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Davide Ronco
Artificial Formations, Afgangsudstilling, KADK, Copenhagen DK, 2018
A cavallo tra l’opera d’arte e l’oggetto di design, Davide Ronco indaga temi importanti come la caducità, la fragilità e il decadimento, nonché le discrepanze tra l’umano e la natura e il nostro interagire con essa. Nascono così prodotti quotidiani, nati dalla ricerca dei materiali e dalla passione per l’artigianalità nel campo del design sperimentale e dell’arte contemporanea. Che si tratti di sculture, mobili o installazioni site-specific, i materiali si rinnovano, si ritrovano, prendono una nuova veste.
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Botticino X Palazzo Monti, Brescia 2018
Qual è la tua storia? Cosa diresti di te per presentarti a chi non ti conosce?
Farei iniziare questo mio racconto con gli studi in Design del Prodotto presso lo IUAV, un percorso che ha visto la sua evoluzione con una serie di tirocini nel mondo del prodotto sia industriale, sia per la casa, portandomi a diventare un product designer. Nel momento in cui mi sono affacciato al mondo della magistrale, ho scoperto un interessante master in Ceramic Design presso la KADK Royal Danish Academy of Fine Arts di Copenhagen, un corso eterogeneo in cui c’era sì la specificità di una branca di materiali, ma contemporaneamente avrei, con questa specializzazione, aperto la mia conoscenza a nuovi confini. Direi che è da qui che ricomincia la mia storia.
Come è nato il tuo percorso espressivo?
Nato in un contesto artistico, con papà architetto e mamma ceramista, sono cresciuto con un senso estetico molto marcato e ricordo come mia mamma, fin da piccolo, mi abbia iniziato al suo materiale prediletto, sancendo così un invisibile legame, una sorta di impronta domestica all’argilla. Ho iniziato realizzando piatti e pentole. È dal secondo semestre universitario, più teorico, che ho indagato la materia e ho iniziato a scrivere a riguardo del cemento, ponendomi interrogativi sul legame tra naturale e artificiale. Una domanda mi ronzava in testa: se consideriamo il nido di un uccello come naturale, perché non consideriamo anche gli edifici come tali?
Come definiresti il tuo lavoro e come racconteresti il tuo approccio progettuale?
Ho iniziato una ricerca che esulava la risoluzione del problema “natura/artificio”; partendo dalla semplice materia sono stato portato alla creazione di un oggetto e non più di un prodotto. Direi che accolgo l’ibridazione tra design e arte, allargando la mia ricerca ad entrambi i canali, dando vita ad installazioni in cui rendere costantemente visibile la dicotomia tra naturale e artificiale. Il passo successivo è stato l’interazione con le persone: che sia a contatto con la natura o con l’uomo il fine stesso del prodotto cambia.


The Transient Chair, Variabile M, Udine Design Week, Udine 2019



The Growing Stool, Udine Design Week, Udine 2019


È possibile arredare con l’arte? L’arte e il design possono convivere, unirsi, trasformarsi a vicenda?
Mi sembra quasi strano sentire questa domanda perché moltissime delle case di design più belle hanno al loro interno degli oggetti d’arte, pezzi unici che ibridano gli ambienti. Giovani designer creano lampade, mobili, sculture sulle quali potersi sedere, madie inusuali e iconiche… Non c’è più una divisione tra i due settori, il confine è venuto meno e anche gli obblighi tecnici si sono adattati a questa nuova modalità di fruizione di ambi prodotto di design e opera d’arte. Prenderei l’oggetto “vaso” come emblema di questo concetto: è funzionale, è un contenitore per definizione, è un oggetto di design e fintanto che contiene acqua ha una sua specifica mansione, ma è l’unicità a dare la possibilità di elevare questo elemento base delle nostre case a opera d’arte. O la sedia: se vi è una qualche ricerca artistica, questa perderà inesorabilmente di comfort e di funzionalità, ma guadagnerà in ricerca semantica e concettuale.
C Stool, Stereo Exchange, Copenhagen 2020

C’è il rischio di perdere la vera essenza dell’arte davanti ad uno schermo?
Amo la fisicità delle opere d’arte, il loro essere materia che si plasma e di conseguenza il lavorare con forme primordiali per affinare la connessione con il naturale. In questi mesi si è visto un prosperare di musei online; quanto rimane della luce e della tridimensionalità dell’opera nella sua fruizione attraverso lo schermo? Anche parlando di NFT, mi sembra che si sia perso il senso dell’arte in una grande operazione di business in cui l’importante è possedere e non più creare, venendo così meno la parte di ricerca e la più pura essenza dell’arte. La differenza tra opera d’arte reale e la sua fruizione digitale sta nella percezione: perdo la parte emozionale, la suggestione sensoriale, la poeticità.
Un’immagine per rappresentare la tua quotidianità?
In questi anni, a pari passo con la mia ricerca, si è evoluta la passione per le piante. Il mio modo di lavorare si è spostato dall’industriale al naturale, creando un nuovo interesse per l’elemento che ha una vita propria. Nel prendermi cura delle piante vedo qualcosa di questo mio percorso al rovescio, la cura del dettaglio, l’idea di infinito, nel poterne creare sempre di nuove strappando un pezzetto da quelle che ho già. Nel quotidiano il ricercare e allevare qualcosa nel lungo termine richiama la mia ricerca nell’ambito ceramica: ogni test, ogni esperimento mi porta improvvisamente a scoprire come si evolve la situazione. Le piante sono una immagine a me vicina, che rappresenta la mia quotidianità e il mio approccio di ricerca.

W10547867, W11107151 (WHIRLPOOL AWE 6100), Mana Contemporary, Jersey City 2020

Botticino X Palazzo Monti, Brescia 2018
