Val tramontina

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Sped. in A.P. - D.L. 353/2003 art.1 comma 1 - DCB - Treviso

Mensile • Anno XIX • N. 125 • 2013 • € 15,00

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VAL TRAMONTINA TRAMONTI DI SOPRA - TRAMONTI DI SOTTO


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ivere in montagna, oggi, esprime una scelta dai forti contenuti etici e qualitativi: significa confrontarsi con un territorio affascinante e incontaminato e impegnarsi a sostenerne la specificità sia dal punto di vista sociale che economico; la straordinaria bellezza del paesaggio e il vivere quotidiano diventano quindi elementi essenziali che, necessariamente, devono coniugarsi tra loro per diventare risorsa sulla quale possa reggersi l’economia di un’area geografica e umana di tradizioni e saperi unici, gelosamente custoditi dalle generazioni che li hanno mantenuti vivi e fin qui tramandati. È con orgoglio, quindi che, attraverso le pagine di questa pubblicazione, presentiamo questa nostra “Signora delle Meraviglie”, perché possa essere conosciuta e apprezzata da un’utenza sempre più ampia e attenta ai valori paesaggistici e umani che un territorio come questo può offrire; una guida che consentirà di scoprire gli aspetti più interessanti della vita di questi luoghi, schietti nella loro disarmante semplicità: dal paesaggio a tratti selvaggio ma incantevole nei suoi abiti stagionali, alla gente e la sua storia, le sue tradizioni, la vivacità di una comunità che ha saputo trasformare in ricchezza le peculiarità che da sempre caratterizzano le zone montane. E infine, per chi conosce e vive già questa “Meraviglia Italiana”, un’opera che testimonia i valori di un territorio incomparabile, di cui prendersi cura con coraggio e con amore, da amare e rispettare. Giampaolo BIDOLI Sindaco di Tramonti di Sotto

Antonino TITOLO Sindaco di Tramonti di Sopra


Val Tramontina: quale futuro? In questi tempi di crisi strutturale (produttiva, finanziaria, sociale, ambientale) anche una valle come la nostra è chiamata a ragionare sul proprio futuro. Sono finiti i tempi in cui si poteva far finta di nulla ed ignorare le cose del mondo per concentrarsi su se stessi. Oggi più che mai, in una realtà globale sempre più interdipendente, ogni accadimento economico di una certa portata si riverbera anche qui, per quanto in una forma più gestibile rispetto ad una grande metropoli. Il nostro territorio è vastissimo: se i due comuni fossero uno solo, questo sarebbe il più grande del Friuli Venezia Giulia. Parliamo di 210 kmq con una densità di popolazione “australiana”, circa 4 abitanti per chilometro quadrato. Il mio ragionamento parte proprio da qui: tanto è vasto il nostro territorio, tanto sono vaste le sue potenzialità inespresse, tanto è ambiziosa (ma percorribile) la nostra visione per il futuro. I punti strategici attorno a cui questa visione sta prendendo forma sono Territorio, Energia, Sostenibilità economica-ambientale, Beni Comuni, Inclusione Sociale. Non vorrei tediare il lettore parlando di qualcosa che non ha a che fare direttamente con la nostra ospitalità e le nostre bellezze naturali ed architettoniche ma mi pare doveroso tentare di incuriosirlo circa quello che potrebbe trovare qui tra qualche anno se i nostri sforzi andranno nella giusta direzione: una valle completamente autonoma dal punto di vista energetico dove il rilancio di produzioni di qualità e l’ecosostenibilità diventino il punto di forza per una ricettività turistica più consapevole ma soprattutto diventino ragione di attrattività per nuove famiglie in cerca di una migliore qualità della vita. La Val Tramontina dispone di un patrimonio boschivo praticamente inutilizzato. Forse l’unica conseguenza positiva di un secolo di spopolamento progressivo è proprio questo: dove un tempo c’erano pascoli oggi è arrivata la foresta. Una volta rimossi gli ostacoli per una gestione sostenibile delle biomasse legnose (che non sono pochi) sarebbe del tutto naturale costruire una filiera corta che assicuri alla popolazione locale un riscaldamento a km0, estremamente vantaggioso ed ecologico ossia sganciato dal ciclo degli idrocarburi e ottenuto da fonte rinnovabile. Di più: con le tecnologie di cogenerazione oggi è possibile ricavare dalla stessa biomassa legnosa non solo energia termica ma anche la preziosissima energia elettrica. Va da sé che maggiore sarà l’impegno per una gestione sostenibile dei boschi, maggiore sarà il grado di manutenzione dei rii (che solcano in gran numero i versanti delle nostre montagne) e della viabilità (anche sentieristica); maggiore sarà il grado di prevenzione antincendio; minore il grado di dissesto idrogeologico. E’ evidente che la creazione di questa filiera non dovrebbe esaurirsi in se stessa ma, come già accennato, fungere da volano e moltiplicatore per tutti gli altri aspetti.

Parte di questo progetto è già in fase di realizzazione: riqualificazione energetica di alcuni edifici pubblici (tra cui la scuola); una centralina a biomasse che servirà impianti sportivi e plesso scolastico, introduzione di led in buona parte dell’illuminazione pubblica; sostegno all’insediamento di nuove attività produttive attraverso l’adeguamento di spazi pubblici (latteria sociale e forno sociale), collaborazione con l’Azienda Socio Sanitaria per l’avvio di percorsi e sperimentazioni di inclusione sociale). Queste buone pratiche sono la migliore dimostrazione della nostra vocazione e certificano il fatto che la Val Tramontina sta già guardando e praticando il suo futuro. Per concludere vorrei soffermarmi sul fattore determinante di tutto il progetto ossia l’aspetto finanziario. Senza considerare le cose già realizzate o in fase di realizzazione (che sono oggettivamente solo piccoli ma necessari passi rispetto all’obiettivo finale) serviranno cospicue risorse per avviare il processo nel suo insieme organico e strutturato. Queste risorse dovrebbero derivare dai nostri bellissimi laghi. Redona, Selva e Ciul sono tre invasi artificiali realizzati negli anni cinquanta per rifornire di acqua le campagne della pianura e per la produzione idroelettrica. Sono opere che fatturano parecchi milioni di euro all’anno e che sono attualmente dati in gestione ad una grossa multinazionale senza una reale e ragionevole contropartita per i nostri territori. L’unico soggetto titolato a redigere i nuovi contratti di concessione (che sono in scadenza da tempo) è la Regione Friuli Venezia Giulia. Ecco allora che la vera scommessa per la Val Tramontina sarà riuscire ad inserirsi in questa partita chiedendo alla Regione di introdurre nella nuova concessione delle clausole che prevedano linee di finanziamento per il nostro progetto di valle. Il nostro futuro si gioca adesso, qui ed ora. Per deciderlo e non subirlo dovremo saper mettere da parte l’ancestrale fatalismo e l’anacronistico campanilismo e comprendere che solo uniti in una ragionevole visione comune potremo risultare convincenti ed efficaci. Gregorio Piccin

Assessore Ambiente, Politiche Sociali e Attività Produttive Comune di Tramonti di Sotto

Scoiattolo (Sciurus vulgaris) Foto Roberto Valenti


VAL TRAMONTINA

TRAMONTI DI SOPRA - TRAMONTI DI SOTTO

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di Romina De Lorenzi

di Renato Miniutti di Vladi De Nadai di Dani Pagnucco

VENEZIA IN VALLE di Fulvio Graziussi

LA LUM

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UNESCO VAL TRAMONTINA

20 34

di Tito Pasqualis

IL PAESAGGIO di Marco Pradella

TRA STORIA E ARCHEOLOGIA

Collaboratori scientifici Moreno Baccichet Angelo Crosato Graziano Danelin Romina De Lorenzi Giuliano De Giorgio Vladi De Nadai Angelo Leandro Dreon Rosetta Facchin Rosetta Facchin Erika Facchin Matteo Frassine Fulvio Graziussi Giorgio Madinelli Renato Miniutti Anna Nicoletta Rigoni Tito Pasqualis Gregorio Piccin Dani Pagnucco Marco Pradella Gianni Varnerin

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LE CALCINAIE

Coordinamento generale Alvaro Cardin

Redazione Paolo Belvedere Giancarlo Bonanni Marialuisa Bortoletto Franco Caramanti Giuseppe Franco Lino Moretti Massimiliano Spolaore

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I FOSSILI

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TRA BORGHI E TORRENTI

Editore Le Tre Venezie Editoriale S.c. Iscrizione albo cooperative n. A155114

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LA GROTTA DELLA FOOS

Numero 125

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di Anna Nicoletta Rigoni

ARCHEOPOINT di Matteo Frassine

SANTA MARIA MAGGIORE

di Angelo Leandro Dreon

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TRA IL TARCENÒ E IL CHIARZÒ

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CAMPEGGIO AREE PICNIC E RICETTIVITÀ

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di Gianni Varnerin

di Gregorio Piccin

PARCO NATURALE DOLOMITI FRIULANE di Graziano Danelin

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AMBIENTE FOLCLORE CULTURA ENOGASTRONOMIA

di Angelo Crosato

VIA ALPINISTICA

di Moreno Baccichet

di Rosetta Facchin

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TRAMONTI DI SOPRA di Erika Facchin


La Val Tramontina da passo Rest.

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TITO PASQUALIS

Unesco

val tramontina

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a Val Tramontina occupa il settore superiore del bacino del torrente Meduna, il maggiore affluente del fiume Livenza. Il corso d’acqua principale si forma dall’unione di due rami, il Canal Grande a nord e il Canal Piccolo a ovest, che provengono dai più selvaggi e solitari luoghi delle Prealpi Carniche. Il primo scende dalle pendici orientali della Vetta Fornezze, il secondo dai monti Caserine e Dosàip, al confine con il bacino del Cellina. L’orografia della valle è caratterizzata da una serie di catene montuose quasi parallele, dirette tendenzialmente da ovest a est come i principali corrugamenti tettonici. La catena più settentrionale, spartiacque con la Carnia, si stacca dalla citata Vetta Fornezze, 2110 m, e si sviluppa arcuata verso il Monte Tamarùz, 1930 m. Quindi si abbassa sul valico del Monte Rest e, aldilà di questa cima, prosegue con il Monte Valcalda, 1908 m. Da qui si diparte la dorsale di displuvio con il torrente Arzino che comprende alcune cime pietrose e boscose, quali la Sciara Grande, 1686 m, la Cuesta Spioleit 1687 m, lo Zuc di Santins,

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VAL TRAMONTINA

La Val Tramontina da Tramonti di Sotto sullo sfondo Tramonti di Sopra e Tramonti di Sotto.

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1309 m, e la Montagna di Rossa (M. Taieit), 1369 m questa pure sul confine con la valle del torrente Cosa separate tra loro da alcune insellature come la Forchia Zuvièl e la Forchia de Agardaia. Il limite idrografico verso il Cellina è determinato da una cresta rocciosa che si protende a sud con il Caserine Alte, 2306 m, e il Dosàip, 2062 m, separati dalla Forcella di Caserata, per continuare sinuosa oltre la Forcella Clautana con i

monti Castello, 1923 m, e la lunga bastionata del Raut, 2067 m, spartiacque anche con la Val Còlvera, che si prolunga a est con alcuni rilievi di rocce e prati, l’ultimo dei quali è il M. Rossa, 1131 m, sovrastante la strettoia di Ponte Racli. Dal M. Tamarùz si stacca la catena, quasi parallela alla displuviale con il Tagliamento, che culmina sul Frascola, 1961 m, la cima più elevata della valle, fianco destro della Val Vièllia. Un’altra catena si


VAL TRAMONTINA

diparte dal Dosàip e comprende il Monte Corda, 1463 m, e il Col della Luna, 1422 m, la cui dorsale di levante digrada con cime minori fino a raggiungere la piana dei Tramonti, chiusa da una cerchia di montagne per lo più di non facile accesso, soprattutto per i notevoli dislivelli da superare. In genere presentano versanti ripidi e scoscesi, specialmente quelli rivolti a sud perché costituiti dalle testate degli strati rocciosi. A

levante emergono alcune brevi catene che segnano il territorio con cime non molto elevate e valli anguste, caratteristica morfologica dell’intera area tramontina, da cui la definizione locale di “canali”. Tra gli altri emergono i monti Celant, 1093 m, Chiarandèit, 1079 m, Cerèis, 961 m, e Valinis, 1102 m - questi separati dalla Forchia di Meduno - e più a est il Ciaurlèç, 1148 m, un monte dall’incerto spartiacque, sovrastante la

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Veduta aerea di Tramonti di Sotto con i suoi impianti sportivi, centro scolastico e centro di aggregazione giovanile. Foto Protezione Civile FVG

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Torrente in Val Tramontina. Foto Thomas Sina

Cervi. Foto Thomas Sina

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VAL TRAMONTINA

Antico mulino.

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forra del Cosa che scorre incassato al suo piede. Le rocce affioranti provengono quasi tutte da remoti depositi marini stratificati, in prevalenza di natura organica. Le dolomie del Trias sono le più vecchie: alcune si sono formate oltre 220 milioni di anni di anni fa. Spesso gli strati sono sovrascorsi tra loro, per cui può capitare che le formazioni antiche oggi si trovino sopra i calcari giurassici e cretacei, più giovani, ma pur sempre con età variabili tra i 200 e i 65 milioni di anni. Il principale dislocamento tettonico, una frattura della crosta terrestre che interseca anche la bassa Val Tramontina, è il sovrascorrimento periadriatico, il quale coinvolge l’intera area prealpina carnica e giulia dall’altopiano del Cansiglio ai monti di Gemona e oltre. In forma più o meno evidente, le rocce carbonatiche sono intaccate dal carsismo, sia superficiale che profondo, soprattutto là dove la morfologia del rilievo è di tipo tabulare. Interessanti forme carsiche si rinvengono sul brullo altopiano del Ciaurlèç: doline, inghiottitoi e molte grotte. Assai articolata è la grotta de La Fôs che si apre sulla strada che porta a Campone. Ha uno sviluppo di circa un chilometro e mezzo e presenta gallerie, cunicoli, ampie sale e bruschi dislivelli. Le ultime significative alture verso la pianura sono costituite

dalle formazioni eoceniche marnose-arenacee, a volte fossilifere, di Frisanco e Meduno e dai conglomerati miocenici di Fanna, Cavasso Nuovo e Sequals. Il clima della Val Tramontina presenta caratteri intermedi tra quello della Carnia e quello della pianura. A Tramonti di Sopra la temperatura media minima di gennaio, il mese più freddo, è di 4 gradi sottozero; la media massima di agosto, il mese più caldo, è di 26°C. Notevole è la piovosità; anche la neve cade abbondante. In alcuni anfratti del Col della Luna e del Ciaurleç il ghiaccio permane fino a estate inoltrata. L’acqua penetra in profondità attraverso le fenditure delle masse rocciose e riaffiora in numerose sorgenti. Una delle più cospicue è il Fontanon dal Toff, presso la borgata di Malandrai nel Canale del Vièllia. Non è raro il fenomeno dell’inversione termica, per cui può accadere che i fondovalle siano più freddi delle pendici sovrastanti determinando con ciò pure l’inversione dei piani vegetazionali. La valle comprendeva un tempo ampie fasce di pascoli e prati. Oggi, al di fuori delle zone più elevate e di quelle prossime agli abitati è quasi interamente coperta da un manto vegetale, basilare elemento paesaggistico dell’intero territorio. Peraltro, gran parte della valle è compresa nel Parco Naturale Regionale


VAL TRAMONTINA

delle Dolomiti friulane che tutela i valori naturalistici di tutta l’area. L’asprezza di molti luoghi, i grandi silenzi rotti solo dai movimenti di animali grandi e piccoli, che si fanno sentire con indistinti rumori, suoni e battiti d’ali - da qualche anno a questa parte sono arrivati anche aironi e cormorani - offrono al visitatore sensazioni uniche a volte contrastanti. In passato, l’economia della valle si basava essenzialmente sulla silvicoltura e su una ben radicata zootecnia. Un secolo fa erano aperte una dozzina di malghe e casere, alcune oggi trasformate in ricoveri alpini. I loro ruderi, al pari dei resti delle numerose vecchie fornaci di calce, testimoniano la laboriosa dura vita di un tempo. L’artigianato presentava alcune forme particolari, come i cestai (geârs), i segantini o tagliatori di traversine ferroviarie (segàz o sliperârs) e, del tutto singolari, gli stagnini (arvârs) che per lavorare si spingevano fino nei più lontani paesi del Veneto e dell’Emilia. Per comunicare tra loro avevano inventato un gergo incomprensibile anche per gli stessi tramontini, la cui parlata friulana per certe espressioni si avvicina molto a quella della Carnia. Lungo i corsi d’acqua erano sorti molini, segherie e officine. A Tramonti di Sopra c’era anche la piccola centrale idroelettrica di

Domenico Zatti che assieme a quella di Giovanni Mongiat di Chievolis nei primi anni del Novecento consentì di far arrivare la corrente elettrica in molte case. Nonostante la presenza di queste attività persisteva nei paesi uno squilibrio negativo tra popolazione e risorse economiche che costrinse molti uomini a emigrare, fenomeno sociale che divenne di massa alla fine dell’Ottocento e che nel prosieguo del tempo provocherà un lento ma inesorabile spopolamento dei paesi. L’idrografia è strettamente connessa all’assetto orografico. In genere i corsi d’acqua scorrono prima da ovest a est, secondo l’andamento degli avvallamenti orografici, poi volgono a sud incidendo profondamente le montagne. Il Canal Grande e il Canal Piccolo del Meduna confluiscono in un unico corso d’acqua sotto Selis, 581 m s.m., storica borgata scomparsa sotto l’acqua mezzo secolo fa. In quegli anni, infatti, il torrente fu qui sbarrato con una diga ad arco-cupola alta circa 60 metri che ha dato origine al lago del Ciul della capacità di oltre nove milioni di metricubi. La quota massima d’invaso raggiunge i 596 m sul mare ed è quindi il più elevato lago artificiale del Friuli Occidentale. Nei periodi di magra dalle acque riemergono ancora i resti dei poveri casolari di Selis dove nel 1864 ebbero acco-

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Tramonti di Sopra chiesa evangelica.

Panoramica della Val Tramontina da Tramonti di Sopra.

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Piazza con fontana di Tramonti di Sopra.

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VAL TRAMONTINA

Foto aerea di una parte della Val Tramontina. Foto Protezione Civile FVG

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glienza i patrioti risorgimentali della banda di Navarons guidata da Antonio Andreuzzi nel loro peregrinare tra i monti per sfuggire alla gendarmeria austriaca. Ottant’anni dopo in queste case e nelle malghe vicine troveranno rifugio gli uomini della Resistenza. Nel 1944 la Val Tramontina entrò a far parte della Repubblica libera della Carnia che si autogovernò per alcuni mesi, primo esempio d’istituzione democratica contrapposta agli occupatori stranieri. A valle del Ciul il Meduna - la Miduna per i paesi friulani rivieraschi - scorre entro il suo profondo Canale. Sul bordo sinistro sorgevano Frassaneit di Sopra e di Sotto. Il nome significa luogo di frassini, i quali assieme a ontani, ornielli, aceri e faggi sono le specie arboree più diffuse nella media montagna. Più in alto ci sono i boschi di conifere e, sopra il limite della vegetazione arborea, gli alti pascoli. Tipica al riguardo è la grande pala erbosa sommitale del Rest, 1780 m, che si lascia vedere non solo dalla pianura friulana ma anche dalle lontane lagune, quasi un simbolo della Val Tramontina. Dopo le case di Paisa e di Pradis, il Canale del Meduna si apre nella piana fluvio-glaciale terrazzata costruita dal materiale detritico che non è riuscito a passare per la strettoia della Clevata. Qui affiorano anche limi e argille che testimoniano la presenza di un vasto specchio lacustre alla fine dell’ultima glaciazione, 10-12 mila anni fa. A nord appare evidente anche l’imbocco della gola che si innalza fino al Passo del Monte Rest, 1060 m s.m., entro la quale già nell’Età del Bronzo si inerpicava una pista di collegamento con

la Carnia. I paesi (lis Vilis) della valle si raccolgono attorno ai loro storici luoghi di culto. A Tramonti di Sotto (Vil di Sot) sorge la pieve matrice di Santa Maria Maggiore che risale al secolo XII. A Tramonti di Mezzo (Vil di mieç) la chiesa di Sant’Antonio Abate, nominata la prima volta in un atto del 1494), a Tramonti di Sopra (Vil di sora) le chiese di San Floriano (Floreano) del 1400 e della Madonna della Salute (inizio Novecento), a Chievolis la chiesa dei Santi Pietro e Paolo (fine Ottocento). Sparsi nell’intera vallata si incontrano numerosi sacelli e ancone, già luoghi di sosta delle Rogazioni, le processioni propiziatorie di un tempo. Singolare presenza a Tramonti di Sopra è la chiesetta protestante della Comunità valdese, eretta nel 1897. Il Meduna si arricchisce con il contributo dei torrenti Vièllia, Chiàrchia e Tarcenò. Il primo scende dalle pendici del Frascola tra grandi massi e ripide pareti di roccia generando cascate e pozze d’acqua verdi-azzurre, uno dei luoghi più suggestivi dell’area prealpina. Uscito dalla sua forra e prima di raggiungere il Meduna, il Vièllia passa al piede del terrazzo su cui sorge Maleòn e la stessa Villa di sopra. Risalendo il Chiàrchia, oltre Selva Piana, si perviene alla Forca Zuvièl, per la quale si accede al Canal di Cuna nell’alta valle del Comugna, principale tributario dell’Arzino. Il Canale appartiene al Comune di Tramonti di Sotto e fu abitato fino alla metà degli anni Cinquanta dello scorso secolo. Vi sorgevano borghi e casolari: Mosarèit, Frari, Cerva, Piedigiâf e altri. Il nucleo maggiore con un oratorio e la scuola era Villa o Pascalon. La chiesetta,


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eretta nel 1745 e dedicata al santo spagnolo Vincente Ferrer ha fatto cambiar nome al paese, che ora si chiama appunto San Vincenzo. Una ventina d’anni fa con il contributo di Enti pubblici e di molti volontari, chiesa e campanile sono stati ripristinati e oggi sono meta di escursioni e luoghi di eventuale riparo. Nel Canale del Tarcenò, dopo Comesta, si possono raggiungere i ruderi della casa Livignona e, sulla sua testata, Tàmar e Vuar, questa con un maestoso edificio a tre piani con portico e doppia loggia. D’altra parte anche negli altri villaggi abbandonati qualche casa in rovina conserva dei particolari architettonici - portoni, archi, architravi, poggioli - che, pur nella loro semplicità, presentano una certa finezza costruttiva. Lambita l’area comunale attrezzata per campeggio e centro sportivo, aggirato il promontorio della Clevata, lasciato a sinistra il dosso di Tridis, esemplare casacortina e sito archeologico, il Meduna si immette nel lago dei Tramonti o di Redona. Questa frazione di Tramonti di Sopra fu ricostruita in luogo più elevato negli anni Cinquanta quando le sue case furono sommerse dalle acque del lago generato con lo sbarramento della strettoia di Ponte Racli. La diga del tipo ad arco è alta più di 60 metri; al massimo invaso l’acqua arriva a 313 m s.m.; il serbatoio ha una capacità di oltre 20 milioni di metricubi. Quando il livello dell’acqua è basso riaffiorano gli scheletri dei vecchi fabbricati. Sul lago si affacciano anche le borgate di Faidona, Muìnta e Tamarat. All’interno, più in alto, si trovano Inglagna, Clez, Val e Posplata. Sulla sponda sinistra del lago

sbocca il torrente Chiarzò che nell’ultimo tratto scorre sul fondo di una profonda incisione di origine tettonica. Trae origine sulle pendici meridionali dello Zuc di Santins, dove c’è la diruta borgata di Pàlcoda, pur essa con campanile e chiesa recentemente ripristinati. Più in basso l’acqua precipita in una spettacolare cascata verso Campone dove muoveva le due ruote di un mulino, oggi restaurato nella struttura quale elemento storico della valle. La chiesa di San Nicolò di Campone, già cappellania nel 1744, fu elevata a parrocchiale nel 1924. Molti abitati si trovano lungo la strada che risale l’intera valle - al suo imbocco si intravvedono in alto le case di Ombrena e Ferrara - e raggiunge il pianoro, 670 m circa, sul confine con Clauzetto e la valle del Cosa. Sulla riva destra del lago, a Chievolis, sboccano il Silisia, il più grande affluente montano del Meduna, e altri corsi d’acqua minori, come l’Inglagna e il rio dei Gamberi. Il Canale del Silisia si origina a Le Tronconere, un villaggio sorto su un terrazzo fluviale a circa 600 m s.m. sul sentiero per la Forcella Clautana, storico valico per la Valcellina. Lungo il Canale le case di Staleròs, Staligiàl, Chiersuela e altre restano testimoni della passata non trascurabile presenza dell’uomo anche in questi borghi. Il toponimo Stua, in più luoghi, richiama alla memoria le chiuse in terra e legname che con l’apertura repentina delle loro paratoie facilitavano la fluitazione dei tronchi nei torrenti scarsi d’acqua. Negli anni Sessanta dello scorso secolo anche il Silisia fu sbarrato con una diga presso la

Redona, resti di borgata.

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VAL TRAMONTINA

La vallata del Meduna.

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borgata di Selva con una spettacolare diga del tipo ad arco-cupola alta più di 140 metri. La quota di massimo invaso è di 495 m.s.; la capacità del serbatoio è di 36 milioni di metricubi ed è quindi il più grande del Friuli Occidentale. In rapporto alla sua superficie quella dei Tramonti è una delle valli dove l’intervento antropico si è manifestato con particolare rilevanza. Le grandi

opere idroelettriche del bacino del Meduna, con una produzione media annua di energia che supera i 230 milioni di chilowattora, hanno portato indubbi benefici alla collettività, anche ai fini turistici, ma hanno pure cambiato la morfologia di ampie porzioni del suo territorio. D’altro canto, è noto che l’uomo moderno per le sue molteplici esigenze è divenuto un grande modifica-


VAL TRAMONTINA

tore del rilievo terrestre. A valle della stretta di Ponte Racli, già in Comune di Meduno, il torrente riprende il suo corso fra rocce e verdi scarpate. Riceve in destra il Muié, che arriva dal territorio di Frisanco, e, superate le strettoie di Maraldi e di Colle, dopo aver drenato un territorio di circa 250 chilometriquadrati, si apre sulla

pianura. Qui le acque della Val Tramontina scompaiono nelle ghiaie lasciando l’alveo asciutto per molti mesi all’anno. Torneranno alla luce più in basso tra Cordenons e Murlis, nella fascia delle risorgive, dove il Meduna rinasce come fiume con portata perenne; si uniranno poi alle acque della Livenza per raggiungere insieme il mare.

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Campone, il mulino.

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Pesca alla trota. Foto Thomas Sina

Comune di Tramonti di Sopra.

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MARCO PRADELLA

Specie vegetali e animali

Il paesaggio Tramonti di Sotto e Tramonti di Sopra sono due Comuni della Provincia di Pordenone, confinanti con quella di Udine e, come dice il nome, quasi “confinati tra i monti� che li circondano: le aspre Prealpi Carniche.

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I L PA E S AG G I O

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er meglio illustrare gli aspetti della flora e della fauna, siano esse tipiche o pregevoli, è però necessario fornire altri elementi utili a comprendere la dimensione, l’ubicazione e le caratteristiche dei luoghi. Nei 210 Kmq. complessivi, per uno sviluppo di 24 Km. in senso Est-Ovest e 13 da Nord a Sud, poche sono le superfici pianeggianti, concentrate in un vasto fondovalle terrazzato e nei 3 laghi artificiali originati da grandi dighe. Mentre la Val Tramontina propriamente detta appartiene al bacino idrografico del Torrente Meduna, affluente del Fiume Livenza, altri settori amministrati dai due comuni drenano le acque direttamente nell’alto corso del Fiume Tagliamento o verso il Torrente Arzino, suo affluente di destra. Le quote estreme vanno dai 260 m. s.l.m. della gola di Ponte Racli agli oltre 2000 m. delle testate di Val Silisia, Canal Piccolo e Canal Grande di Meduna. L’imponente dorsale delle Caserine Alte (2306 m.) e Caserine Basse (2255 m) disegna il limite verso Est delle Dolomiti che, per caratteristiche di selvaggia

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unicità, l’U.N.E.S.C.O ha riconosciuto quale “Patrimonio dell’Umanità”. Il clima è mediamente di tipo oceanico-temperato, fortemente influenzato dalle umide correnti sciroccali che scontrandosi con i monti (vera e propria muraglia sovrastante l’alta pianura), danno origine a nubi persistenti e piogge ingenti. Ciò è causa del generale abbassamento di tutti i limiti vitali, valutabile in circa 400 m. rispetto al resto della catena alpina, ma molti di più dove orografia ed esposizione hanno consentito l’instaurarsi di microclimi. L’ottimale posizione geografica e l’elevato grado di selvatichezza hanno comunque favorito la presenza di una grande varietà di specie vegetali ed animali, a partire da aree di distribuzione originarie anche molto distanti fra loro. Ma non è sempre stato così: la flora e la fauna che possiamo osservare oggi altro non sono se non i frutti di continua evoluzione, colonizzazione del territorio, sostituzione di specie, adattamento o, anche, semplice capacità di sopravvivere ad una sequenza di eventi.


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Allo scorrere del tempo, agli elementi e processi chimici e fisici (la genesi geologica, la tettonica, i fenomeni atmosferici, le modificazioni climatiche e morfologiche, l’avanzata ed il ritiro dei ghiacci, la presenza delle acque, la formazione dei suoli, ecc. ecc.) dobbiamo sommare la fortissima impronta che ha lasciato l’uomo, a volte inconsciamente, a volte per ferma determinazione di piegare un territorio ostile alle proprie necessità. La creazione di nuovi “habitat” ha visto la distruzione o l’alterazione di altri. Valutare la semplice presenza di piante ed animali in un territorio, senza considerare la loro “qualità”, non fa apparire le modificazioni apportate dall’uomo come un fatto sempre negativo. Ciò che ci circonda può essere meglio descritto usando il termine “paesaggio”. Questo, infatti, può essere naturale o umano e culturale, ma non per questo meno ricco di elementi di pregio ed emotivamente attraenti. Basti pensare, per esempio, ai pascoli sotto il limite del bosco, ai bacini artificiali dalle acque comunque pulite e lucenti, alle case costruite in pietra o legno, ai muretti a secco che

sostengono gli orti di montagna, al verde cupo dei rimboschimenti d’abeti. Le montagne e le vallate tramontine sono ricche di paesaggi, ma ci vuole spesso un “terzo occhio” per ben interpretarli. Dei duri lavori per costruire le case, coltivare la terra, tagliare i boschi, condurre per fluitazione i legnami, produrre la calce ed il carbone di legna, falciare i prati, pascolare ed accudire gli animali, vive quasi solo il ricordo. Ora che la presenza umana è ridotta al minimo, concentrata al fondovalle ed in poche borgate raggiunte da strade, la natura sta riprendendo i propri spazi, ma lo fa in modo quasi ostile e molti luoghi sono frequentati solo dagli animali selvatici. Salendo dalla pianura colpisce il baluardo di montagne che si erge oltre la breve serie di colli di età miocenica. Già prima della strettoia di Ponte Racli, in destra idrografica del Meduna, le rocce estremamente fratturate rendono evidente l’enorme energia in gioco lungo la dislocazione tettonica denominata “Linea Barcis-Staro Selo”.

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Questo grande sovrascorrimento di interesse regionale (insieme ad altri che si susseguono paralleli), è causa attiva della sismicità dell’area. La potentissima spinta ha incuneato le masse rocciose più recenti sotto quelle più antiche e rigide (dolomie e calcari dolomitici del Triassico), sollevando “come una pila di piatti” catene montuose parallele. Spesso mancano i versanti occidentali ed orientali, mentre è evidente l’asimmetria fra quelli Sud, estremamente ripidi e dirupati, e quelli Nord, inclinati secondo i piani di stratificazione. Il lembo calcareo Cretacico che termina a Redona, intensamente corroso dal carsismo superficiale e profondo, si è invece curvato plasticamente a formare una brachi-anticlinale con senso Est-Ovest (un tempo definita “ellissoide del Monte Ciaurlec”). La faglia suddetta la aggira con una curva a gomito, per poi

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proseguire verso la Slovenia. In Val Chiarzò troviamo anche dei modesti ricoprimenti di flysch, un’alternanza di marne ed arenarie eoceniche. Sono invece quaternari, e tuttora in evoluzione, i grandi depositi ghiaiosi e le serie di terrazzi fluvioglaciali della vallata principale. Questi, con la potente successione osservabile a lato della stretta di Ponte Racli, sono fra i più begli esempi che testimoniano il glacialismo in Regione. Nei limi sovra-consolidati e nelle ghiaie deltizie cementate di antichi laghi di sbarramento si possono rinvenire frammenti vegetali vissuti molte migliaia di anni fa. Oggi la vegetazione occupa praticamente ogni spazio. Muschi, epatiche, alghe e licheni, componenti difficili da catalogare e comprendere del regno vegetale, sono preziosissimi per le indicazioni circa la stabilità ecologica di un territorio, la sua


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dell’emissione delle foglie degli alberi), con Primule, Viole, Crocus napolitanus, Anemone nemorosa, Anemone ranuncoloides, Scilla bifolia, Gagea lutea. Un bel esempio di questa formazione, arricchita da Thlaspi praecox, Lilium carniolicum, Hemerocallis lilioasphodelus, Paeonia officinalis, si trova sopra l’abitato di Redona sul M.Chiarandeit. Vi trovano rifugio ed alimentazione molti roditori ed uccelli, ma è il Gatto selvatico (Felis silvestris) l’animale forse più interessante: cacciatore agile ed elusivo, preda piccoli mammiferi e nidiacei. Le aree prospicienti la pianura sono occasionalmente sorvolate dal Biancone, la cosiddetta “Aquila dei serpenti”, ben riconoscibile quando si sofferma in aria nella caratteristica figura dello “Spirito Santo”. La sua dieta, infatti, è basata per un buon 90% sui rettili, che individua dall’alto proprio in questo modo caratteristico.

Sullo sfondo, un giovane stambecco sul monte Plauris. Foto Dario Di Gallo

Foto Dario Di Gallo

Nei riquadri, dalla prima colonna a sinistra e dall’alto: 1. Geranio argentino (Geranium argenteum) 2. Pulsatilla alpina 3. Spillone alpino (Armeria alpina) 4. Genziana del monte Tricorno (Gentiana terglouensis) 5. Sassifraga gialla (Saxifraga aizoides) 6. Campanula zoysii.

Foto Dario Di Gallo

Foto Dario Di Gallo

Foto Dario Di Gallo

salubrità, la qualità delle acque, la presenza di metalli pesanti e radioattività. I fiori, gli alberi ed i boschi sanno invece suscitare maggior suggestione e meraviglia. In Regione ci sono diverse decine di tipologie forestali; le principali dell’area tramontina sono: gli Ornoostrieti a Carpino nero e Frassino minore, le Faggete, le Pinete a Pino nero e Pino silvestre, i boschi di forra a Frassino maggiore ed Acero montano e le Mughete. Gli Orno-ostrieti si insediano di preferenza sui pendii esterni e più termofili, manifestando spiccato carattere di boscaglie sub-mediterranee ed illiriche; presentano un corteggio tipico di alberi ed arbusti (Quercus pubescens, Sorbus aria, Viburnum lantana, Nocciolo, Corniolo, Pero corvino), edere, liane e Pungitopo (Ruscus aculeatus). Le fioriture sono soprattutto di specie nemorali (si manifestano prima


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L’aquila reale (Aquila chrysaetos). Foto Stefano Zanini

Stambecchi al pascolo, reintrodotti alla metà degli anni Ottanta. Foto Maurizio Buttazzoni

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Gli anfibi ed i rettili non godono generalmente di grande attenzione ed interesse, anzi, in molte persone creano un senso di repulsione o paura. Dotati di scarsa capacità di dispersione, sono degli indicatori ecologici molto importanti, particolarmente sensibili ai cambiamenti climatici ed ambientali. Il numero di specie subisce una drastica riduzione dal piano basale alle zone più elevate e continentali, distinte dalle isoterme dei 9-10 °C (nel tramontino è l’area a N.O.). Gli anfibi, poi, abbisognano notoriamente di aree umide, pozze e stagni, ed i luoghi idonei sono sempre più scarsi (stanno sparendo anche le vecchie pozze d’alpeggio, non più utilizzate). Taluni rettili, com’è il caso della rara Lucertola di Horvath (Iberolacerta horvathi), sono confinati in habitat particolari. Di origini antiche, vive su poche pareti rocciose con le popolazioni orientali isolate da almeno 7 milioni di anni dall’areale delle affini lucertole Iberiche. I serpenti più diffusi sono: il Colubro di Esculapio e il Biacco maggiore negli ambienti caldi ed assolati; la Natrice dal collare e la Natrice tassellata lungo i corsi d’acqua; la Coronella austriaca nelle aree fresche in quota. Tre le specie di Vipere presenti: il Marasso palustre (Vipera berus), che può salire ben oltre i 2000 m., la Vipera dal corno (Vipera ammodytes), diffusa fra rupi, pietraie e boscaglie, la Vipera comune (Vipera aspis), frequente anche in aree forestali. Molto territoriali (lo stesso esemplare si può rivedere nello stesso posto dopo anni), cacciano micromammiferi,

lucertole, anfibi ed uccelli che uccidono con morso velenoso. E’ appena il caso di ricordare che le vipere non costituiscono generalmente un pericolo per l’uomo, se si ha l’accortezza di prestare la giusta attenzione e non commettere gesti imprudenti (mettere improvvisamente le mani fra l’erba e i sassi, sedere a terra senza prima battere il suolo e dar loro il tempo d’allontanarsi, lasciare incustoditi i bambini). Nei boschi di forra (e su suoli profondi, freschi e umidi) crescono alberi pregiati come il Tiglio e l’Olmo montano. Il Castagno, di millenaria importazione, lo troviamo solo in un lembo della bassa Val Chiarzò. Frassini maggiori e Aceri montani vivono invece una fase di vigorosa espansione, andando ad occupare i coltivi abbandonati e gli ex-prati da falcio. Nel bosco fitto l’Astore e lo Sparviero volano abilmente, predando in volo gli altri uccelli che lì si rifugiano. Di notte invece, dagli anfratti rocciosi e dalle cavità dei vecchi alberi, escono in caccia il Gufo comune, l’Allocco e la Civetta capogrosso, dal volo silenzioso ma dai versi lugubri. Lungo le sponde del torrente la Puzzola lascia segni inequivocabili del suo passaggio: la pelle irritante dei Rospi, accortamente scuoiati prima di cibarsene. Le faggeta è un senz’altro il bosco più rappresentativo del paesaggio montano prealpino, indicativo del clima sub-oceanico. I Faggi, piante maestose che lasciano ben poco spazio agli altri alberi, ricoprono estesamente i versanti settentrionali dei rilievi. Solo 10.000 anni fa è iniziata la sua migrazione dalla Pe-


Gatto selvatico

Cinghiale

Foto Roberto Valenti

Foto Stefano Zanini

Scoiattolo

Capriolo

Foto Luigino Felcher

Foto Roberto Valenti

Poiana

Frosone

Foto Roberto Valenti

Foto Roberto Valenti

Civetta nana

Picchio rosso maggiore

Foto Luigino Felcher

Foto Luigino Felcher


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Il rododendro cistino (Rhodothamnus chamaecistus), endemismo che vive sulle rupi calcaree. Foto Dario Di Gallo

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nisola Balcanica, dove si era rifugiato durante le glaciazioni. L’orientamento della Val Meduna, in linea col sistema dinarico (N.O.-S.E.), lo ha ulteriormente favorito, a scapito dei boschi di Pini e Betulle. La faggeta spesso raggiunge le creste, con esemplari contorti dal vento e dalla neve, e solo oltre i 1600-1700 m. è sovrastata da mughete, rocce o praterie sommitali. Si può tranquillamente affermare che nessuna faggeta delle vallate tramontine sia stata “risparmiata dalla scure”, con modalità di trattamento ben diverso dai criteri della odierna selvicoltura naturalistica. Ne sono testimonianza la struttura attuale dei boschi, i resti delle “stue” (sorta di dighe in pietrame e legname usate per la fluitazione dei tronchi) e quelli delle teleferiche che hanno reso possibile l’esbosco da distanze incredibili. Le faggete, in tutte le loro variabili, sono estremamente ricche di specie botaniche, molte di origine illirica ma che si attestano meglio dove c’e più luce: radure, salti di roccia, costoni colpiti dai fulmini, canaloni percorsi dalle valanghe, zone schiantate dal vento, pure i margini di strade e piste forestali. Sotto l’aspetto delle presenze faunistiche le faggete allo stato puro si potrebbero assimilare a dei deserti. Infatti se da un lato possono offrire via di fuga e rifugio dai predatori a numerose specie di mammiferi ed uccelli, dall’altro garantiscono ben poche possibilità trofiche. La situazione migliora se al Faggio si mescolano l’Abete rosso e l’Abete bianco (dalla caratteristica sommità a “nido di cicogna”). I boschi maturi e poco disturbati dall’uomo possono rappresentare uno degli

ultimi rifugi per il Gallo cedrone, se vi è presente un sottobosco ricco in disponibilità alimentari. Lo splendido tetraonide è gravemente minacciato d’estinzione; al pari del Gallo forcello, del Francolino di monte e della Pernice bianca è sempre più raro, soffrendo la progressiva sparizione degli habitat idonei e le modificazioni climatiche in atto. Anche il Capriolo, dopo il grande incremento numerico avvenuto dal secondo dopoguerra, si sta rarefacendo causa l’avanzata del bosco sugli ultimi prati di fondovalle. Il Camoscio ci aveva abituati al pensiero di prediligere le praterie d’alta montagna. Invece sempre più spesso si sta adattando ad una vita forestale, soprattutto in boschi intricati e marginali, ricchi di specie erbacee (si ciba di oltre 400 varietà diverse). Gli spazi sono talvolta contesi al Muflone, pecora selvatica immessa per scopi venatori ma mai storicamente esistita nel territorio prealpino. Le liberazioni in Val Tramontina sono avvenute nel 1977, e da allora si è perfettamente adattato alle zone impervie mediane, prima poco frequentate dagli altri erbivori; la sua espansione ora interessa anche luoghi ove non è un’ospite gradito, come nel caso del Parco Naturale Regionale delle Dolomiti Friulane, che include circa 7000 Ha delle vallate del Meduna (Val Silisia, di cui 2000 Ha in comune di Frisanco, Canal Piccolo e Canal Grande di Meduna). Sono queste le parti più “wilderness” del Parco dove, a seguito di progetti condotti da esperti e suffragati dalla conoscenza circa le loro esistenze


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storiche, sono state invece reintrodotte due specie pregevoli: la Marmotta, che però non ha dato il successo sperato (ad esempio sul M.Raut), con solo qualche esemplare gravitante al confine tramontino (Cadin di Dosaip, Senons, Forcelle del Cuel e del Pedole), e lo Stambecco, che invece ha trovato alcune zone idonee, talmente ripide da non far permanere la neve a lungo: Dosaip, Pale di Maglina, Caserine Alte e Basse, Burlaton, Nartais. L’ Aquila reale, osservabile sia in valle che nei vicini magredi, è presente con coppie stabili ma i siti di nidificazione sono tenuti nel più rigoroso riserbo. I territori di caccia delle aquile sono sempre posti a quote superiori ai nidi, considerato che le prede alla portata dei poderosi artigli talvolta pesano ben più di loro (piccoli e giovani di Camoscio, Capriolo e Muflone, ma anche Volpi, Lepri alpine e Pernici bianche). Talvolta ci sono alcuni alberi “rari” nascosti nelle faggete e nelle pinete: il Tasso (Taxus baccata), con esemplari anche pluri-secolari in condizioni ombrose; l’Agrifoglio (Ilex aquifolium) dalle foglie sempreverdi ed alcune pungenti, testimone di un clima caldo-umido non più presente; il Cerro (Quercus cerris), specie quercina di derivazione illirica. Le pinete a Pino nero della Val Tramontina, pure di origine balcanica, sono prossime al limite nordoccidentale dall’area di distribuzione. Qui più che altrove hanno subito pesantemente la concorrenza del Faggio, tanto da trovarsi pressoché relegate sugli impervi versanti meridionali, dai suoli poco evoluti e con scarsa capacità di ritenzione idrica. La specie però

richiede condizioni di elevata umidità atmosferica e piovosità, tanto da poter raggiungere uno stadio “climax” (cioè di stabilità nelle migliori condizioni per un dato tempo), reso evidente dal vigore dei fusti e dalla chioma caratteristicamente piatta. Dove c’è maggior continentalità, si mescola o viene del tutto sostituito dal Pino silvestre, altra bella pianta e pure di indubbio interesse economico. Nelle Pinete e nelle Faggete, spesso a contatto sui due versanti di una valle, così come sui due versanti di una montagna, a primavera si può iniziare la ricerca delle diverse fioriture, che si susseguono a seconda della luce a disposizione. Nelle pinete, fra piante che meglio sopportano l’acidità originata dalla lettiera indecomposta, troviamo i cuscini dell’Erica carnea, il Chamaecytisus purpureus e l’orchidacea Epipactis atrorubens. Nelle faggete, dopo il profumato Fior di stecco (Daphne mezereum), si esprime in breve tempo la flora nemorale a Primula vulgaris e Anemone trifolia, poi Dentaria enneaphyllos (illirica) o Dentaria pentaphyllos (alpina), rare orchidee termofile della fascia basale (Cephalantera rubra e Cephalantera damasonium), mentre in alta quota, dove i fusti degli alberi sono serpentiformi e sciabolati dall’innevamento, Rhododendron ferrugineum e Rhododendron hirsutum. Gli abusteti sub-alpini a Pinus mugo sono considerati un Habitat prioritario a livello europeo. Le piante, a portamento strisciante, originano formazioni quasi impenetrabili e posseggono grande capacità di consolidare suoli franosi e detritici. Talvolta il larice vi si A lato, esempi della flora delle rupi e dei ghiaioni: nella fila in alto da sinistra, campanula di Moretti (Campanula morettiana), ranuncolo alpestre (Ranunculus alpestris) e raponzolo di Sieber (Phyteuma sieberi). Nella fila in basso da sinistra, alisso dell’Obir (Alyssum ovirense), primula tirolese (Primula tyrolensis) e papavero alpino (Papaver rhaeticum). Foto Dario Di Gallo

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insedia, mantenendo però caratteristiche di grande luminosità. I fenomeni di inversione termica favoriscono la discesa delle Mughete sui greti di fondovalle, così come gli stessi fenomeni favoriscono pure il Pino silvestre a scapito del Pino nero. Una splendida orchidea, la più grande rinvenibile in Italia, sembra proprio prediligere i margini di questa formazione e gli spazi più aperti fra le singole piante: è la cosiddetta Scarpetta della Madonna o Pianella di Venere (Cypripedium calceolus). La specie è protetta per il rischio d’estinzione, determinato tanto dalla raccolta indiscriminata che dalla difficoltà di propagazione (la germinazione può richiedere anche 17 anni!), e sopravvive in Val Meduna su aree limitate e mantenute segrete dai conoscitori. Fra i pini mughi trovano rifugio i branchi di camosci, pressoché invisibili quando vi si acquattano dentro, e pure le ormai rare Pernici bianche, che prediligono le ultime conche dove la neve permane più a lungo. Le praterie alpine oltre il limite del bosco e le pareti rocciose sommitali sono luoghi ove più alta è la concentrazione di specie (oramai solo arbusti stentati, erbe e fiori) perfettamente adattate alle condizioni più estreme. Le strategie per vincere gli sbalzi repentini di temperatura, la forza del vento, la lunga permanenza della neve al suolo, le fan sembrare delle vere e proprie “macchine da guerra”. Ne sono esempi: la struttura a cuscinetto, che può render nullo l’effetto del vento in soli 5 cm. e consentire di immagazzinare il calore necessario a decomporre le parti morte

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(quando esternamente sono solo 5°C, internamente possiamo misurarne anche 50); le foglie carnose che permettono di conservare l’acqua; le foglie ad ago e la pelosità che ne riducono la perdita per traspirazione. Un elenco completo di fiori rappresenterebbe solo un’inutile sequenza di nomi, nel mentre qualsiasi escursione garantisce la certezza di non rimaner delusi. Campanula morettina è endemica delle Dolomiti e gli esemplari più ad Est sono proprio nel Gruppo delle Caserine; anche Arenaria huteri è specie endemica di nicchie e rupi e non si spinge più ad oriente del M.Auda; Cytisus emiriflorus è una papilionacea insubrica (verte cioè attorno al Lago di Garda) che si presenta con areale disgiunto in Alta Valcellina, Val Silisia e Val Meduna; la profumata Daphne blagayana Freyer, ben nota ai valligiani col nome locale di “Rododendri blanc”, è un relitto terziario che ha come uniche stazioni italiane poche zone della Val Silisia; Genziana froelichii ssp. Zenarii è un endemismo delle Prealpi Carniche, che le glaciazioni quaternarie han separato da quello vivente nelle Alpi e Prealpi Giulie (Genziana froelichii ssp. Froelichii); Globularia nudicaulis, ancora poco conosciuta e poco osservata; forse ai limiti inferiori per tutte le Alpi Soldanella minima (tipica del piano nivale ma osservata a soli 350 m. s.l.m. in Val Silisia) e (Leontopodium alpinum), la ben nota Stella alpina, ma rinvenuta in parete a soli 425 m. s.l.m.; Pinguicula poldinii, protetta e relegata ad alcune rupi umide per stillicidio in Val Chiarzò e Val


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d’Arzino, è stata classificata cromosomicamente come nuova specie “insettivora” (con le foglie attaccaticce attira, avvolge ed assorbe l’azoto dai piccoli insetti che vi aderiscono). Fra le montagne geograficamente vicine al territorio tramontino, quella botanicamente più importante è certamente il Monte Raut (giustamente condiviso con i comuni di Frisanco, Maniago ed Andreis). Il motivo principale è proprio il gran numero di specie ospitate anche per merito della sua storia. Nel Quaternario alcune zone sono state risparmiate dalle glaciazioni e si è ritrovato ad essere un “nunatakker”, una sorta di rifugio nella posizione meridionale più favorevole della catena alpina. Conserva molti fiori rari, localizzati o endemici, assieme ad altri che segnano il limite estremo di areali diversi, talvolta disgiunti dai principali. La entità totali, solo della flora vascolare e considerando il sottostante Monte Jouf e la porzione settentrionale dei Magredi del Cellina, possono venir valutate in almeno 1500, quasi la metà delle specie osservabili in tutto il Friuli Venezia Giulia. Una riserva del genere non può che contribuire manifestandosi anche altrove, con appendici fino al fondovalle tramontino: ne sono esempi Campanula thyrsoides (a Tridis per dealpinismo) e, di particolare interesse per la sua unicità, Brassica glabrescens Poldini, risalita con altre specie magredili fino al Torrente Viellia. I laghi artificiali hanno indubbiamente modificato

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il naturale deflusso nei tratti di torrente a valle delle rispettive dighe, però si sono incrementati della presenza di alcuni uccelli acquatici: Cormorani, Svassi, Smerghi e Aironi cenerini sono ormai consueti, e riescono a trarre vantaggio anche dalle immissioni di pesce effettuate per uso sportivo. La presenza del Gambero di fiume è invece ancora garanzia di naturalità dei torrenti e delle loro acque sane e pulite. Dal lato dei mammiferi invece il grande incremento numerico di Cinghiali e Cervi, facilmente osservabili in valle e talvolta anche pericolosi per il traffico veicolare, è solo espressione di buona disponibilità alimentare, mentre non è dato sapere come e quando il fenomeno raggiungerà livelli di stabilità ecologica. La cultura venatoria è molto sentita in Val Tramontina e queste 2 specie sono particolarmente ambite, cacciate con sistema selettivo così come per il Capriolo, il Camoscio (presente con alcuni fra i più bei capi dell’arco alpino) ed il Muflone. Le stesse specie rappresentano però anche una fonte alimentare insostituibile per altri cacciatori: i grandi carnivori predatori che, oramai da diversi anni, fanno capolino e scalpore soprattutto quando vengono ritrovate le loro predazioni, o razziano qualche animale domestico, tanto da balzare alle cronache giornalistiche. Gli “addetti ai lavori”, cioè gli specialisti e tecnici faunistici, i guardiacaccia, i forestali, ma anche i semplici naturalisti, invece non si fermano alle noti-


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zie frivole ma cercano di capire con più attenzione le dinamiche che stanno rendendo il territorio di nuovo interessante per l’Orso bruno, la Lince ed il Lupo. Sono animali che devono la loro forza soprattutto all’essere pressoché dei “fantasmi dei boschi e della notte”, estremamente mobili su grandissimi spazi; solo talvolta ed in certi periodi, raramente per opportunità, si trovano costretti ad avvicinarsi al mondo dell’uomo, con grande diffidenza in quanto è stato il loro unico vero nemico. Le conoscenze attuali circa la biologia ed i comportamenti di Orso, Lupo e Lince dovrebbero bastare per vincere gli assurdi timori (o meglio considerare la loro presenza una scomoda “concorrenza”), che retaggi di fantasie e leggende ne avevano fatto decretare lo sterminio. La Lince ha avuto le prime reintroduzioni a Nord delle Alpi nel 1973, data dopo la quale gli avvistamenti si sono resi possibili anche in zone sempre più distanti. l’Orso bruno invece è apparso a più riprese dagli anni ’90 del secolo scorso, ma sempre con giovani maschi in espansione dalle zone d’origine (slovene e croate). Ultimamente si sono create però le condizioni per un arrivo anche da Ovest, dalle aree del Trentino ove pure è stato reintrodotto nel tentativo, geneticamente ridotto al lumicino, di salvare la popolazione relitta dell’Adamello-Brenta. Il Lupo rimane invece un “mistero” ed i pochi segni di presenza di canidi di media-grossa taglia nel Pordeno-

nese non sono ancora suffragati da prove certe. Certo è invece lo Sciacallo dorato, ospite nuovo per l’Italia già dai primi anni ’80 del secolo scorso: giunto dai Balcani si è ormai spostato fino in Trentino ed in Svizzera. La catena alimentare potrebbe considerarsi ben conclusa in tutte le sue componenti solo se si stabilissero regolarmente anche alcuni animali “spazzini”, quali gli avvoltoi. Sporadicamente compare il Grifone, oggetto di reintroduzione a Forgaria nel Friuli (UD), ove nidifica sulle falesie della Riserva Naturale Regionale del Lago di Cornino. Il grande Avvoltoio Gipeto (o Avvoltoio degli agnelli, il più grande uccello europeo con quasi 3 metri d’apertura alare) è estinto sulle Alpi dai primi del ‘900. A partire dal 1986 è stato oggetto di un impegnativo progetto internazionale di liberazione e rarissimamente ha già sorvolato questa parte di Prealpi Carniche, arricchendole così della sua possente presenza. La sfida attuale però non è solo la conservazione dei grandi animali e delle grandi foreste. L’uomo, per il suo bene e per la sua stessa vita, dovrà veramente prendersi cura dell’ambiente e lo “ringrazieranno” anche le nostre belle specie locali, sia fiori che animali, anche le più piccole delle quali stiamo attivamente decretando la distruzione. Perciò un pensiero anche ai Pipistrelli ed alle grotte, dove la vita è già difficile per i loro pochi specializzati abitatori, nel tempo immobile ma scandito da una goccia d’acqua.

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ANNA NICOLETTA RIGONI Museo archeologico del Friuli Occidentale Castello di Torre di Pordenone

La necropoli altomedievale

Tra storia

e archeologia Un esteso scavo per la posa di un traliccio dell’alta tensione sul terrazzo posto a nord della chiesa di Santa Maria di Tramonti di Sotto (XII secolo) permise nel 1990 il recupero di un discreto numero di oggetti di corredo (coltellini, fibbie e orecchini) e di ossa umane, pertinenti a non meno di mezza dozzina di sepolture di età longobarda (VII secolo d.C.).

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Area di rinvenimento della necropoli longombarda

L

’attenzione per il rinvenimento di tali oggetti e l’individuazione sul margine dello scasso di una sepoltura superstite, pressoché integra, consentì al gruppo archeologico “Archeo 2000”, sempre attivo sul territorio, la pronta segnalazione del sito alla competente Soprintendenza e il conseguente intervento di emergenza per il recupero della prima sepoltura. Si trattava in questo caso di un individuo di sesso femminile di età giovanile che presentava un corredo costituito da coltellino in ferro e un pettinino in osso a doppia fila di denti.

L’interesse suscitato da questi recuperi casuali, finora i primi e unici – si può dire – di una certa consistenza in Val Tramontina, spinse l’anno successivo il Centro Regionale di Catalogazione e Restauro di Villa Manin di Passariano ad avviare su concessione ministeriale un’indagine archeologica più allargata nell’area circostante, ricerca che si effettuò in due campagne di scavo tra il 1991 e il 1992, su una superficie complessiva di circa 200 mq, circa 1/3 della presunta superficie totale della necropoli. Le fosse tombali erano collocate a poca profondità

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TRA STORIA E ARCHEOLOGIA

Segnaletica dei ritrovamenti

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dal piano-campagna, appena sotto la superficie erbosa e un primo livello di terreno, ed erano in qualche modo protette da una stesura di pietre, a prima vista omogenea: in realtà alcuni di questi ciottoli venivano a costituire il perimetro delle fosse tombali entro cui erano deposti i defunti. Sono state riconosciute complessivamente ventisei tombe, diciotto delle quali sono state scavate. Di queste diciotto, in particolare, sei sono pertinenti a individui di sesso maschile (di cui due giovani e quattro adulti); dieci sono sepolture femminili (dall’età giovanile a quella matura o senile); due sono infine le sepolture di sesso incerto, in quanto o di bambini (2-3 anni) o mal conservate. Le sepolture scavate e quelle solo individuate erano disposte in file parallele, almeno quattro, con prevalente orientamento N-S. Una sola si poneva in posizione ortogonale a tutte le altre. Le tombe erano in semplice fossa terragna, alcune delle quali conservavano ancora le tracce di resti organici, forse residui di tavolati lignei posti con funzione di cassa. Tutte le sepolture portavano un corredo funerario, per lo più costituito da pettinino in osso a doppia fila di denti e un coltellino in ferro, talvolta con codolo a riccio, ciondolo di aggancio alla cintura e fodero, indistintamente per individui di sesso maschile o femminile, di età giovanile o matura. Solo un individuo maschile presentava due pettinini; tre se-

polture femminili portavano anche altri monili come orecchini e fibbie, alcune tombe femminili (e una di età non determinabile) avevano il coltellino inserito nel proprio fodero, in ferro o in bronzo con bella decorazione a treccia, mentre una maschile conservava solo il puntale in bronzo di un fodero di coltellino forse in stoffa. La necropoli altomedievale di Tramonti di Sotto presenta analogie, quanto alle caratteristiche della struttura della tomba, delimitata da ciottoli, e al corredo, con altri sepolcreti di età longobarda scoperti nell’area del Friuli occidentale e nel Veneto. Si segnalano in area friulana le tombe di Stevenà di Caneva e di Malnisio (comune di Montereale Valcellina) che presentano fondamentalmente come corredo il pettinino a doppia fila di denti e il coltellino con ciondolo di aggancio o, in area veneta, quelle di Cassanego (Borso del Grappa, TV) e in parte di Oderzo e Treviso. Per rimanere nell’ambito pordenonese, presentano invece una diversa composizione del corredo le sepolture di Dardago (comune di Budoia) e di San Giovanni (comune di Casarsa), che sono accompagnate da elementi di cintura per la sospensione di armi, e quella di Grizzo (comune di Montereale Valcellina) con coltello agganciato mediante una catenina e con una coppia di armille in bronzo.

ARCHEO 2000 Il gruppo archeologico “Archeo 2000” da molti anni si dedica alle ricerche non limitate solo al recupero e alla conservazione dei materiali archeologici affioranti nell’area pedemontana e prealpina compresa tra Meduna e Tagliamento ma indirizzate anche alla diffusione e alla trasmissione del proprio patrimonio culturale, storico e archeologico. In oltre vent’anni di attività i componenti del Gruppo sono stati artefici della maggior parte dei ritrovamenti presenti nella raccolta di Villa Savorgnan di Lestans e, come da principi statutari, hanno promosso la divulgazione del patrimonio museale organizzando incontri tematici inerenti l’archeologia e la storia, giornate con laboratori di archeologia sperimentale e dimostrativa con funzioni didattiche per scolaresche

e adulti, specializzandosi nei metodi antichi di fusione dei metalli. Con proprio stand didattico, hanno proposto le attività del gruppo in occasione di manifestazioni, anche di rilievo regionale allo scopo di far avvicinare il pubblico alla storia e all’archeologia, spiegando gli aspetti culturali e tecnicocostruttivi dei reperti esposti nella raccolta. L’attività didattica svolta dal gruppo “Archeo 2000” consiste in vari laboratori: scheggiatura di utensili preistorici in selce; fusione dei metalli nell’età del bronzo; panificazione con metodi preistorici; creazione di oggetti in ceramica di epoca preistorica e di età romana.


MATTEO FRASSINE

Archeopoint I

l primo tentativo di rendere fruibili le scoperte archeologiche di Tramonti di Sotto è stato condotto qualche anno fa, sull’area interessata dalla necropoli longobarda, dal Comune e dalla Pro Loco, sia riproponendo con sassi e ciottoli i perimetri delle sepolture individuate, sia allestendo un’apposita pannellistica, volta a illustrare i risultati delle indagini archeologiche ivi condotte. Per chi vuole, invece, avere un’idea orientativa della necropoli proprio come gli occhi degli archeologi l’hanno vista mentre la scavavano, nel Museo Archeologico del Friuli Occidentale, allestito a Pordenone nel castello di Torre, è stata ricostruita, in una sala dedicata, una parte del cimitero con l’esposizione di quattro delle diciotto tombe indagate, complete dei corredi originali: le deposizioni, anche se protette da un pavimento di vetro calpestabile per una migliore conservazione e osservazione, sono di fatto visibili come se fossero state appena scavate. È intenzione del Comune di Tramonti di Sotto, in accordo con la competente Soprintendenza per i Beni Archeologici del Friuli Venezia Giulia e il Museo Archeologico del Friuli Occidentale di Pordenone, allestire nei locali della ex latteria, denominata “Casa della Conoscenza”, il cosiddetto ArcheoPoint, una sala interattiva, dotata di videoproiezioni e stazioni multimediali consultabili dal pubblico, appositamente realizzata per offrire una panoramica

dei rinvenimenti archeologici del Friuli occidentale, con particolare attenzione alla necropoli di Tramonti di Sotto, dalla sua scoperta fino al nuovo allestimento museale. Gli ArcheoPoint nascono dall’idea, sviluppata di comune accordo tra Soprintendenza per i Beni Archeologici (Nucleo Operativo di Pordenone) e Museo Archeologico di Pordenone, di restituire, in termini di fruibilità culturale, quanto di archeologico è stato rinvenuto sul proprio territorio, soprattutto laddove non sia possibile sostenere, per motivi economici, l’allestimento, mantenimento e gestione di una più articolata realtà museale. Tali stazioni multimediali saranno presenti in tutti i Comuni che vorranno aderire al progetto e posizionate all’interno di strutture già predisposte ad accogliere le apparecchiature hardware necessarie, come ad esempio i punti informativi turistici. L’ottica è pertanto volta a favorire un concreto risparmio economico per le Amministrazioni locali, senza per questo rinunciare a valorizzare e a divulgare il proprio patrimonio culturale. Il punto di arrivo del progetto sarà la messa in rete, rimarcata anche da un banner unitario esposto nelle varie sedi, di tutti gli ArcheoPoint e gli ArcheoMusei, così da consentire al visitatore, direttamente sul posto o da remoto via web, di scoprire con semplici click del mouse quanto di storico e archeologico “nasconde” la provincia di Pordenone.

Soprintendenza per i Beni Archeologici del Friuli Venezia Giulia

Municipio di Tramonti di Sotto

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ANGELO CROSATO

L’antica pieve citata in una bolla papale del 1186

Santa Maria Maggiore È la matrice delle principali chiese della vallata: San Nicolò di Campone, Sant’Antonio Abate di Tramonti di Mezzo e San Floriano Martire di Tramonti di Sopra.

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SANTA MARIA MAGGIORE

L

a chiesa dedicata a Santa Maria Maggiore è l’antica pieve di Tramonti di Sotto, matrice delle altre chiese della valle. Le origini storiche e il primo sviluppo della zona sono fatti risalire al periodo longobardo e in particolare dal 900, allorquando gli Ungari invasero ripetutamente i territori della pianura: gli abitanti cercarono rifugio nelle montagne e nelle valli interne, maggiormente protette e difendibili. Il 29 agosto del 1608 la Repubblica di Venezia fissò, con proprio Privilegio, i confini alle tre ville principali

della Val Tramontina (di Sotto, di Mezzo e di Sopra). Con ogni probabilità la parrocchia deriva dalla più antica matrice di Travesio, già pieve nel 1174, citata in un documento di papa Alessandro III, datato da Anagni. E’ ritenuto che le prime fondazioni di Santa Maria Maggiore risalgano al secolo XI, nei pressi del luogo dove già sorgeva una precedente necropoli altomedioevale. E’ comunque certo che fosse pienamente funzionante nel 1186 essendo elencata come pieve in un decreto ufficiale di papa Urbano III.

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SANTA MARIA MAGGIORE

La pieve dipendeva dalla Diocesi di Concordia ed era soggetta alla giurisdizione civile del Castello di Meduno; il monastero di Sesto al Reghena aveva nella zona vasti possedimenti e molti erano gli interessi di nobili casati dell’epoca che vantavano diritti di possessi temporali. Numerose furono le controversie sino alla decisione del Luogotenente della Patria del Friuli del 13 marzo 1444 che confermò che la giurisdizione di Tramonti dovesse dipendere dalla mensa vescovile di Concordia. L’attuale struttura si ritiene risalga tra la fine del XV secolo e gli inizi del XVI e in parte richiama lo stile gotico. All’interno di grande interesse è il ciclo d’affreschi che orna interamente la parte absidale. Ai lati dell’arcosanto sono rappresentati L’Annunciazione e Il sacrificio di Abele e Caino, e nella parte inferiore, dodici figure di profeti e patriarchi. Nelle vele dell’abside sono raffigurati gli apostoli. Al di sotto appaiono alcune sante martiri con il simbolo del loro supplizio. Al centro si trovano i quattro dottori della Chiesa Occidentale: San Girolamo, Sant’Agostino,

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Sant’Ambrogio e San Gregorio Magno. Inferiormente sono dipinti gli emblemi dei quattro Evangelisti. Nella parte centrale della volta è raffigurata la scena dell’Incoronazione della Vergine Assunta. Nella parete di fondo è presente una grande, pregevole Crocifissione avente come paesaggio di fondo la val Tramontina. Negli angoli, ai lati delle due finestre, oblunghe a sesto acuto, si notano quattro ritratti raffiguranti i volti dei probabili committenti del ciclo pittorico. I dipinti furono attribuiti a Giampietro da Spilimbergo, pittore appartenente alla scuola tolmezzina di cui si conservano opere a Tauriano e a Dignano, e l’esecuzione cronologicamente è collocata ai primi decenni del XVI secolo (1528 – 1539 ca.). Furono restaurati nel 1953 da Gino Marchetot di Grado (Gorizia) e nel 1963 da Giancarlo Magri di Roveredo in Piano, che intervenne anche successivamente, dopo gli eventi sismici del 1976. In tale occasione il restauratore ebbe a segnalare una nuova attribuzione dell’esecutore dell’intero ciclo, oltre ad anticiparne la datazione. Considerati attentamente gli impianti iconografici,


SANTA MARIA MAGGIORE

il Magri, a seguito anche di confronti delle tecniche pittoriche riscontrate e dei materiali impiegati, avvicinò l’opera ad Antonio Zago, che già gli era noto per precedenti esperienze di restauro. L’attività di quest’artista, di origine bergamasca ma operante in Veneto e in Friuli, è documentata tra il 1485 e il 1507. Fondamentale è ricordare il ciclo dei suoi affreschi in Sant’Andrea di Bigonzo a Vittorio Veneto (1485), ed inoltre quelli di San Giovanni Battista di Serravalle (1490), della chiesetta della Mattarella di Cappella Maggiore (eseguiti tra 1486 e il 1503) e, in area pordenonese, di Sacile e di San Giacomo di Praturlone (1503). A quest’ultimo periodo si avvicinano le decorazioni di Santa Maria Maggiore di Tramonti di Sotto. Dal restauratore fu inoltre avanzata la proposta che il ciclo di affreschi presenti nella Pieve sia stato commissionato da Leonello Chiericato, vescovo di Concordia dal 1488 al 1506. Ne è testimonianza lo stemma dell’alto prelato dipinto sotto la pregevole Crocifissione. L’altar maggiore, secondo l’iscrizione posta sotto il tabernacolo finemente decorato, risale al 1692, fatto costruire dall’allora pievano Deiure. Nel 1741 furono aggiunte le

tre sculture di marmo bianco: la Madonna Assunta con ai lati i Santi Giuseppe e Maria Maddalena, opere dello scultore Giovanni Battista Bettini di Portogruaro. La balaustra in pietra che chiude il presbiterio risale agli inizi del secolo XVI, realizzata probabilmente dagli scalpellini medunesi secondo lo stile del Pilacorte. Su di essa sono presenti quattro angioletti reggicandelabro la cui esecuzione è ritenuta di Carlo da Carona (1520 ca.). Da segnalare anche la pila dell’acqua santa (con fusto del 1500 e coppa del 1700) nonché il battistero in pietra: nel fusto appare lo stemma del vescovo Antonio Felletto (1455 – 1488). L’altare laterale di destra, un tempo dedicato a San Giovanni Battista, ora è consacrato a Sant’Antonio di Padova. Quello di sinistra, in passato intitolato a San Rocco, ospita la scultura lignea, eseguita a Ortisei nel 1927, dell’Assunta, patrona di Tramonti. Dalla Pieve di Tramonti di Sotto traggono origine le altre principali chiese della vallata: San Nicolò di Campone, Sant’Antonio Abate di Tramonti di Mezzo e San Floriano Martire di Tramonti di Sopra.

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SAN NICOLÒ DI CAMPONE

San Nicolò di Campone La chiesa è situata in un poggio che precede il nucleo abitato. Cappellania sin dal 1744, fu staccata dalla Pieve di Tramonti di Sotto il 26 agosto 1824 e consacrata il 4 settembre 1852. Successivamente ampliata ed abbellita, fu elevata a parrocchia con decreto del 22 agosto 1922 dal Vescovo di Concordia Mons. Luigi Paulini. L’altar maggiore, punto centrale della navata rettangolare, conserva la statua di San Nicolò, Vescovo di Mira, con ai lati i Santi Osvaldo e Valentino, probabi-

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li opere di altaristi di Pinzano, scolpite nella seconda metà del XVII secolo. Da segnalare la pala del feltrino Girolamo Turro raffigurante Madonna del Rosario (1730) e i due grandi affreschi rappresentanti i fatti salienti della vita di San Nicolò, eseguiti dal pittore Giancarlo Magri. Lungo la parete di sinistra è collocato un bassorilievo in pietra del artista locale Gian il Camponese, che ricorda il benemerito don Pietro Odorico, parroco di Campone dal 1960 al 1986. Alla destra della navata, un altare custodisce la statua della Beata Vergine, acquisita nel 1886.


SANT’ANTONIO ABATE DI TRAMONTI DI MEZZO

Sant’Antonio Abate di Tramonti di Mezzo E’ documentato che la chiesa, al centro del paese, esisteva già nel XVI secolo: ne è testimonianza la visita pastorale del vescovo di Parenzo mons. Nores del 1584. La sua consacrazione avvenne nel 1760. Successivamente (tra il 1844 ed il 1888) l’edificio fu ampliato con l’allineamento della facciata al campanile. Dapprima cappellania ed in seguito curazia, dopo lunghe lamentele e richieste da parte della popolazione, ottenne nel 1902 la completa autonomia dalla Pieve matrice. L’altar maggiore ospita tre statue bronzee degli anni settanta del Novecento, opere del padovano Luigi Straz-

zabosco, raffiguranti il Crocifisso con ai lati la Vergine e San Giovanni Evangelista. Lungo la parete di destra è collocato l’altare dedicato a Sant’Antonio di Padova, risalente al XVII secolo. In una nicchia è posta la statua di Santa Lucia che regge in una mano la spada e nell’altra il simbolo del martirio. La statua della Madonna del Carmine è collocata nella parete sinistra. Fu acquistata nel 1935 ad Ortisei (Val Gardena) in sostituzione della precedente che era una Madonna in trono vestita. Le Stazioni della Via crucis sono opera dell’artista pordenonese Giancarlo Magri.

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SAN FLORIANO MARTIRE DI TRAMONTI DI SOPRA

San Floriano Martire di Tramonti di Sopra Il paese, anticamente soggetto all’Abbazia di Sesto, passò sotto la giurisdizione del Vescovo di Concordia, insieme alle altre ville della valle. Nel 1782 divenne Comune autonomo. La chiesa, con massiccio campanile posto in facciata, a destra, è posta all’ingresso meridionale dell’abitato, in luogo rialzato. Nella facciata risalta la vetrata in stile moderno ideata dall’artista Pierino Sam di Azzano Decimo. La costruzione dell’attuale edificio risale al 1625, anche se risulta che il vescovo di Parenzo mons. Nores, durante la visita pastorale del 1584, segnalava la presenza di un edificio di culto con l’altar maggiore già consacrato. Nella seconda metà del secolo XVII, con decreto del vescovo di Concordia mons. Agostino

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II Premoli, la chiesa di San Floriano fu eretta a parrocchiale, staccata dalla pieve matrice di Tramonti di Sotto. Circa un paio di secoli dopo furono effettuati importanti lavori sia strutturali che di abbellimento in stile neoclassico. Nei nuovi spazi, ben proporzionati e luminosi, furono mantenuti gli elementi barocchi del grande altar maggiore, in marmi policromi, affiancato dalle sculture raffiguranti San Floriano (a sinistra) e San Domenico (a destra). All’interno si trovano due altari laterali con sculture settecentesche, verso la parte absidale: sono dedicati alla Beata Vergine del Rosario e a San Domenico. Nella navata è stato mantenuto il pulpito ligneo in stile barocco. Il soffitto conserva un affresco del 1939 realizzato dal pittore restauratore Gino Marchetot di Grado.


GIANNI VARNERIN

In Val Tramontina

Via alpinistica Nella vallata si sta diffondendo sempre con maggior vigore la voglia e la curiositĂ di arrampicare.

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VIA ALPINISTICA

È

un’attività ancora poco praticata dai giovani e dagli escursionisti locali; nella cultura degli anni passati, solo i cacciatori nel loro girovagare per ripidi canaloni, per creste esposte e impervie forcelle seguendo la selvaggina affrontavano questi rischi e potevano godere di nuove e stimolanti sensazioni. Le pareti rocciose delle montagne della Val Tramontina sopratutto verso Nord, nel gruppo Valcalda del Frascola e Caserine-Cornaget, si prestano molto per sviluppare vie d’arrampicata. La roccia di calcare grigio è sufficientemente integra e le salite possono essere molto lunghe e diversificate. Molte sono le vie di arrampicata sportiva che sono state tracciate e alcuni sentieri attrezzati e vie alpinistiche completano il panorama dell’arrampicata e delle escursioni impegnative. Negli ultimi decenni, grazie all’impegno profuso da un folto e appassionato gruppo di arrampicatori, “I Rais dal Masaràch”, dalla locale Sottosezione CAI Val Tramontina e alla sensibilità delle Associazioni e Amministrazioni Comunali, sono state aperte alcune palestre di arrampicata. Le difficoltà variano: facili per chi sperimenta un primo approccio con la roccia, difficili per i più esperti, lunghe per chi non si accontenta di una prestazione sportiva ma vuole vivere a pieno questi monti per la loro bellezza e per l’ambiente selvaggio. Le palestre sono ben attrezzate, controllate e manutentate dai soci della locale sottosezione CAI. Sono facilmente raggiungibili e sempre di più frequentate da appassionati arrampicatori della pianura che scoprono in questa valle uno spazio alternativo alle spesso affollate montagne dolomitiche.

Molte sono le pubblicazioni in ambito locale in merito: di recente è stata pubblicata una guida, Pietre del silenzio, facilmente reperibile presso le associazioni e gli enti comunali, dove sono raccolte ed evidenziate in un unico volume tutte le vie delle falesie attrezzate della valle. La palestra di Sant’Antonio è ubicata lungo il percorso che da Tramonti di Sopra porta a Frassaneit seguendo il sentiero CAI 386. Parcheggiata l’auto in località Ropa, si raggiungono in circa venti minuti i sei settori che la caratterizzano, con vie su parete e tacche con spigoli vivi; si consiglia di frequentarla tra aprile e settembre. La palestra Spiris Libarst si trova sulla SS 552 del passo Rest. In località Pecol, a circa metà del percorso, è segnalata sulla destra da tabelle poste un centinaio di metri prima di un ponticello in curva, dove si può parcheggiare su un piccolo spiazzo. Da lì si può raggiungere per un sentiero in circa venti minuti. La roccia di calcare grigio a buchetti e tacchette è molto compatta e lavorata dall’acqua; l’arrampicata si svolge su placche, fessure strapiombi e camini. La palestra Pecol si raggiunge seguendo l’itinerario precedente, ma al parcheggio s’imbocca sulla destra il sentiero che porta alla grande Cengia dei Camosci e superati due ruscelletti si raggiunge l’area attrezzata. La roccia di calcare grigio e scuro è molto compatta e


VIA ALPINISTICA

leggermente strapiombante; vi sono vie classiche e più atletiche nella parte orientale. La palestra Pianto del Rest si raggiunge sempre dalla strada per il passo Rest, ma si trova più in alto delle precedenti, dove il canalone si amplia e al quartultimo tornante sulla destra una tabella indica l’accesso al sentiero. Quest’ultimo attraversa il ghiaione, si addentra in un boschetto e, seguendo gli ometti sino a raggiungere un rugo solitamente asciutto che si deve risalire, in circa quindici minuti porta alla base della parete. Le vie hanno uno sviluppo da ottanta a duecento metri e sono spittate e attrezzate con catene che permettono sicure calate in corda doppia. Le difficoltà sono discontinue e variano dal III all’VIII grado che riscontriamo alla “Variante al Campanile Teresa”, un alto monolito calcareo insolito per le nostre montagne.

La palestra di Tamar, facilmente raggiungibile da Tramonti di Sotto per il sentiero che da Comesta porta al Borgo Tamar, non ha le velleità degli altri siti. Le vie, brevi e didattiche, sono state tracciate con l’intento di concorrere al “Progetto Tamar”, che ha come obiettivo la conoscenza di questa zona della valle in tutti i suoi aspetti. Il punto di riferimento e di supporto è il Bivacco G. Varnerin, dove si può sostare e pernottare per un’esperienza a 360 gradi. Storia, cultura, ambiente selvaggio, escursionismo e arrampicata si fondono e si intrecciano formando un’unica realtà che arricchisce l’escursionista e stimola l’animo dei numerosi gruppi giovanili che vivono momenti intensi e indimenticabili.

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ROMINA DE LORENZI Presidente Unione Speleologica Pordenonese C.A.I.

La grotta della foos La Val Tramontina è costituita per lo più da rocce dolomitiche e non presenta un’elevata quantità di grotte. Le 29 cavità esistenti hanno tutte dimensioni contenute e sono di lieve importanza.

L

e cavità più conosciute sono il Fontanon del Toff (numero regionale 235/124FR) e la Grotta della Foos (numero regionale 507/229FR). Il Fontanon del Toff è una sorgente la cui acqua confluisce con il Rio Valcada. Il suo sifone venne esplorato nel 1967 da un sommozzatore che percorse circa 68 metri di galleria sommersa. La grotta più importante è sicuramente la Grotta della Foos (conosciuta anche come Bus del Castiu o Foos di Campone). Questa cavità è una risorgiva di troppo pieno situata alla base del versante nord del monte Ciaurlec. La grotta si apre sulla strada che dal Lago di Tramonti porta a Campone. Essa è una cavità ad andamento prevalentemente orizzontale con uno sviluppo di 2.625 metri e un dislivello negativo di 127 metri. Dopo una prima galleria a forra di circa 100 metri si incontra il primo pozzo di 8 metri, alla cui base si apre il ramo principale costituito da ampie gallerie percorse periodicamente da una modesta quantità d’acqua. L’ultimo tratto della galleria principale termina con un pozzo di 14 metri alla base del quale vi è un lagosifone profondo circa 12 metri e lungo circa 45 metri. La grotta si comporta come un inghiottitoio interno. Essa è percorsa da 7 corsi d’acqua indipendenti. Quando la piovosità è elevata, si comporta come una risorgiva di troppo pieno, e alcune delle sue gallerie si riempiono d’acqua che esce dagli ingressi gettandosi nella forra del torrente Chiarzò. Dal punto di vista esplorativo la grotta è interessante per il suo lago-sifone terminale. Le prime spedizioni speleosubacque risalgono al 1965. Gli speleosub Daniele Cirillo e Mauro Perotti (Unione Speleologica Pordenonese CAI), organizzarono una serie di esplorazioni nel 1992 e, nell’inverno dello stesso anno, in seguito ad un periodo di siccità, superarono il sifone principale ed una serie di sifoni minori rilevando una nuova galleria lunga circa 1.035 metri con 5 ampie sale. L’ultimo rilievo aggiornato della grotta risale al 1992. Le prime attività di ricerca nella grotta risalgono al 1923. Tutt’oggi la cavità è oggetto di ricerche scientifi-

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che e biospeleologiche soprattutto da parte del Gruppo Speleologico Pradis. Nel 1980 è stato trovato un coleottero troglobio, Cansiliella Servadeii, la cui presenza è confermata solo in questa grotta. Dal 2006 la cavità è stata oggetto di studi e ricerche proprio per capire di più riguardo la Cansiliella la quale risultava non essere attirata da esche di ossa e carne come altri cavernicoli e si sapeva avere un apparato boccale differente dalla maggioranza dei Leptodirini. Dopo un lungo lavoro di osservazione è stato rilevato che la Cansiliella dedica gran parte del tempo nell’interfaccia tra acqua percolante e moonmilk. e si sono anche riscontrate tre categorie comportamentali che caratterizzano gran parte degli esemplari osservati: spostamento, attività trofica e pulizia. La Grotta della Foos, proprio perché prevalentemente suborizzontale, si adatta bene ad essere utilizzata come prima grotta durante i Corsi di Introduzione alla Speleologia che l’Unione Speleologica CAI tiene annualmente. Gli allievi entrano in contatto con il mondo ipogeo superando difficoltà tecniche via via crescenti. La Foos non presenta grosse difficoltà tecniche pur offrendo al neofita traversi, pozzi, strettoie e quindi permette al corsisti di avere un primo contatto con questo particolare mondo, scoprirne le sue particolarità, imparare a conoscere il buio della grotta, le sue caratteristiche, l’acqua e i suoi rumori. La grotta viene utilizzata anche per accompagnare bambini, ragazzi e scolaresche incuriositi dalla speleologia. Il 24 dicembre 2012 è stata celebrata la quarantesima Messa di Natale in grotta organizzata dall’USP CAI. La tradizionale fiaccolata parte dal paese di Campone e precede la Messa che, durante la sua celebrazione, viene accompagnata da musica e canti tradizionali. La grotta illuminata prevalentemente da candele diviene un luogo di pace e armonia, un momento di condivisione e fratellanza al quale i soci dell’Unione Speleologica Pordenonese CAI tengono particolarmente.


La Galleria Principale Foto Ivan Castelrotto

Tutte le grotte del Friuli Venezia Giulia vengono inserite nel Catasto regionale delle Grotte del Friuli Venezia Giulia attualmente gestito dalla Federazione Speleologica Regionale FVG. Il numero attribuito ad ogni grotta è il numero regionale del catasto (primo numero) e il numero del Catasto Storico (FR o VG a seconda che riguardi il Friuli o la Venezia Giulia). Fino al 1966 esistevano 2 catasti: il Catasto Storico del Friuli e il catasto Storico della Venezia Giulia. Con la Legge Regionale n. 27/1966 i due catasti sono stati riuniti introducendo una nuova numerazione e mantenendo anche le sigle esistenti FR o VG.

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La sala del bivio dove inizia la Galleria Principale e il Ramo dell’Orso Foto Ivan Castelrotto

Il primo lago-sifone temporaneo lungo la Galleria Principale Foto Ivan Castelrotto

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Passaggio lungo la Galleria Principale Foto Ivan Castelrotto

Galleria Principale con impronte di corrente sul pavimento Foto Ivan Castelrotto

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RENATO MINIUTTI

Escursionismo

Tra borghi e torrenti Una serie di itinerari turistici nella vallata consente al visitatore di avventurarsi alla scoperta di vecchi villaggi abbandonati, canali e sentieri naturalistici, e di accostarsi agli aspetti storici, architettonici, geologici e morfologici della vallata.

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Foto Renato Miniutti

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a Val Tramontina con le sue tre Ville principali, quelle di Sotto, di Mezzo e di Sopra, è conosciuta ancora poco nei suoi aspetti selvaggi; gli impervi canaloni, i grandi dislivelli per raggiungere i pascoli e le cime dei monti spesso nascondono dei piccoli tesori da condividere con chi nella natura ricerca nuove energie per l’attività quotidiana. La valorizzazione delle risorse ambientali, storiche e culturali attraverso una serie di itinerari turisticoconoscitivi alla scoperta di luoghi ricchi di storia e natura diviene essenziale per meglio comprendere le peculiarità della Valle e apprezzarne i suoi manufatti e gli aspetti architettonici, naturalistici, geologici e morfologici del territorio. L’offerta della Val Tramontina ben si presta a soddisfare i bisogni dell’escursionista, sia che si accinga a brevi escursioni sia che si inoltri in percorsi più impegnativi nei lontani bacini acquiferi che supportano il fiume Meduna e i laghi. Alcune escursioni portano a riscoprire i vecchi villaggi abbandonati sparsi nel territorio e le opere di recupero e ristrutturazione delle antiche case rurali, altri come i sentieri naturalistici di alta quota e di fondovalle con la loro versatilità stagionale e i loro endemismi, completano questo ideale vagabondare.

I canali idrografici principali, il Silisia, il Meduna, il Vielia, di Malandrai, il Chiarchia e di Cuna, il Tarcenò e il Chiarzò, determinano uno schiudersi di valli che a raggiera mostrano luoghi e manufatti delle antiche genti, segnano una storia passata dove sacrificio e spirito di intraprendenza e solidarietà hanno scandito il tempo lasciando al presente le testimonianze di ruderi, terrazzamenti e percorsi che meritano essere conosciuti e apprezzati. Il Canale del Silisia, caratterizzato da ampi pascoli sulle Valine Alte e da fitte faggete, in particolare sulla “Forchia Grande” presenta un endemismo a livello botanico: la dafne blagaiana. Altra peculiarità la troviamo lungo il rio dei gamberi: il borgo di Posplata, con le sue case variopinte dove sui muri e sulle porte sono state artisticamente illustrate simpatiche fiabe e filastrocche. Questa zona è anche famosa per eventi storici che esulano dall’escursionismo, i moti di Navarons il cui protagonista fu Antonio Andreuzzi. L’impegno dei soci del CAI e dei volontari contribuisce alla manutenzione costante dei sentieri, delle casere e dei bivacchi per rendere fruibile e in sicurezza il vasto territorio della Val Tramontina.

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Foto Renato Miniutti

Foto Renato Miniutti

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Foto Renato Miniutti

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VLADI DE NADAI

Una mostra per un viaggio nel lontano passato

I fossili Esposti a Tramonti di Sopra appartengono a tutti i periodi geologici e provengono per la gran parte dal Friuli Venezia Giulia.

Museo di Storia Naturale di Tramonti di Sopra

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ramonti di Sopra e il Museo di Storia Naturale di Pordenone hanno organizzato a partire dal 2010 una Mostra di fossili nella Sala polifunzionale del paese. La collaborazione ha previsto il prestito di alcuni campioni di fossili da parte del Museo di Storia Naturale al Comune di Tramonti di Sopra con il benestare della Soprintendenza per i Beni Archeologici del Friuli Venezia Giulia. Il “cambio di residenza” per alcuni di questi campioni è stato un vero e proprio “ ritorno a casa”, nella montagna, magari proprio quella di Tra-

monti di Sopra, che li ha conservati in ottimo stato per milioni di anni. L’iniziativa ha lo scopo di promuovere una speciale località, che è delimitata dalla montagna e bagnata da specchi d’acqua di impareggiabile bellezza, a circa un’ora di strada da Pordenone, seguendo la direzione per Maniago (Pn). La mostra vuole trasmettere al visitatore la percezione, attraverso la testimonianza dei fossili, che un ambiente nel corso di milioni di anni muta in continuazione, anche se l’uomo ha la sensazione del contrario


I FOSSILI

per la brevità della sua esistenza. I cambiamenti degli scenari ambientali, che avvengono molto lentamente ma in modo inesorabile e fuori dal controllo dell’uomo, influenzano la vita di tutti gli esseri viventi. Il Friuli Venezia Giulia, Regione sfortunata dal punto di vista mineralogico, vanta una posizione di tutto rispetto in termini di affioramenti fossiliferi nei confronti delle altre zone d’Italia. La Mostra ha un percorso espositivo guidato dalla presenza di pannelli esplicativi e per ogni Periodo geologico è descritta la geografia del Pianeta, la situazione ambientale del Friuli Venezia Giulia, la flora e la fauna. I primi due pannelli illustrativi spiegano in quali termini la legge italiana permette la raccolta dei fossili, gli elementi della scala dei tempi geologici e le modalità di formazione dei fossili. La mostra è costituita da 147 campioni raccolti in nove vetrine, ognuna dedicata ad un Periodo geologico. All’inizio della visita, per allietare in modo particolare il pubblico dei più piccoli, è stata allestita una ricostruzione di un antico ambiente del Cretacico caratterizzato dalla presenza di Dinosauri, piccoli Mammiferi e dalle prime piante con fiore. La prima teca del percorso di visita contiene delle conchiglie attuali con a fianco il relativo fossile, ad in-

dicare che la fauna contemporanea ha radici nel passato. Nella stessa vetrina sono esposte copie di fossili a scopo educativo. I reperti paleontologici nazionali, infatti, sono indistintamente di proprietà dello Stato e quindi non commerciabili. Nonostante ciò, spesso è possibile trovare in vendita campioni provenienti dall’estero che però possono essere anche abilmente falsificati. Il consiglio è diffidare dal campione di provenienza estera troppo ben conservato, di grandi dimensioni e, nel contempo, di avere rispetto per i reperti nazionali, non raccoglibili dal dilettante e soprattutto non commerciabili. Dopo le vetrine introduttive, la mostra prosegue con la teca del Cambriano, primo periodo di tempo inserito nell’Era paleozoica, contenente i Trilobiti. I Trilobiti furono piccoli animali coloniali marini vissuti in ambiente costiero con scheletro mineralizzato ed un apparato oculare molto complesso e funzionale. Il corpo era difeso da un carapace rigido suddiviso in tre lobi. L’Ordoviciano-Siluriano è rappresentato da fossili di Brachiopodi del genere Orthis associati a Briozoi appartenenti alla formazione dell’Uqua di Malborghetto (Ud). I Brachiopodi sono animali marini protetti da una conchiglia bivalve e ancorati al substrato tramite il peduncolo, mentre i Briozoi sono piccoli anima-

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N. 1 Modello interno di Gasteropode del genere Bellerophon del Permiano (Forni Avoltri, Ud) N. 2 Pygope sp. del Cretacico (Cortina d’Ampezzo, Bl) N. 3 Naticopsis tersadica del Triassico (Ud) N. 4 Modello interno di Bivalve megalodontide del Triassico (Tramonti di Sopra, Pn) N. 5 Felce Pecopteris del Carbonifero (Pontebba, Ud) Foto: Vladi De Nadai.

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Centro polifunzionale di Tramonti di Sopra

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li marini organizzati in colonie che si sviluppano su formazioni calcaree o su altri elementi assumendo un aspetto arborescente. La vetrina del Devoniano contiene fossili di Crinoidi, Gasteropodi del genere Naticopsis, Tabulati del genere Favosites e organismi stelliformi provenienti da Paularo (Ud). I Crinoidi sono organismi marini viventi sui fondali, simili per aspetto a fiori, con un corpo a forma di calice e cinque lunghe braccia disposte come petali intorno ad esso. I molluschi Gasteropodi possiedono la conchiglia secreta dal mantello, un organo di movimento formato da un piede, una testa con occhi peduncolati. I Tabulati sono invece dei Coralli e parteciparono alla costruzione della scogliera corallina devoniana che si estese da Forni Avoltri fino a Pontebba. Durante il Carbonifero, a seguito dell’orogenesi ercinica, emerse la Catena paleocarnica. Il rilievo fu attraversato da vallate e da fiumi e ospitò ambienti deltizi ricoperti da una flora lussureg-

giante costituita da Felci e da Equiseti. I fossili esposti appartengono proprio a tale ambiente e sono Felci del genere Pecopteris e Neuropteris; mentre la fauna marina è rappresentata da Brachiopodi Isogramma e Productus. Alla fine del Permiano si verificò una prima estinzione di massa di organismi, con un duro colpo per rettili e anfibi. In Friuli Venezia Giulia, la Zona carnica fu soggetta ad abbassamenti e sollevamenti fino a generare un territorio costituito da vaste pianure e bacini lagunari. Appartiene al Permiano il Gasteropode del genere Bellerophon, scelto quale campione simbolo del periodo. Il Gasteropode Bellerophon fu un animale erbivoro, di taglia piccola, dalla caratteristica conchiglia di forma globulare che visse nelle praterie delle Alghe sottomarine. Il Megalodonte è un Mollusco del Triassico ed i campioni esposti sono di Tramonti di Sopra e di Tolmezzo. I Megalodonti popolarono i mari che si estesero


I FOSSILI

su ampie piattaforme carbonatiche di bassa profondità. Il clima era caldo, da tropicale a subtropicale, con probabili variazioni stagionali. A questo periodo appartengono i diversi campioni di Ammoniti provenienti da Cortina d’Ampezzo (Bl). Nel Giurassico comparvero i primi Mammiferi e gli Uccelli. Tra i campioni esposti, di questo periodo è presente il Brachiopode del genere Pygope. Nel Cretacico, una importante estinzione di massa causò la fine del regno dei Dinosauri, iniziarono a diffondersi le piante con fiori e i primi Mammiferi. Questo periodo nella mostra è rappresentato da un reperto ben conservato di Chondrodonta joannae rinvenuto a Pradis (Pn), da coralli dell’ordine Tabulata del Monte Rest (Pn), da Rudiste del genere Radiolites provenienti dalla Libia e da Ammoniti del Friburgo (CH) che sono state argomento di una Tesi di Laurea. L’Era Cenozoica è rappresentata da Molluschi di Pecten, Ostreina, Venus, Turitella, Conus e da diversi

denti di pesci Selacei rinvenuti a Meduno (Pn). La mostra possiede campioni di tutti i periodi geologici, ben conservati, la cui “estrazione” dalla roccia è stata operata con bravura e passione da Giulio Bornacin. Al fine della realizzazione della mostra ringrazio in modo particolare: Isauro Mazzeri e Marina Caruso per il coordinamento amministrativo rispettivamente per il Comune di Tramonti di Sopra e di Pordenone; Antonino Titolo, Roberto Sante Vallar ed Erika Facchin per il Comune di Tramonti di Sopra, la Soprintendenza per i Beni Archeologici del Friuli Venezia Giulia, Umberto Chalvien e Katia Parolin per il Museo di Storia Naturale di Pordenone. I fossili della mostra sono stati trovati per la gran parte all’interno del perimetro regionale e la loro varietà testimonia quante volte la natura in milioni di anni ha rimescolato le carte della vita. Tutto questo è testimoniato dai fossili, “ospiti d’eccezione”, di Tramonti di Sopra.

La vallata vista verso Nord di Tramonti di Sopra

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DANI PAGNUCCO

Val Tramontina

Le calcinaie Il peculiare territorio della Val Tramontina è ampiamente dotato di rocce e sassi ricchi di carbonato di calcio particolarmente puro; è pure fornito di combustibile, essenze legnose, proveniente dalla lussureggiante vegetazione; è poi armoniosamente impreziosito dall’esistenza di numerosi corsi d’acqua.

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utto ciò ha permesso, nei secoli trascorsi, la nascita e lo sviluppo dell’attività legate alle fornaci da calce. Il maggior impulso è derivato, ad ogni buon conto, dalla necessità di creare in loco un’occupazione che aiutasse la sopravvivenza in una terra di per sé povera, con modeste possibilità di sviluppo sia agricolo che pastorale. Altri mestieri, artigianali-commerciali, intrapresi con caparbietà e spirito, prevedevano l’allontanamento dalla propria terra, una sorta di migrazione a ciclica intermittenza scandita dalle sta-

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gioni e dall’epoca di lavori altrove eseguiti. Il maggior impulso nella produzione e nel commercio della calce è comunque avvenuto agli inizi del sedicesimo secolo quando, in seguito a un sensibile aumento della popolazione locale, si è reso necessario l’ampliamento delle zone abitative e l’occupazione del territorio potenzialmente atto al pascolo. Questa attività non era molto redditizia, per cui si sono cercate altre vie di sopravvivenza, tra cui la costruzione di fornaci da calce resesi fattibili per il modesto in-


LE CALCINAIE

vestimento economico iniziale e diventate poi importanti in ogni borgata e in ogni località della vallata. Queste le probabili ragioni che hanno dato vita ad un filone di lavoro non molto conosciuto, che consentiva la trasformazione, previa cottura, del carbonato di calcio in ossido di calcio, meglio conosciuto come calce viva. La domanda di tale prodotto finito, soprattutto nelle aree della pianura, ha sviluppato una serie di attività: dalla costruzione delle fornaci, alla produzione ed estrazione della calce, per terminare con il suo trasporto e vendita. Per ciascuno di questi lavori occorreva una specifica conoscenza, una spiccata manualità e un’esperienza acquisita giornalmente nel confronto con la vita. La calce è stata impiegata in numerosi settori dell’economia delle comunità e ha accompagnato fatti e momenti della vita dell’uomo nei tempi trascorsi: dalla costruzione e intonacatura di edifici a tinteggiature, da disinfettante contro malattie contagiose di animali a sterilizzante dopo il verificarsi di epidemie umane. In questi ultimi anni sono state raccolte le ultime testimonianze orali su questo improbo lavoro che si

concretizzava nell’arte costruttiva delle fornaci e nelle conoscenze di tecniche di cottura. Con queste attestazioni è stato possibile il recupero di una notevole quantità di notizie ed informazioni che hanno permesso una ricostruzione storica sulle ubicazioni delle calcinaie. Da queste ricerche è pure emerso che anche molte donne sono state impegnate nell’estrarre dalle “pance” delle fornaci i sassi cotti per poi trasportarli in centri di raccolta. Fatiche innumerevoli e ineffabili che hanno lasciato un preciso segno della vita di queste genti. Come è il segno lasciato in tutta la vallata di tante calcinaie ancora individuabili: alcune ristrutturate e ben conservate, altre che si presentano come delle costruzioni ripiegate in esse stesse e ridotte a cumuli di macerie. Il turista, in una visita alla vallata, può percorrere i sentieri che portano ai luoghi dove, anni e secoli addietro, sono state erette le fornaci necessarie a “cucinare” le rocce del territorio, attività che ha consentito di praticare un lavoro di modesta ma indispensabile remunerazione.

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FULVIO GRAZIUSSI

Le attività produttive della gente di montagna

Venezia in valle In Val Tramontina, il bosco ha rappresentato per secoli una delle principali fonti di vita e di lavoro

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a parte settentrionale della provincia di Pordenone è interamento montana e quindi montagne, boschi, pascoli, fiumi e torrenti sono il paesaggio che la caratterizza e che ha naturalmente condizionato la vita dei suoi abitanti di ieri e di oggi. Sin dal suo primo insediamento in montagna, l’uomo ha sempre utilizzato le risorse naturali che trovava in loco: l’acqua, i pascoli, i terreni e il bosco. Essenziale per la vita quotidiana, il bosco era fonte di materia prima per la costruzione della casa: travi, serramenti, pavimenti (fino al Cinquecento la maggior parte delle case era costruita completamente o parzialmente in legno). Era anche fonte di calore nei lunghi e rigidi inverni. Erano di legno gli arredi ed utensili della casa, gli attrezzi da lavoro (manici, fiàrclas, cesti ecc.). Era infine fonte di guadagno quando il legname veniva commercializzato. “Noi Domenico Mion, Zuanni Lando e Francesco Diedo Provveditori sopra li beni comunali (...) avendo veduto la perticazione fatta d’ordine dell’Illustrissimi signori allora Provveditori sopra li beni comunali in terra ferma dal Signor Angelo delli Orefici restegador pubblico delle Ville di Tramonti de Sotto, Tramonte del Mezzo e Tramonte de Sora, sotto il Vescovado di Concordia, avendo trovato posseder essi Comuni li sottoscritti campi entro li sottoscritti confini (...) consegnamo a voi uomini delli predetti Comuni, perché li abbiate a godere unitamente in comune a pascolo (...) con le inflitte condizioni, che a quella parte, che si trovasse a bosco sian conservati li legni buoni per la Casa dell’Arsenale (...)”. Così recita testualmente il documento della Serenissima Repubblica Veneta datato 29 agosto 1608 che dettava precise regole e confini allo sfruttamento dei boschi della Val Tramontina. È sufficiente questo antico testo per farci capire la grande importanza e centralità del bosco in quell’epoca. Nel XVII e XVIII secolo, a causa del consistente aumento demografico e conseguente espansione della popolazione in tanti borghi e villaggi e lo sfruttamento della dominante Repubblica Veneta, assistiamo ad un devastante disboscamento della Val Meduna. L’architetto Moreno Baccichet, studioso di antropologia, etnografia e storia dei paesi di montagna e in particolare della Val Tramontina, nel primo volume della collana Lis Vilis di Tramonç (1997) afferma: “In Val Meduna, più che altrove, la crescita demografica del XVII e XVIII secolo è stata così consistente da por-

re in grande squilibrio il rapporto popolazione-risorse. L’antropizzazione della vallata ebbe qui effetti estremamente impensati sul paesaggio. La prima colonizzazione, segnata da ampi disboscamenti per aumentare il patrimonio foraggiero pubblico e allungare le via della transumanza valliva delle greggi di pecore e capre, fu il primo aspetto fisico della risposta della valle alle richieste del mercato veneziano: Venezia chiedeva legame per l’arsenale e le fornaci di Murano”. Un’altra fonte storica che documenta l’attività boschiva di un tempo, è Luigi Pognici, che nella sua Guida di Spilimbergo e suo distretto pubblicata nel 1872 dice: “Il commercio di questa Valle Tramontina consiste nella esportazione della legna, col mezzo delle acque dei torrenti, ad uso combustibile. La quantità delle legna esportate annualmente può calcolarsi di circa 2000 metri cubi. Altri cespiti di industria e commercio sono la confezione e la vendita dei prodotti lattiferi e lo allevamento degli animali bovini, dei quali ve n’ha in questa Valle un 1600 circa”. Inoltre, nel registrare le professioni esercitate dai valligiani in quell’epoca, l’autore evidenzia che l’attività di boscaiolo era tra le più diffuse: Tramonti di Sopra contava ben 107 boscaioli e Tramonti di Sotto 24. Nel recentissimo libro Solidarietà in Val Tramontina - La Società operaia di Tramonti di Sopra 1896-2006 di Luigi Antonini Canterin e Ulisse Peccol (2006) si documenta che: “Il bosco divenne nel corso dell’Ottocento una risorsa sempre più cospicua dell’economia della valle. Bisognava però affrontare le difficoltà tecniche del trasporto dei tronchi degli alberi. L’assenza di strade e la lontananza dei centri di raccolta richiedevano l’uso della tecnica della fluitazione dei tronchi fino alla pianura lungo il corso dei principali torrenti, quella che il popolo delle valli chiamava menada. La grande menada della Val Meduna si concludeva nei pressi di Colle dove il legname trovava carri per il trasporto. Fino a tutti gli anni Trenta del secolo passato, la fluitazione continuò a rappresentare un avvenimento che ravvivava, in primavera ed in autunno, la quotidianità delle borgate e dei villaggi dislocati lungo il corso superiore del Meduna. I parroci davano l’avviso in chiesa, per evitare che qualche ignaro finisse travolto dai tronchi. A porre fine alla complessa tradizione della menada, giunse nel 1939 la prima grande teleferica: partendo da casera Cuèl con un percorso di molti chilometri, essa trasportava i carichi di tronchi fino al Matàn, località posta fra Tramonti di Sopra e Tramonti


VENEZIA IN VALLE

di Sotto. A quel punto la strada rappresentava ormai la via migliore per portarli alle città della pianura”. Altra interessante attività produttiva di un tempo, particolarmente sviluppata era la produzione di calce che si otteneva in calcinaie circolari che ancora oggi costellano i molti sentieri delle Val Meduna. Un tipico esempio di questi manufatti, lo possiamo ammirare in località Sisto di Tramonti di Sopra dove una bella fornace è stata recentemente restaurata. “La Val Meduna, già a partire dal Seicento divenne uno dei principali centri di produzione di calce per l’area dello spilimberghese. Per produrre questo bene erano sufficienti sassi e legna, poi, per spegnere la calce si rendeva necessario una discreta quantità d’acqua. La vallata era particolarmente ricca di pendii ciottolosi, ruscelli, rii, fiumi dove facilmente si potevano recuperare i sassi che sarebbero diventati calce. Non mancava poi il combustibile costituito da fascine, rami, tronchi d’alberi di faggio (rep), abete (peç) e soprattutto pino mugo (alaç)” (citazione da Fornaci da calce in Tramonti di Sopra di Moreno Baccichet e Dani Pagnucco, 2005). Anche il carbone veniva prodotto nei boschi della Valle: “Qui c’erano i carbonai che andavano a fare il carbone in Selvaç. Abitavano in un casone e scendevano in paese a fare la spesa ed incontravano le donne che trasportavano con la gerla il carbone” racconta Delfina Moruzzi, classe 1922, di Campone (citata nel settimo volume delle collana Lis Vilis di Tramonç, 2005).

Non possiamo tralasciare poi un accenno a due antichi mestieri della Valle, i cestai e i segantini, ora del tutto scomparsi, ma che costituivano fino alla fine degli anni Cinquanta del Novecento, un’importante, a volte unica, risorsa economica di tante famiglie Tramontine. Questi antichi mestieri erano legati strettamente all’ambiente naturale della montagna, vuoi per le materie prime utilizzate (cestai) vuoi per la specifica attività nel bosco (segantini). Il lavoro del cestaio (geâr) consisteva nel produrre cesti di vimini (gèis) di vari tipi: variavano le dimensioni, la struttura, la robustezza, il colore secondo dell’uso a cui era adibito, agricolo o domestico. Le poche e semplici materie prime adoperate, vimini (vènchis) di salice, stecche (brèaz) ecc., erano tutte ricavate da piante locali. I cestai lavoravano nelle stalle e la loro attività non aveva stagioni, sebbene fosse più intensa nei mesi invernali. Quando giungeva l’autunno caricavano i cesti sui carri trainati da cavalli e le donne scendevano in pianura per barattarli con i contadini, passando di casa in casa, o a venderli. Un altro dei vecchi mestieri, praticato in particolare dagli abitanti di Chievolis, Faidona e delle borgate vicine, era quello del segantino (segaz o sliperâr), cioè tagliatore di tronchi e legna nei boschi. Verso la fine del 1800, con l’avvento del treno, i segantini si specializzarono nella costruzione di traversine (in inglese sleeper, da qui il nome sliperâr) per la strada ferrata. I Chievolani emigrarono in Germania, Galizia, Transilvania, Ungheria, dove divennero dei veri esperti di

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VENEZIA IN VALLE

Foto aerea della Val Tramontina. Foto Protezione Civile FVG

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questo duro mestiere e furono ovunque apprezzati e stimati lavoratori. Da qualche anno si nota alcuni iniziative di recupero e valorizzazione del patrimonio antropologico costituito dai vecchi villaggi abbandonati, come auspicato dall’arch. Baccichet nel sesto volume della collana Lis Vilis di Tramonç, così conclude la sua ricerca: “Noi crediamo che i segni principali del sistema dei villaggi ora abbandonati, possono diventare un valore di identità per la vallata. La creazione degli strumenti utili per esercitare sul campo l’archeologia del paesaggio può essere un elemento di distinzione dell’offerta turistica di questa valle rispetto ad altre. Per esempio la roggia della Villa di Sotto, il molino di mezzo, nella Villa di Sopra il molino, la segheria Zatti, l’opificio di Campone, potrebbero essere elementi museali di straordinario valore etnografico. I luoghi conservano la memoria di una comunità: la zona di Tramonti è un estensivo parco archeologico, ricco di reperti ancora visibili che vanno dall’età medievale alla fine di quella moderna”. In particolare in località Frassanèit sono state recuperate le vecchie scuole con funzione di bivacco alpino, a Tàmar è attivo il bivacco Varnerìn, a San Vincenzo in Canal di Cuna è stata restaurata la chiesetta, a Pàlcoda sono in corso i lavori di restauro della chiesetta, eretta nel 1780, e ultimati quelli del campanile; a

Clez, Val, Posplàta, molti eredi degli abitanti di quelle borgate, stanno ristrutturando le vecchie case. È auspicabile un diffondersi di questi recuperi purché vengano eseguiti con criteri di rispetto delle tracce del passato e dell’ambiente, unitamente ad una valorizzazione della numerosa sentieristica della valle. Infine diamo uno sguardo al futuro parlando del recentissimo progetto noto come progetto biomasse. La Comunità Montana del Friuli Occidentale sta predisponendo un piano triennale per la costruzione di impianti energetici che impieghino come combustibile gli scarti legnosi. Il piano prevede, fra l’altro, la costruzione di un impianto a Meduno in accordo con i due comuni di Tramonti. Il progetto integrato ha come obiettivo di riscaldare in modo non inquinante gli edifici pubblici di Meduno ed è già a uno stadio avanzato. Dai vasti appezzamenti boscosi della Val Tramontina dovrebbe essere tratto il materiale da bruciare a valle: si tratta dei residui della lavorazione del legno, ovvero ramaglie e cortecce ridotte in piccoli pezzi. In questo modo verrebbe garantita anche la costante manutenzione del patrimonio forestale. Tra i due Tramonti vi sono aree boschive nelle quali da molti anni non viene effettuata alcuna operazione di bonifica e di pulizia. Il rapporto, lo scambio, la vita fra la montagna, il bosco e l’uomo continua...


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ANGELO LEANDRO DREON

Una tradizione antichissima

La lum Il legno del pino nero impregnato di resina trovava in Val Tramontina molteplici applicazioni, dall’illuminazione alla pesca notturna.

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ra le innumerevoli forme di utilizzo dei vegetali spontanei, testimonianti il legame primordiale e indissolubile che intercorre tra l’uomo e le piante, vorrei porre qui l’attenzione su alcuni degli aspetti meno noti e indagati di questo antico rapporto; mi soffermerò quindi sull’impiego che gli abitanti della Val Tramontina ancora fanno di un particolare albero, caratteristico del paesaggio alpino e prealpino orientale, che qui cresce abbondante. Si tratta del pino nero, un’aghifoglia sempreverde identificata dai botanici col nome scientifico di Pinus nigra J.F. Arnold subsp. nigra e indicata dai locali col fitonimo di pin negri. Di tutto l’Arco Alpino Italiano, il pino negro è naturalmente presente solo su Alpi e Prealpi Carniche e Giulie, con limitate penetrazioni nel vicino Veneto. È una conifera che vegeta assai bene in Val Tramontina, dove le precipitazioni raggiungono i 2500 mm annui e la temperatura media oscilla, durante l’anno, tra i 10 e gli 11°C. Frequentando i sentieri storici della Val Tramontina, ossia quelli che collegavano un tempo i paesi del fondovalle tra loro e con i borghi, le malghe e le stalle disseminate sulle pendici dei monti, si ha spesso modo di notare nelle piante di pino nero che vegetano accanto ai sentieri o a breve distanza dagli stessi, delle profonde incavature di evidente fattura umana alla base dei tronchi. Gli esemplari che le portano sono abitualmente quelli di maggiori dimensioni e, probabilmente, anche i più vecchi. Le profonde ferite, ormai cicatrizzate, non hanno causato la morte delle piante

che le portano e nemmeno danni tanto gravi da provocarne lo schianto sotto il peso della neve o sotto la furia del temporale estivo; questi pini neri infatti rimangono vivi per lungo tempo, probabilmente per secoli. Sono alberi preziosi poiché testimoniano, con la loro presenza, la produzione della lum, effettuata in passato e in minima misura ancora oggi dai montanari tramontini. La lum è il legno impregnato di resina che viene estratto da queste cavità impiegando la scure. In effetti le cavità stesse sono il risultato dell’estrazione della lum, sottoforma di grosse schegge, ripetuta sulla medesima pianta per un lungo periodo di tempo. I vetusti pini neri, contraddistinti dalla presenza delle profonde cicatrici, costituiscono senza dubbio un esempio di ciò che nel mondo anglosassone e nord europeo viene contraddistinto dall’acronimo CMTs: Culturally Modified Trees (“Alberi Culturalmente Modificati”). In Nord America e nell’Europa Settentrionale, già nei primi anni ottanta del secolo scorso, è stato messo in rilievo il valore culturale dei CMTs presenti in quelle terre. Questi alberi rivestono un ruolo importante poiché testimoniano, con la loro presenza, forme di impiego delle risorse naturali di un territorio da parte delle popolazioni che vi risiedono o vi hanno risieduto. I popoli che vivono abitualmente in un territorio, a stretto contatto con l’ambiente da cui dipendono, spesso sanno bene fin dove possono spingersi per non esaurirne le risorse. I Sami scandinavi e i nativi nordamericani, così come i montanari della Val Tramon-

Foto Thomas Sina

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LA LUM

Foto aerea della Val Tramontina. Foto Protezione Civile FVG

Foto Thomas Sina

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tina, erano a conoscenza che togliere completamente la corteccia a un albero, o inciderlo lungo tutta la sua circonferenza, avrebbe significato provocarne la morte. Le foreste con tali alberi dovrebbero quindi essere considerate “come relitti di paesaggi tradizionali e protette per il loro valore storico culturale”. In Val Tramontina con i vocabolo lum ci si riferisce al legno di pino nero impregnato di resina. Il termine si applica sia al legno resinoso ancora in posto sulla pianta, sia a quello appena raccolto in forma di schegge o parti di fusto. Il prodotto finale, quello che verrà effettivamente impiegato, richiede un’ulteriore suddivisione delle schegge o delle porzioni di fusto in elementi più piccoli che assumono il nome di stîas. Un tempo con le stîas, oltre ad accendere il fuoco, si illuminavano le stanze della casa. La camera da letto, in particolare, era provvista di due contenitori in lamiera, posti ai lati del capezzale, nei quali si ponevano a bruciare alcune stîas di lum in modo da rischiarare la stanza. In passato la lum veniva impiegata anche per la pesca notturna nei torrenti; ad esempio lungo gli affluenti dell’Arzìno o nel torrente Medùna, dove viveva abbondante la trota marmorata, il salmonide autoctono dei corsi d’acqua friulani. Per praticare questo tipo di pesca, si mettevano a bruciare numerosi bastoncini di lum (le stîas) in un contenitore metallico largo e piatto. Mentre una persona reggeva il contenitore con

i bastoncini resinosi in fiamme, un’altra colpiva con la fiocina le trote che rimanevano abbagliate dalla luce improvvisa. Con questo sistema si riuscivano a catturare con una certa facilità i pesci nelle acque meno profonde. Sebbene siano ormai poche le persone in grado di produrla, un certo quantitativo di lum viene ancora estratto e impiegato nella valle di Tramonti. Sono due i modi qui usati per preparare la lum; in entrambi i casi viene scelto esclusivamente il pino nero. Nel primo metodo si sceglie un pino nero di buone dimensioni che abbia, alla base del tronco, almeno mezzo metro di diametro. A un’altezza dal suolo variabile ma solitamente non superiore al metro e mezzo, si asporta con la scure dapprima la corteccia e poi una parte del legno sottostante, per uno spessore di circa un centimetro o due. Questo primo intervento riguarda meno di un terzo della circonferenza del tronco per una lunghezza di circa sessanta, settanta centimetri. La pianta reagisce alla ferita e inizia ad accumulare resina ai margini della stessa e nel legno così esposto. Col passare dei giorni e dei mesi lo strato di legno nudo si intride abbondantemente di questa sostanza viscosa, per uno spessore di circa due o tre centimetri. Trascorsi due anni da questo primo trattamento e così ogni due anni nei cicli successivi, con la scure si inizia a staccare le schegge di legno impregnato di resina (la


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LA LUM

lum), che vengono ulteriormente ridotte in pezzi più piccoli. Questi ultimi sono posti ad asciugare vicino al fuoco. Il prodotto finale, pronto all’impiego, è dunque costituito da legnetti della forma di un prisma rettangolare di circa dieci, quindici centimetri di lunghezza e uno, due centimetri di spessore (stîas). Grazie alla scelta appropriata del pino nero e alla tecnica di produzione, le stîas di lum risultano facilmente infiammabili e bruciano a lungo. Ora si impiegano soltanto per accendere il fuoco nella stufa a legna. Il secondo metodo per produrre la lum sfrutta, per così dire, un avvenimento naturale; può essere un masso che, precipitando, causa una ferita alla pianta incontrata nella caduta; oppure il fulmine che la colpisce fendendone il fusto in tutta la sua altezza. Nelle ferite create da questi incidenti si accumula la resina, e anche il legno così traumatizzato, risultandone fortemente impregnato, assume le caratteristiche della lum e come tale viene impiegato. In questi casi, se la pianta in seguito muore, la parte più ricca di resina viene direttamente ridotta in stîas, senza che ci sia il bisogno di scavarne preventivamente il tronco; diversamente si può procedere con il primo sistema, iniziando ad asportare la parte colpita. Pertanto il secondo metodo non sempre dà origine ai CMTs. A volte succede che un pino nero, utilizzato da lungo tempo per la raccolta della lum, ceda alle intemperie schiantandosi al suolo o venga coinvolto in qualche movimento franoso. Anche in questo caso la parte più resinosa del legno viene raccolta e preparata in stîas. Per evitare che qualcuno raccolga la lum dai tronchi che altri hanno predisposto, è abitudine piantare nelle cavità

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alcuni chiodi di ferro; la scure del “ladro”, ignaro dell’insidia, ne rimarrà pesantemente danneggiata. L’impiego di legno resinoso per accendere il fuoco e illuminare l’ambiente era diffuso anche altrove, sia in Friuli Venezia Giulia che in altre regioni dell’Arco Alpino; tuttavia il metodo di produzione era spesso diverso rispetto a quello praticato in Val Tramontina. A Claut ad esempio, in Val Cellina, si produceva la lum sia dal pino nero che dal pino mugo (Pinus mugo Turra subsp. mugo). I tronchi del pino nero non venivano tuttavia scavati come in Val Tramontina ma la lum si preparava con le piante schiantate dal vento, colpite dai fulmini, travolte dalle frane o rinvenute comunque morte. Dove mancava il pino nero o dove questa specie era meno frequente, si ripiegava su altre essenze. La lum e le sue numerose varianti, legate alla produzione del fuoco e all’illuminazione, hanno in Europa certamente una storia molto antica; si ritiene infatti che la capacità di creare e gestire il fuoco sia apparsa nel nostro continente tra i quattrocentomila e i trecentomila anni fa. Se duecentomila anni fa, come è stato accertato, i Neandertaliani erano in grado di distillare la pece dalla corteccia di betulla e utilizzarla per fissare le armature in selce su supporti di legno, quasi sicuramente conoscevano anche le proprietà degli altri legni resinosi e, tra queste, la loro caratteristica di bruciare e illuminare con particolare vigore. Può quindi essere grande l’emozione che si prova al cospetto degli “Alberi Culturalmente Modificati” (CMTs) se solo per un attimo ci fermiamo a meditare sul loro significato: generazioni di alberi e generazioni di uomini che procedono insieme fin dai tempi più remoti della preistoria europea.


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MORENO BACCICHET

Escursionismo

Tra il Tarcenò e il Chiarzò Un percorso nei borghi di Palcoda e di Tamar.

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TRA IL TARCENÒ E IL CHIARZÒ

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l Canale del Tarcenò è molto vicino alla Villa di Sotto, ma nonostante tutto la zona fu colonizzata molto tardi. Le poche proprietà private erano facilmente raggiungibili durante la giornata e gli insediamenti temporanei erano perfettamente funzionali al sistema economico agropastorale del più antico impianto bassomedievale. Per di più, il versante in ombra del Celant era tenuto a bosco e vincolato con attenzione dalla vicinia, mentre i pascoli di Tamar e di Vuar erano ridotti, e solo la messa a coltura dei terreni migliori avrebbe garantito la sussistenza di una famiglia. Si creò così una strana situazione: di norma nell’arco alpino gli insediamenti temporanei sono posti a una quota superiore all’insediamento principale, invece a Tamar, a causa dei vincoli boschivi, le stalle erano poste poco di sotto alla linea di livello dell’insediamento permanente.

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TRA IL TARCENÒ E IL CHIARZÒ

Presso la muraglia di confine di Livignona, percorrendo un comodo sentiero segnalato, si giunge a una casa nascosta tra faggi e abetine, che presenta ancora grandi cantine destinate a magazzino. Chi visita i ruderi di quella casa, in effetti viene colpito dal piano interrato voltato a botte, certamente inusuale nelle Prealpi Carniche e dall’eleganza della facciata segnata da una bifora, capace di portare alla mente esempi più urbani che alpestri. Domenico Masutti, che la fece edificare, era un personaggio particolare nel panorama umano della vallata, proveniva da una famiglia di mercanti, aveva studiato e svolgeva la professione di notaio. Avvezzo a frequentare le città del Nord-Europa per i suoi commerci in cappelli, voleva costruire una casa che assomigliasse a una villa extraurbana, vicina alla Villa di Sotto ma allo stesso tempo appartata e capace di diventare un deposito commerciale. Riceveva grandi utili da un’attività che era tutt’altro che locale e alpina. Durante i viaggi lunghissimi ai quali erano sottoposte le carovane di muli in partenza da Tramonti la merce (i cappelli) potevano rovinarsi e lo stesso poteva accadere sulle vie dei fornitori che da Firenze spedivano i cappelli a Trieste e dal porto arrivavano a Tramonti, sempre a dorso di mulo. Per evitare che ciò accadesse i cappelli erano confezionati in botti di legno rese impermeabili e marchiate con le iniziali del mercante. Il piccolo borgo di Vuar (altitudine: 524 mt) deve il suo nome a un albero, l’orniello, chiamato in friulano appunto Vuar. Le balze meridionali del monte Brusò erano state disboscate già alcuni secoli prima dal-

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le comunità rurali decise a ricavare qualche pascolo pubblico di bassa quota ben soleggiato. La vocazione al pascolo e la vicinanza del sito all’abitato di Tramonti di Sotto convinsero alcuni imprenditori all’acquisto di quei beni pubblici, che furono poi attrezzati con case e stalle al fine di poterli affittare a famiglie di pastori di capre e pecore. All’attività agricola e pastorale si era affiancata un’attività ben più redditizia, quella della mercatura. Come abbiamo già visto per i Masutti di Livignona, anche i Rugo di Vuar partecipavano alle compagnie per il commercio di cappelli e altro nel Nordeuropa. Se le risorse patrie erano scarse, questa attività commerciale svincolata dalla geografia della valle permetteva di costruire enormi fortune. L’insediamento di Vuar è particolarmente interessante dal punto di vista architettonico. In primo luogo perché l’edificio principale del piccolo borgo è di suggestiva bellezza per l’inusuale doppio ordine della loggia, secondariamente perché l’edificio è il frutto di un’esemplare ristrutturazione dell’originario borgo agricolo-pastorale in una sorta di villa borghese, alla stregua di quanto era accaduto a Livignona. La colonizzazione dei pascoli ricavati sulle spalle settentrionali del complesso del monte Celant iniziò molto presto vista la vicinanza di quest’area alla Villa di Sotto. Tamar (altitudine: 660 mt) è un toponimo alquanto diffuso in tutta l’area delle Prealpi Carniche. In antico definiva un recinto per gli animali presso qualche malga o stalla, e si sovrappose a quello precedente e ormai scomparso di Talteris. Le informazioni sull’area diventano cospicue solo


nel Settecento, quando Tamar sembra gravitare nell’ambito d’interesse di due famiglie insediate nell’area, quelle dei Varnarin e degli Orlando. I Varnarin avevano colonizzata quella zona alla fine del XVII secolo. La loro residenza era stabile e la proprietà dei terreni esclusiva. Nonostante queste trasformazioni, la cartografia ottocentesca di Tamar ci mostra molto evidente l’origine pastorale dell’insediamento ancora diviso in quattro nuclei. La mulattiera proveniente dalla Villa di Sotto passava tra i nuclei abitati e il bosco del Celant, per poi scendere verso il torrente Chiarzò e gli insediamenti di quel bacino. I frazionamenti, se si esclude il borgo più orientale, erano ancora ampi e testimoniano l’incapacità delle famiglie di coloni di “disegnare” il territorio definendo, anche con opere consistenti, le gerarchie della colonizzazione agropastorale intervenuta in quasi due secoli. Il nome stesso del paese ci ricorda che l’attività di pascolo era qui legata non all’allevamento dei bovini. ma a quello di pecore e capre. La parte più antica di Tamar è caratterizzata da un abitato a corte che ospitava originariamente tre famiglie e le rispettive stalle. Gli edifici di abitazione erano posti a nord e a est, le stalle sud e a ovest. Il borgo è stato recentemente in parte ristrutturato dai proprietari e al suo interno vi sono dei locali adibiti a ricovero, il “Bivacco Guglielmo Varnerin”, gestito dalla Sezione CAI di San Vito al Tagliamento che ne cura la manutenzione e l’organizzazione logistica. Nell’area del sito, notevoli sono le attività che si svolgono a livello escursionistico, anche giovanile; è un ottimo punto di partenza per escursioni impegnati-

ve e di arrivo per i meno allenati; di arrampicata, con una piccola falesia attrezzata, e naturalistico, con un osservatorio rialzato per la fauna locale ricca di caprioli, mufloni, cervi camosci e molte specie di uccelli e mustelidi. Non mancano manifestazioni a carattere culturale e folcloristico a cui partecipano molti valligiani e turisti occasionali, come la “Serata delle stelle cadenti”, dove si possono gustare specialità della valle, ballare in armonia in un contesto antico tra le luci delle fiaccole e visionare il cielo con il telescopio. Il Canale del Chiarzò, a est della valle, raccoglie le acque del vasto bacino idrografico del monte Brusò, del monte Taiet e del monte Rossa con le fitte faggete e le pareti strapiombanti. Numerosi sono i piccoli villaggi, talvolta un’unica casa o una stalla, disseminati sugli antichi pascoli ormai persi e invasi dal bosco, che testimonino l’audacia di quelle genti costrette a vivere, spesso a sopravvivere il luoghi impervi, lontano dalla Villa di Sotto e da Campone. Le acque a fondo valle, abbondanti in qualsiasi stagione, attraversano uno scenario selvaggio lanciandosi tra cascate e forre suggestive fino a Campone, dove le pale di un antico mulino le raccolgono per poi rilasciarle, pache, fino a raggiungano il lago di Tramonti. Pàlcoda (altitudine: 628 mt) nasce su di un terreno, detenuto dalla famiglia più potente della Val Meduna, in una valle laterale equamente distante dai canali (di Cuna e di Campone), percorso da strade intervallive e di fatto inserito in un processo di inurbamento diffuso. Sembra di poter rilevare, in questa coincidenza

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TRA IL TARCENÒ E IL CHIARZÒ

di situazioni, un’originaria volontà di colonizzazione. I Colossis, esattamente come altri simili signori della pianura, creano volutamente una vera e propria “villanova” agricola, con l’intento di rendere produttiva un’area di territorio fino a quel momento sterile o quasi. Già nel Seicento le famiglie più importanti erano i Masutti e i Moruzzi. Gli abitanti vivevano d’agricoltura, di pastorizia e di commerci: in particolare la famiglia Masutti commerciò cappelli di ogni genere nel Nordeuropa. La fornace e il mulino, tra il XVII e XVIII secolo, favorirono una discreta prosperità economica. Nel 1790 si contavano circa centoventi abitanti che si mantennero fino al 1914. I «Palcodàns» abitavano in case di pietra con tipici loggiati ad archi a sesto ribassato che si sviluppano in altezza: questa tipologia dona al borgo un aspetto medioevale e un fascino particolare. Nel 1780 fu eretta la chiesetta con il campanile, costituita da un’aula rettangolare con arco trionfale a tutto sesto che la divide dall’abside poligonale. Muri, stipiti e architravi sono in pietra. L’abside, con l’altare in pietra rivestito di marmo rosa, era decorata da affreschi di semplice fattura e arricchita da tre statue di marmo dei santi: al centro san Giacomo, titolare della chiesa, a sinistra san Bartolomeo e a destra san Domenico; le statue sono state collocate in una nicchia laterale della Pieve di Tramonti di Sotto. I Masutti furono l’ultima famiglia che abbandonò il borgo nel 1923: da allora l’usura del tempo ha lasciato solo i ruderi dei muri a delimitare le antiche costruzioni. Durante la Resistenza, Pàlcoda fu teatro di molti avvenimenti, al-

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cuni tragici: l’ANPI di Forgaria ha posto sul campanile una targa a ricordo dei partigiani caduti nell’inverno del 1944 combattendo contro i nazifascisti. Nel 2003 la Parrocchia decise di restaurare e collocare nella pieve di Santa Maria Maggiore di Tramonti di Sotto le tre statue dei santi, trasportate a spalla in paese da alcuni volontari nel 1962. Nel 2005, un gruppo di volontari di Tramonti e Campone, denominatisi “Gruppo volontari Progetto Pàlcoda” hanno avviato il cantiere di messa in sicurezza del campanile che, da anni privo del tetto e pericolante, rischiava di crollare. Infine i lavori di restauro e recupero della chiesetta, sono stati eseguiti da un’impresa tra il 2009 e il 2010. Il fabbricato è stato risanato e restaurato rispettando le sue originali caratteristiche, utilizzando materiali e tipologie costruttive tipiche della zona. Da evidenziare inoltre le artistiche porte in ferro, opera e dono del sig. Antonio Masutti con nonni oriundi di Pàlcoda. Il sito è facilmente raggiungibile da Comesta, da Tamar e da Campone su sentieri ben tracciati e manutentati. Numerosi sono gli escursionisti che in tutte le stagioni, vi accedono per percorrere itinerari più ampi verso il monte Rossa o per visitare i ruderi delle case nei pascoli di alta quota. Nell’area limitrofa è stato costruito un piccolo ricovero in legno quale supporto per un’emergenza o per ripararsi in caso di cattivo tempo. Numerose sono le testimonianze lasciate dall’uomo nei boschi vicini e sul fiume che confermano l’operatività di queste genti costrette a vivere in un ambiente severo ed essenziale.


GREGORIO PICCIN

Nel bosco, vicino all’acqua...

Campeggio aree picnic e ricettività

Posto a ridosso del Parco delle Dolomiti Friulane, incastonato in un territorio ricco di varietà botaniche e faunistiche, il campeggio Valtramontina offre la possibilità di vivere una vacanza unica, a contatto con la bellezza dell’ambiente circostante.

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l campeggio Valtramontina può essere considerato a tutti gli effetti il re dei campeggi montani del Friuli Venezia Giulia per diverse ragioni: aggrappato al greto del torrente Meduna (uno dei pochi corsi d’acqua classificati come “eccellenti” in quanto a balneabilità dall’ARPA regionale), a ridosso del Parco delle Dolomiti Friulane, incastonato in un territorio ricco di varietà botaniche e faunistiche e caratterizzato dalla spiccata “wilderness”, il campeggio ha una estensione, unica per il suo genere, di dieci ettari. Dieci ettari di bosco naturale (frassini, carpini, salici, abeti, pini, acacie, noccioli, noci) all’interno del quale sono stati inseriti con estrema discrezione e sobrietà tutti i servizi essenziali di un normale campeggio. La sua semplicità, la sua essenzialità, la sua estensione garantiscono all’ospite totale libertà di scelta della piazzola e una disponibilità di spazio (circa 100mq) davvero esclusiva in un contesto non addomesticato e lontano anni luce dai campeggipollaio a cui purtroppo ci ha abituato la moderna industria turistica.

Il campeggio Valtramontina è la meta ideale per chi cerca relax in un ambiente naturale che si è preservato pressoché intatto, offrendo la possibilità di vivere una vacanza a contatto con la natura e rimanere affascinati dalla bellezza dell’ambiente, dalle incantevoli pozze cristalline dei numerosi corsi d’acqua e dalla ricchezza delle testimonianze dell’architettura spontanea e della vita rurale di un tempo. L’ospite del campeggio Valtramontina avrà quindi a disposizione questa spettacolare scenografia per disegnare e mettere in scena il suo soggiorno in valle. Rimarranno soddisfatti anche i più sportivi. La nostra zona è infatti meta degli amanti della bicicletta, del parapendio, dell’arrampicata, del canyoning e della pesca. Una specializzata cartografia e la disponibilità dei gestori permetteranno a chiunque di organizzare facili escursioni o percorsi più impegnativi lungo la vasta rete di sentieri e mulattiere della valle. Il bar-ristorante-pizzeria offrirà ai propri ospiti la cordialità e la genuinità della gestione familiare proponendo una discreta varietà di piatti della cucina locale e nazionale con un occhio di riguardo ai prodotti di qualità e km 0.

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GRAZIANO DANELIN

Aree naturali protette

Parco naturale

Direttore Parco naturale delle Dolomiti Friulane

dolomiti friulane Comprendente ben 37.000 ettari fra i più belli dell’intera regione, il Parco Naturale delle Dolomiti Friulane coinvolge le aree dei Comuni di Andreis, Cimolais, Claut, Erto e Casso, Frisanco e Tramonti di Sopra in Provincia di Pordenone, di Forni di Sopra e Forni di Sotto in Provincia di Udine.

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e vette dolomitiche e gli splendidi scenari naturalistici porta questa zona ad essere un vero e proprio paradiso per l’escursionismo, il trekking e l’alpinismo. Tra il paesaggio tipicamente dolomitico della zona dei “Monfalconi” si trova l’elemento simbolo di riconoscimento dell’intera area protetta il “Campanile di Val Montanaia”. Il Parco si sviluppa in un’area di grande interesse geologico, ambientale e naturalistico; priva di strade agevoli e centri abitati al suo interno è caratterizzata da un alto grado di wilderness, difficilmente riscontrabile in altre zone dell’arco alpino e dove è possibile imbattersi senza difficoltà in caprioli, camosci, cervi, stambecchi, marmotte o vedere volteggiare nel cielo l’aquila reale. L’Area del Parco, dal giugno del 2009, è stata riconosciuta Patrimonio dell’Umanità da parte dell’UNESCO; ed è con lo spirito che anima questa Organizzazione Mondiale che gli Amministratori Locali si impegnano a gestirla, cercando di agire in modo di far godere di questo bene naturale anche alle generazioni future. Il riconoscimento dell’UNESCO è avvenuto per la bellezza e unità paesaggistica che caratterizzano i luo-

ghi, e per l’importanza scientifica a livello geologico e geomorfologico che rappresentano i profili montuosi che modellano questi territori. La consistenza delle presenze faunistiche è decisamente considerevole a confronto del resto del territorio regionale; si pensi solo che l’aquila reale, simbolo e regina delle vette dolomitiche del Parco, è nidificante con oltre 10 coppie che occupano tutto lo spazio per essa compatibile: segno che il territorio gode di un elevato grado di naturalità. Degno di nota è inoltre il patrimonio floristico: sicuramente uno degli elementi che hanno determinato quest’area come ambito da destinare a protezione. Specie endemiche come l’Arenaria huteri, la Daphne blagayana e la Gentiana froelichi, sono solamente alcune delle presenze floristiche di pregio; non si dimentichi inoltre l’abbondante presenza della splendida Scarpetta della Madonna (giugno-luglio) e lungo i ghiaioni o tra le rocce della Primula tyrolensis, della Primula wulfeniana e del Papavero delle rocce. La Daphne blagayana e proprio caratteristica delle praterie aride del versanti della Val Tramontina, tra i pendii che collegano i bacini artificiali di “Selva” e del “Ciul”.

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PA R C O N AT U R A L E D O L O M I T I F R I U L A N E

A fare da contorno a flora e fauna nelle valli del Parco troviamo chiare, limpide e fresche acque che sgorgano dalla terra e si trasformano in ruscelli e torrenti, che irrompendo nella quiete dei boschi modellano pian piano il paesaggio e le rocce. Il territorio del Parco, dato il suo prevalente aspetto “selvaggio”, è visitabile prevalentemente utilizzando i numerosi sentieri, questi comprendono sia percorsi adatti a tutti sia percorsi più impegnativi che richiedono anche una preparazione alpinistica. Da parte dell’Ente Parco è stato avviato un grosso lavoro di recupero, manutenzione ed organizzazione dei sentieri dell’ambito protetto: vera ed unica rete viaria di comunicazione interna con i suoi 230 chilometri di lunghezza. L’area della Val Tramontina inserita all’interno del Parco è definita dagli alti corsi del “Silisia” e del “Meduna”: zone tra le più integre e naturali dell’intero ambito protetto, delimitate a valle dagli sbarramenti artificiali dei serbatoi del “Selva” e del “Ciul”. Un tempo principale risorsa economica per gli abitanti della zona, è il bosco l’elemento dominante del paesaggio del “Canal Grande” e del “Canal Piccolo” di Meduna, caratterizzati da faggio, abete bianco e abete rosso e, nei tratti inferiori da pino nero.

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Per conoscere ed apprezzare l’area protetta sono attivi Centri Visite dislocati in tutti i paesi del Parco, alcuni aperti tutto l’anno, altri solo su prenotazione e durante i periodi di maggior afflusso turistico (periodo estivo). A Tramonti di Sopra l’allestimento del Centro Visite è dedicato al tema delle risorse idriche; è suddiviso in tre aree e sono sviluppati sia gli aspetti generali dell’acqua legati al territorio del Parco (idrografia, morfologia e peculiarità dei corsi d’acqua, ecc.), sia gli approfondimenti sulle specificità della Valle, legata ai diversi tipi di sfruttamento di questa importante risorsa nel tempo: dalle prime segherie e mulini ai recenti impianti idroelettrici. Impegno particolare nelle attività gestionali dell’Ente Parco è rivolto al mondo della scuola; negli ultimi anni numerosissime scolaresche hanno usufruito del servizio di visite guidate, potendo così conoscere e scoprire direttamente le peculiarità naturalistiche del territorio, che vedono nella zona di Tramonti di Sopra uno degli esempi più evidenti di come l’uomo ha modellato l’ambiente, e nello stesso tempo di come la “Natura” sia attualmente la protagonista principale di un ambito che è degno di essere riconosciuto e protetto come Patrimonio Mondiale per tutta l’Umanità e le generazioni future.


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ROSETTA FACCHIN

Ambiente

folclore cultura enogastronomia Rievocazione storica Rivivere il passato sorridendo della sua spontanea semplicità è una bella occasione per riunire la nostra piccola ma vivace comunità, in un clima di serena cordialità e di sana allegria. E quando lo splendido ambiente della nostra Valle e la sua gente s’incontrano per diventare interpreti della loro storia, si crea una sinergia di emozioni che rende magica l’atmosfera, e il passato, come per incanto è lì, a farsi respirare, ascoltare, accarezzare… Un passato che le nostre genti hanno vissuto con dignità e sincera solidarietà, quando il vivere era una sfida a mille difficoltà, quando le vicende si accavallavano e ti sorprendevano, rubando tempo alle quotidiane attività che si succedevano di stagione in stagione nelle cucine impregnate dal fumo del larin, nelle stalle che odoravano di fieno, nei campi che profumavano di erbe selvatiche, nei cortili antichi dove oggi i muri di pietra imprigionano il ricordo di voci argentine di bimbi spensierati, custodiscono la solitudine di mani

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rugose che li hanno sfiorati, conservano il calpestio delle talmedas sul selciato, consumato e reso lucido dall’andirivieni delle donne con il loro carico quotidiano di erba fresca e dai carretti cigolanti soffocati dal fieno asciutto e fragrante. “Tutti insieme appassionatamente” per raccontarci e raccontare la nostra Valle: ritornano sulla piazza e s’incrociano, tra stupore e risate, i segreti “sussurrati”, l’indignazione e l’orgoglio delle donne tramontine e la simpatica goliardia degli uomini. E poi le chiacchiere, le storie di paese raccontate con enfasi da comari mai contente, da sempre in guerra con uomini amabilmente sornioni e complici nelle grottesche situazioni di cui sono inconsapevoli artefici; sullo sfondo, protagonista indiscusso, l’amore di Minuti per la sua Miliuta e, tutt’intorno la strana magia di un ambiente rurale che si amalgama con il vivere d’ogni giorno fino a scandirne i ritmi, a governarne il divenire. Così gli eventi si compenetrano, a volte si confondono e si trasformano in veri paradossi e, complici i racconti


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di vita vissuta della nostra gente, nasce una storia. Riprende vita il tempo in cui il “dovere” s’intrecciava con gli aspetti più giocosi del vivere, ingredienti di un’alchimia che rivelava segreti nascosti per il pudore e la moralità che permeavano le nostre piccole comunità; e gli equivoci si traducevano in allegre sarabande che coinvolgevano l’intero paese e ancora una volta il buon vino e la genuinità della tavola placavano gli animi e l’allegria metteva termine ad ogni contenzioso! Uno scenario naturale di rara bellezza, un cast di attori genuini, la complicità di una platea calorosa,

la collaborazione e la disponibilità della nostra gente sono gli ingredienti che hanno decretato il successo della “Rievocazione Storica in Valle”, un evento che, dal 2003, si ripete ad anni alterni, portando in scena vicende e scorci di vita, nella genuina e splendida interpretazione resa dagli attori, volontari non professionisti che, con coraggio, si mettono in gioco, per regalare al numeroso e ormai affezionato pubblico, un pezzetto di quel passato magico e prezioso che ci rende orgogliosi di appartenere alla nostra bellissima Valle!

L’ultima domenica di Carnevale un’allegra sarabanda mascherata colora le strade e le piazze della Valtramontina che festeggia il suo “CarneValle” con la tradizionale sfilata dei carri allegorici. “Un connubio corroborante di allegria e talvolta sana follia, di sagacia, d’ironia, di solidarietà e di natura magnifica nella sua primitività e purezza”, così una cittadina Tramontina che tale si definisce “per elezione di sentimenti”, descrive la manifestazione. Nata in sordina nel 1996 con l’intento di resuscitare una delle tradizioni più brillanti della Valtramontin, negli anni la manifestazione ha saputo riprendersi il posto che meritava, grazie all’entusiasmo dei tramontini, agli amici di Meduno che si aggregano con i loro carri e alla simpatica e numerosa “brigata” di Redona: un sodalizio che testimonia la volontà di consolidare il rapporto tra le comunità della Valmeduna e la loro voglia di essere vive, intraprendenti e forti sostenitrici della tradizione. Organizzato dalle Pro Loco della Valle in collaborazione con la Polisportiva e con l’appoggio delle locali Squadre di Protezione Civile, il “CarneValle” sta raccogliendo consensi e apprezzamenti sempre più consistenti per la sua tipicità. La sfilata dei carri è accompagnata, sulle piazze dei paesi, dalla degustazione della gastronomia locale che si caratterizza per alcuni prodotti “esclusivi” della nostra Valle: ci si ritrova a Tramonti di Sotto con un brindisi e ottimi dolci preparati dalle donne tramontine, si prosegue per Tramonti di Sopra dove la Pro Loco offre pitina, formai dal cìt e salato e si prosegue a “Vil di Mieç” dove le mani esperte delle donne preparano i caratteristici “brustulins” (polenta con un cuore caldo di formai dal cit o salato) e “brovada e muset” e, per gli infreddoliti partecipanti, non manca un buon bicchiere di vin brulè. La festa di Valle si conclude tradizionalmente con una gran pastasciuttata offerta dalle Pro Loco a tutti i partecipanti! Insomma, per tutti un vero successo di collaborazione e amicizia, un appuntamento sempre più atteso e apprezzato anche da chi non è valligiano.

2003: I nuviz di una volta (gli sposi di un tempo) 2005: 2007: Gint ad âga (andando a prendere acqua) 2009: Canais, feminas…e omenaz! (bambini, donne e…uomini scriteriati!) 2011:Cui a pirdût las mudandas in tal fên? (Chi a perso le mutande sul fienile?)

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A M B I E N T E F O L C L O R E C U LT U R A E N O G A S T R O N O M I A

La Latteria La Latteria turnaria di Tramonti di Sotto era attiva, come risulta da alcuni documenti, già nel 1928 e contava circa 150 soci; l’assemblea dei soci ne sancisce la definitiva chiusura nel 1969. Oltre al capoluogo, Tramonti di Sotto, le borgate conferenti latte erano Tridis, Chiarandin e Tramonti di Mezzo. Lo Statuto prevedeva che ogni socio dovesse fornire la legna per la caldaia e individuare un aiutante per il casaro; al termine della lavorazione del latte era infatti necessario ripulire e sistemare i locali per il turno successivo. In genere, l’impegno del conferimento del latte e dell’aiuto al casaro era un compito prettamente femminile: gran parte degli uomini di Tramonti trascorrevano, per lavoro, buona parte dell’anno all’estero e rientravano per qualche mese soltanto nella stagione invernale. La latteria lavorava giornalmente circa 8 quintali di latte, produceva una decina di forme di formaggio e

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circa 5/6 kg di burro. L’edificio, che rimane inutilizzato ed in stato di abbandono dopo il sisma del 1976, viene preso in carico dal comune e ristrutturato con contributo regionale. Il piano superiore dell’ex latteria, riaperto al pubblico nell’agosto 2009 ospita ora, in una delle due sale, la mostra permanente del CRAF “Tramonti la storia nelle immagini” donata al comune dall’Associazione “I Stramps”. L’interessante selezione fotografica testimonia, attraverso scatti d’epoca, la vita del paese e dell’emigrazione tramontina. Entrambe le sale sono a disposizione di convegni ed incontri socio-culturali. Il piano inferiore conserva la strumentazione originale utilizzata per la lavorazione e la trasformazione del latte in prodotti caseari. Attualmente (2011) è attivo un mini-caseificio per la lavorazione di prodotti locali.


FATTORIA SOCIALE di Amanda Cirri La fattoria sociale Sottosopra è stata fondata in Val Tramontina da tre persone arrivate da altri territori: il Veneto e la Sardegna. Questo è un primo dato che nella sua semplicità ci dice come chi arriva da fuori può guardare con occhi diversi il contesto in cui si trova a vivere. Un concetto divenuto la prima risorsa utilizzata da questo piccolo gruppo per iniziare la sua avventura! “Siamo arrivati 4 anni fa ad abitare in Val Tramontina e questo ha cambiato le nostre vite. Ci pensiamo come nuovi montanari, più che recuperare un folklore fasullo reputiamo la montagna un luogo ricco di potenziali nuove forme di economie, economia di sussistenza senza ambizioni di business. Investiamo nel territorio in cui viviamo, cercando di offrire il nostro prodotto innanzi tutto alla vallata.” Il prodotto principale deriva dall’allevamento di un gregge di 78 pecore sarde dal cui latte viene prodotto formaggio pecorino e ricotta. Un prodotto di qualità che segue i principi dell’allevamento allo stato brado e una lavorazione di formaggio “a crudo”, cioè a latte non pastorizzato, lavorazione ormai divenuta rara. Il fieno che nutre il gregge in inverno proviene dai campi adiacenti agli appezzamenti della fattoria, il che rende il prodotto completamente autoctono in ogni stagione. “Abbiamo deciso di dar vita ad un qualcosa che potesse esprimere a pieno le nostre capacità - raccontano i soci dell’Azienda Agricola - conoscendoci abbiamo capito che queste capacità, messe insieme potevano far nascere una fattoria sociale, dando così a tutti noi la possibilità di sviluppare un’impresa e di dare alla produzione un carattere anche etico. Gli stessi principi che muovono la produzione muovono anche i nostri rapporti interpersonali con la comunità e con le istituzioni. Alcuni di noi arrivano da esperienze nel sociale, pertanto anche la prossimità con le persone svantaggiate si è sempre rivelata una risorsa per capire meglio noi stessi e il mondo. Coinvolgere le persone disabili o svantaggiate all’interno dei nostri processi produttivi, significa mettere a disposizione una risorsa sia per l’azienda che per la collettività. Una persona in difficoltà che lavora, produce e si relaziona con gli altri, è un successo collettivo, che ha una ricaduta positiva su tutti.” Così l’azienda ha uno sviluppo multi settoriale, da un lato la produzione dall’altro l’attivazione di tutoraggi di mestiere con persone disabili, laboratori tematici rivolti a gruppi di anziani e/o a gruppi specifici (persone in comunità, centri diurni), percorsi didattici rivolti alle scuole, a gruppi scouts e ai ragazzi e alle ragazze in colonia estiva. Altro filone tematico che l’azienda sviluppa è quello del turismo sociale: “Circondati e gratificati da un paesaggio stupendo abbiamo iniziato a pensare a come farlo conoscere e renderlo accessibile a tutti, per questo abbiamo iniziato ad esplorare il territorio assieme a gruppi di bambini, adolescenti e disabili. Le escursioni, le gite anche con pernottamento in bivacco sono un’esperienza utile alla crescita ed è un’opportunità per racconti e storie che narrano

il luogo, ma anche narrate da chi lo attraversa. Un’occasione per conoscere il proprio corpo in ambiente e relazionarsi in un contesto ‘stra-ordinario’” La pubblica amministrazione ha dato il suo appoggio e sostegno alle iniziative dell’azienda, e oggi a Tramonti di Sotto rivive uno spazio dal significato profondo per la collettità: l’antica latteria turnaria del paese. “I lavori di sistemazione della latteria, la pulizia degli utensili, la realizzazione del murales li abbiamo svolti con il contributo dei ragazzi e delle ragazze disabili dei centri diurni di Maniago e di Barbeano e dei loro operatori di riferimento dell’Azienda Socio Sanitaria n.6, e della Coop Itaca. Durante quel periodo le persone più anziane del paese si sono avvicinate spesso raccontandoci ricordi e sensazioni tutt’ora vive, facendole vivere anche a noi. Le persone straordinarie che ancora oggi vivono in questa terra, la loro voglia di vedere rivivere uno spazio che ha avuto un significato così importante sono state il nostro motore, l’entusiasmo la vicinanza, l’aiuto.” Essere forestieri in ogni luogo del mondo è una opportunità che va colta con ottimismo e positività, anche se racchiude in sé il dolore di una fuga e l’ incertezza sul futuro. Fardelli da trasportare insieme a chi si incontra, a chi accoglie: “Ci siamo dedicati a questo territorio in maniera totale e aperta ed è per questo che abbiamo scelto il nome Sottosopra per l’azienda, che racchiude in sé le realtà della valle, cui ci sentiamo di appartenere e per lo sviluppo della quale lavoriamo. Cerchiamo di lavorare nella realizzazione dei nostri programmi collaborando con la scuola e con le associazioni presenti. Quest’estate, come la precedente abbiamo dedicato i punti verdi ai bambini della valle, che si sono dimostrati un gran successo sia nella partecipazione sia nel contributo di persone non dell’azienda, nella realizzazione dei laboratori. Si sono coinvolti in quest’esperienza ragazzi e ragazze della valle (associazione “il ponte”, volontari c.a.i.) oltre ad altre fattorie sociali appartenenti al forum provinciale delle fattorie sociali che hanno dato il loro contributo, mettendo a disposizione i loro saperi, le loro esperienze in un clima di scambio!” Oggi per l’Azienda Agricola Sottosopra il macro sono gli ideali e il micro sono le azioni, ma la speranza e il lavoro di rete vanno nella direzione di conciliare micro e macro in una pratica, che possa fungere da modello anche in altri territori, territori montani in cui esportare azioni virtuose, azioni di sviluppo economico e sociale.

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L’abito da sposa Il costume, ossia l’abbigliamento, è il codice identificativo di uno status sociale, ma anche di appartenenza a un luogo; in tal contesto va collocato l’abito da sposa di Tramonti di Mezzo risalente al XVIII secolo, di probabile dote popolana, esposto presso la “Casa della Conoscenza” a Tramonti di Sotto. Si tratta di una fedele riproduzione dell’originale (a opera delle mani esperte di Antonella Vizzon) che fu donato dagli studiosi D’Orlando e Perusini al Museo delle Arti e Tradizioni Popolari di Udine dove è tutt’oggi preservato. L’abito originale fu esposto anche alla Mostra del costume delle Alpi Carniche tenutasi a Forni di Sopra nel 1959; in quell’occasione la studiosa Andreina Ciceri scriveva: “la più luminosa stagione per il nostro costume fu il Settecento ed è un costume tramontino del 1700, il più antico fra le vesti raccolte in questa mostra. È un abito composto da gonna e corpetto aperto davanti, in pesante tessuto color avorio, con minuti disegni policromi. La giacca, sotto il corpetto, è di cotone blu e lascia intravedere il collo della camicia bordata da un merletto. Il grembiule è in leggero cotone bianco con piccole pieghe a tutt’altezza e ricamo a fiori lungo l’orlo inferiore. Fazzoletto bianco al collo con le estremità ripiegate entro la giacchetta. In capo un fazzoletto in lino bianco con ricchi tramezzi a merletto”. Il grembiule di tela di cotone bianca, negli anni successivi al XVI secolo viene indossato per praticità ma anche come capo d’abbigliamento festivo (“una femina cencia grimal a è comi una vacja cencia coda”). È lungo quanto la gonna o poco sopra l’orlo della stessa. Nel Settecento le donne del popolo indossano abiti con molti teli (fino a sette) con numerose increspature alla cintura e lunghi fino alla caviglia; il corpetto smanicato ha il collo a V con allacciatura cordonata fino all’altezza della cintura. In ogni dote sono menzionati fazolets da cjâf e, sul capo della donna tramontina nella prima metà del Settecento, appare il mantîl, una pezza di tela bianca, solitamente di lino, semplice o lavorata. Può essere “doppio e di bonbaio” per le solennità. Un altro tipo di fazzoletto che non ha però l’importanza di quello da cjâf è la golèta, che avvolge il collo e le spalle; ben sedici golètas appaiono in un patto dotale del Settecento. Per le donne di popolo di quell’epoca non ci sono ornamenti di alcun genere. Bisogna attendere la fine dell’Ottocento per trovare fedi nuziali di rame o d’argento. Nel Novecento le popolane portano in dote non più di uno o due abiti, a volte rattoppati, che mantengono la lunghezza in foggia nel Settecento ma che riducono il numero dei teli a quattro soltanto; l’arricciatura, l’ingrispât, si concentra sui fianchi. Il vistît nuviciâl è di cotone o di lana (secondo la stagione), di color grigio-cenere o blu oppure a righe, a quadri o a piccoli disegni se la donna che lo indossa è una giovane sposa. Il corpetto (bolerin) è di cotone, con scollo arrotondato e maniche arricciate chiuse a polsino. Più di qualche sposa doveva accontentarsi dei cjamesots, abiti usati che riceveva in dote, e che consistevano in una gonna a più teli sbiechi e corpetto senza maniche. Nel XIX secolo l’abito nuziale diventa poi l’abito da festa. A volte poteva essere nero con lacci colorati in vita. In testa un vel di tulle bianco ricamato a mano su due angoli che veniva poi usato anche per la messa di purificazione dopo il parto o per le processioni. Questo capo veniva trasmesso di generazione in generazione e usato per la prima comunione dalle figli e dalle nipoti. Las scarpétaz (scarpe di velluto nero con suola in piecia e punta all’insù) potevano, per l’occasione, venir sostituite con scarpette scollate con un fiocco in punta.

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Eventi e Manifestazioni Ambiente, folclore e cultura: un trinomio inscindibile, patrimonio di una valle che sa offrire e condividere le sue ricchezze naturali, le sue tradizioni e i suoi saperi con un’utenza sempre più attenta e sensibile alle peculiarità di un territorio, sempre più orientata a un uso dinamico e autentico dello stesso. In tale contesto le amministrazioni e le associazioni della Valtramontina operano e condividono impegno ed esperienze, mettendo a disposizione e organizzando le proprie risorse in modo tale da promuovere attività e iniziative dirette a sostenere le realtà economiche locali e a incoraggiare un turismo ecocompatibile. I rapporti di cooperazione e reciproco sostegno tra le amministrazioni e le realtà che operano nel campo del volontariato hanno portato, negli anni, alla programmazione concertata delle manifestazioni che si compenetrano e si completano vicendevolmente, con il fine di utilizzare efficacemente le risorse disponibili e che, in alcune occasioni, vedono protagonista anche il vicino comune di Meduno Molte iniziative si svolgono in luoghi caratteristici dal punto di vista architettonico; luoghi che si trasformano in allestimenti scenici naturali nel cui contesto spesso anche il villeggiante può diventare attore e interprete del vivere quotidiano, integrandosi e diventando parte attiva della realtà locale. Le proposte culturali che costituiscono l’impianto dei progetti di durata pluriennale, infatti, si traducono in occasioni per consolidare i rapporti di collaborazione con la popolazione che si fa protagonista degli eventi, per conservare memoria storica degli eventi che rievocano un passato reale, per diffondere la cultura locale, per allietare gli ospiti della nostra Valle regalando loro momenti di serena condivisione della realtà e della storia locali. Le iniziative si rivolgono a tutte le fasce d’età (che, sempre più spesso interpretano bisogno di contatto

umano e d’informazione culturale) proponendo spazi e opportunità adeguati alle diverse esigenze. Molteplici e diversi sono i temi che fanno da sfondo alle iniziative: dal lavoro all’emigrazione, dagli aspetti relativi a usi e costumi della vita quotidiana alla gastronomia, a tutti quelli che ruotano intorno a elementi naturali come l’acqua, peculiarità del nostro territorio, e si intrecciano con aspetti più giocosi della tradizione e del folclore locali. All’interno delle manifestazioni si organizzano mostre, serate a tema e tavole rotonde con esperti e si creano quindi anche occasioni di formazione specifica con l’intervento di specialisti qualificati per settori d’intervento. Non mancano inoltre momenti di scambio nell’ambito sportivo che costituisce una delle dinamiche vincenti per la Valtramontina: la locale Associazione Sportiva Dilettantistica accoglie nelle sue fila numerosi ragazzi, giovani e adulti che collaborano per organizzare e sviluppare proposte finalizzate alla promozione dell’attività agonistica e sportiva (che prevede anche manifestazioni a carattere regionale) alla crescita e all’armonia dei rapporti sociali. Durante la stagione estiva inoltre, la stessa ASD offre a Enti e Associazioni esterni al territorio l’opportunità di sviluppare programmi socio-ricreativi rivolti a bambini, adulti, disabili gestendo alcune strutture di proprietà comunale. Anche altre Associazioni locali quali CAI e AFDS condividono con l’Amministrazione alcuni progetti, dando modo così di contestualizzare le iniziative in percorsi più articolati, ottimizzando i risultati. Le Amministrazioni, inoltre, hanno predisposto e stanno lavorando a un importante progetto di Fattoria Sociale nel cui ambito devono svilupparsi notevoli opportunità lavorative e servizi da offrire non solo alla comunità ma anche all’utenza scolastica e ai vari settori della cultura, dello sport, delle politiche giovanili, del turismo.

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Antichi sapori Dopo un’escursione tra i borghi o i canali della Valle, una sosta in una trattoria locale consentirà di scoprire la gastronomia di queste terre, composta da selvaggina, formaggi salati, deliziose trote di lago, Pitina, carne di montone aromatizzata a affumicata. Tra i prodotti caratteristici della Val Tramontina merita senz’altro menzione il Formai dal cît, nato, in passato, dalla necessità di recuperare le forme di formaggio con difetti di stagionatura (cît è il recipiente in pietra in cui, un tempo, veniva conservato il prodotto). La sua preparazione consisteva nella macinatura casalinga di formaggi di stagionatura e, poiché in Valtramontina la produzione era molto diffusa a livello familiare, la ricetta variava in base alla diversa stagionatura dei formaggi utilizzati, alle differenti proporzioni e all’aggiunta personalizzata di ingredienti. Il composto veniva impastato con latte o panna fino a ottenere una consistenza cremosa e completato con l’aggiunta di sale e pepe. Il Formai dal Cit è pronto quando, dopo la maturazione in luogo fresco, acquista il caratteristico gusto piccante, ma amabile. Se ne apprezza il sapore pulito su crostini di pane o su fettine di polenta abbrustolita, ma si rivela un vero protagonista in cucina come ingrediente di salse e condimenti; inoltre accompagna egregiamente alcuni prodotti tipici della nostra Valle, esaltandone il sapore e valorizzandone le peculiarità. Anche il Formai salât appartiene a una tradizione produttiva sviluppatasi, nella montagna pordenonese, in tempi assai remoti. Sebbene la nascita di questo prodotto derivi quasi certamente dall’evoluzione di antichissi-

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me tecniche di conservazione risalenti all’epoca romana, la diffusione ne è certificata da uno scritto posteriore, risalente a1 1659. Il Formai salât deve le sue particolari caratteristiche alla tecnica di salatura in vecchie salamoie (salmueria) composte da acqua, latte, panna e sale. Al fine di conservare le caratteristiche organolettiche e mantenere la singolarità del sapore, le salamoie, originariamente conservate in tini di legno di larice, non vengono mai totalmente rinnovate, ma soltanto integrate. È il tempo ad arricchirle di aromi e a conferire, al formaggio in immersione, il particolare sapore. La giusta ossigenazione e l’omogeneità dell’impasto si producono grazie alla paziente attenzione che viene dedicata al prodotto che, ogni due giorni, viene girato nella salamoia.Un tempo le salmurie erano molto diffuse nelle aree montane e costituivano un valido sistema per conservare il formaggio e insaporirlo; in Friuli oggi ne sono rimaste poche, ma l’interesse verso questa produzione è notevolmente cresciuto grazie anche al lavoro svolto da alcuni produttori. In Valtamontina si produce il formaggio salato duro; come la versione morbida, deriva dalla lavorazione di latte vaccino fatto coagulare con l’aggiunta di caglio. Il salato duro o classico è un formaggio dal gusto deciso, a pasta bianca e consistente, lasciato riposare dopo la lavorazione per 10-15 giorni e poi immerso nelle salmuerie per un periodo di 40/180 giorni. Si presenta senza crosta, in forme cilindriche del peso di circa 6 kg, con lo scalzo di 8-10 cm e il diametro di 25-30 cm. La cucina locale propone l’accompagnamento del formaggio salato con patate lesse o polenta. La Pitina è un prodotto tradizionale la cui origine è


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accreditata presso il borgo abbandonato di Frassaneit, in comune di Tramonti di Sopra. La nascita della Pitina deriva dall’esigenza, da parte delle comunità rurali, di conservare la carne a disposizione quando le quantità erano superiori alle necessità immediate. Le carni utilizzate erano di camoscio o capriolo, quando gli animali venivano catturati durante le operazioni di caccia, o provenivano da caprini, ovini e bovini che erano macellati occasionalmente, quando l’animale a causa di incidenti o malattie, non poteva sopravvivere. Agli inizi degli anni ottanta del Novecento, Mattia Trivelli, macellaio di Tramonti di Sopra, intuisce che le peculiarità del prodotto avrebbero non soltanto valorizzato la gastronomia locale, ma ne avrebbero fatto un prodotto unico che sapeva distinguersi dalle produzioni delle altri Valli Pordenonesi (Peta e Petucia); a tutela del marchio “Pitina”, nel 1989 Mattia presenta domanda di registrazione dello stesso all’Ufficio Italiano Brevetti; l’impegno e la passione di Mattia, scomparso nel 1992, collocano questa preziosità gastronomica tra i prodotti più apprezzati delle Valli Pordenonesi e della regione; attualmente è in corso la richiesta di riconoscimento IGP. Nel 2012 è stato istituito il Primo Premio Mattia Trivelli, rivolto ai ristoratori e dedicato al piatto che, a giudizio di una commissione di esperti, meglio valorizza la Pitina. Nella preparazione della Pitina, la carne viene sgrassata e privata dei tendini, tritata, salata, pepata e aromatizzata con erbe, bacche, aglio e vino. Dall’impasto si ottengono polpette di una decina di centimetri di diametro e 3-4 cm di spessore; il peso si aggira intorno ai 200-250 grammi; le polpette vengono passate nella farina di mais e successiva-

mente affumicate e stagionate. Il sapore è forte, deciso e intenso. La Pitina può essere consumata cruda, cotta nel brût de polenta come da tradizione, o scottata sulla piastra; oggi è regina nelle preparazioni gastronomiche che la propongono accompagnata dai più svariati ingredienti. La pitina è anche un presidio Slow Food. L’economia che caratterizzava quasi tutte le zone di montagna era prevalentemente di tipo agricolo, costituita dai pochi prodotti che la Terra Tramontina sapeva dare. A Tramonti di Sotto, primo dei tre paesi della Valle, sul quale tarda ad arrivare la levata del sole, era particolarmente diffusa la coltivazione della rapa, la cui cottura richiedeva tempi prolungati; questa peculiarità, legata al carattere piuttosto schivo e introverso della gente, ha fatto sì che i Tramontini “di Sotto” si guadagnassero l’appellativo (tuttora diffuso) di “Crûz” da Vil di Zot (“Crudi” di Tramonti di Sotto).Ma i Crûz ben sapevano come sfruttare tutta la bontà di questo povero ma abbondante ortaggio: oltre al bulbo (che veniva lessato e condito o con cui veniva prodotta la classica brovada), erano utilizzate anche le foglie (viscja) che, però, giungevano a giusta maturazione solo dopo essere state investite dalla prima brinata dell’anno, che conferiva loro il tipico sapore dolciastro; allora venivano raccolte, cotte, triturate finemente, lavorate e cotte con il brôt di polenta per ottenere il Pistum, che faceva da companatico alla polenta che abbondava in tutte le case e costituiva uno degli alimenti principali. Il Pistum vanta una tradizione risalente all’Ottocento, tramandatasi di generazione in generazione nel corso di decenni,di cui esiste documentazione risalente a circa trent’anni fa.

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Le fontane Un tempo, quando ancora gli impianti di canalizzazione dell’acqua non raggiungevano i centri abitati, il cuore pulsante del paese erano le piazze con le loro preziose fontane. Poi i moderni impianti, silenziosamente intrufolatisi nelle case, hanno pian piano soppiantato questi “monumenti” che caratterizzavano le piazze con le loro strutture più o meno elaborate. Quella di Tramonti di Mezzo era in pietra, di forma rettangolare, lunga cinque metri e larga due. La fontana occupava il posto d’onore del paese: collocata al centro della piazzetta, attendeva le donne che si ritrovavano per attingere acqua nei loro cjaldèrs (secchi di rame) sorretti dal tinar che piegava le loro spalle, lì giocavano i bambini; nell’acqua della fontana si abbeveravano le mucche al rientro dal pascolo e i gears mettevano in ammollo i venchis (vimini) per i cesti. L’acqua, che derivava da Cual di Macilas, località sopra Festonas, durante l’estate scarseggiava; allora si andava a adorà l’aga (ad adorare l’acqua): i cjalders e i bandòz (secchi) venivano messi tutt’intorno alla fontana e le donne attendevano il loro turno per riempire i secchi; a volte delegavano i bambini a tignei

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il puest. Raccontavano allora i ragazzini che poteva accadere che qualche anziano stagnino offrisse loro cinc franchis per prendere a sassate i secchi che, così ammaccati, dovevano essere portati a riparare presso le loro botteghe. La fontana ha svolto il suo umile e importante ruolo fino alla metà del Novecento, quando un discreto benessere raggiunge anche la Val Tramontina, insieme ai primi mezzi a motore; allora la fontana diventa un ostacolo per il, seppur modesto, traffico che interessa la piazzetta. Intorno al 1952-53 viene rimossa e alcuni pezzi saranno utilizzati per costruire le canalette che costeggiano la strada principale di Vil di Mieç mentre altri saranno riversati in località Rutizza o lungo il pendio che affianca la strada comunale che porta a Tramonti di Sotto. In quegli anni, tuttavia, l’acqua non è ancora prerogativa di tutte le case, e la fontana viene ricostruita in un angolo della piazza: si tratta di un manufatto in cemento che durerà fino al 1976, quando, i lavori di ristrutturazione del dopo interesseranno anche la piazzetta. La fontana verrà di nuovo demolita e ricostruita più tardi, in dimensioni ridotte, sul lato ovest della piazza, dove si trova tutt’oggi.


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ERIKA FACCHIN

Tramonti di Sopra

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TRAMONTI DI SOPRA

Muri che parlano Passeggiando tra le vie di Tramonti di Sopra e delle sue borgate di Chievolis, Inglagna e Maleon, alzando lo sguardo il visitatore ha la piacevole sorpresa di scovare, qua e là sulle pareti delle abitazioni, i murales che “parlano di noi”. Circa dieci anni fa, l’allora amministrazione comunale, decise di commissionare ad alcuni artisti del luogo la realizzazione di alcune opere in grado di testimoniare alla cittadinanza e ai visitatori le abilità e le abitudini dei nostri avi. Si decise cosi di realizzare sui muri esterni degli edifici alcuni murales che testimoniassero l’attività principale degli abitanti della valle: il lavoro nel bosco. Grazie al successo delle prime opere, il Comune di Tramonti di Sopra assieme alla locale Pro Loco decide di indire un concorso. E’ così che per ben 2 anni il paese si anima, nel periodo estivo, di artisti provenienti da tutta Italia che con la loro attrezzatura pennelli, bombolette spray, colori e impalcature realizzano una trentina di murales! Il tema spazia dagli antichi mestieri, dai più praticati quali lo sfalcio dei prati o il lavoro nei boschi fino a quelli più caratteristici della Val Tramontina, gli sliperars (segantini, coloro che costruivano le traversine per le strade ferrate), il gear, lo stagnino per arrivare agli istanti, alle cartoline di vita del passato come le signore attorno al fogolare o la famiglia che dopo una lunga giornata di lavoro si ritrova sul prato. Una piacevole e semplice passeggiata che permette al visitatore di rivivere, attraverso queste opere d’arte, il passato e le tradizioni tipiche di una valle e di un popolo che si è sempre dato da fare, che ha vissuto nella semplicità in allegria e dedito al lavoro. Una piacevole sorpresa sarà accorgersi che ancora oggi, queste sensazioni pos-

sono essere rivissute in questo angolo di paradiso che è la Val Tramontina distante anni luce dalla vita frenetica, inquinata delle città. La tecnica del murales Murales, una parola messicana che indica le pitture fatte sui muri, ne hanno fatte parecchie, per chilometri quadrati, i pittori messicani che parteciparono alle rivoluzioni dell’inizio secolo. In seguito constatata l’efficacia di questo mezzo di comunicazione si diffuse negli Usa ed in Europa. Diventa l’espressione della pittura come strumento di comunicazione e quindi come veicolo di un messaggio per tutti grandi e piccini. Il murales,a differenza dell’affresco, è una comunicazione diretta, orizzontale. Il primo passo: si strofina una mano sul muro: se l’intonaco si stacca e cade, si sbriciola o si sfarina, non va bene, bisogna prima intonacarlo. Se le pietre si mantengono al loro posto e la malta tra una pietra e l’altra è stabile, si può dipingere. E’ sempre bene fare un progetto, tenendo presenti le caratteristiche del muro: se ci sono delle finestre, buchi, rientranze, è opportuno che si tenga conto nella progettazione in modo che tutto il muro divenga “parlante”. Fatto il progetto si può mettere mano alla pittura. Sul fondo grezzo va steso a pennello un fissativo, serve a bloccare la polvere e a favorire l’adesione della pittura al supporto. Generalmente si utilizza pittura lavabile per esterni o superlavabile delle cinque tonalità base: bianco, nero, rosso, giallo, blu. Mescolandole si ottengono tutte le tonalità possibili. Mentre si sta dipingendo, sulla strada è invitabile suscitare la curiosità della gente. Si riunisce una piccola folla che comincia a guardare, poi commenta, critica e dà suggerimenti, questa è la fase più interessante del lavoro.

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ARTI MESTIERI SAPORI

Arti mestieri sapori Un appuntamento da non perdere, di quelli da segnare sul calendario con un cerchio rosso, Arti Mestieri e Sapori una manifestazione viva e pulsante che si tiene ogni anno la terza domenica di luglio a Tramonti di Sopra dove le arti, i mestieri ed i sapori del nostro territorio sono protagonisti indiscussi della giornata. Tutto inizia nell’ormai lontano 2006 quando l’amministrazione e la pro loco di Tramonti di Sopra cercavano un’idea, una manifestazione per promuovere al grande pubblico i nuovi murales sui mestieri realizzati sulle facciate delle case. Nasce così l’idea di “trasformare” in protagonisti i cittadini facendoli calare nell’atmosfera e facendogli rivivere e simulare i mestieri di una volta. Grazie a Norbert Facchin, artigiano del legno prematuramente scomparso, l’i-

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dea iniziale si trasformò in qualcosa di molto più concreto. Fu così, che veri artigiani si ritrovarono, una domenica a Tramonti di Sopra per dimostrare a tutti le loro abilità nel loro antico mestiere, ormai purtroppo in alcuni casi in estinzione o più semplicemente dimenticato nei nostri giorni. Nel corso degli anni, visto l’entusiasmo dei Tramontini e dei numerosi visitatori, provenienti da tutto il Friuli, da fuori regione ed in alcuni casi, anche dall’estero, la partecipazione degli artigiani è in continuo aumento, fino a raggiungere, ad oggi, la considerevole cifra di 45 espositori. Di buon mattino, in silenzio mentre il paese sonnecchia ancora, gli artigiani con i loro attrezzi prendono posto lungo le vie e le piazze del paese, aspettando ansiosi i primi visitatori per dare inizio alla grande festa. Arrivano gli artigiani del legno che


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con il tornio creano delle vere e proprie opere d’arte tra cui giochi per bambini ed utensili per la casa, i cestai che con l’affascinante arte dell’intreccio trasformano i semplici rami di diverse tipologie di alberi in cesti e cestini di tutte le forme e dimensioni. Non manca mai il soffiatore di vetro di Murano, il casaro, il fabbro, l’artigiano della pietra e le signore che con ferri e lana creano tipici scarpez friulani, sciarpe, grembiuli e molto altro tutto rigorosamente fatto a mano. Arrivano poi gli artisti della tela, pittori che con i loro colori portano una vivace allegria ed infine, i “rumorosi” arrotini in cerca di coltelli da affilare e ombrelli da sistemare. Il lavoro degli artigiani e le passeggiate dei visitatori sono piacevolmente allietate da gruppi folkloristici e musicali, artisti di strada, giochi ed animazioni per bambini, e ogni anno una sorpresa diversa

stupisce il pubblico: la mongolfiera, la carrozza con i cavalli, la passeggiata in groppa agli asini, il circuito ferroviario con modelli di locomotive elettriche ed a vapore in scala ridotta, dove adulti e bambini possono trasformarsi in macchinisti e passeggeri. Come dimenticare poi l’aspetto enogastronomico della nostra festa; lungo il percorso, infatti, non mancano i gazebi che offrono le delizie culinarie della nostra valle: pitina in primis (che tra non molto dovrebbe essere insignita del famoso marchio IGP), il formai dal cit, il formai salat e tante altre dolci e salate prelibatezze. Al termine della giornata, quando il sole inizia a calare oltre le montagne e il cielo si tinge di rosso, gli artisti e gli artigiani ripartono con il loro bagaglio di conoscenze ed esperienze dando appuntamento al prossimo anno ai più di 3000 visitatori!

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