OFFICIN.ARIE

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Enrico Casaccia

OFFICIN.ARIE



Lascia che ora lontana

L’unica sera ora si fa possibile: transita, resta un’innocua negazione, il nero del cielo, il nostro patto, genera luce che ci divide. Era raggiante la selva di gocciole nelle pozzanghere, esatta allo strazio coi suoi colori... pure, non c’è misura per questo niente, un raggio feroce mastica le sfumature, lascia che intatta ora lontana ti creda.


È stata

l’ora di ascoltare, come un precipizio, lasciare inerme il distacco, indorato quel mattino presto d’autunno, l’occhiata rapida dal finestrino, l’abisso della borsa, le mani nervose, l’ultimo sforzo, lapidario, del sorriso

perché ora la storia è cristallo di un’anfora, qui nel deliquio dei plastici, le rare meraviglie del nostro poema, il non essere più, e chiama non si confonde con altre limpide voci che circolano in queste terre; il vento lento, che svuota, che accarezza con le sue dita, vaga nella trasparenza, rotola di sera in un giardino.


Arietta delle morti e di un bacio

Sgambettava in un suo tempo grazioso la sorpresa che mi trovai davanti: fu così che pedinai l’angioletto, gioiendo al saltino dell’assassina – aura di suole sotto un sole d’oro nell’ora più oziosa del doposcuola –; così che le morti si accavallarono alle morti e fecero presa – sono le bocche, che le ragazze si danno dopo un assedio, a occhi socchiusi dopo la resa.


Souvenir del ‘62

C’è l’ombra di un reale schizzato, il singhiozzo dei rami; la luce ristagna grigioverde, specchio di una camicia. A margine, l’alcova del prato, il dramma del cortile. Novecento delle case sotto l’argine, dei primi furti negli orti, delle cosce serrate ai fianchi, dietro la scuola elementare XXV Aprile.


Ha un'arietta l'esserci

Passo, e mi capita improvvisa la posa per un’immaginetta, la perdizione dell’apparire di ogni cosa decisa qui, come un fiotto di fortuna, come la prima volta perfetta mai finita nel sangue, rimasta ariosa, levigata, mossetta numinosa.


o toi qui le savais!

Era la fantasia di primo pelo dei pantaloni corti agli inguini, il trepido inizio. A un passo, adesso il fine assoluto ancora non si scompone: è lunga, e sottile accenna insicura o sorride, felice di non aver saputo.


Sonetto a una sera

A t’à i pè stòrt! da un vento maligno ai riccioli bruni del giocoliere... e tutti frutti i dintorni del campo, carezze fra i rovi, intrecci nelle capanne, la pista per ore immortali nella creta, uguali nei giorni e nei sonni. L’aggiramento. Il piede alla palla, il pneuma al cuoio che piega nell’onda di un’ultima finta di pace, con l’arco inebriante dell’oro sanguigno, oh sera.


La finestra

taglia il superfluo. Forbice del giorno che apre la notte che offre la sua mirabolante ferita; un primo giorno di vita. Era umida di soffice pioggia una sera una via che a parole si era lasciata congiungere. Con due capriole la rosa d’inverno che tratteneva nella sua data un residuo.


Lei

ti sta cercando, se avesse qualcosa di sé, nel piacere che ti culli da millenni, nell’orrore della prova, varcando il niente da una gioia misurata nei confini, dando al sorriso quando si apre lento il tormento del massacro fino al cuore dentro ti infilerà le sue scarpette d’oro, con partecipazione.


A una passante, di Ch. Baudelaire

La strada mi urlava intorno assordante. Lunga, snella, in alto lutto, maestosa passò una donna, con mano fastosa sollevò e soppesò l’orlo a festoni; agile, nobile, gamba statuaria. Teso e inebetito, io mi bevevo, nell’occhio livido dell’uragano, piacere mortale, il succo che ammalia. Luce... poi la notte! – Sfuggente beltà, che a un’occhiata m’ha fatto rinascere, non ti rivedrò che in eternità? Altrove, lontano! tardi! forse mai! Dove fuggivi... e di me non sapevi, oh t’avrei amata, e tu lo sapevi!


Riferimenti Minuta gocciola d’acqua finissima ... (I colori, Niccolò Tommaseo) Ailleurs, bien loin d’ici! trop tard! jamais peut-etre! (A une passante, Ch. B.) Oh qual caduta di foglie, gelida, continua, muta, gelida, su l’anima! (Alla stazione una mattina d’autunno, G. Carducci) Voi morti non ci date mai quiete e forse è vostro il gemito... (La strada di Zenna, V. Sereni) Gravi echi d’archi e strofe d’elegia paion dal lago e dalla selva uscir ... il canto dei rami ... (Corot, G. Camerana). Il mio. La luce gli striscia d’ombre il volto sotto i capelli (Il bambino, Bacchini) E sento in alto fra gli onàri osei fare tinno all’estate (Quello che è vietato, F. Bandini) Morire sì, non essere aggrediti dalla morte (Alla morte, V. Cardarelli) Laboratorio di poesia di Maurizio Cucchi, presso l’Officina Coviello, novembre 2015 - marzo 2016


stampato in proprio nel mese di marzo 2016




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