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Maria Di Carlo: “non accettavo il divieto, la proibizione” niente … fra poco la condurranno a casa … - ma dovete verbalizzare - urlo indispettita! Loro non mi davano conto. Arriva la telefonata di un giornalista de L’ORA, Giuseppe Cerasa che dice maresciallo, so che da voi c’è Maria Di Carlo che sta denunciando suo padre cosa sta succedendo? E a questo punto hanno dovuto verbalizzare. Nel frattempo Nino arriva alla scuola, i ragazzi non sono ancora entrati e li avvisa che io ero al commissariato. La lasciamo sola? Volete fare scuola? Bisogna fare un’assemblea. Una professoressa con la sua scolaresca arriva al commissariato per testimoniare a mio favore”. Esce sul giornale. Notizia per telegiornali. L’insegnante avrà problemi penali perché aveva portato i ragazzi in commissariato senza autorizzazione. Maria e Nino diventano protagonisti di trasmissioni radiofoniche e televisive. Roba da prima pagina. Esperti che si confrontavano sul tema. Il paese pieno di giornalisti. “Quando pensai di denunciare mio padre non pensavo ad una vera e propria denuncia, con le conseguenze che ci sono state, pensavo ad una tiratina di orecchie. Invece la situazione mi sfuggì di mano”. Per mesi vive in isolamento fuori paese. Era la plagiata della situazione. “Mi trattavano bene, ma, m’impedivano di campare”.

i mafiosi. Il processo è fissato per la settimana successiva alla chiusura della scuola. Al processo uno dei due legali impronta la difesa sul fatto che Nino Gennaro è omosessuale, quindi un malato, come tale da curare. Anzi, aggiunge l’altro, è bisessuale, quindi un vizioso. Usava droghe. Organizzava orge e festini, ha plagiato una ragazzina diciassettenne, deve essere punito. Il procuratore del Tribunale dei Minori è Giacomo Conte socio fondatore di quello che poi diventerà il Centro Impastato, deciderà che c’è stato abuso di metodi educativi e lesioni. Pertanto sarà il genitore a essere condannato: un mese di reclusione con la conseguente perdita della patria potestà. Un fatto solo simbolico perché dopo una settimana Maria avrebbe compiuto diciotto anni e sarebbe diventata maggiorenne. A casa c’era il lutto. Centinaia di visite in omaggio al capo famiglia. Una specie di cordoglio al padre. Alla ragazza sarà proibito pranzare a tavola con il resto della famiglia. Comunque la giovane Maria si incontra il suo Nino, senza che il padre le dicesse nulla. Non poteva. Tuttavia alla presenza di ospiti, tenterà di lanciarle una bottiglia. Un giorno in pieno centro di Corleone Nino è circondato da un gruppo di giovinastri che tentano di caricarlo in macchina. Comincia ad avere telefonate minatorie. Si trasferisce IL PROCESSO definitivamente a Palermo, dove Tuttavia l’atmosfera era pesante, la stava durante i mesi del processo. situazione grave, specialmente per il Dopo una settimana che ha compiuto dott. Di Carlo. Durante l’istruttoria erano diciotto anni anche Maria, si trasferisce a venuti fuori i lividi dell’ultima legnata. Palermo. Alle perizie seguono le controperizie. “Non c’è nessuna certezza. Cosa farò, Un balletto di perizie. La situazione è dove vivrò, con chi vivrò. Con Nino non incontrollabile. avevamo deciso nulla. Insomma una Era ancora una ragazzina minorenne. Al cosa molto anomala”. Erano diventati processo la parte civile dovrebbero un caso famoso, tutti li cercavano. “Non abbiamo avuto difficoltà che ci ospitassero. Per molto tempo abitammo alla Il dott. Di Carlo invece aveva due avvocati. Vucceria. All’inizio, Due principi del foro. L’avvocato Triolo che anche in questa casa morirà ammazzato a Corleone, l’avv. Campo fummo ospitati, poi, si che difendeva i mafiosi. liberò una stanza e la prendemmo noi. Ci abitava già Giusi essere i genitori, ma il padre era Gennaro, Giovanna ed altri amici , l’accusato e la mamma non lo volle fare. finimmo col restare. Ed è diventata la Quindi non c’era avvocato accusatore. Il nostra casa. Scherzosamente chiamavo dott. Di Carlo invece aveva due Nino fufo, dal 79 questa fu la casa dei avvocati. Due principi del foro. fufi”. L’avvocato Triolo che morirà ammazzato Abbandonò gli studi e lavorò da subito. a Corleone, l’avv. Campo che difendeva

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La giornata tipo di Maria ragazza bene di Corleone, figlia di medico, che era cresciuta con la cameriera prevedeva tanto lavoro. Cameriera, bambinaia, insomma quello che capitava. “I miei mi avrebbero mantenuto anche all’estero, se avessi rinunciato a quel rovina famiglie di Nino. Cosa improponibile e inaccettabile. La rottura con mio padre comunque era iniziata prima che nella mia vita arrivasse Nino. Non sopportavo divieti e proibizioni” Hanno rapporti e contatti con gruppi, centri sociali, associazioni, ovunque c’era materiale umano con cui innestarsi. Erano sempre in giro, ma c’erano anche i momenti di casa scuola, teatro, letture, riflessioni. Senza tv. Si cucinava e si stava assieme. Rimpianti? No. Sono state cose molto sofferte. C’è stato tanto dolore Mia madre per vedermi veniva nel posto, dove io lavoravo di nascosto a mio

padre. Cinque minuti e via. Morirà per questo, e con questo dolore. Per la situazione dell’epoca, non potevo fare che le cose che ho fatto. O ti adagiavi o ti ribellavi. Ne è valsa la pena, ho avuto la possibilità di vivere con Nino, una vita intensa, particolare. Non è stata solo una storia di amore, ho vissuto con Nino a 360 gradi”. LA MALATTIA DI NINO “L’ AIDS è una malattia infamante. Una malattia il cui immaginario è legato a sesso diffuso e uso di droga. Nino non ha mai fatto uso di droghe. All’inizio, quando seppe della sua malattia, andò via da questa casa, non voleva vedere nessuno, non voleva parlare con nessuno. Erano anni in cui di ADS si moriva. Non ci si curava bene o male come ci si cura oggi. Anche noi, tutti quelli che gli stavamo vicino al principio ci lasciammo sopraffare dalla notizia. Poi ci fu un periodo di organizzazione.


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