La bussola 14

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N° 14 Giugno 2013 Rivista bimestrale distribuzione gratuita

la

Bussola Associazione Culturale LiberaMente

SANITÀ Sanità pubblica marchigiana pag. 3

Rifiuti.

oltre la definizione

ANNIVERSARIO Giovanni Falcone pag. 4

TERRITORIO Il fiume Metauro pag. 6


EDITORIALE

La vicenda Stamina Foundation

Giovanni Falcone La mafia non è affatto invincibile; è un fatto umano e come tutti i fatti umani ha un inizio e avrà anche una fine. Piuttosto, bisogna rendersi conto che si può vincere non pretendendo l’eroismo da inermi cittadini, ma impegnando in questa battaglia tutte le forze migliori delle istituzioni.

La Bussola periodico culturale Registrato presso il tribunale di Pesaro il 14.01.2010 registrazione n. 568 n.14 chiuso il 08 Giugno 2013 Direttore responsabile

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2 La Bussola - Giugno 2013

di Felice Massaro

In una paginetta è impossibile fare una sintesi dignitosa ma possono essere riportate solo alcune tappe essenziali, in forma quasi schematica. L’Azienda Ospedaliera Spedali Civili di Brescia, con deliberazione n. 460 del 9 giugno 2011, delinea i termini di collaborazione con Stamina Foundation Onlus di Torino al fine di produrre linee cellulari staminali adulte di tipo mesenchimale/stromale per utilizzo autologo o eterologo da utilizzare nell’ambito della medicina rigenerativa per singoli casi al di fuori della sperimentazione clinica in base al DM 5/12/2006, nel pieno rispetto della normativa vigente e sulla base di principi di scienza e coscienza medica. Acquisito il nulla osta dell’AIFA, il 28 settembre 2011 l’Azienda Ospedaliera e la Stamina Foundation Onlus sottoscrivono l’accordo di collaborazione. Lo stesso Ministero della Salute, dr Casciello, segnala alla famiglia Tortorelli di rivolgersi alla Stamina Foundation e all’Ospedale di Brescia per la cura del piccolo Daniele, afflitto dalla patologia rara Niemann Pick. A partire dal settembre 2011 vengono sottoposte all’Azienda Ospedaliera le richieste di alcuni pazienti di poter accedere alla somministrazione di cellule staminali mesenchimali. Il Comitato Etico dell’Ospedale approva l’accordo ed approva ogni singolo paziente. I medici curanti ed i medici dell’Ospedale, che effettuano le terapie, danno il loro consenso. I pazienti e le famiglie dei minori firmano il consenso informato. La Stamina produce le cellule nel laboratorio dell’Ospedale e le fornisce gratuitamente all’Ospedale stesso.

Quando si sono appena diffusi i primi risultati positivi, l’AIFA decreta la sospensione di tutta l’attività di produzione ed utilizzo terapeutico della linea cellulare di Stamina. I pesanti addebiti rivolti dall’AIFA vengono respinti, davanti al TAR, dalla Stamina, dagli Spedali Civili di Brescia, dalla Regione Lombardia, che contestano minuziosamente, punto per punto, tutti gli addebiti. A tali cure, da quel momento, si può accedere solo mediante autorizzazione giudiziaria. Subito dopo la sentenza favorevole del Tribunale di Pesaro che ordina agli Spedali di Brescia di sottoporre il piccolo Federico di Fano alla cura con cellule staminali, la mamma del piccolo, con l’intento di evitare agli altri genitori il calvario subito, rispolverando il nome di un movimento, si fa promotrice, in collaborazione con la collega siciliana Sampognaro, di una raccolta firme perché tutti i bambini possano accedere a tali cure in strutture pubbliche sanitarie e non soltanto a Brescia. Senza necessità di ricorrere al giudice. In due settimane raccoglie nella provincia di Pesaro oltre 35.000 firme. Tramite Facebook, poi, lancia un appello e la raccolta viene estesa in tutta l’Italia. Oltre 350.000 firme pervengono a Fano, al domicilio di Federico e a Pesaro, presso l’avv. Valentini resosi disponibile per la raccolta dati. In aprile, durante una grande manifestazione a Roma che vede la partecipazione di tanti genitori, le 200.000 firme fino ad allora pervenute, controllate e scannerizzate, vengono consegnate al Presidente del Senato. I Senatori, all’unanimità, accolgono le richieste dei genitori.


SANITÀ Purtroppo, contro l’unica terapia che rappresenta una speranza e molto di più, viene scatenata una tempesta da una decina di ricercatori che nulla hanno da proporre in alternativa. Inveiscono numerose volte su stampa nazionale e mondiale, inviano le loro osservazioni a riviste di livello mondiale facendole passare, tramite la consenziente stampa nazionale, come osservazioni delle stesse riviste.

Viene persino addebitata alla Stamina la morte di alcuni bambini trattati con cellule di una cell factory (Stamina, quindi, era completamente estranea). Tale tempesta consegue, nel mese di maggio, un nefasto risultato legislativo: a tali cure può accedere solo chi le ha iniziate; è prevista una sperimentazione per un paio di malattie alle quali possono aspirare circa 60 persone; tale

sperimentazione va fatta in laboratori farmaceutici, incompatibili con la metodica Stamina, e non in quelli delle strutture ospedaliere. Considerando che le malattie rare e senza terapia sono oltre 6.000, con tale atto legislativo si è praticamente condannato a morte o a una lunga degenza migliaia di persone. Incredibile ma vero.

La sanità pubblica marchigiana un bene da difendere di Patrizia Patrizi

“La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti......” così recita la prima parte dell’Art. 32 della Costituzione della Repubblica Italiana. Può ritenersi ancora valido quest’articolo alla luce di quanto la politica regionale, in silenzio e senza coinvolgere i cittadini e le istituzioni locali, sta cercando di fare? Chiudere gli ospedali minori dell’entroterra, privare i cittadini di servizi sanitari di base quali punti di primo intervento e lungodegenza per gli anziani, riabiltazione e diagnostica di base non è ammissibile. Chi non abita lungo la costa o nei grandi centri urbani non è un cittadino di serie B! Da anni ormai si assiste nel nostro territorio a una discriminazione nell’assistenza sanitaria che penalizza gli abitanti delle zone più decentrate e disagiate Tanto per fare un esempio, avere anche solo un’assistenza domiciliare adeguata per i malati più gravi, diventa difficile

per chi abita queste zone. L’aumento dell’età media pone problemi complessi di assistenza che convolgono anche i familiari degli ammalati. Come si può pensare di avere anziani ricoverati a decine e decine di chilometri dalle loro residenze? In una realtà di questo genere anche dei piccoli ospedali come quelli di Fossombrone e Cagli diventano punti di riferimento fondamentali per il territorio. Non è giustificabile che per mero risparmio di costi si tenti di cancellare la sanità dalla valle del Metauro. Ancora una volta, come per altre recenti vicende regionali, assistiamo al “metodo Spacca”, che decide senza consultare nessuno come se amministrasse una sua azienda privata e non un’ istituzione di proprietà dei cittadini. Chi amministra la regione ha il dovere innanzi tutto di informare i cittadini, di essere trasparente nelle scelte e nelle decisioni e non di agire quasi clandestinamente ignorando qualsiasi principio di concertazione con i

territori. Tutto questo deve avvenire a maggior ragione quando si parla di un diritto inalienabile come la salute. La soluzione non è tagliare servizi ma migliorarli e renderli più efficienti e più economici. Si possono ottenere questi risultati chiedendo la collaborazione di chi tutti i giorni è a contatto con i malati e le loro esigenze, dai medici di base agli operatori sociali agli infermieri. Se ci sono esigenze di risparmio queste devono essere ottenute rivedendo tutte le inefficienze della Sanità regionale e non facendo tagli lineari di spesa sul territorio. Far spostare la gente non genera alcun risparmio, anzi fa aumentare i costi, crea inutile mobilità di ammalati e familiari sia dentro che fuori regione, fa diminuire la qualità dei servizi sanitari e aumentare i costi delle famiglie. E se queste “manovre” non concertate con i territori servissero a favorire la privatizzazione della sanità nella nostra zona? Il sospetto è più che giustificato..... La Bussola - Giugno 2013 3


LEGALITÀ

Giovanni Falcone, l’eccezione che conferma la regola di Ettore Marini (Movimento Agende Rosse della Provincia di Pesaro e Urbino)

Siamo, noi italiani, un popolo di pavidi, di opportunisti, pronti a chinare la schiena al potente di turno, pronti a chiedergli un favore, che poi ci legherà a lui, per anni, per quel debito di riconoscenza. Funziona così col politico a cui chiediamo un aiuto per trovare lavoro, per noi e per i nostri figli; funziona così in Sicilia e in altri posti col “don” del paese, il capo-mafia, a cui si chiede un aiuto per le cose più disparate. E lui, al momento opportuno, ci chiede un favore, in cambio… Ogni tanto scappa fuori qualcuno che non si “piega”, che vuole farcela con le proprie forze, senza chiedere l’aiutino a nessuno; sono le eccezioni che confermano la regola. A Palermo, al Tribunale, ogni tanto c’è un giudice che si mette in testa di cambiare il corso delle cose, di “combattere la mafia”, di essere un “servitore dello Stato” piuttosto che adeguarsi all’andazzo corrente; e se si mette di traverso a certe logiche, e vuole portare avanti “ a tutti i costi” certi processi, allora quei costi possono essere alti, molto alti… Il primo costo, da mettere nel conto, è l’isolamento: i colleghi cominciano a guardarti come uno strano, uno diverso; magari se hai una collezione in ufficio di paperelle di terracotta si sentono ancor più rafforzati in quel sentimento. Uno di questi giudici strani, controcorrente, era Giovanni Falcone; che l’isolamento l’aveva messo nel conto, e, forse, anche di morire, per quella sua volontà di “fare il proprio dovere fino in fondo, costi quel che costi”; ed infatti, a conclusione dello 4 La Bussola - Giugno 2013

splendido libro-intervista realizzato con la giornalista Marcelle Padovanì, “Cose di cosa nostra”, egli scrisse “si muore generalmente perché si è soli o perché si è entrati in un gioco troppo grande. Si muore spesso perché NON SI DISPONE DELLE NECESSARIE ALLEANZE, PERCHE’ SI È PRIVI DI SOSTEGNO. In Sicilia la mafia colpisce i servitori dello Stato che lo Stato non è riuscito a proteggere.”

Si muore spesso perché non si dispone delle necessarie alleanze, perché si è privi di sostegno. In Sicilia la mafia colpisce i servitori dello Stato che lo Stato non è riuscito a proteggere. Così termina l’unico libro che ci ha lasciato Giovanni Falcone, pubblicato nel ’91; e, il 23 maggio del ’92, i servitori dello Stato che lo Stato “non è riuscito a proteggere”, o, direi io a posteriori, non ha voluto proteggere, sono stati lui, Falcone, sua moglie il magistrato Francesca Morvillo, e tre uomini della sua scorta, Vito Schifani, Rocco Dicillo e Antonio Montinaro. La vedova di Vito Schifani, in un’intervista a Samarcanda, si chiedeva chi avesse avvisato i mafiosi da Roma che Falcone era partito improvvisamente quel sabato pomeriggio del 23 maggio 1992, quando lui sarebbe dovuto tornare in Sicilia il giorno prima, per andare

a godersi la mattanza dei tonni a Favignana? Falcone era prudentissimo, nel suo libro elenca tutti gli errori che avevano commesso giudici e poliziotti morti prima di lui; e lui quegli errori, spesso di imprudenza, non li voleva commettere; e decise di partire all’ultimo momento. Ma qualcuno fece la soffiata; chi? Chi voleva la morte di Falcone? Furono solo uomini di Cosa nostra, con Giovanni Brusca, ora “pentito”, a premere il pulsante che fece saltare in aria un pezzo di 100 metri di autostrada, o dietro di loro c’era qualche “pezzo delle Istituzioni”? Le domande attendono ancora, dopo 21 anni, una risposta; di certo c’è che, nel frattempo, Cosa nostra ha smesso di uccidere magistrati, di fare stragi (dopo quelle del ‘92/’93), ma si è messo il doppiopetto e si è trasformata in una mafia degli affari che preferisce operare a Bruxelles per accaparrarsi i fondi europei; e i cittadini, dopo la prima reazione di rabbia, sono tornati al loro quieto vivere, al “tengo famiglia” che domina da secoli la mentalità “italiota”… Tranne ricordarsi di Falcone e Borsellino, le eccezioni che confermano la regola, ad ogni anniversario delle stragi. Oggi c’è un altro giudice, a Palermo, che per non piegarsi alle logiche del potere, vuole a tutti i costi portare avanti un processo scomodo, quello che vede alla sbarra oltre ai vari Riina, Provenzano ecc. alcuni rappresentanti dello Stato, Mancino, Mannino, il generale dei Carabinieri Subranni, e Mori, e De Donno, tutti accusati di aver “trattato” nel ’92 l’addolcimento del carcere duro per i mafiosi in carcere in cambio dell’incolumità del ministro democristiano Calogero Mannino; processo scomodo, molto scomodo, e lui, quel Pm, è Antonino Di Matteo, e non guarda in faccia a nessuno: per lui la Legge è davvero uguale per tutti…E già si è creato un certo isolamento, intorno a lui; il CSM gli ha aperto un procedimento disciplinare e gli sono state recapitate in Tribunale un paio di lettere con minacce di morte. Noi non vorremmo che si ripetesse quanto successo 21 anni fa; che quelle parole scritte da Falcone a conclusione del suo libro valgano, oggi, anche per Di Matteo; e perciò il 23 maggio di quest’anno, oltre a ricordare le vittime della strage di Capaci, parleremo anche di lui, di Antonino Di Matteo, un’altra eccezione che conferma la regola.


RIFIUTI ZERO

Rifiuti oltre la definizione di Cristian Bellucci

“Qualsiasi sostanza od oggetto di cui il detentore si disfi o abbia l’intenzione o l’obbligo di disfarsi”: questa la definizione di “rifiuto” data dall’Unione Europea con la direttiva n° 2008/98/CE. E al di là della correttezza o meno di questo, è necessario tenere ben presente che la parola “rifiuto” è appunto una definizione. È evidente che per eliminare completamente i rifiuti non basterebbe semplicemente chiamarli in altro modo ma cambiare il destino riservato a ciò che si intende buttare, a ciò che per vari motivi si rifiuta. D’altronde, la Natura stessa ci insegna che non esistono rifiuti nei suoi processi: questi sono ciclici, chiusi ed ogni scarto è la materia prima per un nuovo processo, ogni scoria è fonte per un’altra vita. Preso atto che solo gli esseri umani operano per cicli aperti e lineari, per invertire questa rotta è necessario cercare di capire di quali strumenti dotarsi per evitare di generare rifiuti che non siano in realtà materie prime, seconde per altri processi produttivi. È ovvio che prima ancora di pensare a riciclare e riutilizzare i vari materiali di un rifiuto è indispensabile ridurre i rifiuti stessi perché anche la lavorazione di materia riciclata comporta uso di energia, quindi uso di materia per produrla, necessaria anche quando si intercetta quella fornita dalla Natura sia anch’essa quella del sole, sostenibile ed illimitata. Certo, la riduzione dei rifiuti nella pratica presuppone l’acquisto di ciò che è strettamente necessario ed il riuso

di ciò che qualcun’altro non vuole più, quindi il cambiamento profondo di una cultura ormai radicata, un costume, un modo di essere e vivere; cambiamento però ormai inevitabile.

Certo, la riduzione dei rifiuti nella pratica presuppone l’acquisto di ciò che è strettamente necessario ed il riuso di ciò che qualcun’altro non vuole più, quindi il cambiamento profondo di una cultura ormai radicata, un costume, un modo di essere e vivere; cambiamento però ormai inevitabile. Ne consegue che tutti i cittadini sono chiamati a costruire insieme una società a rifiuti zero: è possibile farlo? Ad oggi è difficile immaginare di non generare più alcune tipologie di rifiuti (basti pensare ai rifiuti ospedalieri o agli scarti di processi industriali che vengono avviati all’incenerimento) ma, se per i primi, ad oggi, rimane un grosso punto interrogativo, per i secondi si rende necessaria una riconversione industriale, un cambiamento dei cicli e delle tecniche produttive. Riconversione industriale imprescindibile anche nella produzione dei comuni beni di consumo e degli imballaggi che costituiscono la maggioranza dei rifiuti solidi urbani e la vera problematica: l’obiettivo è quello di produrre solo quello che, alla fine del proprio ciclo di vita, può essere

disassemblato per avviare al riciclo ogni frazione merceologica diversa. L’ultimo anello della catena, importantissimo, sono quelle pratiche alle quali siamo chiamati tutti noi cittadini (parallelamente al cambio del nostro stile di vita) per fare dei nostri rifiuti materia prima per altri processi produttivi: la raccolta differenziata. La separazione dei diversi materiali alla fonte riveste un ruolo importantissimo per chiudere il cerchio della strategia ipotizzata perché l’industria del riciclo ha bisogno di materiale di alta qualità per evitare l’aumento dei costi o, nei casi peggiori, l’impossibilità di usare le materie prime o seconde consegnate che a quel punto sono destinate nuovamente allo smaltimento. Differenziare può essere anche ostico a volte, visti i tempi frenetici del vivere quotidiano e la facilità di buttare tutto in un sacco indifferenziato, ma se si pensasse un po’ più spesso al fatto che quel rifiuto indifferenziato va poi sotterrato in una discarica, generando reflui carichi di materiali altamente inquinanti, o bruciato, generando sostanze gassose anche cancerogene e ceneri pericolosissime che sono comunque rifiuti da mettere sempre in qualche discarica, allora varrebbe la pena di rinunciare a qualche minuto del proprio tempo per separare tutto ciò che può essere separato in casa. È ovvio che per attuare un sistema di separazione spinta dei rifiuti urbani serve un servizio di raccolta diverso da quello vecchio stradale dell’unico cassonetto dell’indifferenziato ma questo, in varie forme, è ormai realtà in ogni comune. Ed è altrettanto ovvio che parallelamente, visto il più alto costo di un servizio, a chi ricicla bene ed in maniera spinta, se da un lato viene aumentata la tassa sui rifiuti dall’altro va diminuita in virtù del minor costo di smaltimento in discarica e del ricavo della vendita delle materie prime seconde. Tutte noi cittadini e tutti noi cittadini siamo quindi chiamati a partecipare attivamente non solo per separare i rifiuti in casa ma anche per ottenere dagli amministratori che ci venga fornito il miglio metodo per farlo ed applicato l’incentivo economico per farlo. Appunto, partecipando!

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ACQUA BENE COMUNE

Il fiume Metauro intervista a Giampaolo Baldelli di Cristian Bellucci

Ho chiesto a Giampaolo Baldelli, geologo, presidente del Club degli Amici di Asdrubale, un’associazione da anni impegnata nello studio della storia locale e in difesa del territorio, di parlarci del fiume Metauro, argomento particolare dei suoi ricordi, dei suoi studi e del suo impegno. Giampaolo, traspare dalle tue parole in pubblico e dai tuoi scritti una grande devozione verso il fiume Metauro: sbaglio? Direi di no: il Metauro è stato per me e molti altri palestra di vita in gioventù, luogo di apprendimento, fonte di esperienze e cultura. In più il Metauro è culla della nostra civiltà, come tutti i fiumi lo sono stati per tutte le popolazioni, è memoria storica: pensiamo solo, per citare 2 avvenimenti tra i più importanti, alla costruzione della consolare Flaminia nel 220 a.C. da parte dei Romani e alla loro vittoria su Asdrubale Barca nel 207 a.C. Non ti sembra che in tanti si siano scordati di tutto questo? Il Metauro se la passa male: in alcuni tratti è ricettacolo di rifiuti, per 3-4 mesi all’anno è irriconoscibile perché, nonostante sia il fiume più ricco di acqua delle Marche, è praticamente a secco e privo di vita. È evidente: fino a qualche decennio fa tutti avevano bene a mente che l’acqua dolce è una risorsa finita e va usata come tale, che va preservata perché fonte di vita per la Flora, la Fauna e per l’uomo. La situazione attuale, considerando che il Metauro presenta aree di grande pregio come SIC e ZPS, dimostra sostanzialmente che una cultura del fiume è finita nell’oblio. Da quando ha prevalso l’uso consumistico, pensiamo di poter 6 La Bussola - Giugno 2013

fare ciò che vogliamo: in barba ai più elementari principi di salvaguardia dell’ecosistema fluviale e alle elementari norme di igiene, è iniziato uno sfruttamento esagerato sia per i prelievi destinati all’uso potabile che irrigui e una pessima gestione degli scarichi industriali e domestici. Di fatto nei mesi estivi viene ridotto a semplice fogna a cielo aperto negli ultimi 20 Km: c’è chi sostiene che si tratti di un vero disastro ambientale i cui responsabili sono la Regione Marche, la Provincia di Pesaro e Urbino, l’ENEL, l’AATO, le società di gestione, il Comune di Pesaro, il Comune di Fano. Parliamo dello sfruttamento. La principale domanda, a voler essere pragmatici, è la seguente: c’è o non c’è l’acqua per tutti nel Metauro e, più in generale, nella Provincia di Pesaro e Urbino? La risposta è no e le ragioni sono molteplici: unica eccezione nelle Marche, che captano acqua dalle dorsali appenniniche, nella Provincia di Pesaro l’80% delle acque sono prese dal Metauro, le reti in pessimo stato hanno perdite che superano il 30%, gli sprechi sono diffusi. L’acqua prelevata dal Metauro viene immessa nel potabilizzatore di San Francesco di Saltara che ha una “produzione” complessiva di 600 litri al secondo di cui 400 per Pesaro e 200 per Fano: va precisato che nel periodo estivo la portata del fiume può scendere anche sotto i 300 litri al secondo e si evita il peggio perché ENEL ne “concede” 200 e si apre in pozzo del Burano. Inoltre è necessario armonizzare le competenze: nella Marche ben 14 Enti si occupano di gestione delle acque con conseguente scarsa

applicazione pratica delle leggi ed una difficoltà negli interventi. Non si possono trovare soluzioni tecniche, oltre a ridurre gli sprechi, per non entrare sempre in emergenza all’inizio dell’estate ed aprire il pozzo del Burano? Quello dello sfruttamento del Burano è una vera assurdità: inquinare volutamente acqua oligominerale di altissima qualità nel fiume per poi ripotabilizzarla più a valle! Di soluzioni tecniche per gestire le risorse idriche se ne potrebbero trovare diverse ma alla base c’è la necessità di conoscere la quantità e la qualità delle acque superficiali e di quelle sotterranee e la loro distribuzione nello spazio-tempo mentre gli unici studi completi sul bacino del Metauro e sulle risorse idriche della provincia sono quelli del Prof. Selli dell’Università di Bologna eseguiti nel 1954 e del 1961. E i prelievi abusivi? La possibilità di sfruttare i pozzi senza limiti? Esiste una normativa regionale che prevede il controllo delle acque dei pozzi: tale regolamento, pur essendo stato emanato alcuni anni fa, non è ancora entrato in vigore. Acqua pubblica o privata? L’acqua, oltre ad essere sorella è anche madre perché dà la vita: minacciandola si minaccia la vita. È un diritto a salvaguardia della dignità dell’uomo ed un diritto universale ed inalienabile: per legge l’acqua è un bene pubblico e tale deve restare e non va assolutamente privatizzata. Qual è la tua opinione sul mancato rispetto della volontà popolare espressa con i referendum del 12-13 Giugno 2011 e sul fatto che poche settimane fa nella nostra provincia solo 9 Sindaci si sono opposti all’aumento delle tariffe? Non sarebbe la prima volta che la volontà popolare non viene rispettata in Italia: spesso i cittadini vengono trattati come sudditi. Il voto favorevole all’aumento delle tariffe nella nostra provincia si spiega con la logica della sudditanza dei comuni dell’entroterra nei confronti della città capoluogo.


COMUNICAZIONE

Spegni la TV e accendi la mente contro la tv generalista di Rodolfo Santini

È il primo elettrodomestico ad essere acceso al mattino in quasi tutte le case italiane e l’ultimo ad essere spento; sovente rimane acceso senza che alcuno lo ascolti; semplicemente per farci compagnia. Immaginiamoci quanta rilevanza ha avuto e tutt’ora ha nella vita di ogni famiglia e dei propri componenti questo apparecchio, che può essere utile ed interessante se informa e produce buoni programmi, ma può essere deleterio e negativo se controllato da terzi, interessati a manipolare l’informazione pubblica e conseguentemente l’opinione di ciascuno di noi; e purtroppo così è, anche se non ce ne rendiamo conto. Assistiamo a risse furiose fra i partiti per accaparrarsi posti determinanti nel consiglio di amministrazione della RAI, se non nell’organo di vigilanza (Agcom) a cui sono legati lauti compensi; puntualmente tutti i componenti sono di estrazione partitica e lascio immaginare quanta imparzialità possano avere nelle loro decisioni, sui programmi, sui telegiornali, insomma su tutta l’informazione generalista. Diversi organismi mondiali di varia estrazione (Reporters sans frontières, con sede in Francia, Freedom House, con sede in America) definiscono l’informazione italiana “con notevoli problemi”e “semilibera”, cioè controllata, al 57° posto dopo il Botswana ed il Ghana, penultimi in Europa dopo la Bosnia Erzegovina, mentre vedono ai primi posti i paesi del Nord Europa, come la Finlandia, la Svezia, ecc. Qual è il segreto? Molto semplice; sanno benissimo che hanno a che fare con una popolazione che non legge giornali, non si informa diversamente se non con la TV, per cui sono consapevoli di

controllare l’opinione pubblica, tramite notizie filtrate, evidenzando i fatti di vita anche cruenti (la uccisione di bambini, come l’omicidio di Vetrana o la casa di Cogne, per cui sono state fatte oltre 100 trasmissioni) che tendono a distrarre l’opinione pubblica verso fatti incidenti sulla sensibilità del telespettatore, finalizzati a distrarre l’interesse verso problematiche magari più incidenti sulla vita politica del paese, quali le ingenti somme spese per gli armamenti, i caccia bombardieri, i sommergibili (giustificate come missittoni di pace), utilizzando magari anche i fondi finanziati dai TFR dei lavoratori. Argomento di cui non parleranno mai. Pare del tutto inutile soffermarsi sulle TV private commerciali, quali Mediaset o la 7, controllate (ovviamente) dal proprietario e in tale condizione operano; si prenda ad esempio le sortite di una programma seguitissimo e giudicato incisivo dalla maggior parte dei telespettatori come “Striscia la notizia” che viene usato a mo’ di minaccia, per chi vuole denunciare un malcostume della pubblica amministrazione, un cattivo funzionamento di un servizio, una truffa subita o tentata; insomma tutti problemi che quotidianamente alcuni di noi sono chiamati ad affrontare. Ebbene proviamo a chiederci la ragione per la quale viene denuciato pubblicamente il ladro di polli, la truffa alla Totò, il raggiro al vecchietto, tutte forme bagatellari di malcostume; mai e poi mai, trasmettono indagini che riguardi un politico, specialmente se appartenente a un certo schieramento; mai e poi mai trasmettono le angherie che quotidianamente vengono perpetrate dai boiardi di stato, da chi

si cela dietro un personaggio pubblico, da chi usa la propria posizione di responsabilità per fini personali. È chiaro l’ntento di spacciarsi da fustigatori dei pubblici (mal)costumi, purchè non si tocchi il potente di turno. Il messaggio che passa è che il programma è rivolto alla difesa dei più deboli, degli indifesi, degli esposti alle trappole dei truffatori. Senza rendersi conto che è un programma che funziona da specchietto per le allodole, distraendo l’attenzione del cittadino su reati o raggiri di scarsa incidenza sociale; sono convinto che il programma non ha mai fatto un servizio sulla corruzione della pubblica amministrazione, che costa la bellezza di 80,00 euro al mese per ogni cittadino italiano. Per cui se la TV non ne parla, il problema non esiste; questa è la logica conseguenza. Senza parlare dello spazio notevole dedicato alla cronaca rosa, dei VIP che si sposano, che si lasciano; le sfilate di moda, ecc.; tutte futilità che occupano spazi importanti, di cui la gente comune è ghiotta, ma che hanno sostituito le vere notizie, necessarie per avere una informazione corretta ed equilibrata; non a caso gli unici giornali/rotocalchi in crescita sono quelli a contenuto del “gossip”; è pur vero che servono per distrarsi, come spesso si sente dire, ma mentre ci si distrae, c’è chi decide per noi e non solo. Per non parlare poi delle trasmissioni relative al mondo del calcio, che vengono propinate a tutte le ore ed in tutte le salse; non c’è italiano che non sia tifoso di una squadra e che occupa il suo sapere con notizie completamente inutili, passando il proprio tempo libero davanti a partite di calcio che assorbono tutto il proprio sapere. La storia non ha insegnato nulla purtroppo; anche nell’antica Roma, i regnanti usavano distrarre i sudditi con i giochi del circo Massimo, all’insegna del ”panem et circenses”. Appunto, i SUDDITI, non certo i CITTADINI. Ecco perché è necessario che si capisca la negativa incidenza della TV generalista, sulla opinione pubblica, che va a discapito dell’informazione corretta ed equilibrata del cittadini, per poi poter decidere con consapevolezza e serietà; in sostanza questo apparecchio infernale viene usato come “arma di distrazione di massa”; per cui, in questa situazione, non rimane che SPEGNERE LA TV E ACCENDERE LA MENTE.

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MODELLI DI SVILUPPO

Decrescita contro Sviluppo in nome del Progresso di Simone Santini

Sviluppo e Progresso sono concetti estremamente complessi, ma se si vuole ridurli all’essenziale, per una comprensione immediata ed intuitiva, alcuni banalissimi esempi possono fare al caso nostro. Due mamme accompagnate dai rispettivi figlioletti si incontrano dopo un lungo periodo di tempo. Una delle due esclama: “Oh, ma tuo figlio quasi non lo riconoscevo più! Com’è cresciuto,come si è sviluppato!”. Una madre a colloquio con l’insegnante del figlio: “Mario ha cominciato l’anno abbastanza male ma ora si sta impegnando molto di più, specialmente in matematica. Ha fatto notevoli progressi!”. Entrambi i concetti dunque, sviluppo e progresso, si possono accordare ad un terzo: crescita. Lo sviluppo tuttavia sottende una crescita di tipo materiale, quantitativa. I paesi in via di sviluppo sono tali perché hanno grandi tassi di crescita del PIL, il prodotto interno lordo, che indica i livelli di produzione destinati al consumo, agli investimenti, alle esportazioni. Anche il progresso indica una crescita, ma una crescita di tipo qualitativo: si parla di progresso per le conquiste dell’intelletto (in campo scientifico e tecnologico, ad esempio), ma anche in rapporto ai diritti sociali e civili, o addirittura spirituali, come maggiore coscienza di sé, della propria umanità. La storia dell’Occidente, almeno dalla rivoluzione industriale in poi, ha cercato di raccordare sviluppo e progresso in nome della crescita, quasi a renderli indistinguibili ed univoci. I paesi più sviluppati, che crescevano quantitativamente, proprio per tale 8 La Bussola - Giugno 2013

motivo si auto-definivano anche più progrediti, in cui si avevano maggiori possibilità per l’affermazione della democrazia e dei diritti umani. La crescita economica portava necessariamente verso sistemi liberi, aperti, democratici. Sviluppo significava Progresso. Forse tutto questo non è mai stato vero ma solo frutto di mistificazione. Oggi, tuttavia, appare sempre più evidente il divorzio lancinante tra sviluppo e progresso laddove la crescita risulta impossibilitata. Mentre in Italia la classe politica (ma anche quella sindacale, o intellettuale del mainstream), da destra a sinistra, ripete come un disco rotto il mantra di una crescita che non arriva mai, in alcune (ancora) nicchie antisistema comincia a farsi strada un termine dal suono strano e per molti difficilmente comprensibile: decrescita. Talvolta alcuni vi accostano l’aggettivo felice, altri parlano di decrescita in quanto tale. L’idea della decrescita comincia ad essere sdoganata, ancora timidamente, in televisione e nei talk show. Quasi sempre fraintendendola e banalizzandola, quasi si trattasse di un richiamo alla vita bucolica, un utopico e vago ritorno alla natura, e tuttavia indicando l’inizio di un cambiamento di fase, come diceva Gandhi, secondo cui prima ti ignorano e poi, non potendoselo più permettere, ti deridono (gli stadi successivi sono: ti combattono… e poi vinci). Perché ora si comincia a parlare di decrescita? Il motivo essenziale è che il mondo occidentale sembra arrivato ai limiti dello sviluppo. L’allarme lanciato fin dagli anni ’70 dal Club di Roma pare

oggi condensarsi sotto i nostri occhi. Crisi ambientale, crisi delle risorse non rinnovabili, crisi alimentare e dell’acqua, crisi economico-finanziaria, crisi demografica, crisi della coesistenza di civiltà, tutte insieme stanno giungendo a maturazione fondendosi in un intreccio inestricabile e dirompente. L’equilibrio con la natura è stato spezzato. Lo sviluppo occidentale, tendente ad una crescita infinita in un sistema finito di risorse (il pianeta terra) è entrato in crisi, e con esso il presunto connubio tra sviluppo e progresso. Basti guardare alla crisi italiana: i governi, affidati ai tecnici e non più sanciti dalla volontà popolare, hanno l’obiettivo dichiarato di “tranquillizzare i mercati”. Allo stesso modo il Presidente della Repubblica non può dimettersi con qualche settimana di anticipo, per permettere al suo successore di sciogliere le Camere e tornare al voto, e si affida ad una sorta di governo ombra composto da “saggi” perché altrimenti i mercati, ancora loro, “non capirebbero”. Ecco che in nome della crescita, dello sviluppo, il progresso democratico della Nazione è messo in frigorifero in attesa di tempi migliori. Finché tutto va bene si può fare finta che sviluppo e progresso coincidano, ma quando ci si scontra coi problemi, è il progresso a dover cedere il passo allo sviluppo. Il motivo è evidente: il progresso è sacrificabile perché è connaturato allo spirito ed alla coscienza sociale dei popoli, valori che si possono trascurare, a quanto pare; lo sviluppo no, o meglio, l’idea dello sviluppo e della crescita non può essere mai accantonata perché mettere in discussione il dogma significa far cadere tutta la civiltà socioeconomica che ci siamo costruiti come Occidente in alcuni secoli. Una civiltà, il capitalismo finanziario e consumista, che crollerebbe come un castello di carte perché si basa sul presupposto della crescita infinita: o cresce sempre o implode. tLa decrescita può rompere questo meccanismo perverso, svelare l’illusione fideistica. Spesso si vuol far credere che recessione e decrescita siano la stessa cosa. Sono intimamente diverse: è la differenza che passa tra la fame perché non si ha cibo, e la dieta per migliorare la qualità della propria vita. Questa è l’essenza del cambio di civiltà che ci troviamo di fronte. O non cambiamo, mantenendo inalterato un modello di crescita che tuttavia non crescerà mai più, destinandoci alla


SOCIETÀ “fame” dentro un medioevo prossimo venturo; oppure cambiamo il modello, ci mettiamo a “dieta”, perché si può vivere meglio con meno. Dobbiamo farlo, da subito. Questo mondo è diventato troppo piccolo per sette miliardi di persone (asiatici, africani, sudamericani) che

cominciano a crescere come hanno fatto gli occidentali. Se non saremo i primi a metterci in discussione e segnare una forte inversione di rotta, se continueremo come se nulla fosse a contenderci le risorse necessarie alla nostra vita invece di cominciare a condividerle equamente,

;) J< 3 =/ :C -_- =D L = P 8-) *_* ovvero: “ la Digital generation” di Gloria Battistelli (Psicologa-Psicoterapeuta)

Negli ultimi anni i genitori si sono trovati di fronte ad un cambiamento epocale, la comunicazione ha subito e sta subendo grandi e profondi cambiamenti. Oggi bambini e ragazzi fanno largo uso delle nuove tecnologie per svolgere numerose attività: giocare, studiare ascoltare musica o guardare un film si fa direttamente dal computer. Vorrei ora fare un salto nel “passato”, a quando ero ragazzina: per approfondire uno specifico argomento veniva assegnato come compito fare una ricerca, lo scopo era “incontrarsi”, stare insieme, essere un gruppo. A volte osservo i ragazzini, gli adolescenti che incontro ogni giorno nel mio lavoro e mi chiedo dove sia finito tutto questo. Lo abbiamo ancora, lo abbiamo perduto… o forse è cambiato? Per svolgere una ricerca oggi non ci si incontra più a casa dell’amico, non si ricorre più ai pesanti volumi dell’enciclopedia divisi per lettera, basta collegarsi ad internet, utilizzare un motore di ricerca, digitare la parola chiave o l’argomento. Ci si incontra in rete. Anche l’incontro quindi cambia; magari i genitori son più tranquilli perché i figli non escono più incontrandosi nelle vie o nelle piazze, ma attenzione perché nulla può divenire più pericoloso della rete. La rete nasconde anche trappole in cui un bambino può facilmente cadere, trovandosi esposto a numerosi pericoli: pornografia, pedofilia, istigazione all’odio e alla violenza, banner pubblicitari

che offendono la morale. Oggi nella cameretta di un bambino oltre alla TV, trova spazio il computer con cui si naviga in internet o si gioca ai videogames o si gioca addirittura in rete, spesso accade la sera, prima di prender sonno, un’abitudine nuova rispetto a quella del passato quando ci si addormentava ascoltando una fiaba letta dai genitori. Ecco così la prima cosa che perdiamo la qualità della relazione. Nella famiglia si stabiliscono reti di relazioni e di comunicazione, emotiva, affettiva necessarie alla costruzione della propria identità. Tutto ciò non può essere delegato, i mass media, i coetanei, i social network e il mondo virtuale non possono sostituire la base sicura che può essere esercitata dai soli genitori. Gli adolescenti di oggi sono degli empiristi e quindi agiscono senza progettare l’azione e senza nemmeno chiedersi quali ne siano le conseguenze. Del resto la “digital generation” non ha radici, vive in un mondo che c’è quando si accende il computer, scompare quando lo si spegne. Se dopo un attimo lo si riaccende, riappare ma ha caratteristiche che non hanno alcun legame con il precedente, per cui si tratta di un nuovo mondo che dura la frazione del tempo in cui si mostra e si consuma. L’adolescente ha quindi un comportamento del tipo stimolorisposta: se c’è uno stimolo è possibile una risposta, ma se manca egli

se continueremo a depredare gli altri pensando che non stiano approntando i mezzi per difendersi… andremo dritti, in onore dello sviluppo e della crescita, verso la totale negazione del progresso umano: la guerra.

è nel vuoto. Una conseguenza? Il piano relazionale: la perdita della comunicazione “faccia a faccia”, perdita dell’identità personale; nello spazio virtuale si esibisce il proprio profilo, che può essere diverso dalla propria identità, si scelgono le amicizie, si scambiano opinioni, si ottengono conferme di amicizie e…”più amici ho, più valgo...” Si crea una sorta di “disincarnazione” il soggetto diventa ciò che comunica in un “analfabetismo emotivo” in cui si crea una mancanza di consapevolezza delle proprie emozioni, ed un incapacità a riconoscere quelle dell’altro. L’unione tra il reale ed il virtuale può portare l’adolescente alla moltiplicazione dell’identità. In un video gioco tipo “killer”, si può giungere ad uccidere 900 sagome umane in 3 minuti, o il famoso GTA, che tanti ragazzi hanno nelle loro camerette, in cui si interpreta un criminale che per guadagnare soldi e farsi una reputazione all’interno della città in cui si svolge il gioco, dovrà scontrarsi con i criminali. Si perde la cognizione del tempo, il tempo si dilata, diventa infinito, ci si immedesima nei personaggi minacciando la costruzione della propria identità. E’ necessario allora connettere le generazioni attraverso una reciproca educazione, incoraggiando la comunicazione tra adulti e bambiniragazzi, promuovere il dialogo tra genitori e figli. Il mondo della rete è parte importante della realtà di tutti. Non è più possibile demonizzarli è invece necessario imparare ad interagire con questi nuovi strumenti e con le possibilità che ci mettono a disposizione. Non è creando falsi profili o scoprendo password che si “controllano” i figli, è l’atteggiamento che un genitore assume nei confronti dei propri figli che è fondamentale nel determinare un corretto atteggiamento e comportamento dei bambini o dei ragazzi nei confronti delle nuove tecnologie. “Perché fare il genitore è un impresa creativa, un’ arte più che una scienza”. La Bussola - Giugno 2013 9


EDITORIALE

Il film di Walter Bisello Take shelter

regia di Jeff Nichols 2011

Curtis LaForche (Michael Shannon) è un uomo tranquillo che vive in una piccola cittadina dell’ Ohio, assieme alla moglie Samantha (Jessica Chastain) ed alla figlioletta Hannah, colpita da sordità acquisita. Il quadro familiare verrà ben presto turbato dalle visioni oniriche di una imminente apocalisse da parte di Curtis con conseguenze inaspettate. È l’inizio in cui una sottile linea rossa demarcherà il labile confine tra sogno e realtà. “Take Shelter” è stato accolto con grande entusiasmo nel 2011 al Festival di Cannes, aggiudicandosi il Gran Premio della Giuria. Il notevole impianto visivo è accompagnato da una superba

10 La Bussola - Giugno 2013

interpretazione dei protagonisti, quest’ultimi diretti da una regia attenta a non perdere l’ evidenza oggettiva degli eventi. Il film affonda le radici nelle nostre paure recondite con tutte le inquietudini quotidiane: la perdita dei propri cari e con loro le certezze della conquistata serenità. La visione cataclismatica si appalesa come un’ immane tempesta di matrice biblica che avvertiamo come una minacciosa ed incombente presenza per l’intera durata del film attraverso una regia dettata da una visione obliqua della realtà, in cui il nostro sguardo è ostaggio delle oscillazioni destabilizzanti del punto di vista del protagonista. Percepiamo tale tempesta in ogni immagine, in ogni sguardo dei protagonisti attraverso suggestioni ambientali ed incisività narrativa, sottolineati da una pulita, ma mai algida fotografia di Adam Stone. Inoltre i campi lunghi della macchina da presa “delimitano” un proscenio dai confini indefiniti sul quale si dovrebbe abbattere la tempesta, scalzando ulteriormente le nostre sicurezze. Il “contesto” in cui viviamo non offre rifugi. L’ ipnotica colonna sonora di David Wingo è solidale con la costruzione ansiogena dell’ opera, stillando inquietudine al livello subliminale. La magistrale interpretazione in sottrazione di Michael Shannon,

assegna una importante rilevanza semantica all’ attività percettiva, esprimendo con eleganza minimalista e con notevole intensità il suo imploso universo emotivo con tutte le sue sfumature psicologiche in un crescendo emozionale fino allo splendido finale. Il personaggio di Jessica Chastain fa da ideale contraltare a Michael Shannon; il suo talento attoriale descrive con convinzione l’angoscia e l’ inadeguatezza di fronte agli eventi che minano la tranquillità familiare, sentimenti che comunque non depauperano la sua forza nell’ amare ( “Amore, non c’è nessun temporale fuori” ). Il regista Jeff Nichols ha affermato che un‘ansia generalizzata attanaglia la nostra società, una società in cui l’Uomo ha cessato di cercarsi, in cui ogni conquista è dubbia e spesso siamo spinti a fossilizzarci nelle nostre incertezze, nelle nostre paure, cercando disperatamente un rifugio, ma l’ unico e rassicurante rifugio è l’abbraccio della persona amata. Il poeta Fernando Pessoa scrisse “ Ho pensieri che la mia anima teme” ( estratto da “ Il Violinista Pazzo” ed. Mondadori ). Credo che egli non avesse torto.


EDITORIALE

Il libro di Cristian Bellucci Invece della catastrofe – perché costruire un’alternativa è ormai indispensabile Giulietto Chiesa Piemme pp. 291 - 2013 - 17,50 euro

Nella vita quotidiana di ognuno di noi la crisi ha assunto i tratti di un personaggio da tragedia antica: il fato, il convitato di pietra, una

presenza immanente e ostile, eppure inafferrabile. Conseguenza inevitabile quando gli effetti di una congiuntura globale sono ormai alle porte delle nostre case, colpiscono le nostre vite, corrodono la speranza di un futuro per i nostri figli e sgretolano ciò che davamo per scontato: stile di vita, lavoro, salute, istruzione. C’è la sensazione diffusa che tutto ciò sia solo la punta di un iceberg, che queste perdite siano in realtà le estreme propaggini di un enorme buco nero in espansione. Ma mancano le prove, perché nessuno dice veramente come stanno le cose. C’è un silenzio colpevole perché interessato da parte dei pochi che sanno. “Invece della catastrofe” vuole svelare le tremende verità che ci vengono nascoste e lanciare un

drammatico appello alle coscienze. La crisi economica è solo un aspetto del problema. Crisi climatica, ambientale, energetica, demografica, crisi dei rifiuti, crisi dell’acqua sono tutte strettamente connesse. L’illusione degli ultimi tre secoli che in un sistema finito di risorse fosse possibile una crescita infinita si è definitivamente infranta. L’umanità sta andando a marce forzate verso la catastrofe, una catastrofe immane rispetto alla quale le due guerre mondiali che abbiamo vissuto saranno rappresentazioni secondarie e minori. Un cambiamento di rotta è ancora possibile, ma i tempi per questa trasformazione sono ormai stretti...

Dalla terra alle tavole di Paola Bacchiocchi

PILOSELLA Utile nella cura di malattie infettive, efficace contro la febbre. Per uso esterno è un astringente per ferite, tagli, abrasioni e ulcere della pelle.

TRIFOGLIO DEI PRATI È un cicatrizzante. Si possono usare i fiori freschi leggermenti spremuti e appliacarli sul ferite avvolto con un cerotto.

CAMOMILLA Ha un azione sedativa e proprietà antifiammatorie. Accellera la cictrizzazione delle ferite e combatte le infiammazioni della cute. L’infuso di fiori non deve superare i cinque minuti perché provoca insonnia.

Prima della raccolta assicurarsi sempre che quelle individuate siano le piante indicate, vista la somiglianza con altre piante e fiori. Questi fiori sono indicate per infusi o per colorare delle insalate. La Bussola - Giugno 2013 11


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