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Jeff Koons a Palazzo Strozzi

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Marco Oggian

Marco Oggian

Jeff Koons

a Palazzo Strozzi

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a cura di Chiara Moro

L’estetica glitterata e le opere apparentemente ruffiane di Koons dialogano con la simmetria e le forme rinascimentali di Palazzo Strozzi.

Quotazioni da capogiro e opere che pescano dalla fiera contemporanea delle icone mass mediali e fumettistiche, ridisegnandole e dando loro nuovo valore. Jeff Koons appartiene a quella schiera di artisti irriverenti di cui fanno parte il nostro Cattelan e l’enigmatico Hirst, artisti visionari, ironici il cui obiettivo primario è parlarci del consumismo, del cattivo gusto, degli oggetti banali che popolano il nostro quotidiano, scuotendoci, facendoci aprire gli occhi.

La prima volta in cui ho avuto l’occasione di vedere dal vivo le opere di Koons non ero ancora ventenne. Ampie sale dagli alti soffitti erano costellate dalle creazioni dei più grandi artisti contemporanei. Tra tutte un’autoritratto di Koons abbracciato all’ex moglie Ilona Staller, un mezzobusto canoviano a sottolineare il legame con la laguna in cui ci trovavamo. Ricordo bene la fortunata visita a quegli spazi, in un’anteprima realizzata ad hoc per noi studenti d’arte veneziani, guidati dalle parole di Angela Vettese. Parlo della mia fortuna per parlare della fortuna dei molti che in questi giorni visitano Shine, la mostra presso Fondazione Palazzo Strozzi a Firenze, uno spazio magistrale in cui l’estetica glitterata e le opere apparentemente ruffiane di Koons dialogano con la simmetria e le forme rinascimentali del capolavoro fiorentino della famiglia Strozzi, palazzo che accoglie e trasforma, trasformandosi esso stesso.

L’esposizione, a cura di Arturo Galansino e Joachim Pissarro, porterà a Firenze le opere più celebri della carriera dell’artista, dagli anni Settanta agli anni Duemila fino alle sue ultime inedite produzioni: dai primi ready made fino alle più recenti grandi sculture.

L’arte di Koons parla di tensione, di libido, di eccessi, ma nella sua eterea plasticità riesce ad essere confortante, in un costante di rimandi non solo alla quotidianità, bensì alle grandi avanguardie storiche, a Dalì e Picabia, alla pittura francese dell’Ottocento e ancora più indietro a Masaccio. Adottando quella che lui stesso chiama “estetica della comunicazione”, Koons crea un universo di oggetti-feticcio perfettamente riconoscibili realizzati spesso su larga scala che diffonde viralmente padroneggiando, quasi fosse un esperto, tecniche di marketing e strategie pubblicitarie. Le sue opere sondano la cultura popolare, de-familiarizzano oggetti di uso quotidiano attraverso dimensioni esplose e materiali inaspettati. Come il suo Balloon Dog (immancabile un soprammobile a forma di palloncino nelle nostre abitazioni; inoltre da vedere le rivisitazioni di Whatshisname), la sua scultura in porcellana e oro del 1988 di Michael Jackson con la sua scimmia da compagnia, nonché la sua serie Gazing Ball in cui grandi sculture di gesso bianco si arricchiscono di una sfera di vetro soffiato a mano blu.

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