

INDICE
Prefazione
Introduzione
capitolo 1
Allestire il sogno:
il mondo poetico di Mendini
capitolo 2
Le performance dell’abitare
Uno spazio etico 07 11 17 33 111
capitolo 3
Alessandro+Alessandro di Alessandro Guerriero
Una “via lattea culturale”
Una vocazione all’utopia
L’ibridazione mendiniana delle arti
Le mise en scène con gruppo Alchimia
Casa per Giulietta
Un milione di domani
Robot sentimentale
Black out
Soli
Interno di un Interno
Shama
Le mie prigioni
Il quadro affettivo degli allestimenti
La casa come sceneggiatura della vita
Abitare è arredare
Bibliografia
INTRODUZIONE
UNA “VIA LATTEA CULTURALE”
Nell’architettura degli interni ideata da Alessandro Mendini si riflette una dimensione intima e visionaria, dove la casa diventa racconto e l’allestimento una forma di scrittura.
Oltre la logica delle relazioni funzionali tra spazio e oggetti, dai suoi scenari interni emergono mondi sospesi, in cui realtà e sogno si intrecciano in un racconto sfaccettato dell’abitare contemporaneo. I luoghi immaginifici da lui ideati sintetizzano, più di altri suoi pluripremiati lavori, non solo la complessità dell’esistenza quotidiana, ma anche una filosofia progettuale profondamente identitaria, fondata sullo spazio dell’abitare come esperienza umana essenziale.
Il sodalizio di Mendini insieme con Studio Alchimia di Alessandro Guerriero, sviluppatosi tra la fine degli anni Settanta e l’inizio degli anni Novanta nel contesto della città meneghina e durante un forte fermento artistico, diventa un episodio peculiare di estremo valore culturale. Nonostante si tratti di figure ascrivibili apparentemente al solo contesto dell’industrial design, l’empirico duo si configura invece all’interno di un «ambito di riflessione metalinguistica sull’idea stessa di progetto e, più in generale, sulla condizione antropologica dell’uomo nell’epoca postmoderna, o “neomoderna” come preferisce chiamarla Mendini»1.
ALLESTIRE IL SOGNO: IL MONDO POETICO DI MENDINI
Alessandro Mendini è uno tra i principali protagonisti del design internazionale, riconosciuto e riconoscibile in tutto il mondo per uno specifico linguaggio espressivo, dove la forma del prodotto è affidata soprattutto alla composizione cromatica, che non è mai solo decorativa, ma sempre strutturale, arrivando così a progettare architetture significative e viste come punti di riferimento nello scenario contemporaneo della progettazione. Dal 1979 al 1991, Alessandro entra a far parte dello Studio Alchimia, gruppo di radical design tra i più noti in cui l’idea portante alla base di questo episodio progettuale è il concetto di ibridazione tra le arti. Tale impegno è per lui fondamentale a livello formativo perché lo avvia verso una concezione del tutto nuova del design radicale e dell’architettura neomoderna, in un colloquio sempre più calligrafico, coloristico, romantico, ma anche problematico, con il progetto. Da quel momento Mendini si crea una propria immagine professionale, costruendo un mondo fiabesco fatto di oggetti bizzarri, mobili eclettici, prodotti insoliti, pitture introspettive, scritti fantasiosi, ambienti e installazioni immaginifiche: tutte situazioni, spesso intrecciate fra loro, che sono complesse, polemiche, ma specialmente paradossali, ironiche e letterarie. Sono gli allestimenti mendiniani-alchemici.
L’ibridazione mendiniana delle arti
Mendini prevede per gli anni Ottanta una attività sperimentale e frantumata, in un’epoca caratterizzata dalla più ampia degradazione ambientale, in cui non si compiono i presupposti per la nascita di un’architettura popolare. Egli si sofferma a osservare una serie di gesti primordiali come dormire, mangiare, respirare, ovvero problemi fondamentali per l’umanità ma condizionati da un’oggettistica sempre più funzionale e meno comunicativa; quindi, bisogna puntare a un recupero del vivere in una realtà progettuale «oscillante tra la nostalgia di un passato culinario irrecuperabile, l’avvenirismo di esasperanti sofismi tecnici e gastronomici, la realtà di un cibo politico, duro e crudele»4.
I temi affrontati durante questo periodo riguardano il dilagare di un’epoca informatica, della necessità di abitare la casa in modo dinamico; a tal riguardo, negli ultimi tre anni alla direzione di “Domus” Mendini concentra la sua attenzione sul problema dell’abitare:
Vorrei che esse avessero, come principale caratteristica, quella di essere naturali, come il quieto paesaggio di una vallata, mobilissimo nella sua immobilità. Arredare, infatti è un gesto naturale, prima di essere un progetto5.
“Domus” così penetra nel rapporto tra stanze e persone, dove l’arredo è un fenomeno istintivo che l’uomo compie sullo spazio, come una sorta di vestito; quindi, l’arredamento della nostra casa diventa il teatro della vita privata, quella scena dove ogni stanza permette il cambiamento, la dinamica degli atteggiamenti e delle situazioni: è la casa palcoscenico6.
Mendini è sempre più attratto dai colori, dai decori e dalla forma intesa come mezzo di indagine introspettiva ma anche in qualità di strumento di autoironia personale, indicando così una nuova era del mobile, quella neomoderna. Dal 1988 fonda, insieme con Guerriero, e dirige anche la rivista sperimentale “Ollo”, che rappresenta un
esempio di nuovo sviluppo della comunicazione, all’interno della quale si affrontano discorsi di arte, design e moda intrecciandosi in un discorso unitario. Si tratta di un centinaio di pagine sciolte contenute in una custodia di cartone, senza un ordine preciso né un inizio e una fine, con una quantità ridottissima di testo. Le pagine del periodico vengono stampate solo da un lato, caratterizzandosi da motivi tratti dall’“alfabeto Ollo” che, più che «dare risposte, sollevava domande»7. “Ollo” si propone come una rivista senza messaggio, evitando posizioni critiche esplicite, ma presentandosi come un contenitore divulgativo nel quale si inseriscono messaggi comunicativi e informativi attinenti al campo del design. Questo perché la rivista si presenta già di per sé come oggetto di design, dalla confezione progettata come un elemento decorativo alla grafica adottata per le lettere. Rispetto alle altre esperienze editoriali, con questa impostazione poliedrica e del tutto inedita Mendini e Guerriero cercano di mantenere viva l’attenzione del lettore per un tempo più lungo rispetto al consueto: rendono la pubblicità un aspetto progettuale più importante rispetto alla componente redazionale. Di conseguenza la parola scompare e il testo si azzera lasciando emergere la componente visiva delle immagini e dei colori. A proposito del periodico, Mendini scrive:
«Ollo» è un paradosso e un’ironia quasi non esiste nemmeno. La parola è bella e simmetrica, si tratta solo di un fonema. È l’idea di una rivista priva di messaggio e di testo, è un insieme di sole immagini considerate eccezionali, nasconde le pagine pubblicitarie fra quelle redazionali, non dà successioni logica alle pagine ma le tratta come carte da gioco, è gratis ma contiene un costoso gadget8.
La rivista, dunque, non è solamente espressione del passaggio storico e culturale tra gli anni Ottanta e Novanta, in cui le tecniche di produzione generale iniziano a diversificare unitamente fasi industriali a fasi artigianali, ma è soprattutto un nodo cruciale nella concezione progettuale di Mendini. Il valore della parola, sempre prioritario nel suo lavoro figurativo, comincia sempre di più a integrare e a dare maggiore risalto a quello
+ ALCHIMIA. ALLESTIRE L’ABITARE • Isabella Giola
LE PERFORMANCE DELL’ABITARE
La collaborazione di Alessandro Mendini con Studio Alchimia, avviata a partire dal 1979, è indubbiamente una delle esperienze più propulsive della sua carriera professionale e della sua vicenda intellettuale, permettendogli di investigare e approfondire la ricerca creativa sull’articolazione spaziale. Questo perché Alchimia è stata specialmente un luogo di ricerca sul design attraverso le arti, l’architettura, lo stile: un contesto culturale sviluppatosi a partire dalla contaminazione dei linguaggi. Inoltre, leggendo il manifesto del gruppo si trovano moltissime affinità con l’approccio di Gio Ponti – “Maestro mediterraneo” per antonomasia per Mendini – in merito al “pensiero sentimentale”1 in cui riecheggia il bisogno di favola e la “con-fusione” delle discipline artistiche in funzione di un progetto unitario2.
I riferimenti artistici e poetici nei quali Alessandro si è imbattuto finora vengono assunti da lui come una responsabilità da ottemperare nei confronti di una tradizione a cui si è variamente ribellato nel corso di tutti gli anni Settanta. L’approccio del giovane architetto è sempre teso a esaltare la sintesi delle arti come ibridazione eclettica il cui mezzo espressivo diviene per forza la “comunicazione”. È proprio per questo che l’allestimento
ROBOT SENTIMENTALE
• Milano-Roma, 1983
Robot sentimentale segna uno dei primi esperimenti del gruppo Alchimia nell’ambito della fusione tra estetica e interesse commerciale, tentando di trasmettere un messaggio poetico e di natura introspettiva in un contesto fortemente rappresentativo e d’immagine. Si tratta, infatti, di un allestimento commissionato dall’azienda italiana Mobili Italiani Moderni, specializzata nel settore del design e dell’arredamento, con lo scopo di promuovere il suo nuovo investimento nella produzione di sistemi d’ufficio [18]. Tale occasione diviene così un’opportunità per lo studio alchemico di esplorare e reinterpretare il concetto dello scenario d’ufficio, in qualità di «paesaggio neomoderno»55, un ambiente che si fa specchio di una riflessione più ampia sulle trasformazioni sociali e culturali all’interno del rituale quotidiano del lavoro. Mendini e Guerriero, insieme ai loro collaboratori, portano avanti un processo di analisi radicale e scomposizione del paesaggio dell’ufficio informatico contemporaneo. In questo caso, l’arredo non è solo oggetto funzionale, ma diventa il mezzo per indagare e sensibilizzare su una questione di natura anche etica. Le esposizioni presentate a Milano e Roma nel 1983 riflettono questo approccio, esplorando le polarità della realtà lavorativa: da un lato la natura, dall’altro la tecnologia o, meglio, l’anti-natura. In questo contesto, l’ufficio non è rappresentato come un semplice luogo di lavoro, ma come uno scenario complessamente trasformato, in cui un processo di “naturalizzazione” conduce lo spazio a una vera e propria “giungla” tropicale [19]. Vegetazione e piante rampicanti invadono le postazioni individuali, così come i computer e le sale riunioni: la natura si impossessa di un ambiente alienante e spersonalizzante56. Le sedute stesse, che riprendono le fattezze dell’intramontabile Poltrona di Proust di Mendini, evocano invece

18. Alessandro Mendini e Alchimia, Robot Sentimentale. Il paesaggio dell’ufficio informatico. Allestimento con Eulero System, Invito (recto/verso), 10x21 cm dell’Allestimento-Performance presso MIM, Piazza Augusto Imperatore 35-39, Roma / 19 Maggio 1983 a cura di Francesco Moschini A.A.M. Architettura Arte Moderna / Presentazione di Costantino Dardi.
Courtesy: FFMAAM | Fondo Francesco Moschini A.A.M. Architettura Arte Moderna © Eredi Alessandro Mendini; Gabriel Vaduva | Archivio FFMAAM. un richiamo all’arte e all’artigianalità, inserite quasi a colmare il vuoto di un paesaggio sempre più disumanizzante e meno caratterizzato57. A completamento dell’allestimento, si è deciso inoltre di racchiudere ogni singola postazione all’interno di pannelli in plexiglas: perché, se da un lato l’incombere del mondo vegetazionale possa suggerire un ritorno e un richiamo
BLACK OUT
• Triennale di Milano, 1985
Altra attitudine, invece, sembra avere l’installazione di Alessandro Mendini (progettata insieme con Alchimia e Anna Gili) alla Triennale di Milano del 1985 dal titolo Le affinità elettive, ideata e curata da Carlo Guenzi e nata dalla collaborazione fra la Triennale di Milano e l’Ente Comunale del Mobile di Lissone. L’iniziativa appare come una sorta di ritorno alle origini per l’istituzione culturale milanese, che proprio in Brianza è sorta e si è affermata. É qui infatti che diviene un valido punto di riferimento culturale per un modello produttivo piuttosto singolare, creato da un gran numero di imprese, ricche soprattutto di fantasia, iniziativa e coraggio: una mostra basata sul legame con le proprie radici e su tematiche importanti, come i problemi posti dalla evoluzione storica dell’economia e della società e dalla nuova rivoluzione tecnico-scientifica in atto75.
Questa mostra può essere vista come un lungo viaggio alla scoperta delle idee e dei sentimenti e nel territorio delle finezze operative, delle tradizioni tecniche, delle invenzioni. Ventuno fra i più prestigiosi designer italiani e stranieri sono invitati a partecipare alla manifestazione: gli artisti, ripercorrendo l’evoluzione delle arti e delle tecniche dell’arredamento, elaborano proposte realizzate appositamente da industrie e artigiani lissonesi ritrovandovi ciascuno i motivi più congeniali alla propria personale poetica, ovvero le loro “affinità”76.
L’intervento di Mendini ha come titolo Black Out [24] e vuole sottintendere come in realtà si tratti di un progetto composto, unione di due parti distinte: Black quella superiore e Out quella sottostante, ad opera di Anna Gili. Black Out è «quel momento di stasi forzata, di panico ancestrale, di incognita che si crea in nodi e momenti nevralgici della civiltà moderna»77; è la

24. Alessandro Mendini, Black Out, fotografia dell’allestimento, 1985. Mostra Affinità Elettive, XVII Triennale di Milano. Progetto con Alchimia.
Black: Giorgio Gregory, Maria Christina Hamel, Reiner Haegele, Jeremy King, Occhiomagico. Out: Anna Gili. Ph: Gabriele Basilico. Courtesy © Gabriele Basilico, Archivio Gabriele Basilico.
convinzione che si sta vivendo una importantissima e lunga fase di suspense per il design, un periodo di cambiamento sostanziale nell’approccio al problema progettuale.
Sembra che il destino di tutto il progetto del mondo moderno possa essere inteso come condizione di radicale ripensamento
SOLI
• Milano, 1990
È evidente come, in seguito agli esempi precedentemente riportati e analizzati, l’esperienza progettuale dell’architetto milanese, estremamente eclettica ed enigmatica, avvenuta negli anni Ottanta, è stata il frutto dell’assidua collaborazione e del lavoro quotidiano con Studio Alchimia. Un fenomeno in cui progettisti diversi sono sostenuti dall’intelligenza sottile e aperta di Alessandro Mendini, nonché dall’inesauribile slancio creativo di Alessandro Guerriero.
Inoltre, è importante tenere a mente che le idee visionarie illustrate e raccontate non sono mai il risultato dell’estro di un singolo artista all’interno dell’ampio gruppo, ma di decisioni collettive dove ognuno mette sempre il proprio contributo e la sua personale fantasia. Alchimia è un fenomeno «del tutto orizzontale»89, in cui persino le funzioni più periferiche, come quelle amministrative o organizzative, partecipano al processo ideativo, sovvertendo la consueta gerarchia dello studio professionale: in realtà però solo in apparenza, a livello di immagine pubblica, poiché all’atto pratico ciascun membro si rivendica autonomamente attraverso la firma dei progetti di propria produzione. Mendini, Guerriero, tutti i membri di Alchimia, e anche esterni, sono coinvolti e partecipano alla realizzazione di oggetti, arredi, allestimenti talmente stratificati al punto da voler restituire la fittizia difficoltà nell’individuazione del rispettivo ideatore. Ma forse è proprio questo l’aspetto intrigante e più curioso che anima un decennio di produzioni singolari e anomale per l’epoca della standardizzazione, sempre più incombente sul mercato anche del design: la replica, la produzione in serie non sono mai prerogative né tantomeno scopi primari di questo nuovo artigianato «al di fuori della produzione industriale»90. Si crea per il gusto di creare, tentare e, poi, meravigliarsi del risultato.
Con tale premessa ci si può immergere adeguatamente in quest’altra installazione realizzata da Mendini con Alchimia del 1990, dal titolo Soli presso lo Spazio Krizia in via Manin a Milano. Si tratta di un interno allestito anche presso Museo Alchimia, in via Torino angolo Cesare Correnti a Milano 1989-1990 [30]. Museo Alchimia è stata un’esperienza breve ma intensa, durata dal 1988 al 1993, anno di scioglimento di Studio Alchimia91. L’idea di questo ambiente alternativo è nata dalla volontà del gruppo di avere una sorta di showroom, un grande spazio con livello vetrine su strada e un piano interrato per mostrare raccolte di oggetti e proposte di arredo sempre più innovative. Vengono organizzate in quegli anni esposizioni di collezioni molto significative nel panorama del design italiano e non solo, come la serie Ollo design del 198892. Di quest’ultima è importante accennare alcuni aspetti che saranno funzionali a inquadrare il contesto nel quale raccontare l’esposizione dell’anno successivo, ovvero Soli. La collezione Ollo design consiste in una serie di arredi tessili, complementi e oggettistica,
30. Showroom Alchimia, Fotografia della vetrina dello showroom di via Torino, Milano 1989. Ph: Emilio Neri Tremolada. Courtesy © Emilio Neri Tremolada.

MENDINI

32-34. Alessandro Mendini con Studio Alchimia, Soli, Fotografia dell’allestimento, Milano 1990. Ph: Emilio Neri Tremolada. Courtesy © Emilio Neri Tremolada.



INTERNO DI UN INTERNO
• Milano, 1991
Interno di un Interno è probabilmente, più di tutti gli altri progetti e allestimenti presentati, l’apoteosi del tentativo di espressione intenzionale del legame affettivo con l’essere umano e gli oggetti in uno spazio intimo e privato come quello della stanza. Presentato in occasione del Salone del Mobile di aprile del 1991 a Milano per Dilmos, uno spazio espositivo e punto di riferimento per il design contemporaneo nato nel 1980, il progetto rappresenta un’altra occasione nella quale l’architetto approfondisce i temi e i metodi di progettazione adottati finora per esplicare il suo concetto di camera domestica103. L’allestimento rielabora il soggiorno borghese in una chiave giocosa e pittoresca, ma al tempo stesso intimista, con un’atmosfera sospesa che invita alla contemplazione e alla meraviglia [37]. L’ambiente si sviluppa a partire da una porta che si apre conducendo dentro a una grande stanza simmetrica contenente mobili, oggetti e pitture normalmente presenti in ogni abitazione; i materiali e i piani principali che compongono lo scenario sono pannelli in laminato Abet con cornici in piastrelle, tessuti, ceramiche, tendaggi, laminati plastici, moquette, tappeti104. Tale stanza presenta più di una trentina di oggetti, espressione delle differenti tecniche artigianali a livello di lavorazioni e delle diverse località italiane di provenienza: per esempio, la colonna presente nello spazio «è stata realizzata con la tecnica del mosaico di Ravenna, alcuni mobili sono stati prodotti alla maniera tipica degli artigiani brianzoli, così come vasi e lampade»105. Ogni pezzo è frutto di un lavoro manuale minuzioso e dettagliato. L’aspetto visivo che si impone con maggior enfasi è l’utilizzo di una texture multicolore di matrice puntinista [38] – marchio di fabbrica di Alessandro Mendini –, che invade ogni cosa secondo


LE MIE PRIGIONI
• Triennale di Milano, 2016
L’installazione Le mie prigioni di Alessandro Mendini nella mostra Stanze, altre filosofie dell’abitare è l’allestimento più adatto a sintetizzare la visione progettuale dell’architetto in relazione alla dimensione domestica degli interni e, di conseguenza, dell’abitare umano [44]. Questo non tanto perché è una delle ultime mostre realizzate da Mendini a livello cronologico e che quindi si può ipotizzare come conclusione di un ideale ciclo di sperimentazioni avviato in giovane età, ma perché è la “stanza” che più di tutte condensa in sé la totalità delle caratteristiche principali della sua poetica artistica.
La mostra in questione, tenutasi in occasione della XXI Triennale di Milano del 2016, è curata da Beppe Finessi e allestita al piano terra del Palazzo della Triennale136. Nell’ambito della mostra vengono presentati molteplici progetti di interni, che «hanno segnato la moderna cultura dell’abitare italiano restituendo una molteplicità di approcci che rappresentano l’autentico patrimonio identitario dell’architettura del nostro paese»137.
L’esposizione è introdotta da questa necessaria premessa storica: il visitatore è accolto da una rassegna cospicua di esempi di architettura d’interni italiana (ben cinquanta), dagli anni Venti all’attualità.
Grandi maestri come Gio Ponti e Gae Aulenti, affiancano artisti odierni, tra cui Gaetano Pesce e lo stesso Alessandro Mendini, esponendo la propria filosofia dell’abitare. Undici di loro, differenti per generazione, linguaggio e approccio progettuale, sono invitati a disegnare una stanza come spazio paradigmatico dell’abitare e a restituire una centralità culturale alla progettazione d’interni. Emerge una pluralità di poetiche che oscillano tra rigore e sperimentazione, declinando una storia a

44-49. Alessandro Mendini, Le mie prigioni, Fotografia dell’allestimento presentato alla mostra Stanze. Altre filosofie dell’abitare (a cura di Beppe Finessi). Ph: Andrea Martiradonna. Courtesy © Andrea Martiradonna, Archivio Triennale di Milano.
UNO SPAZIO ETICO
Nella breve e intensa parabola progettuale che vede Alessandro Mendini al fianco di Studio Alchimia, l’allestimento si presenta quale campo sperimentale in cui si esprimono, in forma radicale, i principi profondi del loro pensiero progettuale. Apparenze eccentriche, materiali deboli, colori violenti o tenui, sovrapposizioni visive e tattili: tutto questo concorre a generare uno spazio a primo impatto effimero ma denso di significato. Si tratta, in effetti, di un’“architettura morale”, in cui l’atto dell’abitare si configura come una pratica etica prima ancora che funzionale o estetica. Gli allestimenti alchimici rifiutano la gerarchia della solidità. Costruiscono invece ambienti in cui il decoro è linguaggio e la fragilità diventa valore. In queste architetture temporanee, Mendini applica gli stessi concetti con cui reinventa il design degli oggetti: un anti-funzionalismo dichiarato, un desiderio di restituzione simbolica, una ricerca di identità personale attraverso l’arredo, non puro corredo accessorio ma un mezzo per riflettere, per riconoscersi, per abitare poeticamente. Uno degli esempi più emblematici di questa idea è la Tender Architecture, installazione realizzata al PAC di Milano nel 19821. Si tratta di un intero edificio in Alcantara dal colore bianco che, grazie a un materiale soffice come la stoffa, quasi intangibile come
