
DISSENTENDO
Ieoh Ming Pei, Grand Louvre
Project, Parigi, 1988. © Barbara Angi
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DISSENTENDO
Ieoh Ming Pei, Grand Louvre
Project, Parigi, 1988. © Barbara Angi
«Non tutta l’architettura, non tutti i programmi, non tutti gli avvenimenti sono inghiottiti dalla Bigness. Ci sono molti bisogni, troppo confusi troppo provocatori, troppo segreti, troppo sovversivi, troppo niente per entrare a far parte della costellazione Bigness».
Rem Koolhaas, Junkspace, Quodlibet edizioni, Macerata, 2006.

Iltermine cosmo, dal greco antico kósmos, indica l’ordine e l’armonia che regolano l’universo, in contrapposizione al chaos, inteso come lo stato primordiale di disordine assoluto. Questa visione, profondamente radicata nella filosofia classica, in particolare nel Timeo di Platone1 e nelle dottrine pitagoriche, si è tramandata nei secoli come metafora fondativa del rapporto tra l’uomo, lo spazio e l’ordine del mondo. Nella sua accezione più estesa, il cosmo rappresenta il tentativo umano di dare forma e senso alla materia informe, di costruire mondi dotati di significato all’interno del flusso caotico dell’esistenza. In questa direzione, l’architettura assume il ruolo di “pratica cosmica”: non semplicemente tecnica costruttiva, ma anche come agente strutturante capace di erigere uno spazio condiviso e, ove necessario, di natura simbolica. Una lettura recente di questa idea, invita a considerare l’architettura come “arte cosmogonica”2, ovvero come costruzione di un ordine che restituisce senso e misura al caos, a nostro avviso, presente nello scenario geopolitico ed ecologico contemporaneo. Nel quadro della progettazione contemporanea, questa prospettiva sembra potersi rapportare al concetto di “città per tutti”, sviluppato a partire dalle teorie di Henri Lefebvre3 e David Harvey4 . Gli autori, con distinti ragionamenti, rivendicano il “diritto alla città” come diritto collettivo alla trasformazione, alla giustizia spaziale5 e alla
1. Giovanni Reale (a cura di), Platone, Timeo, Giunti, Milano, 2000.
2. Renato Capozzi Sull’ordine. Architettura come cosmogonia, Mimesis, Milano, 2023.
3. Henri Lefebvre, La città per tutti, Ombre Corte, Bologna, 2014.
4. David Harvey, Il capitalismo contro il diritto alla città. Neoliberalismo, urbanizzazione, resistenze, Ombre Corte, Bologna, 2016.
5. Tra i vari laboratori interdisciplinari si segnala il Just City Lab presso la Harvard Graduate School of Design, sotto la direzione di Toni L. Griffin. Il progetto nasce con l’obiettivo di esplorare il ruolo
partecipazione6 attiva alla vita urbana da parte dei cittadini. Secondo questo approccio, lo spazio, in particolare quello pubblico, non è solo un bene materiale, ma un campo di relazioni, pratiche e conflitti in cui si definisce l’appartenenza e l’accesso ai diritti e, al tempo stesso ai doveri, di ogni cittadino. In questo ambito, l’architettura può assumere il ruolo di strumento promotore per la costruzione di ambienti equi e condivisi, capaci di riflettere la pluralità delle istanze sociali, all’interno del caotico contesto, soprattutto urbano, di oggi.
Questa cornice teorica di riferimento si rivela particolarmente feconda per comprendere, a nostro avviso, alcune pratiche architettoniche sempre più diffuse che, senza rifiutare l’impianto disciplinare dell’architettura, la mettono in tensione attraverso dispositivi temporanei, auto-costruiti, situati in contesti spesso degradati e marginali.
Il progetto Commoning Practices and Temporary Self-Built Architectural Agencies. Guidelines and a toolkit towards the sustainability of the Commons (COSMO)7 si inserisce in questo filone di ricerca, proponendo un’indagine articolata sul potenziale delle pratiche di comunanza urbana8 e dell’architettura “a tempo”, elementi intesi come strumenti pragmatici,
dell’architettura, dell’urbanistica e delle politiche pubbliche nella promozione di città più eque, inclusive e giuste. Al centro della ricerca vi è l’idea che lo spazio urbano non sia neutro, ma rifletta e amplifichi strutture di disuguaglianza sociale, razziale ed economica. Attraverso la produzione di framework analitici, mappe concettuali e strumenti operativi, The Just City propone una metodologia di intervento che unisce dimensione etica e pratica progettuale, stimolando il coinvolgimento attivo delle comunità locali nei processi decisionali e di trasformazione urban. Cfr. Toni L. Griffin, Design for the Just City: Principles. Just City Lab, Harvard Graduate School of Design, 2015. 6. Giancarlo De Carlo, An Architecture of Participation. In: Joan Ockman (a cura di), Architecture Culture 1943–1968: A Documentary Anthology. Columbia Books of Architecture, New York, 1993.
7. COSMO è un progetto di ricerca PRIN PNRR 2022 che vede coinvolte l’Università degli Studi di Brescia, responsabile scientifico prof.ssa Barbara Angi, assegnista di ricerca Dott.ssa Irene Peron; e l’Università degli Studi di Pavia, responsabile scientifico e PC prof. Ioanni Delsante, assegnista di ricerca Dott.ssa Francesca Gotti. Le attività previste comprendono: l’analisi critica dello stato dell’arte, la costruzione di una tassonomia delle pratiche emergenti, la selezione di casi studio significativi e l’individuazione di buone pratiche replicabili. Un progetto pilota, previsto in un’area urbana in trasformazione, fungerà da banco di prova per testare strumenti progettuali e operativi sviluppati con approccio induttivo e partecipativo.
8. Si segnalano in particolare: Chiara Belingardi, Comunanze urbane: Autogestione e cura dei luoghi, Firenze University Press, Firenze, 2015 (Premio Tesi di Dottorato); Paola Bazzu, Urbanismo tattico e strategie per l’abitare: nuovi strumenti per integrare la visione dei cittadini nei processi di trasformazione della città, Università degli Studi di Sassari, 2019.
Black Box, 2023.
© Todo por la Praxis
Todo por la Praxis (TxP) è un collettivo di arte e architettura con sede a Madrid, il cui approccio critico e partecipativo coniuga attivismo sociale e progettazione architettonica e urbana. Il collettivo si propone di attivare la pratica artistica come strumento di trasformazione, generando dispositivi e spazi che stimolino riflessioni critiche e azioni dirette da parte dei cittadini. Le loro iniziative rientrano nell’ambito dell’urbanistica tattica, pratica “contro-egemonica” emersa in contesti di crisi della governance urbana, in cui le persone insieme ai collettivi cercano risposte rapide e collaborative a problemi spaziali
radicati. Operando alla micro-scala del quartiere – dove si alimentano identità e relazioni comunitarie – gli interventi di TXP promuovono la partecipazione attiva degli abitanti, il riuso creativo dello spazio pubblico e la gestione collettiva. TxP progetta meccanismi architettonici aperti e reversibili che abilitano nuovi usi e nuove letture dello spazio urbano, coinvolgendo i cittadini fin dalle fasi iniziali del processo progettuale. In tale processo, disegno e rappresentazione fungono da linguaggi di comunicazione inclusiva: schizzi, modelli e installazioni diventano strumenti per condividere visioni e incorporare i contributi delle persone, più che semplici elaborati tecnici.


– sequenza a Villaverde, Madrid, 2020-2022.
realizzate ventisette ore di registrazione con un’audience di circa 1.500 ascoltatori. Il container opera come “mezzo epistemico”24, generando un archivio sonoro che salda educazione formale e sfera pubblica informale.
Parallelamente, nel 2021 prende forma il disegno open source dell’Oasis IES Villaverde, destinato a sostituire il parcheggio asfaltato con una griglia di ventuno fioriere in calcestruzzo e una reticolare metallica per vegetazione rampicante. Pur venendo cantierizzato solo nel 2022, il progetto nasce da workshop studenteschi svolti fra marzo e giugno 2021, durante i quali si sperimentano modelli parametrici e si selezionano varietà botaniche ad alta resilienza climatica. Il concept introduce un’infrastruttura verde che riduce l’isola di calore di 3‑4 °C e funge da aula all’aperto multifunzionale, correlando finalità ecologiche e competenze di cura condivisa.
La sequenza Merendero-Radio-Oasi risponde ai tre quesiti di ricerca.
Primo, dimostra che l’impermanenza dei moduli, l’auto-costruzione didattica e la temporaneità programmata abbassano le soglie di accesso all’azione civica, mentre la reversibilità tecnica trasforma eventuali errori in opportunità di apprendimento collettivo, attivando diritti d’uso plurali.
Secondo, evidenzia che l’architettura dei commons svolge funzioni che trascendono il capitale sociale: il Merendero consolida legami quotidiani, la Radio produce conoscenza territoriale e l’Oasi introduce mitigazione climatica, costruendo un’”infrastruttura di giustizia ambientale, cognitiva e politica”.
Terzo, mette in luce la necessità di integrare tattiche progettuali –modularità open source, riuso circolare e programmazione graduata – con strumenti regolativi leggeri: permessi temporanei, patti scuola-territorio e licenze aperte che responsabilizzano congiuntamente amministrazione e cittadinanza. Complessivamente, gli interventi a Villaverde sembrano tradurre l’eredità delle neoavanguardie radicali del secolo scorso in un “pragmatismo tattico quotidiano” che amplia diritti d’uso, conoscenza collettiva e giustizia spaziale.
24. Jorge Vega, Aprendizaje basado en proyectos de radio escolar: Impacto en la alfabetización mediática. “Revista de Educación y Comunicación” n. 34, 2022.

Santiago Cirugeda si laurea in Architettura
presso l’Escuela Técnica Superior de Arquitectura di Siviglia nel 2000, presentando una tesi dedicata alle strategie di appropriazione dei vuoti urbani post-industriali e maturata in parte durante un semestre di ricerca alla Technische Universität Berlin. Tra il 1996 e il 2003 Cirugeda sviluppa una serie di micro-interventi “clandestini” – dal “Container-giostra” al “Dormitorio su ponteggio” – che sperimentano i limiti della normativa edilizia andalusa e costituiscono il laboratorio concettuale del suo successivo percorso professionale.
Nel 2003 l’architetto spagnolo fonda a Siviglia Recetas Urbanas, un collettivo interdisciplinare che riunisce architetti, giuristi, sociologi e artisti con l’obiettivo di elaborare e diffondere “ricette” replicabili di autocostruzione, sia in regime di legalità sia in condizioni di conflitto normativo.
In quasi vent’anni di attività il gruppo ha completato oltre ottanta progetti distribuiti in quattro continenti: Africa, America del Nord, America Latina, Asia, e Europa. L’originalità del suo approccio, fondato sulla “negoziazione creativa” con le istituzioni e sul rafforzamento delle capacità decisionali e operative delle comunità locali, è stata riconosciuta da numerosi premi internazionali: l’International Fellowship del Royal Institute of British Architects (2008), il Global Award for Sustainable Architecture (2015), il Curry Stone Design Prize (2017), il Premio Arquia/Innova (2021) e la candidatura al Mies van der Rohe Award (2022) per il progetto Cívica Móvil. Recetas Urbanas ha preso parte a numerose mostre internazionali di rilievo, consolidando il proprio riconoscimento nel panorama dell’architettura sociale e partecipativa. Nel 2010 ha esposto presso la Fondazione Ado Furlan di Pordenone con la mostra Recetas Urbanas 1995–2010. Tra il 2018 e il 2019 è stata protagonista al MUSAC di León con la retrospettiva Usted está aquí. 20 años de Recetas Urbanas e presso Manifesta a Palermo. Nello stesso anno ha partecipato ad Art Basel a Basilea con il progetto Basilea, in collaborazione con Creative Time. Nel 2020 ha presentato Affection as Subversive Architecture – Unauthorised Entry Permitted presso lo spazio The Showroom di Londra. Infine, nel 2022, Recetas Urbanas è stato invitato a Documenta Fifteen a Kassel.
How, Göteborg, Svezia, 2015. © Recetas Urbanas
Paquita, Tiers Lieu mobile (Nîmes, 2021)
Il progetto nasce da una collaborazione tra il Pôle Gérontologique Nîmois della Croix-Rouge française, i ricercatori Marine Royer (ricercatrice nel campo progettazione sociale) e François Huguet (ricercatore in scienze umane digitali), e il Collectif Etc, con il contributo artistico di Benoît Bonnefrite (artista grafico e pittore). L’iniziativa si propone di prefigurare, attraverso un dispositivo mobile e situato, il futuro tiers lieu21 fisico che verrà integrato nel nuovo complesso gerontologico di Nîmes. Paquita si costituisce così come «fabrique de territoire mobile», ovvero un laboratorio itinerante capace di attivare dinamiche sociali, culturali e cognitive attorno ad una traiettoria progettuale aperta, in cui il movimento diviene un fattore generativo di coinvolgimento e di legittimazione diffusa dell’azione pubblica22 .
Al centro della proposta vi è la riconversione di un furgone Peugeot J9 dismesso in “infrastruttura mobile di prossimità”: due settimane di cantiere partecipato ne trasformano la carrozzeria in contenitore logistico per un kit di arredi mobili – sedute pieghevoli, tavoli smontabili, strutture a tripode per tettoie in denim riciclato – interamente auto-costruiti da un gruppo intergenerazionale composto da residenti delle case di riposo, personale sanitario, studenti di design e abitanti del quartiere. Questo processo esecutivo si inscrive nel paradigma della “progettazione-costruzione integrata”, tipico del Collectif Etc, che pone al centro la redistribuzione delle competenze manuali e decisionali come strumento di emancipazione e di azione diffusa.
Dal punto di vista spaziale, Paquita si configura come un tiers lieu alternativo alla dicotomia casa/lavoro, capace di favorire forme di socialità informale e di coesione relazionale. L’assetto modulare del dispositivo consente riconfigurazioni rapide in mercati rionali, cortili scolastici, parchi e piazze, trasformando temporaneamente lo spazio pubblico in una scena di incontro intergenerazionale che ricuce relazioni spesso separate dall’organizzazione istituzionale dell’invecchiamento.
Sul piano teorico, il progetto mette in atto una forma di appropriazione “tattica” dello spazio, grazie alla quale gli abitanti non “consumano”
21. Cfr. Ray Oldenburg, The Great Good Place, Paragon House, New York, 1989.
22. Collectif Etc, Paquita - Tiers lieu mobile, 2021. URL: https://www.collectifetc.com/realisation/paquita-tiers-lieu-mobile (visitato il 5 luglio 2024).

e
i quattro interventi selezionati di Raumlaborberlin – Haus der Statistik,
Floating University, Camp of the Renegades e Cantiere Barca –rappresentano, a nostro avviso, una sorta di variazione di un medesimo approccio alla riappropriazione di spazi pubblici abbandonati e/o degradati, anche se divergono per scala, durata e assetto di governance
Haus der Statistik opera a dimensione urbana permanente: il complesso modernista di Alexanderplatz viene rifunzionalizzato tramite il partenariato pubblico-civico, fondendo il progetto per la riqualificazione architettonica del complesso e i pioniernutzungen (usi pionieri), temporanei così da facilitare lo sviluppo di un quartiere intergenerazionale orientato al bene comune dei residenti.
Floating University si colloca invece su di una infrastruttura idraulica residuale e adotta una temporalità stagionale: la piattaforma in ponteggio funge da campus ambientale autogestito, facendo della precarietà materiale un dispositivo di apprendimento ecologico e politico.
Camp of the Renegades rappresenta la declinazione più radicale dell’effimero: un villaggio modulare per artisti in età avanzata, assemblato in loco con cellule esagonali durante l’esposizione The World Is Not Fair, ove l’architettura stessa si converte in performance critica sulle politiche di welfare e sulla senescenza delle persone.
All’opposto, Cantiere Barca interviene in un comparto di edilizia pubblica torinese realizzando micro-infrastrutture in legno e container mediante workshop di auto-costruzione che coinvolgono giovani e residenti senior, trasformando un lotto residuale in laboratorio comunitario permanente.
Sul piano costruttivo tutti e quattro i progetti adottano sistemi a secco, materiali di riciclo e logiche tecnologiche di prefabbricazione, pur con gradi
diversi di complessità: dal retrofitting integrato di Haus der Statistik alla trasparente semplicità dei moduli di Camp of the Renegades. Le strutture di governance spaziano dal modello istituzionalizzato di KOOP5 alla gestione informale Floating University. Inoltre, le comunità di riferimento variano da quelle vulnerabili, come nel caso di Haus der Statistik e Cantiere Barca, a quella didattica di Floating University, fino a quella degli artisti senior di Camp of the Renegades. In conclusione, i quattro casi sembrano convergono su una medesima impostazione di metodo che mette al centro il cantiere quale dispositivo “collettivo”.
Riprendendo la definizione di “collettivo” formulata da Michel de Certeau – «un insieme mobile di pratiche singolari che, intrecciandosi, producono uno spazio comune senza costituirsi in totalità chiusa» (L’invenzione del quotidiano, 2001) – il “cantiere Raumlaborberlin” si configura come luogo in cui produzione materiale, trasmissione di saperi e decisione pubblica coincidono. Sia nelle assemblee di co-progettazione dell’Haus der Statistik, nei workshop galleggianti della vasca di Tempelhof, nel montaggio performativo del villaggio per artisti, sia nell’auto-costruzione intergenerazionale torinese, l’azione costruttiva funge da mediatore per negoziare bisogni, ruoli e valori, trasformando ogni fase realizzativa in pratica di cittadinanza attiva. In questo senso, il cantiere non costituisce la parte conclusiva del processo progettuale, bensì diviene un’infrastruttura conoscitiva e politica: un atto aperto e collettivo che, attraverso la cooperazione di soggetti molteplici, dà forma a una città concepita come bene comune in continua definizione.
«Definisco tattica l’azione calcolata che determina l’assenza di un luogo proprio. Nessuna delimitazione di esteriorità le conferisce un’autonomia. La tattica ha come luogo solo quello dell’altro. Deve pertanto giocare sul terreno che le è imposto così come lo organizza la legge di una forza estranea. Non ha modo di mantenersi autonoma, a distanza, in una posizione di ritirata, di previsione e di raccoglimento in sé: “è movimento all’interno del campo visivo del nemico”, come diceva von Bülow».
Michel de Certeau, L’invenzione del quotidiano, Roma, Edizioni Lavoro, 2001.

Yara Sharif, Nasser Golzari, François Girardin, Objects of Repair, Venezia, 2025.
© Barbara Angi



