dello spettatore sulla testa di Tommaso, mentre la luce illumina la fronte e il profilo ed il costato chiaro di Cristo. Inoltre l’inquadratura permette di fissare l’attenzione sull’atteggiamento timoroso e dubbioso di Tommaso. La disposizione delle quattro teste e degli sguardi permette una ulteriore concentrazione emotiva dello sguardo del fruitore, che non può non focalizzarsi sul punto del ‘dramma’: la rivelazione della presenza reale, in carne ed ossa di Gesù.

28


29


viasanctitatisviasanctit

Maddalena penitente LUCA GIORDANO (attribuito a) 1655 circa. Olio su tela, cm 118x92. Museo Civico “G. Bellini”, Sarnico

La Maddalena penitente è un dipinto a olio su tela attribuito a Luca Giordano, databile al 1655, realizzato quindi prima della più famosa tela conservata presso il museo del Prado di Madrid e realizzata dal 1660 al 1665. Il dipinto, considerato di ottima fattura, seppur con qualche caduta di stile, mostra ancora la forte influenza riberesca appresa in età giovane dal Giordano la quale ne ha caratterizzato lo stile di pittura di molte sue composizioni future. La tela, infine, mostrando una forte conoscenza della pittura veneta acquisita durante il suo importante soggiorno a Venezia, pone il richiamo alle Maddalene di Tiziano ed anche di Veronese portando avanti una tradizione iconografica che propone Maddalena come la penitente dai lunghi capelli, ritratta in preghiera, con a fianco un teschio (spesso anche un libro o uno specchio). Questo è dovuto al fatto che storicamente si

è identificata Maria di Magdala con la “peccatrice” anonima, la prostituta che si getta ai piedi di Cristo, glieli lava con le sue lacrime, glieli asciuga con i suoi capelli e poi li cosparge di unguento profumato. Questa caratterizzazione ambigua del personaggio contribuì a rendere particolarmente variegata la sua rappresentazione iconografica. Particolare fortuna figurativa avrà l’episodio narrato nella Leggenda aurea secondo il quale Maria di Magdala, dopo la morte del maestro, si ritirò a fare l’eremita, tra digiuni e penitenze, in una grotta della Provenza, trascorrendovi trent’anni fino alla fine dei suoi giorni. La rappresentazione della Maddalena penitente ed eremita avrà particolare fortuna a partire dal Cinquecento ed il personaggio subirà un’evoluzione sempre più marcata verso la caratterizzazione sensuale della figura.

30


Paolo Veronese, La Maddalena penitente, 1583 ca. Olio su tavola, cm 115,4x95,5. Museo Nazionale del Prado, Madrid.

Tiziano, La Maddalena penitente, 1533 ca. Olio su tavola, cm 85x68, Galleria Palatina, Firenze.

31


viasanctitatisviasanctit

Orante JACOB JORDAENS XVII secolo. Olio su tela, cm 36x28. Collezione privata, Manerbio

Jacob Jordaens (Anversa, 19 maggio 1593 – Anversa, 18 ottobre 1678) è stato un pittore fiammingo, fra i maggiori del XVII secolo. Fu allievo, con Pieter Paul Rubens, del pittore manierista Adam Van Noort, grazie al quale fu ammesso alla gilda dei pittori di Anversa. Suo padre era un commerciante di tessuti o di sete. La famiglia Jordaens apparteneva alla borghesia più agiata: la loro casa si situava nell’Hoogstraat (la via alta), una delle vie più conosciute per il commercio dei panni ad Anversa. Non compì mai il tanto desiderato viaggio in Italia,

cosa di cui si dolse per tutta la vita, anche se fu fortemente influenzato dalle opere dei grandi artisti del ‘500 italiano (Paolo Veronese, Tiziano, Federico Barocci) ma soprattutto di Jacopo Bassano e dei suoi contemporanei (Domenichino e Caravaggio). Il suo stile degli inizi denuncia la sua formazione manierista, ma poi l’abbandona e si avvicina alla maniera di Rubens, da cui si distacca per la maggiore impetuosità e per l’amore per le atmosfere paesane e domestiche. Morì ad Anversa nel 1678 dopo essersi convertito al calvinismo.

32


33


viasanctitatisviasanctit

San Girolamo in preghiera FLAMINIO TORRI 1650 - 1655 circa. Olio su tela, cm 95x72. Museo Civico “G. Bellini”, Sarnico

Flaminio Torri (Bologna 1621 – Modena 1661). Allievo di Giacomo Cavedoni prima e di Simone Cantarini poi, alla morte di quest’ultimo ne ereditò la bottega insieme a Lorenzo Pasinelli. Opera nei primi anni a Bologna realizzando l’Adorazione dei Magi del Museo di San Giuseppe e la Deposizione a lume notturno della Pinacoteca Nazionale. Tra le opere più significative della sua produzione pubblica la pala d’altare Sant’Antonio e il Bambino Gesù della chiesa dell’Osservanza a Imola. Tra le committenze private, per le quali esegue numerose sacre famiglie e mezze figure di vario soggetto, vanno ricordate alcune versioni del San Francesco in estasi, la Sacra Famiglia di Dresda, una Madonna con Bambino in Collezione Amata, e una serie di tele conservate nella Galleria Pallavicini. Successivamente il pittore si trasferì a Modena al servizio di Alfonso IV

d’Este con l’incarico di soprintendente alle collezioni. Esistono due iconografie principali di Girolamo: una con l’abito cardinalizio e con il libro della Vulgata in mano, oppure intento nello studio della Scrittura. Un’altra nel deserto, o nella grotta di Betlemme, dove si era ritirato sia per vivere la sua vocazione da eremita sia per attendere alla traduzione della Bibbia, in questo secondo caso viene mostrato senza l’abito e con il galero (cappello) cardinalizio gettato in terra a simbolo della sua rinuncia agli onori. A questo secondo filone iconografico fa riferimento Flaminio Torri, l’opera rappresenta San Girolamo penitente nel deserto, tema caro agli artisti dei secoli XV-XVII. Il santo è raffigurato nudo, inginocchiato davanti al Crocifisso. Attributi del santo sono il cranio, la clessidra e la colomba, simbolo dell’ispirazione divina.

34


35


viasanctitatisviasanctit

Santa Caterina d’Alessandria PITTORE BRESCIANO Metà XVI sec. Olio su tavola, cm 37x28. Collezione privata, Museo Diocesano Bs

libro riporta la scritta Ego me Christo sponsam tradidi (mi sono data sposa a Cristo). Infine viene rappresentata con una spada, l’arma che le tolse la vita, e la ruota dentata, lo strumento del martirio, elemento che lega la santa a numerose categorie di arti e mestieri che hanno a che fare con la ruota. Forse è questo l’elemento che unisce santa Caterina ai ceramisti, di cui è protettrice.

In questo dipinto santa Caterina d’Alessandria viene rappresentata con l’iconografia tradizionale: con la corona in testa e vestita di abiti regali per sottolineare la sua origine principesca. La palma che tiene in mano indica il martirio. Il libro ricorda la sua sapienza e la sua funzione di protettrice degli studi e di alcune categorie sociali dedite all’insegnamento (insegnanti e Ordini religiosi come i Domenicani e gli Agostiniani), a volte il

36


37


viasanctitatisviasanctit

Madonna del Rosario con san Domenico e un santo cavaliere AGOSTINO GALEAZZI Olio su tela, cm 230x180. Collezione privata, Museo Diocesano Brescia

II dipinto raffigura, assisa sulle nubi, la Vergine che tiene in braccio il Bambino Gesù. Entrambi, aiutati da angeli, sono in atto di consegnare corone di rose e corone del Rosario ai due santi inginocchiati che si vedono nella parte inferiore della tela. Sulla destra è ben riconoscibile san Domenico, anche per il motivo del dono del Rosario, mentre il giovane santo cavaliere posto sulla sinistra non è identificabile a causa della totale mancanza di notizie sulla provenienza originaria della pala. Senza dubbio il dipinto è da assegnare al bresciano Agostino Galeazzi per

evidenti motivi stilistici. La tela, infatti, riprende elementi cari a tutta la scuola del Moretto ma, in particolare, tipici del Galeazzi sono i toni schiariti della composizione, l’ampia apertura sul paesaggio e il farsi monumentale delle figure. Senza dubbio la parte migliore della tela riguarda la parte inferiore con le due figure di santi, raffinati nella bella armatura lucente e nel saio dai riflessi serici, che si stagliano su un ampio paesaggio dominato da monti aguzzi e da un agglomerato castellano. (G.Fusari in Pittori intorno a Moretto, compagnia della stampa, Massetti Rodella Editori).

38


39


viasanctitatisviasanctit

Santo Stefano in adorazione del Crocifisso LUCIO MASSARI 1620 circa. Olio su rame, cm 35x28. Museo Civico “G. Bellini”, Sarnico

Lucio Massari (Bologna, 22 gennaio 1569 – Bologna, 3 novembre 1633) fu allievo di Bartolomeo Passarotti, dal quale prese inizialmente lo stile manieristico ma guardò anche al classicista Bartolomeo Cesi. Alla morte del Passarotti, avvenuta nel 1592, entra, a Bologna, nell’Accademia degli Incamminati dei Carracci e viene influenzato dal preciso trattamento dello spazio e delle forme di Annibale Carracci. Nel 1604 è tra i collabo-

ratori di Ludovico Carracci nella decorazione del chiostro di San Michele in Bosco, a Bologna, e si adegua allo stile più severo di Ludovico. È a Roma verso il 1610 e la frequentazione con il Domenichino lo spinge a sviluppare composizioni classicamente composte, con chiaro trattamento spaziale. Nell’opera si possono notare alcuni attributi iconografici consueti dell’iconografia di Santo Stefano: la tunicella diaconale.

40


41


Una sequenza di icone antiche accostate idealmente ad opere pittoriche del secondo Novecento in un palpitante dialogo visivo di elevata spiritualitĂ , consente di rivivere alcune tra le piĂš importanti pagine di luce del testo biblico.


CosĂŹ risplenda la vostra luce davanti agli uomini

vialucisvialucisvialucis

VIA LUCIS


vialucisvialucisvialucisv

Madonna con bambino SCUOLA LOMBARDA XVII secolo. Cartapesta policroma, cm 25x70. Collezione privata, Manerbio

Quella della cartapesta è una tecnica povera di scultura, utilizzata però per produzioni di alto pregio e grande bellezza. Le tecniche di lavorazione sono diverse, ma sostanzialmente la carta bagnata con acqua viene applicata in strati successivi e modellata con le mani spalmando della colla da falegname, tra una mano e l’altra. In questa fase alcuni usano materie di carica che aumentano la consistenza della carta macerata (ad esempio il bianchetto o gesso in polvere), ed una volta asciutte formano una superficie dura come la pietra. La cartapesta ed i suoi svariati usi hanno origini molto antiche. Compare in Cina all’incirca all’inizio dell’anno 100 d.C., a fronte della necessità di riutilizzare un materiale pregiato

e costoso come la carta, i cui metodi di lavorazione richiedevano il dispendio di molto tempo e molte materie prime. In Europa la cartapesta venne inizialmente utilizzata per realizzare piccoli oggetti che venivano riprodotti emulando le laccature tipiche cinesi, ma dalla fine del ’700 in poi si iniziò ad utilizzare la cartapesta per la costruzione di mobili ed elementi architettonici, in quanto per le sue doti di leggerezza rispetto al legno o al gesso, era molto adatta agli ornamenti da appendere a soffitti e pareti. Materia povera, affermatasi come alternativa economica alle costose statue in legno o in pietra, nelle mani degli artisti dell’800 e del ’900, assunse a grandi possibilità plastiche e consentì la realizzazione di grandi opere.

44


45


vialucisvialucisvialucisv

Crocifisso GIACOMINA ROVEGGIO cm 70x57

L’icona è tratta da un modello di Berlinghiero Berlinghieri (1200-1249) conservato nella pinacoteca civica di Lucca. È un esempio di croce italica sagomata. In essa vi è la rappresentazione dei misteri di Cristo. Cristo è il re della Gloria, sulla croce che diviene una scala verso il cielo. Cristo è elevato a Re di tutto l’Universo e rappresenta il Christus triumphans sulla croce, eretto e con gli occhi aperti, quale vincitore della morte. Nei tabelloni ai lati della croce si vedono i due dolenti, Maria e san Giovanni. In alto la sigla di Cristo “ICXC”. La croce mostra un Cristo slanciato, con un corpo proporzionato e col volto di giovane idealizzato, dimostrando anche un’influenza di Giunta Pisano, leggibile anche nella maggiore espressività delle figure dei dolenti. La figura di Cristo infatti ha un’espressione di calcata tristezza, ripresa anche nella figura del san Giovanni a sinistra, che porta anche una mano al volto come a volersi sostenere dal dolore.

Berlinghiero Berlinghieri, Crocifisso, 1220. Tempera su tavola. Pinacoteca civica, Lucca.

46


47


vialucisvialucisvialucisv

Sedici feste con scene della Passione Russia, inizio XIX secolo. cm 53x45. Collezione privata, Gambara

L’icona presenta una composizione caratteristica, che vede al centro la Pasqua, e tutt’intorno le feste principali del ciclo liturgico annuale. II ciclo della Passione deve, partendo dall’alto a sinistra: l’Ultima cena, la Lavanda dei piedi, la Preghiera nell’ orto degli Ulivi, il Bacio di Giuda, I’incontro tra Cristo e Pilato, e il Colloquio con Caifa, la Flagellazione, la Coronazione di spine, la Salita al Calvario, la Crocifissione, la Deposizione dalla croce, la Deposizione nel sepolcro. Le festività raffigurate, partendo da sinistra in alto, sono: la Natività della Madre di Dio, la sua Presentazione al tempio, la Trinità del Nuovo Testamento, I’Annunciazione, la Natività, secondo la tipologia dell’Adorazione dei magi (sul bordo superiore); la Presentazione al tempio del Signore, il Battesimo, I’Entrata in Gerusalemme, la Trasfigurazione, l’Ascensione, la Dormizione della Vergine (sui bordi laterali); la Trinità, la Discesa dello Spirito Santo, Protezione della Vergine, la Decollazione di san Giovanni

Battista e l’Esaltazione della croce (sul bordo inferiore). Le scene sono eseguite in una maniera raffinata, ricca di particolari, secondo un’impostazione compositiva che riempie tutti gli spazi e predilige personaggi di grandi dimensioni rispetto agli edifici e al paesaggio. Particolarmente bella la raffigurazione centrale, che appartiene alla complessa variante iconografica, tipica dell’arte russa a partite dal XVII secolo, in cui la tradizionale composizione della «Discesa agli inferi» si unisce alla raffigurazione della vera e propria Resurrezione di Cristo, il momento in cui il Salvatore si leva dal sepolcro. Al centro vediamo infatti la raffigurazione di Cristo che sorge dalla tomba, circondata da una folla di soldati addormentati e da una schiera di angeli, inviati a dar battaglia agli inferi. La profusione di rossi usata sottolinea l’energia spirituale salvifica comunicata dalla Resurrezione di Cristo all’umanità.

48


49


vialucisvialucisvialucisv

Profeta Elia Russia Settentrionale, XVIII secolo. cm 33x28. Collezione privata, Gambara

Nativo di Galaad, in Transgiordania, Elia operò come profeta nel decennio 860-850 a.C., sotto il regno di Acab e della regina Gezabele. L’immagine della sua ascesa in cielo su un carro di fuoco, sotto gli occhi esterrefatti del discepolo Eliseo, e ripresa in innumerevoli icone. Nella cornice di queste icone troviamo spesso la sua storia, narrata in 1 Re 17-19. Dopa aver predetto la carestia, Elia si rifugia in una grotta nel deserto, nutrito da un corvo, cosi come viene rappresentato in molte icone. Tornato a corte, Elia sfida sul monte Carmelo i sacerdoti di Baal perché con le loro preghiere facciano scendere dal cielo il fuoco per il sacrificio. Elia vince la sfida e passa a fil di spada i quattro-

cento sacerdoti, poi fugge nel deserto dove invoca la morte. Un angelo però gli appare portandogli del cibo: con la forza di quel pane, in cui i Padri vedono la prefigurazione dell’Eucarestia, Elia cammina quaranta giorni fino al monte di Dio, l’Oreb. Qui egli compie quella straordinaria, ineffabile esperienza del Dio che non si manifesta “nel tuono e nella tempesta”, ma parla con la “voce sottile” di un vento leggero. Elia appare con Mosè accanto a Cristo sul monte Tabor, nell’icona della Trasfigurazione. II suo posto è tra i grandi mistici d’Israele. L’ordine dei carmelitani, chiamati “figIi di Elia”, considera il profeta Elia come loro fondatore.

50


51


vialucisvialucisvialucisv

Madre di Dio del Roveto cm 43x33. Collezione privata, Gambara

II roveto che Mosè vede ardere senza consumarsi sulle pendici dell’Oreb è interpretato dai Padri come immagine di Maria che partorisce Cristo, fuoco divino, conservando intatta la sua verginità. Un manoscritto del XIV secolo, conservato nel monastero russo delle Solovki, descrive la potenza della Vergine che verso i suoi angeli, invia sulla terra folgori, gelo e terremoti per punire gli empi. Da queste due fonti nasce I’icona di Maria Roveto ardente, che dal Sinai giunge in Russia nel XIV secolo. Al centro di una stella a otto punte for-

mate da due rombi sovrapposti appare I’immagine di Maria Pietra non staccata da mano d’uomo. Il rombo verde-azzurro rappresenta la natura vegetale del roveto, il rombo rosso Ie fiamme divine che non lo consumano; nelle punte rosse i simboli dei quattro esseri viventi (leone, vitello, aquila e uomo), nelle quattro punte blu le immagini degli angeli dell’Apocalisse con i flagelli. Ai quattro angoli dell’icona sono rappresentate le visioni profetiche di Mosè, Isaia, Ezechiele e Giacobbe relative all’incarnazione.

52


53


vialucisvialucisvialucisv

Madre di Dio avvocata nostra (Deesis) Mosca, Inizio XIX secolo. cm 44x40. Collezione privata, Gambara

La deesis o deisis (dal greco δέησις, “supplica”, “intercessione”) è un tema iconografico cristiano di matrice culturale bizantina, molto diffuso nel mondo ortodosso. La rappresentazione della deesis è spesso presente nel registro centrale delle iconostasi e può essere integrata dalle rappresentazioni degli arcangeli e di altri santi di importanza locale. Il Cristo al centro con la Madre alla sua destra e Giovanni Battista alla sua sinistra entrambi in atteggiamento di supplica, costituiscono il modulo iconografico chiamato Deesis ossia Preghiera: questa Triade è una creazione propriamente bizantina del

VII secolo. Essa presuppone da una parte un’accresciuta sensibilità del popolo cristiano al tema del ritorno di Cristo alla fine dei tempi, dall’altra il senso della preghiera di intercessione dei santi, ed è destinata a diventare parte integrante della struttura interna dell’edificio sacro. La Deesis è il centro ideale dell’iconostasi, perché rende evidente il legame fra Cristo presente nell’Eucarestia e l’umanità, non solo quella trasfigurata delle icone, ma anche quella che nella navata attende di partecipare alla Comunione dei santi. La Deesis è dunque per ciascuno la promessa di Paradiso.

54


55


vialucisvialucisvialucisv

Pantocratore Mosca, XVIII secolo. cm 44x37. Collezione privata, Gambara

Cristo adulto benedicente, con il Vangelo aperto o chiuso è una delle tipologie più antiche e testimonia la storicità dell’incarnazione contro le eresie dei primi secoli. Dopo che il concilio di Nicea nel 325 confermò l’immagine visibile e perfetta del Padre, seguirono tre secoli di lotta contro Ie eresie che negavano ora la natura divina di Cristo (l’arianesimo) ora l’umana (il monofisismo). Si arrivò infine a stabilire che nella persona di Cristo c’è l’unione ipostatica (cioè personale) di due nature, l’umana e la divina. L’icona del Pantocratore diventa così il simbolo stesso di questa lotta. In particolare sotto l’imperatore

iconoclasta Leone III Isaurico le icone furono fatte oggetto di distruzione e vennero perseguitati i loro sostenitori, tra cui il più accanito difensore fu Giovanni Crisostomo. Difendendo l’immagine di Cristo uomo-Dio si difendeva il principio stesso dell’incarnazione, e quindi l’efficacia della salvezza. L’icona diventò baluardo in difesa della vera fede, ed ebbe i suoi martiri; finché si giunse al settimo concilio ecumenico di Nicea (787) e al trionfo dell’ortodossia (842). L’icona di Cristo Pantocratore, cioè Signore dell’universo, è l’immagine stessa della vittoria della fede ortodossa sulle eresie.

56


57


vialucisvialucisvialucisv

Madre di Dio della tenerezza (Eleousa) XVIII secolo. cm 44x37. Collezione privata, Gambara

L’icona della Madre di Dio «Eleousa», una variante di raffigurazione della Vergine molto antica, attribuita addirittura all’evangelista Luca, che secondo la tradizione fu il primo a ritrarre Maria, dal vero. Questa tipologia, che dal termine russo Umilenie in italiano ha preso comunemente il nome di «Madre di Dio della Tenerezza», è caratterizzata dal gesto di affetto con cui il Bambino cinge il collo della Madre appoggiando la propria gota al suo volto. La tradizione popolare identifica questo gesto di tenerezza con la rive-

lazione da parte di Cristo della Passione e morte a cui si consegnerà volontariamente, e vede nello sguardo dolente della Vergine il segno della sua accettazione e compartecipazione, il rinnovarsi del «fiat» detto all’angelo nell’Annunciazione. L’icona della Madre di Dio con Bambino ha quindi come proprio tema il mistero dell’incarnazione, morte e resurrezione del Salvatore, un mistero che è essenzialmente mistero d’amore e di comunione tra il Creatore e la sua creatura, Maria, e attraverso di Lei con tutta l’umanità redenta, la Chiesa.

58


59


vialucisvialucisvialucisv

Trasfigurazione Russia Centrale, XVIII secolo. cm 42x37. Collezione privata, Gambara

La dottrina spirituale di Gregorio Palamas, che vede nella luce l’emanazione dell’energia divina increata, si chiama “esicasmo” ed è alla base della pittura di icone. “Nessuno ha mai visto Dio” e dunque la sua conoscenza può avvenire solo per negazione, attraverso l’oscura luminosità di una nube che nascondendo rivela (Ia nube della non-conoscenza). Nell’episodio della Trasfigurazione Cristo sale con i discepoli Pietro, Giacomo e Giovanni sul monte Tabor, una piccola altura della Galilea, a 588 metri sul livello del mare. II Tabor era considerato fin dall’antichità luogo sacro: sulla sua sommità, sotto

il pavimento dell’attuale chiesa della Trasfigurazione, la roccia conserva infatti tracce di antichi culti cananei. La montagna è il luogo dell’incontro con Dio e della sua rivelazione. Sulla cima del Tabor i discepoli, tramortiti e in uno stato di estasi, vedono - in piedi su una nube, tra Mosè ed Elia (i due veggenti dell’Antico Testamento) - il corpo divinizzato di Gesù: “II suo volto brillò come il sole, le sue vesti divennero candide come la neve”. A questo punto i discepoli “caddero bocconi a terra”, colpiti dai raggi della luce taborica “increata” che irradiava dall’aura luminosa che circondava il corpo di Cristo.

60


61


vialucisvialucisvialucisv

Madre di Dio delle tre mani Russia Centrale, inizio XIX secolo. cm 31x27. Collezione privata, Gambara

Il canone iconografico della Madonna “dalle tre mani” è strettamente legato alla Figura del grande teologo S. Giovanni Damasceno che, com’è noto, all’epoca delle lotte iconoclaste fu uno strenuo difensore del culto delle immagini sacre. Narra la leggenda che in seguito ad una calunnia dell’imperatore iconoclasta Leone III Isaurico (717 - 740), Giovanni entrò in conflitto con il governatore di Damasco, di cui era funzionario e presso il quale godeva di grande stima, accusato di alto tradimento, egli fu condannato alla recisione di una mano, che dopo l’esecuzione della sentenza venne espo-

sta sulla piazza della città. Secondo la tradizione, la sera del giorno del supplizio Giovanni si fece portare la mano amputata da amici compiacenti, l’applicò al braccio mutilato e pregò davanti all’icona della Madonna, affinché l’arto gli fosse restituito. Dopo lunghe suppliche, si addormentò: in sogno ebbe una visione in cui la Madonna gli prometteva la guarigione affinché egli potesse continuare ad usare quella mano nella sua instancabile opera in difesa della fede. AI risveglio egli vide che l’arto era miracolosamente ricongiunto al braccio.

62


63


vialucisvialucisvialucisv

12 Feste SCUOLA DI JAROSLAV XVIII secolo. cm 45x35. Collezione privata, Gambara

L’icona presenta una composizione caratteristica, che vede al centro la Pasqua, e tutt’intorno le feste principali del ciclo liturgico annuale. Le elenchiamo di seguito, partendo da sinistra in alto: la Natività della Madre di Dio, la sua Presentazione al tempio, l’Annunciazione, la Natività (sul bordo superiore); la Presentazione al tempio del Signore, il Battesimo, l’Entrata in Gerusalemme, la Trasfigurazione (sui bordi Iaterali): l’Ascensione, la Trinità, l’Esaltazione della croce, la Dormizione della Vergine). Le scene sono eseguite in maniera estremamente raffinata, secondo una tecnica miniaturistica.

Particolarmente bella la raffigurazione centrale, che appartiene alla complessa variante iconografica, tipica dell’arte russa a partire dal XVII secolo, in cui la tradizionale composizione della «Discesa agli inferi» si unisce alla raffigurazione della vera e propria Resurrezione di Cristo, il momento in cui il Salvatore si leva dal sepolcro. AI centro vediamo infatti la raffigurazione di Cristo che sorge dalla tomba, circondata da una folla di soldati addormentati e da una schiera di angeli, inviati a dar battaglia agli inferi.

64


65


iconedaviaggioiconeda

Annunciazione Russia Centrale, XVII secolo. cm 11,5x9. Collezione privata, Gambara

A partire dall’anno 1440 d.C., si diffuse in Russia l’uso di Icone di piccole dimensioni. I soggetti più richiesti furono: Il Crocifisso, il Cristo Acheropita, la Vergine Maria, vari Santi, la Santissima Trinità e la Deesis. In poco tempo divennero di fatto e per antonomasia. Icone Sacre da viaggio, in quanto il credente non poteva mai separarsi dalla Immagine da lui venerata che lo accompagnava ovunque con la sua benefica protezione. L’Annunciazione è la rivelazione da parte dell’Arcangelo Gabriele alla

Vergine Maria riguardo al mistero che sta per compiersi in Lei: il Verbo di Dio, nato dal Padre prima di tutti i secoli, il Vero Dio nato dal Vero Dio, s’incarnerà in Lei senza alcun intervento umano. L’icona rappresenta l’Arcangelo-Messaggero in un movimento discendente suggerito dalla curva che forma l’ala terminata dal braccio. Egli trasmette il suo messaggio celeste alla Madre di Dio che appare umile e ricettiva.

66


67


iconedaviaggioiconeda

San Giovanni Battista con scene di vita Mosca, XIX secolo. cm 18x13,5. Collezione privata, Gambara

Soprannominato “Battista” perché battezzava tutti quelli che venivano da lui, e “Precursore” perché “precedette” Gesù Cristo, San Giovanni è l’ultimo profeta che costituisce il legame e il ponte tra il Antico ed il Nuovo Testamento. Concepito miracolosamente, egli era il figlio del profeta Zaccaria e di Elisabetta, una parente della Vergine. A trent’anni, cominciò a predicare la penitenza per preparare la venuta del Signore. Grande asceta, viveva nel deserto, portava un abito di pelo e si nutriva di cavallette. Questa composizione viene detta anche parte della “Deesis” dove Cristo è rappresentato in trono e ai lati la Madre di Dio e Giovanni Battista in posizione di “Supplica”.

68


69


iconedaviaggioiconeda

Crocefissione Russia Centrale, XIX secolo. cm 13x11,5. Collezione privata, Gambara

Questa icona è di chiaro influsso bizantino. L’intera composizione è caratterizzata da un grande equilibrio. La croce è piantata saldamente su di un cono pietroso che rappresenta il Golgota e si staglia su uno spazio delimitato dalle mura di Gerusalemme. La crocifissione avviene fuori delle mura, perché Gesù viene rifiutato da Israele e perché la sua morte non profani la città santa. Ai piedi della croce vi sono le figure di Maria e Giovanni. Sopra tutto si impone il corpo delicato del crocefisso. Il chiarore dorato dello sfondo fa risaltare l’accordo cromatico ocra- bruno delle figure. I riflessi acquei sulla stoffa che cinge i fianchi di Cristo, sulle tuniche

di Maria e Giovanni e sulle rocce del Golgota contribuiscono ad annullare ogni pesantezza. Il sangue zampilla dal costato di Cristo e scorre dalle ferite dei chiodi. Nel profondo della morte Egli manifesta segni di vita nuova. Sotto la croce il cranio di Adamo riceve il lavacro della redenzione. Essa si estende a tutto l’universo, come è ben rappresentato dalla croce bizantina che è a tre dimensioni: il braccio trasversale e la base indicano i quattro punti cardinali mentre l’asse verticale segna l’incontro tra cielo e terra. La croce di Cristo abbraccia così il mondo intero per portarlo a vita nuova.

70


71


iconedaviaggioiconeda

Deesis Russia Meridionale, XIX secolo. cm 18x15. Collezione privata, Gambara

In questa icona antica il Cristo al centro con la Madre alla sua destra e Giovanni Battista alla sua sinistra entrambi in atteggiamento di supplica, costituiscono il modulo iconografico chiamato Deesis, ossia “Preghiera, supplica”. Questa triade è una creazione propriamente bizantina del VII secolo: essa presuppone da una parte l’accresciuta sensibilità del popolo cristiano al tema del ritorno di Cristo alla fine dei tempi, dall’altra il senso

della preghiera di intercessione dei Santi ed è destinata a diventare parte integrante della struttura interna dell’edificio sacro. La Deesis è il centro ideale dell’iconostasi, perché rende evidente il legame fra Cristo, presente nell’Eucarestia, e l’umanità, non solo quella trasfigurata delle icone, ma anche quella che nella navata attende di partecipare alla Comunione dei Santi. La Deesis è dunque per ciascuno promessa di Paradiso.

72


73


iconedaviaggioiconeda

San Nicola ferma un’esecuzione Russia Centrale, XVIII secolo. cm 17,5x13. Collezione privata, Gambara

A San Nicola, vescovo di Mira in Asia Minore, è stato attribuito il titolo di Taumaturgo, ovvero di “Colui che compie miracoli”. Viene spesso rappresentato come vescovo, vestito con lo sticharion (tunica), il polystavrion (casùla bianca ricoperta di croci nere poiché il vescovo è testimone della Passione e della Resurrezione del Cristo) e con l’omophorion (stola di lana bianca che simboleggia la pecora smarrita che il Buon Pastore porta sulle spalle). È il protettore dei marinai, poiché più volte nel corso della sua vita salvò delle imbarcazioni in pericolo o dei marinai caduti in acqua. Durante la carestia di Mira, convinse il capitano

di una barca carica di grano a dargliene una parte, promettendogli che al loro arrivo, la quantità di grano non sarebbe stata inferiore. È il protettore dei bambini perché resuscitò, tra l’altro, dei bambini che il macellaio aveva rinchiusi nel salatoio. Intervenne durante il concilio ecumenico di Nicea nel 325 contro Ario. Escluso dal concilio, fu obbligato a rendere la sua stola di vescovo. Il Presidente dell’assemblea vide, in sogno, il Cristo dare a san Nicola l’evangeliario e la Madre di Dio rendergli la sua stola dicendo: “domani vincerà Nicola.” Fu ripristinato il giorno dopo. Dal tempo della prima Crociata le sue reliquie si trovano a Bari, in Italia.

74


75


iconedaviaggioiconeda

Madre di Dio di “Korsun” Mosca, XIX secolo. cm 18x15. Collezione privata, Gambara

Il nome dell’icona, Madre di Dio di Korsun deriva dal nome della città portuale greca in Crimea. Vengono genericamente chiamate di Korsun tutte le icone greche che passarono da qui per arrivare in Russia. Le caratteristiche che contraddistinguono questo modello sono l’atteggiamento della Madre e la posizione del Figlio. La madre, addolorata e china sul figlio che stringe a sé con entrambe le mani, sembra volerlo calmare e allo stesso tempo il suo sguardo è addolorato e guarda lontano, ci invita a intuire le preoccupazioni del suo cuore. Maria è la madre di tutta l’umanità, che amando perdutamente il

Padre, il Figlio e lo Spirito, totalmente obbediente alla divina volontà, ha assunto in sé gli stessi sentimenti, le stesse pene e dolori che Dio ha per gli esseri umani. Quella pena di amore che l’ha spinto ad offrirsi come sacrificio vivente e a versare il suo sangue per noi. Maria madre di tutte le generazioni non può che partecipare alle sofferenze di Dio nel vedere un’umanità così confusa, presa nell’odio e nella violenza, così lontana dalla luminosa volontà di Dio, una madre pronta a tutto pur di aiutare i suoi figli a salvarsi, ad entrare in quella vita di amore che Dio ha preparato per ognuno nell’eternità.

76


77



Nel XVIII e XIX nella tradizione iconografica russa si ha l’introduzione della tecnica occidentale stimolata dallo zar Pietro il Grande che porterà grandi cambiamenti. Vennero infatti chiamati a corte artisti europei che trasferirono così nell’icona tutti quegli elementi latinizzanti tipici della pittura europea, come l’architettura classica, gli edifici ricchi di colonne, porticati con drappi e tendaggi, paesaggi alberati, sfondi azzurri che vanno a sostituire i colori simbolici dell’oro e del rosso, tipici dell’icona. Da questo momento in poi non si può più parlare di scuole russe vista la centralizzazione attuata dallo stato e il dilagare della cultura occidentale presa a modello, che annulleranno tutte quelle differenze che in precedenza caratterizzavano l’icona russa. Importante spazio occupano nella produzione iconica russa i villaggi di Vladimir, Palech, M’stera e Choluj, che conservarono un legame con l’antica tradizione bizantino russa. Il più importante di questi centri è stato sicuramente Palech di cui si hanno notizie a partire dal XV secolo. In questo villaggio la tradizione iconica veniva

tramandata di padre in figlio e si praticava sia in ambiente monastico sia in quello laico. Grazie alla estrema bravura di questi pittori nacque la leggenda che gli iconografi di corte per procurarsi validi aiutanti facevano rapire i pittori di Palech e li portavano a Mosca. Nel XVIII secolo i pittori locali raggiunsero un tale livello artistico che il villaggio diventò un centro molto organizzato senza concorrenti. Dal 1917 la costrizione del regime forzò gli artisti a decorare le scatole, a produrre gioielli, balalaiche e le famose uova pasquali con scene fiabesche al posto del Vangelo e della Bibbia che, proprio grazie alle raffigurazioni nelle icone sono penetrati così profondamente nell’animo russo in tutti gli strati sociali, soprattutto in quelli più umili e sensibili. Così muore l’icona tradizionale che non ha più senso d’esistere, ridotta ormai alla mera catena di montaggio dove ognuno aveva un compito; chi riportava il disegno sulla tavola, chi eseguiva edifici, chi i paesaggi, le vesti, infine i volti.

79

pietroilgrandepietroilg

La nuova identità dell’iconografo


pietroilgrandepietroilg

Ascensione Mosca, XVIII secolo. cm 73x55. Collezione privata, Gambara

L’icona dell’Ascensione si compone intorno al racconto che ne fa S. Luca sia nel Vangelo che all’inizio degli Atti. L’icona è divisa in due parti ben distinte: la prima, quella celeste, in cui campeggia la figura del Cristo glorioso; la seconda, quella terrestre, fittamente popolata. Il Signore sale benedicendo e l’icona fa di questo avvenimento l’asse della sua composizione. Questa benedizione è già l’inizio della Pentecoste, l’invio dello Spirito Santo. Si può dire che l’icona dell’Ascensione rappresenta l’epiclesi pentecostale, il momento in cui “io pregherò il Padre ed egli vi darà un altro Consolatore perché rimanga con voi per sempre” (Gv. 14,16).

Il Cristo appare su una nuvola e con vesti rosso, porpora e blu: i colori per eccellenza della sua regalità. Dalla sua persona, divina ed umana, si sprigiona e s’irradia la luce della divinità per tutta l’ampiezza dei cieli. Il gesto è quello del Pantocratore, cioè di “Colui che contiene in sé tutte le cose. Nella parte inferiore si trovano riuniti gli apostoli, Maria e gli angeli. Dal blocco roccioso si elevano quattro arboscelli verdi e rigogliosi che rappresentano i quattro angoli della terra “sterile”, asservita all’idolatria, che risponde all’annunzio della buona novella, idealmente simboleggiata dai quattro evangelisti. Dall’Ascensione in poi Gesù manda gli apostoli fino agli estremi confini della terra per annunciare la salvezza.

80


81


pietroilgrandepietroilg

Pentecoste Mosca, XVIII secolo. cm 43x43. Collezione privata, Gambara

L’icona della Pentecoste scrive l’evento narrato da Luca in Atti 2, nelle immagini e nello stile delle icone. L’icona raffigura una scena che pare posta su una piazza in un luogo aperto senza mura o tetto, quasi fosse uno spettacolo dato da Dio a tutto il mondo e a tutta la storia. Le persone radunate sono Undici apostoli e Maria, madre del Signore, data da lui alla Chiesa. Gli apostoli sono undici, per sottolineare il significato di una assenza dovuta all’infedeltà. L’icona intende iscrivere la Chiesa tutta. In-

fatti Luca parla di tutti. L’insieme non indica solo un assemblaggio di persone, come l’insieme di un mucchio di sassi, ma anche l’unità nella fede e nell’amore con cui il gruppo condivide l’evento. Lo si vede dagli atteggiamenti del corpo: mani, viso e capo segnato dalle fiammelle. Il riferimento allo stesso luogo indica la territorialità. Si tratta di una porzione di Chiesa, la prima, quella che vive in Gerusalemme all’inizio della storia ecclesiale.

82


83


pietroilgrandepietroilg

Santissima Trinità Nuovo Testamento Russia Settentrionale, XVIII secolo. cm 73x55. Collezione privata, Gambara

Il soggetto della Trinità del Nuovo testamento offre una esplicazione visiva al concetto della contemporaneità delle tre Persone trinitarie (Padre, Figlio e Spirito Santo). Questa immagine a lungo contestata in

tempi antichissimi trova poi una sua accettazione e collocazione attorno al quindicesimo secolo pur essendo sempre stata ben accetta nell’area cristiana occidentale.

Trinità Antico Testamento Nell’episodio dell’apparizione dei tre misteriosi pellegrini ad Abramo, di cui ci parla il cap. XVIII della Genesi, già i Padri avevano ravvisato una manifestazione trinitaria. In epoca antica tuttavia, l’accento era messo soprattutto sull’ospitalità di Abramo”, che appare, insieme a Sara quale interlocutore dei tre ospiti. All’inizio del XV secolo in Russia Andrej Rublev opera una rivoluzione in quest’iconografia, eliminando i personaggi terreni e trasformando la scena in una sorta di composizione sacrale, in un muto colloquio fra le Persone trinitarie che ha come vertice il calice eucaristico e quindi la salvezza dell’uomo.

Russia centrale, Trinità dell’Antico Testamento, metà del XIX secolo. Tempera su tavola, cm 88,8 x 70,9.

84


85



«“Nimis bene scripsisti de nobis”. Non seppi mai se fosse un’assoluzione o un rimprovero, se dovessi tradurre: “Lei ha scritto troppo bene di noi”, oppure “Lei ha scritto benissimo di noi”. Quando glielo domandai, la sfinge sorrise ma non rispose». Con queste parole, nella sua autobiografia Il mio secolo, la mia vita (1988; trad. it. 1990), Jean Guitton ricordava il lapidario telegramma con il quale Papa Paolo VI, nel 1967, lo aveva autorizzato a pubblicare i Dialoghi con Paolo VI, forse nel complesso il volume più ricco, denso e ispirato – perché, si direbbe, allo stesso tempo più intimamente vissuto e più visceralmente meditato – della sua intera (e vastissima) produzione; un testo che giungeva a suggellare un’amicizia ormai di vecchia data, sbocciata quando nel 1950 il giovane Giovanni Battista Montini – all’epoca stretto collaboratore di Pio XII presso la Segreteria di Stato vaticana – aveva di fatto salvato dalla condanna all’Indice l’importante saggio guittoniano dedicato a La Vergine Maria, alcuni risvolti del quale avevano destato qualche preoccupazione presso la Curia romana.

In quell’occasione, Guitton e Montini si erano incontrati per la prima volta, precisamente l’8 settembre; e da quel momento in avanti i due avrebbero continuato ad incontrarsi ogni anno, sino alla scomparsa del Papa bresciano, esattamente in quella data, senza che l’elezione di Montini al soglio pontificio, nel 1963, interrompesse tale consuetudine, perché in fondo – diceva Paolo VI a Guitton – «io non sono un uomo? Non ho forse il diritto di avere amici? Non ho forse un cuore?». Anzi Paolo VI, dopo che il suo predecessore Giovanni XXIII aveva invitato Guitton a partecipare come unico osservatore laico al Concilio Vaticano II, volle addirittura che il filosofo francese prendesse parola durante la seconda sessione del Concilio stesso, non casualmente con un intervento sul tema dell’ecumenismo, a cui aveva dedicato molti studi. Uno dei frutti meno noti di questa solida e intensa amicizia, che come è testimoniato dai racconti riportati in diversi volumi guittoniani si è nutrita non solo di sollecitudine personale e di condivisione intellettuale, ma anche di confronti vivaci (ad esempio,

87

jeanguittonjeanguitto

La pittura di un filosofo 1


su alcune scottanti tematiche morali, sui rapporti tra il cattolicesimo e le altre confessioni cristiane, sulla lacerante questione di Ecône), è la ricca raccolta di opere pittoriche del pensatore francese – più di duecento – che sono oggi conservate, per il tramite del lascito disposto del segretario particolare di Papa Montini, Mons. Pasquale Macchi, presso la Collezione Paolo VI - arte contemporanea di Concesio. In tutte queste opere è ben evidente la vena innanzitutto espressionista della pittura guittoniana, e in particolare emerge molto chiaramente la sua predilezione per un colore utilizzato in senso fortemente antinaturalistico; inoltre, non c’è dubbio che nelle opere di Guitton si colga anche una rarefazione fortissima della figura, che perde spessissimo la sua riconoscibilità e che addirittura in certi esiti estremi giunge fin quasi a scomparire, senza però mai farlo del tutto e soprattutto senza mai perdere il suo “effetto di presenza” (anche se non la si riconosce, insomma, nel dipinto se ne sente per così dire la risonanza). Ciò testimonia la vicinanza di

Guitton all’universo dell’Informale postbellico, o forse ancora meglio a tutte quelle esperienze che all’Informale hanno sì fatto riferimento nella densità del corpo pittorico e nella sommarietà dei tratti, senza però abdicare del tutto alla centralità della figura stessa, che appunto permane sia pur solo in forma accennata e quasi sotterranea. La pittura guittoniana, insomma, formalmente appare assai vicina agli esiti di quella tendenza che Francesco Arcangeli aveva opportunamente qualificato come “Ultimo Naturalismo”, ovvero – appunto – l’ultima e più estrema forma ormai possibile di fedeltà al dato naturale per una generazione che aveva attraversato la tragedia della guerra e l’orrore dell’olocausto e della bomba atomica. Nell’opera di Guitton, insomma, sembra di poter cogliere le stesse inquietudini che animavano – tra gli altri – i dipinti di Ennio Morlotti e Mattia Moreni, così come – in altri contesti, ma davvero con esiti assimilabili – anche di Asger Jorn, Nicolas De Staël e tanti altri, nei cui lavori si colgono figure che a loro modo appaiono drammaticamente vicine alle

88


Paolo Sacchini Il testo è la riduzione dell’articolo Paolo Sacchini, Una pittura “filosofica”. Le opere di Jean Guitton alla Collezione Paolo VI, in «Città & Dintorni», n. 121, gennaio-aprile 2017, pp. 60-65. 1

89

jeanguittonjeanguitto

cosiddette “ombre di Hiroshima”. Se però questi artisti, al di là di scelte personali che possono anche divergere, sono per lo più animati da una riflessione pessimistica che rimanda al nulla di Sartre e Camus, Guitton intende l’indeterminatezza in senso sì oscuro ma tutt’altro che nichilistico: per usare le parole che hanno dato il titolo ad un suo libro degli anni Ottanta, tra le «due possibili soluzioni dell’enigma che l’esperienza della vita ci propone» i primi optavano per l’assurdo, mentre Guitton propendeva invece decisamente per il mistero, che è quindi ciò che in primo luogo si deve leggere – oltre ogni specifica considerazione – nel lavoro pittorico del filosofo francese.


Jean Guitton (Saint Etienne, 1901 – Parigi, 1999)

Letterato e filosofo francese, allievo di Brunschvicg e di Bergson, è una delle figure più rappresentative del pensiero cattolico del Novecento. Indirizzato agli studi classici, coltiva contemporaneamente una autentica vocazione per la pittura, alla quale viene iniziato in gioventù da Thiolier e Noirot. Realizza i primi quaderni di schizzi ed acquarelli ritraendo il paesaggio della Creuse. A Parigi prende lezioni di disegno nell’atelier dei fratelli Buffée. Tra il 1920 e il 1921 compie un primo viaggio in Italia. Si diploma alla Scuola Normale; a Troyes, dove insegna, frequenta Bergson, Blondel e Teilhard de Chardin; nel 1933 si laurea in filosofia con la tesi Le temps et l’eternité chez Plotin et Saint Augustin. Inizia una ricca attività letteraria e filosofica, con Pascal e Cartesio come principali punti di riferimento filosofici. Tra il 1935 e il 1937 visita Gerusalemme e il Medio Oriente realizzando un libro con testi, acquerelli e schizzi. Professore a Lione, durante il conflitto mondiale viene fatto prigioniero e rinchiuso per cinque anni nell’Offlag, in Germania.

Nel 1948 sposa Marie Louise Bonnet. L’8 settembre 1950 avviene il primo incontro con Giovanni Battista Montini, futuro Paolo VI, che aveva apprezzato il suo libro La Vergine Maria, salvandolo dall’Indice dei libri proibiti. Montini si fa promettere da Guitton che in quella data, tutti gli anni, tornerà a trovarlo. Ciò avverrà fino alla morte del pontefice, avvenuta nell’agosto 1978. Da questi incontri nasce una profonda amicizia di alto valore umano e intellettuale che darà corpo al volume Dialoghi con Paolo VI, pubblicato nel 1967. Dal 1954 docente di Filosofia alla Sorbona, nel 1955 riceve il Grand Prix de la Littérature de l’Académie Française. Accademico di Francia dal 1961, è il primo e unico laico chiamato ad assistere al Concilio Ecumenico Vaticano II (1962); su invito di Paolo VI, durante la seconda sessione (1963) prende la parola sul tema dell’ecumenismo e alla chiusura del Concilio riceve dalle sue mani il messaggio agli intellettuali. Dipinge opere di grande formato e cicli decorativi: le Cappelle di Deveix

90


Collezione Arte e Spiritualità Brescia. Catalogo generale La Pittura, Edizioni Studium Roma, 2006.

91

jeanguittonjeanguitto

(1969) e dei Premontrés, le sale del municipio di Champagnat (1971). Il 18 gennaio 1974 muore la moglie Marie Louise. Nel 1978 rappresenta la Francia ai funerali di Paolo VI e all’incoronazione di Giovanni Paolo I. Espone in alcune mostre in Francia e realizza la Via Crucis per la Cappella di Les Invalides a Parigi (1982). Nel 1991 l’Associazione Arte e Spiritualità di Brescia gli dedica l’importante mostra antologica Jean Guitton pittore: una vocazione segreta. In tale occasione viene ricevuto dall’Istituto Paolo VI e dal Comune di Brescia. Continua un’intensa attività letteraria e filosofica fino alla morte che sopraggiunge a Parigi il 21 marzo 1999.


jeanguittonjeanguitton

Il discorso della montagna JEAN GUITTON 1970. Olio spatolato su carta, cm 20x27. Collezione Paolo IV, Concesio

Il Discorso della montagna è una raccolta di insegnamenti di Gesù che troviamo in Matteo 5-7. A livello letterario è considerata normalmente una collezione effettuata dall’evangelista, che ha messo insieme vari insegnamenti che Gesù può aver pronunciato anche in momenti diversi. L’evangelista Luca ne riporta uno simile in 6,17-49, ma non lo colloca sul monte, quanto in una pianura (6,17), per cui viene comunemente denominato Discorso della pianura. Il Discorso della Montagna può essere suddiviso in varie unità letterarie: • Le beatitudini, annuncio dello stile di vita dei discepoli di Gesù Mt 5,1-12; Lc 6,20-26 • La parabola del sale e quella della luce: Mt 5,13-16 • Il compimento della legge: Mt 5,17-19 • La nuova giustizia: il compimento del non uccidere, la riconciliazione con il fratello prima del sacrificio, il perdono: Mt 5,20-26 • La nuova giustizia: l’adulterio del cuore, la concupiscenza, il ripudio: Mt 5,27-32

• La nuova giustizia: il giuramento: Mt 5,33-37 • La nuova giustizia: il superamento della legge del taglione, l’amore per i nemici: Mt 5,38-48; Lc 6,27-35 • La maniera di fare l’elemosina: Mt 6,1-4 • La maniera di pregare (Mt 6,5-15), con il Padre Nostro: Mt 6,7-15 • La maniera di digiunare: Mt 6,16-18 • Il tesoro del cuore: Mt 6,19-24 • L’abbandono alla provvidenza del Padre: Mt 6,25-34 • Non giudicare, la Parabola della pagliuzza e della trave: Lc 6,36-42 e lo stesso insegnamento in Mt 7,1-5; • Non profanare le cose sante: Mt 7,6 • L’efficacia della preghiera: Mt 7,7-11 • La regola d’oro: Mt 7,12 • La porta stretta: Mt 7,13-14 • I falsi profeti: Mt 7,15-20; Lc 6,43-45 • La casa sulla roccia e la casa sulla sabbia: Mt 7,21-28; Lc 6,46-49 Luca ha posto nel suo Discorso molto meno materiale di quello che ha posto Matteo.

92


93


jeanguittonjeanguitton

I quattro che scendono dal Tabor al lago JEAN GUITTON 1964. Tempera e olio su cartoncino, cm 25x32. Collezione Paolo IV, Concesio

Gesù aveva già predicato per due anni il Vangelo per tutta la Palestina, e si era già scelti i dodici Apostoli, ma la Buona Novella non era ancora stata compresa che in piccola parte: i suoi discepoli medesimi restavano ancora dubbiosi e tiepidi. Per confermare nella fede almeno i più amati fra gli Apostoli, prese con sé Pietro, Giacomo e Giovanni, li condusse sulla cima del Tabor ed innanzi ad essi si trasfigurò. Il suo viso divenne risplendente come il sole e le sue vesti candide come la neve. Ed apparvero Mosè ed Elia che conversavano con lui. Pietro allora prese la parola e disse a Gesù: «È bene per noi lo star

qui; se vuoi facciamo qui tre tende: una per Te, una per Mosè ed una per Elia». Mentre ancora parlava una lucida nuvola li avvolse e da essa si udì una voce che diceva: «Questo è il mio Figliuolo diletto nel quale mi sono compiaciuto: ascoltatelo». Udendo tale voce i discepoli caddero bocconi a terra e furon presi da gran timore, ma Gesù, accostatosi a loro, li toccò dicendo: «Levatevi e non temete»; ed essi alzati gli occhi non videro che Gesù. Egli poi nello scendere dal monte ordinò di non parlare a nessuno di quella visione, prima che il Figlio dell’Uomo fosse risuscitato dai morti.

94


95


jeanguittonjeanguitton

Resurrezione JEAN GUITTON 1969. Olio spatolato su carta, cm 27x18,5. Collezione Paolo IV, Concesio

Se il Natale è la festività che raccoglie la famiglia, riunisce i parenti lontani, che più fa sentire il calore di una casa, degli affetti familiari, condividendoli con chi è solo, nello struggente ricordo del Dio Bambino, la Pasqua invece è la festa della gioia, dell’esplosione della natura che rifiorisce in Primavera, ma soprattutto del sollievo, del gaudio che si prova, come dopo il passare di un dolore e di una mestizia che creava angoscia, perché per noi cristiani questa è la Pasqua, la dimostrazione reale che la Resurrezione di Gesù non era una vana promessa, di un uomo creduto un esaltato dai contemporanei o un Maestro (Rabbi) da un certo numero di persone, fra i quali i disorientati discepoli. La Risurrezione è la dimostrazione massima della divinità di Gesù, non

uno dei numerosi miracoli fatti nel corso della sua vita pubblica, a beneficio di tante persone che credettero in Lui; questa volta è Gesù stesso, in prima persona che indica il valore della sofferenza, comune a tutti gli uomini, che trasfigurata dalla speranza, conduce alla Vita Eterna, per i meriti della Morte e Resurrezione di Cristo. La Pasqua è una forza, una energia d’amore immessa nel Creato, che viene posta come lievito nella vita degli uomini ed è una energia incredibile, perché alimenta e sorregge la speranza di risorgere anche noi, perché le membra devono seguire la sorte del capo; ci dà la certezza della Redenzione, perché Cristo morendo ci ha liberati dai peccati, ma risorgendo ci ha restituito quei preziosi beni che avevamo perduto con la colpa.

96


97


jeanguittonjeanguitton

Discepoli di Emmaus JEAN GUITTON 1958. Olio e carboncino su cartone, cm 22x27,5. Collezione Paolo IV, Concesio

Quello dei discepoli di Emmaus è certamente uno fra i brani più suggestivi e, per certi versi, più aderente alla nostra realtà di persone in cammino, certamente con molte certezze, ma spesso vittime di dubbi, perplessità, interrogativi e desideri. In quella settimana, chi ha accompagnato Gesù a Gerusalemme, ha visto di tutto. Gesù è stato acclamato come un re e accolto in maniera trionfale; durante la cena per la pasqua ha rivelato il valore del servizio con la lavanda dei piedi, ha impegnato i suoi discepoli con il comandamento dell’amore, ha lasciato un segno della sua presenza spezzando il pane e versando del vino; poi è stato arrestato; ha sopportato tradimenti e rinnegamenti; è stato condannato a morte, su una croce, sepolto… Tutto è finito. Nel giro di una settimana sono sfumati progetti, speranze e illusioni… … così i due, uno si chiamava Cleopa, decidono: “andiamo via… Basta, torniamo ad Emmaus!”; si ritrovano soli,

abbandonati, sconfitti e decidono di abbandonare questa vicenda per tornare alla realtà di prima, alla vita di ogni giorno. “… Gesù in persona si accostò e camminava con loro” (v. 15b) “… i loro occhi erano incapaci di riconoscerlo” (v. 16). È lui che prende l’iniziativa e si mette al loro fianco, si fa compagno di quella strada carica di perplessità e incertezze, si affianca in quella fase difficile del loro cammino. Gesù si apre al dialogo, anzi, lo provoca, si fa compagno di viaggio dei due discepoli non per semplice compagnia, per vuota solidarietà ma per condoglianza (con-dolere, piangere insieme), per assecondare affettivamente delusioni o incomprensioni. Mentre i discepoli parlano Gesù li ascolta e li fa parlare ed insieme spiega le Scritture, apre quei discepoli al progetto di Dio che è diverso dal loro e più grande dei loro pensieri. Un progetto di cui fanno parte anche con le loro delusioni e sacrifici.

98


99


jeanguittonjeanguitton

Pentecôte (Pentecoste) JEAN GUITTON Olio su carta, 1959. cm 32x24. Collezione Paolo IV, Concesio

Presso gli Ebrei la festa era inizialmente denominata “festa della mietitura” e “festa dei primi frutti”; si celebrava il 50° giorno dopo la Pasqua ebraica e segnava l’inizio della mietitura del grano; nei testi biblici è sempre una gioiosa festa agricola. Quindi lo scopo primitivo di questa festa, era il ringraziamento a Dio per i frutti della terra, cui si aggiunse più tardi, il ricordo del più grande dono fatto da Dio al popolo ebraico, cioè la promulgazione della Legge mosaica sul Monte Sinai. Secondo il rituale ebraico, la festa comportava il pellegrinaggio di tutti gli uomini a Gerusalemme, l’astensione totale da qualsiasi lavoro, un’adunanza sacra e particolari sacrifici; ed era una delle tre feste di pellegrinaggio che ogni devoto ebreo era invitato a celebrare a Gerusalemme. L’episodio della discesa dello Spirito Santo è narrato negli Atti degli Apostoli, cap. 2; gli apostoli insieme a Maria, la madre di Gesù, erano riuniti a Gerusalemme nel Cenacolo, probabilmente della casa della vedova

Maria, madre del giovane Marco, il futuro evangelista. Come da tradizione, erano affluiti a Gerusalemme gli ebrei in gran numero, per festeggiare la Pentecoste con il prescritto pellegrinaggio. “Mentre stava per compiersi il giorno di Pentecoste, si trovavano tutti insieme nello stesso luogo. Venne all’improvviso dal cielo un rombo, come di vento che si abbattè gagliardo e riempì tutta la casa dove si trovavano. Apparvero loro lingue di fuoco, che si dividevano e si posarono su ciascuno di loro; ed essi furono tutti pieni di Spirito Santo e cominciarono a parlare in altre lingue, come lo Spirito dava loro di esprimersi”. Il passo degli Atti degli Apostoli, scritti dall’evangelista Luca, prosegue con la prima predicazione dell’apostolo Pietro, che unitamente a Paolo, narrato nei capitoli successivi, aprono il cristianesimo all’orizzonte universale, sottolineando l’unità e la cattolicità della fede cristiana, dono dello Spirito Santo.

100


101


L’uomo non «ha in pugno» tutto: numerosi accadimenti nel corso della vita si susseguono inesorabilmente e non è dato opporvisi. Ma, nel contempo, si fa strada una gioia autentica e pienamente compresa: quella che scaturisce dalla coscienza della presenza di Dio. La logica divina è ben diversa da quella umana e sovverte le regole del pensare comune, spinge controcorrente, muovendosi praticamente “alla rovescia”: insegna che è grande chi si umilia, che per trovare amore si deve donarlo per primi, che la vera ricchezza consiste nello spogliarsi di tutto. «Stolto, questa notte stessa ti sarà richiesta la tua vita. E quello che hai preparato, di chi sarà? Così è di chi accumula tesori per sé e non si arricchisce presso Dio» (Lc 12,16-21). Opere pittoriche del XVII e XVIII secolo costituiscono la sezione.


Tutto è vanità e un correre dietro al vento?

viahominisviahominis

VIA HOMINIS


viahominisviahominisv

Adamo ed Eva PITTORE LOMBARDO Metà XVII secolo. Olio su tela, cm 92x75. Collezione privata, Manerbio

La storia di Adamo ed Eva è centrale nella convinzione che Dio ha creato gli esseri umani per farli vivere sulla Terra intesa come Paradiso. Questo concetto rappresenta anche il presupposto secondo cui l’umanità è in sostanza una sola famiglia, nel senso che tutti discendono da una singola coppia di antenati originali. Inoltre fornisce gran parte della base scritturale per le dottrine sulla caduta dell’uomo e sul peccato originale, credenze molto importanti del cristianesimo ma generalmente non condivise da islam e ebraismo. Nel libro della Genesi della Bibbia ebraica, i capitoli da uno a cinque presentano due racconti della creazione, con due punti di vista distinti. Nel primo Adamo ed Eva (anche se non si fa riferimento al nome) sono stati creati insieme ad immagine di Dio e sono stati dati loro il compito di riprodursi e quello di essere amministrato-

ri di tutto ciò che Dio aveva creato. Nel secondo racconto Dio modella Adamo dalla polvere e lo colloca nel giardino dell’Eden, dove aveva il dominio sulle piante e gli animali. In seguito Dio pone un albero della conoscenza del Bene e del Male nel giardino e vieta ad Adamo di mangiarne i frutti. Tuttavia, mediante l’inganno di un serpente, Eva mangia i frutti dell’albero proibito. Dio maledice solo il serpente e la terra e profeticamente dice alla donna e all’uomo quali saranno le conseguenze del loro peccato di disobbedienza al Signore, dopodiché bandisce l’uomo dal giardino dell’Eden. La storia è stata interamente elaborata nelle successive tradizioni abramitiche ed è stata ampiamente analizzata dagli studiosi biblici. Le interpretazioni e le credenze riguardo ad Adamo ed Eva, così come la loro storia, variano nelle diverse religioni.

104


105


viahominisviahominisv

Susanna e i vecchioni FRANCESCO MAGGIOTTO Olio su tela, cm 45x59. Collezione privata, Manerbio

L’artista Fedeli Francesco (Maggiotto) fu un pittore veneto attivo nel corso del XVIII secolo. Figlio di Domenico Fedeli, pure lui noto come Maggiotto, continuò lo stile del padre, ma fu influenzato anche da Giambattista Pittoni, Giambattista Tiepolo, Pietro Longhi e Francesco Zuccarelli. Si formò con Michelangelo Morlaiter. I suoi lavori riguardano soggetti storici, allegorie e scene di genere. In quest’opera l’autore rappresenta la storia di Susanna e i vecchioni. La storia fa parte del libro di Daniele al capitolo XIII, considerato deuterocanonico da cattolici ed ortodossi e apocrifo dai protestanti. Nel passo si racconta di una giovane donna molto bella e pia che viene concupita da due vecchi. I vecchi frequentano la casa di suo marito e riescono a introdursi nel suo giardino sorprendendola mentre fa il bagno. Costoro erano stati eletti giudici dalla comunità ebraica esule a Babilonia e, infiammati di lussuria, minacciano di

accusarla di averla sorpresa con un giovane amante se non si concede a loro. Al rifiuto di Susanna l’accusano pubblicamente di adulterio. Portata davanti al tribunale viene riconosciuta colpevole e condannata a morte mediante lapidazione, ma a questo punto si fa avanti Daniele che si mise a gridare: «Io sono innocente del sangue di lei!». Tutti si voltarono verso di lui dicendo: «Che vuoi dire con le tue parole?». Allora Daniele, stando in mezzo a loro, disse: «Siete così stolti, Israeliti? Avete condannato a morte una figlia d’Israele senza indagare la verità! Tornate al tribunale, perché costoro hanno deposto il falso contro di lei». Questo intervento di Daniele, che poi interroga personalmente i due calunniatori e ne fa emergere l’inganno, costituisce anche l’inizio del suo percorso pubblico di profeta. La reputazione di Susanna viene restituita all’onore e la fama di Daniele cresce fra il popolo.

106


107


viahominisviahominisv

Natura morta MEIFFREN CONTE Olio su tela, cm 75x100. Collezione privata, Manerbio

La natura morta è un tipo di rappresentazione pittorica in cui protagonisti sono degli oggetti inanimati. L’espressione “natura morta” implica un giudizio di valore negativo rispetto alla ‘natura vivente’ della pittura che ha per protagonista l’uomo. Nel XVII secolo in tutta Europa cominciano a costituirsi le Accademie d’Arte, che si dotano di statuti nei quali i vari generi pittorici vengono ordinati secondo una gerarchia che segue lo schema di derivazione neoplatonica della scala creaturarum, per la quale il mondo reale è strutturato come una sorta di piramide al cui livello più basso ci sono gli oggetti inanimati (quelli per ognuno dei quali si può solo predicare la semplice esistenza: est), cui seguono quelli animati (est, vivit), poi quelli senzienti (est, vivit, sentit) e infine l’uomo (est, vivit, sentit, intelligit) che, in quanto dotato di raziocinio e di un’anima immortale, è al vertice della creazione. A partire da questa stratificazione ontologica, si può spiegare il giudizio negativo dato alla natura morta che,

avendo per soggetto una natura immobile e inanimata (natura inferior), appartiene al rango più basso della gerarchia dei generi pittorici. Al di sopra di essa c’è la pittura di paesaggio, che raffigura scenari naturali nei quali la presenza dell’uomo ha un’importanza marginale e, più su ancora, la scena di genere, nella quale protagonista è la vita della gente comune, presentata nei suoi aspetti più quotidiani e intimi. Ai vertici di questa gerarchia c’è la pittura storica che ha per protagonista l’uomo (non quello comune, ma il santo, l’eroe, il condottiero) e le sue azioni esemplari, valorose e di pubblico interesse. In questa gerarchia, grande valore riveste la considerazione temporale: se la pittura sacra e mitologica attinge alla sfera dell’eternità e quella di storia pubblica o privata ritrae avvenimenti precisi di cui immortalare la memoria, la natura morta invece non fa altro che immobilizzare un infimo frammento di tempo, traendolo dal flusso quotidiano dell’esistenza delle cose effimere e caduche.

108


109


viahominisviahominisv

Resurrezione di Lazzaro SCUOLA FIAMMINGA Meta XVII secolo. Olio su tela, cm 37x49. Collezione privata, Manerbio

La resurrezione di Lazzaro è un miracolo di Gesù raccontato dal Vangelo secondo Giovanni. L’evangelista riferisce che, mentre Gesù si trovava fuori dalla Giudea, gli fu recapitato un messaggio di Marta e Maria, sorelle di Lazzaro, le quali lo informavano che egli si era ammalato. Gesù, tuttavia, non volle partire subito per Betania, dove Lazzaro abitava, e si trattenne ancora per due giorni là dove si trovava. Trascorsi i due giorni, preannunciò ai suoi discepoli che Lazzaro era morto e che egli lo avrebbe risvegliato, e si mise in viaggio. Giunse così a Betania quando Lazzaro era ormai morto da quattro giorni. Il Vangelo fa questa precisazione presumibilmente perché gli ebrei ritenevano che la decomposizione iniziasse il terzo giorno dopo la morte: questo particolare serviva dunque per fugare ogni dubbio su un’even-

tuale morte apparente. Gesù incontrò per prima Marta, che gli andò incontro fuori dal villaggio: in un breve dialogo con lei, annunciò che Lazzaro sarebbe risorto e aggiunse: «Io sono la resurrezione e la vita; chi crede in me, anche se muore, vivrà; chiunque vive e crede in me, non morirà in eterno.» (Giovanni 11,25-26) Marta andò quindi a chiamare Maria, che si gettò ai piedi di Gesù e pianse: anche Gesù si commosse e pianse a sua volta. Poi si recò al sepolcro e ordinò di togliere la pietra che chiudeva l’ingresso della tomba. Tolta la pietra, ringraziò Dio ad alta voce perché tutti i presenti lo sentissero, quindi gridò: «Lazzaro, vieni fuori!» (Giovanni 11,43). Lazzaro uscì dal sepolcro, ancora avvolto nelle bende funebri, e Gesù ordinò di liberarlo dai legacci e lasciarlo andare.

110


111


viahominisviahominisv

La Vergine circondata da una ghirlanda di fiori ARTISTA ROMANO Fine XVII secolo. Olio su tela, cm 92x74. Museo Civico “G. Bellini”, Sarnico

L’opera, di scuola romana, era destinata alla devozione privata e rappresenta la Vergine Maria al centro di una ghirlanda di fiori. L’immagine della Madonna col bambino iscritta in una ghirlanda di fiori è un genere pittorico che il Cardinale Carlo Borromeo contribuì a far crescere ed è forse l’immagine di Maria più intimamente legato al ruolo devo-

zionale dell’arte. Si tratta di una sorta di genere misto, in cui confluiscono da un lato aspetti della storia religiosa e della scena devozionale (ravvisabili nelle figure umane), dall’altro elementi propri della natura morta e del genere paesistico. In questo tipo di composizione non di rado i fiori venivano affidati a un pittore specializzato, diverso dal pittore delle figure.

112


113


Una sezione ricca di sollecitazioni visive ed emotive, che prendono forma e vita attraverso linguaggi attuali, occasione preziosa di confronto e crescita culturale per la comunitĂ .


Fotografia, poesia, pittura, arte del fumetto e del gessetto degli artisti contemporanei

ilinguaggidelpresentei

I LINGUAGGI DEL PRESENTE



È davvero difficile, anche circoscrivendo il campo di indagine alla sola età contemporanea, tracciare una storia delle esplicazioni visive del tema della felicità, perché se da un lato l’anelito ad essa è più o meno esplicitamente (o sotterraneamente) presente nel lavoro di quasi tutti gli artisti (persino, anche se forse la cosa non stupisce più di tanto, nelle opere di coloro che appaiono più disperati e disperanti), dall’altro non è affatto semplice isolare anche solo poche immagini che possano essere specificamente qualificate come riconoscibili emblemi – appunto – della sola felicità e delle vie lungo le quali ogni uomo cerca di approssimarsi ad essa. Forse, se proprio si dovesse fare un nome, si potrebbe proporre quello di Henri Matisse, la cui gioiosa vena decorativa – quasi indipendente dal contenuto – si è prestata benissimo ad esprimere una ricerca appassionata e inesausta di pienezza vitale: si pensi ad esempio, nella prima fase della sua parabola creativa, alla Danza e alla Musica realizzate per Sergej Schukin o ancor più significativamente – visto il titolo davvero emblematico – alla ancor più

precoce Joie de vivre, oppure, nella tarda maturità, ai meravigliosi papiers découpés, da quelli affidati alle incredibili tavole di Jazz alle grandi composizioni ispirate all’Oceania, che vivono in primo luogo di accensioni dovute alla felicità. Ma davvero, è solo un nome sui mille possibili. Come sempre accade nelle mostre promosse, organizzate e curate dall’Associazione Culturale Nexus, anche in questo caso il tema ispiratore delle opere è stato affrontato dai partecipanti secondo diverse declinazioni e sfumature. Per Mary Chiarini Savoldi, Angiolina Ghitti e Arturo Mor il simbolo della felicità sono i bambini: se Ghitti ce li mostra vicino a Cristo («lasciate che i bambini vengano a me»), Savoldi propone una bambina che guarda placidamente il mare, altro possibile simbolo della felicità in virtù della sua pienezza; Mor, invece, arretra fino alla stagione della gravidanza, che un po’ alla maniera del Sabato del villaggio leopardiano diviene emblema di quella serenità ancora più intensa ed emozionante, perché densa di attese, che sempre precede il momento in cui la felicità si compie.

117

pitturapitturapitturap

Le vie della Felicità


I legami affettivi e familiari sono di fatto anche al centro delle riflessioni di Vincenzo Baroni, Cristina Brognoli e Giovanna Cremaschini. Baroni, nel suo Ritorno del figliol prodigo, affronta il tema con un riferimento biblico di altissima tensione, in cui la felicità si mescola a tanti altri sentimenti (anche fortemente contrastanti), mentre Cristina Brognoli cita direttamente dalla storia dell’arte, trascrivendo l’attaccamento di una madre al proprio figlio in un dettaglio quasi fotografico della Pietà Rondanini di Michelangelo, in cui il corpo dell’uno è letteralmente ricavato dentro quello dell’altra; Cremaschini, invece, affida l’espressione della felicità all’evocazione di un amore di coppia capace di unire due anime in una, ma non privo di una sua fisicità. Su tutt’altra strada, invece, si pongono Luciano Baiguera ed Enrico Trementini, che affidano esclusivamente al simbolo – e segnatamente al simbolo cristiano per eccellenza – quell’espressione di completezza che sempre si accompagna alla felicità. In particolare, Baiguera propone una Croce gloriosa realizzata a pastello

che risplende di una luminosità quasi infuocata, mentre Trementini, con originale scelta iconografica, costruisce la sua Croce della pace attraverso un solido incastro di mani che si stringono, a segnalare come quella tracciata dalla pace sia una via ineludibile se si intende giungere ad una felicità intesa in senso “comunitario” (intendendo come “comunità”, di fatto, l’intera umanità); e su quest’ultima questione riflette con delicatezza anche Alice Giugno, che inquadra il solo dettaglio di due mani che si scambiano un ramoscello d’ulivo. Infine, Bruna Zeni, Pieraldo Tellaroli e Maria Guglielma Rullo visualizzano tre vie della felicità che tra loro potrebbero anche apparire molto diverse, ma che pure, in realtà, sono allo stesso tempo sottilmente accomunate da un medesimo sentire. Zeni individua la via della ricerca e del processo creativo: come lei stessa precisa nel breve scritto che accompagna l’opera, «mi siedo davanti alla mia tela […], provo qualcosa di bello dentro me. E i passaggi che ho trovato più difficoltosi, sono quelli che mi caricano di più». Tellaroli, con il

118


Paolo Sacchini

119

pitturapitturapitturap

suo dipinto Claudia e l’acqua, sembra suggerire che la strada più autentica attraverso la quale l’uomo può ritrovare la propria felicità sia quella di un rinnovato rapporto con la natura, che recuperi quotidianamente sensazioni primigenie come quella dell’acqua che scorre tra le dita. Infine, in maniera un po’ matissiana tanto nel concetto quanto nella forma, Rullo affida l’espressione della felicità allo scatenamento vitalistico della danza, delineando figure leggere e fluttuanti che si muovono in perfetta libertà in uno spazio che appare più mentale che non fisico. Come lo spazio della felicità, appunto.


pitturapitturapitturapi

Cuore puro MARY CHIARINI SAVOLDI Olio su tela e pannello, cm 80x60

I bimbi hanno un cuore puro profondo come l’azzurro mare, hanno occhi che guardano e comprendono con stupore la bellezza del Creato. S’incamminano verso la Via della felicità.

“Beati i puri di cuore perché vedranno Dio.” (Mt. 5,8)

E la storia finì in cima ad un colle, il colle della Croce.

120


121


pitturapitturapitturapi

Lasciate che i bambini vengano a me ANGIOLINA GHITTI Olio su tela, cm 80x60

Lasciate che i bambini vengano a me, perchÊ di questi è il regno dei cieli. (Mt 19,13)

122


123


pitturapitturapitturapi

La gravida ARTURO MOR Olio su tela, cm 80x60

Al crepuscolo, sognante, la madre in attesa per l’arrivo della nuova alba.

124


125


pitturapitturapitturapi

Il ritorno del figliol prodigo VINCENZO BARONI Olio su tela e pannello di legno, cm 80x60

L’amore e il perdono alleviano tutti i mali del mondo!

126


127


pitturapitturapitturapi

L’arca della nuova alleanza CRISTINA BROGNOLI Tecnica mista su carta, cm 80x60

L’Antico testamento gesta la gioia dell’annuncio del Nuovo. La “novità” si ammanta di “felicità”. La radice è una ma i suoi rami si sviluppano nell’immensità dello spazio, toccando i cuori che vogliono aprirsi al mistero dell’Amore.

128


129


pitturapitturapitturapi

Il contrario di uno GIOVANNA CREMASCHINI Acrilico, vernice, pastello a cera, tessuto, oro, su carta e legno, cm 60x80

DUE Quando saremo due, saremo veglia e sonno, affonderemo nella stessa polpa come il dente di latte e il suo secondo, saremo due come sono le acque, le dolci e le salate, come i cieli del giorno e della notte, due come sono i piedi, gli occhi, i reni, come i tempi del battito, come i colpi del respiro. Quando saremo due non avremo metà, saremo un due che non si può dividere con niente. Quando saremo due, nessuno sarà uno, uno sarà l’uguale di nessuno e l’unità consisterà nel due. Quando due cambierà nome pure l’universo diventerà diverso.

Erri De Luca

130


131


pitturapitturapitturapi

Croce gloriosa LUCIANO BAIGUERA Pastello su carta, cm 80x60

Nella luce la felicitĂ eterna.

132


133


pitturapitturapitturapi

Croce della pace ENRICO TREMENTINI Olio su tela, cm 80x60

La felicità trovata nel segno della croce dell’amicizia della pace

134


135


pitturapitturapitturapi

Beati gli operatori di pace ALICE GIUGNO Olio su tela e pannello in legno, cm 60x80

Operatori di pace Ricominciare a riconoscere i nostri fratelli, unire le nostre mani nelle loro per ottenere con pazienza e mitezza una vita serena, per una pace duratura, verso la via della felicità. “Beati gli operatori di pace perché saranno chiamati figli di Dio” (Mt 5,9)

136


137


pitturapitturapitturapi

La Felicità BRUNA ZENI Acrilico su tela, cm 80x60

Mi siedo davanti alla mia tela, e la osservo. Percorro le stesure e i toni di colore, provo qualcosa di bello dentro me. E i passaggi che ho trovato più difficoltosi, sono quelli che mi caricano di più’. Più che cercata, penso che vada riconosciuta. Spesso è vicina, e non la vediamo. Il desiderio la nasconde, proiettandoci lontano da lei. Probabilmente ci si potrebbe educare alla felicità, forse esiste un percorso per conoscerla e individuarla, o magari si può anche imparare ad es-

sere felici. Però, anche il ricordo di un momento felice, è sempre e comunque malinconico e nostalgico. Probabilmente ci si potrebbe educare alla felicità, forse esiste un percorso per conoscerla e individuarla, o magari si può anche imparare ad essere felici. Però, anche il ricordo di un momento felice, è sempre e comunque malinconico e nostalgico. Guardo la mia tela, mi sento felice perché ho fermato nel tempo un pezzo di me.

138


139


pitturapitturapitturapi

Claudia e l’acqua PIERALDO TELLAROLI Olio su tela, cm 80x60

Scorri tra le mie mani, sento un brivido di gioia. Cerco di trattenerti ma fuggi continuamente tra le mie dita. Vorrei fissare questo momento per poter attingere ad esso quando e dove vorrei. Forse ci si rende conto di essere “stati” felici.

140


141


pitturapitturapitturapi

Andiamo tutti a ballare tenendoci per mano MARIA GUGLIELMA RULLO Tecnica mista acrilico e carta, cm 50x80

L’opera rappresenta la gioia della fratellanza fra tutti i popoli, che si esprime nel divertimento e nella spontaneità del vivere e che vede la sua manifestazione nell’intimità di una foresta al chiaro di una luce divina.

142


143



Anche quest’anno, in occasione delle tradizionali feste di San Rocco, il 15 e il 16 agosto, la comunità ha potuto ammirare le opere di alcuni madonnari che hanno sviluppato il tema legato alle possibili vie di felicità, ispirandosi sia ai grandi maestri della pittura, sia a testimonianze artistiche locali. L’associazione Pro loco di Ghedi, in collaborazione con l’Amministrazione comunale, con la Parrocchia e con altre realtà associative locali, ha curato, come sempre, la realizzazione della manifestazione, coniugando il momento ludico-aggregativo a quello devozionale. Con la storica processione del santo Patrono nel giorno della solennità dell’Assunta si sono aperte, infatti, le celebrazioni che vedono nella chiesetta di san Rocco e nell’area antistante il fulcro dell’evento. Ed è proprio da questo antichissimo luogo di culto che si è voluto partire, quest’anno, per tracciare il percorso visivo incentrato, come sempre, sul sacro e le sue implicazioni storiche, antropologiche e sociali. Ecco allora che i gessetti di Lorena

Barbieri hanno riproposto una delle tante tavolette ex voto conservate all’interno del santuario, nello specifico la preghiera di ringraziamento per un miracolo non descritto, davanti al sagrato della piccola chiesa. L’offerta votiva prescelta offre una duplice testimonianza: storica, poiché documenta l’aspetto architettonico dell’edificio nell’epoca di realizzazione dell’opera e antropologico-devozionale, poiché ci parla di una grazia ricevuta, di una preghiera ascoltata, di una fede viva. È il racconto di una gioia da intendersi quale res severa, prendendo a prestito l’espressione da Seneca, cioè una realtà seria e austera, non sempre facile e scevra di dolore e di lacrime. Ma sicuramente gioia: «Beati i vostri occhi perché vedono e i vostri orecchi perché ascoltano» (Mt 13,16): in queste tavolette, a distanza di molti anni, si rivive la Parola di salvezza. Mariangela Cappa ha lavorato invece sul tema del banchetto di Cristo: «Beati gli invitati alla cena del Signore», riproducendo un particolare tratto dalla tela “Ultima cena” di Pompeo Ghitti, del 1680, conservata all’inter-

145

ilinguaggidelpresentei

Beatitudine e preghiera


ilinguaggidelpresenteil

no della chiesa parrocchiale di Santa Maria Assunta, presso l’altare del SS. Sacramento. Al centro l’istituzione dell’Eucarestia e della Chiesa stessa, fulcro della cristianità, di cui si celebra il memoriale durante la Messa. È stata scelta e proposta, nel vasto panorama di realizzazioni offerto dalla storia dell’arte, un’opera intimamente legata alla storia della comunità ghedese, nell’ottica di valorizzare il territorio e i suoi beni. Nella figura di san Giovanni accolto nell’abbraccio di Gesù ci riconosciamo e condividiamo quel destino di beatitudine che Dio ci ha riservato attraverso il sacrificio di salvezza del Figlio: durante la liturgia siamo tutti raccolti attorno alla mensa divina, i nostri occhi e il nostro cuore convergono verso l’altare che è perdono, Parola, vita donata. Come tutti gli anni, non poteva mancare l’immagine della Vergine, cui è dedicato il giorno di apertura delle feste di San Rocco, in cui si celebra la solennità dell’Assunzione. Se nelle precedenti edizioni si è lavorato sull’iconografia mariana sviluppando il tema della maternità, quest’anno si è voluto affrontare l’antica rappresen-

tazione della Madonna della Misericordia, partendo dal celebre polittico di Piero della Francesca, realizzato nel XV secolo e conservato nel Museo Civico di Sansepolcro. Gabriele Ferrari ha riprodotto il particolare di Maria che apre il mantello per dare riparo alle persone che la venerano, derivata dalla consuetudine antica della “protezione del mantello”, che le nobili altolocate potevano concedere ai bisognosi. Sotto questo manto trova veramente consolazione il popolo orante ed errante di tutti i tempi: a te, ricorriamo, noi esuli figli di Eva; a te, regina e madre di misericordia.

146

Paola Mutti


Beati i vostri occhi perchÊ vedono e i vostri orecchi perchè ascoltano LORENA BARBIERI Gessi su tavola in legno, 100x120 cm

147


ilinguaggidelpresenteil

Beati gli invitati alla cena del Signore Mariangela Cappa Gessi su tavola in legno, 120x100 cm

x

148


Madonna della misericordia GABRIELE FERRARI Gessi su tavola in legno, 120x100 cm

149



Una spirale di vita crescente: con questa immagine altamente simbolica si apre il percorso a tema realizzato dai soci del Circolo fotografico Lambda di Ghedi in occasione della 5ˆ Mostra di iconografia e arte contemporanea organizzata dall’Associazione culturale Nexus dal titolo “Le vie della felicità”. Partendo da un dato antropologico fondamentale - omnes beati esse volumus tradotto tutti noi vogliamo essere felici - l’anelito alla felicità attraversa tutti i tempi: l’uomo, infatti, la desidera da sempre e ne è costantemente alla ricerca. Come raggiungerla? I ventidue scatti in esposizione offrono un’ampia riflessione che si dipana lungo il cammino dell’esistenza: a partire dal momento della nascita intendono ripercorrere alcune tappe della vita appartenenti alla comune esperienza. E tre parole chiave emergono da questa rappresentazione: relazione, contemplazione, sentimento. Nello spazio relazionale si muovono i primi passi per la felicità: nell’essere figlio e poi genitore, nella coppia, nella famiglia prima e nella comu-

nità poi, si sperimenta giorno dopo giorno la gioia di ritrovarsi all’interno di una fedeltà condivisa: fedeltà ai patti fondativi della nostra vita, alla promessa coniugale, alla missione genitoriale, alla vocazione religiosa, alle amicizie, alla nostra professione, ai nostri progetti, ai traguardi da raggiungere, alle passioni da custodire. Nei meandri dell’esistenza la fedeltà è tutto: è la risposta affermativa a quell’appello interiore che un giorno ha chiamato ognuno di noi facendoci intraprendere il nostro viaggio più importante; è uno scrigno di coraggio e di speranza, l’eredità più preziosa che possiamo lasciare ai nostri figli. Tante immagini vertono su questo aspetto e lo sviluppano efficacemente in un quadro compositivo dall’elevato potenziale espressivo. Nello spazio contemplativo questo cammino matura e cresce: la vita progredisce non per costrizione bensì per forza di attrazione e della bellezza dell’universo ci innamoriamo, sentendoci intimamente uniti a tutto ciò che esiste. Impossibile non richiamare alcune opere di Caspar David Friedrich, pittore romantico tedesco

151

fotografiafotografiafot

Passi di felicità lungo il cammino della vita


del XIX secolo, come Monaco in riva al mare (1808-1810, Alte Nationalgalerie, Berlino) o Viandante davanti a un mare di nebbia (1818, Kunsthalle, Amburgo) cui sembrano ispirarsi alcune delle immagini proposte, incentrate sull’esperienza estetica del sublime e dell’infinito. Movimento, commozione, slancio: la vita non è affatto statica, è invece dinamica, anzi, estatica: incanto, sentimento, esodo da sé verso l’altro, estasi del mito insieme a travaglio della storia: tutto questo è possibile a partire dall’umano sentire. Grazie ai sensi l’uomo trova l’orientamento e la direzione nello spazio sia fisico che interiore: mediante l’esperienza sensoriale che umanamente ci appartiene, prendiamo a poco a poco coscienza di ciò che ci sta attorno, ridestiamo la memoria di ciò che è stato e nel contempo alimentiamo il desiderio di ciò che verrà; lungo il sentiero dell’esistenza procediamo anche grazie al ricordo, attraverso cui riviviamo emozioni. Ricordare è infatti letteralmente un “ritornare al cuore” (dal latino re = di nuovo, addietro e cordare , da cor, cordis = cuore), quindi un consegnare nuovamente al cuore, un ridestare certe

profondità. Fare memoria – individuale o collettiva – di qualcosa che è stato e che magari ha cambiato il corso della storia – personale o comunitaria - è un modo per collocarsi nel tempo, per comprendere che c’è stato un prima di cui si è figli e che ci sarà un dopo di cui si potrà essere padri: allora il sentire si trasforma in ascolto dei segni del proprio presente e in ricerca del senso profondo di ciò che ci circonda. Un po’ viandanti, un po’ cercatori, scopriamo la gioia di vita nell’atto stesso del cercare: occorre andare avanti e guardare oltre, sempre: mai arenarsi dietro illusioni ed inconsistenze, mai ripiegarsi sul proprio ombelico, mai bloccarsi dentro i confini delle proprie pretese di autoaffermazione e di autogestione. La sfida è combattere contro le banalità e i vuoti della vita e riuscire ad intravedere, nonostante le fitte nebbie, la felicità…nella sorpresa, nel tesoro in cui ci imbattiamo lungo il tragitto e che ci viene incontro sui nostri passi come dono immeritato, da accogliere. È il Vangelo ad annunciare questo tesoro in cui risiede la certezza della felicità piena: nella novità assoluta e straordinaria del Battesimo prende corpo la via beata della fede

152


Paola Mutti

153

fotografiafotografiafot

che trasforma l’esistenza in via lucis; mediante l’atto sacramentale che ci innesta come membra vive in Cristo e nella Chiesa «anche noi possiamo camminare in una vita nuova» (Rm 6,4). Il Vangelo ci parla di un tesoro… il Vangelo è tesoro per la nostra ricerca: l’esito della storia, nel disegno di Dio, sarà comunque e nonostante tutto luminoso, poiché nella nostra esistenza entrano in gioco forze più grandi di noi, poiché nella persona è presente un sovrappiù di attesa e di desiderio che nulla di umano può definitivamente esaurire ed esaudire. Il percorso visivo, metaforicamente apertosi con un vortice contenente il mistero della vita, accompagna l’osservatore fin sopra un pontile che si perde nell’orizzonte d’infinita luce: tanto è importante il traguardo, anche se celato, quanto la via che si intraprende per arrivare: «Trovato il tesoro, l’uomo va, pieno di gioia» (Mt 13,44). È perciò vitale non smettere mai di muoversi, di cercare, di proiettarsi, di tendere lo sguardo e di accogliere, giorno dopo giorno, il dono che ci è stato riservato.


fotografiafotografiafoto

Non è funesto a chi nasce il dì natale Nicola Zaccaria Stampa fotografica fine art, cm 40x40

Il Signore creò l’uomo dalla terra
e ad essa di nuovo lo fece tornare.
 Egli assegnò loro giorni contati e un tempo definito,
dando loro potere su quanto essa contiene.
 Pose davanti a loro la scienza
e diede loro in eredità la legge della vita,
affinché riconoscessero che sono mortali coloro che ora esistono. Stabilì con loro un’alleanza eterna
e fece loro conoscere i suoi decreti.
 I loro occhi videro la grandezza della sua gloria,
i loro orecchi sentirono la sua voce maestosa.
 Disse loro: «Guardatevi da ogni ingiustizia!»
e a ciascuno ordinò di prendersi cura del prossimo. Dal libro di Siracide (Sir 17,1-2 e 11-14)

L’immagine dà corpo al significato del passo biblico: l’essere umano, così come Dio lo ha pensato, è un essere mortale e poiché è creatura proveniente dalla terra, il suo morire significa tornare materialmente alla terra: a differenza di Dio che non ha i giorni contati ma «è lo stesso ieri e oggi e per sempre!» (Eb 13,8), l’uomo ha un inizio e una fine. Il motivo di ciò, ricorda Siracide, è che egli è frutto di una decisione altra da sé, totalmente gratuita e innecessaria: è la decisione di Dio insita nella Rivelazione. Nel simbolo dell’uovo è racchiusa la persona in tutta la sua complessità antropologica, intesa quale mistero: una realtà che, interpellata, comincia gradualmente a schiudersi e nel momento in cui si dischiude, conferma la sua insondabilità. La spirale cosmica che lo circonda ne rafforza il significato in termini di forza vitale e quindi forza creatrice. L’opera è realizzata mediante sovrapposizione di due fotografie digitali. Lo sfondo è tratto da un’opera pittorica in punta d’argento e pigmenti su tela dell’artista Gabriella Furlani.

154


155


fotografiafotografiafoto

Nuova vita PIERO BEGHI Stampa fotografica fine art, cm 40x60

Mettere al mondo un bambino è un’esperienza profonda che riesce a dare alla coppia la felicità vera.

156


157


fotografiafotografiafoto

Crescere insieme PIERO BEGHI Stampa fotografica fine art, cm 40x60

Non riesco a considerare nessuna necessità nell’infanzia tanto forte come la necessità di protezione del padre. (Sigmund Freud)

158


159


fotografiafotografiafoto

C’è qualcosa di nuovo sotto il sole NICOLA ZACCARIA Stampa fotografica fine art, cm 60x40

Tutto ciò che è già avvenuto accadrà ancora. Tutto ciò che è successo in passato si ripeterà anche in futuro: «non c’è niente di nuovo sotto il sole» (Qo 1,9). Nel libro di Qoelet sovente tornano frasi come queste, e ancora: «vanità delle vanità: tutto è vanità e un correre dietro al vento» (Qo 1,2 e 1,14). L’esistenza si ripete ciclicamente nel dramma di un grido inascoltato, quello dell’assetato e dell’affamato, del bisognoso e dell’inquieto. In questo scenario ad un certo punto

irrompe però un segno di speranza che va ben oltre i fallimenti della storia: questa novità è il dono del battesimo, nuova nascita in Cristo. Nel sacramento diventiamo “uno in Cristo Gesù” (Gal 3,28), un unico soggetto nuovo e il nostro io è liberato dal suo isolamento; non più accogliamo nell’anima un raggio o una luce, ma il sole stesso (Cabasilas). L’acqua di purificazione annega l’uomo vecchio e ne genera un altro, totalmente rinnovato. È il ritorno all’adozione filiale. Quale gioia più grande?

160


161


fotografiafotografiafoto

Famiglia MAURO ENGHEBEN Stampa fotografica fine art, cm 40x60

Una famiglia felice è un dono di Dio.

162


163


fotografiafotografiafoto

Nunc et semper PIERO BEGHI Stampa fotografica fine art, cm 40x60

Due anime, un singolo pensiero. Due cuori che battono come uno. Guardarsi negli occhi e riscoprirsi giorno dopo giorno‌ coraggiosamente, per sempre.

164


165


fotografiafotografiafoto

Scatti di passione MASSIMO ZANOTTI Stampa fotografica fine art, cm 40x60

Il grigio e anonimo tessuto urbano di Milano, la grande metropoli in cui mi trovavo quel giorno, è stato all’improvviso rischiarato da questo bel sorriso, giunto per caso ai miei occhi con una forza dirompente: la bellezza di condividere la passione fotografica, nell’istante in cui i nostri sguardi si sono incontrati, ci ha fatto sentire vicini, non più così estranei.

166


167


fotografiafotografiafoto

Realizzare un sogno EDDA MAZZONI Stampa fotografica fine art, cm 60x40

Ho lavorato sodo. Ho sudato. Sono caduta e mi sono rialzata. Non ho ceduto. E, alla fine, ce l’ho fatta!

168


169


fotografiafotografiafoto

Illusioni PIERO BEGHI Stampa fotografica fine art, cm 40x60

Effimere parvenze di felicità destinate a scivolare velocemente nella delusione. Le luci sfavillanti inebriano la mente e ingannano il cuore: Sotto sotto rimane soltanto il buio abissale dell’implacabile ossessione del gioco perché «il denaro non dorme mai».

170


171


fotografiafotografiafoto

Uniti PIERO BEGHI Stampa fotografica fine art, cm 40x60

Ognuno può trovare e ricevere la giusta energia solo da un’unione sincera.

172


173


fotografiafotografiafoto

Miraggi inconsistenti CESARE BONETTA Stampa fotografica fine art, cm 40x60

Una persona quasi senza volto si presenta attraverso dei gesti molto evocativi: con una mano si accende una sigaretta utilizzando, anziché un accendisigari, una banconota e con l’altra stritola una carta geografica che fino a poco prima era un globo terrestre gonfio. L’assenza di sguardo implica un certo disorientamento che trova conferma nelle azioni compiute: secondo un’epica che traduce la nuova mitologia dell’amministratore delegato d’azienda o del manager rampante che muove capitali umani e finanziari, l’uomo contemporaneo fa propria la facoltà di comando e

di processo vincente. Pare che non vi sia altra via possibile per raggiungere risultati misurabili e quindi per essere felici. Il sentire comune sposa sempre più questa filosofia spicciola del vincitore dell’economia del consumo e del potere incontrastato che in realtà si rivela essere un vincitore asservito e schiavo. Spregiudicati con il mondo, sprezzanti del prossimo, si vive nel terrore di una caduta, di una debolezza…quando invece la debolezza e il varco lasciato dietro la scia di un’emozione sono la vera forza in grado di muovere il mondo: nè lo soffocano, nè lo distruggono.

174


175


fotografiafotografiafoto

Il sorriso che non si spegne MASSIMO ZANOTTI Stampa fotografica fine art, cm 40x40

In quei solchi profondi ho intravisto le profonde pieghe dell’esistenza… Nonostante la fatica di un lungo cammino, nonostante il bastone necessario per sostenersi, nonostante le fragilità accumulate, ho colto in quel sorriso tutto l’amore per la vita e la soddisfazione per aver potuto contare anche tanti giorni lieti sotto il sole.

176



fotografiafotografiafoto

Viaggiatori del tempo MAURO ENGHEBEN Stampa fotografica fine art, cm 40x60

La felicitĂ non ha tempo. Si manifesta in tutte le sue forme, indistintamente dai luoghi e dalle etĂ .

178


179


fotografiafotografiafoto

In compagnia DOMENICO GALUPPINI Stampa fotografica fine art, cm 40x60

All’interno di una rustica osteria, in un’atmosfera intima e familiare cinque uomini trascorrono il loro tempo attorno ad un tavolo facendo una partita a carte. Davanti ad un bicchiere di vino scorrono fiumi di parole, tra risate e frasi colorite: è piacevole stare insieme; è gioioso giocare insieme. A tutte le età. Nel nostro presente, caratterizzato dal pericoloso declino degli spazi relazionali, in cui le piazze sono soppiantate dai centri commerciali e le tradizionali fucine dell’incontro quali erano le vecchie osterie di un tempo stanno scomparendo di fronte all’avanzata dei moderni bar dai gelidi arredi e dagli approcci stereotipati, un’immagine come questa riscalda il cuore: nella sincera socialità che trasmette è l’ingrediente umano a prevalere, con la sua forza comunicativa e i suoi profondi risvolti psicologici.

180


181


fotografiafotografiafoto

Il mio rifugio CESARE BONETTA Stampa fotografica fine art, cm 40x60

Si apre davanti ai nostri occhi una stanza ricca di oggetti e suppellettili: presenze di un’esistenza vissuta, di una quotidianità abitata, di attività condotte giorno dopo giorno con costanza e passione. Siamo piacevolmente coinvolti all’interno di questo spazio che da laboratorio del fare si trasforma in luogo dell’essere: i segni tangibili del vivere divengono gradualmente tracciati di memorie stratificate nel tempo e consentono di ri-conoscersi e nel contempo ri-trovarsi. La stanza della creatività diviene così un microcosmo di percezioni sensoriali ed interiori in cui rifugiarsi e nutrirsi di vita.

182


183


fotografiafotografiafoto

Ricordi NICOLA ZACCARIA Stampa fotografica fine art, cm 60x40

«Quale guadagno viene all’uomo per tutta la fatica con cui si affanna sotto il sole?» (Qo 1,3) Il cammino di una vita affiora con discrezione attraverso alcuni oggetti disposti su un vecchio comò: fotografie della giovinezza accanto ad un orologio raccontano simultaneamente della precarietà dell’esistenza e dell’inesorabilità dello scorrere del tempo; nello specchio si intravede una stanza che porta gli evidenti segni di un passato lontano. Ma il lume acceso, nella sua sobrietà, svela non un mondo di polvere bensì un sentire vivo e palpitante: dal remoto cassetto della memoria i bei ricordi irrompono

nel presente e lo rischiarano allontanando nubi oscure all’orizzonte. In quel cassetto è riposta tutta la letizia del cuore maturata nel corso della vita, tra momenti sereni e momenti cupi, perché così altalenante è l’esistenza, fatta di balzi e di cadute. Ogni giorno presenta la sua gioia e, insieme, la sua pena: c’è tempo e spazio per ogni cosa, sotto il sole.

«Osserva l’opera di Dio: chi può raddrizzare ciò che egli ha fatto curvo? Nel giorno lieto sta’ allegro e nel giorno triste rifletti: Dio ha fatto tanto l’uno quanto l’altro, cosicché l’uomo non riesce a scoprire ciò che verrà dopo di lui» (Qo 7,13-14).

184


185


fotografiafotografiafoto

“Beati quelli che non hanno visto e hanno creduto”(Gv 20,29) NICOLA ZACCARIA Stampa fotografica fine art, cm 60x40

Un calice velato. Il linguaggio del vedere Dio fa riferimento unicamente al nostro vissuto; infatti nulla siamo in grado di dire su Dio se non partendo dall’esperienza sensibile. Il vedere quindi si contrappone al non vedere e allora avere fede significa credere anche se non si è visto; significa conoscere nel mistero. Nel momento in cui questo velo cadrà allora “conosceremo perfettamente” (1Cor 13,12). E la conoscenza piena coinciderà con la gioia piena.

186


187


fotografiafotografiafoto

Solitudine e condivisione, sprazzi di felicitĂ AGOSTINO BONETTI Stampa fotografica fine art, cm 40x60

Sugli altipiani del Tagikistan. In viaggio‌ con noi stessi, con chi ci viene incontro. Immersi nella bellezza del mondo.

188


189


fotografiafotografiafoto

Ri-salita ETTORE PILATI Stampa fotografica fine art, cm 40x60

Quante volte nella vita ho intrapreso e intraprenderò un viaggio “sul monte”... Parto con i miei pesanti fardelli accumulati a valle e aiutandomi con ciò che la vita mi offre, avanzo lentamente, con fatica e sudore. Affondo nella neve. Scivolo sul ghiaccio. Cado e mi rialzo. Salgo solo con la mia anima e con i miei pensieri, i miei dubbi, le mie fragilità. Passo dopo passo sento la stanchezza aumentare ma nel contempo accresce in me il desiderio di andare avanti, di non molla-

re. Mi guardo intorno e così in alto, mi sento quasi di toccare il cielo. Com’è lontana la terra con i suoi deserti, le sue aridità, le sue pretese…Nell’infinito silenzio trovo pace e mi ascolto, mi riscopro. Sondo me stesso e le mie profondità. La salita si trasforma così in ri-salita, in cui è gioia la ricerca stessa: andare e ancora andare, occhi che guardano oltre: sorpresa, incanto, orizzonte, caduta e risurrezione. Lascio tutto a valle e ritrovo tutto... dentro di me.

190


191


fotografiafotografiafoto

Via lucis ETTORE PILATI Stampa fotografica fine art, cm 60x40

Perché ti rattristi, anima mia, perché ti agiti in me? Spera in Dio: ancora potrò lodarlo, lui, salvezza del mio volto e mio Dio. (Sal 42,6)

«Dove sono due o tre riuniti nel mio nome, lì sono io in mezzo a loro» (Mt 18,20)

Alla croce del Calvario ricorrono gli assetati di acqua viva, scaturita dal costato trafitto di Cristo, poiché alle sorgenti della salvezza ci si abbevera insieme.

L’immagine della comunione di fedeli raccolti in preghiera mostra la scelta di chi ancora s’inginocchia e crede, per cogliere la presenza viva di Dio lungo la sua via di croce che è divenuta via di luce per l’umanità intera.

Di giorno il Signore mi dona il suo amore e di notte il suo canto è con me, preghiera al Dio della mia vita. (Sal 42,9)

192


193


fotografiafotografiafoto

Interminati spazi, sovrumani silenzi, profondissima quiete CESARE BONETTA Stampa fotografica fine art, cm 40x60

All’interno di un paesaggio sconfinato e silenzioso si scorge lontano, molto lontano, una figura di spalle: l’uomo sulla canoa avanza e affronta solitario la totalità cosmica della natura intorno a sé che sembra accoglierlo in un materno abbraccio. La scena, priva di qualsiasi dettaglio narrativo, coinvolge l’osservatore in un ideale percorso introspettivo che si perde nell’orizzonte indefinito, tra due fasce astratte di colore che qua-

si si fondono. L’occhio è rapito verso una centralità sospesa che lo spinge a compenetrarsi con l’intorno: alla profondità spaziale corrisponde una profondità psicologica, intenzionalmente cercata, indagata. È il tripudio di quel sentimento panico della bellezza del creato, incontaminato e primordiale e nel contempo l’apertura dello spirito verso il sublime naturale, in una percezione estetica che diviene esperienza tutta interiore.

“Così tra questa immensità s’annega il pensier mio: e il naufragar m’è dolce in questo mare” (G. Leopardi)

194


195


fotografiafotografiafoto

Oltre CESARE BONETTA Stampa fotografica fine art, cm 40x40

Intimamente legata all’immagine precedente ne rappresenta il naturale proseguimento. L’uomo di spalle che invitava metaforicamente l’osservatore a seguirlo nel suo navigare nel mare della vita, ora è scomparso; al suo posto, sempre al centro di questo paesaggio marino che si trasforma in vera e propria epifania della natura, un tracciato che attende di essere percorso e attraversato. Protraendosi verso l’infinito orizzonte di luce, il pontile richiama la riflessione su un oltre che non ci è dato conoscere ma che ci attira a sé: è il dono

dell’esistenza. Predomina la visione interiore sulla veduta paesaggistica che è chiaramente superata dall’anelito all’infinito: protagonisti sono l’inesauribile vertigine dello sguardo insieme al vibrante sentimento del cuore: anche chi si pone davanti all’opera è chiamato ad intraprendere questo cammino avvincente ed emozionante, oltrepassando fiduciosamente i propri limiti e le proprie paure, verso un altrove che si schiude davanti ai propri occhi. Brama di libertà, contemplazione della bellezza.

196


197



graficagraficagraficagr

GRAFICA


Le vie della Felicità I santi sono uomini e donne che hanno superato un margine, un invisibile confine che li ha portati ad elevarsi sopra gli altri battezzati raggiungendo la beatitudine. Alcuni hanno trovato la propria via della felicità, attraverso una scelta di vita ascetica, altri per avere illuminato il cammino del prossimo con le proprie parole o azioni, altri perché hanno difeso la Verità con la propria vita o perché sono stati fulgidi esempi di generosità ed empatia. Se in altre religioni la via del compimento e della serenità coincide con l’invito a distaccarsi dai legami col mondo siano essi eventi infausti e fausti, come riflesso di uno specchio falsificante e distorto, nel Cristianesimo c’è la condanna e il rigetto per l’atarassia. Il Cristianesimo è l’invito a vivere con Passione ogni accadimento, mantenendo viva la speranza, e trova la sua pratica nel mondo reale, non solo con le preghiere, ma agendo e lottando in ogni situazione per la difesa della Verità e del bene comune.

Abbiamo pensato di parlare di tre vie per la Felicità, presentando a testimonianza alcune vite di santi. Dal tradimento al proprio Creatore, il genere umano entra in uno stato di condanna (peccato originale) da cui ha la possibilità di uscire grazie all’incarnazione di Cristo e al battesimo. La prima via della felicità è tramite l’Amore verso Dio. È l’atto di amore più grande, perché si espleta attraverso la Fede. È un atto di totale fiducia e abbandono a Dio. Come scriveva Pascal, una scommessa dove in palio c’è la propria vita e lo stile di condotta. I santi di questa sezione sono sia santi che hanno conosciuto e amato Gesù, ma anche altri che per lui si sono convertiti, cambiando la propria vita e infine, coloro che si sono donati a Lui pur di non tradire questo amore, come invece fecero Adamo ed Eva.

200


La terza via è l’Amore verso il creato. Le meraviglie del creato sono la prima opera imminente di Dio. Essa tuttavia viene messa a disposizione dell’uomo. L’uomo può servirsene, ma deve rispettarla e prendersene cura. Sebbene molti santi avessero avuto un legame con la cura degli animali e della vegetazione, abbiamo deciso di sceglierne alcuni che rappresentassero l’amicizia e l’affetto che può nascere fra specie differenti. Là dove l’animale si dona all’uomo, rendendo la sua solitudine meno dura e dove l’uomo sceglie di condividere il proprio percorso di vita con esso. In questa sezione troviamo i santi che ebbero instaurato con gli animali un tenero e saldo legame di amicizia.

Paolo Linetti

201

graficagraficagraficagr

La seconda via è l’amore verso gli altri uomini. È la scelta di abnegarsi e rinunciare al mero tornaconto per aiutare un altro individuo, con cui si ha un legame, ma anche, sublimata, nell’aiuto incondizionato verso il prossimo, senza attendere forme di ricompensa o gratitudine. Qui troviamo tutti quei santi che hanno scelto di amare Dio, vedendolo nel prossimo.


graficagraficagraficagra

Presepe FRANCESCA UBERTI, PAOLO LINETTI

202


La forma più alta di amore e la più difficile perché si basa sulla Fede / fiducia

graficagraficagraficagr

AMORE VERSO DIO


graficagraficagraficagra

San Giovanni evangelista LUCIA BOTTA, PAOLO LINETTI

San Giuseppe LUCIA BOTTA, PAOLO LINETTI Israele I secolo a.C. - I secolo d.C. Giuseppe è il primo vero fedele del Nuovo Testamento, simbolo dell’abnegazione seguì il volere di Dio accogliendo Gesù come un dono da accudire, difendere e amare. Nel vangelo secondo Matteo la sua missione è resa chiara dall’apparizione di un angelo che lo aiuta nei momenti cruciali.

Israele I secolo – Efeso II secolo Quando incontrò Gesù lasciò tutto e lo seguì. Fu presente a tutti gli avvenimenti più importanti della vita di Gesù, che si fidò di lui al punto da affidargli la Madre. Il santo dopo esser rimasto per un po’ con Pietro resse la chiesa di Efeso. Convocato a Roma venne immerso dall’imperatore in un calderone bollente uscendone incolume. Fu esiliato sull’isola di Patmos dove compose l’Apocalisse.

204


San Pietro LUCIA BOTTA, PAOLO LINETTI Betsaida (Israele) I secolo d. C. – Roma 67 d.C. Fu il primo degli apostoli, ribattezzato da Gesù col nome di Pietro, perché diventasse la prima pietra viva che costituisse la nuova Chiesa, e che consegnò a lui le chiavi del Regno dei Cieli. È l’apostolo che per due volte si allontanò da Cristo per timore, ma per lui scelse di morire. Pietro fu incarcerato varie volte per la sua fede, fu autore di molti miracoli e fondò la comunità cristiana di Roma insieme a Paolo. Morì martire a Roma.

San Paolo di Tarso LUCIA BOTTA, PAOLO LINETTI Tarso (Turchia) 5 – Roma 67 d. C. Fu persecutore di cristiani ma venne convertito da Gesù che gli apparve sulla via di Damasco, da quel momento iniziò una lunga serie di viaggi per diffondere il cristianesimo in Asia Minore, Grecia e Italia. Durante questi viaggi scrisse 14 lettere racchiuse nel canone bilico. Morì martire a Roma.

205


graficagraficagraficagra

Santa Caterina LUCIA BOTTA, PAOLO LINETTI Alessandria d’Egitto fine III – inizio IV sec All’arrivo dell’imperatore si rifiutò di sacrificare agli dei. L’imperatore chiamò saggi da tutto il regno per cercare di convertirla, ma invece fu lei a convertire loro. Quando la santa si rifiutò di sposare l’imperatore questi volle martirizzarla dilaniandola con ruote dentate, che però si spezzarono ferendo i presenti. La santa venne allora decapitata e dal collo uscì latte e non sangue, il corpo venne portato sul monte Sinai dove venne fondato un monastero. È considerata l’ispiratrice di molti ordini monastici femminili.

Santa Lucia LUCIA BOTTA, PAOLO LINETTI Siracusa fine III – inizio IV secolo Rimasta orfana di padre fu educata dalla madre al cristianesimo, durante un pellegrinaggio a Catania le apparve sant’Agata che le predisse il suo futuro di santità. Tornata a casa decise di consacrarsi a Dio e di non prendere marito, ma un pretendente sdegnato la denunciò alle autorità. Morì martire il 13 dicembre, la santa in questa notte porterebbe doni ai bimbi buoni. Come santa Caterina di Alessandria fa parte di quelle vergini che si votarono a Cristo.

206


San Pietro da Verona DANIELA BOSELLI, PAOLO LINETTI

Santa Giovanna d’Arco LUCIA BOTTA, PAOLO LINETTI Francia 1412 – 1431 Fin da ragazzina sentiva una voce che la incitava a salvare la sua nazione francese impegnata nella guerra dei 100 anni contro l’Inghilterra. Conobbe l’erede al trono di Francia che la mise a capo di un esercito, la santa risultò vincitrice in molte battaglie, ma venne catturata e condannata come eretica dagli inglesi. Morì martire a Rouen.

Verona 1205 - Meda 1252 Nacque in una famiglia vicina all’eresia catara cui egli si oppose fin da fanciullo. Mentre studiava a Bologna conobbe San Domenico ed entrò nell’Ordine, in seguito divenne inquisitore per la Lombardia, compito che svolse con la predicazione e il confronto con gli eretici, durante queste prediche fece spostare una nube per riparare le persone dal sole cocente e predisse la sua morte, avvenuta per mano di sicari pagati dalle sette eretiche di Milano, Lodi, Bergamo e Pavia.

207



L’amore che deve essere disinteressato. Per il senso del bene e senza aspettarsi gratitudine

graficagraficagraficagr

AMORE VERSO GLI ALTRI UOMINI


graficagraficagraficagra

Santa Angela Merici LUCIA BOTTA, PAOLO LINETTI

San Francesco FRANCESCA UBERTI, PAOLO LINETTI Assisi 1182 – 1226 Cavaliere di famiglia benestante di Assisi, fu per un anno prigioniero dei Perugini durante il quale decise di cambiare vita. Tornato a casa rinunciò a tutte le sue ricchezze per seguire l’esempio di Gesù povero e umile. Si dedicò alla cura dei poveri e dei lebbrosi, e trascorreva molto tempo a pregare nei boschi. Nel 1209 fondò l’ordine dei Frati Minori e nel 1224 ricevette le stigmate sul monte Verna.

Desenzano Del Garda 1474 – 1540 In tenera età prese l’abito di terziaria francescana, a Desenzano ebbe la visione della “Scala”, in cui una processione di angeli e vergini prefigurava un nuovo patto al femminile tra Dio e il mondo, che si sarebbe concretizzato nella fondazione della Compagnia di Sant’Orsola. Quando si trasferì a Brescia conobbe molti artisti tra cui Agostino Gallo, il Moretto, il Romanino. Fece molti pellegrinaggi in luoghi santi e durante quello in Terra Santa il Signore la rese cieca affinché guardasse con gli occhi dello spirito.

210


San Camillo de Lellis BARBARA APOSTOLICO, PAOLO LINETTI Bucchianico di Chieti 1550 – Roma 1614 Intraprese la carriera militare fino a che non entrò in un ospedale per curarsi una piaga al piede e da lì decise di cambiare vita, prese l’abito dei Cappuccini e si dedicò più alla cura degli altri che alla propria. Fondò la “Compagnia Dei Ministri degli Infermi” nel 1586 che si distingueva per una croce rossa sul petto, come sua madre aveva visto in sogno, simbolo del Sacrificio e della Redenzione di Cristo, Compagnia che ebbe grandissima diffusione in Italia e nel mondo.

Santa Madre Teresa di Calcutta SARA DALENA, PAOLO LINETTI Skopje (Macedonia) 1910 – Calcutta 1997 Prese i voti giovanissima esprimendo già una spiccata vocazione missionaria, prendendo l’abito delle Suore di Loreto in cui però le era impedito di uscire dal convento, dopo diversi tentativi ottenne il permesso di andare a vivere in una delle zone più povere della città, e qui grazie ai volontari che si univano intorno a lei fondò una piccola comunità, a cui seguì la fondazione della congregazione delle Missionarie della Carità, che avevano come scopo il prendersi cura dei più poveri e di tutti quelli che si sentono scartati dalla società.

211


graficagraficagraficagra

San Filippo Neri BARBARA APOSTOLICO, PAOLO LINETTI

Santa Crocifissa di Rosa MICHELA NAVA, PAOLO LINETTI Brescia 1813 – 1855 Fin da giovane decide di dedicarsi a Dio e al prossimo. Assume la gestione di alcune opere caritative e aiuta poveri, ammalati, e i bisognosi di formazione religiosa ad Acquafredda e a Capriano del Colle. Fonda la “Pia Unione” e inizia il servizio agli “Spedali Civili”. La “Pia Unione” da lei fondata cura gli ammalati del colera e va sui campi di battaglia a San Martino, Solferino e Borghetto. Nel 1851 viene approvata la Regola di vita per le Ancelle della Carità.

XVI secolo Nato in famiglia agiata, abbandonò gli studi notarili per iniziare la sua opera di precettore. Fondò una confraternita di laici che si incontravano per adorare Dio, aiutare pellegrini e convalescenti e diedero vita all’Ospizio della Trinità. Nel 1551 fu ordinato prete e in seguito fondò la Congregazione dell’Oratorio e attraverso essa fece attività di istruzione religiosa attraverso la musica e il teatro sacro. Il suo animo spiritoso e gioviale invitava i ragazzi a fare i bravi con criterio “state boni se potete”. Fu una delle figure più illuminate sul recupero dei ragazzi poco abbienti.

212


San Giovanni Piamarta SARA DALENA, PAOLO LINETTI Brescia 1841 – Remedello 1913 Nato in una povera famiglia, prende i voti e si dedica a dare una preparazione cristiana e professionale ai tanti giovani che arrivavano in città per cercare lavoro. Per questo, aiutato da alcuni suoi amici, fonda l’Istituto Artigianelli e la Colonia Agricola di Remedello. Attorno a lui col tempo si radunarono molti volontari e lo portarono alla fondazione della congregazione “Sacra Famiglia Di Nazareth” che unisce laici e religiosi per la formazione dei giovani. Come san Filippo Neri, trovò la sua via di felicità nell’insegnamento ai giovani.

San Leonardo BARBARA APOSTOLICO, CLAUDIA LOMBARDI Francia VI secolo Di nobile famiglia fu convertito al cristianesimo da san Remigio, da quel momento si dedicò alla visita dei carcerati, ottenendo per loro la liberazione da parte del re. Un giorno incontrò nel bosco la regina mentre aveva le doglie, la quale partorì un figlio sano grazie alle preghiere del santo. Il re per ringraziarlo gli regalò il bosco dove il santo fondò poi un monastero.

213



Quando sono loro ad amarci totalmente e noi di riflesso

graficagraficagraficagr

AMORE VERSO IL CREATO


graficagraficagraficagra

San Girolamo Stridone (Croazia) 345 – Betlemme 420 Si trovava da solo in meditazione nel deserto, un giorno trovò un leone dolorante per una spina nella zampa. Il monaco riuscì ad avvicinarsi e ammansirlo togliendogli la spina dalla zampa. La presenza del monaco nel deserto fu accettata dal leone e trascorsero assieme parecchio tempo. Quando giunse il momento di tornare al monastero, il leone seguì Girolamo come un cagnolino stando al suo fianco. Giunti al monastero, i monaci non ebbero il tempo per rallegrarsi dell’arrivo del loro superiore, perché appena videro il leone fuggirono terrorizzati. Ci sono dipinti che illustrano la divertente fuga dei monaci, mentre san Girolamo cerca di spiegare l’ammansimento indicando la zampa del leone, ma la maggior parte delle raffigurazioni rappresenta il santo con la bestia ai suoi piedi come se fosse un gatto sornione.

San Benedetto Norcia 480 – Montecassino 547 Fu mandato a Roma dalla famiglia per studiare ma indignato dalla dissolutezza dei compagni si ritirò a vita eremitica a Subiaco. A causa del rigore in cui viveva, scrisse la regola Ora et labora (prega e lavora), alcuni religiosi invidiosi cercarono di ucciderlo. San Benedetto era solito condividere il pasto con un corvo, quando si accorse che il pane era avvelenato comandò al corvo di portare via il pane perché nessuno ne mangiasse.

216


Sant’Egidio Grecia VI - Francia VIII sec. d. C. – datazione incerta Una delle amicizie più toccanti è quella fra l’eremita sant’Egidio e una giovane cerva. Il santo aveva abbandonato la vita civile per ritirarsi in preghiera su un monte. Viveva a contatto con gli animali e aveva imparato a conoscerli, ma la sua più preziosa amica era una giovane cerva. Un giorno il signore del posto si trovava col suo seguito a caccia in quei boschi, vide la cerva e la inseguì per ucciderla. La cerva ferita corse da sant’Egidio. Il santo le fece scudo con il proprio corpo, venendo ferito involontariamente dal nobile. Il nobile dopo aver dialogato con il santo eremita decise per sdebitarsi di regalargli quel monte. Lì sant’Egidio fondò il suo monastero, in mezzo agli animali, tutelati dalla sua presenza.

Santa Margherita da Cortona Laviano 1247 – Cortona 1297 Una triste storia accomuna invece santa Margherita da Cortona e il suo amato cagnolino. Margherita era una fanciulla di Laviano in provincia di Perugia. Si era innamorata di un nobile che la ricambiava, ma che non la sposò mai, nemmeno alla nascita del loro figlio. L’uomo aveva una vita abbastanza turbolenta e nove anni dopo la nascita del loro figlio viene assassinato in un bosco. Margherita disperata non vedendolo tornare, lo cerca ovunque. La accompagna nelle sue ricerche unicamente il suo cagnolino. Fu proprio il cagnolino a trovare il cadavere del padrone. Margherita troverà un nuovo motivo di vita aiutando il prossimo. Il figlio diverrà francescano e il cagnolino le stette accanto fino alla fine dei suoi giorni.

217


graficagraficagraficagra

San Rocco Francia 1345 - 1379 Nel luglio del 1371 a Piacenza san Rocco si adoperava per curare i malati di peste. Essendo la peste una malattia mortale e molto contagiosa il suo coraggio era particolarmente apprezzato da tutti. Accadde però che si ammalò lui stesso. Non è chiaro se il santo decise di allontanarsi volontariamente, oppure se la popolazione lo allontanò per evitare il contagio, dimenticandosi presto del debito di riconoscenza. Fatto si è che Rocco decise di trascorrere gli ultimi giorni in un bosco nei pressi di Sarmato, precisamente in

una capanna vicino al fiume Trebbia. Senza alcuna assistenza sarebbe morto per il decorso della malattia o per fame. Qui lo trovò un cane randagio. Il cane stava sempre al fianco del malato, se ne allontanava unicamente per prendere del pane e portarglielo. Grazie a quella minima assistenza riuscì a guarire e assistere altri malati e il cane stette sempre al suo fianco. Il legame di amicizia dei due è talmente sentito, che l’Associazione dedicata al santo ha preso sede dove avvenne l’incontro fra i due amici.

218


San Martino di Porres Lima (Perù) 1579 - 1639 Un santo in stretto rapporto con gli animali è san Martino di Porres. Martino nacque a Lima nel 1579, era figlio di uno spagnolo governatore di Lima e di un’ex schiava di origine africana, fu allievo cerusico e studiò chirurgia, successivamente divenne domenicano. Questo santo aveva grande rispetto per gli animali e li trattava come persone, si rivolgeva a loro dandogli del voi e li accudiva. Aprì addirittura una piccola clinica veterinaria presso la sorella affinché gli animali curati potessero guarire. Fra questi il suo animale più affezionato

era un gatto che egli aveva curato. È raffigurato insieme ad un cane e ad un gatto che sono collegati a due episodi della vita di San Martino. Un giorno i monaci frati erano infastiditi a causa dei danni che i topi avevano fatto in dispensa, e avevano quindi predisposto delle trappole. Martino predispose quindi in un posto del giardino lontano dalla dispensa del pane secco che ogni giorno lasciava. I topi si arrampicavano anche sulle sue mani per prendere il cibo ed egli li salutava e ringraziava per aver lasciato stare la dispensa. L’animale domestico del Procuratore del convento invece era un vecchio cane. La vecchiaia aveva reso la bestia più lenta e stanca e il Procuratore decise di farla uccidere. San Martino sgridò il suo superiore per aver ripagato con tanta ingratitudine un fedele amico che gli aveva dato solo servigi e affetto. Si inginocchiò sul corpo della bestia pregando con tutte le sue forze. La coda cominciò a muoversi e nuovamente la vita ritornò ad animare il cane.

219


graficagraficagraficagra

Santa Kateri Stati Uniti 1656 - Canada 1680 La Chiesa cattolica ha affidato il patronato dell’ecologia a una santa nativa americana del XVII secolo per il suo stretto rapporto con l’ambiente: santa Kateri. Viene raffigurata insieme ad una tartaruga con un albero sul carapace.

220


poesiapoesiapoesiapoe

POESIA


poesiapoesiapoesiapoes

Pìetas JACOPO BROGNOLI

Cava il pieno. Figura prona di madre diroccata sul corpo del figlio morto. Tu promontorio addossato alla Roccia, quella che salva – vai ora disfacendoti.

E allora in un amalgama disperato, tardivo ripensi addietro a quella visita sconcertante; a quel seme d’Eterno che portavi in grembo, caldo e freddo; alla beatitudine dello scricciolo che cullavi tra le braccia, salde.

Contenerlo come quando tutto in te si principiò, e nasconderlo nel tuo imo alveo, e trattenerlo, inconsutile, dallo spargimento di sé: questo pensi e non dici (maledetto Simeone, profeta di sventura!)

E nella tua mente sciolta, il sogno della vita leghi (separato soltanto da un sottile diaframma) alla disillusione che dà il dolore: il tuo volto ancipite.

L’ora è giunta anche per te, Madre, di cavare il pieno.

Ora, Madre: cavalo ora, il pieno.

222


Chisà endóe VELISE BONFANTE A Benedetta Bianchi Porro Chisà endóe, catàcc föra da ‘n Signùr fat de scür nasóm col scür endòs per cascà come góse d’engiòster söl fòi bianch del mont. Góse negre che se sculta piöer góse strase che lasa mace mace scüre mace sö mace. El Signur fat de scür, l’è scür ma el g’ha i culùr el g’ha apó l’engiòster bianch e ogni tant el manda en sant.

CHISSÀ DOVE Chissà dove, siamo presi a caso da un Signore fatto di scuro si nasce con lo scuro addosso per cadere come gocce d’inchiostro sul foglio bianco del mondo. Gocce nere che si ascoltano piovere gocce stracce che lasciano macchie macchie scure macchie su macchie. Il Signore fatto di scuro, è scuro ma possiede i colori e ha pure l’inchiostro bianco e ogni tanto ci manda un santo.

223


poesiapoesiapoesiapoes

La matàsa VELISE BONFANTE

La ambia con de ‘n có e la garà ‘na fì. Se fa sö la matasa dei nòs dé. La se ‘ngarbia se ensèma ai filitì ater fij se mes-cia e tira dré. Ma quant tra mès a töt chel gris girà se cata sö ‘n fil rós, mai tiràl vià. L’è ‘n filamènt speciàl, che pèrt culur che màcia, e a poch a poch el rós el làsa. L’è asé a sto mont en fil d’amur per tènzer de ròza ‘na matasa.

LA MATASSA Incomincia con un inizio e avrà una fine. Si avvolge la matassa dei nostri giorni Si arruffa se con i fili altri fili si mescolano e uniscono. Ma quando tra tutto quel grigio girare raccoglie un filo rosso, non toglierlo. È un filo molto speciale, che perde colore che macchia, e a poco a poco il rosso lascia. È sufficiente a questo mondo un fil d’amore per tingere di rosa una matassa.

224


El signur e i pütì MARY CHIARINI SAVOLDI

Sóta ‘na piànta de ulìe strinzìcc arènt al Signur, ‘na rossada de pütì i s’è ‘nzönöciàcc a scultàl; a sènter chèl chè ‘l dis, a ardà i sò öcc culur del ciel. ‘N sbarbelà sitìl de fòje arzèntade; e sentàcc en tèra a l’ombrìa ‘n cincèl de us alégre. Delóns i öm i tontogna, vignì ‘n sà stiga mia adòs. I pütì del mond coi aquilù sbregàcc ‘n mà i canta la belèssa del ciel i canta la belèssa de la tèra.

IL SIGNORE E I BAMBINI Sotto una pianta di ulivi seduti vicino al Signore, uno stormo di bambini si sono inginocchiati ad ascoltarlo a sentire quello che dice, a guardare i suoi occhi color del cielo. Uno sfarfallio lieve di foglie argentate, e seduti in terra all’ombra un cicaleccio di voci allegre. Lontano gli uomini brontolano venite qua non stategli addosso. I bambini del mondo con gli aquiloni strappati in mano cantano la bellezza del cielo cantano la bellezza della terra.

225


poesiapoesiapoesiapoes

San Francesco MARY CHIARINI SAVOLDI

Sulla grande piazza, davanti ai patrizi addobbati di fronzoli e orgogli, si denudò Francesco. Rivestito, di un abito di sacco ordito da invisibili fili d’amore, iniziò il cammino sulla via della felicità, lodando lo splendore della bellezza del Creato, e l’antica misericordia di Dio.

226


Ghó caminat ALBERTO ZACCHI

Ghó caminat pirdit nei me penser, ghó caminat sö sentér scundicc deter de me, ghó caminat sensa esser vest en chel blö tat scür da sconder töt, ghó caminat da òrb e traersat de l’anema la nòt, ghó caminat sensa saì ‘ndó nà HO CAMMINATO compagn de ‘n òm pirdit nel mar, Ho camminato perso nei miei pensieri, pò ghó sintit en gal cantà ho camminato su sentieri nascosti dentro di me, söl fond de chel mar ho camminato senza essere visto e ‘n fondafat ghó ést en ciar in quel blu talmente scuro da nascondere tutto, e issé ghó caminat ho camminato da cieco sö strade nöe che segnaa ‘l me nà e attraversato dell’anima la notte, e pas dopo pas i pas i sè slongaa sö chei sentér che pas e amur i dispensaa, ho camminato senza sapere dove andare come un uomo perso nel mare, pò mè so fermat, mè so vardat poi ho sentito un gallo cantare e so turnat a viver, a goder sul fondo di quel mare de la belessa del Tò mond e nel profondo ho visto una luce e de chel ciar che nassia da le Tò ma e così ho camminato Signur. su strade nuove che segnavano il mio andare e passo dopo passo i passi si allungavano su quei sentieri che pace e amore dispensavano, poi mi sono fermato, mi sono guardato e sono tornato a vivere, a godere della bellezza del Tuo mondo e della luce che nasceva dalle Tue mani Signore.

227


poesiapoesiapoesiapoes

La sét ALBERTO ZACCHI

L’è da la sét che ghó de Te che fiores i penser che sa de be perchè, Signur, l’esser en Te l’è ‘n ritroà le vie che fa sta be.

LA SETE È dalla sete che ho di Te che fioriscono i pensieri che portano felicità perché, Signore, l’essere in Te è ritrovare le vie che fanno star bene.

228


La felicità attraverso lo sguardo dei bambini

losguardodell’infanzial

LO SGUARDO DELL’INFANZIA



È difficile anche per gli adulti riuscire a definire la “FELICITÀ”; difficile distinguere la “FELICITÀ” che proviene da una conquista materiale (da un acquisto, da un regalo, ...) dalla “FELICITÀ” che nasce dalla serenità interiore: “FELICITÀ” come modus vivendi che oltrepassa l’inebriante emozione del momento. A maggior ragione, per i bimbi la “FELICITÀ” tende ad identificarsi con tutto ciò che fa sorridere, che provoca gioia, che emoziona profondamente. “Sono triste perchè non ho ...”, oppure “Sono triste perchè non sono riuscito a ...”. Per evitare cammini troppo teorici si è così pensato di cercare tutto ciò che sui social riguarda la “FELICITÀ”: dalle definizioni, alle ricette per ottenerla, alle strategie per implementarla, alle condizioni ottimali per realizzarla. Intervistando il popolo della rete, si è così intrapreso un cammino caratterizzato da molteplici stimolazioni: il tentativo è stato quello di aprire prospettive nuove per osservare, spiegare, descrivere ed attivare ciò che da sempre costituisce il fine di ogni uomo: ESSERE FELICE!

È un percorso, quello che vi proponiamo, che non necessariamente condurrà ciascuno di noi, di Voi a trovare la risposta attesa, MA che di certo segna l’avvio, il farsi, il costruirsi di un atteggiamento emotivo più consapevole e capace di autodeterminarsi. Che ognuno possa trovare il modo di essere felice, che ciascuno possa avvertire l’urgenza e la necessità di operare per la “FELICITÀ”. Nessuna risposta, dunque, ma tante domande: l’importante è interrogare ed interrogarsi, stimolando anche negli altri il gusto di cercare, di pensare, di provare a scegliere la FELICITÀ, a scegliere di ESSERE FELICI!

231

Le classi Terze della Scuola Primaria Istituto Comprensivo “E. Rinaldini”, Ghedi

losguardodell’infanzial

Happiness is...


232

losguardodell’infanzialo

3^A


3^A 233


234

losguardodell’infanzialo

3^A


3^A 235


236

losguardodell’infanzialo

3^A


3^A 237


238

losguardodell’infanzialo

3^B


3^B 239


240

losguardodell’infanzialo

3^B


3^B 241


242

losguardodell’infanzialo

3^B


3^B 243


244

losguardodell’infanzialo

3^C


3^C 245


246

losguardodell’infanzialo

3^C


3^C 247


248

losguardodell’infanzialo

3^C


3^C 249


250

losguardodell’infanzialo

3^D 3^E


3^D 3^E 251


252

losguardodell’infanzialo

3^D 3^E


3^D 3^E 253


254

losguardodell’infanzialo

3^D 3^E


3^D 3^E 255


256

losguardodell’infanzialo

3^D 3^E


3^D 3^E 257


258

losguardodell’infanzialo

3^D 3^E


3^D 3^E 259


260

losguardodell’infanzialo

3^D 3^E


3^D 3^E 261


3^F

losguardodell’infanzialo

262


3^F

263


3^F

losguardodell’infanzialo

264


3^F

265


3^F

losguardodell’infanzialo

266


3^G

267


3^G

losguardodell’infanzialo

268


3^G

269


3^G

losguardodell’infanzialo

270


3^G

271


losguardodell’infanzialo

272

3^H 3^I


3^H 3^I

273


losguardodell’infanzialo

274

3^H 3^I


3^H 3^I

275


losguardodell’infanzialo

276

3^H 3^I


3^H 3^I

277


losguardodell’infanzialo

278

3^H 3^I


3^H 3^I

279


losguardodell’infanzialo

280

3^H 3^I


3^H 3^I

281


losguardodell’infanzialo

282

3^H 3^I


3^H 3^I

283





Turn static files into dynamic content formats.

Create a flipbook
Issuu converts static files into: digital portfolios, online yearbooks, online catalogs, digital photo albums and more. Sign up and create your flipbook.