Lazagne Art Magazine #10

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LAZMAG _qual’è l’origine di questa ricerca, da dove parte questo lavoro meticoloso e rarefatto?

Il primo giorno che arrivai in accademia a Bologna, giovanissimo, in via di Belle Arti davanti al portone di entrata, trovai un accatastamento dei tradizionali cavalletti da pittore e l’accademia stessa occupata politicamente dal collettivo studentesco, la pittura era morta si diceva … , erano momenti di forti tensioni politiche culturali che stavano attraversando l’Europa e noi stessi, ed io in particolare arrivato dalla provincia, dal torpore della costa adriatica pensai che quello che allora era la mia pulsione creativa era desueta, ma mi ci volle poco per capire che quella frattura ideologica era la fucina, l’opificio, di una generazione di giovani artisti in formazione nelle infinite strade che l’arte contemporanea in quegli anni segnava e disfaceva per ripartire con accelerazione contaminate da tutte le nuove avanguardie artistiche. Tuttavia allora non potevo sapere se questo mestiere era veramente quello che volevo seguire, lo capii molto più avanti quando cominciai a conoscere le mie capacità attraverso le strade dell’arte; un mondo in cui mi trovai subito a mio agio, sia che si trattasse di pittura, progettazione musica e poesia. Mi rivedo ragazzetto nello studio in via Margutta a Roma del grande Alfonso Gatto, dove seduto sul suo divano gli mostravo una cartella di disegni accademici per avere un suo parere, cito il grande poeta perché con la poesia allora avevo un legame molto forte, e questo lo dico perché nella maturità artistica questo sentire poetico si è legato in modo simbiotico con il mio lavoro attuale. Dopo

_l’atto creativo può essere dettato da bisogno di ordine, in una biblioteca di babele di segni e appunti, oppure la natura stessa che si affida a pietre miliari per ricordarsi una strada, un passaggio, un segno vitale?

varie esperienze con una pittura informale, forte, materica, grumosa ed ipercolorata (con lo sguardo rivolto all’espressionismo tedesco) mi arenai in secca, percependo che la mia struttura interiore non era allineata con il fare di allora, e la pausa riflessiva tanto temuta servì a ripulire ogni sorta di orpello descrittivo. I materiali furono scelti per trasparenza e leggerezza, i pigmenti ridotti ai bianchi e per pennello una matita, il tutto fu portato alla “povertà assoluta” per ripartire, il dopo è ancora “fuoco” dentro me.

Non mi pongo questo problema. Il mio atto creativo nasce dall’ascolto del mio inconscio che nella maturità è diventato sempre più consapevole, non è un lavoro premeditato, non eseguo bozzetti preparatori, ma mi affascina il divenire dell’opera, quello che succederà nel suo svolgimento. La mia attenzione, la sapienza intellettuale ed artistica fanno si che antiche memorie, non in senso nostalgico, ma della conoscenza del proprio vissuto sfocino poi sul foglio, sulla pagina, sulle garze di vario spessore che sono i miei materiali per eccellenza. Questa visione interna ed esterna, questo continuo lavoro su se stessi non può rappresentare una realtà oggettiva, ma il viaggio di quello che è la visione rarefatta del mio sogno, quindi ecco una forte repulsione del colore della materia e una propensione ai bianchi ai grigi con accenni cromatici salinizzati, delavati con l’inserimento della scrittura non fine a se stessa, che racconta di luoghi antichi, ricordati, visti in velocità dal finestrino di un vecchio treno o di una giostra di paese passato alla “modernità”, di pioppi sfocati al vento di mare. Una scrittura che s’inserisce nella pittura e diventa emozione o esclamazione di un momento incantato, eludendo un tecnicismo accademico. 131


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