Loci Scriptorum - Profilo storico della letteratura latina

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4. Dall’età giulio-claudia all’età flavia TESTO 2

Metro: senario giambico 5

Fame coacta vulpes alta in vinea uvam adpetebat summis saliens viribus Quam tangere ut non potuit, discedens ait: «Nondum matura est; nolo acerbam sumere». Qui facere quae non possunt verbis elevant, adscribere hoc debebunt exemplum sibi.

Spinta dalla fame una volpe, in una vigna dagli alti tralicci, tentava di raggiungere l’uva saltando con quante più forze aveva. Non potendo neppure toccarla, così disse mentre si allontanava: «Non è ancora matura, non voglio prenderla acerba». Chi a parole svilisce ciò che non sa fare, ritenga pure riferito a se stesso questo apologo. (Fabulae 4,3; trad. F. Solinas) La mentalità pessimistica

TESTO 3

La favola che apre la raccolta, Il lupo e l’agnello (D TESTO 3), fa trasparire una visione pessimistica della realtà, confermata dalla lettura complessiva dell’opera, nella quale il debole e l’onesto sono sempre vittime e non hanno alcuna possibilità di migliorare la propria condizione né di ribellarsi alle ingiustizie. L’apologo è anche un esempio di quei soprusi che in età tiberiana erano perpetrati anche attraverso la proliferazione dei processi politici. Allo stesso rivo il lupo e l’agnello erano venuti, spinti dalla sete; più in alto stava il lupo, molto più in basso l’agnello. D’un tratto, eccitato da voracità smodata, quel brigante accampò un pretesto di lite. «Perché – disse – mi hai intorbidato l’acqua proprio mentre bevevo?» E il lanuto tutto tremante: «Come posso, di grazia, fare ciò che tu lamenti, o lupo? Da te scende giù ai miei sorsi la corrente». Quello, rintuzzato dalla forza della verità: «Sei mesi fa – disse – parlasti male di me». Rispose l’agnello: «Ma se non ero ancora nato…». «Tuo padre, per Ercole, parlò male di me», e così lo ghermisce e lo dilania. Che morte ingiusta! Fu scritta per certi uomini questa favola, che con scarsi pretesti schiacciano gli innocenti. (Fabulae 1,1; trad. F. Solinas)

Il punto di vista dei ceti subalterni

Fedro è stato considerato, inoltre, il portavoce dei ceti sociali subalterni ai quali non si offre alcuna alternativa se non quella di accettare la realtà adattandosi a essa. Anzi Fedro non esita a sottolineare – anche con il celebre esempio del «re travicello» delle rane – come i cambiamenti siano spesso inutili o portino addirittura un peggioramento. Nella favola a cui si fa riferimento (Fabulae 1,2) le rane, scoperto di avere come re un pezzo di legno, chiedono a Giove un altro sovrano. L’iniziativa è legittima ma allo stesso tempo stolta: le rane ignorano, infatti, che l’alternativa a un potere fittizio è la tirannide e così si ritrovano a subire il regno di un crudele serpente nel quale vi è l’allusione al principato di Tiberio; da qui il monito dell’autore: «Anche voi, o cittadini [...] reggete il male presente, nel timore che ne capiti uno maggiore» (trad. F. Solinas).

Varietà di temi e modelli

La raccolta di favole, a detta dello stesso poeta, è caratterizzata da una certa varietas (Fabulae 2, Prologus, v. 10): si alternano apologhi di derivazione esopica, aneddoti a carattere storico e narrazioni desunte dalle fabulae Milesiae, tipo di racconto a sfondo prevalentemente erotico che deriva il suo nome dalla raccolta di Aristide di Mileto, uno scrittore di età ellenistica. Un’importante novità è anche l’uso del verso: egli infatti abbandona la prosa e usa il senario giambico, il verso in cui erano composte le parti dialogate della commedia latina. La progressiva distanza dal modello della favola esopica si manifesta anche nella scelta dei personaggi: nelle favole di Fedro, oltre agli animali nobilitati da un

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