Lazagne magazine / Biennale Disegno 2018

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LAZAGNE

Art Magazine #14 speciale catalogo


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BIENNALE DISEGNO Rimini 2018 Visibile e Invisibile Desiderio

e Passione

28 aprile / 15 luglio 2018

LAZAGNE ART MAGAZINE / Speciale Catalogo lazmagazine.com direttore creativo _Anna Bertozzi / redazione_ Sabrina Ravaglia - Lara Vitali - Emiliano Paglionico / traduzioni_ Daniel Yeatman EDITORE Maggioli Musei - via del Carpino, 8 - 47822 - Santarcangelo di R. (RN) Tel. 0541 628222 - Fax 0541 621903 - musei@maggioli.it - www.maggiolimusei.it 2


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BIENNALE DISEGNO RIMINI 2018 III edizione VISIBILE e INVISIBILE DESIDERIO e PASSIONE

biennaledisegnorimini.it COMITATO SCIENTIFICO

Annamaria Bernucci Alessandra Bigi Iotti Piero Delucca Eleonora Frattarolo Alessandro Giovanardi Andrea Losavio Franco Pozzi Massimo Pulini Egisto Quinti Seriacopi Giulio Zavatta PARTNER ISTITUZIONALI Polo Museale dell’Emilia Romagna Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo

PARTNER Romagna Acque UNIRIMINI Dipartimento di Scienze per la Qualità della Vita Fondazione Cassa di Risparmio di Rimini Fondazione Cassa di Risparmio di Cento Banca Mediolanum Rimini Gruppo HERA Gruppo Maggioli Ruggeri KIA Motors Petroltecnica Illumia - Luce & Gas Neon Rimini Group Amir AEFFE Group Metropolis – IVAS Anthea Fondazione Giuseppe Gemmani LABA Rimini ABABO Accademia di Belle Arti di Bologna F’/ART CMN Group Glostertube Opificio della rosa Cartoon Club Rimini Reservation CON IL SOSTEGNO TECNICO DI

COLLABORAZIONI CON IL SOSTEGNO DI

onoranze funebri

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Rimini

PARTNER DI RETE Gambettola Archivio Luciano Comini Cesena Calligraphie, Corte Zavattini 31 Musas Santarcangelo Fondazione Tito Balestra Longiano Sogliano al Rubicone, Museo di Arte Povera Comune di San Leo, Rocca Riccione Villa Mussolini Cattolica Galleria Comunale Santa Croce Museo Casa Panzini Bellaria Igea Marina Comune Savignano sul Rubicone MEDIA PARTNER Lazagne Art Magazine Edel Maggioli Editore Nicola Pesce Editore


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PRESTATORI ISTITUZIONALI Pinacoteca Nazionale di Bologna Pinacoteca Civica di Cento Fondazione Cassa di Risparmio di Cento Fondazione Cassa di Risparmio di Fermo Biblioteca Civica Romolo Spezioli Fermo Fondazione Tchoban di Berlino Polo Museale di Montefiore dell’Aso AIAP Associazione italiana design della comunicazione visiva Fondazione Tito Balestra Longiano Diocesi di Rimini

PRESTATORI PRIVATI collezione Alberghini Cento /collezione Ziveri Imola /collezione Romolo Eusebi Fano / galleria Fabjbasaglia Rimini /antiquariato Isotta Rimini /collezione Ilaria e Isabella Balena / collezione Fabrizio Rosa Rimini /galleria Rodolfo Gasparelli Fano /galleria Maurizio Nobile Bologna Parigi / galleria OpenArt Prato /galleria Frascione Arte Firenze /archivio casa Moroni Santarcangelo / collezione Smeralda Monesi Toppi /collezione Franco dell’Amore Cesena /gallery Kekko Belgio / collezione Arcangeli Rimini /galleria d’Arte Cinquantasei Bologna /galleria Bonioni Reggio Emilia / galleria Lia Rumma Napoli Milano /galleria Minini Brescia /collezione Leonardo Spadoni Ravenna.

AUTORI TESTI Annamaria Bernucci /Alessandra Bigi Iotti /Sabrina Foschini /Eleonora Frattarolo / Alessandro Giovanardi /Andrea Losavio /Massimo Pulini /Egisto Quinti Seriacopi / Giulio Zavatta /Fausto Gozzi /Franco Pozzi /Monica Dengo /Salvatore Amelio / Bertrand Marret /Stefano Tonti /Paola Zoffoli /Giovanni Manfredini /Roberta Bertozzi / Tinin Mantegazza /Fabio Mariani /Alberto Zanchetta /Miro Bini /Massimo Cacciari / Antonio Tabucchi /Lea Vergine /Claudio Cerritelli /Jan-Philipp Fruehsorge /Oreste Ruggeri / Nicola Bassano /Marco Leonetti /Tiziana Maffei /Marco Riccòmini /Laura Marchesini / Mauro Stefanini /Alessandro Mulazzani /Egisto Quinti Seriacopi /Marcello Cartoceti / Simonetta Nicolini /Leone Gualtieri /Franco dell’Amore /Martina Cavallarin /Andrea Succi.

CREDITI FOTOGRAFICI Daniele Bacchi /Marco Baldassari /Daniele Casadio /Gilberto Urbinati /Giovanni Calabrese / Sandro Cristallini / Piero Delucca/ Emilio Salvatori/ Photo Blind EyeFactory / Foto Superstudio snc

RINGRAZIAMENTI Oreste Ruggeri /Elisa Tosi Brandi /Massimo Corazzi /Stefan Kekko /Elhabib Hassani/ Mohammed Hassani /Elena Rossoni /Fandango edizioni /Laura Paolucci/ Chiara Palmieri/ Federico Spadoni / Giovanni Ferrara/ Massimo Albore/ Alessandro Catrani/Orietta Benocci/ Suzanne Marriot/ Adolfo Conti/ Johnny Farabegoli/ Marco Ferrini/ Davide Frisoni/ Marcello Cartoceti/ Ferdinando Peretti/ Matteo Peretti/ Franz Ramberti/ Alberto Sabatini/ Oriana Maroni/ Maria Cecilia Antoni/ Paola Delbianco/ Alberto Benuzzi/ Alessandro Broccoli/ Nicola Fregni/ Alan Serri / Gianluca Zamagni /Libreria Modo Infoshop Bologna. Un particolare ringraziamento a Margot Lengua, ad Anna Guerra e a Renzo Ravegnini che hanno collaborato all’organizzazione.

IMMAGINE DI COPERTINA Vanessa Beecroft , VB.LD.005.07, 2007, Acrylic on canvas Courtesy galleria Lia Rumma RETRO DI COPERTINA Ubaldo Gandolfi, Ritratto di Marta nipote dell’artista, Courtesy galleria Maurizio Nobile, Bologna - Parigi

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Rimini Avant-garde Rimini ha cercato e guadagnato posizioni d’avanguardia forse lungo tutta la sua storia millenaria. È stata caput viarum durante l’impero romano; agli inizi del XIV secolo, dopo un fondamentale soggiorno di Giotto, la città ha visto nascere una vasta scuola di artisti che si è trasformata in una inedita industria pittorica, operante per più di un secolo lungo tutto l’asse e le sponde dell’Adriatico. A Rimini, verso la metà del Quattrocento, Sigismondo Malatesta, ha chiamato a corte eccellenze artistiche, come Leon Battista Alberti, Filippo Brunelleschi, Pisanello, Piero della Francesca, Matteo de Pasti, Agostino di Duccio e altri, che hanno gettato le premesse di un nuovo Umanesimo e insieme i primi passi del Rinascimento artistico italiano. Il Seicento pittorico riminese, con Guido Cagnacci e con Centino, ha avuto la forza di elevare una fucina creativa periferica a livello di “piccola Siviglia nostrana”, come la definì Francesco Arcangeli. Durante l’Ottocento è stata una grande intuizione imprenditoriale a porre Rimini a capitale del turismo balneare e per tutto il secolo scorso la città ha saputo rinnovare costantemente questa postazione di preminenza in un settore che ha finito per fissare, nell’immaginario collettivo, l’idea di una Rimini Pop, icona di un particolare modo di vivere e di aprirsi alle relazioni umane. Quasi un destino segnato dunque quello di una Rimini che da ogni presente ha saputo trarre linfa e carattere per il proprio futuro. In questi anni la città ha investito buona parte dei suoi talenti sul tema della cultura e delle arti. Si sono aperti cantieri che, da occasioni di restauro, hanno puntato alla lungimiranza. La ristrutturazione del cinema Fulgor, la ricostruzione dell’ottocentesco Teatro Galli e la messa a bando del Museo Fellini, destinato a insediarsi nel quattrocentesco Castel Sismondo, sono i principali esempi di questo progetto. Ma assieme alla ridefinizione di questi storici luoghi, negli ultimi anni si è messa in essere una sistematica

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attività culturale nel Museo della Città, nella sua vastissima Ala Nuova e nella programmazione della FAR (Fabbrica Arte Rimini) la prima e vera Galleria di Arte Moderna e Contemporanea di cui la città si è dotata. Sette anni di intensa ed elevata attività, che hanno visto allestire ampie mostre di Nino Migliori e Mattia Moreni, di Serse, Lorenzo Mattotti, Nicola Samorì, Simone Pellegrini e tanti altri. La FAR è anche stata epicentro del più ambizioso progetto cittadino, quello della Biennale Disegno Rimini, la più rilevante rassegna internazionale legata ad un settore cardine e originario di ogni espressione artistica. Ora, proprio nei medesimi palazzi del Podestà e dell’Arengo, si apre una nuova importante e visionaria scommessa. Una scommessa che non si limita a fare di una collezione di arte contemporanea un museo, ma ambisce a rovesciare lo sguardo, tentando di trasformare lo stesso museo in un atto contemporaneo. Attraverso il legato di una collezione dedicata e intitolata alla comunità di San Patrignano la città cercherà un nuovo patto col proprio presente. In ogni tempo l’arte ha saputo fornire le parole e i simboli, le metafore e le profezie per leggere e interpretare le epoche. È un periodo in cui l’arte sembra aver smarrito i contatti diretti col proprio pubblico, dopo i tanti secoli in cui aveva svolto un ruolo dialettico, di risposta a delle domande, eppure anche oggi, le ricerche artistiche più profonde forniscono inedite riflessioni filosofiche al tempo che stiamo vivendo. Cessata la tradizionale funzione teologica che ne permetteva la collocazione negli altari, l’arte non ha ancora perso la sacralità del pensiero, quel che manca, talvolta è l’edificio adatto, quell’architettura di senso che solo alcuni luoghi appropriati riescono a restituire. Crediamo fermamente che Rimini abbia, assieme alla potenzialità degli edifici storici, anche lo spirito contemporaneo per interpretare questa sfida.


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Rimini Avant-garde Rimini has searched for, and earned, a position in the Avant-garde perhaps throughout all of its millenary history. It was a caput viarum during the Roman Empire; in the beginning of the 14th century, after an important visit by Giotto, the city saw the birth of a vast artistic school that transformed into a new painting industry, which operated for more than a century along the entire breadth and shores of the Adriatic. In Rimini, towards the latter half of the 15th century Sigismondo Malatesta called excellent artists to court, such as Leon Battista Alberti, Filippo Brunelleschi, Pisanello, Piero della Francesca, Matteo de Pasti, Agostino di Duccio, and others, who laid the groundwork for a new Humanism along with the first steps of the Italian artistic Renaissance. The paintings of the 17th century in Rimini, with Guido Cagnacci and Centino, had the strength to elevate a creatively peripheral workshop to the level of “our own small Seville”, as Francesco Arcangeli defined it. During the 19th century there was great business sense in making Rimini the capital of seaside tourism, and for all of the past century the city always knew how to constantly renovate itself in this pre-eminent position in a sector that ended up establishing, in the collective consciousness, the idea of a Rimini Pop, the icon of a certain style of life that was open to human relations. It’s been Rimini’s assured destiny to know how to draw life from every time period, and character for its own future. In these years the city has invested a good part of its talents on the themes of culture and arts. Construction sites have opened and, in occasion of restoration works, have brought foresight. The restoration of the Fulgor cinema, the reconstruction of the 19th century Galli Theatre, and the commissioning of the Fellini Museum, destined to be placed within the 15th century Castel Sismondo, are the main examples

of this project. Alongside the redefinition of these historic locations, in the last few years there has been the creation of systemic cultural activity in the Museo della Città, in its grand Ala Nuova and the planning of the FAR (Fabbrica Arte Rimini), the first proper Gallery of Modern and Contemporary art the city is endowed with. Seven years of intense and elevated activity, that saw the placement of large exhibitions by Nino Migliori and Mattia Moreni, by Serse, Lorenzo Mattotti, Nicola Samorì, Simone Pellegrini, and manyothers. The FAR was even the epicenter of the most ambitious city project, the Biennale Disegno Rimini, the most relevant international exposition linked to a cardinal and original sector of every artistic expression. Now, right in the very palaces of the Podestà and the Arengo, we open a new important and visionary wager. A wager that isn’t just that of making an art collection into a museum, but ones that aims to overturn one’s gaze, attempting to transform the museum itself into a contemporary act. Through the link to a dedicated collection entitled to the community of San Patrignano, the city will search for a new pact with its own present. In every era, art has known how to provide the words and symbols, the metaphors and prophecies to read and interpret the ages. Now’s a time when art seems to have lost direct contact with its own audience, after the many centuries where it held a dialectic role, one of answering questions, but even today the most profound artistic works give us new philosophical reflections to the times we are living. The time when the traditional theological function that allowed art’s placement in altars having ended, art has not yet lost the sacredness of thought. What’s missing, sometimes, is the proper building, that architecture that only a few appropriate places have that can give back sense to art. We firmly believe that Rimini has, along with the potential of its historic edifices, the modern spirit needed to interpret and face this challenge.

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Massimo Pulini

Editorial

Biennale Disegno

Trenta mostre da Picasso a Fellini da Guercino ai Gandolfi da De Carolis alla Beecroft

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Il disegno è una soglia tra la sfera dei pensieri e quella delle opere, tra il visibile e l’invisibile, è il sondaggio del terreno, il piano d’azione che mette a verifica i propositi e che, nel suo farsi, li cambia. Anche il programma più ferreo trova sempre nel disegno una variante imprevista, un tratto sconosciuto che devia dal tracciato del controllo. Altre volte è l’ar tista che scioglie ogni trattenimento e chiede alla mano di andare a cercarsi la strada per proprio conto. Paul Klee sosteneva che il disegno è l’arte di por tare una linea a fare una passeggiata, ma chi ha un cane sa che in molti casi è l’animale a condurre, guidato dalla vaghezza degli odori, dalla traccia dei rumori, ben più che dal guinzaglio. In modo analogo il disegnatore è spesso condotto dalla matita, dalla strada tracciata dai segni che induce a inoltrarsi nel bosco bianco della car ta, a perdersi nella scoper ta, dall’incepparsi della penna o dalla rugosità del foglio. Si chiede al disegno di rendere visibile quel che non lo è, di far affiorare luoghi, persone e forme, di farle esplodere o imprigionarle dentro a steccati di segni, di far danzare una geometria o far volare l’anima delle cose. La vita ha trovato nel disegno il suo primo simulacro, come fosse un nome scritto nella forma, quando ancora i nomi non venivano nemmeno pronunciati. La guerra all’animale, forse la prima che l’uomo ha intrapreso, è stata progettata in un disegno che nominava le cose e le anime, dispiegando così una forma di paesaggio ben prima che si fondassero i paesi. Tutto l’arco dei sentimenti si ritrova nel disegno del corpo e nel corpo del disegno. Anche l’amore ha cercato sulla carta di definire l’indicibile, il brivido che si avverte nel contatto tra i corpi e il richiamo che la loro visione induce dentro noi. La proprietà allusiva del disegno è stata per secoli e millenni la camera segreta della sessualità. Dai graffiti pompeiani al Kamasutra indiano, dal bulino di Agostino Carracci alle chine giapponesi. Dal languore evanescente delle matite di Gustav Klimt alla tattilità degli inchiostri di Auguste Rodin, dalla neutralità degli studi accademici ai marcati turbamenti di Egon Schiele. Dai corpi cubici di Luca Cambiaso e Fortunato Duranti a quelli geomantici di Pablo Picasso, fino ai sogni di Fellini disincantati dal suo pennarello variopinto. I titoli coi quali la Biennale Disegno si veste in ogni edizione, non corrispondono necessariamente ai temi delle mostre allestite, ma toccano e marcano alcune delle proprietà principali del disegno. Fare un nido alle idee, profilare il mondo e cercare di immaginarsi ciò che non si vede sono intenti adattabili, in buona misura, a ogni disegno eseguito e a tutti quelli che ancora non sono stati tracciati.

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CONTENTS Biennale Disegno Rimini

castel sismondo

Ospiti al Museo della Città

170

56

Pablo Picasso La Celestine

Giovanni Manfredini Corpo Sacro

176

58

MAD MEG I Patriarca

60

12 Delineavit

Guercino e il caso del Falsario

26 Fortunato Duranti Fogli della Follia

Del Bianco e Lombardelli

62

Tinin Mantegazza

Cinquanta artisti nelle stanze del contemporaneo

64

far fabbrica arte rimini

Xilografie e Carte

66

Luca Piovaccari

La stagione del Disincanto

68

Le Incisioni La Poetica del Minuscolo

70

42

Catania 1

I manifesti Aiap per la Biennale del Disegno

46 Calligrafia Venezia

Caratteri al femminile

10

Giancarlo De Carolis

Silvio Canini

Visibili e Invisibili

Cantiere Disegno

Disegneria

38

Stefano Della Bella

ala nuova Museo della Città

78

Ombra mai fu

museo della Città

Federico Fellini

Umbratile

Umberto Giovannini

72

136

Davide Benati Arpabirmana

144

Vanessa Beecroft

Il Corpo sognato

184

Diego Zuelli

Le parti non vere

186

Adolfo De Carolis

L’Eco del Tempo dal Fondo di Montefiore dell’Aso

194

Fogli barocchi

dalla raccolta Maurizio Nobile

202

Giovanni Buffa

Disegni americani

Disegno a piombo, cartoni per vetrate

150

208

Sergei Tchoban Capriccio russo

158

Jirí Kolár

JK: l’Acronimo della Bellezza

Luciano Baldacci

Omaggio a Marilena Pistoia

I segni e le cose

Oltre il Giardino

palazzo gambalunga

74

162

220

Attoterzo

Più avanti del suo tempo

Anna Girolomini

Davide Arcangeli

Il Disegno della Polvere


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casa del cinema fulgor

232

Sergio Toppi

Lo Spazio dentro il Corpo

mostre di rete

274

Sirene, latin lover e altri mostri marini Riccione

238

275

Potente di Fuoco

Andreco + Eron

Ericailcane

244

Filippo Scòzzari

Unearth

Santarcangelo

276

Invisibili. Maleducate. Battaglie.

Luciano Baldacci

250

277

Federico Moroni Insetti e Orologi

256

La scuola del Bornaccino Un Caso internazionale

260

Michele Provinciali

e gli Avvisi di Tonino Guerra

262

Neblubia: la città e lo sguardo dei bambini Scuola Miramare

domus del chirurgo

266

Marotta & Russo

Capricci Cattolica

Cristallino Cantieri La linea d’ombra Cesena

278

Mirko Vucetich

Quando la grafite traccia l’anima Sogliano al Rubicone

279

Fondo Luciano Comini Gambettola

280

Fondazione Tito Balestra

Le collezioni della Fondazione Longiano

281

Illustrare Panzini: un percorso visivo creato da giovani artisti Bellaria Igea-Marina

Everything (Not) (Saved) Will Be Lost

282

istituto lettimi

San Leo

271

La musica visibile

Spartiti illustrati del XIX e XX secolo

Vasari Experience: “La presa di San Leo”

283

Ilario Fioravanti

Nuvole Architettoniche

Savignano sul Rubicone

circuito open

284

Mostre del Circuito Open

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M useo della CittĂ EXHIBITIONS

Delineavit Guercino e il caso del Falsario a cura di Fausto Gozzi, Massimo Pulini e Giulio Zavatta

Fortunato Duranti Fogli della Follia dalla Biblioteca Comunale Spezioli di Fermo a cura di Alessandro Giovanardi e Franco Pozzi

Stefano Della Bella Le Incisioni. La Poetica del Minuscolo a cura di Bertrand Marret

Visibili e Invisibili I Manifesti Aiap per la Biennale Disegno a cura di Stefano Tonti

Calligrafia Venezia Caratteri al Femminile [Sezione Archeologica Museo] a cura di Monica Dengo

Ospiti al Museo 10 Artisti nelle sale antiche


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Via Tonini, 1 RIMINI

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Delineavit. a cura di Fausto Gozzi Massimo Pulini Giulio Zavatta

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U G R Museo della CittĂ via Tonini, 1 Rimini

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NO C

I

Guercino e il caso del Falsario


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IL DISEGNO SECONDO

GUERCINO di Massimo Pulini Rilegando idealmente tutte le carte disegnate da Guercino si potrebbe comporre il più grande romanzo italiano del XVII secolo, un immenso libro che può tenere il passo di Rembrandt e di Cervantes. Un

testo

artistico,

ovviamente,

ma insieme storico, civile, mistico, comico e morale, capace di toccare i toni più aulici senza smarrire un briciolo di sincerità, così come parlare in lingua volgare senza abbandonarsi mai

al

sarcasmo

o

all’illustrazione

di cronaca. Sono giunti a noi, continuando a stupire

nel

loro

costante

riaffiorare,

migliaia e migliaia di fogli eseguiti all’impronta, caratterizzati da una festosa

curiosità

vivida,

e

prensile,

l’inappagabile insieme

il

da

un’attenzione

che

testimoniano

ricerca suo

dell’artista

essere

e

limpido,

semplice e passionale. Di quell’esperienza inventiva e pulsante, che è insita nell’atto di disegnare il mondo e la vita che lo anima, Giovan Francesco Barbieri restituisce un racconto aperto a

scenari

che

prima

di

lui

non

esistevano. Guercino, Studio per Profeta, Bologna, Pinacoteca Nazionale

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Guercino, Studio di vecchio. Collezione privata (Courtesy Galleria Maurizio Nobile)

Per il genio centese, la pittura si dimostra un atto pubblico, da affrontare con un linguaggio compiuto e un’orchestrazione disciplinata, il disegno è invece il campo dell’intimità e del moto spontaneo, il terreno entro cui esplorare l’incognito e misurare le idee, ma è soprattutto la casa famigliare nella quale, anche attraverso il segno, si può parlare in dialetto, nella lingua madre dell’infanzia e del paese.

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Si trattava di un’azione che le fonti antiche ci dicono amasse fare in solitudine, mentre la pratica del pennello la conduceva necessariamente in bottega, nell’operoso laboratorio del mestiere. Eppure ci sono innumerevoli disegni che sembrano colti attraverso una tale rapidità di sguardo, che risulta difficile immaginarli lontani da quel che viene descritto. Non si tratta solo di un approccio convincente e franco della matita, della penna o del guazzo d’inchiostro, è la particolare sapidità espressiva, la sintesi di carattere e le infinite sfumature dell’affetto che rendono vere le sue carte e inimitabile il suo stile. Per Guercino si può usare a ragion veduta il termine ormai convenzionale di “inimitabile”, proprio perché i suoi disegni hanno sopportato innumerevoli assalti, tentativi d’imitazione mai propriamente riusciti. Non solo da parte dei suoi diretti allievi, che per emulazione ne assimilarono aspetti tecnici, compositivi e formali, ma da una incalcolabile serie di seguaci che lo ammiravano e anche da un indecifrabile falsario che, per immaginabili interessi economici non privi di profonda stima, tentò di camuffarne il tratto. Questa premeditata sostituzione di personalità, di controfigura artistica, costituisce un caso unico e molto precoce, avvenuto intorno alla metà del Settecento, quando la storia del collezionismo di disegni si poteva dire agli esordi. La mostra di Rimini tenta una sintesi, tra un argomento vastissimo com’è quello del disegno di Giovan Francesco Barbieri e un tema molto specifico offerto dalla vicenda del suo falsario. In mezzo ci stanno esempi di bottega e di scuola, di collaboratori o nipoti, e altri legati alla fortuna, vale a dire alle considerevoli e talvolta nobili derivazioni calcografiche che certi incisori hanno prodotto a partire dai disegni di Guercino. Entro la diramata rassegna della Biennale Disegno, seppur in forma di succinta antologia, non poteva mancare la presenza di un genio assoluto di questa espressione artistica, allo stesso tempo si è colta l’occasione per porre alcune riflessioni intorno al caso estremo e singolare del suo falsario. Non è solo il passare dei secoli che assolve l’azione imitativa e truffaldina, che spinse in inganno collezionisti e perfino musei fino a tutto il XIX secolo, ma è anche la considerazione di una forma di moderna invenzione collegata a quella sistematica e ossessiva insistenza che il falsario mise in atto. Ha qualcosa che travalica la sua epoca anche questo mascherarsi, questo immedesimarsi in una calligrafia che permetteva all’ancora ignoto disegnatore di rivivere momenti analoghi a quelli trascorsi dallo stesso Guercino, quando con la cartella sotto braccio andava sull’argine del Reno a ritrarre i paesaggi distesi e scarni della pianura emiliana, quando si allontanava dalla compagnia delle persone, trasformandole in certe piccole presenze viandanti, in campo lungo.

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DRAWINGS

ACCORDING TO by Massimo Pulini

GUERCINO

Ideally, by compiling all of Guercino’s paper drawings, one could create the greatest Italian novel of the XVII Century, an immense book that could challenge even Rembrandt and Cervantes. An obviously artistic text, yet also historical, civil, mystic, comical, and moral, one able to reach the noblest tones without losing that kernel of sincerity, and still speak the common tounge without ever abandoning itself to sarcasm or illustrations of the times. They’ve survived to our time, continually surprising us with the constant reemergence of thousands upon thousands of drawings, characterized by a cheery curiousity and by a vivid, prehensile attentiveness, evidence of the artist’s insatiable work and his clear, simple, and passionate being. Giovan Francesco Barbieri gives us the full tale of this inventive and lively experience, which is innately part of the act of drawing the world and the life which animates it, and that did not exist before him. For this genius from Cento, painting is a public act, to face with fulfilling language and disciplined planning; drawing, on the other hand, is the field of intimacy and of spontaneous motion, the realm wherein the unkown is explored and ideas are measured. Above all it’s a familiar home where, through one’s etchings, one can speak in dialect, in the mothertongue of childhood and the country. It’s a practice that old sources say he loved to attempt in solitude, while his brushwork necessarily lead him to atelier, in the busy laboratory of the trade. Yet there are countless drawings that seem taken with such a quick eye, that it becomes difficult to imagine them seperate from what is described. It’s not just a convincing and frank aproach to the pencil, the pen, or the blotch of ink, it’s the particular expressive taste, the fusion of character and the infinite shades of affection that make his pages true and his style inimitable. For this reason we can use the now conventional term of “inimitable”for Guercino, because his drawings have withstood innumerable attacks, attempted imitations that never properly achieved their goals. Not only by his direct pupils, who through emulation assimilated technical aspects, compositions, and formalities, but by an incalculable number of followers who admired him, as well as an indecipherable forger who, for probable financial interests not without a profound respect, attempted to disguise his sketches for as Guercino’s. This premeditated substitution of personality, an artistic double, is a unique and very precocious case which occurred around the middle of the 17th Century, when the history of sketch collectionism could be said to be at the beginnings. The Rimini exhibition attempts to unite the extremely vast topic of Giovan Francesco Barbieri’s drawings with the specific theme offered by the events of his forger. Within, there are examples from his workshop and school, his collaborators or nephews, and others linked to fortune, that is the considerable and sometimes noble calcographic derivations that some engravers produced, starting from Guercino’s drawings. Inside the varied entries of the Biennale Disegno, while in a concise anthological form, the presence of an absolute genius of this artistic expression couldn’t be missed, while at the same time the opportunity was seized to pose some reflections around the extremely singular case of his forger.

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Guercino, Paesaggio montuoso con figure, Bologna, (Courtesy Galleria Maurizio Nobile)

It’s not just the passage of centuries that absolves the imitative and swindling nature of the art, which tricked collectors and even museums throughout the 19th Century, it’s also the consideration of a type of modern inventiveness linked to the systemic and obsessive insistency the forger put into play. There’s something that goes beyond his era, this masking, this immersion in a calligraphy that allowed the unkown artist to relive moments that were analogous to those lived by Guercino himself, when with his folder at hand he would go the banks of the Reno to portray the sparse extenses of the Emilian planes, when he distanced himself from the company of people, transforming them into certain small traveling presences, in a far-off view. 19


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MONTAGNE DI DISEGNI NELLA CASA DEL GUERCINO A BOLOGNA L’Inventario di Casa Gennari del 1719 e la dispersione della collezione di Fausto Gozzi Per ogni artista i disegni sono un fatto privato, intimo e personale e ciò lo fu ancor di più per Guercino che ha conservato nella sua casa di Bologna montagne di disegni che erano uno strumento preziosissimo per il suo lavoro e per quello dei suoi famigliari, dal vecchio Benedetto Gennari Senior (1563-1610), col quale Guercino sedicenne condivise gli esordi, ai due nipoti, Cesare (1637-1688) e Benedetto Gennari Junior (1633-1715), che proseguirono con successo la professione nella stessa casa ereditata dallo zio. Guercino non ha mai venduto i suoi disegni e l’ordine che teneva nella loro conservazione ci fa capire non solo l’aspetto pratico e l’utilità che questi fogli rappresentavano, ma anche il godimento e il piacere che lui stesso traeva dall’esercizio del disegno. Su questo aspetto della personalità di Guercino insistono molto anche i suoi biografi più antichi che sottolineano sempre la sua precocità e attitudine dimostrata già a otto anni, insomma una forza della natura che non trovò paragoni nella sua epoca. Sono emozionanti le lettere che l’anziano decano della pittura bolognese Ludovico Carracci scrisse nel 1617 all’amico collezionista Ferrante Carli per informarlo della novità che c’era a Bologna nel campo dell’arte: “un giovane di patria di Cento che dipinge con tanta facilità d’invenzione, è gran disegnatore e felicissimo coloritore e mostro di natura è miracolo da far stupire”. E’ praticamente una dichiarazione d’amore, Carracci aveva visto nel giovane Guercino la continuazione più moderna della sua stessa arte.

Guercino, Studio per David, Cento, Pinacoteca Civica.

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Anche se notoriamente era difficile ottenere disegni da Guercino, non vuol dire che ciò era impossibile, soprattutto per quei committenti molto importanti coi quali il pittore era in rapporti professionali e a volte anche d’amicizia, come i cardinali Ludovico Ludovisi a Bologna, Jacopo Serra a Ferrara e il duca di Modena Francesco I d’Este. Oggi nel Teylers Museum di Haarlem ci sono oltre cento disegni di Guercino o comunque a lui attribuiti che provengono dalla collezione della regina Cristina di Svezia ed è molto probabile che alcuni di questi fogli fossero stati regalati alla regina dallo stesso Guercino, quando nel 1655 volle incontrare il pittore nella sua casa di Bologna. E’ evidente che ad un ospite come questo non potevano essere negati. Già dopo la morte di Guercino, quindi molto prima dell’Inventario della Casa Gennari del 1719, anche i due nipoti Cesare e Benedetto Gennari, eredi nel 1666 dell’ingente patrimonio del Guercino, cominciarono a disfarsi di alcuni fogli dello zio famoso, non sappiamo se regalati per motivi professionali e di rappresentanza o venduti, come ad esempio quelli che possedeva Carlo Cesare Malvasia, l’autore della Felsina Pittrice stampata nel 1678, le cui notizie sul pittore gli vennero date proprio dai nipoti. Un altro eccezionale collezionista di disegni fu Sebastiano Resta (1635-1714) nella cui raccolta c’erano fogli bellissimi di Guercino comperati nel 1671 nel suo soggiorno a Bologna. Un altro gruppo consistente di disegni di Guercino lasciò Casa Gennari fra il 1672 e il 1674, quando Cesare Gennari spedì al fratello Benedetto che si trovava a Parigi circa trentacinque fogli, parte dei quali si trovano oggi nella raccolta dei duchi di Devonshire a Chatsworth e altri figuravano nella collezione del pittore Sir Peter Lely (1618-1680), artista col quale Benedetto entrò in contatto durante il suo soggiorno prolungato a Londra. Con la morte di Benedetto Gennari nel 1715 che non aveva mai preso moglie, l’eredità passò ai due figli di Cesare Gennari, Gian Francesco (1671-1727) e Filippo Antonio (1677-1751) che non proseguirono l’attività artistica della famiglia e quindi iniziarono la dispersione di questa formidabile collezione di disegni. Attraverso l’atto che questi due pronipoti di Guercino sottoscrissero a Bologna il 31 Ottobre 1719 presso il notaio Camillo Canova, possiamo vedere la struttura delle proprietà della famiglia, come la grande casa nel centro storico di Bologna e il Casino di Campagna in località Belpoggio sulle colline fuori Porta Santo Stefano, ma soprattutto possiamo toccare con mano i beni mobili di quelle due case, come i quadri che la famiglia possedeva e soprattutto i disegni che ammontano ad oltre 5.700: oltre 2.800 di Guercino, oltre 1.600 di Cesare Gennari, 224 di Benedetto Gennari, 600 fogli sciolti entro cartelle di entrambi i nipoti, almeno altri 200 sempre di Guercino e dei nipoti incorniciati e appesi ai muri delle due case padronali e circa 300 disegni di autori antichi e contemporanei che formavano la collezione del Guercino. Sono numeri che lasciano esterrefatto chiunque e ci fanno capire ancor meglio l’importanza che Guercino assegnava al disegno e numericamente danno una spiegazione alla grande quantità di disegni di Guercino e a lui attribuiti che si trovano oggi nei musei del mondo. Solitamente si riteneva che Carlo Gennari (1716-1790), figlio di Giovan Francesco, fosse stato il maggiore responsabile delle vendite dei disegni, invece un ruolo considerevole l’ebbe anche suo padre Gian Francesco e pure lo zio Filippo Antonio, perche già nella prima metà del Settecento consistenti lotti di disegni vennero venduti, come i trecentocinquanta disegni di Guercino che erano nella collezione di Pierre Crozat (1665-1740) venduti poi nel 1741 in seguito alla sua morte, così pure il collezionista e grande conoscitore Jean Pierre Mariette (1694-1774) entrò in possesso di un numero elevato di disegni di Guercino, precisando che “Les Anglais sont passionnés pour les desseins du Guerchin” e cita proprio il collezionista William Kent che probabilmente fu uno dei primi ad acquistare disegni di Guercino nella Casa Gennari. Oggi la Royal Library nel Castello di Windsor possiede la più ricca collezione al mondo di disegni di Guercino e a lui attribuiti, sono oltre ottocento fogli che provengono dagli acquisti fatti da Richard Dalton (1715?-1791) bibliotecario di re Giorgio III nella Casa Gennari fra il 1758 e il 1763-’64, data in cui l’incisore Francesco Bartolozzi (1728-1815) si stabilisce a Londra proprio per incidere all’acquaforte questi disegni di Guercino appena comperati dal re. Bartolozzi non era nuovo a queste imprese perché in Italia, assieme a Giovanni Battista Piranesi (1720-1778), aveva già pubblicato un volume magnifico d’incisioni stampate con inchiostro rosso e nero che riproducono dei magnifici disegni di Guercino che si trovavano già presso collezionisti. A Londra la collaborazione Bartolozzi e Dalton produsse almeno due capolavori dell’editoria inglese stampati da John e Josiah Boydell, due grandi volumi d’incisioni, stampati in nero e seppia che sono dedicati ai tesori della collezione reale inglese e particolarmente ai disegni di Guercino comperati in Italia. Quest’operazione fu importantissima ed ottenne un buon successo editoriale perché servì a pubblicizzare e affinare il gusto dei nuovi collezionisti proprio in rapporto ai disegni di questo genio del Barocco. 21


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Cesare Gennari, Nudo virile in un paesaggio, Bologna, Pinacoteca Nazionale

Negli anni Quaranta e particolarmente nel 1747, si concluse a favore di John Bouveri (1723ca.-1750) un’altra massiccia vendita di disegni provenienti sempre da Casa Gennari e questa volta grazie all’intermediario Francesco Forni, figlio di Antonio il più famoso mercante di disegni di Bologna. In questa occasione il collezionista inglese Bouveri acquistò da Forni bel dodici volumi di disegni provenienti da Casa Gennari che però non erano i libri già confezionati da Guercino e che vediamo descritti nell’Inventario 1719, ma erano degli album rielaborati, probabilmente dallo stesso Forni che preparava questa vendita, dove i disegni di Guercino erano applicati a nuove carte sulle quali erano stati disegnati passepartout tratteggiati all’inchiostro. C’è motivo di ritenere che questa cessione fu la più eccezionale e massiccia per qualità e quantità, perché agli inizi dell’Ottocento gli eredi della collezione Bouveri la misero all’asta a più riprese e i fogli più belli passarono nella collezione del conte di Gainsborough (1781-1866) e in parte in quella di Lord Northwick (1770-1859). Un altro consistente blocco di disegni provenienti sempre da Casa Gennari è stato identificato da Denis Mahon nella collezione di Reinhard Freiherr Koenig-Fachsenfeld a Schloss Fachsenfeld a Aalen nel Wurttemberg, sono soprattutto studi di drappeggi e di anatomie, soggetti che all’epoca erano certamente meno attraenti degli altri venduti in precedenza a Dalton e a Bouveri. Naturalmente non sono solo inglesi le collezioni più importanti dei disegni di Guercino, infatti è significativa per l’alto numero di fogli e la qualità la collezione del duca Saxe-Teschen (1738-1822) che si trova oggi all’Albertina di Vienna. Un altro fondamentale nucleo di disegni di Guercino si trova oggi all’Ashmolean Museum di Oxford dov’è confluita recentemente anche la ricchissima collezione di disegni di Guercino appartenuti a Denis Mahon al quale si devono anche gli studi più acuti su questo argomento. Com’è stato detto e questa mostra lo vuole scoprire, la grande richiesta di disegni di Guercino che ci fu nel XVIII secolo, indusse qualcuno a falsificare i disegni di Guercino, particolarmente i disegni di paesaggio, forse più facili da imitare e pur tuttavia, dopo gli studi approfonditi di Denis Mahon, Nicholas Turner e Prisco Bagni, in teoria, non si dovrebbe più sbagliare nel riconoscere il tratto magistrale di Guercino.

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Jan Pesne, Paesaggio con fiume e bagnanti, (da Guercino), incisione, 1678, Cento, Fondazione Cassa di Risparmio

Giuseppe Maria Ficatelli, Paesaggio con casa, alberi e figure, Bologna, Pinacoteca Nazionale

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Falsario del Guercino (Francesco Novelli ?), Paesaggio con cavallo imbizzarrito, Cento, Pinacoteca Civica

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Il Falsario del Guercino

di Giulio Zavatta

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Un disegnatore di fine Settecento dotato di notevoli qualità tecniche e di una capacità imitativa straordinaria dedicò una parte della sua vita all’imitazione dello stile del Guercino, un famoso artista vissuto più di un secolo prima. Per oltre centocinquant’anni i suoi disegni a penna furono considerati opere autografe, mentre con il passare del tempo la vicenda, facendosi sempre più remota, stendeva un inesorabile velo di oblio sul suo nome. L’inganno venne scoperto solamente nel 1931 da Edith Hoffman, una studiosa ungherese la quale intuì che tra i disegni della collezione del principe Esterhàzy un gruppo di paesaggi attribuiti a Guercino erano in realtà copiati dalle incisioni di Jean Pesne tratte da originali di Giovan Francesco Barbieri nel 1678. La Hoffmann definì per la prima volta l’autore di questi fogli “Fälscher”, ovvero “Falsario”. Il termine fu utilizzato in seguito da Prisco Bagni nel dare alle stampe due volumi su questo artista conosciuto da allora come “Falsario del Guercino”. Gli studi di Denis Mahon e dello stesso Bagni hanno poi ulteriormente perfezionato l’identikit dell’ignoto plagiario, osservando che i suoi disegni non erano semplicemente tratti dalle incisioni di Pesne, ma anche dalla replica delle stesse eseguita da Ludovico Mattioli nel 1747, data da considerarsi termine post quem per i falsi Guercino di paesaggio.


In verità, nelle fonti antiche si trovava già traccia dell’attività di falsificazione dei disegni di Guercino, in particolare in una biografia dell’artista centese data alle stampe da Jacopo Calvi detto il Sordino (17401815) figurava un’esplicita menzione di queste “contraffazioni”. Dopo aver parlato dei disegni di Guercino, infatti, Calvi annotò: “ben è vero che si è trovato, e si trova chi ha saputo imitarli a segno di rendere ingannati li dilettanti; tuttavia l’avveduto conoscitore che attentamente osservi la grazia, la fierezza, le idee de’ volti, ed il chiaroscuro degl’originali, non così facilmente si lascerà prendere dall’ingegnosa imitazione di chi ha voluto contrafarli”. In un primo momento le indagini avevano comprensibilmente puntato i riflettori su Carlo Gennari, un lontano discendente del Guercino che, essendosi trovato ad ereditare migliaia di disegni del maestro centese, in breve volgere di anni li disperse vendendoli specie all’estero. Fu Zanotti, nel 1769, a puntare il dito contro di lui, quando scrisse: “non poco elegantemente copia in disegno le cose del Guercino”. L’accusa non ha però retto all’evidenza dei disegni: Mahon, individuando alcuni autografi di Carlo, notò che avevano uno stile molto diverso da quello dell’ancora misterioso falsario. Dalla prima e pressoché coeva menzione di Sordino, uno dei pochi punti fermi sulla vicenda, è scaturito a margine di questa mostra un ulteriore filone di indagine – ci si passi la metafora da detective – che ha permesso di

individuare una figura di falsario di disegni, compresi quelli di Guercino, e di dare un nome quantomeno a un sospettato. Calvi riferisce infatti di un falsario ancora vivente e lo fa con un certo “affetto”: non viene espressa una condanna, si parla anzi di “ingegnosa imitazione”. Vagliando le conoscenze del Sordino, assai ramificate per il suo ruolo di spicco in seno all’Accademia Clementina, è emerso un caso molto sospetto, derivante dalla sua amicizia con l’artista veneziano Pietro Antonio Novelli (1729-1804). Nelle lettere tra i due emerge uno speciale riguardo per il figlio di Novelli, Francesco (1767-1836). Nel 1787 Calvi scriveva all’amico: “ella fa ottimamente a tener molto esercitato nel disegno il valoroso suo sig. figlio e a fargli copiare disegni originali d’eccellenti maestri”. Tre anni dopo, addirittura, propone al collega di favorire il figlio per l’aggiudicazione di un premio in pittura. Ma Francesco Novelli, come dimostrerà la sua successiva carriera, non ebbe particolari doti pittoriche, e infatti non si aggiudicò mai quell’onoreficenza. Nell’autobiografia del padre Pietro Antonio, data alle stampe nel 1834, si apprendono ulteriori notizie che arricchiscono il quadro indiziario. Innanzitutto si ha conferma che egli collezionava disegni bolognesi, riconoscendo alla scuola felsinea la “specialissima facoltà di disegnar senza stento”. Proprio per questo acquisì da Francesco Gennari, un discendente

di Guercino, un corposo nucleo di disegni: “…dipinsi un’Arianna sul lito, che abbandonata da Teseo disperatamente s’affligge […] e questa la feci per il signor Francesco Gennari di Bologna, parente di Gianfrancesco Barbieri, detto il Guercino da Cento, da cui feci l’acquisto di molti originali disegni dello stesso Guercino”. Ma i ricordi autobiografici riguardavano anche il figlio Francesco che cresceva nel mito della grafica bolognese, tanto che il padre ricorda: “aveva mio figlio in allora anni 7, e mostrava con la naturale inclinazione d’avere un gran gusto nel veder le opere dei Carracci, di Guido, del Guercino, e di tutti gl’insigni maestri di quella grande scuola, non potendosi trattenere di qualche cosa disegnare in così tenera età”. Col progredire dello studio si manifestarono le caratteristiche proprie di Francesco, che lo portarono a diventare un valido incisore di riproduzione: “proseguì intanto Francesco mio figlio ad inoltrarsi a gran passi sulla strada della invenzione, del disegno e del colorito […]. Ed essendo egli instancabile nell’esercizio del disegno, maneggiando con somma facilità e la penna e il lapis e l’acquarello, misesi a copiare molti disegni originali del Parmigianino […] ed apprendendo quel segnare tanto grazioso, inventò molte cose su quel gusto […] e ne furono raccolte in varie parti da chi va formano la serie più scelta d’eccellenti autori”.


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Falsario del Guercino (Francesco Novelli ?), Paesaggio con cacciatori e campanile sullo sfondo, Cento, Pinacoteca Civica

Fino a qui la questione sembra limitata al normale percorso di apprendistato che doveva avvenire facendo copia dagli schizzi dei grandi del passato. Tuttavia Novelli dichiara una particolare attitudine del figlio Francesco e cioè quella di appropriarsi del ductus di un artista, imitandone gli originali, ma anche sviluppando proprie invenzioni. Il fatto che molti suoi disegni fossero raccolti da chi formava “la serie più scelta d’eccellenti autori” non chiarisce se il giovane fosse già considerato un’eccellenza (peraltro, non essendolo) oppure se questi fogli fossero confusi con quelli degli autori antichi. La questione si fa più chiara in seguito: “così avendo egli il possesso e la gran pratica del disegno, colla maggiore facilità e prontezza misesi, non dirò a copiare, ma a contraffare molti disegni, da me posseduti, di primo impeto, e ricercare originali del Guercino, di Guido e d’altri; e di queste sue cose ne fu fatta la profezia, che a’ tempi avvenire anderanno come originalissimi nelle collezioni più cospicue dei raccoglitori: e tutto ciò egli fece e fa senza mettersi in soggezione d’imitare i tratti ad uno ad uno, ma con mano libera s’investe dello spirito d’ogni autore”. Il padre dichiara dunque senza mezzi termini, e con un certo compiacimento, che Francesco era così bravo nel disegno da essere in grado di immedesimarsi nello stile dei grandi autori dei quali fece copia, e anzi si specializzò a “contraffare molti disegni” della sua collezione nella quale figuravano “molti originali disegni dello stesso Guercino”. 26


Alla fine dell’Ottocento anche Francesco Novelli fu soggetto di una biografia curata da Giovan Battista Perini dove vengono messe in luce ancora una volta le sue capacità camaleontiche, con particolare riguardo per due serie di incisioni che egli trasse da originali di Rembrandt e da opere al tempo ritenute di Mantegna: “il Novelli [Francesco] meritava in fatto lode e conforto, non tanto per aver di subito cangiato maniera ne’ suoi intagli, quanto per essere in tutte e due le maniere da lui trattate riuscito a perfezione. Nella prima, cioè in quella di Rembrandt, richiedendosi grande effetto, gran macchia, tocchi risoluti, tagli incrocicchiati, e tutto all’acquaforte; nella seconda, in quella cioè del Mantegna, non effetto ma diligenza, non tocco risoluto ma castigato disegno, non tagli incrocicchiati, ma solo un contorno o taglio semplice, non all’acquaforte, bensì a bulino”. A questo punto l’indagine, però, giunge in un vicolo cieco. Appurato delle capacità imitative, o meglio reinterpretative, di Francesco Novelli, e acquisita la fonte paterna, assai attendibile, che lo dice imitatore di disegni di Guercino che sarebbero stati in seguito ritenuti originali nelle più selezionate collezioni, ci si trova dinnanzi all’impossibilità di confronto per verificare se fu proprio la sua duttile mano a realizzare i disegni rubricati oggi come opera del falsario del Guercino.

“ben è vero che si è trovato, e si trova chi ha saputo imitarli a segno di rendere ingannati li dilettanti”

“colla maggiore facilità e prontezza misesi, non dirò a copiare, ma a contraffare molti disegni, da me posseduti, di primo impeto, e ricercare originali del Guercino”

Pur disponendo di disegni originali del Barbieri e benché il mercato ricercasse con brama stampe derivate da autografi di Guercino, tra le centinaia di incisioni di Novelli non risultano soggetti tratti da originali del Centese utili per un confronto. È come se Francesco Novelli avesse accuratamente eliminato ogni possibilità di paragone con Guercino: un atteggiamento sospetto, ma non probante. In definitiva, resta comunque il fatto che questo abile incisore fu anche un documentato falsario di disegni, soprattutto del Guercino. Aveva accesso a fogli originali, messi a disposizione dal padre, e la sua attività lo facilitava nel reperimento delle stampe che sono alla base di numerose “invenzioni” del falsario. Che si tratti del ben noto Guercino forger oggetto delle attenzioni di questa mostra non lo si può affermare con certezza: sulla base degli indizi raccolti non può essere considerato “colpevole” al di là di ogni ragionevole dubbio. Certamente, tuttavia, può apparire, allo stato attuale, come il sospettato con più indizi a carico perché la testimonianza del padre fa emergere esplicitamente e per la prima volta una intenzionale attività di plagio, attuata tra Bologna e Venezia alla fine del Settecento e perdurata probabilmente fino ai primi anni del secolo successivo, proprio negli stessi anni del misterioso falsario.


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FORTUNATO

DURANTI

FOGLI DELLA

OLLIA Museo della Città via Tonini, 1 Rimini

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FOGLI DELLA FOLLIA. FORTUNATO DURANTI, VISIONARIO E ROMANTICO. A cura di Alessandro Giovanardi e Franco Pozzi

Artista geniale e irregolare, sedotto dalle partiture solenni di Raffaello e dalle sperimentazioni di Poussin, Pietro Testa e Salvator Rosa, il marchigiano Fortunato Duranti (Montefortino 1787-1863) si è formato nella Roma al passaggio tra l’età neoclassica e quella romantica. Alla prima appartiene per diritto di formazione e per le frequentazioni artistiche e culturali, e alla seconda sia per il suo istinto visionario sia per un’intima necessità sperimentale, dettata da un destino insieme tragico e fecondo. Uomo colto, collezionista, disegnatore prolifico, pittore di rare e delicatissime prove e mercante d’arte, Duranti si è misurato con i più rilevanti maestri del Neoclassicismo e del Purismo: in particolar modo Felice Giani e Tommaso Minardi (ma anche Palagi, Pinelli, Presutti, Camuccini ecc.). Arrestato ingiustamente come spia in uno dei suoi viaggi di mercatura a Vienna nel 1815, proprio nel delicato passaggio epocale dal dominio napoleonico alla Restaurazione, l’equilibrio interiore di Duranti s’incrinò irrimediabilmente, aggravandosi in seguito per la constatazione del suo insuccesso di artista e di commerciante. Dal 1840 si ritirò definitivamente nella natia Montefortino dove visse gli ultimi ventitre anni, producendo un numero vastissimo di disegni, vari per soggetto, stile e tratto, accompagnati da una scrittura fluviale e dal senso frammentario e impossibile da decifrare. Gli anni della follia sono, tuttavia, i più fertili per il suo sguardo allucinato che, dal 1820 in poi, trasforma l’adesione ai temi storici raffaelleschi e neoclassici in una inquieta profezia della metafisica sironiana.

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Al contempo i continui riferimenti ai soggetti mitologici, biblici e religiosi generano un’affinità elettiva con il lucido onirismo di Johann Heinrich Füssli (1741-1825) e con il simbolismo personale e irrequieto di William Blake (1757-1827). In effetti, la sua ricerca, come quella parallela di Füssli, molto deve allo sperimentalismo anticlassico dei manieristi toscani, emiliani e veneti. La sua solitudine nello studio turrito di Montefortino, la sua scrittura torrenziale e spezzata, priva apparentemente di un significato aperto al lettore, le sue potenti visioni grafiche di strepitosa inventiva e continuo ripensamento, evocano, inoltre, la vicenda parallela dello scrittore (poeta, drammaturgo, filosofo) Johann Christian Friedrich Hölderlin (1770-1843): li accomuna, tra le altre cose, il fascino per Salvator Rosa, maestro più volte citato dai disegni di Duranti, in significative variazioni sul tema delle Tentazioni di sant’Antonio, e col cui nome Hölderlin firma le sue carte della follia.

«Fortunato Duranti si esprime con il piglio allucinato che è proprio di un Füssli o di William Blake» (Federico Zeri) Fortunato Duranti, Madonna col bambino, penna, inchiostro e acquerello su carta, Biblioteca ‘Romolo Spezioli’, Fermo.

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Fortunato Duranti, Lo studio dell’artista, matita nera, penna e inchiostro su carta, Biblioteca ‘Romolo Spezioli’, Fermo.

La mostra che unisce alcuni disegni di collezione privata con il prezioso e importantissimo prestito dalla Biblioteca Civica “Romolo Spezioli” di Fermo (90 carte di straordinaria fattura), intende seguire il tracciato critico iniziato, tra gli altri, da Roberto Longhi e Federico Zeri, e proseguito

con acribia da Stefano Papetti, mettendo in luce, con sguardo “arcangeliano”, la modernità inconsapevole e premonitrice di un maestro «del neoclassicismo scapigliato», che si colloca, per qualità e potenza, accanto a Piranesi, Blake, Füssli e Goya tra i profeti della crisi della razionalità occidentale.

«Fortunato Duranti si esprime con il piglio allucinato che è proprio di un Füssli o di William Blake» (Federico Zeri) «Sono da ricordare le sue meditazioni sul Pontormo, Andrea del Sarto, Correggio, Luca Cambiaso, Guido Reni, Guercino, Poussin, Rembrandt, Salvator Rosa, fino a Tiepolo, Giaquinto, Felice Giani» (Gabriello Milantoni) «Un’eroica scapigliatura neoclassica» (Roberto Longhi) «È, quello patologico, l’indirizzo giusto per un’adeguata lettura dei disegni del Duranti? Oppure quello del marchand-amateur, del collezionista e mercante di quadri? O è il Duranti conoscitore che va tenuto presente? O, infine, è la sua personalità di artista la sola e unica valida per una sicura valutazione critica e storica?» (Federico Zeri) «Le scene diventano materia incandescente di espressione e nuova: tanto nuova da saltare tutto un secolo per accostarsi stranamente ad alcuni artisti di oggi: ai metafisici e più specialmente al De Chirico» (Alberto Francini)

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THE PAPERS OF MADNESS. FORTUNATO DURANTI VISIONARY AND ROMANTIC An eccentric genius of an artist, seduced by Raphael’s solemn shadings and by Poussin, Pietro Testa, and Salvator Rosa’s experimentations, Fortunato Duranti (Montefortino 1787-1863) was born in the Marche, and received his education in Rome during the period between Neoclassicism and Romanticism. He belongs to the first due to the education of the time and his artistic and cultural circle, and to the second due to his visionary instinct and his deeply rooted need to experiment, dictated by a tragically prolific fate. A cultured man, a collectionist, a talented sketcher, a painter of rare and delicate art, and an art merchant, Duranti measured up to the most relevant masters of Neoclassicism and Purism, particularly of Felice Giani and Tommaso Minardi (but also of Palagi, Pinelli, Presutti, Camuccini etc...). Unjustly arrested as a spy during one of his business trips to Vienna in 1815, right during the tense time period between the Napoleonic era and the Restoration, Duranti’s inner balance was forever thrown off, a situation which worsened due to his artistic and economic failures. From 1840 onward he retired to his native Montefortino, where he lived his last twenty-three years, producing an extremely vast number of drawings, regarding various subjects, styles, and strokes, accompanied by an outpouring of fragmented and writing that was impossible to decipher. The years of his madness were, however, the most fertile for his crazed gaze, which from 1820 onward transformed his adherence to the historic themes of Raphael’s Neoclassicism into a disturbing prophecy of Sironian metaphysics. At the same time, the constant reference to mythological, biblycal, and religious subjects create an elective affinity with Johann Heinrich Füssli (1741-1825) and his lucid Oniricism, as well as the personal and restless symbolism of Willaim Blake (1757-1827). In reality, Duranti’s work, just as Füssli’s parallel work, owes a lot to the anticlassical tendencies of the Tuscan, Emilian, and Venetian Mannerists. The solitude in his studio tower in Montefortino, his torrential and broken writing, apparently without any meaning directed towards the reader, his powerful graphical visions of incredible invention and continuous mulling, also evokes the parallel events of the writer (poet, dramathurge, philosopher) Johann Christian Friedrich Hölderlin (1770-1843). A common thread, among other things, is their fascination for Salvator Rosa, a master referenced multiple times in Duranti’s drawings, in significant variations on the theme of

The Temptations of Saint Anthony, whose name Hölderlin uses to sign his papers of madness.

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Fortunato Duranti, Scena allegorica, matita, penna, inchiostro su carta, Biblioteca ‘Romolo Spezioli’, Fermo.


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Fortunato Duranti, Maschera teatrale, penna, inchiostro e acquerello su carta, Biblioteca ‘Romolo Spezioli’, Fermo.

The exhibition unites some pieces from private collections with a precious and extremely important loan from the “Romolo Spezioli” Civic Library of Fermo (90 pages of extraordinary make), and intends to follow the path of critique begun, among others, by Roberto Longhi and Federico Zeri, and meticulously followed by Stefano Papetti, who brings to light with an “Archangelesque” gaze the premonitory and unknowing modernity of a master of «dishevelled Neoclassicism». In terms of quality and power, Duranti’s work can be placed besides that of Piranesi, Blake, Füssli, and Goya among the prophets of the crisis of Western rationality.

«A heroic Neoclassical shakeup» (Roberto Longhi)

Fortunato Duranti, Carro trionfale, matita, penna e inchiostro su carta, Biblioteca ‘Romolo Spezioli’, Fermo.

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Fortunato Duranti, Studio da Salvator Rosa, di Madonne col bambino e di animale, penna, inchiostro e acquerello su carta, Biblioteca ‘Romolo Spezioli’, Fermo.

«The scenes become an incandescent matter of new expression; it’s so new as to completely jump a century to strangely approach some of today’s artists, the metaphysicists, and specifically De Chirico» (Alberto Francini ) 35


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Fortunato Duranti, Angelo portaturibolo, penna, inchiostro e acquerello su carta, Biblioteca ‘Romolo Spezioli’, Fermo.

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Is the right tone to read Duranti’s art that of pathology? Or perhaps that of the marchand-amateur, the collector or art seller? Or should we keep in mind Duranti, the connoisseur? Or, in the end, is his artistic personality the only valid aspect to consider for a sure critical and historical evaluation? (Federico Zeri)

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D ise gn

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in

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Marco Benefial

Gli angeli mostrano alla Vergine i simboli della passione.

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Museo della Città

Marco

Benefial

aveva

trentasette

anni

quando

eseguì,

nel

1721,

questo

vibrante e raffinato cartone, preparatorio a un dipinto eseguito per il monastero romano di Santa Maria del Sette Dolori. È di certo il disegno più bello, importante e raro, che le collezioni pubbliche riminesi possano vantare. Il fitto chiaroscuro accompagna la struggente invenzione iconografica ad una finitezza che già contiene il proprio destino pittorico. Ma ancor più della redazione finale il disegno veicola un sentimento delicato e palpitante. Anche

la

trama

a

reticolo, creata

dai

quindici

fogli

di

cartone

uniti

a

comporre il progetto nelle dimensioni reali, aggiunge un proprio significato all’immagine,

trasformando

il

disegno

in

un

arazzo

cucito

nel

carbone

e nella grafite.

Marco Benefial, Gli angeli mostrano alla Vergine i simboli della passione, (cartone preparatorio), Rimini, Museo della Città. 39


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Quale la distanza che separa l’artista dal suo soggetto, quale la distanza che definisce il passaggio dalla misura concreta alla dimensione pittorica, dalla percezione alla rappresentazione? Il critico d’arte James Lord, autore di una celebre biografia su Giacometti, ci racconta di come Alberto eseguì una natura morta nello studio di suo padre quando aveva circa diciotto anni: “Incominciò a disegnare delle pere disposte su un tavolo. All’inizio le fece della grandezza che avevano come se l’apparenza realista dipendesse dalla rappresentazione delle proporzioni presenti. Mentre avanzava, non smetteva di cancellare, fino a che le pere diventano minuscole. Suo padre che lo osservava lavorare giudicò che era senza dubbio esagerato: Disegna le pere come sono, così come le vedi, disse al figlio. Alberto ricominciò e mezz’ora

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dopo si ritrovòcon le stesse pere minuscole”. In realtà Giacometti le disegnava tali e quali erano cioè come le vedeva e non come le sapeva. Era la distanza che separava le pere dal suo sguardo a determinare le misure, riducendo le dimensioni conosciute a quelle che lui vedeva realmente. Se ho citato questo aneddoto è perché ci introduce, a passi da gigante, al nostro argomento: la problematica del minuscolo che esiste solo in relazione al gigantismo. Il macrocosmo e il microcosmo sono correlativi. Già nel pensiero greco i pigmei, favoloso popolo di nani alti un cubito, furono immaginati in opposizione all’idea dei giganti: li troviamo nel ciclo di Eracle quando assaltano l’eroe per vendicare la morte del gigante Anteo, oppure nella saga dei Mirmidoni, discendenti da formiche.


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La letteratura è piena di esempi simili, ci basti evocare Micromégas: nel racconto filosofico di Voltaire, ogni essere, sia esso siriano, saturnino o terrestre, è visto nell’universo in continua tensione fra il “micro” e il “mega”. Nel pensiero filosofico di Pascal, l’uomo è situato fra due abissi, l’infinitamente grande e l’infinitamente piccolo. Nei viaggi di Gulliver a Lilliput, gli uomini che vi abitano non sono più alti di sei pollici; il Pollicino della favola, fra gnomi e folletti, ci trasporta attraverso immagini che passano con la più disinvolta facilità dal piccolo al grande e dal grande al piccolo. La cosa che colpisce di più nei lavori di Stefano Della Bella è il loro formato sovente piccolissimo. Le sue immagini, a volte, non superano la grandezza di una carta da visita o di un “grande” francobollo. Per la minuzia dei tratti e le dimensioni ridotte, guardare le sue incisioni esige un vero e proprio avvicinamento fisico, o meglio l’uso di una lente di ingrandimento. Del resto esiste una fenomenologia dell’ “uomo con la lente” che esprime una legge psicologica importante: quella di immettersi in un punto sensibile dell’oggettività nel momento in cui siamo pronti a ricevere il dettaglio nascosto e a dominarlo. Il minuscolo allora si spiega nelle dimensioni di un universo. E necessario “entrare” nel minuscolo, “inoltrarsi” per poter vedere le immagini ingrandirsi e moltiplicarsi. Il piccolo formato costringe chi guarda a una osservazione molto attenta, “l’agudeza” è già una lente di ingrandimento, e necessita lo stesso sguardo di un entomologo o di colui che ammira l’oriente di una perla; favorisce la concentrazione e aiuta a interiorizzare. Non è sufficiente basarsi sulla dialettica platonica del grande e del piccolo per conoscere le virtù dinamiche del minuscolo, occorre oltrepassare la logica, per vivere ciò che nel piccolo c’è di grande. Accade come se stessimo esaminando le immagini al rallentatore, soffermandoci su ciascuna il tempo necessario per arrivare a una condensazione dei valori, senza limite. Le composizioni di Della Bella svelano ad un occhio attento, capace di analisi, il loro equilibrio e la loro geometria rigorosa; questo stesso occhio attento, ha il piacere di sorprendere l’artista nel

momento intimo e segreto del processo creativo, quasi con indiscrezione: ci si immagina Stefano, col pollice sulla sua ciappola, mentre fissa paziente e meticoloso le cose più minute e lontane. E facile comprendere a questo punto le implicazioni e l’impegno di proporre una mostra di incisioni di formato in gran parte piccolissimo; l’invito a guardare questi lavori è, in qualche modo, anche una richiesta di disponibilità a entrare in una dimensione del tutto singolare. In ogni tempo gli artisti sono stati tentati dall’esperienza di nuove tecniche e non solo per andare al di là delle regole convenzionali ma perché un nuovo procedimento dava luogo a un nuovo stile che si personalizzava. Nella sua ricerca di profondità dello spazio, per esempio, Donatello nella serie dei Miracoli a Padova, ottiene con la tecnica dello “stiacciato” spazi profondissimi. I bassorilievi, con questo accorgimento tecnico, mostrano una sporgenza minima e depressa che si attenua gradualmente dai primi agli ultimi piani, dando l’illusione della profondità. Nei quattro Miracoli il tumultuoso accalcarsi della folla è ritmato dalla scansione geometrica delle architetture che diventano le vere protagoniste delle rappresentazioni. Tra i primi a studiare con straordinaria modernità i fenomeni della percezione visiva, Leonardo da Vinci fece uso di una certa gradazione della luce e del colore che risultava della posizione degli oggetti visti nello spazio: più gli oggetti rappresentati sono lontani più la loro luminosità diminuisce e il loro colore degrada nel blu. Questo modo di rendere la profondità attraverso la tonalità azzurrina, all’orizzonte, fu definito da Leonardo “prospettiva aerea”. Per quanto concerne il mondo dell’incisione il colore è per definizione escluso, dunque i mezzi di espressione della prospettiva aerea si riducono a due elementi: il tratto e il degradare dei valori. La forza o la leggerezza della traccia, le dimensioni del tratteggio lungo il primo piano, ridotto in lontananza a dei piccoli tratti o dei punti, traducono la distanza. Per ottenere una profondità di campo il taglio delle scene di Della Bella ripete quasi sempre lo stesso modulo: un personaggio in primo piano occupa il foglio in verticale,

più vigoroso di tono o nell’ombra, situato a volte su una piccola altura, che produce un allontanamento delle altre figure nei piani successivi o crea un forte stacco dal paesaggio affollato che si stende in lontananza. Questa maestria tecnica permette all’artista di introdurre nelle lastre una moltitudine di comparse che, senza distrarci del resto, appaiono distintamente sul fondo, in modo che ognuna di esse conserva la sua esistenza pur partecipando tutte dall’insieme. La caratteristica dell’arte di Della Bella è tutta nel gioco delle proporzioni e nell’incessante variazione di scala all’interno della stessa lastra. Il passaggio all’infinitamente piccolo non si compie gradualmente, ma a balzi o con brusche alternanze. Il minuscolo nell’arte occidentale appare già nelle piccole vedute architettoniche e paesaggistiche di Pompei e dell’Esquilino, nei codici miniati del medioevo, nei Livres d’heures che continuano a stupirci per la varietà delle soluzioni spaziali e nelle predelle delle pale d’altare minuziosamente narrative. L’arte del infinitamente piccolo fu praticato per tradizione dai fiamminghi, in particolare dai continuatori delle “kermesses” bruegeliane, così come dal tedesco Adam Elsheimer che non ebbe uguali nel moltiplicare i personaggi su una scena ridotta e nella messa a fuoco dei dettagli più infinitesimali. Al di là della storia del minuscolo, le ragioni dell’attrazione di Della Bella per l’infinitamente piccolo sono più di una: egli iniziò come apprendista nella bottega dell’orefice Orazio Vanni e qui imparò l’uso della “punta” e i lavori di cesellatura; questa pratica lo portò in breve tempo all’abitudine di operare da molto vicino e supponiamo munito di occhiali o lenti come il “microscopio composto” di Galileo: “un occhialino per vedere da vicino le cose minime” che deste grande interesse in tutti gli ambienti artistici e scientifici. Incontra in seguito Remigio Cantagallina celebre per la sua “tecnica meravigliosa del disegno a penna in grande e in piccolo”, dice Félibien, che gli fa conoscere le incisioni del ingegnoso Jacques Callot, subito preso a modello.

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Inoltre a Firenze, ebbe modo di ammirare nel famoso Studiolo di Francesco I dei Medici a Palazzo Vecchio, ideato dal Vasari, i dipinti dell’Allori e di Giovanni Stradanno, iscritti nelle superfici ristrette di medaglioni ovali. Della Bella l’avrà bene in mente quando realizzerà la serie dei tondi dei Paesaggi e rovine di Roma nel 1646. Senza dubbio la predilezione per la descrizione della moltitudine e il “lavoro in piccolo” fu per Della Bella un artificio di stile, atteggiamento, abbiamo visto, non raro in un’epoca in cui le scoperte scientifiche erano così stupefacenti da sorpassare le fantasie di scrittori e pittori, che ricorrevano al magico e all’incredibile. La sua fu quindi anche una civetteria “ post-manierista”. Inoltre all’epoca, per i collezionisti di stampe e di piccoli quadri da gabinetto d’amatore, diventava vera fruizione guardare a lungo delle immagini, esaminare uno per volta i personaggi, scoprire e far notare agli amici un piccolo dettaglio che a prima vista era loro sfuggito.

La moltitudine, la varietà, la precisione delle figure, l’abilità della mano, tutto quello che chiamiamo virtuosismo, erano allora considerate qualità supreme. Gli artisti si prestavano a soddisfare questa curiosità del loro pubblico, e stupire al di là dell’aspettativa.

Qui un ritorno a Giacometti s’impone. Durante la guerra Alberto visse e lavorò a Ginevra in una piccola stanza d’albergo. Alla vigilia del ritorno a Parigi, Albert Skira, suo amico, gli chiese quali disposizioni avesse preso per trasportare le sue sculture.

Anche le sculture minuscole, nell’estetica manierista, suscitarono le meraviglie del tempo. Vasari così evocava il virtuosismo di Properzia de’Rossi : “ E perciò ch’era di capriccioso e destrissimo ingegno, si mise ad intagliare noccioli di pesche, i quali si bene e con tanta pazienza lavorò, che fu cosa singolare e meravigliosa il vederli…. certamente era un miracolo veder in su un nocciolo così piccolo tutta la Passione di Cristo, fatta con bellissimo intaglio con una infinità di persone, oltre i crucifissori e gli Apostoli.” Sappiamo bene, grazie alle collezioni di curiosità, di quanto favore godettero le prugne e le ciliegie di pietra scolpite, i cammei in calcedonio di squisita fattura o i netsuke giapponesi : una sorta di bottoni scolpiti in avorio, minutamente decorati, usati per fermare alla cintura borse e borsellini.

“Ma le ho con me”, rispose. Le aveva dentro una scatola poco più grande di una scatola di fiammiferi da cucina. Per Della Bella il virtuosismo fu una pratica della quale non si stancò mai e che svolse con disinvoltura, questo spiega l’immenso successo che ottenne in vita. Per quanto concerne l’oggi, in un mondo in cui impera il grande formato, anzi la gigantografia e il nostro sguardo si è abituato a percorrere spazi sempre più grandi e sempre più in fretta, non è cosa semplice ritrovare un tempo “slow”, come si suol dire, che permette di prestare l’attenzione necessaria a osservare da vicino quello che riesce ancora a sorprenderci. Bertrand Marret

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VISIBILI E INVISIBILI I manifesti Aiap per la Biennale Disegno

a cura di Stefano Tonti

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by Tomaso Marcolla

by Orith Kolodny

invisibile

interiore

intrigante

Visibile e invisibile, sottotitolo della Biennale 2018, è un tema che attraversa trasversalmente l’attività progettuale del graphic designer il quale, nella sua professione, si confronta continuamente con la sfida di tradurre invisibili contenuti in visibili forme. Aiap,

associazione

italiana

design

della

comunicazione visiva, in collaborazione con la Biennale Disegno Rimini, ha organizzato in occasione della terza edizione della manifestazione una Call for posters tra i suoi soci sulla sfida complessa e affascinante di come festi proposti costituisce la mostra “Visibili e invisibili” allestita presso il Museo della Città. Stefano Tonti

by It Not

visualizzare l’invisibile; una selezione dei mani-


itt à C

D ise gn

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Mosaici al Museo Disegni di pietra

I più antichi disegni riminesi, nel frammentato corredo che i secoli ci hanno tramandato, sono eseguiti in processioni di sassi neri, che percorrono campi selciati di pietra bianca. Ancora più e meglio di ciò che era inciso o dipinto sulle pareti delle case, i mosaici pavimentali hanno resistito ai millenni, hanno sopportato gli incendi e le guerre, i crolli degli imperi e quelli delle repubbliche, le invasioni dei goti e le iconoclastie medioevali. Sono rimasti in letargo per cento generazioni, dimenticati, fino a quando, nei decenni scorsi, sono stati risvegliati dalla punta di un piccone. Il Museo della Città di Rimini conserva una vasta raccolta di pavimenti

musivi

che

disegnano

la storia dell’urbe a partire dalla fondazione romana di Ariminum. In uno di questi vasti disegni, ora ruotati di novanta gradi e appoggiati a una parete, è rappresentato un porto di mare e alcune barche gremite di marinai dall’aspetto scimmiesco. Quel mosaico ci racconta le attitudini e i costumi di antichi abitatori del mare e delle coste, attraverso una mirabile sintesi che vira il racconto quotidiano nello stile di una favola.

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Museo della Città

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CALLIGRAFIA VENEZIA. Caratteri al Femminile a cura di Monica Dengo

Eleonora Petrolati “Il legame delle foglie” Inchiostro Sumi e ferro gallico su carta Arches Velin

Museo della Città (Sezione Archeologica) via Tonini, 1 Rimini 48


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I lavori esposti appar tengono a un percorso progettuale sviluppato dal gruppo SCRIPTA. Per il gruppo SCRIPTA scrivere è un’azione a sé, non vincolata a quella

Inchiostro Sumi su carta Arches Velin

La parola è il mezzo che guida l’espressione dell’artista attraverso i segni: ne emerge la bellezza nascosta del ritmo compositivo di spazio e proporzioni, l’incanto dell’attimo in cui ciò che si traccia permette di vivere la profonda consapevolezza del “qui e ora”, il momento perfetto in cui si scorre insieme al segno ritmati dal respiro e dal battito del cuore. Per SCRIPTA la scrittura illeggibile diventa scrittura oltre la scrittura, esperienza

Inchiostro Sumi su carta Arches Velin

Pia Montagna “Non conosco che luogo sia una madre”

Edi Solivo “Parole ribelli”.

successiva del leggere.

di unità tra segno, parola e corpo. Questo appassionante percorso segue il tracciato sensibile dell’anima: tutta la gamma delle emozioni incide sulla car ta che, come un registro vivo e ardente, fa affiorare dall’intimo i propri segni.

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Deanna Favre “Vagabondare fra le lettere� Inchiostro Sum e inchiostro arancio su carta Arches Velin

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Alessandra Barison - Claudia Di Berardino Riccarda Bianco - Anna Brunetti Cristina Cometti - Monica Dengo Deanna Favre - Annalisa Fermo Concetta Ferrario - Lino Ganci Caterina Giannotti - Petra Markhauser Renata Mengucci - Pia Montagna Eleonora Petrolati Maria Gabriella Pianizzola - Edi Solivo Sara Veneri - Paola Zoffoli

L’atto dello scrivere a mano e il momento in cui si esprime un pensiero attraverso il segno diventano così par te di un percorso ar tistico in cui è possibile esprimere qualcosa di profondamente creativo e autentico, che supera il modo in cui questi segni sono letti o interpretati, in un sorprendente linguaggio universale dove si fondono tecnica e ricerca, ispirazione e riflessione ar tistica, rigore e creatività.

Nel progetto collettivo CARATTERI AL FEMMINILE ogni ar tista ha scelto una scrittrice italiana e una sua opera di riferimento da cui ha selezionato alcune parole o frasi significative, interpretate attraverso la propria opera di calligrafia espressiva contemporanea. Il segno che caratterizzale opere è in prevalenza gestuale: trae spunto dalla calligrafia classica nella forma storica delle

Capitali Imperiali Romane, per approdare a un percorso ar tistico in cui ognuno ha sviluppato la sua direzione, sia nella scelta della tecnica che della scrittura. SCRIPTA, composto da ar tisti-calligrafi italiani e stranieri, è nato ai corsi del Centro Internazionale Ar ti Calligrafiche tenuti a Venezia dall’ar tista, calligrafa, docente e designer Monica Dengo, ideatrice e coordinatrice del gruppo. Paola Zoffoli

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Paola Zoffoli “Liquid Lovers 1 - Aeternal Fluxus” Inchiostro Sumi su carta Arches Velin

Monica Dengo “water 3” Inchiostro Sumi su carta Magnani

Petra Markhauser “Anima libera” Ecoline su carta Arches Velin

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Concetta Ferrario “La morte è morta” Inchiostro Sumi, mallo di noce e acquarello su carta Arches Velin

Annalisa Fermo “Luce lunare”

Inchiostro Sumi su carta Arches Velin

Riccarda Bianco “Le donne”

Inchiostro Sumi e polvere d’oro su carta Arches Velin

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Filippo Bellini, Crocefisso tra la Vergine e i santi Maddalena Francesco e Chiara Museo della CittĂ , Rimini

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Filippo Bellini Crocefisso tra la Vergine

Donazione Ferdinando Peretti e i santi Maddalena, Francesco e Chiara


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Per compiere un’impresa vasta e articolata come la Biennale Disegno è necessario avviare, oltre a un percorso a ostacoli, amministrativo e finanziario, anche contatti e relazioni con artisti, collezionisti, antiquari e galleristi; è necessario mettere in campo un programma di studi sugli argomenti storici o contemporanei che si intendono sottolineare nella tante mostre che in ogni edizione si allestiscono a Rimini. Nel corso di questi intensi anni di lavoro il comitato scientifico della Biennale ha avuto occasioni per conoscere aspetti e persone straordinarie, in questo specifico e singolare settore delle arti. Ferdinando Peretti è una delle figure che ha maggiormente collaborato con la Biennale, fornendo prestiti irripetibili che hanno spaziato dal Cinquecento toscano al Settecento veneto, da Francis Bacon a David Hockney, oltre a offrire al nostro pubblico una mostra intera dei disegni che Mario Sironi aveva conservato nel proprio atelier. Ferdinando Peretti è ampiamente riconosciuto come uno dei massimi conoscitori nel mondo antiquario. Raramente come in lui si trovano unite le competenze storiche a quelle tecniche e gioca, sotto questo aspetto, oltre all’esperienza pluridecennale, anche la sua formazione di pittore e di scultore. È proprio nell’occasione di una mostra che la FAR, la Galleria d’Arte Moderna e Contemporanea, gli ha dedicato recentemente, che Ferdinando Peretti ha donato al Museo della Città di Rimini un dipinto di fine Cinquecento riconducibile alla mano di Filippo Bellini, artista urbinate che fu collaboratore di Federico Barocci. Si tratta di un importante e raro modelletto per una pala d’altare, raffigurante un Crocefisso tra la Vergine e i santi Maddalena Francesco e Chiara, quasi certamente destinato ad una chiesa francescana e forse a un convento di cappuccine. Filippo Bellini ha operato tra il territorio marchigiano e quello romagnolo lasciando dipinti che attestano una sua personale ‘normalizzazione’ dell’ultimo manierismo. La sua personalità si è espressa maggiormente proprio nel campo del disegno, grazie al quale ha ricevuto l’attenzione di vari studiosi europei che hanno prodotto studi e pubblicazioni nell’arco del Novecento. Il dipinto donato al Museo riminese costituisce una via intermedia tra la pittura e il disegno, l’abbozzo, sostanzialmente monocromo, è condotto con pennellate aperte e sfrangiate che si riverberano in crepitanti evanescenze attorno al corpo allucinato del Cristo e nel volo degli angeli che ne raccolgono il sangue.

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M useo della Città EXHIBITIONS

Ospiti del Museo

Nell’occasione della terza edizione la Biennale Disegno allestisce, anche nelle sale museali, opere di artisti contemporanei, innestando relazioni che attraversano i secoli e creano marcature semantiche che dall’antico giungono a noi e viceversa. La contemporaneità del passato e le radici profonde di un certo presente si sfiorano formando canali comunicanti.

Giovanni Manfredini Corpo Sacro MAD MEG I Patriarca

a cura di Andrea Losavio

a cura di Rodolfo Gasparelli

Del Bianco e Lombardelli Ombra mai fu Tinin Mantegazza Disegneria

a cura della Fondazione Tito Balestra Longiano

Giancarlo De Carolis Xilografie e Carte Luca Piovaccari La stagione del Disincanto

a cura di Alberto Zanchetta

Umberto Giovannini Catania 1 Luciano Baldacci I segni e le cose Anna Girolomini Attoterzo

a cura di Annamaria Bernucci

ph. Gilberto Urbinati

Silvio Canini Umbratile


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Via Tonini, 1 RIMINI

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GIOVANNI MANFREDINI CORPO SACRO a cura di Andrea Losavio La partita doppia del Tempo Giovanni Manfredini da decenni lavora sulla sacralità del corpo e sulla fisicità dello spirito, dunque su ossimori che stanno sulle cuspidi della forma e della materia. A partire dall’impalpabile sedimento del nero fumo di candela e dalla propria carne trasformata in strumento segnico, in stigma, l’artista solca l’effimero e rende pulviscolare la durata del transito umano, proteggendo il lascito e la fragilità del miracolo, come un atto di devozione antropologica. Nella sala malatestiana più strettamente legata al tema della passione di Cristo, Giovanni innalza un personale Requiem, un Compianto dedicato allo scarnificato e raggrumato Crocefisso ligneo attribuito a Giovanni Teutonico e all’eroica e ieratica Pietà di Giovanni Bellini. Davanti a quel mirabile legno invernale, spiaggiatosi a Rimini, e a quell’epica esequie del grande maestro Veneziano un terzo Giovanni, postevangelico, pone il proprio silenzioso lavoro d’ombra entro cui un’impronta opalina agisce per negazione, per disegno sottratto. Una maniera nera dove a svolgere la funzione di brunitoio è il corpo, gomma di un Autoritratto in forma di Veronica. Massimo Pulini


Giovanni Manfredini “La Pietà”. Anno 2017 . Tecnica mista su tavola, cm. 200 x 150 Collezione privata Tonioli Luca - Bologna

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L’Arte è senza tempo e senza luogo. L’unico suo sistema di misura è l’emozione. Oppure, e ancora, può essere indicato dall’eterno. Arte antica, arte moderna, arte contemporanea. Non vivo nessuna partizione ma Arte, solo Arte. Quella che viene prima dei musei. La pittura indaga la vita percependone la morte. Indaga la Luce percependone il buio. La pittura tutta è atto di fede. E’ un inginocchiarsi di fronte alla bellezza del creato. Mi chiamo Giovanni come il Bellini, come il Teutonico. Mi inginocchio a mia volta di fronte alle loro opere e attendo il mio turno. Giovanni Manfredini 59


MAD MEG I PATRIARCA

Patriarca n° 17, L’imperialista, 2016, inchiostro di china su carta, cm 240x141,5

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a cura di Rodolfo Gasparelli testo di Roberta Bertozzi

Che scrittura e disegno abbiano tanti aspetti in comune è cosa risaputa. In primis, forse, il fatto di tratteggiare una possibilità rappresentativa del mondo nella quale l’oggetto si costituisce come immediatamente simultaneo all’esecuzione, effettuandosi nel suo corso. Se guardiamo all’opera di Mad Meg, ciò risulta ancor più palese: nelle sue carte, contrassegnate da un’iperbolica precisione del tratto, l’immagine è la risultante di una graduale chiarificazione dell’oggetto, di un processo discorsivo in cui scrittura e disegno tendono a compenetrarsi, con frasi e periodi impiegati come linee grafiche, sintagmi convertiti in simboli, quasi a voler suggerire una direzione ideogrammatica dell’insieme. La scrittura diviene in questa sede una modalità del disegno – spogliata da qualsiasi residuo contenutistico, essa si traduce in un codice visivo del tutto funzionale all’emersione dell’immagine. C’è da aggiungere che la stessa clarté cartesiana del tracciato è direttamente proporzionale alle condizioni della sua illeggibilità: distinto da ciò che nel regime verbale potrebbe significare, il testo tende a incedere con la stessa, sillabica, fluidità di un algoritmo, alla stregua di una pura e semplice combinazione segnica, e ciò nonostante continua a imporsi, nell’immaginario dello spettatore, come modello di riferimento. 60


Patriarca n°4, El Matador, 2013, inchiostro di china su carta, cm 236x74,5

Si tratta di un effetto che si verifica per mezzo di un preciso stratagemma stilistico, del quale tra l’altro l’artista riesce ad esplorare tutte le virtualità, anche le più periferiche. Se da una parte è lei stessa a dirci di non essere interessata al contenuto dello scritto di cui si serve per computare l’immagine, tuttavia l’atto stesso del trascriverlo finisce per riattivarne l’eco. Copiando riscrive, e riscrivendo commenta. La tecnica della citazione, da lei applicata con una metodicità che ricorda molto da vicino il fare dell’amanuense, giunge, in queste tavole, al suo apice espressivo. E d’altronde questo paragone con il medievale compilatore di manoscritti non è poi così peregrino: vuoi per la vocazione certosina della stesura, che porta agli estremi l’unità di parola e segno orientandola verso una scrittura completamente iconica; vuoi per la fedeltà anastatica del suo esercizio, che non cela le fonti da cui attinge, anzi. Siano esse tavole geografiche, artistiche, fotografiche o entomologiche ne esalta il prestito, dichiarandolo in modo esplicito. Nel suo caso l’intertestualità offerta dalla citazione si esprime insomma alla sua ennesima potenza, soprattutto in vista della felice congiunzione di canone (la forma di partenza, già codificata) e invenzione – quel détournement determinato dal prelievo di tale forma dal quadro storico, sociale e culturale di riferimento. Per una strana alchimia, la forma divelta dal suo contesto perde di colpo il suo carattere di testimonianza per essere investita di un potenziale di estraneazione che si traduce in forza aggressiva. L’esito sono opere di una sorprendente vis satirica, ottenuta proprio mediante la compressione di una lunga catena di giudizi entro la trama rapida dei segni. Anche a dimostrazione di come, diversamente dalla tecnica gemella del montaggio, che oscura l’origine dei frammenti di cui fa uso simulando una casualità del loro accostamento e quindi depotenziandone l’impatto, la citazione permetta una relazione sincronica di tutti i piani – linguistico, culturale, visivo – diretta a innescare la loro latente virulenza. Nella serie de I Patriarca, così come in altri lavori che prendono le mosse dal repertorio dei dipinti classici, Mad Meg riesce concretamente ad applicare il dispositivo della citazione nella sua duplice terminologia: da una parte quella canonica, in qualità di richiamo a un precedente pittorico o semantico, dall’altra quella giuridica, nel senso di “chiamata a giudizio”, di denuncia. L’indice sarà spesso puntato contro il buon senso comune o le spavalde personificazioni di un sistema di potere (l’imperialista, il conservatore, il cardinale, solo per citarne alcune) che incarnano il grado zero dell’umano, la sua inettitudine. Quando, per uno strano gioco di parole, forse possibile solo nella nostra lingua, essa si fa compiuta insettitudine – Kafka docet.


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In fondo la Pittura non è che un raffinato gioco di prestigio. La danza delle carte da ramino nelle mani di un illusionista è analoga

DEL BIANCO LOMBARDELLI

SUCCHI D’ERBA

OMBRA MAI FU

a quella del pennello di certi artisti. Anche la qualità del segno si esprime in un’apparente distrazione sia sulla tela che sul palcoscenico. Ma se forse tutta la Pittura può dirsi una finzione, c’è uno specifico e dichiarato tema dell’inganno che si dipana come un filo rosso lungo l’intera storia dell’arte. Illusionismi prospettici o falsificazioni temporali, gare mimetiche con la natura

e

figure

nascoste

negli

anfratti di un paesaggio, sono stilemi che spesso ricorrono nei dipinti di ogni secolo. Anche queste opere di Anna Maria Del Bianco e Stefano Lombardelli, questi succhi d’erba che giocano sul rovescio del tempo e dei generi, grazie a un magistrale mimetismo di tecniche riescono a compiere un gioco di prestigio e insieme a trasmettere un’ironia di prima statura. In

gergo

tecnico

si

chiamano

succhi d’erba e, storicamente, lo stesso loro procedimento costituisce un alto esercizio di finzione. 62

Tapestry (Satiri) 2017, tempera su tela di juta, cm. 270 x 214


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Tapestry (olidoro) 2018, tempera su tela di juta, cm. 273 x 273

Parliamo di pitture realizzate su una particolare tela grezza, che imitavano, tra Sette e Ottocento, gli stilemi, l’aspetto e la funzione degli arazzi parietali. Realizzati con rapidi e determinati guazzi di pennello, con colori liquidi che smorzano di tono al primo assorbimento, in quella tela a larga trama, sembrano ricami antichi se solo si sta alla distanza di un passo e nacquero per offrire un risultato simile ai più nobili arazzi, abbattendone il costo e il tempo di esecuzione. Le grandi tele di Anna Maria e di Stefano giocano sapientemente con la grammatica decorativa di quei precedenti d’epoca, ma allo stesso tempo congegnano un ulteriore livello illusorio, elevando alla potenza l’inganno contenuto al loro interno. Nelle pittoresche scene di boiserie, che fanno il verso all’Arcadia classicità, se non direttamente ai giardini dipinti ad encausto delle case pompeiane, sono in bella mostra alcune figure retoriche del mondo contemporaneo. Un labirintico scivolo in stile Mirabilandia si ritrova contornato di verzure, tra pagode cinesi e simboli mitologici. La gigantesca mano dalle dita mozzate che Maurizio Cattelan ha posto a sberleffo, davanti alla Borsa di Milano, si ritrova ora tra capre e pastori, entro le rovine di una via Appia da salotto. Sono alcuni esempi del raffinato cortocircuito temporale e formale operato da questo progetto artistico che, attraverso un carotaggio di generi e stili, di alfabeti simbolici e scarti di destinazione, riesce a cucire e a tenere legati mondi diversissimi tra loro, trovando anche la sintesi e la leggerezza di un aforisma filosofico. Massimo Pulini 63


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Tinin

MANTEGAZZA

Disegneria

a cura della Fondazione Tito Balestra Longiano

Agostino Mantegazza nacque ricchissimo, ha trascorso l’infanzia trastullandosi con gemme ed ori. Poi il conflitto e con questi la grande calamità: «la borsa nera». La

famiglia

fu

costretta

ad

aprire

i

forzieri

e

li

vuotò.

A

sedici

anni

era povero in canna e se voleva trastullarsi doveva farlo con dei volgari sassi. Cominciò

ad

arrabbiarsi.

Trovò

del

lavoro

e

si

arrabbiò

ancora

di

più.

Verso la fine dell’anno era arrabbiatissimo ed anche affamato. Girando tra le pattumiere in cerca di cibo, tra un gatto e una latta trovò un pennino che notoriamente non è commestibile. Lo usò come si usa, e così cominciò a disegnare. Faceva disegni arrabbiati e mal disegnati, ma era cocciuto, e continuava. Ora disegna da almeno una dozzina di anni e pubblica quando lo lasciano pubblicare. A tempo perso, come hobby fa il redattore di giornali e la sera alterna all’attività di burattinaio quella di receptionist in sale da canto. Ogni tanto dorme e la mattina dopo perde quell’aspetto attonito che lo contraddistingue e lo fa passare per ebete.

T

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In effetti, nei rari momenti di lucidità si riesce ad intuire che ebete non è, anzi. Ma è una sensazione riservata solo al portalettere, al lattaio e pochi altri mattinieri che possono saltuariamente avere contatti con lui ad ore civili. Ora, grazie ai disegni che riesce a vendere anche a trecento lire la dozzina, è nuovamente ricchissimo e trascorre le sue giornate festive immerso in vasche da bagno zeppe di caviale e champagne dedito alla lettura di classici e Bolero film. Agostino lo (da: Tinin Mantegazza, Il diario di un insetto, Edizioni Le Clochard, Firenze 1964) Tinin Mantegazza (Varazze, 20 febbraio 19.31) ha cominciato prestissimo a disegnare sotto l’influenza del gruppo del Corriere dei Piccoli. Illustratore, giornalista, pittore, scenografo, regista, organizzatore teatrale, particolarmente impegnato nel teatro per ragazzi.

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GIANCARLOD E C A R O L I S XILOGRAFIE E CARTE

DECA “il Folletto dell’esistenza” “Il Folletto dei Boschi” è una linoleografia acquarellata del professor Giancarlo De Carolis, che fa bella mostra di sé in uno dei tanti libretti di aforismi che il “Deca”, così lo chiamano gli amici ed i fan di tutto il mondo dal secolo scorso, pubblica ciclicamente da decenni con l’editore Raffaelli. Ebbene sono il fortunato possessore dell’originale: uno splendido disegno a pennarello nero su foglia d’oro. Forse è questo il personaggio, l’autoritratto (ne descriverò altri) che calza di più per descrivere un uomo che da quasi cent’anni attraversa la vita saltellando in qua ed in là come un eterno bambino, come ama definirlo uno dei suoi amici di sempre: Giuliano Bonizzato, a tutti noto come Gibo. Deca è da sempre stato immerso nell’arte, lo zio Adolfo pittore ed incisore di fama, il padre, la madre che ripone i pennelli nel cassetto in nome dei nascituri figli, della famiglia. Sarà la madre ad indirizzare gli studi del figlio verso la medicina al motto “con l’arte non si mangia”. Giancarlo diventa così uno stimato chirurgo ortopedico ma non riesce a reprimere la sua vena artistica che si esprime attraverso una produzione costante di disegni, dipinti, ed in particolare di linoleografie. Questa tecnica che impone un tratto essenziale conciso, tagliente, è la trasposizione grafica degli aforismi, che il Deca scrive da sempre.

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Sposa Giuliana Mazzarocchi, pittrice talentuosa, allieva di Virgilio Guidi e di Giorgio Morandi, per dire! Con lei continua a divorare arte. Gli anni passano, ad un certo punto il dolore causato da quelle sinistre fatalità che rendono le nostre esistenze in un attimo sceneggiatura, tragedia, entra prepotentemente nella sua vita: la morte del figlio nel naufragio del Parsifal. La lenta dipartita della moglie unisce al dolore crescente la solitudine. In questo contesto si rafforza la sua “venerazione” per un artista bipolare: Ernst Ludwig Kirchner, l’ossessiva ricerca delle verità sul mistero della sua morte, quasi a voler trovare risposte al proprio futuro. E’ del 2010 una sua bellissima linoleografia che accompagna un altro libretto di aforismi dedicato “Al ricordo indelebile di mio figlio Mattia che mi ha insegnato a soffrire con dignità”: “l’incisore dalla testa torta (Selbstbildnis)”, un autoritratto ove spiccano gli occhi deformati dalle lenti degli occhiali e la mano ormai scheletrica. Deca finalmente si strappa dalla bella giacca (è sempre stato assai elegante ed adeguato nell’abbigliamento) l’etichetta di hobbista dell’arte. A novant’anni rinasce come artista a tempo pieno, talentuoso, irriverente, capace di mostrarci una via da percorrere per assaporare la vita, fatta di ironia e della curiosità dell’eterno bambino.“L’autore alla pianola meccanica - autocaricatura in linoleografia” copertina di un ennesimo suo librino di aforismi, dedicato all’altro figlio: “A Giovanni… che mi ha insegnato a valutare l’ironia”. In chiusura ecco il suo Aforisma 365: -come la “Madonna dei sette dolori” credo di aver sperimentato molti di essi. Non il “tedio”. Grazie-. Fabio Mariani Un ringraziamento a Benito Cervetti 67


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LA STAGIONE DEL DISINCANTO

LUCA PIOVACARI

...Gli edifici con filo e chiodi di Luca Piovaccari sono gli scheletri che infestano le avanguardie e il postmoderno, eredità di cui l’artista si serve a guisa di recupero (di tipo scenografico, che più verosimilmente potrebbe essere tacciato di osceno-grafia), un reçu teso ad evidenziare un’ammissione di colpa verso l’ambiente e il discutibile riconoscimento del razionalismo come stile di vita. Fanno loro da corollario una vegetazione “infestante” – significativo l’aggettivo scelto dall’artista – e alcune fotografie su lucido, visione frammentaria ma coincidente, dai toni slavati, che filtra e allo stesso tempo rifrange la luce per destabilizzare la percezione.

Luca

Piovaccari

La stagione del disincanto, 2017 (particolare) intervento in ambiente, chiodi, filo di lana su parete e arbusti.

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del disincanto”

“La stagione

Da architetture: Mart Stam, Villa Palicka, 2007 intervento in ambiente, fotografie, chiodi, filo di lana su parete e arbusti

Denunciando il degrado ambientale cui il paesaggio è sottoposto, l’acetato di Piovaccari diventa radiografia di un male, ne individua la causa ma non la cura. Inutile cercare di medicare dopo aver inflitto la ferita? Vero è che rispetto alle precedenti foto in b/n il fluxus sanguinis del colore ha ripreso a irrorare le immagini, restando pur tuttavia esangui Evanescenze che vorrebbero essere rinvenimento [alla vita] ma che al contrario si riducono a un deperimento, nella fattispecie di cascami della civiltà.

Alberto Zanchetta da PLESSO TERRESTRE “face du monde” presentazione in catalogo della mostra Ingresso ai luoghi. Guiglia, 2007

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Silvio Canini Testo di Sabrina Foschini

umbratile

La bellezza non è immutabile, cambia insieme alla storia, si modifica e si espande in territori che un tempo le erano ostili. Il suo stesso concetto ha preso forme aliene che lo hanno spostato sempre più, verso l’esatto contrario e questa migrazione del bello nello sfacelo, la miseria, l’errore, la rottura, i disastri terribili, ma creativi del tempo, lo dobbiamo in gran parte alla fotografia. La fotografia per prima ha denudato l’occhio dagli abbellimenti della mano, lo ha reso impietoso, si è innamorata dei nasi mozzati delle statue, del paesaggio devastato dall’industria, dei corpi offerti alla luce, senza mistero.


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Le immagini fotografiche di Silvio Canini per questo

mostro” che distingue le sue ultime opere, senza

suo ulteriore lavoro sul mare, da grande innamo-

perdere una sottintesa inquietudine, risulta così

rato che continua a bagnarsi nelle acque familiari

estremamente seducente e l’affinità col disegno è

dell’adriatico, sono sognanti, sospese e carezze-

rimarcata da alcune inquadrature dove la sabbia

voli, nella morbidezza di un bianco e nero senza

chiara è il foglio e le ombre scure, sono i segni della

contrasti taglienti. Eppure questa serie di fotogra-

grafite, o della china di un gigante che intinge il pen-

fie, solcate dalle ombre, da cui prendono nome,

nello nel mare. L’arenile è solcato da segni decisi,

nascono da una ferita della natura, sono generate

a volte leggeri e acquosi, da geometrie ripetute o

da un abuso, da un danno... Le ombre che dise-

graffi irregolari. Vi sono bande di nero che cancel-

gnano pennellate scure sulla sabbia, che delineano

lano a larghi tratti il nitore intonso della spiaggia,

la spiaggia con larghe strisce intermittenti, come i

ricavano sottili spicchi di sole, quadrati bianchi in cui

tasti neri di un pianoforte, sono quelle dei grandi

la luce sopravvive, piccoli fazzoletti di resistenza.

edifici, gli alberghi spuntati a due passi dal mare,

Si dice che il disegno sia nato dall’ombra, da una

con le loro sagome incombenti che rubano il sole

sagoma ricalcata sul muro su cui la luce del fuoco

e cancellano il paesaggio. La scelta di Canini per

l’aveva proiettata, ma in questo caso l’ombra dise-

“Umbratile”, dopo essersi concentrato negli scorsi

gna qualcosa di diverso, la poesia di uno sfregio, la

anni sugli abitanti del mare, vero bacino domestico

bellezza che nasce da una negazione e va difesa

di un’ispirazione che sembra essere illimitata, ha

e perseguita ad ogni costo, persino nel luogo in cui

virato nell’astrazione e nell’assenza. L’ombra “del

era stata negata. 71


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Umberto Giovannini Catania 1 Questo progetto nasce dal ritrovamento di una serie di registrazioni audio di Lina, una donna nata nel 1915 in una zona rurale della Romagna. Inviata a servizio a undici anni presso una famiglia nobile romano-catanese, ha vissuto con loro fino al suo diciassettesimo compleanno seguendoli nelle residenze

Umberto Giovannini “Catania-1� dalla seria LINA, xilografia a cinque matrici in legno grezzo, stampate a baren su washi con inchiostri tipografici, 97x250 cm

di Roma, Monte Porzio, Catania, Randazzo, Milano.

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Cosa hanno visto gli occhi di una bambina, cresciuta in un mondo rurale all’inizio del Novecento e trasportata in un ambiente radicalmente diverso?

Lina

Quale significato hanno i concetti di tempo, spazio e comunitĂ quando vengono affrontati con differenti sensibilitĂ culturali?

Attraverso una serie di immagini, che prendono forma dal media xilografico, sto indagando la percezione del contemporaneo riletto attraverso la lente annebbiata di una memoria che mi appartiene solo per una conoscenza indiretta.

Vogliono essere indagini di un mondo narrato.

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Luciano

I segni e le cose

Testo di Annamaria Bernucci

Baldacci

Dal suo singolare osservatorio, nell’assorbente silenzio di un borgo dalla luce antica, quasi un avamposto che preserva i particolarismi della provincia (come quella montefeltrana) Luciano Baldacci trae nutrimento per la sua esperienza artistica. Nel suo studio, gremito degli strumenti del mestiere che è quello antico dell’incisore, qua e là si identificano gli oggetti (foglie, sassi, bacche) che scivolano nelle sue rappresentazioni occupando preziosi primi piani. Baldacci nasce nel 1957 a Macerata Feltria, si è formato alla Scuola del Libro di Urbino che sin dalla sua nascita è stata punto di riferimento nazionale delle tecniche incisorie. L’abitudine minuziosa all’analisi, all’avventura nel cosmo della natura, trae ragione da quella scuola che è stata a lungo proiezione del magistero di Francesco Carnevali e di Leonardo Castellani Inconsapevolmente ‘eremitico’ quel tanto che basta per dirigere le sue esplorazioni sulla poesia del reale e su un naturalismo di stampo ‘romantico’, Baldacci si schernisce del suo riserbo, come un moderno Iperiore alla ricerca della sua strada. Le ragioni del suo agire artistico le trae tutte dall’atto di disegnare. I paesaggi che lo circondano e che disegna si inseguono a perdita d’occhio in corrugazioni e distese infiammate dal sole, che appariranno spogliate, ciclicamente, dai cambi e rigori delle stagioni. Si sveleranno come vedute d’insieme, dove un casolare diroccato o un elemento architettonico guadagneranno una fugace comprimarietà, tanto forte quanto è effimera l’esistenza delle cose. La sua è una predilezione equanime, va tanto alle nature morte quanto al paesaggio, trattati con la stessa modalità, cioè come un’indagine in grado di addentrarsi nei recessi più singolari e complessi del dato naturale. Un incontro lirico, che i segni sottilissimi della matita o della punta d’acciaio tramutano sul supporto, carta o lastra, in una trama di insuperabile tecnica esecutiva. Il livello di tecnica raffredda l’immagine mentre l’invenzione scivola in un gusto rarefatto e vitreo capace di travalicare la soglia del figurativo. Il dosaggio del chiaroscuro crea ombre misuratissime, lo spazio diventa sospeso, mentale. Accade che gli oggetti che emergono appaiano in una luce stupefatta, ma concreta. Sono il frutto di una contemplazione prolungata, piccole cose, mai scelte per caso, ma scandite da un ordine di preferenza e di curiosità, un fiore, un animaletto dei campi, una pietra. Quella lenticolare acutezza dell’osservazione si mostra negli ‘oggetti di ferma’ che prendono consistenza davanti agli occhi. Le cose non si avvertono per via di aggettivazioni ma perché si svelano nella loro naturalezza. Si ritrovano in questi disegni i principi che hanno originato un genere - quello della natura morta - lo sguardo che si fa scientifico e che indugia sulla corporeità delle cose; ma anche la latenza o l’evidenza di un riferimento all’universo simbolico, alla consapevolezza delle fortune umane. L’aderenza al particolare si mostra un po’ come accadeva nel sentimento barocco. Un approccio che evoca la maniera di Jacopo Ligozzi o della miniaturista Giovanna Garzoni, raffinati descrittori del reale, o ancor più di Roelant Savery o Joris Hoefnaghel. Davanti al paesaggio Luciano Baldacci si pone in ascolto, lo assorbe, lo decanta; ce lo restituisce trasformando i dati oggettivi in una sospensione spaziale e temporale, dove le forme si rivelano in una logica di composizione in cui nulla è dato dall’accidentalità; e i luoghi segreti, dalla bellezza discreta si aprono verso un tempo infinito, pur possedendo il dono della quotidianità.

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ANNA

GIROLOMINI “ATTOTERZO”

Uno dei centri del lavoro di Anna Girolomini è quello della significazione degli “elementi” da lei costruiti. Se dal punto di vista tecnico questi appaiono come lunghi manufatti di materia resinosa traslucida, un po’ opaca, ma anche un po’ diafana, dal punto di vista del loro significato essi appartengono all’universo del “simbolo”. Questi oggetti possono essere intesi come qualcosa che si carica non solo di un aspetto rappresentativo,

di un connotato convenzionale, ma anche di un aspetto non definito con precisione, non compiutamente spiegato, un aspetto inconscio. E’ frequente, del resto, imbattersi in elementi a valenza simbolica inconscia nel campo delle immagini, nelle rappresentazioni dell’arte, dove il simbolico gioca una parte costituente. “Attoterzo” è la conclusione di un ciclo di lavoro, di una ricerca su un rapporto al centro degli interessi, oggi: il rapporto uomo/natura. 76


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Gli “elementi” messi in campo in questo “Attoterzo”, già visti all’opera in precedenza, si riferiscono a forme vegetali esistenti solo in quanto sono come un rimando inconscio della memoria. Nel lavoro precedente “nell’aria col vento”, installazione permanente nel Parco del centro d’arte “La Loggia” in Toscana, l’installazione ha lo stesso comportamento di un “canneto naturale”, in dialogo con il variare delle stagioni. Nel secondo atto, “Waiting for”, l’ installazione nell’acqua a Nizza, si comportava come se gli elementi fossero oggetti vegetali alla deriva lungo quel corso d’acqua. In “Attoterzo”, oggi gli elementi non dialogano più con l’acqua o l’avvicendarsi delle stagioni. Sospesi sui loro sottili supporti di metallo saranno piuttosto simili a…un reperto da museo. Compiuto un loro originale percorso nel futuro, da lì possiamo pensare che questi “elementi” siano di ritorno a noi, con la memoria

di oggi; elementi simbolici con al loro interno frammenti di natura, allusioni bloccate di vita, qualche pezzo di tecnologia, ciò che li rende poi legittimi frequentatori di questo museo . Inoltre Anna Girolomini illumina questi suoi “simboli” con luce intermittente, con un effetto certamente spettacolare e nello stesso tempo liricizzante, quasi un sogno, poi in successione fa entrare nella scena il suono di un soffio di vento agitato: aria che fruscia tra le piante, a ricordare e ricordarci la voce pulita della natura. In nome della quale oggi l’uomo può pensare di aspirare di rivedere un sublime paesistico, come a ripetere il mito del giardino primordiale, oppure di arrendersi all’orribile intasamento inquinatorio degli spazi, dei suoli, delle opere indiscriminate. Con la natura che inizia a mostrare i sintomi di una certa ribellione. Miro Bini 77


itt à C in i D ise gn

L’Anello Ritrovato piazzetta Zavagli di Mauro Staccioli Mauro Staccioli, uno dei più importanti e geniali artisti italiani del secondo Novecento è scomparso nella notte tra la fine del 2017 e l’inizio del 2018. Staccioli è stato raffinato e rigoroso interprete di un minimalismo che da geometrico sapeva divenire sentimentale, emblematico. Le sue sculture, mosse da una classica essenzialità e da un’acuta misura simbolica, trovano armonia sia a confronto di una natura aperta che entro contesti storici e cittadini, ne è dimostrazione l’Anello della riminese piazzetta Zavagli che, grazie al generoso contributo civico dei fratelli Merli, collezionisti dell’artista, è divenuta simbolo della trasformazione cittadina. L’opera dell’artista trova a Rimini una particolare relazione con un episodio presente nella prima edizione di Amarcord. Si trattava di un fatto realmente accaduto proprio in quella piazzetta: un servitore dei conti Zavagli venne fatto immergere nel ‘pozzo nero’ per recuperare un anello caduto alla giovane contessina. Oggi ‘l’anello ritrovato’ di Mauro Staccioli, forgiato in una calibrata e possente struttura in acciaio corten, può venir ruotato con la forza di un dito e, in questi anni, le sue infinite variabili di visione hanno fatto divenire la piazzetta Zavagli uno dei luoghi più apprezzati della città. La Biennale Disegno rende omaggio così a due artisti che dal segno grafico hanno saputo trarre sintesi e fioritura, simbolo e sogno.


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CANTIERE

DISEGNO ALA NUOVA A CURA DI ANDREA LOSAVIO ANNAMARIA BERNUCCI MASSIMO PULINI

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Museo della Città , Ala Nuova via Tonini, 1 Rimini


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VERONICA AZZINARI /

CHIARA LECCA /

SANDRA SANTOLINI /

FABIO CASTELLANI /

ELISA LEONINI /

ALESSANDRO SICIOLDR /

AMANDA CHIARUCCI /

ALBERTO MINGOTTI /

BETTY ZANELLI /

SEBASTIANO GUERRERA /

ENRICO MINGUZZI /

MARTINA ZENA /

GIAMPIERO GUERRI /

LUCIA NANNI /

LUCA LAVATORI /

STEFANO RONCI /

3# PIANO RICCARDO ANGELINI /

JUAN CARLOS CECI /

EMILIO NANNI

PRISCILLA BECCARI /

LEONARDO CEMAK /

BARBARA NICOLI

ELISA BERTAGLIA /

GIULIA DALL’OLIO

GILDA MARCONI SANCISI /

ALVISE BITTENTE /

BARBARA GIORGIS /

TONI PECORARO /

LEONARDO BLANCO /

INCUBO ALLA BALENA /

MARCO SMACCHIA /

ROBERTO CATANI /

ENRICO LOMBARDI /

IURII TIMOSHENKO /

2501 /

GABRIELLA GIANDELLI /

DAVIDE REVIATI /

SILVIA ARGIOLAS /

JAMES KALINDA /

SCARFUL /

GIOVANNA CAIMMI /

LE NOSTRE BANDIERE

ALBERTO ZAMBONI /

LUCA CAIMMI /

OCTAVIA MONACO

LUCA ZAMOC /

DEM /

MARINO NERI /

GIOVANNI FRANGI /

PAPER RESISTANCE /

2# PIANO

1# PIANO

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CANTIERE DISEGNO 2018 In qualche misura tutti i disegni abitano quel passaggio che sta tra lo stato aereo del pensiero e quello concreto dell’opera, tra la vaghezza delle idee e la solidità delle azioni, tra il regno dell’imponderabile e quello della percezione. La metamorfosi di un segno che sul foglio inizia ad assumere una forma, è sempre un’epifania di senso, al pari di un movimento che si tramuta in viaggio. Il disegno racconta e nasconde, lascia intuire e cancella, è metafora della conoscenza e dell’ignoto. Tra tutti gli strumenti dispiegati dall’orchestra di un artista la matita e la carta sono paragonabili a un pianoforte, per essere luogo della composizione e per il livello di estensione che consentono, dall’evanescenza appuntita e argentea alla più nera e sgranata marcatura; dallo sfumato più espanso al nitore più concentrato. Soffia il caldo e il freddo dalla medesima bocca, la frase di Erasmo da Rotterdam, desunta da un’espressione di Boccaccio, sembra adattabile all’atto stesso di disegnare. Il disegno è una bocca che canta, parla, mangia, fischia, alita, soffia e bacia. Attraverso l’alfabeto e la capacità evocativa dei segni, con la traccia di una materia senza peso, si può comporre un volto umano, eppure basta aggiungere o sottrarre uno di quei tratti vergati sul foglio che il reale può svanire d’incanto e al suo posto si incontra il mostruoso o il mistero, basta un segno e dall’aulico si passa al grottesco, dalla forma all’informe, dal chiuso all’aperto, dal visibile all’invisibile. Per queste ragioni il disegno è da sempre il terreno della sperimentazione, il laboratorio delle idee, la palestra dei gesti e degli stili, il cantiere del nuovo.

All drawings, to some degree, live in that passage between the fleeting state of thought and the tangibility of the finished artwork, between the vagueness of ideas and the solidity of actions, between the realm of the imponderable and perception. The metamorphosis of an etching that begins to take shape upon paper is always an epiphany of the senses, the same as a movement that becomes a voyage. Drawings hide and describe, let you intuit and cancel, it’s a metaphor for knowledge and the unknown. Amongst all the instruments of an artist’s orchestra, paper and pencil are comparable to a piano for composition, and the levels of extension it allows, from the sharpest silvery evanescence to the darkest, grainy markings; from the most expansive shading to the most concentrated clarity. From the same mouth blows both hot and cold, a citation from Erasmus of Rotterdam, paraphrased from one of Boccaccio’s expressions, which is perfectly apt for the act of drawing itself. Drawing is a mouth which sings, talks, eats, whistles, breathes, blows, and kisses. Through the evocative capacity of the alphabet of sketching, traced by a weightless material, one can compose a human face; yet one only need add or subtract one of those strokes cast upon the paper for reality vanish by enchantment, replaced by the monstrous or the mysterious. With one line we go from noble to grotesque, from shape to shapeless, from closed to open, from visible to invisible. For these reasons, drawing has always been the land of experimentation, the laboratory of ideas, the training ground for gestures and styles, the construction site of the new.

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3 : 36 : 50 FLOORS

ROOMS

1

ARTISTS

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PIANO DISEGNO FLOOR

CANTIERE

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2501

nomadicexperiment.com

2501 “Moto circolare, scansione lineare”, 2017 monotipo su carta Hahnemuhle, cm 116x116 84


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SILVIA ARGIOLAS

Dio ha un sesso? Jacques Lacan

SILVIA ARGIOLAS “Love Poems”, 2018 tecnica mista e collage su carta, cm 35x35 85


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GIOVANNA CAIMMI

Frusciava, frusciava la carta ma non rispondeva opponendo resistenza alla mano, ma già incamerava i primi insetti, le prime sostanze dal bordo verso il centro. “Non sapevo nulla della morte prima di trovarmi all’ingresso”, diceva il ragazzo. “Nevěděla jsem nic o smrti, než jsem se ocitla u vchodu”, ripeteva nell’altra lingua, acquistando vigore dai rettili che gli ricoprivano la pelle. Dopo tutta una vita passata a schivare il male ci si accorge che quello da solo non esiste, ma si è annesso al bene. L’intercapedine tra i due non risulta visibile. E si mise ad assaggiare il fiore con la lingua, un sapore piccante che non aveva mai immaginato. “Devi essere buono come il cioccolato”, gli diceva la madre boema, mentre lui spingeva dentro la mano. Dedicato a mio padre.

GIOVANNA CAIMMI “Daimon” (particolare), 2017 Matita e carboncino su stratificazioni di carta velina, 218x150 cm 86


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LUCA CAIMMI

“Odio i viaggi e gli esploratori” Incipit di Tristi Tropici di Claude Lévi-Strauss

LUCA CAIMMI “E’ scritto in fronte” (Particolare), 2017 china e acrilico su carta cm 71x36 87


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DEM

come un moderno alchimista, crea personaggi bizzarri, creature surreali, abitanti di uno strato impercettibile della realtĂ umana.

Multiforme ed ironico, le sue opere che spaziano dal wall-painting, all’illustrazione, alla pittura su tela, si arricchiscono di un linguaggio simbolico che invita ad elaborare un proprio codice d’accesso per questo mondo enigmatico ed arcano. demdemonio.org

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GIOVANNI FRANGI

La pittura scandaglia la superficie In questo ossimoro si catalizzano due delle principali componenti di un’arte millenaria, quelle che pertengono all’emerso e al sommerso della visione. Come dire che in un dipinto l’ultima pennellata ha ragione su tutte le altre, ma che senza le altre non avrebbe ragione d’essere. (…) [dal catalogo di Selvatico/Foresta]

GIOVANNI FRANGI “Alles ist Blatt” (Particolare), 2018 pastelli e pigmenti a olio su velluti, cm. 130x180 89


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GABRIELLA GIANDELLI

La bellezza mi si era seduta sulle ginocchia, e stava per abbracciarmi, quando io l’ho schiaffeggiata e l’ho mandata via. Arthur Rimbaud

GABRIELLA GIANDELLI “tutto l’anno” (particolare), 2015 pastelli colorati su carta, cm 80x60 90


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JAMES KALINDA

Storie di tsunami che inondano pianure. Tabula rasa. Terra che torna mare, marne subacquee. Spuntano picchi neri. Tagliano cieli finalmente blu. Sembra il collasso all’occhio distratto ma sono spigoli vivi. Pieghe dure dove si infilano evacuazioni organiche. Sono false partenze, l’uomo non corre. instagram.com/jameskalinda

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LE NOSTRE BANDIERE

36 autori 36 bandiere. Stampate in serigrafia prodotte da Squadro Stamperia Galleria d’arte di Bologna nel mese di maggio 2017 Artisti: MANUELE FIOR / DEM / GABRIELLA GIANDELLI / BLEXBOLEX / DANJIEL ZEZELJ / THOMAS OTT / JOSÈ MUNOZ / FRANCESCA GHERMANDI / JOOST SWARTE / CHRIS WARE / RICHARD MCGUIRE /

ERICAILCANE / NICOLA TOFFOLINI / LORENZO MATTOTTI / BASTARDILLA / HENNING WAGENBRETH / DAVID B / GOSIA MACHON / JAVIER MARISCAL / DANIEL CLOWES / GUIDO VOLPI / ANKE FEUCHTENBERGER / BRECHT VANDENBROUCKE / GARY PANTER / MICHELANGELO SETOLA / PAPER RESISTANCE / DAVIDE REVIATI /ANDREA BRUNO / STEFANO RICCI / MARIANA CHIESA / GIANLUIGI TOCCAFONDO / CHARLES BURNS / ART SPIEGELMAN / BRECHT EVENS / GIPI

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OCTAVIA MONACO

“Silenzi. Ascolti. Balzi. Inciampi: un incespicare... L’allungarsi dell’orecchio-vaso-cuore. Disegnare, dipingere, comunque creare, è la pratica quotidiana di un esporsi al fluire germinante di figure, forme e colori che al passo di una silente danza, io Octavia orchestro.”

OCTAVIA MONACO “Danza Mistica”, 2013 tecnica mista, con acrilico, matita litografica e oil bar, cm 50x70. 93


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MARINO NERI

“Ho cercato i piaceri dell’imprevisto e dell’incidente: piccoli incidenti che riempiono la tua giornata e che fanno sì che poi cerchi equilibri plastici all’interno della vignetta.”

José Muñoz

tratto da

Coconino Press/

“Cosmo mette a fuoco i limiti umani di fronte alla magnificenza della natura e alla grandezza del firmamento. Un Walt Whitman nascosto nel cappuccio della felpa: il suo è il passo di chi non censura né respinge, ma innaffia le radici di tutto ciò che cresce.” Maurizio Amendola

MARINO NERI “Cosmo” (copertina), 2016 china su carta, cm. 29,7x42 94


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PAPER RESISTANCE

Paper Resistance, si muove tra illustrazione, grafica ed editoria. Inizia la sua produzione nel 2001. Il suo stile è dominato da un segno pulito e netto, attraverso il quale è in grado di delineare, con incisive e stranianti associazioni basate sul paradosso, le contraddizioni della contemporaneità attraverso una dissimulazione dei significati. Fa parte del collettivo di illustratori ZOOO print & press, dedito alla produzione e stampa di pubblicazioni indipendenti. paper-resistance.org

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DAVIDE REVIATI

p.s.

«C’è qualcosa di più abbietto del criminale, ed è chi lo spinge al crimine Guardatemi. Vi giuro che non ero nato per ammazzare.» A. Camus, I giusti

per il quale non era nato.

DAVIDE REVIATI china e acrilico su carta cm. 291x29,7 96


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SCARFUL

Scarful (pseudonimo di Alessandro Maida) è nato nel 1968 ed è un artista, designer e tatuatore romano. Ha creato il collettivo “Hateful Graphic Vandals collective” (1995) insieme ad altri artisti della scena romana. È un membro del gruppo WHY STYLE. Ha esposto in molte gallerie e curato l’artwork di numerose band. instagram.com/scarful

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ALBERTO ZAMBONI

Daunbailò Fango nero, bacche con spine isteriche, sterco di lontra e grugniti come didgeridoo tra i rami come labirinti, volatili di pece greca sussurrano la canzone, sempre quella: Iuss Crim Forai Scriim all’infinito, a lui piace così, lui si gongola a caccia di vermi frolli e boletus luridus tra il fogliame fradicio. Oreste Trebbi

ALBERTO ZAMBONI “Cinghiale notturno”, 2018 particolare di disegno a carbone cm.150x220 98


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LUCA ZAMOC

“Bisogna fare presto, tutto sta scomparendo...”

LUCA ZAMOC “Ca Zemian. La chiesa della nebbia”, 2017 pittura murale nella ex cappella della storica mensa modenese (particolare) Crediti fotografici Rolando Paolo Guerzoni

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3 : 36 : 50 FLOORS

ROOMS

2

ARTISTS

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PIANO DISEGNO FLOOR

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RICCARDO ANGELINI

“… Proprio come se l’illogicità fosse un conforto, come se al pensiero fosse dato ridere, come se l’errore fosse la via da seguire, l’amore il mondo accettabile e il caso una forma di eternità”. Hans Bellmer Piccola anatomia dell’inconscio fisico

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PRISCILLA BECCARI

Nei disegni di Priscilla, i corpi, spesso femminili, si disarticolano, si perdono, si feriscono, si piegano. La figura materna diventa talvolta grottesca o minacciosa, l’amore e la sessualità si svelano in termini di docilità e / o di un desiderio mostruosamente cannibale. Colmo di ambiguità, questo lavoro resiste bene al peso dei suoi riferimenti, talvolta li respinge a vantaggio dell’umorismo nero.

PRISCILLA BECCARI “Femme-autruche”, “Donna-struzzo”, 2013 inchiostro di china su carta cm. 90x95 102


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ELISA BERTAGLIA

“E poiché in tutto il corpo avvertiamo esservi il senso di vita, e che tutto quanto è animato,

se all’improvviso con rapido colpo a metà lo tagliasse

una qualche forza, così da dividerne nettamente le due parti,

senza dubbio anche la forza dell’anima, fratta

e spezzata insieme al corpo, verrà scissa.” Divisibilità dell’anima. Estratto dal “De Rerum Natura”, Tito Lucrezio Caro.

Artist Statement.

Attraverso cicli di dipinti su carta, grandi disegni a parete, piccole installazioni e progetti site specific, Elisa Bertaglia indaga alcuni temi centrali nella propria ricerca artistica, tra cui il mondo dell’inconscio, la natura, il doppio, la memoria. Utilizzando un linguaggio onirico e simbolico, l’artista rappresenta un ricco vocabolario di piante, animali e bambini, immersi in paesaggi immaginari ma possibili.

ELISA BERTAGLIA “Out of the Blue.”, 2016 olio, carboncino, grafite su carta cm. 30x23 courtesy Officine dell’Immagine

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ALVISE BITTENTE

“Il segno è un bisturi, che rasoia la lingua per sputarne il carattere, fa il verso al disdire.” (Miss D Fairweather della ditta Swann-Morton, agosto 1932, Sheffield)

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ALVISE BITTENTE “Eraserheart, a cul di penna si fan soglie smarrite” (particolare), 2018 disegni realizzati a penna china nera Rotring rapidograph 0,18, collage su fogli colorati, e trucioli di gomma da cancellare, cm. 29,7x21


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LEONARDO BLANCO

“L’invisibile è qui. L’essenza è interna. Dentro, dietro il visibile, in trasparenza. È assenza quasi presente. È piega del visibile, lato non visto, struttura sotto la pelle. L’ombra bianca del visibile.”

LEONARDO BLANCO “HL 13.” (particolare) tecnica mista su alluminio, cm. 50x80 105


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ROBERTO CATANI

Saper disegnare! Io non so disegnare! Per questo continuo a disegnare! Alberto Giacometti

ROBERTO CATANI “La Testa” (particolare) 106


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JUAN CARLOS CECI

“I punti che siamo” di Franca Mancinelli dove pesava un corpo ora si irradia bianco si compie il disegno. cancellandosi all’istante quello che vedi si descrive lentamente si ritira fuori dal fuoco.

si è fatta di grafite la pupilla fissa la nebulosa di punti che siamo. è un chiodo la matita trafitta la mente affiora un’immagine come da un frutto marcio torna in piccoli segni la vita senza forma brulicando.

JUAN CARLOS CECI “Il peso dell’ombra.”, (particolare), 2018 tecnica mista , cm 27,5x24 107


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LEONARDO CEMAK

Il secondo piano dell’Ala Nuova del Museo della Città era un Cantiere dove nascevano anche Bambini. Ora è il Cantiere del Disegno. Del “Desiderio e della Passione. “Il disegno ha sempre qualcosa di sorgivo, è il più intimo e sincero parto dell’artista. Il pensiero, segno dopo segno, inizia a dialogare col genitore. Il disegno parla mentre nasce” (cito l’Assessore alle Arti Massimo Pulini). Eccomi, genitore, degente nell’Ala Nuova dove partorisco disegni che non richiedono dichiarazioni di poetica, ma semplicemente di nascere. L’Invisibile si rende Visibile. Prendo un foglio, e disegno. E’ una cosa molto semplice. Un atto d’Amore. Leonardo Cemak

LEONARDO CEMAK 2009, china su tela cm.120x100 Pinacoteca di Jesi 108


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GIULIA DALL’OLIO

Elemento naturale e architettura convergono nell’opera di Giulia Dall’Olio (Bologna, 1983) come i termini di un confronto tra due entità all’apparenza in disaccordo – libero e flessibile il primo, regolare e costrittiva la seconda – rivelando nella loro unione l’adesione allo stesso principio primo, mistico e originario nella sua essenza. L’immagine del dato vegetale inscritto in uno spazio umano e preciso, è scelta dall’artista come espressione di una riconciliazione uomo/natura attraverso la quale si può compiere l’esperienza del sacro. Leonardo Regano

GIULIA DALL’OLIO “g 11][12 d”, 2017 olio, matita, pastello, carboncino su carta, plexiglass cm. 57x38 109


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BARBARA GIORGIS

Il disegno è lo spazio dove incontro la più potente delle motivazioni ultraterrene. Per anni ho affidato le mie mani e lo sguardo al solo uso del bianco e del nero e, nel difficile equilibrio dei vuoti e dei pieni, ho scavato nell’ombra e nella luce, come un attore che studia la voce e le sue vibrazioni. Per questo io sono corpo quando disegno; un corpo primordiale, come fosse alla nascita. Incantato, disarmato, fragile, che ogni volta guarisce. Infinito, figura, cielo, tutto addensa lo sconvolgente, tutto si concede il disgusto e l’orrore nella pace evocata. Inizia nella caverna il solco primordiale più feroce, più affamato di paura, e arriva fino a me che ho bisogno di cenere per lenire il mio cuore e, mentre la mia mano è martire, lo spettro è ancora in alto mare.

BARBARA GIORGIS “Fessure sibilline”, 2010 carboncino su carta cm. 30x42 110


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INCUBO ALLA BALENA

Artisti: Anima / Flavia Barbera / Viola Bartoli / Lorenzo Bracalente / Simone Manfrini Elisa Menini / Alessandra Romagnoli / Niccolò Tonelli / Gianluca Valletta. “Due cose assolutamente opposte ci condizionano ugualmente: l’abitudine e la novità”. (Jean de La Bruyère) Incubo alla Balena è un gruppo di autori italiani, nato nel 2011,

che sperimenta con il linguaggio del fumetto e dell’editoria indipendente.

Pubblica storie dei propri collaboratori e scopre nuovi talenti nel mondo della narrazione per immagini, curando tutti gli aspetti che vanno dalla progettazione alla pubblicazione di un lavoro: tecniche di stampa, formati, tipi di rilegatura e cartotecnica sono tutti gli aspetti fondamentali per un fumetto bello non solo dentro, ma anche fuori.

FLAVIA BARBERA “adolesc+™ncia.” 111


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ENRICO LOMBARDI

Piccolo Elogio del Disegno Il disegno occupa una parte fondamentale della mia attività artistica. Il disegno è il pensiero figurato dei luoghi che poi dipingerò, il suo primo, struggente avvertimento. In esso non vi è solo il freddo raziocinio costruttivo e compositivo di chi lo usa come progetto, in chiave propedeutica di quello che poi sarà il lavoro vero e proprio. I miei disegni sono già opera, interamente e totalmente. In essi si attua e si sviluppa tutta la mia poetica. Neppure il colore vi è escluso, nonostante la spietata evidenza del bianco e nero. Spesso, quando li guardo con grande concentrazione, prima di iniziare un quadro ispirato ad uno di essi, mi accorgo che da quei tratteggi emana un larvato senso di tinta che mi guiderà nell’esecuzione dell’opera. Del disegno amo l’asciuttezza e la raffinatezza, l’eticità e la sottigliezza, la fisiologica mancanza di enfasi, lo straordinario senso di nostalgia che il bianco e nero emana con grazia e leggerezza. Fra la mia attività di disegnatore e quella di pittore c’è da sempre un legame consustanziale e reciproco in entrambe le direzioni: così come il disegno alimenta instancabilmente la pittura, essa, a sua volta, nutre il disegno creando quell’abbraccio virtuoso e amoroso da cui nascono tutte le mie figure. Enrico Lombardi

ERNICO LOMBARDI penna su carta 112


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EMILIO NANNI

Il disegno mi da l’illusione di avere cura dei sogni,

assecondare le fragilità e avvicinarmi alla verità senza paura. emilio nanni

EMILIO NANNI “Urgente.”, 2018 113


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BARBARA NICOLI

“Attraverso la mia arte cerco di guardare al di là delle cose

e svelare quella realtà invisibile che altrimenti non riuscirei a vedere”

Barbara Nicoli

BARBARA NICOLI “Espansioni”, 2014 cm. 70x50 114


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GILDA MARCONI SANCISI

Inthislight# Un personale bisogno di incontrare l’immateriale ha portato Gilda Marconi Sancisi negli anni a realizzare una serie di disegni a china I.C.O.N Series che lei ama definire le sue “Icone Contemporanee”, ricercando forme di comunicazioni non convenzionali tra l’umano e il Divino. Attraverso la contemplazione del silenzio, tipico di un momento religioso, l’artista porta

il suo corpo alla condizione di “filtro” tra il mondo materiale e immateriale, dando forma, durante questo processo rituale, alle icone.

gildamarconisancisi.com

GILDA MARCONI SANCISI “I.C.O.N.” 115


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TONI PECORARO

Toni Pecoraro Invenit et Incidit C’è un bisogno di esprimere comunicandolo agli altri, quel sé in formazione all’origine di tutto; senza direttamente usare le parole, tanto più comprese quanto meno consone a me come forma di espressione. Un bisogno di identificare quel brodo primordiale di sensazioni, pulsioni, essenze e concetti allo stato germinale, che ti porta ben presto a intraprendere una strada da peregrino errante. « Sogno o son desto » ti vien voglia di chiederti quando a fluttuare sono le tue emozioni, che pian piano diventano solide entità; reali connotazioni in forma di luoghi, oggetti, persone. Un bagaglio privato che chiede di essere mostrato con un certo pudore, ma anche attraverso un crescente autocompiacimento. La scoperta del fare procura altrettanta emozione, pari alla scoperta geografica di un lembo di terra sconosciuto, tutto da esplorare e mappare nel tempo o un ritrovamento geologico; uno strato nel quale fissare le tue consistenze. E come nelle migliori tradizioni passate, oggi in disuso, l’apprendistato è stato importante. Il gusto dell’esperienza che matura nel tempo attraverso l’insegnamento, gli incontri, il vissuto degli altri, l’osservazione e lo scambio hanno orientato il lavoro.

TONI PECORARO “Riflesso II”, 2017 acquaforte, acquatinta e vernice molle cm. 49,5x69,5 116


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MARCO SMACCHIA

C’è una tensione pervasiva che mi interessa e spesso mi orienta. Si tratta di un incontro contraddittorio fra l’affondo analitico e l’istinto. Ne ho fatto un metodo. Presente anche quando disatteso. Mi pare che alimentando la tensione, la complessità da spaventosa diventa simpatica. Marco Smacchia Quel pezzo di sorriso che avete in faccia mentre guardate questi disegni, affonda nel codice narrativo di Marco Smacchia, in quel gusto ludico di puntare il dito, di mettere a fuoco, appena sotto la pelle della realtà, la scanzonata e sottile ironia dello spettatore, pubblico e complice della poetica di ogni scena. In una infinita serie di declinazioni tattili di nero, l’autore raccoglie un universo popolato di spazi narrativi e di creature non-identiche, tutte piacevolmente estranee, reali e surreali, che sembrano sempre colte di sorpresa, pronte per andarsene altrove, alla ricerca del fondo, divertente e amaro, di ogni cosa Livia Baldelli

MARCO SMACCHIA “Sposta” 117


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IURII TIMOSHENKO

un campo bianco misura la brevità del giorno l’ombra dei cardi

In questa mia poesia in stile haiku tutti i miei dipinti, visibile invisibile... lo spettatore altrettanto può vedere questo e anche di più.

IURII TIMOSHENKO “Silenzio Bianco” (particolare) tecnica mista su tela cm. 100x70 118


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3 : 36 : 50 FLOORS

ROOMS

3

ARTISTS

#

PIANO DISEGNO FLOOR

CANTIERE

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VERONICA AZZINARI

“Invisibile è il tono basso di un tuono che fa vibrare l’idea e che apre la vista, esso risuona nel segno fino al silenzio stabile dell’immagine”

VERONICA AZZINARI “Felce#1” (particolare), 2017 incisione calcografica e disegno a olio, cm. 60x90 120


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FABIO CASTELLANI

““Invisibilefortemente è il tono basso di un tuono che fa vibrare l’,idea e che la vista , … Avrei desiderato disegnare senza supporto nell ’ariaapre , sull ’acqua esso risuona nel segno fino al silenzio stabile dell’immagine”.

L’eterea silenziosa trasparenza vestirà rumorosi graffi e diverrà icona, epifania dell’idea avrà un sé dall’invisibile. Disegnate opacità, cesellando spazi luminosi, vibreranno immacolate. Vivrà di mondi sconosciuti la proiezione cangiante. Schiudendosi, il portale dell’invisibile affiderà a gestuali movenze la parresia di memorie incise. Così, la luce dell’arte attraverserà il tempo irrorando sacralità nell’esistenza.

FABIO CASTELLANI “Torso trasparente” 121


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AMANDA CHIARUCCI

“Si comprende l’arte attraverso le opere, al loro tendere tenace e costante ad infrangere qualsiasi limite. L’arte è conoscere l’inconoscibile che sta dentro di noi.” Giorgio Griffa “Il disegno è dunque per me il primo iniziatico bagliore sulla soglia di due mondi apparentemente divisi, il visibile e l’invisibile, ma che in verità sono coesistenti ed intrecciati, dove spazio e tempo si annullano e dove tutto è possibile.” Amanda Chiarucci

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AMANDA CHIARUCCI “Mappa Universale della Fede” Il Don Xhisciotte dell’Amanda, 2018 Opera nata dalla collaborazione con l’artista alessandrino Mario Fallini.


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SEBASTIANO GUERRERA

““Invisibile è il tono basso di un tuono che fa vibrare l’idea e che apre la vista, “Quandoesso tornerai a vedere troverai ogni cosa sorretta dai rami. risuona nel segno fino al silenzio stabile dell’immagine”.

Non è accaduto niente. Siamo qui, su questa intelaiatura sottile di foglie. A tratti un grido spalanca la gola. Perdiamo tepore. Allora ci culla, si scuote nel vento leggero.” Franca Mancinelli

SEBASTIANO GUERRERA “Noce bianco”, 2015 grafite su carta, cm 70x70, Courtesy Romberg Arte Contemporanea, Latina Photo Semprucci, Pesaro

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GIAMPIERO GUERRI

“Il fascino di un’opera spesso nasce dal caso, dal mistero e dalla magia del fare.”

GIANPAOLO GUERRI Xilografie per l’edizione in 99 es. di “Lettres inédites à Poisson d’Or” di Joë Bousquet. 124


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LUCA LAVATORI

““Invisibile è il tono basso di un tuono che fa vibrare l’idea e che apre la vista, esso risuona nel segno fino al silenzio stabile dell’immagine”.

“io penso di fatto con la penna,

perché la mia testa spesso non sa nulla di ciò che scrive la mia mano”.

1931 L. Wittgenstein

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CHIARA LECCA

“L’intento è quello di creare un contenitore di memoria del nostro passato più remoto, un passato che ora ci appare innaturale. Il residuo della nostra animalità è racchiuso nell’impronta di una pelle, essa è visibile solo in parte, la sua totalità, nascosta tra i lembi, la si può solo immaginare.”

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CHIARA LECCA Unnatural #1, #2, #3, 2018, stampa ad olio su seta infustita, cm 100 x 100 x 5 ciascuno, (dettaglio) Courtesy Galleria Fumagalli Milano, crediti fotografici Leonardo Farina


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ELISA LEONINI

““Invisibile è il tono basso di un tuono che fa vibrare l’idea e che apre la vista, esso risuona nel segno fino al silenzio stabile dell’immagine”.

Un tentativo per rendere visibili presenze sfuggenti e immateriali della realtà. Un dialogo dimensionale tra luce, ombra, materia e suono. Una sinestesia che scaturisce dal cortocircuito suono/immagine. Una proiezione del tempo nello spazio.

ELISA LEONINI “Silenzio”, 2015-2017 scultura, vetro sintetico e ferro, 150x25x30 cm Courtesy Galleria Villa Contemporanea

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ALBERTO MINGOTTI

L’uomo, alcuni millenni addietro, con un pezzetto di carbone tracciava dei segni sulla parete della grotta. Così facendo inaugurava la scrittura, ovvero dava una rappresentazione grafica al linguaggio. Questo gesto, capace di convocare immagini, gli permetteva di sognare ad occhi aperti. In tale modo iniziavano i grandi mutamenti che tutt’ora proseguono.

ALBERTO MINGOTTI “La lettura”, 2005, ceramica, diam. 57,5, h 14 128


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ENRICO MINGUZZI

““Invisibile è il tono basso di un tuono che fa vibrare l’idea e che apre la vista, esso risuona nel segno fino al silenzio stabile dell’immagine”.

“confondere i piani e mostrare disegnando cancellature.”

ENRICO MINGUZZI “Disegno digitale 9448 x 7086 pixels”, 2018 stampa fine art applicata su tavola, 40x30 cm 129


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LUCIA NANNI

“Wolfango Peretti Poggi, aveva 90 anni, la sua prima mostra l’aveva allestita a sessanta, non volendo staccare le tele e arrotolarle, per portare i suoi enormi quadri nella chiesa di Santa Lucia fu costretto a tagliare i muri di casa.” Matteo Marchesini

LUCIA NANNI “Isteria e Misticismo; Annotazione seconda; Teresa d’Avila”, (particolare) crediti fotografici Miriam Dessì 130


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STEFANO RONCI

““Invisibile è il tono basso di un tuono che fa vibrare l’idea e che apre la vista, esso risuona nel segno fino al silenzio stabile dell’immagine”.

Del disegno mi interessa quella che considero la sua funzione prioritaria: la capacità di rimettere il tempo nella sua fase di “germinazione”.

STEFANO RONCI “Resti”, 2017 matite temperate su plexiglass. cm. 120x86x5 131


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SANDRA SANTOLINI

…sugli argini dei fiumi, nei viottoli di campagna e nei giardini, nascosti fra altre erbe e piccoli arbusti con colori dalle mille sfumature

e forme uniche e perfette che nascondono proporzioni comuni a tutto l’universo…

La stagione li rende ancora invisibili. Occorre aspettare. Arriveranno. Disegnare fiori è un viaggio che non avrà mai fine…

SANDRA SANTOLINI “Silene”, 2018 acquerello su carta, cm. 18x26 circa 132


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ALESSANDRO SICIOLDR

““Invisibile è il tono basso di un tuono che fa vibrare l’idea e che apre la vista, esso risuona nel segno fino al silenzio stabile dell’immagine”.

“Il disegno è la rete nella quale si impigliano le mie fantasie segrete, le mie ossessioni, le mie visioni che altrimenti svanirebbero come nebbia nell’oblio della quotidianità .”

ALESSANDRO SICIOLDR “Foresta (sogno)”, 2018 carboncino su carta. cm.70x50 133


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BETTY ZANELLI

Gli esseri umani conoscono fin troppo bene i concetti di confine, di limite, di esclusione e perfino di muro - metaforico o, peggio ancora, reale. Barriere visibili, spesso impenetrabili, con le quali giochiamo crudelmente per tenere fuori altri esseri umani - semplicemente “lo straniero”. Con il loro volo, gli uccelli sono le creature che più naturalmente sfidano ogni limitazione dello spazio. Pur potendo tracciare le loro migrazioni sulle nostre mappe, un modo tutto umano d’incapsulare lo spazio, gli uccelli volano liberamente, inconsapevoli dei confini che noi, gli umani, disegniamo così abilmente sulle nostre carte geografiche.

BETTY ZANELLI “Trans-boundary”, Map#7, 2017 mixed media 134


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MARTINA ZENA

.Visibile luce io .Invisibile buio l’altro

““Invisibile tonodistanti basso di un tuono che fa vibrare l’idea e che apre dueè il punti è la traccia della loro relazione . la vista, il segno che collega risuona nel segno fino forma al silenzio stabile proprio sentire prende visiva . dell’immagine”. Un gesto che dal mondo del esso Da qui l’uomo. Il segno diventa persona.

“Che cosa ci sia dietro la mano, è questione controversa:

l’io disegnante finisce per identificarsi con un io disegnato, non soggetto ma oggetto del disegnare.

O meglio, è l’universo del disegno che si disegna,

che si esplora ed esperimenta e ridefinisce ogni volta.”

I. Calvino, La penna in prima persona (Per i disegni di Saul Steinberg) [1977]

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Fabbrica arteRimini Far EXHIBITIONS

Davide Benati Arpabirmana

a cura di Alessandra Bigi Iotti

Vanessa Beecroft Disegni americani Sergei Tchoban Capriccio russo. Disegni di Sergei Tchoban

e della tradizione dell’architettura fantastica. a cura di Jan-Philipp Fruehsorge

Omaggio a

Marilena Pistoia Oltre il Giardino Davide Arcangeli Più avanti del suo tempo a cura di Oreste Ruggeri

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BIENNALE DISEGNO RIMINI


ph. Giovanni Calabrese

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Piazza Cavour RIMINI

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Davide

Benati

Arpabirmana a cura di Alessandra Bigi Iotti

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Oasi dell’acqua amara, Acquarello su tela, cm. 180x140. 2011

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Grande mattino. Acquarello su tela, cm. 200x200. 2009/10

“A chi gli chiedeva perché l’inchiostro si allargasse a macchia, perché i confini del fiore esalassero in liquidi, inafferrabili atmosfere, così rispondeva: ‘I soffi sono dissimili in diecimila modi. Sono tonfi, sibili, urli, sospiri, richiami, lamenti, borbottii, gemiti. Ma trascorso il vento, le cavità restano vuote. Ecco, è questo momento che vorrei dipingere: allorché il vento sta cessando, ma ancora s’avverte tra i fili dell’erba, e già si fa vuoto”.

Massimo Cacciari, da “Ma trascorso il vento”, 1986 140


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Grande soirée. Acquarello su tela, cm. 150x200. 2014

“… Ma tutto questo che mi passa dentro agli occhi, e che io pure decifro con esattezza minuziosa, è così rapido nella sua inarrestabile corsa che è solo un colore: è il malva del mattino sull’altopiano, è lo zafferano dei campi, è l’indaco di una notte di settembre, con la luna appesa all’albero sullo spiazzo di fronte alla vecchia casa, l’odore forte della terra…”

Antonio Tabucchi, da “Lettere dalla penombra”, 1986

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“Nelle carte di Benati ogni fatto formale e coloristico – e sono tutt’uno – non vuole solo raccontare un sogno, desiderio, batticuore, ma essere sogno, desiderio, batticuore. L’elaborazione dell’emozione naturalistica acquista un timbro che si ripercuote, che determina altre pulsazioni emotive, che relaziona distanze e intensità. Lo spazio di Benati è pieno di appelli alle sensazioni, alle impressioni e la sua idea di bellezza sembra voler seguitare ad espandersi sempre più.” Lea Vergine, da Batticuore e Desiderio o Il batticuore del desiderio, 1988

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Terrazze. Olio su tela, cm. 190x190. 1996

“Lontano da un uso retorico della citazione, l’arte di Benati dà corpo a un poema di fantasmi allusivi, immagini vegetali e spazi di arcana bellezza, sottomette dunque ogni riferimento al velo del colore come materia sospesa sul crinale dei sogni”. Claudio Cerritelli, da “Davide Benati. Doni della bassa marea. Opere su carta (1978-2017)”, Accademia di Belle Arti di Brera

Arpabirmana. Acquarello su tela, cm. 150x200. 1990 143


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Segreta. Olio,xilografia su tela, cm. 150x200. 1998

“Distillare la pittura da quelle espressioni supreme che sono i fiori, nel modo in cui lo fa Davide Benati, trova analogia con l’arte di ottenerne essenze profumate. Il pennello raccoglie una soluzione cromatica e la carta la fissa, nel mezzo ci sono gesti calibrati del corpo e del pensiero, quel che infine viene restituito ha qualcosa di aereo, come la filosofia�. Massimo Pulini, da La pittura essenziale, 2018 144


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“Come un alchimista Davide cerca, sperimenta, crea i colori uno per uno. E il colore è il cuore della sua pittura. Maestro del colore, padroneggia con scienza i rapporti, le quantità, i contrasti e le dissonanze, i diversi gradi di luminosità, le trasparenze o piuttosto il loro saturarsi. Ma questi colori profumano d’Oriente. Sono forse spezie di un mercato di paese birmano? Sono le distese di fiori gialli del mercato di Durbar Square a Kathmandu? O i tessuti intrisi di colore appesi ad asciugare? Sono i colori “sontuosi”di Benati: il rosso cadmio e quello scuro di garanza, il giallo cadmio, i malva e le infinite variazioni del verde. Come smeraldi, rubini o zaffiri accecano per la bellezza, ma trattengono in profondità il loro mistero”. Alessandra Bigi Iotti da “Febbraio 2018 nello studio di Davide Benati”

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VANESSA BEECROFT

Vanessa Beecroft VB.LD.005.07 2007 Acrylic on canvas 330x210 cm courtesy galleria lia rumma

DISEGNI AMERICANI

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Vanessa Beecroft VB.dw.097.11 2011 courtesy galleria minini

ANIMULA VAGULA BLANDULA di LEONE GUALTIERI

In ogni epoca è possibile individuare artisti che hanno tentato di scalare le nuvole, artisti che, come Giacobbe, hanno visto in sogno il percorso di accesso al Paradiso e il loro tentativo di restituire quella epifania angelica ha preso le forme dell'incanto. Con fare forse più austero e ieratico altri hanno puntato al Parnaso, ma si è rivelato analogo l'intento di narrare l'elevazione intangibile del divino. La nostra epoca frequenta più spesso i gironi infernali rispetto ai cerchi celesti e forse anche le divinità sono divenute laiche. Prevale di certo la stirpe di Goya su quella di Guido Reni, ma c'è pure oggi un Atteone che nel bosco della propria ricerca ha scoperto il lago in cui ancora sono solite bagnarsi Diana e le sue ancelle. È singolare e oltremodo simbolico che questo Atteone contemporaneo sia incarnato da una donna e forse anche per questo non rischia di essere data in pasto ai suoi cani, è stata anzi accolta nel lago e, in qualche misura, ora riveste un ruolo, come dire, liturgico, e amministra le danze del pensiero e della bellezza che si celebrano in quei luoghi. 147


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Vanessa Beecroft VB.LD.004.07 2007 Acrylic on canvas 330x210 cm courtesy galleria lia rumma

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Vanessa Beecroft VB.LD.003.07 2007 Acrylic on canvas 330x210 cm courtesy galleria lia rumma

Dopo aver intuito che anche oggi è possibile ricreare un orizzonte metafisico, dopo aver individuato e reinterpretato un mondo parallelo di eteree e diafane vestali, che continuano a sussurrare enigmi da sfinge, Vanessa Beecroft ha ripreso a disegnare, a dipingere e a modellare sculture. È forse un destino sublimante, al culmine del quale ci si ritrova alle origini, quello di Vanessa e muove a meraviglia il modo franco e intimo attraverso il quale questi disegni si offrono. Come se l’anima di certe muse rivelasse una delicatezza tremula, una turbata fragilità. Un epicentro umano, quasi ipocondriaco, si intuisce in queste esili figure, che si stagliano in solitudine, e anche in quelle che non hanno corpo, che assumono l’aspetto di un fantasmino sotto un lenzuolo nero, circondate dal bianco della tela, affiora un’espressione attonita.

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Vanessa Beecroft VB.LD.007.07 2007 Acrylic on canvas 330x210 cm courtesy galleria lia rumma

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Vanessa Beecroft vb.dw.030.16 2016 courtesy galleria mi n i n i

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SERGEI TCHOBAN

s E

Capriccio ______ russo

T O

C H

A

a cura di Jan-Philipp Fruehsorge

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Drafts for visionary spaces: Lenin's head, 2003, Felt-pen and coloured pencil on paper, mm 210x208

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Fantasmagorien im Fluss der Zeit Sergei Tchobans Architektur-Capricci Sergei Tchoban ist Architekt, Künstler und Sammler von Architekturzeichnungen. Geboren 1962 in Sankt Petersburg, hat er dort ein Architekturstudium absolviert und ist in den Neunziger Jahren nach Deutschland gezogen, wo er nun lebt und arbeitet. Er hat in den letzten Jahren zahlreiche wichtige Bauprojekte in Europa realisiert, ist Mitherausgeber des Architekturmagazins Speech und hat auch als Kurator für den Russischen Pavillon auf der Architekturbiennale in Venedig gewirkt. Der Hinweis darauf, dass Tchoban Architekt und Künstler gleichermaßen ist, verdient ein paar Worte der Erläuterung, denn gemeinhin ist bekannt dass Architekten zwar zeichnen, doch tun sie dies in der Regel um einen Entwurf zu formulieren, der tatsächlich auch als gebaute Architektur realisiert werden soll. Bei ihm ist dies etwas anders. „Die Zeichnung und die Architektur“, so Tchoban, „sind zwei separate Wege“1 auch wenn sie einen gemeinsamen Kern haben und die Architektur das zentrale Thema der Zeichnung ist, ist diese vollkommen frei von Zwecken, Interessen und den funktionsgebunden Fesseln eines konkreten Bau-Auftrags. Sie ist Kunst, die ihren eigenen Regeln folgt. Die Zeichnung ist für Tchoban ein Spielfeld, in der Zeit und Raum in besonderer Weise zusammenkommen, das heisst Vergangenheit, Gegenwart und Zukunft der Architektur werden ihm zu Material, das Denk- und Traum-Bilder gleichermaßen hervorbringt. Ein kühler analytische Blick alterniert mit dem emotionsgeladenen Eintauchen in Stimmungen und Atmosphären.

1 E.M. Barkhofen, Disegno! Der Architekt und die Zeichnung, in: Architekturwelten. Sergei Tchoban. Zeichner und Sammler, Berlin 2010, S..14

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LAZMAG Architektur provoziert immer auch starke Affekte, in positiver wie negativer Weise. Tchoban spielt mit dieser Ambivalenz virtuos. Utopische und dystopische Momente, bisweilen aber auch ein hintergründiger Humor fließen in die Zeichnungen mit ein. Die traumhafte Gleichzeitigkeit des Ungleichzeitigen. Städte sind immer auch Gräber der Geschichte, gebaute Palimpseste, stets aber auch die Keimzelle des Neuen, Maschinen des Aufbruchs. In vielen Blättern scheinen wir Zeugen von postkatastrophischen Veduten zu sein. Wir blicken auf Ruinen, zerbrochene Kuppeln, Monumente aus fernen Tagen, gigantische Lenin und Stalin-Köpfe, die eine neue Nutzung erfahren haben. Und immer wieder Wasser und überschwemmte Gebäude. St. Petersburg, die Stadt, in der Tchoban aufgewachsen ist, liegt am Wasser, und die Erinnerungen an die Kindheit mögen hierbei eine Rolle gespielt haben. Es sind aber auch die Reisen, die er als Erwachsener unternommen hat, die seine Imagination gespeist haben, mit großer Wahrscheinlichkeit die Erfahrung der einzigartigen Lagunenstadt Venedig, vor allem aber auch die überfluteten russischen Dörfer am Kanal zwischen Moskwa und Wolga als eindrucksvolle Kulissen der Vergänglichkeit. Kirchtürme ragen aus den Fluten und legen Zeugnis ab vom Schicksal einer Dorfgemeinschaft, die ehemals hier lebte und Hab und Gut zurücklassen musste, als das Wasser kam. Sind es in zahllosen Blättern die Fragmente einer prachtvollen Barockarchitektur, gibt es In den Wasserwelten Tchobans auch Gebäudekomplex, die an El Lissitzkys berühmtes Gebäude aus den zwanziger Jahren „Wolkenbügel“ erinnern. Es kommen aber auch die überfluteten Landschaften aus den Filmen seines Landsmannes Andrej Tarkowsky in den Sinn. Das Wasser ist auch immer Referenz einer höheren Gewalt, mag man sie göttlich nennen, oder einer Naturimmanenten Kraft zusprechen. Die Sintflut des alten Testaments hatte strafende Funktion, und dem Menschen, der sie überlebte, war die Chance zu gottgefälligem Neubeginn gegeben. Wasser ist eine Urmacht, unkontrollierbar und von grenzenloser Zerstörungskraft. Gleichzeitig, sehnen wir uns nach dem Wasser weil es Lebens spendend und reinigend ist,

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beruhigend und tröstend. Landschaften unter Wasser sind schön und voller Melancholie. Tchoban wirft fragmentierte Blicke auf die Stadt, Momentaufnahmen, wie Erinnerungssplitter, atmosphärisch dicht, enigmatisch und theatralisch. Die Blätter sind präzise in der Form und die dargestellten Gebäude scheinen alle in ihrer Konstruktionplausibel, auch wenn sie einer anderen Realitätssphäre angehören. Virtuos werden klassische Techniken eingesetzt, es finden sich lasierte und lavierte Zeichnungen, Aquarell, Filzstift, Buntstift, Tusche, Pastelkreide, Rötel, Sepia. Nicht allein der Technik wegen wirkt die Zeichenkunst Sergei Tchobans wie aus der Zeit gefallen, sie verweigert dem heutigen Betrachter den typisch zeitgenössischen Gestus und steht damit über jeglichen Modeerscheinungen des ästhetischen Mainstream und der Kunstbetriebskunst. Sie hat ihre Wurzeln in einem Vokabular, das die Kunstgeschichte mit dem Begriff „Capriccio“ verbindet. Dabei ist das Interessante , dass sich die Frage , was denn das Capriccio genau sei, sich gattungstheoretisch mit Eindeutigkeit nicht festlegen lässt und immer aufs neue beschrieben und definiert worden ist.2 Eine Grenzerfahrung künstlerischer Imagination, das Spielerische, Fantastische, das Bizarre und Launenhafte. Mit dem klassischen Capriccio von Callot über Piranesi zu Tiepolo und Goya haben die Künstler der Vergangenheit Bilder erschaffen, in denen die Fantasie über die Gesetze der Realität obsiegt, der Traum über den Wachzustand. Das Capriccio ist also eher ein künstlerisches Prinzip, das man mit dem Subjektiven und dem nicht Kategorisierbaren identifiziert werden kann. Die Ausstellung versucht einen Dialog herzustellen zwischen den Arbeiten Tchobans und einigen ausgewählten Blättern der Vergangenheit: A. Fanti, Giulio Ferrari , Antonio Basoli, Pietro Gonzaga sowie einem Blatt der Bologneser Schule des 18. Jahrhunderts. Sie liefern die historische Folie, vor der die aktuellen Arbeiten ihre vielfältigen motivischen Bezüge entfalten können. Das Verhältnis von Innen-zu Außenraum, das Spiel mit dramatischen Lichteffekten, rafiniert-verwirrenden Perspektiven

- alle diese Elemente verweisen auf den bekanntesten Vertreter des architektonischen Capriccio, Giovanni Battista Piranesi. Dessen Architekturen, die carceri sind der Nachwelt so nahe, weil sie uns scheinbar mehr von Seelenzuständen erzählen als lediglich von Treppen und Mauern. Aldous Huxley hat durch seinen berühmten Essay „Prisons“ der mit Piranesi Carceri illustriert wat, diese dunklen Architekturvisionen an die Erinnerung an die Barbarei des 2. Weltkriegs, und die unmenschliche Erfahrung von Auschwitz gekoppelt. Sie sind somit auch ein Emblem der Moderne geworden. Tchobans an Piranesi geschulten Zeichnungen evozieren durchaus eine dunkle Seite dieser Moderne, auch wenn die Formensprache nicht die der Nachkriegsarchitektur ist. Die Ruinnen werden zu Metaphern der Trümmer, die der Totalitarismus hinterlassen hat. Die Kulissenhaftigkeit der Architektur der Einschüchterung wird sichtbar in der leeren Pathosformel der Monumentalität. Bei allen Referenz an die Kunst des 17. und 18. Jahrhundert spielt Tchoban auch mit Verweisen auf jüngere Architekturen. Die im Wasser liegenden Monumentalsäulen erinnern beispielsweise auch an Raimund Abrahams „Megabridge“ (1965), in der dieser eine Verschmelzung von Maschine und Architektur imaginiert. Gleichzeitig mag durchaus vorbildhaft gewesen sein, wie Adolph Loos in den 20er Jahren für die Chicago Tribune das Säulenmotiv für ein Bürogebäude übernimmt und es im hypertrophen verabsolutiert. Und auch Loos greift auf ein Vorbild zurück, das Säulenhaus des französischen Revolutionsarchitekten Francois Barbier, um 1780. Tchobans gezeichnete Visionen führen uns vor Augen, dass Architektur nicht allein Wirkung entfalten kann, wenn sie sich in realen Gebäuden manifestiert. Diese Blätter ermöglichen es den Betrachtern im Medium der Zeichnung das Drama des 20. Jahrhunderts, gespiegelt in fantastischüberhöhten Architekturszenarien zu reflektieren. Schönheit und Vergänglichkeit und die die Kraft künstlerischer Imagination lassen das Capriccio als eine gänzliche aktuelle Form erscheinen.

2 Werner Hofmann, Das Capriccio als Kunstprinzip, in: ebid, ZUr Vorgeschichte der Moderen von Arcimboldo und Callot bies Tiepolo und Goya. Hrs von Ekkehard Mai, Ausst. Kat, Köln, Zürich, Wien, 1997


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Baroque City in Water, 2005, pastel, 500x220 mm

Architectural Fantasy. Fragments in water, 2011, pastel on paper, 650x500 mm

Dead-End 1 (from the series “Totalitarianism and Architecture”), 2017, Pastel on paper, 565x755 mm

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Fantasmagorie nello scorrere del tempo Architetture-Capricci di Sergei Tchoban Sergei Tchoban è un architetto, artista e collezionista di disegni architettonici. Nato a San Pietroburgo nel 1962, si è laureato lì in architettura e, negli anni Novanta, si è trasferito in Germania dove ora vive e lavora. Negli ultimi anni ha realizzato numerosi importanti progetti di costruzioni in Europa, è stato coeditore della rivista di architettura Speech e ha anche lavorato come curatore per il padiglione russo alla Biennale di Architettura di Venezia. Il riferimento al fatto che Tchoban sia allo stesso tempo architetto e artista merita alcune parole di spiegazione: è noto che gli architetti disegnano, ma di solito lo fanno per formulare un progetto che è in realtà destinato a divenire un pezzo di architettura concretamente realizzata. Questo per lui è un po‘ diverso. „Disegno e architettura“, dice Tchoban, „sono due percorsi separati“1: anche se hanno un nucleo comune e l‘architettura è il tema centrale del disegno, quest’ultimo è completamente privo di scopi, interessi e libero dai vincoli funzionali di un contratto di costruzione concreto. È arte che segue le sue proprie regole. Per Tchoban, il disegno è un campo da gioco in cui il tempo e lo spazio si uniscono in modo speciale, cioè il passato, il presente e il futuro dell‘architettura diventano per lui materia, producendo allo stesso modo immagini di pensieri e sogni. Uno sguardo fresco ed analitico si alterna all‘immersione emotiva in stati d‘animo e atmosfere. L‘architettura provoca sempre anche forti emozioni sia in senso positivo che negativo. Tchoban gioca virtuosamente con questa ambivalenza. Momenti utopistici e distopici, ma a volte anche un profondo senso dell‘umorismo sono incorporati nei disegni. La simultaneità onirica del non-simultaneo. Le città sono sempre tombe di storia, palinsesti costruiti, ma sempre il nucleo del nuovo, macchine in partenza. Davanti ai suoi disegni sembriamo testimoni di vedute post catastrofiche. Vediamo rovine, cupole rotte, monumenti di tempi lontani, gigantesche teste di Lenin e Stalin, che hanno subìto un nuovo utilizzo.

E di nuovo ancora acqua e edifici allagati. San Pietroburgo, la città in cui Tchoban è cresciuto, si sviluppa sull‘acqua e qui i ricordi della sua infanzia possono aver giocato un ruolo. Ma sono anche i viaggi che ha fatto da adulto, che hanno alimentato la sua immaginazione, molto probabilmente l’esperienza della città lagunare, unica per bellezza, Venezia, ma soprattutto i villaggi russi inondati sul canale tra la Moskva e il Volga come imponenti fondali di transitorietà. I campanili delle chiese sorgono dalle inondazioni e testimoniano il destino di una comunità di abitanti del villaggio che una volta vivevano qui e dovevano lasciarsi alle spalle ogni bene quando arrivava un‘inondazione d‘acqua. Se i frammenti della magnifica architettura barocca sono su numerosi fogli di disegni, c’è anche una quantità di edifici sull’acqua di Tchoban, che ricorda il famoso palazzo degli anni venti di El Lissitzky “Wolkenbügel”. Ma ci vengono in mente anche i paesaggi inondati dei film del suo compatriota Andrej Tarkowsky. L’acqua è sempre riferimento ad un potere più alto, si può chiamarlo divino o dare un potere immanente alla natura. Il Diluvio dell’Antico Testamento ha avuto una funzione punitiva e ai sopravvissuti è stata data l’opportunità di un nuovo inizio per grazia di Dio. L’acqua è una potenza primaria, incontrollabile e con una forza distruttiva illimitata. Allo stesso tempo desideriamo ardentemente l’acqua perché è vitale e purificante, lenitiva e consolante. I suoi paesaggi sottomarini sono affascinanti e pieni di malinconia. Tchoban lancia sguardi frammentari sulla città, istantanee come schegge commemorative dense di atmosfere, enigmatiche e teatrali. I fogli sono precisi nella forma e gli edifici raffigurati sembrano tutti plausibili nella loro costruzione, anche se appartengono a una diversa sfera della realtà. Vengono utilizzate tecniche virtuosistiche classiche, ci sono disegni smaltati e lavorati con acquerello, pennarello, pastello, inchiostro, sanguigna o seppia.

Non solo a causa della tecnologia, l’arte del disegno di Sergei Tchoban sembra come caduta fuori dal tempo, essa nega allo spettatore contemporaneo il tipico gesto contemporaneo e si colloca così al di sopra di qualsiasi moda del “mainstream” estetico e della business art. Ha le sue radici in un vocabolario che collega la storia dell’arte con il “Capriccio”. La cosa interessante è che la domanda su cosa sia esattamente il Capriccio non può essere definita in modo inequivocabile dalla teoria sui generi artistici e si lascia altresì descrivere e definire in maniera sempre nuova2. È un’esperienza “borderline” di immaginazione artistica, che investe il giocoso, il fantastico, il bizzarro e il capriccioso. Con il Capriccio classico da Callot a Piranesi, a Tiepolo e Goya, gli artisti del passato hanno creato immagini in cui prevale la fantasia sulle leggi della realtà, il sogno sullo stato di veglia. Il Capriccio è quindi più un principio artistico che può essere identificato con il soggettivo e il non categorizzabile. La mostra cerca di stabilire un dialogo tra le opere di Tchoban e alcune opere selezionate del passato: A. Fanti, Giulio Ferrari, Antonio Basoli, Pietro Gonzaga così come con opere di scuola bolognese del XVIII secolo. Queste opere forniscono il tracciato storico davanti al quale i lavori attuali possono dispiegare le loro diverse motivazioni. Il rapporto tra interno ed esterno, il gioco con effetti di luce drammatica, prospettive raffinate e confuse - tutti questi elementi si riferiscono al più famoso rappresentante del Capriccio architettonico, Giovanni Battista Piranesi. Le sue architetture, le carceri sono così moderne perché apparentemente ci raccontano più di stati mentali anziché solo di scale e pareti. Aldous Huxley, attraverso il suo famoso saggio “Prigioni”, in cui con Piranesi ha ritratto le carceri, ha collegato queste oscure visioni architettoniche alla memoria della barbarie della Seconda Guerra Mondiale e all’esperienza disumana di Auschwitz. Sono diventati così un emblema della modernità.

1 E.M. Barkhofen, Disegno! Der Architekt und die Zeichnung, in: Architekturwelten. Sergei Tchoban. Zeichner und Sammler, Berlin 2010, S..14 2 Werner Hofmann, Das Capriccio als Kunstprinzip, in: ebid, ZUr Vorgeschichte der Moderen von Arcimboldo und Callot bies Tiepolo und Goya. Hrs von Ekkehard Mai, Ausst. Kat, Köln, Zürich, Wien, 1997

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Fantasy for an exhibition Stalin Today, 2011, pencil on paper, 210x297 mm

Architectural capriccio, Roman Forum or Two worlds No. 1, film stage design project, St. Petersburg, 2013, Pen, brush, Indian ink, watercolour, watercolour paper on stretcher, 500x700 mm

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Giulio Ferrari, Capriccio notturno, Rimini, Collezione privata

I disegni di Tchoban, ispirati a Piranesi, evocano certamente un lato oscuro di quest’epoca moderna, anche se l‘idioma formale non è quello dell‘architettura del dopoguerra. Le rovine diventano metafore delle macerie che il totalitarismo ha lasciato dietro di sè. Lo sfondo dell‘architettura della intimidazione diventa visibile nel vuoto pathos della monumentalità. Nonostante tutti i riferimenti all‘arte del 17° e 18° secolo, Tchoban gioca anche con i riferimenti alle più recenti architetture. Ad esempio, i pilastri monumentali nell‘acqua ricordano „Megabridge“ di Raimund Abraham (1965), in cui egli immagina una fusione tra macchina e architettura.Allo stesso tempo,potrebbe essere stato rappresentativo il modo in cui Adolph Loos, negli anni ‚20, ha assunto il motivo del pilastro per un edificio da uffici per il Chicago Tribune e lo ha assolutizzato nell‘ipertrofico. E anche Loos attinge ad un modello, la casa colonnata dell‘architetto rivoluzionario francese Francois Barbier, attorno al 1780. Le visioni disegnate da Tchoban ci mostrano che l‘architettura non può funzionare da sola se si manifesta in edifici reali. Per mezzo del disegno gli spettatori sono in grado di riflettere sul dramma del XX° secolo rispecchiato in scenari architettonici fantasticamente esagerati. La bellezza, la caducità e il potere dell‘immaginazione artistica fanno apparire il Capriccio come una forma assolutamente attuale.

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Antonio Basoli (attr.), Scenografia con Roma in fiamme, Bologna, Galleria Maurizio Nobile.

Scuola bolognese del XVIII, Progetto per soffitto, Rimini, collezione privata

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O MAG G I O A

MARILENA PISTOIA

O LT RE IL GIARDINO

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NEL GIARDINO DI MARILENA PISTOIA Intitolai Oltre il giardino la mostra che nel dicembre del 2012 il Museo della Città di Rimini dedicò a colei che va considerata, senza enfasi, la più importante disegnatrice di erbari del Novecento. Per Marilena Pistoia era la prima e tardiva esposizione museale, dopo che, nell’arco di una vita quantomai appartata e discreta, aveva pubblicato decine di impeccabili libri in ambito naturalistico, tradotti in ogni lingua e ristampati in edizioni che tutt’ora continuano a moltiplicarsi. Il mattino che precedette l’inaugurazione della mostra riminese, dopo aver ultimato l’allestimento dei suoi cristallini acquerelli e dopo aver fatto chiudere le teche che li proteggevano, l’artista riprese un treno che la riportò a casa, nella pianura di Crevalcore che quel giorno era stata coperta da un’improvvisa nevicata.

Marilena disertò dunque il primo momento di celebrazione pubblica che il suo lungo e difficile lavoro stava ricevendo. Forse era preoccupata per le sue piante, ma di certo non amava convenevoli e complimenti. Ancora oggi, tutte le volte che annaffio il giardino, il mio pensiero si rivolge a lei, che puntualmente, ad ogni visita che le facevo, trovavo impegnata attorno a vasi e travasi di bulbi, intenta a sistemare arbusti floreali davanti alla porta o a ricoverare piante grasse nel capanno. Eppure aveva interrotto da molti anni la pratica del disegno scientifico e botanico, nel pieno di un successo editoriale che inutilmente continuò a corteggiarla. Centinaia e centinaia erano state le tavole, minuziose oltre ogni umana possibilità, che aveva realizzato su commissione, programmando viaggi che la portarono a soggiornare settimane intere in remoti orti botanici per ritrarre la fioritura di una pianta rara, perché la sua singolare attenzione alla natura non ammetteva la mediazione di alcuno strumento meccanico. 161


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I suoi lenticolari disegni ci pongono davanti a una delicatissima epifania, che in effetti nessuna foto riesce a raggiungere. Malgrado l’esecuzione microscopica, condotta con punta di esilissimi pennelli, i suoi fogli risultano privi di freddezza, sono distillati di raffinata poesia, nella scelta che accompagna sempre la finalità conoscitiva all’eleganza della composizione, a precise quanto discrete scelte interpretative che ne fissano la bellezza. Frutti, piante e fiori indagati nella loro forma prodigiosa, nel loro miracolo di natura e talvolta anche nella struttura interna, attraverso sezioni e ricostruzioni esplose nelle varie componenti, ma soprattutto indagati nell’anima più profonda, attraverso un rigore filologico che sfuma nella filosofia. Marilena Pistoia, come un personaggio letterario d’altri tempi, non dava troppo credito a quel lontano lavoro e da tempo aveva donato la parte più consistente delle sue tavole originali all’Hunt Institute of Botanical Documentation di Pittsburgh, che conserva la più vasta collezione di erbari, tra Otto e Novecento. La Biennale Disegno di Rimini le intende tributare un omaggio, allestendo nella sede centrale della FAR, la Galleria d’Arte Moderna e Contemporanea, un’antologia degli acquerelli che Marilena continuò a tenere accanto a sé, oltre il giardino. Massimo Pulini

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A A cura di Oreste Ruggeri

PiĂš avanti del suo tempo

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Davide Arcangeli


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PIÙ AVANTI DEL SUO TEMPO

DAVIDE ARCANGELI Davide Arcangeli è stato un designer automobilistico che ha realizzato delle vere sculture a quattro ruote. Nei pochi anni che la vita gli ha concesso, ha tracciato tendenze estetiche in anticipo sui tempi che hanno influenzato il settore in modo irreversibile. Davide è nato a Rimini il 12 settembre 1970 e fin da bambino ha mostrato il suo talento per il disegno. A ciò si è aggiunta nel tempo la passione per le automobili e per le loro forme plastiche. Negli anni dell’adolescenza passa tutto il suo tempo libero a immaginare e disegnare nuove automobili, mostrando una grande abilità e fantasia. Dopo avere frequentato il Liceo Artistico di Rimini prende i suoi disegni sottobraccio e si dirige verso Torino, dove hanno sede i più grandi “carrozzieri” del mondo. Bussa a tutte le porte, ricevendo sempre positivi apprezzamenti, sia per le sue idee che per il suo modo di disegnare, così leggero e dinamico. Ma è proprio la Pininfarina, casa per la quale Davide ha una particolare predilezione, a chiamarlo per prima e ad offrirgli uno stage di sei mesi in azienda. Ci vuole poco tempo ai maestri della Pininfarina per capire le potenzialità di questo ragazzo di 20 anni e dopo un mese gli propongono di entrare a pieno titolo nell’équipe dei designers. Qui le doti di Davide emergono in fretta e le proposte del giovane riminese sono spesso preferite a quelle dei colleghi quando si tratta di scegliere la linea dei nuovi modelli. Nel 1994 disegna la Honda “Argento Vivo”, un esemplare unico che suscita meraviglie al Salone di Tokio dell’anno successivo per la sua originalità. L’auto cattura l’attenzione del sultano del Brunei che chiede a Pininfarina di farne cinque esemplari esclusivi per i membri della sua famiglia. In quegli stessi anni Davide lavora alla Peugeot 406 coupé, che uscirà solo nel 1997. L’auto è considerata uno dei capolavori assoluti del design automobilistico, con una linea che colpisce per la sua purezza ed armonia. I primi disegni di questa vettura, che già anticipano le linee definitive, risalgono al 1992 quando Davide ha solo 22 anni. Il giovane designer, nonostante il suo carattere schivo e modesto, attrae l’attenzione di diverse case automobilistiche che fanno a gara per farlo entrare nella propria squadra. La spunta la BMW che lo inserisce nel proprio centro stile diretto da Chris Bangle, un americano con una lunga esperienza alle spalle. I due si intendono immediatamente e quando si tratta di impostare l’estetica della nuova Serie 5 E60, Chris sceglie il disegno del giovane italiano. Il via libera definitivo all’industrializzazione del progetto avviene nel 2000. È il coronamento di un sogno e la conferma definitiva del suo talento. Ma nel dicembre dello stesso anno Davide viene colto da un improvviso malore in seguito al quale gli viene diagnosticata la leucemia. A pochi giorni dal Natale, mentre ci si appresta a procedere con la chemioterapia, viene colpito da un aneurisma cerebrale che non gli lascia scampo.

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Non riuscirà a vedere la sua ultima creazione che comincerà a correre sulle strade solo due anni più tardi. L’auto è talmente innovativa che al suo lancio raccoglie numerose critiche, specie fra i tradizionali cultori del marchio. Ma in poco tempo la rivoluzione di Arcangeli viene recepita e tutti gli altri modelli sul mercato appaiono improvvisamente vecchi.

A quindici anni di distanza, ancora oggi la BMW E60 appare incredibilmente attuale, così come la Peugeot 406 coupé e tutte le altre creazioni di Davide Arcangeli.

Sembra quasi che istintivamente abbia voluto protendersi in avanti nel tempo, per vivere anche quella parte di vita che gli è stata negata. Oreste Ruggeri

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Di tre disegni del Teatro di Rimini

Luigi Poletti

Recentemente sono stati ritrovati 3 disegni raffiguranti il Teatro di Rimini. Si tratta di due planimetrie e di una sezione longitudinale. Le planimetrie rappresentano il piano terreno e il piano primo. Si tratta di due disegni a matita privi di qualsiasi scritta realizzati su due fogli che misurano circa 57,8 cm di lunghezza x 43,8 cm di altezza. Entrambe i disegni sono realizzati su carta che presenta la filigrana con la scritta, su due righe, “P.M / FABRIANO”. Negli angoli sono evidenti piccoli fori affinché i disegni venissero fermati o appesi. La pianta del piano terreno ha i muri sezionati campiti, sempre a matita, mentre quella del piano primo è priva di campitura. Entrambe le piante mostrano la zona terminale del palcoscenico con una forma absidata. In tutti e due i disegni sono evidenti i segni di costruzione e linee di prova, sempre a matita, per traguardi visuali etc.. La sezione longitudinale è invece stata realizzata ad inchiostro nero e matita su foglio in carta telata da lucido. Questo foglio, attualmente piegato, misura complessivamente 102,6 cm di lunghezza x 46 cm di altezza. Non compaiono scritte. Anche questo presenta la parte terminale del palcoscenico con una struttura absidata. La sezione e le due piante sembrano essere dei disegni non ultimati. E’ possibile che si tratti di disegni preparatori. Il progetto del teatro fu affidato all’architetto modenese Luigi Poletti nel 1842. Questi realizzò il Teatro di Rimini tra il 1842 e il 1857, anno della sua inaugurazione. Durante i lavori il progetto iniziale subì alcune sostanziali modifiche. Una di queste riguarda la struttura absidata di chiusura del palcoscenico, che sebbene iniziata, come hanno dimostrato i recenti scavi archeologici, non fu portata a termine perché modificata in corso d’opera. La qualità soprattutto delle piante e il fatto che questi tre disegni provengano da un nucleo con altro materiale riferibile con certezza al Poletti, fanno ipotizzare che si tratti di disegni preparatori eseguiti dal Poletti o dal gruppo di tecnici che lavorò con lui alla realizzazione del Teatro di Rimini. Marcello Cartoceti

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Castel Sismondo EXHIBITIONS

Pablo Picasso La Celestine

a cura di Alessandra Bigi Iotti

Federico Fellini Il Corpo sognato

a cura di Nicola Bassano e Marco Leonetti

Diego Zuelli Le parti non vere Adolfo De Carolis L’Eco del Tempo dal Fondo di Montefiore dell’Aso a cura di Tiziana Maffei

Fogli barocchi dalla raccolta Maurizio Nobile a cura di Marco Riccòmini

Giovanni Buffa Disegno a Piombo, cartoni per vetrate Jiří Kolář JK: l’Acronimo della Bellezza a cura di Mauro Stefanini

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ph. Emilio Salvatori

a cura di Laura Marchesini


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Piazza Malatesta RIMINI

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PABLO

PICASSO La Celestine è una suite di 66 incisioni – acqueforti, acquetinte e puntesecche eseguite da Picasso nel 1968 per illustrare la tragedia satirica attribuita a Fernando de Rojas, La Celestine, prima opera drammatica spagnola pubblicata a Burgos nel 1499. L’opera narra la storia tragicomica di Celestina, simbolo fatale ed ironico del femminino. La trama è semplice: nella speranza di guadagnarsi una lauta ricompensa, la vecchia e astuta Celestina fa da intermediaria nella vicenda sentimentale di Calisto e Melibea. L’intreccio si conclude in tragedia: la mor te accidentale di Calisto, il disonore e il conseguente suicidio di Melibea; anche Celestina e i suoi complici periscono. Il romanzo di Rojas fu subito uno dei più impor tanti casi letterari ed editoriali della cultura spagnola. “Fu paragonata alla scoperta, negli stessi anni, delle miniere del Nuovo Mondo. Fu la miniera del teatro nazionale spagnolo. S’intitolava Tragedia di Calisto e Melibea. Il Rinascimento italiano la ribattezzò La Celestina, e con questo nome la impose all’Europa”. Alla serie di edizioni del testo originali seguirono in breve numerosissime traduzioni in tutta Europa; riletture e rivisitazioni attraversano diversi generi letterari, dal teatro alla poesia al racconto dialogato. Questa storia, che ruota attorno all’amore, al denaro e al tradimento fu sempre cara a Picasso, che ne collezionò diverse edizioni.

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La Celestine A cura di Alessandra Bigi Iotti

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L’originale edizione tradotta in francese da Pierre Heugas - tirata in 400 esemplari numerati e firmati su carta Canton du Moulin Richard-de Bas – e illustrata da Picasso, continua e rinnova questa tradizione. Le 66 incisioni, realizzate con una urgenza espressiva dirompente e ossessiva (dall’11 aprile al 18 agosto 1968) da un Picasso ottantasettenne, sono il racconto di una vita, la narrazione sagace e ironica del suo immaginario erotico e onirico. Sappiamo che era impaziente di vedere la stampa non appena tirata dai fratelli Aldo e Piero Crommelinck, che avevano installato il loro atelier a Mougins, dove Picasso viveva con Jacqueline. L’interesse di Picasso per la figura di Celestine, come è noto, risale almeno al famoso ritratto della mezzana cieca da un occhio, La Celestina appunto (1904), realizzato nel periodo trascorso a Barcellona e capolavoro del cosiddetto periodo blu. La suite di incisioni rielabora all’infinito, con fare compulsivo, alcuni dei temi più cari all’artista restituendo l’idea di un Picasso “burlone” che osserva, non visto, e racconta con vivacità e ironia l’aspetto grottesco del mondo attraverso immagini poetiche e irriverenti. Diversi i procedimenti che il maestro impiega – passa con disinvoltura dall’acquatinta all’acquaforte, all’incisione a secco – in una sorta di laboratorio sperimentale. Perché, d’altronde, “Picasso non cerca, trova”. Ritorna con ossessiva costanza in molte delle acquetinte della Celestina il ciclo de “Il pittore e la modella”, rivisto e rielaborato prevalentemente all’acquatinta e caratterizzato dal contrasto drammatico dei bianchi e dei neri, in una sorta di spregiudicato recupero della pittura tenebrosa spagnola del Seicento. Altrettanto stringente è il rapporto con il ciclo, parallelo, “Raffaello e la Fornarina”, nel quale, similmente, Picasso, in vesti di volta in volta differenti – abiti ecclesiastici, esotici, eccentrici ed in ultimo in abiti moderni - spia i rapporti amorosi tra Raffaello e Fornarina, al secolo Margarita Luti da Siena. 174


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Per molto tempo le incisioni di Picasso furono interpretate semplicemente come raffigurazioni pornografiche realizzate dall’anziano artista per alimentare il proprio desiderio ormai spento. Ma la complessità del loro significato fu rimessa in discussione nel 1972 dagli scritti di Gert Schiff e Leo Steinberg, che misero in luce la metafora rappresentata dall’artista. Picasso scelse Raffaello perché rappresenta il pittore per eccellenza, il mito immortale e senza tempo della pittura. L’artista ama ciò che dipinge – la sua modella - e nel farlo ama anche la pittura. Il voyeur è l’occhio invadente del terzo individuo, lo spettatore. Ogni spettatore, osservando un dipinto, sbircia nel processo creativo intimo dell’artista, spia quell’atto d’amore tra l’artefice, il suo soggetto e la pittura. L’energia vitale del sesso è nell’arte di Picasso una metafora del suo potere creativo. Una metafora efficace per Picasso che, come Raffaello, era noto per le sue avventure amorose e per le sue amate, spesso modelle delle sue opere.

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FEDERICO

FELLINI a cura di Nicola Bassano e Marco Leonetti È appena stata inaugurata a Malaga, nel Museo Picasso, una esposizione dedicata a un illustre riminese intitolata Y Fellini soñò con Picasso (E Fellini sognò Picasso). Il prestigioso museo spagnolo ha chiesto in prestito al Comune di Rimini una mostra di disegni di Federico e la copia anastatica del Libro dei Sogni, entro il quale sono contenuti racconti e rapidi schizzi grafici di tre sogni dedicati al grande pittore iberico. In occasione della terza edizione della Biennale Disegno, la città di Rimini allestisce, oltre a una vasta selezione di disegni di Federico Fellini di cui è proprietaria, anche un importante nucleo di inediti che il regista, durante le riprese del Casanova, aveva donato al suo amico fraterno, sceneggiatore e poeta,

Tonino Guerra, che ora sono conservati in una collezione privata riminese.

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Si tratta di un gruppo di quarantadue disegni, di piccolo formato, ma di coerente invenzione e di propulsiva ironia. Quasi ogni foglio reca un titolo lapidario, scritto dallo stesso Fellini in lingua inglese, forse in previsione di una pubblicazione di ambito internazionale, della quale tuttavia non si ha altra notizia. Questo colorato mazzo di car te costruisce un vero castello satirico, dalla natura quasi psicanalitica, entro il quale una sequenza di personaggi si trova a dialogare col proprio alter ego sessuale. Del grande regista si conoscevano singoli disegni analoghi, ma questo è il nucleo piĂš compatto, ideato su un preciso filo conduttore al punto da comporre, se escludiamo il Libro dei Sogni, l’unico altro libro tematico nel pirotecnico mondo grafico di Federico.

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La mostra di Malaga mette a confronto due figure vulcaniche del Novecento europeo, che altre volte sono state associate per eccentricità e poetica. I temi erotici e quelli circensi sono di certo i terreni di maggiore affinità, ma anche la capacità di far fiorire linguaggi inaspettati, il talento della trasformazione e la vorace curiosità sono campi paralleli per i due geniali artisti. Fellini sognava di essere con Giulietta in casa di Picasso in un’atmosfera familiare, ma forse anche Picasso ha sognato Fellini, film come La Strada, 8 e 1/2, e La Dolce Vita, furono opere consentanee all’immaginario di Pablo. In risposta speculare alla mostra di Malaga, Rimini allestisce nel Castel Sismondo, futura sede del Museo Fellini, anche una esposizione dedicata alla Celestine, la bellissima “sinfonia” erotica in sessantacinque tavole, incisa da Picasso nel 1968.

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An exhibition dedicated to a famous man from Rimini, titled Y Fellini soñò con Picasso (E Fellini sognò Picasso). (And Fellini dreamt of Picasso), has just been opened in Malaga, in their Picasso Museum. The prestigious Spanish museum asked to borrow an exhibition of Federico Fellini’s drawings from the Municipality of Rimini, and a reprinted copy of the Libro dei Sogni, within which there are stories and quick graphical sketches of three dreams dedicated to the great Spanish painter, Picasso. In occasion for the third edition of the Biennale Disegno, the city of Rimini is setting up, apart from a vast selection of Federico Fellini’s proprietary drawings, an important collection of never before seen art that the director, during his shoot in Casanova, had donated to his brotherly friend, screenwriter, and poet, Tonino Guerra, which are now held in a private collection in Rimini. The collection is composed of forty-two drawings, small in size, but of a coherent inventiveness and strongly ironic. Every page has an almost blunt title, written by Fellini himself in English, perhaps foreseeing an international publication. However, little more is known about them. This colourful deck of cards builds a veritable satiric castle, of a nearly psychoanalytical nature, within which a series of characters find themselves in dialogue with their own sexual alter egos. Other, analogous single drawings made by Fellini were known, but this is the most compact collection, made with a precise train of thought so that, excluding the Libro dei Sogni, it’s the only other thematic book in Federico’s pyrotechnically artistic world.

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The Malaga exhibition compares two volcanic figures of the European 20th century, who have been called similar many times before for their eccentricity and poetry. The themes of the circus and eroticism are certainly where their greatest affinity lies, but it’s also their ability to allow unexpected language to bloom, their talent for transformation, and their voracious curiosity are parallel for both of these brilliant artists. Fellini dreamt of being with Giulietta in Picasso’s house in a familial atmosphere, but perhaps even Picasso dreamt of Fellini, films such as La Strada, 8 e 1/2, and La Dolce Vita, which were works of art that mirrored Pablo’s consciousness. In response to the Malaga Exhibition, Rimini is dedicating an exposition to the Celestine in Castel Sismondo, the future location of the Fellini Museum. It’s a beautiful erotic “symphony” of sixty-five panels, engraved by Picasso in 1968.


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DIEGO ZUELLI LE PARTI NON VERE Quando nel 2013 Diego Zuelli venne invitato dai Musei di Rimini a partecipare alla esposizione Fellini all'opera, presentata nel foyer del Teatro Galli, rispose con la raffinata e generosa creazione di sei sequenze disegnate in supporto digitale. Il risultato è un gioiello filmico cesellato alla tastiera di un computer, come dire plasmato a mano nella più alta disciplina tecnologica, e interamente dedicato alla suprema finzione che Federico Fellini mise in scena nel proprio cinema. Le parti non vere sembrano sei giochi d'arte illusoria che esordiscano con la sparizione del prestigiatore. La parzialità e la falsità a cui fa riferimento il titolo lascia presupporre che, dietro alla favola filmica, esista un complemento di realtà, una restante percentuale di vero che sopravvive nell'opera. Ma quale sia la componente fasulla e quale la genuina rimane un mistero che l'autore non intende risolvere. La luna scenografica in riva a un mare luccicante e sospeso, mostra una bidimensione che è solo apparente, mentre quella che rotola paurosamente fuori dal sipario del teatro, finisce per decollare leggera sopra le nostre teste. Fiamme di carta e onde dipinte su grandi rulli, ci restituiscono l'ossimoro di un geniale utilizzo dell'ingenuità, degli espedienti propri di quelle carovane dello spettacolo itinerante che furono modello primario del grande regista. Si stratifica così, in questa ipnotica, simbolica e scenografica opera di Diego, il disegno, la pittura, il teatro e il cinema per compiersi, forse solo momentaneamente, nello schermo gelatinoso di un computer. Leone Gualtieri

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Le parti non vere, 2013, hd video projection, computer graphics, stereo sound

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L’Eco del Tempo dal Fondo di Montefiore dell’Aso a cura di Tiziana Maffei

Può dirsi una poetica in rima baciata quella di Adolfo

De Carolis, che sorregge un immaginario encomiastico e una possente intonazione aulica. Il suo amore per la simmetria e per il decoro, per un’epica sotto dei

mai

un

armonico

corpi

alberi,

la

disgiunta

con

dal

registro,

le

lapidarietà

simbolo, le

convivere,

maiuscole

addomesticate delle

fa

parole

torsioni

fronde con

degli l’enfasi

parlante dei fiori, le geometrie dell’architettura con le raffinate eloquenze del pensiero. Ogni oggetto rappresentato, nei suoi disegni o nelle pitture, è portatore di un ruolo e anche i più semplici strumenti

di

lavoro

divengono

attributi

di

senso

supremo.

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Adolfo De Carolis, Studio di nudo maschile per il Salone del Palazzo del Podestà di Bologna

Non sembra esservi alcun quotidiano in quelle immagini, ma tutto si tramuta in allegoria, in metafora, in una rappresentazione, composta e insieme dinamica, piantata a terra eppure dotata di ali. Vitalità ed energia non mancano di certo, ma le nodose masse muscolari, attribuite tanto al genere virile quanto a quello femminino, servono alle sue figure per sorreggere un peso puramente semantico, quasi fossero telamoni di un palazzo mentale o atlanti che hanno sulla schiena un mondo squisitamente simbolico. La grande retorica di Adolfo De Carolis sembra tuttavia non sincronizzarsi sul tempo che gli sarebbe appropriato, rispetto alla dimensione imperiale che intende cantare, arriva troppo tardi o troppo presto. Gli imperi ottocenteschi dell’Europa sono già esauriti e, in sostanza, l’artista non riuscirà ad interpretare nemmeno quello italiano, che deve ancora venire quando si compie la sua parabola decorativa.

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Precocemente invece lo conobbe e lo intese Gabriele D’Annunzio, che lo volle a interprete visivo dei propri testi, delle proprie drammaturgie tradotte a stampa. Adolfo De Carolis, Il giorno

Al piombo dei caratteri di quei libri De Carolis affiancò i suoi legni intagliati a sgorbia, che lo elessero a principe della xilografia, di una pratica arcaica ed eroica che, anche grazie al suo impulso, ebbe una nuova e inaspettata stagione di auge. Adolfo De Carolis va considerato tra i più grandi inventori di fregi parietali a cavallo tra i due secoli e i suoi apparati decorativi hanno posto il sigillo all’ultima epoca grandiosa di questa disciplina.

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Adolfo De Carolis, Testata della rivista La Fiamma

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Adolfo De Carolis, Studio di nudo maschile

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Un canto del cigno, il suo, che intendeva tributare un esplicito omaggio alla Cappella Sistina, a quella mirabile sproporzione superomistica che ha segnato il Rinascimento italiano, volgendolo verso la Maniera. Di quel programma tardivo, davvero revival, il disegno costituisce la nervatura principale e il fondo di Montefiore dell’Aso ne è una straordinaria conferma.

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I tanti fogli accurati che studiano a sanguigna le pose dei corpi, accompagnano le idee alle rispettive traduzioni pittoriche; piĂš rapidi e nervosi sono gli abbozzi a pennello, nei quali la cromia, trattenuta ai limiti del monocromo, li fa assomigliare a bassorilievi.


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Vera sorpresa, al visitatore del museo piceno e della mostra riminese, sono i rapidi schizzi compositivi, attraverso i quali l’artista disponeva le scene e ripartiva le narrazioni in un groviglio di segni che restituiscono tutta la sua foga creativa, la piÚ spontanea e sincera invenzione.

Adolfo De Carolis, Studio per allegoria del fiume Reno

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Fogli barocchi dalla raccolta

Maurizio

Nobile a cura di

Marco Riccòmini

Andrea Lilio

(Ancona 1562 circa - post 1639)

Santa Caterina d’Alessandria incoronata da due angeli

matita nera, su carta azzurra, mm 190x111

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Simone Cantarini

(Pesaro 1612 - Verona 1648)

Studi di figure

Sanguigna su carta, mm 200x200

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Fogli Barocchi di Marco Riccòmini

Fogli barocchi, ovvero bolognesi, dal Guercino al Giani faentino, dalla metà del Seicento agli sgoccioli del Settecento; ossia dal Barocco al Neoclassicismo. Fogli di studio ed esercizi della mano, in vista di opere celebri oppure usciti da aule di lezione. Che era quello che a Bologna a quel tempo andavano raccomandando gli insegnanti nelle classi del nudo, poi in Accademia Clementina, ed anche lo Zanotti, che di quella scuola scrisse la storia: «l’aggiustatezza del disegno, e il trattarlo con eleganza, e franchezza, è quello principalmente, che un giovane dee studiare» andava ripetendo, sulle pagine della sua Storia dell’ Accademia Clementina (1739).

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Dai Carracci in poi, dalla loro prima Accademia, detta allora degli Incamminati, la pratica del disegno divenne a Bologna il fondamento primo di ogni disciplina artistica. E da quei primi anni si comincia qui con lo studio a penna quasi veristico d’uno scarnito Girolamo nel deserto, del Guercino. Lo seguono i più bei nomi dal finire del Seicento fino a tutto il Settecento, da Donato Creti (con una misteriosa Sibilla, che frulla un globo sulla punta delle dita) alla suite di quattro favole mitologiche inventate a carboncino da Gaetano Gandolfi (Mercurio e Argo, Ratto di Dejanira, quello d’Europa, e poi Venere che scopre il corpo di

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Adone), a preparare una serie di erudite tele ottagonali. E siccome lo Zanotti ammoniva i giovani che ai maestri del passato occorreva anche affiancare lo studio dal vero, ecco che non manca in questo gruppo un bel nudo a matita rossa di Ubaldo Gandolfi, uscito dalle aule della Clementina. Chiude la serie la colorata Danza delle Ore del piemontese fattosi bolognese Felice Giani, che studia o ricorda la volta della sala ellittica del gabinetto di astronomia di palazzo Laderchi a Faenza, eseguita nel 1796 per il conte Achille, quando le truppe di Napoleone stavano per entrare nelle Romagne.


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Guido Cagnacci (attr.) (Santarcangelo 1601 Vienna 1663)

Profilo di giovane

Sanguigna su carta avorio mm 215 x 276

Domenico Maria Fratta (Bologna 1696 - Bologna 1763)

La morte di Assalonne Matita nera, tempera bruna e biacca su carta bianca mm 347 x 483

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Fogli Barocchi

by Marco Riccòmini

Baroque pages, from Bologna, from Guercino to Giani from Faenza, from the middle of the 17th century to the end of the 18th century; that is, from Baroque to Neoclassicism. Sketch papers and hand exercises, made for famous pieces or straight from classrooms. It’s what was recommended in Bologna at the time to the teachers of nude art, then in the Clementina Academy, and even in the Zanotti, who wrote the history of those schools: «the adjustment of the drawing, and treating it with elegance, and frankness, is mainly what a youth must study» is a repeated phrase, in the pages of his Storia dell’ Accademia Clementina (1739). From Carracci onwards, since their first Academy, once called the Incamminati, the practice of drawing became the prime foundation of every artistic discipline in Bologna. From those first years we can see a faithful study of the pen in a gaunt Saint Jerome in the desert, by Guercino.

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Flaminio Minozzi (Bologna 1735 -1817) e Ubaldo Gandolfi ((1728 - 1781) Progetto in pianta e alzato per altare con gruppo scultoreo raffigurante la Flagellazione penna, inchiostro bruno e acquerello grigio mm 643x442


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Ubaldo Gandolfi

((1728 - 1781))

Ritratto di Marta nipote dell’artista

Sanguigna e biacca su carta mm 305 x 220

The most famous names of the 17th century followed suit throughout all the 18th century, from Donato Creti (with a mysterious Sibilla, that whirls a globe upon her fingertips) to the suite of four mythological fables made in charcoal by Gaetano Gandolfi (Mercurio e Argo, Ratto di Dejanira, the story of Europa, and then Venere che scopre il corpo di Adone), prepared in a series of erudite octagonal canvases. Since the Zanotti admonished the youths about how even the masters of the past needed to add some work that was true to life, that explains the presence of a great nude in red pencil by Ubaldo Gandolfi in this group, from the halls of the Clementina. Closing out the series is the colourful Danza delle Ore by Felice Giani, from Piedmont and subsequently Bologna, who studied or memorized the vault of the elliptical astronomy room in the Laderchi palace in Faenza, which was commissioned in 1796 for count Achille, when the Napoleonic troops were about to enter Romagna.

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Felice Giani

(San Sebastiano Curone, Alessandria 1758 – Roma, 1823)

La danza delle ore

Tempera su carta, mm 289x420

Gaetano Gandolfi (San Matteo della Decima, Bologna 1734-Bologna, 1802)

Il Ratto di Europa

Carboncino con gessetto bianco mm 324x435

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Ubaldo Gandolfi

((1728- 1781)

Mercurio e Argo

Penna inchiostro bruno e bistro su carta, mm 301x216

Donato Creti

(Cremona 1671 - Bologna 1749)

L’Astronomia

(recto) Penna inchiostro bruno, mm 190x111

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Giovanni Buffa Disegno a Piombo, cartoni per vetrate

a cura di Laura Marchesini

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GIOVANNI BUFFA

(Casale Monferrato, 1871 - Milano, 1954) Angeli, vetrata superiore centrale transetto sinistro del SS. Redentore di Milano, carboncino nero e bianco, mm 2931 x 1180 courtesy Maurizio Nobile Bologna

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GIOVANNI BUFFA

(Casale Monferrato, 1871 - Milano, 1954) Crocifissione, vetrata mediana centrale transetto destro del SS. Redentore di Milano, carboncino nero e bianco, mm 2470 x 1132 courtesy Maurizio Nobile Bologna

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GIOVANNI BUFFA

(Casale Monferrato, 1871 - Milano, 1954) Maddalena, vetrata inferiore centrale transetto destro del SS. Redentore di Milano, carboncino nero e bianco, mm 2374 x 1139 courtesy Maurizio Nobile Bologna

GIOVANNI BUFFA

(Casale Monferrato, 1871 - Milano, 1954) NativitĂ , vetrata inferiore centrale transetto sinistro del SS. Redentore di Milano, carboncino nero e bianco, mm 3800 x 1165 courtesy Maurizio Nobile Bologna

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Era il 1928 quando Monsignor Carlo Coccini1 decise di far decorare le vetrate a tre lancette del transetto della Chiesa del Santissimo Redentore di Milano2 con le scene dell’Adorazione dei pastori e della Crocifissione del Messia. Da tempo aveva sensibilizzato i parrocchiani verso quest’impresa e puntuali stavano arrivando le donazioni dei fedeli che il Bollettino parrocchiale registra come a voler sollecitare la generosità di chi ancora titubava3. La scelta dell’artista al quale affidare l’impegnativa commessa ricadde su Giovanni Buffa (Casale Monferrato, 1871-Milano, 1954)4. A quel tempo il pittore aveva già una consumata esperienza nel campo e a confermarne l’indubbia maestria erano sotto gli occhi di tutti le bellissime vetrate del Duomo di Milano, realizzate nel 1910, con le storie di san Carlo Borromeo. Se al Buffa spettavano la maggior parte dei cartoni preparatori, all’impresa aveva atteso l’intera équipe della notissima G. Beltrami & C. – Vetrate artistiche5. La manifattura era stata fondata nel 1901 dal pittore Giovanni Beltrami con la collaborazione di Innocente Cantinotti, Guido Zuccaro e naturalmente di Giovanni Buffa. Definita come una “Ditta che fa davvero onore all’industria italiana” 6, la vetreria si era specializzata nell’esecuzione di vetrate di carattere sacro e profano, diventando la protagonista quasi assoluta della brevissima stagione del Liberty nazionale in questo settore. Durante l’Ottocento vi era stata una ripresa dell’arte della vetrata, alla quale aveva contribuito il Romanticismo con la “riscoperta” del Medioevo e delle sue forme artistiche. In Italia ed in particolare a Milano si deve alla Famiglia Bertini7, a lungo impegnata anche nei restauri e nell’integrazione delle vetrate del Duomo, il rinnovato interesse per questa tecnica declinata in particolare nell’uso di dipingere sul vetro a smalto, concependo la vetrata come un mero dipinto su supporto trasparente.

Il grande merito della G. Beltrami & C. – Vetrate artistiche era stato invece quello di aver recuperato l’antico sapere dell’arte vetraria lavorando con il metodo del vetro colorato in pasta, assemblato attraverso una maglia di piombo, per ottenere l’effetto di un mosaico di vetro8. Con questa tecnica Giovanni Buffa affrontò anche la commessa per la chiesa del SS. Redentore9. Per L’Adorazione dei pastori del transetto di sinistra, terminata nel luglio del 1929, il Buffa realizzò 6 cartoni preparatori a gessetto nero e bianco in scala 1:1 che si discostano per alcune varianti da un’idea iniziale di cui resta memoria in un bozzetto pubblicato sul Bollettino parrocchiale10. A distanza di un anno il Buffa licenzia anche la seconda vetrata con la Crocifissione11 per la quale impiega sette cartoni eseguiti con il medesimo medium. Si tratta di uno studio accurato dell’impaginato e del chiaroscuro che sull’opera finale era stato reso con la tecnica “a grisaille” cioè con ritocchi di pittura più scura sulle singole tessere di vetro colorato. I grandi fogli coprono ciascuno all’incirca la metà di una lancetta e corrispondono a due o tre antelle della vetrata. Veri e propri strumenti di lavoro conservano le tracce di riquadrature, misurazioni, punti interni alla composizione e qualche appunto scritto dallo stesso pittore. In particolare sullo sfondo alle spalle degli angeli dell’Adorazione dei Pastori si intravedono i contorni delle singole tessere di forma geometrica irregolare. A dispetto dell’opera finita dove la luce e i colori rapiscono la visione, i carboncini restituiscono a pieno la plasticità delle forme e la nettezza dei contorni del disegno che sulla vetrata sono sfumati dal passaggio della luce. Al momento della commissione per il SS. Redentore il Buffa lavora ormai da solo ed infatti è il suo il solo nome citato nei documenti parrocchiali. Con la morte del Beltrami nel 1926 l’intera ditta aveva subìto una significativa diminuzione di lavoro, rivolgendosi quasi esclusivamente al Duomo e chiudendo definitivamente nel 193212. La recente scoperta di questi cartoni al vero è la viva testimonianza delle modalità di lavoro di questo artista e consente di meglio comprendere una delle fasi della complessa e affascinante costruzione di una vetrata artistica della prima metà del XX secolo. Laura Marchesini 208


LAZMAG GIOVANNI BUFFA

(Casale Monferrato, 1871 - Milano, 1954) Angeli, vetrata superiore centrale transetto destro del SS. Redentore di Milano, carboncino nero e bianco, mm 1300 x 1135 courtesy Maurizio Nobile Bologna

1. Sacerdote della Parrocchia del SS. Redentore dal 1901 al 1941. 2. A. Rovi, L’architettura dell’eclettismo e le chiese del Novecento, in Le Chiese di Milano, a cura di M. T. Fiorio, Milano 2006, pp. 448-465, a p. 453; La Chiesa del SS. Redentore e di Santa Maria di Loreto in Milano, Milano 2000. 3. S. a., Albo d’oro in “Bollettino Parrocchiale del SS. Redentore Milano”, n. 7, 1 luglio (1928), p. 108; S. a., Albo d’oro in “Bollettino Parrocchiale del SS. Redentore Milano”, n. 8, 1 agosto (1928), p. 121. Le donazioni continueranno anche per tutto l’anno successivo. Si ringraziano Don Natale Castelli, l’Architetto Patrizio Buniva e il signor Fulvio Zanni per la squisita accoglienza presso l’Archivio Parrocchiale della Chiesa del SS. Redentore di Milano. 4. Geniale e poliedrico il Buffa era passato dalla grafica alla pittura, approdando con mirabili risultati all’arte vetraria, per dedicarsi nell’ultima parte della sua carriera alla scultura (P. Chiesa, Artisti contemporanei: G. Buffa, in “Emporium”, vol. XLVI, n. 275, (1917), pp. 227-240); per un inquadramento generale si veda anche A. M. Comanducci, Dizionario illustrato dei pittori, disegnatori e incisori italiani moderni e contemporanei, I, Milano 1964, p. 279. 5. U. Nebbia, La nuova vetrata di S. Carlo nel Duomo di Milano, in “Emporium”, vol. XXXIII, n. 193 (1911) pp. 62-76; E. Brivio, Le vetrate istoriate del Duomo di Milano. La fede narrata dall’arte della luce, Milano 1980, p. 45. 6. S. a., L’Arte industriale, in “L’edilizia Moderna”, a. XIII, fasc. IV, aprile (1904), p. 16. 7. E. Castelnuovo, Vetrata in Enciclopedia Universale dell’arte, vol. XIV, Venezia-Roma 1966, colonne 744-766, a col. 762. 8. U. Nebbia, La nuova vetrata di S. Carlo nel Duomo di Milano, in “Emporium”, vol. XXXIII, n. 193 (1911), pp. 62-76, a pp. 65-66; A. Novellone, Il Liberty nell’arte della vetrata a Milano ai primi del ‘900: la ditta “G. Beltrami & C. – Vetrate artistiche”, in “Storia dell’arte”, n. 62 (1988), pp. 87-95, a pp. 87-88. 9. Il Bollettino parrocchiale ricorda che la vetrata con l’Adorazione dei pastori “è lavorata in grisaille, cioè modellata in chiaro-oscuro su vetri colorati in pasta, dipinti e cotti a gran fuoco in successive infornate. I diversi pezzi di cui risulta la vetrata sono rilegati insieme in una specie di mosaico con piombo trafilato (S. a., La nostra vetrata artistica, in “Bollettino Parrocchiale SS. Redentore”, a. XX, n. 8, 1 agosto 1929, pp. 120-121, a p. 120). Per le vetrate della Chiesa in generale si veda anche: La Chiesa del SS. Redentore..cit., pp. 181-188. 10. Ivi. 11. S. a., Restauri alla Chiesa Parrocchiale, in “Bollettino Parrocchiale SS. Redentore”, a. XXI, n. 11, 1 novembre (1930), pp. 171-172, a p. 171. 12, A. Novellone, Il Liberty nell’arte della vetrata …cit., nota 3 a p. 87.

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Jiří Kolář

JK: l’Acronimo della Bellezza a cura di Mauro Stefanini

Jiří Kolář nasce nel 1914 a Protivín in Boemia. Nel 1922 si trasferisce a Kladno vicino a Praga. Dopo un’adolescenza caratterizzata da lavori fortuiti, a sedici anni scopre l’edizione ceca di “Les mots en liberté futuristes” di Filippo Tommaso Marinetti, che lo conduce nel mondo della poesia moderna, fondamentale per la sua futura ricerca artistica. Grazie all’incontro con il Surrealismo inizia a lavorare con la tecnica del collage. Nel 1937 espone per la prima volta al Mozarteum di Praga. Nel 1941, durante l’occupazione tedesca, esce la sua prima raccolta di poesie e l’anno seguente fonda il “Gruppo 42” insieme ad altri artisti.

Jiří Kolář - Ricordo di Venezia 1951-69 - Emulsione fotografica su tela - cm. 84,5 x 140

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Jiří Kolář - Uovo Macchiato 1969 - Collage su oggetto chiasmage - cm. 80 x 60

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Tra il 1946 e il 1948 compie alcuni viaggi a Parigi, in Germania e in Gran Bretagna e qualche anno dopo esce Il Fegato di Prometeo (1952) nel quale, unendo le immagini alla poesia e alla prosa, denuncia la drammatica situazione cecoslovacca dopo l’avvento del regime comunista; una dura verità che insieme ad altri scritti gli costa il carcere per nove mesi e il divieto di pubblicazione fino al 1964. Verso la fine degli anni Sessanta espone in Germania e in Brasile dove nel 1969 è premiato alla X Biennale di San Paolo quindi in Canada e in Giappone.

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Nel ‘75, nel ‘78 e nell‘85 il Solomon R. Guggenheim Museum di New York gli dedica tre importanti mostre personali (Kolář e Picasso sono gli unici artisti che, da viventi, hanno avuto l’onore di tre mostre personali presso il Guggenheim di New York). Seguiranno molte altre esposizioni in tutto il mondo. Nel 1983 conclude il “Dizionario dei metodi”, una raccolta con tutte le tecniche utilizzate per la realizzazione delle sue opere: collage, ventilages, chiasmages, confrontages, etc. Le sue opere sono presenti nei maggiori musei del mondo. Nel 1991 riceve il Premio Seifert e viene nominato cittadino onorario di Praga, dove muore nell’agosto del 2002.

Jiří Kolář - Untitled 1951-67 - Emulsione fotografica su tela - cm. 150 x 120

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É del 2012 un’importante retrospettiva presso il MOCAK di Cracovia, mentre nel 2014 si è tenuta una mostra antologica presso la Kunstforum Ostdeutsche Galerie di Regensburg, in Germania ed una mostra-tributo in onore del centenario della nascita dell’artista (September 23, 2014 - February 8, 2015) presso il Museum Kampa di Praga. L’anno successivo una mostra antologica con più di 160 lavori gli è stata dedicata a Prato presso la Galleria Open Art ed il museo di Pittura Murale di San Domenico.

Jiří Kolář - Nemocna (la Paziente) 1965-69 - Emulsione fotografica su tela - cm. 135 x 95

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Jiří Kolář Jiří Kolář - Indianske Jaro (Primavera Indiana) 1970 Chiasmage e collage a rilievo negativo su tavola - cm. 100 x 71

Jiří Kolář - Vyhnani z Pekla (Espulsi dall’Inferno) 1971- Oggetti chiasmage su tavola - cm. 100.2 x 71.4

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Guggenheim), followed by many other exhibitions all over the world. In 1983, he completed the “Dictionary of Methods”, a collection of all the techniques used to realise his works: collage, ventilage, chiasmage, confrontage, etc. His artworks can be found in the world’s leading galleries. In 1991, he received the Seifert Prize and was named an honorary citizen of Prague, where he died in August 2002. In 2012 took place an important retrospective held at MOCAK in Krakow, whereas, in 2014, an anthological exhibition was held at the Kunstforum ostdeutsche Galerie in Regensburg, Germany and at the Museum Kampa, in Prague. The following year a solo exhibition with more than 160 works was dedicated to him at the Galleria Open Art and at the Museum of Wall Painting in Prato.

Jiří Kolář - Battesimo 1976 - Chiasmage a rilievo su tavola - cm.100 x 70

Jiří Kolář was born in 1914 in Protivìn in Bohemia. In 1922, he moved to Kladno near Prague. After an adolescence marked by a series of casual jobs, he discovered, at the age of sixteen, the Czech edition of “Les mots en liberté futuristes” by Filippo Tommaso Marinetti, which transported him into the world of modern poetry, fundamental to his future artistic experimentation. Thanks to his encounter with Surrealism, he began working with collage. In 1937, he exhibited for the first time at the Mozarteum in Prague. In 1941, during German occupation, his first collection of poetry was published, and the following year he founded the “Group 42” with other artists. Between 1946 and 1948 he travelled to Paris, Germany and Great Britain and a few years later The “liver of Prometheus” (1952) was published, in which he used a combination of imagery, poetry and prose to report the dramatic situation in Czechoslovakia after the establishment of the communist regime; a harsh truth which together with other writings cost him a ninemonth prison sentence and a publication ban until 1964. Near the late Sixties, he exhibited in Germany and in Brazil, where in 1969 he won first prize at the X Sao Paulo Biennial, then in Canada and in Japan. In ‘75, ‘78 and ‘85 the Guggenheim R. Solomon Museum in New York hosted three important solo exhibitions (Kolář and Picasso are the only artists who, while still living, had the honour of three solo exhibitions at New York’s

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Jiří Kolář - Mela 1975 - Oggetto chiasmage - cm. 24 x 20 x 20

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Jiří Kolář - Orpheus’ Apple 1972 - Chiasmage e collage su tavola - cm. 70 x 50


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Jiří Kolář - Piramide 1971 Collage e chiasmage su legno sagomato - cm. 100 x 79 x 79

Jiří Kolář - Violoncello 1971 Collage su oggetto chiasmage - cm. 79.1 x 42.9 x 2.9

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Un progetto per il

Parco Marecchia _One mile long sea

di Alessandro Mulazzani Halbich One mile long sea (Un mare lungo un miglio) è un canale lungo 1 miglio nautico, pensato per accogliere l’acqua proveniente dal mare nel Parco XXV Aprile a Rimini. Intende essere un emblema della possibilità di adattamento (e non contrasto) all’innalzamento del livello marino. Innalzamento legato ai cambiamenti climatici, che sempre più spesso provoca allagamenti nel parco. Nel disegno iniziale, selezionato tra le opere finaliste della sezione di land art del XI Premio Arte Laguna 2015, One mile long sea è un filo (è stato “disegnato” proprio con un filo) sinuoso e intrecciato di acqua marina che gentilmente ricuce la terra col mare, astraendo nella forma i canali che la marea crea nelle barene. Un miglio nautico (1852 metri), una misura utilizzata in mare e familiare nella cultura di Rimini, viene qui usato provocatoriamente in terraferma per rafforzare il concetto, ma One mile long sea è anche una citazione ai Mile Drawings tracciati da Walter De Maria alla fine degli anni sessanta, e nelle sue forme ricorda le Isolated Mass di Michael Heizer. Non è pensato però nel deserto ma nel mezzo di una città e non è un segno astratto destinato ad essere eroso dagli agenti atmosferici ma a crescere ed evolversi come un organismo: il segno disegnato sul parco infatti è tridimensionale e creerà una morfologia che permetterà la crescita di quelle piante speciali che vivono a contatto con l’acqua marina, come il limonium o la salicornia (quelle che crescono nelle barene delle lagune adriatiche, ma che si trovavano anche nelle foci dei fiumi romagnoli quando questi raggiungendo il mare creavano aree di transizione tra il mare e la terra molto più vaste di oggi). Oltre ad evolversi nel corso degli anni One mile long sea cambierà ciclicamente aspetto nell’arco del giorno, delle settimane e dei mesi seguendo le fasi lunari, dal momento che l’estensione dello specchio acqueo dipenderà dalla marea. 218


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L’opera poi attirerà in maniera naturale molti altri organismi marini (granchi, molluschi, pesci...e uccelli acquatici, che arricchiranno la diversità del parco. Ed attirerà naturalmente persone: sarà a tutti gli effetti un “giardino di marino”, dove giardino va inteso nel suo significato più completo. A seguito dell’interesse dell’amministrazione di Rimini per il progetto, è stata approfondita la fattibilità dell’opera. Vincoli non previsti nella libera ideazione di One Mile Long Sea imporranno delle modifiche nel disegno bidimensionale dell’opera. Probabilmente non si tratterà più di un segno lungo un miglio ma di un disegno a rete, che meglio si armonizzi con il possibile passaggio delle acque di sfioro delle piene del Marecchia, che eccezionalmente attraversano il parco, ma non cambierà nel suo funzionamento ed aspetto sostanziale sul paesaggio del parco. Dovrebbe però cambiare il nome (...io proposi Un mare nel parco). Alessandro Mulazzani

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Palazzo Gambalunga Galleria dell’Immagine - Chiostro - Sale Antiche

EXHIBITION

Il Disegno della Polvere a cura di Eleonora Frattarolo

Giorgio Morandi Vanni Spazzoli Maria Elisabetta Novello Gonzalo Borondo Federico Murgia Silvia Zagni Raffaello Bassotto Franco Pozzi Raffaele Iacono

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ph. Emilio Salvatori

Paolo Migliazza


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Via Gambalunga, 27 RIMINI

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GIORGIO MORANDI (Bologna 1890-1964) Natura morta, 1953, matita su carta, cm 24x33,5, Milano, collezione privata, courtesy Gallera d’Arte Cinquantasei

Il Disegno della Polvere A CURA DI ELEONORA FRATTAROLO

Il Disegno della Polvere, a cura di Eleonora Frattarolo, è una mostra su ciò che siamo stati e saremo, su ciò che ci avvolge impalpabile, esito di disgregazione e generatore di nuova vita. Una mostra sulla polvere e le sue diverse sembianze, che sia sterile residuo di materia scomposta o aggregato molecolare genitore di corpi e sostanze, che sia continuum tra memoria e oblìo, nella dinamica olistica che connette la Terra al Cosmo, le polveri stellari agli aliti dei vegetali, piloti di pollini riproduttivi.

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La polvere “coperta del Tempo” che ammanta i corpi delle cose e li costringe con debole forza, la polvere che è frammezzo alla visione e annebbia i contorni della forma come in un sogno o un ricordo. La polvere in cui siamo immersi, humus vitale o mortale, noi inconsapevoli, e la polvere che il contemporaneo adopera per fornire corpi effimeri alle opere d’arte e decretare la crisi

GIORGIO MORANDI (Bologna 1890-1964) Vari oggetti su un tavolo, acquaforte su rame, 1931 collezione privata Bologna

dell’idea di “durata”.

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La mostra si estende nello storico Palazzo Gambalunga, nel cuore del centro storico di Rimini, a partire da due grandi sale che costituiscono la Galleria dell’Immagine, dove il visitatore inizierà a seguire gli andamenti del disegno della polvere con Vanni Spazzoli e le sue carte dipinte e disegnate, partiture riempite da frammenti di alfabeti di segni e pittura gestuale , vortici di sintagmi codificati e sospesi nello spazio tra prossimità e disparizione. A seguire, Maria Elisabetta Novello, che interviene con un’opera site specific le cui forze semantiche ed estetiche sono, come sempre accade nel suo lavoro, opposte alla labilità del materiale usato, perché l’Artista impiega cenere di legnami differenti, che il fuoco ha disgregato producendo residui dai colori diversi. Subito dopo, nel Chiostro, connotato da una particolare ariosità e chiarità dei materiali costruttivi, l’installazione di Gonzalo Borondo, sulla moltiplicazione ottica e cum-fusione della percezione di una figura femminile, disegnata su 12 grandi lastre di vetro, uno scenario della memoria tra delirio, illusione e sogno.

MARIA ELISABETTA NOVELLO Paesaggio, 2017 ceneri di legni in teca di pexiglass

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VANNI SPAZZOLI Senza titolo, 2017 grafite e pittura su carta

GONZALO BORONDO Ubiquitas, 2016 installazione,lastre di vetro graffiate e dipinte photo Blind Eye Factory 225


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FEDERICO MURGIA One milion dots particular, 2017 matita su carta

SILVIA ZAGNI Senza titolo, 2018 ruggini e materiali ferrosi

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POI, NELLE CINQUE SPLENDIDE SALE STORICHE AL PRIMO PIANO, DOVE È CONSERVATO IL NUCLEO PIÙ ANTICO DELLA PREZIOSA BIBLIOTECA DI PALAZZO GAMBALUNGA, HA INIZIO UN VIAGGIO CONCHIUSO E SERRATO, NEI TERRITORI DI UNA DIMENSIONE POETICA IL CUI INCIPIT, RAPPRESENTATIVO DI UNA NUMEROSA “FAMIGLIA SPIRITUALE” DI ARTISTI, È SCANDITO DA ALCUNI SUBLIMI ACQUERELLI, DISEGNI E INCISIONI DI GIORGIO

MORANDI.

LE OPERE SU CARTA DELL’ARTISTA BOLOGNESE, CHE FECE DELLA POLVERE SOGGETTO ICONOGRAFICO INTRINSECO AL TEMPO E ALLO SPAZIO, VENGONO ESPOSTE NELLA MAGNIFICA SALA DES VERGERS ANCHE PER TESTIMONIARE UNA “LINEA” DELLA STORIA DELL’ARTE CHE HA IN MORANDI UNO STRAORDINARIO PROTAGONISTA, CREATORE DI SOLUZIONI VISIVE AMPIAMENTE SVILUPPATE DALL’ARTE A NOI CONTEMPORANEA, COME RISULTA EVIDENTE IN QUESTA STESSA MOSTRA. Di seguito, nel centro della seconda sala, l’installazione di Silvia Zagni, grandi vasi frantumati e dilaniati dal caos, crateri composti da ruggini trasmutate in lamelle oscure che assorbono l’essenza del ferro e lo riducono in polvere, mentre d’intorno, a ridosso delle pareti, le cartografie di Federico Murgia, disegni di innumerevoli punti che nel posarsi e accumularsi evocano una sorta di rumore di fondo, frequenze cosmiche che marcano il tempo e l’ idea di durata. Nella terza sala, le superfici cosparse di polvere su cui Franco Pozzi inscrive con leggerezza indicibile segni al limite del visibile e della disparizione, desunti da alcuni acquerelli e disegni di Giorgio Morandi. Nella quarta sala, le fotografie di Raffaello Bassotto, reliquiari contenenti particole, frammenti, minuzie di corpi di Santi conservati in grandi magnifiche chiese. Opere d’arte orafa e decorativa, di ricamo, intaglio, intarsio, insiemi di architettura, storie, vite, rituali, che la fotografia fa rivivere illuminandone superfici e consistenze fabrili. Nella quinta sala, i lunghi rotuli disegnati col fumo di candela, di Raffaele Iacono, icone sapienti, antiche e concettuali, dove le fibre candide delle carte s’impregnano del nero vellutato, tremulo ed effimero, della lenta combustione dello stoppino e della cera, icone che guardano le sculture di Paolo Migliazza, collocate al centro del grande spazio, figure di adolescenti dagli occhi chiusi che sul nascere della giovinezza “sentono” il mondo e il suo peso, corpi già consapevoli di dolore, sfaldati e annichiliti nell’impasto della materia che li compone, polveri di carbone e paraffina, cemento, e terre, e pigmenti di ossidi.

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The Drawings of Dust “Il Disegno della Polvere”, by Eleonora Frattarolo, is an exhibition about what we were and what we will be, about what surrounds us and is often imperceptible, about what is both the fruit of disintegration and the generator of new life. It’s an exhibition about dust and its different aspects, be it the sterile residue of broken matter or the molecular aggregate that creates bodies and substances, the continuum between memory and oblivion, the holistic dynamics that connect the Earth to the Cosmos, the stellar dust to the breath of plants, makers of reproductive pollens.

RAFFEALLO BASSOTTO Reliquiae, 2011_2014 stampa su carta Hahnemuhle

DUST WHICH CLOAKS THE BODIES OF THINGS AND BINDS THEM WITH AN IMPALPABLE FORCE, DUST WHICH EXISTS IN-BETWEEN OUR VISION THAT BLURS THE CONTOURS OF SHAPE AS IN A DREAM OR MEMORY. UNAWARE, WE ARE IMMERSED IN DUST, A VITAL (OR MORTAL) HUMUS, AND DUST IS WHAT MODERNITY USES TO GIVE AN EPHEMERAL BODY TO ARTWORK AND CONFRONT THE CRISIS AROUND THE IDEA OF “DURATION”.

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FRANCO POZZI Camera chiara, 2017 pochoir di polvere su vetro crediti fotografici Gilberto Urbinati

The exhibition takes place in the historic Palazzo Gambalunga, in the heart of Rimini’s historic centre, starting in two large halls that constitute the Gallery of Images, where visitors will begin to follow the trail of the “Disegno della Polvere” with Vanni Spazzoli alongside his painted and drawn work, vast sheets full of scoring an pictorial representations that form pulverized alphabets, vortexes of codified syntagma suspended in time and space, between apparition and disappearance. Up next, Maria Elisabetta Novello, who intervenes with a site specific work of such semantic and aesthetic strength to, as always in her work, oppose the feebleness of the material in question, as the Artist has always worked with ashes from different woods, which fire has consumed, producing differently coloured residues. Immediately after, in the Cloister, denoted by its particular airiness and clarity in its building materials, we find Gonzalo Borondo’s installation, regarding optical multiplication and the fusion/confusion of perception of a female figure, drawn on 12 large glass plates, which inserts itself into the psyche and the realm of memory, like an illusory dream.

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RAFFAELE IACONO Senza titolo, 2011 tecnica mista e fumo di candela su carta

THEN, IN THE FIVE SPLENDID HISTORIC HALLS ON THE FIRST FLOOR, WHERE THE OLDEST HEART OF THE PRECIOUS PALAZZO GAMBALUNGA LIBRARY IS PRESERVED, WE’RE INTRODUCED TO A TIGHTLY CLOSED VOYAGE, IN THE LANDS OF A POETIC DIMENSION WHICH IS THE SYMBOLIC AND REPRESENTATIVE INCIPIT, OF A NUMEROUS “SPIRITUAL FAMILY” OF SUBLIME WATERCOLOURS, DRAWING, AND ENGRAVINGS BY GIORGIO

MORANDI, WHO MADE DUST PART OF HIS PICTORIAL ART,

INTERPRETED AS THE “VEIL OF TIME” BORN BY OBJECTS IN LIFE, TRANSFORMING THUS MEANING AND SHAPE.

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PAOLO MIGLIAZZA We are not super heroes, 2017 cemento e pigmenti

In the second room we find the cartographies of stellar dusts, galaxies, and cosmic magnetisms by Federico Murgia, alongside Silvia Zagni’s installation of large vases whose rusts have gone from red to different shades of gloomy darkness, having drank the essence of iron and broken it down into pieces, and then into dust. In the third room, along the perimeter, lay Raffaele Iacono’s “rotuli” made with the smoke from candles, conceptual and archaic icons where the breadth of the paper captures the tremblingly ephemeral blackness of combustion and in the centre, we find the sculptures of Paolo Migliazza, adolescent figures that “hear” the world, bodies created by dust and charcoal mixed with pigments and air, completing their essence and lending them words and symbolic strength. In the fourth room, there are the dust-covered surfaces upon which Franco Pozzi inscribes barely visible symbols of an unspeakable lightness, which end with some of Giorgio Morandi’s sketches and watercolours. Lastly, there is Raffaello Bassotto’s photography, which portray reliquaries containing bits of Saints’ bodies, held in deep dark churches; they are works in decorated gold, of embellished inlays and engravings, bundles of stories, of lives, of rituals which photography makes live again by illuminating their surfaces, aesthetic harmonies, and material craftsmanship. 231


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Casa del Cinema Fulgor EXHIBITIONS Sergio Toppi Lo Spazio dentro il Corpo a cura di Egisto Quinti Seriacopi

Ericailcane Potente di Fuoco disegni su carta 1985-2009

a cura di Andrea Losavio in collaborazione con libreria Modo Infoshop Bologna

Filippo Scòzzari Invisibili. Maleducate. Battaglie. Federico Moroni Insetti e Orologi

a cura di Annamaria Bernucci

Michele Provinciali e gli avvisi di Tonino Guerra

Neblubia: la cittĂ e lo sguardo dei bambini dalla Scuola Miramare 232

ph. Emilio Salvatori

La Scuola del Bornaccino Un Caso Internazionale


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Corso d’Augusto, 162 RIMINI

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SERGIO T O P P I LO SPAZIO DENTRO IL CORPO

a cura di Egisto Quinti Seriacopi

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“Tutto l’arco dei sentimenti si trova nel disegno del corpo e nel corpo del disegno”.

Sergio Toppi approda alla Biennale Disegno come rappresentante, dopo Hugo Pratt e Andrea Pazienza, di quello straordinario medium definito nel nostro paese con il termine di “Fumetto”. Termine coniato come titolo di un saggio – il primo storicamente riconosciuto – scritto da Carlo della Corte “I Fumetti”, apparso nella collana “Enciclopedia Popolare Mondadori”, nel febbraio 1961. Un medium che ha raccontato moltissime storie, raggiungendo la quasi totalità della popolazione del pianeta. Inizialmente considerato un linguaggio “minore”, ha poi intrapreso un percorso di rivalutazione, cominciato nel nostro paese con la nascita di Linus, nell’aprile 1965. Oggi possiamo affermare che alcuni Autori, con le loro Opere, possono entrare di diritto nel panorama Artistico internazionale per la loro cifra stilistica e narrativa che fonde disegno e testo: un connubio complesso, difficile da identificare (anche perché il termine italiano che definisce questo medium non lo definisce adeguatamente).

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Sergio Toppi_ Il tesoro di Yazid

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La produzione di Sergio Toppi, senz’altro uno degli Artisti di cui sopra, è tanto vasta quanto complessa. Una carriera iniziata molto presto, nel ruolo di illustratore per la UTET, e un passaggio altrettanto rapido al Fumetto, nel giro di pochi anni. Toppi inizia infatti nel 1966 la sua collaborazione al Corriere dei Piccoli (storica testata italiana pubblicata dal 1908 al 1995) e al Corriere dei Ragazzi (1972-76): periodici che hanno influenzato intere generazioni, di bambini prima e di ragazzi poi. È però dalla collaborazione con il Messaggero dei ragazzi, iniziata nel 1978, che il suo stile si personalizza e acquisisce le caratteristiche peculiari

do innovazioni grafiche, stilistiche e strutturali che portano alla memoria l’incisione ad acquaforte (ed è infatti artefice anche di un corpo di incisioni, realizzate per pura passione, che aggiungono un ulteriore percorso di lettura e di interpretazione della sua opera).

Sergio Toppi_ La lunga notte

Sergio Toppi_ Non pronuncerai quel nome

del suo modo di disegnare Fumetti. Toppi vìola i contorni che delimitano le vignette, precorren-

Negli anni Settanta questo stile caratterizza fumetti e illustrazioni pubblicati sulle maggiori testate italiane: Sgt. Kirk, Linus, alter alter, Il Giornalino, Il Mago, Corto Maltese, L’Eternauta, Comic Art, Ken Parker, Nick Raider. Le sue illustrazioni appaiono su pubblicazioni periodiche, su quotidiani e su copertine di libri: da Famiglia Cristiana a Selezione dal Reader’s Digest, dal Messaggero al Corriere della Sera, dai libri Einaudi a quelli della UTET. Tra il 1976 e il 1978, realizza tre volumi per la collana Un uomo un’ avventura, edita da Cepim – l’attuale Sergio Bonelli Editore.

Sergio Toppi_ Il tesoro di Yazid

Sergio Toppi_ La pietra

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Sergio Toppi_ Ho atteso mille anni

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In ciascuna delle opere, l’innovazione di Toppi prosegue e si evolve. Se il Fumetto, per tradizione, è una lettura che va da sinistra verso destra, vignetta dopo vignetta, per poi andare a capo a sinistra e continuare allo stesso modo, le tavole di Toppi hanno una lettura anche verticale, sono uniche nel loro genere. A volte possono addirittura essere lette autonomamente, senza l’ausilio del testo (che assume il ruolo di semplice compendio all’immagine), essendo perfettamente in sintonia con l’intenzione narrativa della storia. Possiamo considerare la struttura della tavola come un corpo grafico, dove il disegno che “leggiamo” all’interno dello spazio si sviluppa in una figura umana o un volto. In alcuni casi ritrae soggetti umani, in altri semplicemente un segno grafico, una pietra, una collina – e, al suo interno, altre immagini di oggetti, animali, persone, volti o accadimenti, si fondono creando un unicum emozionale, sempre coerente con la narrazione. Gran parte di queste creazioni racconta storie d’amore e guerra: conflitti non solo fisici, espressi con immagini in alcuni casi ieratiche e piene di pathos, che si uniscono o si dividono in scenari a volte giganteschi, a volte minimalisti, ma sempre profondi e visionari. Nel caso delle numerose copertine, tutto ciò viene inserito all’interno di una sola illustrazione, una singola immagine, un one-shot grafico: una struttura complessa in cui, oltre al segno, anche il colore è protagonista dell’insieme, diventando linguaggio. Sergio Toppi è stato un artista unico, sempre riconoscibile. Divenuto oggetto di grande attenzione da parte di critici e studiosi, è anche un punto di riferimento per tanti artisti di caratura internazionale, che hanno reinterpretato le sue modalità narrative e il suo insegnamento grafico. Egisto Quinti Seriacopi

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Potente di fuoco Disegni su carta (1985/2009) Rientra in Italia (e quale miglior sede espositiva del Cinema Fulgor di Rimini, da quest'anno protagonista della terza edizione della Biennale del disegno) dopo il successo riscosso a Besançon la scorsa estate, presso il Musée du temps, il progetto “Potente di fuoco” di Leonardo/Ericailcane, costituito da 88 disegni su carta raffiguranti animali reali e fantastici che si fronteggiano: 44 sono stati realizzati nel lontano 1985, dal piccolo Leonardo all'età di 5 anni, conservati con cura dai genitori che 25 anni più tardi decidono di “restituirli” al figlio autore, nel frattempo diventato l'artista Ericailcane. La tentazione di ridisegnarli/reinterpretarli è stata irresistibile. E così questa singolare sfida al tempo (questo il tema centrale ottimamente svolto dal Musée du temps di Besançon) ha preso forma in una geniale pubblicazione edita dalla libreria bolognese Modo Infoshop. Gli animali di ieri sono diventati “adulti”, al segno infantile incerto tracciato dall'analfabeta Leonardo con pennarelli e matite di fortuna, ma già dotato di straordinaria qualità e freschezza quanto a efficacia descrittiva e forza immaginifica, è subentrato quello perfetto e controllato in anni di esercizio di un talento non comune, in una sfida tra “il prima” e “il dopo” che non può trovare vincitore. La città di Rimini ha già conosciuto l'opera di Ericailcane che qualche anno fa, invitato dall'amministrazione Comunale, ha dipinto su di una grande parete murale a fianco del ponte di Tiberio un gigantesco gallo romagnolo che affronta un superbo pavone. L'esposizione riminese si arricchisce poi di nuovi inediti disegni del prossimo progetto, anch'esso sviluppato sulla medesima idea, gentilmente prestati da un appassionato collezionista di Rivabella. “Potente di fuoco” dunque come puro divertimento nella pratica del disegno, sia quella istintiva e inconsapevole svolta nei primi anni di vita dal bambino che quella ricercata ed evoluta di un artista maturo. Lasciamo infine alle parole suggestive di papà Giovanni pittore biologo, il compito di raccontare, in una lettera al figlio Leonardo/Ericailcane (prefazione al libro), che qui di seguito si riporta, scusandoci se il testo non è riprodotto nella sua forma olografa originale, la genesi di “Potente di fuoco”. Andrea Losavio

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CARO LEON ARDO ,

CHI L’AVREBBE MAI DETTO CHE DA GRANDE TI SA RE ST I DE DIC AT O A QU EI BR ON TO SA UR I DIS EG NA TI, ancora infante, dall’alto del seggiolone, con pennarelli di fortuna, o quelle ranocchie e schifosi rospacci che risultavano costruiti con carta (pancia e dorso) e in mezzo farciti con cotone idrofilo, tanto da acquistare un’anima anfibia! Ed erano meglio dei miei, pictor optimus, troppo statici per eccesso di zelo, di bravura. I tuoi erano vivi, con tutte le imperfezioni del caso, ci mettevi dentro l’indispensabile per farli funzionare: la rana saltava come una molla, il dinosauro inceneriva solo a guardarlo, le farfalle sfarfallavano, gli uccelli zampettavano, come solo loro sanno fare, erano talmente leggeri nel volo che tutti potevano intuirne le ossa pneumatiche. Io e tua madre ti avremmo voluto biologo di grande fama, fisico o ingegnere,

L E O NA R D O / ERICAILCANE

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ma inventore di animali...! E nonostante cio’ ti vogliamo bene lo stesso.


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Siamo alcuni miliardi su questa vecchia, rugosa, sgangherata palla cosmica, ma siamo tutti diversi uno dall’altro, questa è la cosa più bella e sorprendente. Le tue immagini vengono fuori dalle escursioni in montagna, dalle osservazioni e dagli insegnamenti di tuo padre naturalista-pittore, dai cartoni animati, dall’amicizia con Tom e altri cani dalla razza e carattere più disparati, dalle tue collezioni di conchiglie marine, di farfalle e insetti di ogni genere, dall’allevamento casalingo di rane, salamandre e tritoni, partendo dalle nude uova, con risultati altalenanti, dai conigli con criniera di leone, compreso quello sfigato “io speriamo che me la cavo”, che riuscì nonostante il grave sottopeso e l’ammazzamento (da parte di volpe) della madre, a sopravvivere insieme ai fratelli concorrenti e prepotenti, dagli storni caduti dal nido ancora impenni e tirati su a passato di uova, larve e radicchio, con la soddisfazione di numerose visite di ringraziamento (forse interessate). Ma non voglio dilungarmi oltre in questo elenco che sarebbe lunghissimo. Sembra che sulla faccia della terra vivano alcuni milioni di specie animali e vegetali, esaurito il repertorio dei primi, non ti rimarra’ che sviluppare l’elenco dei secondi: buona fortuna!!

TUO PADRE 243


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POTENTE DI FUOCO Disegni su carta (1985/2009) 245


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Filippo Scòzzari Filippo Scòzzari

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invisibili. maleducate. battaglie. Il disegno segna il tempo. Lo stile e il colore, in alcuni casi sono dichiarazioni visive del tempo e della cultura in cui è apparso. Perché l’essere umano che produce quel disegno vive quel tempo, denunciando lo stile estetico di quel periodo, di quegli anni, o secoli. Volendo leggere con questo intento i lavori di un contemporaneo, anche se datati di tanti decenni, identificano una prepotente contemporaneità. Filippo ScÒzzari avanguardia degli anni settanta nel linguaggio del Fumetto, inizia la sua collaborazione con Re Nudo, e negli anni successivi pubblica per Il Mago, Linus, Alter Alter.

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Ha partecipato con le sue tavole e le sue storie a diversi movimenti narrativi, di ribellione linguistica e d’avanguardia. Bolognese di nascita, nella sua città fonda la Traumfabrik Production, luogo dove si incrociano altri grandi astri di questo raccontare per immagini: Andrea Pazienza, Tanino Liberatore, Stefano Tamburini, Massimo Mattioli, nasce la rivista “Il Cannibale”, seguita da “Frigidaire”.

Il suo lavoro partito con il Fumetto continuato con l’illustrazione di ricerca o pubblicitaria, lo porta alla scrittura. Nel 2017 vengono ripubblicati due romanzi in un solo volume, il diario manuale “Memorie dell’Arte Bimba”, e “Prima pagare poi ricordare”. Diventati oggi manifesto di un tempo creativo e di contestazione. egisto quinti seriacopi

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MORONI

FEDERICO

I N S E T T I E OROLOGI a cura di Annamaria Bernucci

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ÂŤ...insetto dal ronzo consueto, ronzo estivo, arpa agreste sui campiÂť

Federico Moroni

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Sono gli orologi rotti e aperti che impudichi si offrono alla vista con le loro segrete interiora come un corpo che si sveli. Pronti a dichiarare con le loro carcasse in disuso la cessazione di una funzione e di un ruolo, esattamente come avrebbe potuto accadere nel lavoro ad “un funzionario austero e rigoroso vissuto tra il decoro e il timore”. Contengono tuttavia, quelle carcasse, la inconfessata gioia di meccanismi pronti a ripartire, autonomamente, sfidando “gli autorevoli orologi che sono ovunque in carica e in funzione”. Una particolare traduzione dell'illusiorietà e della transitorietà del tempo e della vita animata e inanimata destinata a perire. Federico Moroni coltiverà quella particolare amicizia per le cose semplici e per i luoghi di comune intimità, come quell'orto chiuso della casa di via Verdi a Santarcangelo, dove “si muoveva sotto ombre traballanti per disporre pietre randagie e mattoni rossastri attorno ai cespugli di menta e di rosmarino” come raccontava Tonino Guerra che in quell'orto si affacciava. Sono gli oggetti polverosi e abbandonati, i barattoli di latta e le scarpe rotte, tutto quel “mondo sbrindolato e arrugginito di rottami, di rifiuti, di cocci..” che avvincerà anche il suo più giovane conterraneo Raffaello Baldini nel tener in vita la memoria delle cose più sfuggenti, destinate a sparire dal flusso della vita. Moroni descrive un mondo 'disinnescato' da ansie e retoriche, cerca il gesto vero, devia dal realismo più ortodosso, sarà con la fantasia un sovversivo del reale, si farà esploratore solitario e con quelle sue chine bagnate ad acquerello che sfrutta per esecuzioni dal segno svelto e intenso ci farà partecipi di un mondo di funamboli, di ciclisti sul ciglio della strada, di suonatori di jazz dagli acuti lancinanti, del silenzio della terra e della spiaggia, dei fili d'erba e degli insetti. Insetti amici dei travi odorosi, delle penombre, in stanze e cantine chiuse, insetti dei prati, della vendemmia, delle stalle. Il “mondo millenario dei campi col silenzio armonioso al ronzo di un insetto antico, inosservato, sempre esistente, fedele a suoi siti pomeridiani..” che una cicala dal corpo arrovesciato evoca nel tentativo di risollevarsi. Allusione a metamorfosi, come a un sogno inquieto. Questo il suo mondo, schegge di memoria, tra l’odor di muffa dei robivecchi e la luce che filtra in un campo di grano.

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Il disegno come sentimento vitale accompagnerà Federico Moroni per tutto il suo percorso d’artista e di maestro elementare. Eccitare l’immaginazione e investire la realtà dell’esistente nella traccia più spontanea e sensibile della matita e del pennello diverranno guida e insegnamento. Quella che è stata definita una “lezione di innocenza” che si propagava dall’aula scolastica e cresceva nelle carte e nella pittura di Moroni e dei suoi piccoli allievi è il racconto della vita e della natura che si riaffacciava dopo le ferite della guerra. Inseguirà sempre una ricerca di libertà e leggerezza, coltivata sin da ragazzo, da quando nutrì il suo sogno artistico, méntore il falegname e inventore di storie Guido Guidi. Moroni la innesterà in quella prodigiosa convergenza di talenti e amicizie creatasi nel dopoguerra con e’ circal de giudèizi con Flavio Nicolini, Tonino Guerra, Lucio Bernardi, Giulio Turci e nel fecondo incontro col gruppo del Portolaccio, con il realismo esistenziale espresso da Renzo Vespignani, Marcello Muccini, Graziella Urbinati, a Santarcangelo tra il 1946 e il ‘47. “La nostra esperienza sensoriale comincia con la nostra vita” è l’indicazione e il filo conduttore che alimenta il suo Arte per nulla (poi il titolo divenne Arte per gioco, edito nel 1964) scritto con quella stessa scorrevolezza che va al passo con la sua pittura “pesando le parole ogni volta che gli è accaduto di prendere la penna in mano”, come sottolinea Leonardo Sinisgalli nella prefazione. Le piccole mani ruvide avvezze ai campi degli alunni della scuola rurale del Bornaccino diverranno incredibilmente abili nel disegno, come quelle portentose di Severino Guidi, il più dotato di quelle classi; di contro quella stessa avventura pedagogica porterà Moroni a raccogliere inaspettati successi. I riconoscimenti, anche ministeriali, il viaggio negli Usa, nel 1953-54, la specializzazione nell’arte pittorica infantile alla Columbia University di New York, le pagine centrali su Life nel 1958 dedicate a quell’insegnamento d’avanguadia che faceva del gioco e della libera espressione il suo fondamento, gli incontri bolognesi con Giorgio Morandi, di cui contempla l’esempio, sin dal 1949, nello studio di via Fondazza; e poi, al ritorno dalle metropoli americane, in Romagna, con i compagni di sempre Giulio Turci e Lucio Bernardi, Moroni si disporrà a celebrare in pittura il mondo schivo del paese e il suo trascorrere lento e a diventare protagonista di una stagione irripetibile. Annamaria Bernucci

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La scuola del Bornaccino

Un Caso Internazionale Malva, libellule e vespe, Severino Guidi, anni 11

testo di Simonetta Nicolini

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L’arte infantile è un’invenzione degli adulti: la storia inizia con lo splendido Ritratto di giovanetto (1521-1523, Verona, Museo di Castelvecchio) di Giovan Francesco Caroto, in cui il figlio del pittore mostra uno scarabocchio. Il mito inizia a metà dell’Ottocento: nell’Atelier dell’artista di Gustave Courbet un bambino disegna per terra, un altro osserva il pittore all’opera; nel 1853 Rodolphe Töpffer racconta con entusiasmo di monelli che disegnano sui muri e sui selciati (Reflexions et menus propos d’un peintre genevois). In Italia, la curiosità per l’arte dei più piccoli nasce, tra Emilia e Romagna, con Corrado Ricci che lascia la prima riflessione critica sul disegno dei fanciulli (L’arte dei bambini, 1887): «L’arte come arte è a loro sconosciuta; quindi disegnano meno male e s’accostano di più all’integrità vera delle cose». Le idee di Ricci influirono sull’educazione artistica, e, con Giuseppe Lombardo Radice, si diffusero dalla prima metà degli anni Venti del Novecento nella scuola elementare italiana. Nelle scuole di campagna, dove i bambini avevano a disposizione il microcosmo racchiuso tra stalla e maggese e i maestri si muovevano con maggiore libertà pedagogica rispetto alle città, tra gli anni Venti e i Sessanta del Novecento fiorirono esperienze di arte infantile. Luigi Varoli, a Cotignola e Massa Lombarda, tra il 1922 e il 1923 insegnava la lavorazione spontanea dell’argilla e pubblicava un giornalino illustrato dai suoi allievi («E val»): il disegno era «libero giuoco a sfogo del bisogno di espressione» e la fantasia una salvezza per bambini dal destino altrimenti segnato da ignoranza e solitudine. La maestra Maria Maltoni di Dovadola, che aveva iniziato a Pieve Salutare, trasferita nella campagna toscana a San Gersolè, raccolse testi e disegni dei

Officina Bornaccino suoi allievi in quaderni che attirarono l’attenzione di Emilio Cecchi e Italo Calvino (I Diari di San Gersolè, 1949; I quaderni di San Gersolè, 1959). In quegli anni Cinquanta, poeti, cineasti e pittori restavano affascinati dall’arte infantile: anche Cesare Zavattini scrisse una prefazione all’antologia di poeti (Quasimodo, Montale, Sinisgalli, Ungaretti) raccolta dal maestro di montagna Gianni Faè e illustrata da incisioni su linoleum dei bambini (I bambini e i poeti, 1956). Federico Moroni a quel tempo insegnava al Bornaccino, ma aveva iniziato a Montetiffi la sua avventura dei suoi allievi con il disegno libero. Nella poverissima scuoletta rurale in mezzo alla campagna vicino a Santarcangelo, chiedeva di abbandonare la matita e la gomma ed esprimersi liberamente con penna, china e colori. La pittura infantile, ponte ideale tra il realismo magico degli anni Venti e il clima culturale del secondo dopoguerra, offriva al pittore-maestro una schietta e delicata declinazione della realtà circostante per una personale interpretazione del neorealismo incontrato con Renzo Vespignani. L’esperienza del Bornaccino attrasse l’attenzione del ‘viaggiatore’ Giudo Piovene ed ebbe un bellissimo epilogo nel volume Arte per nulla (prefazioni di Leonardo Sinisgalli e Lionello Fiumi, 1964), a metà tra il vademecum poetico e il testo didattico. Moroni vi rielaborava i gesti e i colloqui quotidiani sulla natura, sugli animali, sulla vita di tutti i giorni e sugli oggetti desueti e abbandonati - che animavano il laboratorio-officina in cui lavorava

con i suoi scolari: «Vivono nei campi assieme al sole, agli alberi, al grano, alla frutta, agli animali, all’odore dei polli e del rosmarino. Conoscono la fatica delle giornate lunghe e si riposano a scuola. Invece di zappare o di legare le canne col vimine alle viti, prendono la penna per fare delle aste, delle parole o dei numeri. Le loro mani lavorano nel campo. Ruvide d’esperienza, disegnano con la penna e l’inchiostro del calamaio […] la tua arte sia un’arte per nulla, inventata come un giocattolo, un’arte che trovi ammirazione e consenso nel tuo cortile, magari tra i barattoli vuoti, i gusci d’ovo e la cenere del bucato; accolta e festeggiata da un rocchetto di legno e una penna di pollo». I stupefacenti disegni dei bambini di Moroni superavano per eleganza e finezza la qualità della produzione media dei fanciulli scaturita dalle esperienze all’avanguardia in quegli anni. Le voci infantili e la voce narrante del maestro si fondevano in un racconto magico. Ogni disegno era insieme il risultato della mano e dell’emozione del fanciullo e della visione poetica di Moroni. Di questo quotidiano sodalizio d’arte, vissuto tra natura e forme inventate seguendo l’istinto del gioco, il maestro Moroni dava la sua interpretazione didattica; ma è il pittore Moroni che si raccontava: «[…] Prendi la penna dal tuo cassetto e l’inchiostro di china. Per disegnare con una linea, tieni la sfera nel palmo sinistro e, sentendone il peso, muovi la linea verso destra volendo che contenga il peso della sfera. Compiuto il tondo guardalo attentamente, non lo senti vuoto perché la linea non è inerte […]. 259


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La cosa che tu desideri disegnare va tenuta a lungo nelle mani, va posseduta a lungo, sì che perduri la sensazione della struttura e del peso. […] Sentila ad occhi chiusi, finché arrivi a immedesimarti, a possederla interiormente. Prendi la penna, e come per la sfera, senza pensare delinea decisamente la struttura essenziale, seguendo la sensazione che ancora permane nella tua mano […]». Prima ancora che una scuola, è un’officina d’arte quella di Moroni: egli guida con discrezione le piccole mani degli allievi; lascia che il loro segno bellissimo fluisca per reinventare le forme degli animali e delle piante e si stampi anche nelle ceramiche - cotte insieme al pittore Lucio Bernardi – ideate per la stufa della nuova scuola progettata da Luigi Giordani. È un incanto, un’utopia realizzata come per magia quella scuola oggi perduta: la rivedo con commozione nelle immagini girate da mio padre nel 1967…. Arte per nulla, appunto.

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Michele Provinciali, gli avvisi di Tonino Guerra Gli avvisi che Tonino Guerra scrisse nel luglio del 1981, pubblicati in forma di manifesti dalla Maggioli nella veste grafica di Michele Provinciali, costituiscono un caso singolare nella storia della comunicazione. Le riflessioni di un poeta sulla propria terra d’origine, la condivisione di un editore e l’alfabeto visivo che unisce il corredo contadino a distillati di cultura tipografica, hanno toccato un apice politico ineguagliato. Aforismi che muovevano dal mondo dell’estetica, dal bisogno di bellezza e di memoria, trovarono nei muri cittadini una nuova natura civile e morale. Frecce di senso e di sentimento che, rivolgendosi a tutti, riuscirono a centrare bersagli individuali, sollecitando domande, ripensamenti e gesti. Con parole essenziali, con concetti pratici e con forme minimali venne così alla luce un geniale disegno, ar tistico e politico, che ancora ci parla di paesaggi e di anime, di convivenza e di contemplazione.

“The notices that Tonino Guerra wrote in July of 1981, published by Maggioli in the form of manifests with graphics created by Michele Provinciali, constitute a singular case in the history of communication. These reflection by a poet on his own motherland, the sharing of an editor and visual alphabet that unites rural life to distillations of typographical culture, have touched an unparalleled political apex. Aphorisms that moved from the world of aesthetics, to the necessities of beauty and memory, which found a new civil and moral nature within the city walls. Darts of sense and sentiment which, speaking to all, managed to perfectly hit individual targets, allowing questions, changes of heart, and gestures to emerge. With essential language, practical concepts, and minimalist forms, a genius drawing, both artistic and political, came to light, which even today speaks to us of landscapes and souls, of cohabitation and contemplation.”


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NE B LUBIA: LA CITTÀ E LO SGUARDO DEI BAMBINI CASA DEL CINEMA FULGOR

Scuola Miramare _ La Città Nera

Corso d’Augusto, 162 Rimini

«Così siamo partiti dall’idea del fuoco per bruciare i pregiudizi dello sguardo, per riuscire a guardare le “cose con occhi diversi”. Il tema dei laboratori è stato quello di illustrare una semplice storia per l’infanzia, la storia di una città, disegnata con l’occhio dei bambini. La città è Neblubia. Neblubia è una città divisa, divisa da muri invisibili che non permettono agli abitanti di guardare oltre, di parlare gli uni con gli altri. La città nera è la città della notte, un luogo dove non ci si riconosce e non ci si capisce; la voce è filo sottile che non basta a costruire legami. La città bianca è la città della luce, ma è senza memoria, non ci si perde, ma non si hanno ricordi. La città blu pensa di bastare a sé stessa, compiaciuta e soddisfatta dal cielo e dal mare blu. Anche gli alunni della scuola primaria di via Pescara vengono da luoghi diversi, geograficamente e culturalmente distanti, e anche loro, come gli abitanti di Neblubia, cercano un modo per costruire una città dove ciascuno possa essere parte di un tutto, non rinunciando a sé stesso. Costruire Neblubia ha significato per noi condividere idee e immaginazione, progettare, confrontarsi per trovare insieme nuovi modi di guardare, per rendere visibile, attraverso il fare, l’invisibile». I laboratori sono stati curati dalle insegnanti: Maria C. Campanelli, Eva Ciaroni, Sara Clementi, Patrizia Pascucci, Rosaria B. Zerbinatti Mostra a cura di: Sara Clementi, Rosaria B. Zerbinatti Scuola primaria Via Pescara – Istituto Comprensivo Miramare Rimini Anno scolastico 2017/2018

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Miramare è dislocata all’estremo sud di Rimini, una ‘frontiera’ fra mare e periferia. Non è un caso se il tipo di paesaggio urbano e antropologico si riverbera nello sguardo dei bambini e si rifrange nei loro potenti artefatti. Non è un caso se in questi anni in cui è attiva la spinta propulsiva di Rimini Scuola Sostenibile, la comunità di Via Pescara ha dimostrato una particolare sensibilità nel progettare, tanto da dar luogo ai laboratori espressivi «La scuola che fa città» dove non solo si disegnano le mappe dei percorsi casa-scuola, si riqualificano cortili e giardini, ma si immaginano anche nuove geografie gemmate ai quattro angoli cardinali della città, mappe che velano e ri-velano una diversa idea di cittadinanza dove il doppio segno espressivo dei bambini capovolge in modo esemplare e utile la bussola cognitiva degli adulti suggerendo un curioso sottosopra di abitudini, alleanze e percezioni. E nel caso specifico di Neblubia, ri-disegnare un diverso atlante urbano dei sentimenti e dei valori per rigenerare o rafforzare la tessitura sociale e comunicativa del quartiere ancor prima della sua forma fisica e del suo colore. Ma questo non è un caso isolato. La scuola elementare di Miramare rientra nella rete di ‘scuole sostenibili’ creata nel 2014 dal Comune di Rimini e Anthea che dai quattro punti cardinali del territorio fa disegna piani di azione per migliorare le prestazioni energetiche e la qualità del patrimonio scolastico, integrando nell’attività curricolare educazione e didattica ambientale mettendo al centro della progettualità delle comunità scolastiche il processo trasformativo di aule, cortili e giardini. Andrea Succi – responsabile Rimini Scuola Sostenibile

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Domus

del Chirurgo EXHIBITION Marotta & Russo Everything (not) (saved) will be lost.

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ph. Emilio Salvatori

a cura di Martina Cavallarin


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Piazza Luigi Ferrari RIMINI267


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Marotta & Russo Everything (Not) (Saved) Will Be Lost

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a cura di Martina Cavallarin


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Una delle epigrafi pop e più rappresentative per un’intera generazione dell’ultimo scorcio del XX secolo recitava e recita: “Everything not saved will be lost”. Questo il messaggio che appariva ai milioni di giocatori della consolle Nintendo negli anni ’90 al momento di abbandonare il gioco che si stava eseguendo, all’apparire del cosiddetto “Quit Screen”. Infatti, prima della nascita della funzione di autosave, il gadget più desiderato da ciascuno di essi era la nuovissima memory card: un’innovazione dell’epoca e un supporto di registrazione che consentiva di salvare la partita in corso. Possibilità, questa, che inaugurava implicazioni tecnologiche, concettuali e antropologiche allora del tutto inedite rispetto alla ancora nascente civiltà digitale, e che ne prefigurava altre ancora. E oggi infatti, nel 2018, diventa interessante riflettere sulla significativa e ora “naturale” estensione di quello stesso assunto, traendone le somme e trascendendone la sostanza verso piani più radicalmente aperti. Ovvero, a partire dall’immediato emergere nella nostra mente – non appena quella sentenza venga riletta oggi, qui & ora – della possibilità fatale di un suo ribaltamento perfettamente speculare. Una riflessione vera e propria e un riflettersi che segnano e dettano un ribaltamento di percezione, nell’oramai acquisita e stabile consapevolezza emotiva e culturale dell’ambiguità sostanziale – sintetica e naturale – dell’esperienza individuale estesa dalla nostra peculiare condizione storica ed esistenziale. Ovvero, quella condizione definita come postdigitale, la cui onda di marea qui si disperde verso un’ulteriore e stringente sintesi dialettica, che increspa e motiva ogni possibile orizzonte del “possibile”: “Tutto ciò che non è salvato verrà perduto”; “Tutto ciò che è salvato verrà perduto”; “Tutto verrà perduto”. L’installazione al neon, urbana e site specific, di Marotta & Russo, “Everything (Not) (Saved) Will Be Lost”, è un progetto appositamente pensato per integrarsi concettualmente e fisicamente nell’area della “Domus del Chirurgo” a Rimini, reinterpretandone il luogo e l’occasione, ovvero la “Biennale del Disegno”. Esso intende rimarcare con la costanza architettonica del “segno” – appunto – con l’estensione dinamica della luce e con il nitore scultoreo della sentenza l’attivo permanere nel tessuto urbano di un tale importante sito archeologico, garante della memoria cittadina e universale.

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L’opera, infatti, si propone come un invito a fruirne come il luogo ideale e reale della riflessione, dell’incontro e del raccordo fra le diverse stratigrafie della storia e della memoria umana. Un richiamo a porsi a personale e diretto confronto con ciò che è passato e ciò che è presente, e quindi con la consapevolezza delle proprie radici e la responsabile ricerca di un rinnovato punto di equilibrio rispetto al proprio futuro. E questo, nella dimensione morale e testimoniale del confronto relazionale – a un tempo privato e pubblico – fra singole identità e persone, fra singole identità e comunità e – ancora – fra singole identità e civiltà. La ricerca di Marotta & Russo disegna i confini espressivi e concettuali di un personale neoumanesimo digitale votato alla sperimentazione dei linguaggi e delle logiche post-digitali contemporanee. A partire dal dato reale per giungere all’esperienza digitalmente estesa, quello di Marotta & Russo è un linguaggio davvero del “qui e ora” che indaga la complessità di un mondo in vorticosa e veloce trasformazione. Mondo i cui effetti ci sono sconosciuti e imprevisti, inserito com’è in una forma d’interrogazione sociale mai celata, ma protocollata e legiferata dal territorio impertinente dell’arte, inteso questo come diffusore di una pratica di relazione volta al confronto e al necessario quesito sulla direzione ineluttabile del destino collettivo. Nello spazio pubblico di Piazza Ferrari, sul tetto della “Domus del Chirurgo”, la scritta al neon a caratteri intermittenti “Everything (Not) (Saved) Will Be Lost” è un’epigrafe che si confronta con la “fruizione nella distrazione” – per citare Walter Benjamin – delle persone in transito, con la memoria dei reperti custoditi nell’architettura trasparente sottostante, con la geografia della piazza, luogo che ora è entroterra, ma che anticamente era lambito dal mare poi arretrato nei secoli. L’assunto morale contenuto nell’opera possiede una centralità, una temperatura emotiva e concettuale, che frequentano il bilico della soglia tra romanticismo e nostalgia, esplorazione e percorso, tempo e spazio. Martina Cavallarin

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Everything (Not) (Saved) Will Be Lost, 2018, Progetto neon, scheda Arduino, connessione internet 180x500 cm

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Istituto

Lettimi EXHIBITION La Musica visibile Spartiti illustrati del XIX e XX secolo a cura di Franco Dell’Amore

Via Cairoli, 44 RIMINI

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La musica

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Spartiti musicali illustrati del XIX e XX secolo Esiste una tipologia di criteri nell’illustrare un brano musicale? L’attenzione sul rapporto testo-immagine, assillo degli editori degli spartiti esposti, è la questione che si vuol porre. Tuttavia, il vero problema è la mancanza di una teoria della rappresentazione pittorica e grafica della musica. «L’immagine al servizio della musica» potrebbe essere il sottotitolo aggiuntivo a quello scelto. La relazione fra contenuto musicale dello spartito e la sua descrizione grafico-pubblicitaria è il luogo mentale del tutto ignorato dai musicologi, così come dagli storici dell’illustrazione. Non mancano autorevoli contributi sulla storia dell’illustrazione italiana e dell’editoria musicale. Abbondano, invece, raccolte iconografiche senza un’indagine analitica. Tuttavia la questione è più complessa e riguarda il come la musica può essere rappresentata con immagini. L’esposizione offerta potrebbe diventare quindi un prolegomeno per future indagini. L’ambizioso intento è quello di creare una griglia di classificazione per tipologie e con tale strumento interpretare alcune stampe di influenti illustratori e prestigiosi editori musicali. Per tali presupposti, la proposta di classificazione che segue dovrà essere considerata un semplice (forse banale) tentativo. Griglia interpretativa: - L’illustrazione calligrafica ovvero la lettera come immagine - Le cornici al testo ovvero la grafica de-contestualizzata e decorativa - L’illustrazione a piena pagina e il fondo decorativo - L’illustrazione didascalica - Il ritratto dell’interprete e l’introduzione della fotografia - La notazione come illustrazione ovvero il contenuto è la forma (non presente in mostra) - Sincretismo tra i precedenti criteri illustrativi

Da quando si iniziò a sperimentare la stampa musicale nel XVI secolo e fino al 1800, vi fu una profusione di titoli ornati, titre-cartuche, sia per la produzione musicale religiosa che per quella profana in forme pressoché identiche. La xilografia venne associata ai caratteri mobili per consentire l’inserimento di illustrazioni. Si impiegarono angeli musicanti, gruppi strumentali o singoli strumenti musicali, allegorie e figure di Santa Cecilia che incorniciavano o affiancavano i titoli delle composizioni. Il periodo dell’illustrazione musicale sotto forma di grandi tavole con incisioni su rame bulino e acquaforte - iniziò col XVII secolo. Un’illustrazione documentaria sostenuta da costumi e decorazioni, più teatrali che musicali. Del resto fu l’opera ad avere il sopravvento ed essere messa in scena, sui palcoscenici come sui libri a stampa. Era il «teatro rappresentato». Prese avvio in quel secolo anche l’iconografia musicale ovvero i ritratti incisi dei compositori e dei cantanti sotto forma di medaglioni ovali. Si abbandoneranno, col XVIII secolo, le grandi tavole incise e le grandi figure esplicative. Le raccolte di arie famose avranno i titoli incorniciati, i cartigli, i decori rocaille, gli amorini appassionati d’arte e di musica che prendono parte alla scena. Nello stesso tempo, vi erano frontespizi assai più semplici con titoli a lettere stampate che assumevano particolari soluzioni grafiche. Il titolo stampato sostituirà sempre più il titolo inciso, passando dal disegno alla scrittura. Le incisioni diverranno poi un’eccezione. Al termine del secolo XVIII, assieme ai ribaltamenti politici, la litografia (pietra e torchio) rivoluzionerà l’editoria musicale aumentando le possibilità espressive degli artisti, il numero di copie e la velocità di stampa rispetto alla calcografia.

Per eseguire una litografia si disegnava direttamente sulla parte piana della pietra con una matita o pennello che stendeva una sostanza grassa. La pietra veniva poi trattata in modo da consentire all’inchiostro di aderire alle sole parti grasse. Si sarà intuito che il disegno sulla matrice di pietra doveva essere costruito in modo speculare. Dalla metà dell’Ottocento, la nuova tecnica litografica soppiantò tutti gli altri sistemi di stampa aumentando la qualità, la tiratura degli esemplari e dando inizio alla storia degli spartiti illustrati.

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Tuttavia, in molti casi, si continuò ad utilizzare le lastre di rame incise per la sola parte musicale mentre la litografia veniva impiegata per realizzare la copertina o per i frontespizi. L’immagine associata alla musica non era un’esigenza dei musicisti fruitori, bensì un costoso complemento grafico rivolto ad accattivare l’attenzione di un pubblico meno professionale, come se la copertina di spartito fosse una scatola di cioccolatini. L’impressione di essere davanti ad un’opera pittorica venne con la cromolitografia che prevedeva il riporto del disegno direttamente sulla pietra con pennelli intrisi di inchiostro litografico. Si utilizzavano tante pietre quanti erano i colori da stampare. Al principio del Novecento, il cliché al tratto veniva preparato attraverso grafismi molto dettagliati incisi su forme in gesso in cui si versava piombo fuso. La tecnica, già sperimentata sin dal Settecento, permetteva la realizzazione di contro-forme con i grafismi in rilievo e raffinate immagini in bianco e nero. La fototipia era una tecnica - conseguente all’invenzione della fotografia - che consentiva di realizzare gradazioni tonali impossibili con la litografia, tuttavia non poteva essere utilizzata per stampare neri intensi o segni al tratto. Una lastra veniva ricoperta di gelatina fotosensibile e su questa applicata una pellicola con l’immagine da riprodurre. Le parti di gelatina esposte alla luce indurivano, le altre subivano una lieve depressione. Le parti indurite corrispondenti ai grafismi potevano ricevere l’inchiostro e assumere l’aspetto di una pietra litografica. Dopo la litografia, la tecnica maggiormente utilizzata per la stampa degli spartiti musicali è stata la zincografia: una tecnica di stampa industriale che consisteva nel trasferire su di una lastra di zinco i disegni realizzati su una carta di decalco. 274


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Le parti non disegnate venivano incise con una leggera morsura di acido nitrico ottenendo così grafismi in rilievo che potevano essere stampati. La stampa offset (fuori-contatto), ultima in ordine di tempo ad essere praticata, consiste nel trasferimento dell’immagine su di una lastra di caucciù e successivamente sulla lastra che riporta l’inchiostro sul foglio di carta. Col procedimento offset si possono ottenere ottime definizioni e alte risoluzioni nei cromatismi, tuttavia l’immagine ottenuta non può considerarsi un originale perché la stampa è indiretta essendovi uno strato intermedio (rullo di caucciù) tra lastra ed inchiostro. In altre parole, vi sono tre rulli che concorrono alla stampa in rotocalco. Per questa tecnica vengono utilizzati negativi fotografici opportunamente trattati con retini che sulla carta determinano una fittissima rete di puntini cromatici. Il repertorio di 57 illustrazioni presi in considerazione e presentate al pubblico proviene da una raccolta di qualche migliaia di spartiti musicali editi tra il 1840 e il 1933. Vengono qui proposti tre diversi tipi di lettura. L’ordine cronologico degli spartiti induce a porre l’accento sugli stili artistici (naturalistico, satirico, rocaille, art nouveau, liberty, art déco, ecc.). Una seconda lettura è associabile alle tecniche di stampa (xilografia, acquaforte, litografia, pochoir, cromolitografia, zincografia, cliché al tratto, fototipia, offset). Non ultimo, l’interesse può essere rivolto al rapporto fra contenuto musicale e realizzazione grafica della copertina così come esplicitato nella prova di griglia interpretativa. Tutti i documenti esposti fanno parte delle collezioni musicali di Casa Dell’Amore (Cesena). 275


Sirene, latin lover e altri mostri marini

a cura di Umberto Giovannini

dal 28 aprile al 19 agosto 2018 Villa Mussolini, viale Milano, 40 - Riccione riccione.it /opificiodellarosa.org

progetto artistico site-specific pensato per Riccione a cura di Umberto Giovannini - Opificio della Rosa promosso da Comune di Riccione - Assessorato Turismo Sport Cultura Eventi in collaborazione con Comune di Morciano di Romagna e Comune di Montefiore Conca Come possiamo rappresentare in modo ironico, in chiave contemporanea, l’universo balneare con i suoi tic, le sue leggende epiche e umane? Si tratta di un mondo che da oltre un secolo ha affascinato creatori di immagini e narratori, pubblicitari e musicisti, stilisti e teatranti. A plasmare questo immaginario rivierasco sono stati chiamati tre illustratori, Nick Morley, William Davey (Inghilterra) e Ignacia Ruiz (Cile), accomunati da una cifra iconografica ironica e surreale, capace di reinventare un luogo storico, la Villa Mussolini di Riccione, con occhio ludico e disincantato. Il pubblico potrà immergersi in una trama di narrazioni e storie illustrate che rievocano ambienti sottomarini, cartoline di spiaggia e fauna da balera. Cortei di sirene, latin lover e figure antropomorfe popolano il parco della Villa e conducono i visitatori all’interno delle sale, si addentrano, insieme, in un immenso libro pop-up illustrato, pronti a sorprendersi, a perdersi, come fece Alice nel suo Paese delle Meraviglie. dal 28 aprile al 24 giugno 2018 dal venerdì alla domenica dalle 10 alle 20 dal 25 giugno al 19 agosto 2018 tutti i giorni dalle 21 alle 24 Ingresso: intero € 5,00 / ridotto € 3,00 il biglietto dà diritto anche alla visita della Galleria d’Arte Moderna e Contemporanea Villa Franceschi

Hand Bag (2015) Illustrazione di Nick Morley


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andreco + eron fino al 30 settembre 2018 musas museo storico archeologico di santarcangelo piazzetta monache, 1 santarcangelo

museisantarcangelo.it/musas

+

andreco, 2017, vaso in terracotta smaltato nero

eron, YOU, 2016, spraypaint on old siryan mirror

crediti fotografici Saverio Femia (Bellaria Igea Marina)

crediti fotografici Saverio Femia (Bellaria Igea Marina)

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LUCIANO BALDACCI I segni e le cose Cattolica

Galleria Comunale S. Croce Via Pascoli, 21

1 giugno – 30 giugno 2018 a cura di Annamaria Bernucci

Galleria Comunale S.Croce


Corte Zavattini 31 Cesena Cristallino Cantieri • Simboli Politici

29 APRILE | 3 GIUGNO 2018 A cura di Roberta Bertozzi Stefano Franceschetti

LA LINEA D'OMBRA

Rojna Bagheri, Alice Bartolini, Ahmed Ben Nessib, Andrea Bonetti, Samuele Canestrari, Cavallino, Cono, Marta Di Carlo, Veronica Guerra, Giulia Marcolini, Anna Sophie Marten, Elisa Mossa, Alessandra Romagnoli, Carola Rossi, Francesco Ruggeri, Serena Saltarelli, Giuseppe Scala, Alberto Stella

La gente ha una grande opinione sui vantaggi dell’esperienza. Ma sotto un certo profilo, esperienza significa sempre qualcosa di spiacevole, in contrasto con il fascino e l’innocenza delle illusioni. JOSEPH CONRAD

www.cristallino.org www.cortezavattini31.com


il disegno di

Mirko Vucetich Quando la grafite traccia l’anima a cura di Andrea Speziali

Museo di Arte Povera

Sogliano al Rubicone / Piazza Garibaldi

Museo Vucetich

I costumi della Partita a Scacchi Marostica / Castello e Piazza degli Scacchi museodiartepovera.com marosticascacchi.it italialiberty.it ingresso libero

ASSOCIAZIONE PRO MAROSTICA


FONDO luciano

COMINI

Centro Culturale “Federico Fellini” corso mazzini, 75 gambettola Consultabile negli orari di apertura della Biblioteca Comunale o per appuntamento telefonico t. 054745338 biblioteca@comune.gambettola.fc.it

* CIRCUITO OPEN/ IN COLLABORAZIONE CON LA GALLERIA PRIMO PIANO RIMINI SARÀ ESPOSTA UNA SELEZIONE DI OPERE “LUCIANO COMINI/ CARTE” A CURA DI SANDRO PASCUCCI DAL 5 AL 26 MAGGIO

Luciano Comini “Senza Titolo”, 1957


MOSTRE IN CORSO LE COLLEZIONI DELLA FONDAZIONE TITO BALESTRA ONLUS La collezione costituita da Tito Balestra è, senza dubbio, la più consistente di tutta la regione nel settore dell’arte contemporanea, vi si possono trovare tracce dei più grandi artisti del ‘900 italiano (da Mafai a Rosai, da De Pisis a Sironi, passando per Guttuso, Morandi, Vespignani, Zancanaro) e del panorama internazionale (Chagall, Goya, Kokoschka, Matisse, Twombly fra gli altri). Particolarmente ingente è il numero di opere di Mino Maccari, intimo amico del poeta (ne fu il testimone di nozze) e importante figura della pittura italiana del secondo Novecento. I 1903 pezzi, fra olii e grafica, testimoniano l’attività dell’artista toscano dal 1920 al 1976, costituendone quasi un museo autonomo. TOUROPERATOR - DIARIO DI VITE DAL MARE DI SICILIA (14 aprile – 24 giugno 2018) La mostra itinerante Touroperator offre allo spettatore uno spunto di riflessione "altro" per conoscere attraverso l'arte uno dei fenomeni di maggiore impatto sociale di questo inizio millennio. Sansavini è l'unico artista ad aver ottenuto l'autorizzazione dal Tribunale di Agrigento per entrare nel girone dantesco del cimitero delle barche di Lampedusa, nell'ex-base americana Loran: qui, accanto ai tanti scafi, ormai abbandonati, sono rimasti molti degli oggetti personali che hanno accompagnato i viaggi della speranza attraverso il Mediterraneo. Il legno prelevato dalle imbarcazioni abbandonate è stato trasformato dall'artista in sculture che raccontano i singoli naufragi.

Galleria d'arte moderna e contemporanea Castello Malatestiano - Piazza Malatestiana, 1 47020 Longiano (FC) tel 0547 665850 - 665420 fax 667007 www.fondazionetitobalestra.org info@fondazionetitobalestra.org


opera di Giulia Dall'Ara

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ILLUSTRARE PANZINI

UN PERCORSO VISIVO CREATO DA GIOVANI ARTISTI dal 9 giugno al 8 settembre 2018 Museo “La Casa Rossa di Alfredo Panzini” via Pisino 1, Bellaria Igea-Marina

Tina Carlini, Giulia Dall’Ara, Giorgia Moretti, Anthony Valenti e Nicolò Vasini si confrontano con la produzione di Alfredo Panzini illustrando racconti e romanzi con opere originali. Disegni e illustrazioni affiancano documenti autografi di Alfredo Panzini provenienti dall’Archivio dello scrittore e da sussidi multimediali. Progetto espositivo a cura di Marco Antonio Bazzocchi e Claudio Ballestracci. Un particolare ringraziamento a Stefano Franceschetti / Scuola del Libro di Urbino e Lucia Franca.

domenica 7 maggio ore 18 “come possiamo immaginare le opere di uno scrittore?” presso Parco culturale di Casa Panzini

Dialogo con i giovani artisti alla presenza di Claudio Ballestracci, curatore dei progetti expografici di Casa Panzini. La conduzione dell’incontro sarà del maestro Marco Antonio Bazzocchi. tutti i giorni da lunedì a sabato dalle 20,45 alle 22,45 (chiuso la domenica) Per informazioni: 0541/343747 Dott.Gualtiero Gori 283


VASARI EXPERIENCE: “La presa di San Leo”

Entrare (virtualmente) nella “Presa di San Leo”, il maestoso dipinto del Vasari che da secoli celebra, nella sala di Leone X in Palazzo Vecchio, l’illustre conquista, avvenuta ormai 500 anni fa. Oggi è possibile, grazie al Comune di San Leo e tramite un progetto di realtà virtuale realizzato “ad hoc”. Nella Fortezza di San Leo, posizionandosi di fronte alla replica del dipinto realizzata nell’estate 2017 dall’Accademia delle Belle Arti di Firenze ed indossando l’ apposito ”Oculus Rift”, sarà avvincente effettuare un viaggio nel tempo, per compiere un percorso immersivo nel dipinto del grande artista. Vi accompagnerà l’artista stesso, virtualmente, reinterpretando le proprie parole vergate nel ‘500, ovvero le 8 pagine che raccontano di San Leo ne i “Ragionamenti del Signor Giorgio Vasari sopra le invenzioni da lui dipinte in Firenze in Palazzo Vecchio”. Sarà un attore che, interagendo con il visitatore, ovvero il novello Principe armato di Oculus, lo guiderà alla scoperta dei significati espressi o celati dell’opera, con l’ausilio di immagini e filmati. Di qui l’invito ad approfondire anche questo spaccato di prestigiosa storia rinascimentale, visitando la mostra e scoprendo (o riscoprendo) la possente Fortezza di San Leo. Appuntamento dimostrativo sabato 19 maggio ore 16.30, Fortezza di San Leo A seguire, su prenotazione, con calendario visite. Info 800.553800


Ilario Fioravanti, Pan e le Ninfe, da Mito e Kylix votive, 2006 - 2008, particolare

LAZMAG

Nuvole architettoniche

dal 5 al 20 maggio

Ilario Fioravanti

Mostra di opere, bozzetti e disegni realizzati da per i Luoghi della memoria di Savignano sul Rubicone Inaugurazione 5 maggio ore 17,00

con la presentazione del volume di Cesare Padovani Nuvole architettoniche. I miti nelle sculture nello “zibaldone” grafico di Ilario Fioravanti per i luoghi della memoria di Savignano sul Rubicone, Comune di Savignano/Pazzini Editore, 2018

Palazzo comunale, p.zza Borghesi, 9, 2° piano Orari apertura: dal lunedì al sabato 8,30 -12,30 domenica 6, 13, 20 maggio 15,00 -18,00 Ingresso gratuito Info: Ufficio Cultura tel. 0541 944017 cultura@comune.savignano-sul-rubicone.fc.it

Città di Savignano sul Rubicone Assessorato alla Cultura

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LAZMAG

Gallerie ANTIQUARI Laboratori Botteghe d'arte - negozi studi di architettura e design

librerie ed editori LOCALI

CINEMA Rimini 286


[Piazzetta San Bernardino, 1 - info: t. 0541 784474] ALESSANDRO LA MOTTA LIGHEA. IL MITO E LA SIRENA dal 28 aprile al 15 luglio

Alessandro La Motta

giovedì h. 8 – 17.30/ venerdì h. 8.30 – 13.30/ lunedì - mercoledì h. 8.00 - 17.30

SCUOLA MAESTRE PIE

[Via Santa Chiara - info: pretolanigiovanni@gmail.com] CORSO DISEGNO

I S T I T U Z I O N I S TA TA L I - I S T I T U Z I O N I S TA TA L I

ARCHIVIO DI STATO

DAL SOGNO AL SEGNO CORSO DI TECNICHE GRAFICHE E MOSTRA DEGLI ALLIEVI fino al 7 maggio a seguire mostra degli allievi corsi ogni lunedì dalle h. 20.30 - 22 direzione artistica Gio Urbinati Studio e incubazione del sogno (Massimo Cosimo) Sezione aurea e pensiero pitagorico (Arianna Pari) Tecniche grafico-pittoriche con grafite su materiali naturali (Raffaella Vaccari) Decorazione, comporre lo spazio (Dario Valli) La rosa malatestiana (Gio Urbinati)

GALLERIA PRIMO PIANO

[ Vicolo S. Bernardino - info: t. 338 7609080 / artgallery@primopiano.club] ANTONELLA FONZI/ ALBERI IN VIAGGIO dal 14 al 29 aprile/ Vernissage 14 aprile h. 19 20 aprile h. 21 conferenza di Fabio Lombardi sul “Green Man”. Finissage 29 aprile h.19 con performance di Claudio Gasparotto Alberi che camminano, alberi che volano

Mirco Marchelli

LUCIANO COMINI/ CARTE a cura di Sandro Pascucci dal 5 al 26 maggio - Vernissage 5 maggio h. 18.30 MARCO FALLINI, MIRCO MARCHELLI IL TEATRO DELLA MEMORIA dal 2 al 23 giugno Vernissage 2 giugno h. 18.30, incontro sul tema della mnemotecnica Finissage 23 giugno h. 18.30 MATTEO FUZZI/ TRACES dal 1 luglio all’8 luglio Vernissage 1 luglio h.18.30/ Finissage 8 luglio h. 18.30

Gallerie - Gallerie

[ Via L. Tonini, 24 - info: Enrico Poggiali t. 338 8307779 / info@dimoraenergia.com]

associazione

DIMORA ENERGIA


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EMBASSY GALLERY

[ Viale Vespucci 33 - info: t. 335 5779745 / embassygalleryrimini@gmail.com dal 29 Aprile al 30 Giugno venerdì-sabato-domenica h. 17- 19 dal 1 luglio al 15 luglio 21 - 23]

Valentina Forlani

ADRIANA CONTARINI/ FILM IN BIANCO E NERO GIULIA SCANDOLARA/ MANIFESTA E SOAVE VALENTINA FORLANI/ LE 12 CASE dal 29 aprile al 10 giugno

Robert Stout

ROBERT STOUT DISEGNANDO NATURA CREANDO RELAZIONI a cura di Cristina Brogi dal 16 giugno al 15 luglio

AUGEO ART SPACE

[ Corso d’Augusto, 217 - info: t. 0541 53720 / info@augeo.it]

Mario Sironi

SIRONI E IL CONTEMPORANEO a cura di Matteo Sormani e Luca Zamagni dal 21 aprile al 2 giugno martedì - sabato h. 10 - 12 / 16 - 19 domenica - lunedì h. 16 - 19 o su appuntamento

GALLERIA FABJBASAGLIA [ Via Soardi, 23 - info: info@fabjbasaglia.com] PELAGIO PALAGI STUDI DI PAESI DAL VERO a cura di Anna Cucci dal 5 maggio al 2 giugno giovedì - venerdì - sabato h. 17 - 19.30 Pelagio Palagi

Gallerie - Gallerie - Gallerie - GALLERIE - GALLERIE - GALLERIE

LAZMAG


[ Corso d’Augusto, 76 - info: t. 340 5305610 / guido.carli@libero.it t. 349 1247232 / luciano.vannoni@alice.it ]

Paola Ceccarelli

PAOLA CECCARELLI REALTÀ E (DI)SEGNO a cura di Marco Morini dal 25 aprile al 15 luglio h. 7.30 - 24

ALESSANDRO PIRAS, LUCIANO VANNONI, ROSANNA SCATASSI, PAOLO BERNUCCI ARS COMPOSITA a cura di Marco Morini dal 25 aprile al 15 luglio

Gallerie -Gallerie - gallerie - gallerie

CORTE DEGLI ULIVI - PALAZZO CARLI

LAZMAG

Luciano Vannoni

ILLUMINAZIONE DAL 1700 AL 1936 PROGETTI, DISEGNI E OPERE a cura di Bruno Bernardi dal 25 maggio al 15 luglio h. 9.30 - 12.30 / h. 16.30 - 19.30

ANTICHITÀ ISOTTA

[Piazza Tre Martiri 2 - info: t. 335 424463 / annacucci@me.com ] PIER LUIGI BALDELLI RIMINI A MATITA dal 28 aprile al 15 luglio

Pier Luigi Baldelli

ant i qu ar i - anti qu ari

[ Via Dante, 13 - info: t. 348 2430869 / info@brunobernardi.com / www.brunobernardi.it ]

- an t i q u ar i

SPAZIO BRUNO BERNARDI LAMPADARI

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LA BOTTEGA DEI TOPINI Ceramiche artistiche [Via Bertola, 37 - info: t. 380 3180040 ]

CECILIA COPPOLA FAVOLE DA THE dal 25 maggio al 15 luglio giovedì e venerdì - h. 9.30 - 12.30 sabato - h. 9.30 - 12.30 / 15.30 - 19

Cecilia Coppola

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GOLDEN AGE TATOO

[Via Bertola, 15 - info: t. 0541 25871/ studio@goldenagetatoo.it ] YURI SAN, ANDY F, MARTINA OVEN UNDER MY SKIN dal 25 maggio al 15 luglio

Yuri San / Andy F

OFFICINA DELLE ERBE

[Via Sigismondo 79 - info: t. 335 5873711/ perlini.francesca@gmail.com ] I CAMPI DI MIMMO ROTELLA dal 25 maggio al 15 luglio lunedì, mercoledì - sabato h. 9.15 - 12.30 / 16 - 19.30 / martedì h. 9.15 - 12.30

Mimmo Rotella


LACERBA

[Piazza Ferrari, 2 - info: t. 0541 52558 / lacerba96@gmail.com ] ENRICO DE LUIGI VARIE ED EVENTUALI dal 25 maggio al 15 luglio lunedì, mercoledì - sabato h. 9.30 - 13 / 16 - 20 / martedì h. 9.30 - 13

Enrico De Luigi

CORNICI DI RUGGIERO ENNIO

[Piazza S. Bernardino, 5 - info: t. 0541 781309 / ennioruggiero@gmail.com ]

Eugenio Lombardini

EUGENIO LOMBARDINI SEGNI DI SEGNI dal 25 maggio al 15 luglio lunedì 16 - 19.30, martedì - sabato 9 - 12.30 /16 - 19.30

BASE AGRODOLCE

[Via Sigismondo, 50 - info: t. 0541 718250 / info@agrodolcerimini.it ]

Paola Zoffoli

COLLETTIVO OFFICINA DEL SEGNO: CONCETTA FERRARIO PAOLA ZOFFOLI IL GIARDINO DELLE DELIZIE AMOROSE dal 25 maggio al 15 luglio lunedì - venerdì h. 9.30 - 13/ 15.30 - 20 sabato h. 16 - 20

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OLIO & ACQUA BELLE ARTI [Via Bertola, 36 - info: t. 0541 709834]

SUSANA GUEVARA SGUARDI SUL TEMPO DI RIMINI a cura di Paolo Giovagnoli dal 25 maggio al 15 luglio h. 9 - 12.30 / 16 - 19.30

Susana Guevara

MITZI “SAIDA”NERI [info: t. 0541 27237 - 347 3906233 ] PIERRE DI RAVETON NUDI FEMMINILI Via Giordano Bruno, 35

a cura di Mitzi Saida Neri dal 25 maggio al 15 luglio h. 10 - 17 MITZI SAIDA NERI DONNE E LUNE Via Clodia, 34 dal 25 maggio al 15 luglio martedì e giovedì/ sabato e domenica h. 21 - 23 Mitzi Saida Neri

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IMAGO STAMPE FINE ART

[Via Emilia 1213, Santarcangelo di Romagna - info: t. 0541 626113 / info@imagofotolab.com ] MARIA PIA CAMPAGNA LABIRINTI a cura di Massimiliano Di Teodoro dal 25 maggio al 15 luglio lunedì -venerdì h. 8.30 - 13 e 15 - 18.30 sabato h. 9 - 13

Maria Pia Campagna


[Via Cairoli 9 ]

PAOLO BELTRAMBINI VISIBILE INVISIBILE a cura di Roberto Fenzl dal 25 maggio al 15 luglio lunedì - sabato h. 9.30 - 12.30 / 16 - 19.30

Paolo Beltrambini

VAGNINI RESTAURO ANTICHITÀ & CORNICI [Via Coletti 1/b - info: t. 0541 56224 / info@vagnini-restauri.it ]

Stefano Campana

STEFANO CAMPANA SEGNO E MEMORIA: 20 PUNTESECCHE DI STEFANO CAMPANA dal 5 maggio al 15 luglio inaugurazione 5 maggio h. 17

REEDOLAB

[Via Bertola, 86 - info: t. 349 0964043 / prenotareedolab@gmail.com ]

Roberto Grassilli

ROBERTO GRASSILLI LA REALTÀ DIMINUITA a cura di Cristiana Curreli dal 25 aprile al 15 Luglio dal lunedì al venerdì h.10 - 13 / 16.30 - 19.30

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RIMINI JEWELS

negozi

LAZMAG

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laboratori

CLARKNOVA STREET LAB

[Via Bertola 35/37- info: t. 339 5663456 / clarknovastreetlab@gmail.com ]

Misstendo

UN PO’ RETRÒ

[Via Sigismondo, 89 - info: t. 0541 781004 / info@unporetro.com] I DISEGNI TRA IL PULCINO E L’ELEFANTE. UNA SELEZIONE DI LIBRI D’ARTE DELL’EDITORE CASIRAGHI dal 25 maggio al 15 luglio lunedì - venerdì h. 9.30 - 12.30/ 16 - 19.30 / chiuso martedì

laboratori

-

botteghe

d’arte

-

negozi

-

MISSTENDO COSMO dal 28 aprile al 15 luglio dal mercoledì al sabato h. 10 - 12.30 / 16 - 19.30

[Via G. Verdi, 11 - info: t. 0541 23604 / studio@cumomoriroversi.com ] GRAZIANO SPINOSI ALBO DI SEGNI. DISEGNI PREPARATORI E OPERE SU CARTA a cura di Alessandro Mori dal 25 maggio al 15 luglio lunedì - venerdì h. 9 -12 / 16 -19 sabato h. 9 - 12 pomeriggio solo su appuntamento

Graziano Spinosi

studi di architettura e design

CUMO MORI ROVERSI ARCHITETTI


[Piazza Ferrari 22 info: t. 0541 25600 / bilune@libero.it ]

Cinzia Fabbri

CINZIA FABBRI COMPRENSIBILE O INCOMPRENSIBILE! a cura di Silvana Tombini dal 25 maggio al 15 luglio h. 9 -13/ 15.30 -19.30 chiuso lunedì mattina e domenica

studi di architettura e design

BILUNE

EDITORE PANOZZO

LIBRERIA RIMINESE

-

Claudio Ballestracci

librerie

ed

CLAUDIO BALLESTRACCI CON MANO CHE VEDE, DISEGNARE PER ALLESTIRE dal 25 maggio al 15 luglio lunedì -venerdì h. 9 -13 / 15 -19

editori

[Via Clodia, 25 - info: t. 0541 24580 / info@panozzoeditore.com ]

LIBRERIE

Giuseppe Capogrossi

ed

DA CAPOGROSSI A VIANI. DIECI DISEGNI DI ARTISTI ITALIANI DEL NOVECENTO Courtesy collezione privata (Pecci e Vivaldi) dal 5 maggio al 18 agosto dal lunedì al sabato h. 9 -13 / 15.30 -19.30

EDITORI

[Piazzetta Gregorio da Rimini, 13 - info: t. 0541 26417 / info@libreriariminese.it ]


librerie ed editori - librerie ed editori - librerie

VIALE DEI CILIEGI 17 LIBRERIA DEI RAGAZZI [Via Bertola, 51/57a- info: t. 0541 25357 / info@vialedeiciliegi17.it] EVA MONTANARI STUDIO E FANTASIA a cura di Serena Zocca dal 28 aprile al 15 luglio lunedì 15.30 - 19.30 martedì - sabato 9 - 13 / 15.30 - 19.30

Eva Montanari

LIBRERIA LA FELTRINELLI

[Largo G. Cesare, 4 - info: t. 0541 788090 / direttore.rimini@lafeltrinelli.it] ALESSIA ELECTRA CAMPANA IL GATTO E IL TOPO dal 25 maggio al 15 luglio lunedì - venerdì h. 10 - 20 / sabato h. 9.30 - 20 domenica 10.30 - 13 / 16 - 20

FOYER

LOCALI

[Vicolo Pescheria 19 - info: t. 0541 1736855 / foyer@allmakers.it ]

LOCALI

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LOCALI

-

EDOARDO MASSA A GRANDI LINEE a cura di Anna Guerra dal 25 maggio al 15 luglio lunedì - giovedì h. 8.30 - 2 / venerdì - domenica h. 8.30 - 3

Edoardo Massa


TEATRO PANE VINO E CAFFÈ

locali -

locali

Marianna Balducci

-

MARIANNA BALDUCCI a cura di Valentina Pensierini dal 20 aprile al 15 luglio lunedì chiuso martedì - sabato h. 10 - 20 domenica h. 9 - 13/ 16 - 21

-

[Via Bertola, 52 - info: t. 340 298 6098 / barlentorimini@gmail.com]

locali

BAR LENTO

[Piazzetta San Martino, 8 - info: t. 0541 21705 / info@circusrimini.com ]

locali

Simone Rastelli

locali

SIMONE RASTELLI FACCE a cura di Margo Lengua e Simone Rastelli tutti i giorni h. 7.30 - 24

-

PANIFICIO CAFFÈ CIRCUS

locali

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Davide Fraternali

locali

-

DAVIDE FRATERNALI UNA FARSA VIOLENTA a cura di Daniele Andruccioli dal 20 maggio al 25 luglio aperto tutti i giorni escluso il giovedì h. 7 - 23

locali

[Piazza Cavour, 6 - info: t. 0541 51026 / info@teatrorimini.it ]


[Piazzetta Teatini 5 - info: t. 0541 709742 / osteriaioesimone@gmail.com ]

Antonella Spada

ANTONELLA SPADA EVANESCENZE dal 25 maggio al 15 luglio dal lunedì al sabato h. 12 - 15/ 19 - 23 chiuso domenica

FERMATA EST

[Via Circonvallazione meridionale, 41 ] LUIGI MAGGIORE, ANTON LUCA NANNINI TOPONOGRAFIE dal 25 maggio al 15 luglio tutti i giorni h. 18 - 2

Luigi Maggiore

locali -

locali - locali - locali -

locali

OSTERIA IO E SIMONE

CINEMA TEATRO TIBERIO

cinema

[Via S. Giuliano, 16 - info: t. 328 2571483 / info@cinematiberio.it]

Fabio Ceccarelli

cinema

-

FABIO CECCARELLI AMARCORT FILM FESTIVAL: 10 EDIZIONI IN 10 DISEGNI a cura di Alessandro Ceccarelli dal 26 aprile al 30 giugno mercoledì, venerdì e sabato h. 20 - 21 domenica h. 14 - 18

[Via Nuova Circonvallazione 28 - info: t.

Davide Arcangeli

concessionaria

CONCESSIONARIA RUGGERI

0541 778444 /info@ruggeri.net]

DAVIDE ARCANGELI PROGETTI DI AUTO E SOGNI a cura di Oreste Ruggeri dal 28 aprile al 15 luglio lunedì - venerdì h. 8.30 - 12.30 - 15.00 - 19.00 / sabato h. 8.30 - 12.30



Fortunato Duranti

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diventano protagonisti grazie ad un allestimento immersivo e coinvolgente. Maggioli Musei ha curato l’intero progetto: definizione della brand identity, nuova immagine coordinata, sito web, allestimento delle sale con tecnologie innovative come filmati panoramici realizzati con droni, ricostruzioni 3D, visori di realtà virtuale, sistemi touch-screen multimediali.

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