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Marco Oggian

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Volumi scultorei

Volumi scultorei

Design realizzato per la linea di bottiglie Chilly’s

a cura di Chiara Moro

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Solare, brillante, low-key, Marco Oggian mi prende alla sprovvista e l’intervista si trasforma in una chiacchierata farcita di risate. L’enfant prodige italiano della grafica, in fuga dalla terra natia per un mare meno calmo, mi fa spazio sul suo divano raccontandomi la forza dei suoi ideali e la loro influenza sul suo approccio artistico. La ricerca di forme via via sempre più semplificate, oltre ad essere rilevante nel campo di ornamento, astrazione ed estetica, solleva questioni più ampie servendo da strumento popolare per la diramazione di idee e concetti. Da qui il collegamento con gli ornamenti della cultura medievale bizantina e il potere significante della raffigurazione geometrica, generalmente respinta come mera decorazione. Le geometrie di Oggian emergono come un sistema di segni adattabile ad un’ampia varietà di contesti mutevoli, accompagnando la storia dell’uomo, la sua memoria e sottolineando riconoscibili codici culturali.

Design realizzato per il ristorante Mad Perros Pizza

“Marculone” in collaborazione con IAMMI STUDIO

Cosa diresti di te per presentarti a chi non ti conosce?

Sono nato e cresciuto in Italia, ma attualmente risiedo in Spagna nella città di A Coruña. Ho lavorato a più di centocinquanta progetti in tutto il mondo, spesso utilizzando forme semplici e colori vivaci per evidenziare questioni critiche, controverse e sociali. I miei poster e le mie stampe hanno avuto un ruolo di primo piano in molti momenti iconici negli ultimi anni, dalla guerra siriana alle rivolte di Black Lives Matters. Sono sarcastico e schietto, non ho paura di difendere una causa e questo credo sia chiaramente visibile nel mio lavoro. Ho avuto l’opportunità di ampliare i miei orizzonti artistici collaborando con grandi nomi come Nike, Campari Soda, BMW, Vogue, Samsung, Saatchi & Saatchi e Firefox. I miei lavori sono stati pubblicati in più di 30 libri di design, branding, illustrazione e tipografia e alcuni progetti sono esposti in gallerie in città come Parigi, Barcellona, Berlino, Londra, Milano, Seoul, Torino e Tokyo. Ah, sì, presto sarò anche al MoMa.

Come è nato il tuo percorso espressivo? È stato difficile incanalare in un mezzo l’istanza di espressione che hai sentito?

Fin dall’inizio mi è stato chiaro cosa volevo fare. Dalla più tenera età, direi dai due anni, con i primi disegni, ho desiderato un percorso nell’ambito artistico: volevo fare il disegnatore, il creativo. Un po’ per l’influenza di mia mamma, architetto, un po’ per il sapore ricco e frizzante della città in cui sono nato: Venezia. È un obiettivo che ha preso sempre più concretezza con il passare degli anni, non vi sono state folgoranti illuminazioni o svolte drastiche, il mio percorso da designer ha preso forma in maniera naturale, come un qualcosa di organico che piano piano si prende i suoi spazi. Sicuramente anche il duro lavoro, il non demordere e la costanza mi hanno aiutato.

Come racconteresti il tuo approccio progettuale?

Posso ammettere che di base sono pigro; da qui sicuramente deriva la parte del mio lavoro legata alla semplificazione e all’uso di colori basilari. Ho studiato comunicazione e disegno in Svizzera e in quegli anni mi sono concentrato prettamente sul disegno, sulle forme, sulla geometria. La scelta di questi colori primari che ora mi contraddistinguono è frutto di una bella mostra che ho avuto modo di fare a Parigi, sarà stato il 2016 o il 2017. Prima non avevo mai fatto veramente caso al colore. C’è da dire che fin da piccolo sono stato un fan del bianco e nero, colorare non mi piaceva, anzi, direi che fino a pochi anni fa ha continuato a non piacermi affatto.

L’arte e il design possono convivere, unirsi, trasformarsi a vicenda?

Per parlare di design parto da lontano, parto dalla fortuna di essere cresciuto in una famiglia innamorata dell’arte e dalla possibilità di vedere molte mostre e partecipare a molti eventi. Ricordo a quattordici anni, quando ancora si potevano fare esperienze in età così giovane, lo stage per una ditta tessile. Un giorno, un po’ annoiato per le molte ore seduto ad una scrivania, ho realizzato un progetto partendo da vecchi ritagli di stoffe, ricreando con trasformazioni isometriche alcune figure di animali. Quello è stato il mio primo progetto per Zara. Non vedo una reale distinzione tra arte e design, soprattutto nella mia pratica in cui l’apporto creativo si pone in maniera trasversale, applicandosi su diversi media e inserendosi in maniera naturale nella vita di tutti i giorni.

Pocko face, parte della mostra “100”

Ci sono progetti ai quali hai detto di no?

Dire di no non fa per me. Mi barcameno sempre nei progetti più impensabili e alla fine salta fuori che li risolvo, perché alla fine è il mio lavoro. In quanto designer quello che faccio non è creare arte, ma trovare soluzioni. E poi, ad ogni “sì” corrisponde una rete, un mondo di relazioni che si apre, soprattutto ora che, con il mio studio, ci adoperiamo per mostrare la bellezza del creare con un mezzo come il disegno.

Tappeti realizzati da notanotherclassicrug su design di Marco Oggian

Design realizzato per la linea di bottiglie Chilly’s

Football basketball court realizzata a Genk (Belgio) in collaborazione con C-Mine

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