Decarta 25 - Viterbo

Page 1

VITERBO



VITERBO

città • Fontane monumentali tra sprechi e danni • 60mila euro per pulizia e manutenzione…

ricerca • La Tuscia su Marte

storia • Il Casaletto del Padreterno

musica • Intervista a Luigi Stefanini

Sostieni la nostra rivista sottoscrivendo un abbonamento. Riceverai ogni mese la copia di “DECARTA” direttamente a casa tua. Compila questo modulo e invialo a: Lavalliere Società cooperativa - Via della Palazzina, 81/a - 01100 Viterbo oppure mandaci una email con le stesse informazioni a: info@lavalliere.it Il/la sottoscritto/a sottoscrive un abbonamento annuale (11 numeri) per l’anno 2016 (barrare la casella che interessa): abbonamento ordinario € 20 abbonamento sostenitore € 50 abbonamento benemerito € 100 La rivista dovrà essere inviata al seguente in indirizzo: Nome e Cognome Via/piazza Cap Città Codice Fiscale

n.

Allega (barrare la casella che interessa): assegno bancario intestato a Lavalliere Società cooperativa copia bonifico intestato a Lavalliere Società cooperativa IBAN IT15 B051 0414 500C C055 0001 820


viterbo

città

Fontane monumentali tra sprechi e danni La soluzione ingegnosa degli antichi, le possibilità della tecnica e l’ottusità di chi amministra. Roberto Pomi | www.lafune.eu - Foto di Manuel Gabrielli

ITERBO – Città delle belle donne e delle belle fontane. È questo un brand che potrebbe tirare parecchio ancora oggi per il capoluogo della Tuscia. Delle prime qualcosa ancora rimane, delle seconde la bellezza è sempre meno evidente. Anzi. Sta di fatto che ogni anno i viterbesi pagano di tasca propria migliaia di euro l’acqua per alimentarle. Il tutto forse per la gioia di Talete. Non è facile conoscere la cifra esatta, eppure non si tratta dell’ultimo mistero di Fatima. Sta di fatto che il polverone su questo l’ha alzato lo scorso anno il Movimento Cinque Stelle, con un intervento del consigliere Gianluca De Dominicis in fase di discussione di bilancio. Allora il pentastellato aveva spiattellato un numero da far tremare le vene ai polsi: 400mila euro.

V

Oggi, da bilancio comunale, risulta che il Comune di Viterbo spende 520mila euro di acqua. L’assessore Alvaro Ricci ha precisato che si tratta di una cifra complessiva (idranti, irrigatori, etc) e la quota per le fontane è intorno agli 80mila euro. Altri consiglieri di minoranza sostengono che la spesa

IV

nello specifico sia un po’ più alta: 100mila euro circa. De Dominicis, interpellato appositamente per questo articolo, promette di fare chiarezza. A costo di dover prendere bolletta dopo bolletta e sommare il tutto. Prendiamo per buoni gli 80mila euro di fonte “governativa”. Stiamo parlando comunque di una bella cifra. Esattamente 20mila euro in meno rispetto a quanto il Comune ha intenzione di mettere a sostegno delle famiglie in difficoltà con parenti nelle Rsa, quella sì una roba davvero seria. Se si sceglie di mantenersi più leggeri si potrebbe dirla così: l’equivalente di due mostre di opere di San Marino a Valle Faul. a riflessione va fatta perché esisterebbero sistemi che permetterebbero risparmi considerevoli e riduzione di danni alle fontane monumentali stesse. È possibile cercarli alla voce “sistemi di ricircolo dell’acqua”. Nelle città più “sveglie” sono una realtà da anni e da due anni nei cassetti del Comune c’è un progetto dell’Unitus che traccia la prospettiva. Ma quello che stiamo per dirvi è tanto ovvio quanto sconvolgente. Una buona soluzione l’avevano anche “gli antichi”.

L

Le fontane viterbesi infatti sono state alimentate per secoli non certo con l’acqua del rubinetto ma con un sistema a caduta. Con delle condotte si portava acqua da Fontana Grande a tutto il resto, alimentando i giochi d’acqua con acqua sorgiva. Poi negli anni Novanta la “pazza idea”. Troppo costoso fare la manutenzione, meglio fare diversamente. Mai pensata poteva essere più sciocca. Doppio danno: al portafoglio dei cittadini, ma a quello è noto che non pensa mai nessuno (altrimenti non avremmo le tasse al massimo), e alle fontane monumentali. Avete fatto caso al peperino? Guardatelo bene, biancheggia. È l’effetto del cloro presente nell’acqua dei rubinetti. Uniche immuni dal fenomeno sono Fontana Grande e quella del cortile del Comune, ancora alimentate a caduta. La sorgente è sotto Santa Maria in Gradi. E il sistema di condotte di alimentazione poggia su un vecchio acquedotto romano, fatto costruire dal console Munio Valerio Nigro. Un tizio che aveva una villa nei pressi del Bagnaccio. Non resta che riflettere. Si ringrazia per la consulenza il giornalista e storico locale Giovanni Faperdue.

DECARTA GIUGNO 2016


ontana di Pio II, l’amministrazione Michelini si sta interessando. Si tratta della fontana in prossimità di Porta San Pietro, smembrata da anni in due parti: il vascone e l’elemento monumentale; e nel più totale abbandono e degrado. Al punto che la parte decorativa, a ridosso sul palazzo storico, è letteralmente “incorniciata” da centraline Enel e altri contatori. Per quanto riguarda il vascone si può dire che “vivacchia” tra la melma e l’immondizia lasciata dentro o nelle vicinanze dall’incivile di turno. In data 13 ottobre 2015 La Fune ha deciso di condurre una vera e propria campagna stampa per ridare dignità al monumento cinquecentesco.

F

Una serie di articoli sotto il titolo “Dignità per la fontana di Pio II, la Fune sfida Michelini”. Un pezzo al giorno per fissare bene nella mente degli amministratori lo scempio e alla fine si è aperta una breccia. Al punto che nel mese di aprile il consigliere Maria Rita De Alexandris ha portato la questione in consiglio comunale e si è attivata anche l’assessore Raffaella Saraconi. Quest’ultima ha informato che si sta studiando come risolvere la criticità che riguarda la bella parte monumentale, puntando a rimuovere e spostare altrove le varie centraline. Per quanto riguarda il ricongiungimento anche del vascone occorrerà aspettare ancora un po’, ma il tema è stato preso in considerazione. Alla fine la tenacia ha portato risultati e speriamo che presto quest'angolo, tra i più belli e caratteristici di Viterbo, possa recuperare lo splendore che merita. Anche perché l’intera zona di Porta San Pietro meriterebbe maggiore attenzione da Palazzo dei Priori, rappresentando la via d’accesso più sensata per i turisti al quartiere di San Pellegrino e Pianoscarano. La campagna stampa de La Fune ha avuto origine da una richiesta avanzata nel corso di una conferenza stampa dal giornalista e appassionato di storia locale Mauro Galeotti.

DECARTA GIUGNO 2016

ontana Grande, detta anche del Sepale, è un gioiello. Non capita di rado vedere gruppetti di turisti alle sue “pendici” attenti a buttarci sopra gli occhi. Occhi sgranati, che scivolano lungo il fuso e poi si avvicinano a ripercorrere i disegni e le decorazioni medioevali sugli elementi metallici da cui esce l’acqua.

F

Ma in pochi sanno che tanta bellezza splende anche nel bel mezzo dell’Egeo. I viterbesi che si sono spinti fino all’isola di Rodi sanno bene di cosa si sta parlando. Porto di Mandraki, dove tanti anni fa troneggiava il leggendario Colosso di Rodi. Lì fa bella mostra di sé la riproduzione, in dimensioni ridotte, di un pezzo di storia viterbese. È opera dello scalpellino etrusco Alfredo Maggini. Fu creata in scala uno a due per l’Esposizione Universale del 1911 a Castel S. Angelo a Roma e fu poi venduta a un notaio ebreo che la pose nel suo villino ai Parioli. Venne in seguito acquistata dal Ministero della pubblica istruzione che, a sua volta, la mandò a Rodi durante il periodo dell’occupazione italiana (1912-1943). Uno spaccato di linee medioevali che bene s’intona con i palazzi e le fortificazioni dell’isola. Perché molti edifici furono costruiti, tra il 1309 e il 1522, dai Cavalieri dell’Ordine dell’Ospedale di Gerusalemme di Rodi e di Malta, più noti semplicemente come Cavalieri di Malta. Un posto pieno di stemmi papali, che si trovano anche nella Tuscia. E andarci in visita è un po’ come sentirsi a casa.

V


viterbo

città

Nel conto mancano due fontane: quelle d’Ercole

La Fontanasfera tornerà a splendere

el conto manca una fontana, anzi ne mancano due: quelle d’Ercole. L’originale, che si presentava tra Palazzo dei Priori e il Palazzo della Prefettura nel Quattrocento e quella progettata dallo scenografo premio Oscar Gianni Quartanta, in occasione del Festival Quartieri dell’Arte nel 2015, ispirata a quella originale descritta su alcuni testi di storia viterbese. La prima non si sa che fine abbia fatto e non si sa quando e perché sia stata distrutta. La seconda invece doveva rinascere con il contributo del Comune di Viterbo che si era impegnato a sostenere l’intervento che avrebbe portato alla nascita della nuova fontana che sarebbe stata montata in via dell’Orologio Vecchio, nel largo all’altezza di via Angusta, proprio ad un passo da Palazzo Mazzatosta.

N

Bozzetto realizzato da Gianni Quaranta

Il progetto era stato presentato in grande stile in piazza del Comune con un wall mapping, realizzato da Francesco Di Mauro e Daniele Pappalardo, che mostrava il progetto della fontana realizzato da Quaranta, con la consulenza di Enzo Bentivoglio e Simonetta Valtieri. Sulla fontana si stagliava un Ercole insolito, femmineo come lo definì Niccolò della Tuccia. Il cronista scrisse: “In cima della fonte fu posto un Ercole mal fatto, formato come una vil femminella”. Del progetto, in Comune, si è persa traccia nonostante la disponibilità mostrata da Gianni Quaranta, da Quartieri dell’Arte e anche da una azienda del territorio che si era messa a disposizione per abbattere i costi della realizzazione del monumento.

uando aprì nel 1992, all’epoca di Giuseppe Fioroni sindaco e di Leonardo Michelini consigliere comunale, fu per l’interessamento dell’assessore regionale Oreste Massolo e l’impegno dello scultore Claudio Capotondi. Quando chiuse, poco tempo dopo, sembra fu perché d’inverno i getti d’acqua si cristallizzavano e finivano sulla salita di via della Pila rendendo l’asfalto pericoloso.

Q

La fontana però da lì in poi non riaprì più. Potrebbe rifarlo ora, nel 2016, grazie all’impegno bipartisan di Melissa Mongiardo e Gianluca Grancini, su fronti opposti in Consiglio comunale (lei Pd, lui Fratelli d’Italia), ma sullo stesso lato per ridar vita all’unica fontana contemporanea di Viterbo. Durante la scorsa tornata di bilancio il Consiglio comunale di Viterbo ha inserito lo stanziamento di 20mila euro, già promesso dal sindaco Leonardo Michelini, che servirà anche ad una piccola riqualificazione della zona. I 20mila euro si sommeranno a qualche altra migliaia di euro che erano già stati trovati dai due consiglieri in collaborazione con l’assessore Raffaella Saraconi da alcuni ribassi d’asta del settore verde pubblico, che avevano messo a disposizione qualche soldo per rimettere in sesto la zona. Dopo le carte, ora è il tempo delle azioni. Con i soldi stanziati probabilmente si riattiverà la fontana, sistemando i guasti idraulici ed elettrici e procedendo a una nuova impermeabilizzazione. Una battaglia vinta dai consiglieri, ma anche da Decarta che per primo si era attivato per raccontare la storia della fontana. Infine un vittoria anche per i cittadini della parrocchia del Murialdo, di Gens Nova e di Viterbo Civica che si sono impegnati per ripulirla dai rifiuti dai quali era ricoperta. E per La Fune, che ha tenuto la luce accesa.

60mila euro per pulizia e manutenzione fino al dicembre 2016 “Habemus solutionem”, 60mila euro per la pulizia e la manutenzione delle fontane monumentali per il 2016. Se un indovino avesse previsto agli antichi padri e custodi della città di Viterbo che sarebbe arrivato il giorno in cui nelle fontane comunali avrebbe trionfato la melma e l'immondizia probabilmente l'avrebbero giudicato pazzo. E invece questi giorni sono venuti a farci visita. Sono poi diventati mesi e infine anni. Tanto che nel 2013 l’allora candidato alla carica di sindaco, e oggi primo cittadino, Leonardo Michelini sentì il bisogno di pubblicare un libro proprio per accendere i riflettori sullo stato delle fontane. Mossa da campagna elettorale azzeccata. Buona per vincere ma poi dimenticata per almeno tre anni. Solo ora, con l’approvazione del bilancio 2016, da Palazzo dei Priori arriva una risposta al problema. L’appalto per la manutenzione e la pulizia adesso può partire, c’è la copertura economica. Il bilancio approvato dalla giunta aveva inserito una voce di spesa di 30mila euro. Con un emendamento la cifra è stata rimpinguata di ulteriori 30mila. Tutti da spendere nei prossimi sei mesi, per la bellezza di 10mila euro ogni trenta giorni. Prima dell’approvazione del bilancio il Comune aveva stanziato, per tamponare, 10mila euro per tre mesi d’interventi urgenti. Un’azione classica quella approvata, che punta a togliere l’imbarazzo di questi anni. Non certo un intervento strutturale, sul tipo dell’applicazione di impianti di ricircolo. Un’idea che però è tornata a ripresentarsi a Palazzo dei Priori, anche grazie a una proposta di emendamento (bocciata) presentata dal consigliere di Fondazione Gianmaria Santucci. Il membro dell’opposizione puntava a far passare la decisione di dare l’ok a un progetto dell’Unitus parcheggiato nei cassetti dell’assessorato da un paio d’anni. Uno spin-off dell’Università degli Studi della Tuscia che prevede una spesa di 80mila euro all’anno per dotare le dieci fontane monumentali di impianti di ricircolo dell’acqua e per effettuare la manutenzione necessaria.

VI

DECARTA GIUGNO 2016


DECARTA GIUGNO 2016

VII


viterbo

ricerca

Sara Morelli e Arianna Mugnari

La

Tuscia su Marte

VIII

o scorso 18 marzo, presso il dipartimento DEB dell’Università della Tuscia, ha avuto luogo il workshop Dialoghi di astrobiologia: origine, evoluzione e sopravvivenza nello spazio, organizzato dall’associazione universitaria AUCS Viterbo (Associazione universitaria per la cooperazione e lo sviluppo) e dall’Università della Tuscia. Sono intervenuti all’evento alcuni relatori dell’Ateneo viterbese (Raffaele Saladino, Silvano Onofri, Laura Selbman e Laura Zucconi) e altri provenienti dalle sedi universitarie di Perugia (Nadia Balucani), Roma La Sapienza (Ernesto Di Mauro) e Roma Tor Vergata (Daniela Billi). Erano presenti anche Enzo Gallori (presidente della Società Italiana di Astrobiologia, SIA), Marco Moracci (CNR, Napoli) e John Robert Brucato (Osservatorio astronomico di Arcetri, Firenze). Durante il workshop sono stati descritti diversi aspetti dell’astrobiologia, come la chimica prebiotica della formammide – la molecola alla base della vita – lo studio di organismi estremi e l’esplorazione di ambienti extraterrestri, evidenziando il ruolo delle missioni spaziali per verificare la possibilità di vita su altri pianeti, come nel caso di Marte.

L

Incuriosite dall’affascinante materia, abbiamo intervistato i docenti dell’Ateneo della Tuscia presenti alla conferenza per approfondire alcuni aspetti relativi alle loro ricerche. Il primo ad essere stato intervistato non poteva che essere Raffaele Saladino, professore di Chimica organica, il quale ci ha illustrato il suo

DECARTA GIUGNO 2016


lavoro nell’ambito pre-biotico, relativo alla identificazione delle vie chimiche spontanee che hanno portato alla formazione delle biomolecole necessarie per l’origine della vita. Uno degli scenari fondamentali dell’astrobiologia, riguarda proprio la formammide, una molecola ubiquitaria nell’universo che è in grado di trasformarsi spontaneamente nelle biomolecole essenziali per la vita, quali gli acidi nucleici (DNA e RNA), gli zuccheri e le proteine. «Intorno al 2001, nell’ambito del progetto di sequenziamento degli acidi nucleici Genoma umano, ci siamo accorti che una semplice molecola, la formammide (necessaria in alcune procedure analitiche di sequenziamento), aveva la capacità di produrre biomolecole. Da questi risultati abbiamo esteso le nostre ricerche all’origine della vita, grazie ai finanziamenti stanziati dalla Agenzia Spaziale Italiana (ASI) nell’ambito del progetto MoMa (dalle Molecole all’Uomo). Ciò ha permesso di comprendere quanto fosse inevitabile la formazione della vita dal momento che gli ingredienti necessari per la sua origine sono particolarmente semplici da preparare e facilmente reperibili in ogni ambiente spaziale, incluso quello terrestre» spiega Saladino. fronte di questa scoperta è stata dimostrata l’importanza che le diverse forme di energia hanno per la riuscita di questi processi. Per esempio, in presenza di vento solare, i meteoriti diventano delle vere e proprie fabbriche di questi precursori, documentando la teoria della “Panspermia” secondo la quale la vita e i sui componenti possono derivare dall’esterno del nostro pianeta. Inoltre è stato descritto il concetto di precursore “multifunzionale” e di “chemiomimesi”, secondo cui le molecole necessarie per la formazione della cellula madre possano far parte di cicli di continua degradazione e ricomposizione, per essere sempre disponibili quando è necessario, rappresentando uno “stampo” per l’evoluzione di molecole sempre più complesse. Questi esperimenti saranno riprodotti nello spazio durante la missione BIOPAN nel 2020, in collaborazione con il Joint Institute of Nuclear Research (JINR) di Dubna (Mosca), con il quale è attiva una convenzione da parte dell’Ateneo della Tuscia.

A

«LUCA (Last Universal Common Ancestor) è stata la prima forma di vita sulla Terra e queste ricerche si prefiggono di trovare le condizioni affinché la vita possa originarsi anche sugli altri pianeti del sistema solare, o altrove nell’Uni-

DECARTA GIUGNO 2016

verso, verificando anche la presenza di acqua o di organismi fotosintetici nello spazio eso-solare», conclude il professor Saladino. a nostra intervista prosegue con Silvano Onofri, docente di Biologia vegetale, e Laura Selbmann, docente di Botanica e Micologia generale, che ci hanno guidato alla scoperta del progetto LIFE (Lichens and Fungi Experiment), nato dalla teoria secondo cui è possibile trasferire la vita da un pianeta all’altro tramite l’espulsione di meteoriti (Litopanspermia) e che ha spinto gli astrobiologi a domandarsi quali fossero i microrganismi più adatti a superare un viaggio nello spazio. La scelta è caduta sulle comunità criptoendolitiche (comunità di microrganismi che abitano l’interno delle rocce) provenienti dall’Antartide, con le caratteristiche ottimali allo scopo. Il progetto ha avuto inizio con il lancio dello shuttle che ha portato campioni di rocce antartiche selezionate sulla piattaforma spaziale Expose-E dove sono state esposte alle radiazioni, al vuoto ed alle temperature dell’ambiente spaziale per 18 mesi, condizioni non riproducibili in laboratorio. Insieme alle rocce colonizzate è stato esposto alle stesse condizioni anche un fungo microscopico, Cryomyces antarticus, da esse isolato e coltivato in coltura pura.

L

La docente Laura Selbmann ci ha descritto le particolarità del fungo, utilizzato come modello sperimentale. Il Cryomyces antarticus è un microrganismo endemico delle Valli Secche di McMurdo in Antartide, le quali rappresentano un’area deglaciata nel mezzo della catena transantartica e perciò un’anomalia dovuta ad un fenomeno geologico e climatico. Questo territorio, per le basse temperature, scarsissima disponibilità di acqua e forte irraggiamento rappresenta dunque l’ambiente più simile a quello marziano. Il fungo Cryomyces antarticus è molto interessante dal punto di vista morfologico: quando sottoposto a stress, entra in uno stato di quiescenza e assume l’aspetto di un “sassolino”, dato che ha una parete cellulare (il rivestimento più esterno della cellula) molto ispessita e scura per l’elevato contenuto di melanina, che ha il compito di proteggerlo dagli stress ambientali. Associate alla parete presenta delle placche che ricordano quasi un’armatura, come ulteriore protezione. Al contrario, nella sua fase di sviluppo, la cellula si gonfia idratandosi e con la separazione delle placche, prima unite tra loro, si accresce. «La sua resistenza a stress termici, condizioni di disidratazione, raggi UV e ra-

IX


ricerca diazioni ionizzanti, le sue caratteristiche e la sua ecologia hanno fatto sì che venisse scelto come modello sperimentale ottimale per gli esperimenti spaziali», precisa Selbmann. seguito dell’esperimento Expose-E, i risultati ottenuti sono stati positivi. Infatti, una piccola percentuale degli organismi si è rivelata in grado di sopravvivere in condizioni spaziali, seppur con lievi modificazioni del patrimonio genetico. Da questo successo sono partiti altri esperimenti correlati al primo, come BioMEx (Biology and Mars Experiment) che ha come punto di riferimento la piattaforma Expose-R. L’obiettivo è trovare le cosiddette biofirme, ovvero le tracce lasciate dai microrganismi vissuti all’interno delle rocce analoghe a quelle del territorio marziano, per poi andare a capire se sono anche presenti su Marte, verificando la possibilità di vita passata sul pianeta. Lì le condizioni sono molto restrittive: atmosfera limitata (principalmente CO2), pressione estremamente bassa (6 millibar, a confronto con 1.013 millibar della Terra), variazione delle temperature particolarmente repentina (al Sole 25°C, mentre al buio possono arrivare fino a -120°C). Per di più, a causa della bassa pressione, l’acqua può esistere solo allo stato solido e a quello gassoso, ma non a quello liquido, se non in soluzioni saline estremamente concentrate. Tuttavia, il fungo Cryomyces antarticus è riuscito a sopravvivere anche a condizioni marziane, simulate all’esterno della Stazione Spaziale Internazionale durante l’esperimento LIFE.

A

Un nuovo progetto, ExoMars, ha previsto un primo lancio sul Pianeta Rosso e ne prevede un secondo nel 2020 per analizzare il suolo ed il sottosuolo marziano mediante una trivella in grado di arrivare ad un paio di metri di profondità per scovare possibili analogie con le rocce esposte per quel lungo periodo nello spazio, utilizzate negli esperimenti precedenti.

X

Solo così sarà possibile dimostrare se nel territorio di Marte sono presenti biomolecole simili o uguali a quelle rilasciate dai microrganismi alle condizioni precedentemente esposte; questo potrà dirci qualcosa sulla possibilità di esistenza della vita soprattutto passata ma forse anche vita attuale su Marte. «Questo cambia le nostre prospettive nei confronti dell’universo: sapere che la vita non è un’esclusiva della Terra sarebbe una rivoluzione, al pari di quella copernicana. Potremmo essere solo un esempio nell’universo e ciò è davvero significativo» sostiene con entusiasmo Onofri. iassumendo, possiamo affermare che l’Astrobiologia è una scienza recente che si rivolge alle domande basilari per la conoscenza scientifica: “In che modo si è originata la vita?”, “Può esistere vita al di fuori della Terra?”, “Quali sono le condizioni estreme per la vita?”. Gli studi astrobiologici hanno anche un’ulteriore importanza, in quanto ogni scoperta teorica può avere un risvolto applicativo in vari settori.

R

«Le informazioni che possiamo ottenere da questa scienza ci permettono di comprendere anche come la vita si è sviluppata sul nostro pianeta. L’Astrobiologia si propone di trovare la vita al di fuori della Terra, ma anche di capire come si sia formata ed evoluta sulla Terra stessa che non è un pianeta diverso dagli altri, ma tra gli altri», spiega la professoressa Selbmann. «Nell’astrobiologia c’è anche quella voglia di esplorare tipica della nostra specie e non solo: tutte le specie esplorano, quindi se misuriamo il successo di quella umana come successo biologico, allora dobbiamo ammettere che la nostra specie ha avuto successo perché siamo degli esploratori», conclude il professor Onofri.

DECARTA GIUGNO 2016


viterbo

storia

Cantone ’nguattate (Angoli nascosti) Il casaletto del Padreterno. Gianluca Braconcini

ercorrendo strada Capretta in direzione del quartiere Santa Barbara e poco prima della strettoia, si incontra sulla destra una cappella isolata conosciuta dai viterbesi come il “Casaletto del Padreterno”. Questo piccolo edificio si caratterizza per una pregevole ed interessante pittura monocroma eseguita a graffito, molto simile a quella della facciata di palazzo Ninni, in via Annio. Secondo alcuni studiosi la costruzione del casaletto sarebbe legata al matrimonio combinato tra Pier Luigi Farnese (primogenito del cardinale Alessandro e primo duca di Castro) e Gerolama Orsini dei conti di Pitigliano, avvenuto il 19 gennaio 1519 presso la chiesa Collegiata di San Giovanni Apostolo di Valentano. In realtà, secondo gli storici, si tratterebbe di un ex-voto realizzato dopo il matrimonio che gli sposi vollero elevare al Padreterno per benedire eternamente la loro unione.

P

I coniugi amavano molto la nostra città e vi trascorrevano diverso tempo dimorando nel loro magnifico palazzo di Viterbo, presso il ponte del Duomo, costruito nel Quattrocento da Ranuccio I Farnese. In una parete laterale del casaletto si trovava l’antica porta d’ingresso, ora murata, sul cui architrave è l’incisione I.N.R.I. (Iesus Nazarenus Rex Iudaeorum); le lettere sono “divise” a metà da una croce scolpita. Entrando dall’attuale porta d’accesso

DECARTA GIUGNO 2016

si può notare come la cappella era costituita da due piani divisi da un solaio ormai distrutto; una scala in legno permetteva di accedere al piano superiore, dove si trovava la camera da letto che prendeva luce ed aria da una piccola finestra. Ancora oggi rimangono le tracce di un largo camino posto proprio sopra l’ingresso originale. Sulla facciata del fabbricato, rivolta su strada Capretta, si vede un’edicola con una cornice in peperino ad arco e sulla chiave

è presente una croce affiancata dalle parole AveMaria; all’interno è presente un affresco piuttosto rovinato, e “mostruosamente” ritoccato in epoca recente, che raffigura la Madonna col Bambino. Nella parte superiore si nota un graffito con pittura monocroma; le figure della composizione mostrano il Padreterno benedicente, che tiene un globo terracqueo con la mano sinistra, ed ai lati due angeli “portaceri”. Sotto il tetto vi è un fregio, anch’esso a graffito, costituito da bandelle e fiocchi decorativi dove si alternano le figure araldiche del giglio farnesiano e della rosa degli Orsini. el 1547 Pier Luigi venne ucciso nella congiura di Piacenza e la duchessa Gerolama dieci anni più tardi fondò a Viterbo, presso la chiesa della Visitazione in via San Pietro, l’omonimo monastero; chiamato dai viterbesi la “Chiesa delle Duchesse”. Fino alla metà del secolo scorso, il casaletto era abitato saltuariamente da vagabondi e girovaghi; mia suocera, che era nata poco distante, mi raccontava che durante il mese di maggio, quello dedicato alla Madonna, i contadini che abitavano nei poderi vicini portavano tutti i giorni i fiori freschi alla Vergine dell’edicola e la domenica si riunivano davanti all’edificio per recitare il rosario ed altre preghiere.

N

XI


viterbo

musica

Intervista a Luigi Stefanini La passione autentica di un produttore al passo con i tempi. Federica Sciamanna | info@backstageacademy.org gni volta che si registra un disco è sempre come chiudere un periodo di vita ed aprirne un altro, sai che finalmente potrai mettere su “nastro” le track di cui hai curato ogni dettaglio, ogni nota, ogni parola. Con la mia band, i The Shiver, siamo entrati in studio il mese scorso per registrare il quarto album. Ci era stato consigliato il New Sin Recording Studio di Castelfranco Veneto e quindi, dopo aver preparato armi e bagagli e aver lasciato la nostra attività in mani fidate, siamo partiti per questa nuova esperienza sparendo per circa un mese dalla circolazione. Il miracolo che avviene ogni volta nella sala d’incisione è sempre sorprendente. Siamo stati ospiti a Castelfranco del produttore artistico e proprietario del New Sin, Luigi Stefanini. Quest’uomo oltre ad essere un musicista formidabile ha un orecchio pazzesco e conosce perfettamente tutte le

O

XII

macchine di inestimabile valore con cui lavora. Da qui sono uscite belle produzioni metal (citiamo i Labyrinth e Roberto Tiranti) e lui è davvero un gran professionista ed è perfettamente aggiornato su come si lavora negli studi più famosi. Dopo le registrazioni della batteria, avvenute alla Backstage Academy, siamo passati subito alle chitarre e al basso: è infinita la serie di testate che Luigi ci ha proposto. Abbiamo ascoltato le varie combinazioni di casse, testate, chitarre finché non è stato trovato il suono giusto. Poi sono stati aggiunti gli effetti, rigorosamente analogici, che lo studio fornisce. Tra le tante belle sorprese annoveriamo una Gibson SG “Diavoletto” dell’86, una Gibson Les Paul del ’65 e poi una serie di synth vintage ed un Theremin che Luigi suona egregiamente. È però con la sessione di voce che questo produttore ha dato il meglio: non c’è un colore delle

mie note che sia sfuggito al suo orecchio! Ci tenevo quindi in particolar modo a farvelo conoscere… Benvenuto, Luigi, sulle pagine di Decarta Magazine. Oltre che come produttore hai una bella esperienza anche come bassista, puoi raccontarci il tuo vissuto come musicista? «Ho suonato la chitarra, le tastiere ed il basso con varie formazioni, fino ad arrivare ad un lavoro stabile con una grossa major. Per anni, ho quindi vissuto il mondo degli studi dalla parte del cliente; questo mi è stato poi molto utile per capire quali sono le difficoltà che può incontrare un musicista che entra in studio, magari per la prima volta, ed evitare errori e “maltrattamenti” quali quelli che spesso mi è capitato di subire.» Sappiamo che hai una passione fortissima per le apparecchiature vintage, come è nata questa

DECARTA GIUGNO 2016


passione ed in che modo la coltivi? Quali sono gli oggetti a cui sei più legato? C'è una storia particolare dietro a qualcuno di essi? «Ho cominciato a lavorare con le bobine e ho vissuto in prima persona il lungo e travagliato passaggio al digitale. Avendo usato tutti i tipi di macchine, so che suono devo aspettarmi da una determinata apparecchiatura e quale usare al meglio per ogni specifico uso. Molto spesso vedo alcuni studi sfoggiare rispettosamente delle macchine “vintage” che noi all’epoca non usavamo nemmeno, perché suonavano male già allora! Le macchine veramente belle erano spettacolari; costosissime e costruite senza compromessi. Inarrivabili per noi comuni mortali, le vedevamo solo negli studi di Milano e Londra. Ora che ho la possibilità, quando le trovo correttamente restaurate, non me le lascio scappare; il suono che ne ricavi non è ottenibile in nessun’altra maniera, non c’è simulazione o plug-in che tenga.» Come vedi il mondo della musica oggi? Quali produzioni ti colpiscono positivamente e perché? «La crisi e la democratizzazione delle tecnologie non hanno giovato. Siamo sommersi da una valanga di produzioni spesso inutili e scadenti; in mezzo ci sono le perle, ma trovarle è diventato difficile e faticoso, così alla fine ci accontentiamo di ascoltare

DECARTA GIUGNO 2016

solo quello che ci viene imposto. Cosa servirebbe? Più cultura, è un nostro diritto e qualcuno è contento che non lo esercitiamo.» Il tuo studio è uno tra i più forniti e professionali in Italia, dal New Sin sono usciti dischi di livello altissimo che hanno avuto ampio successo internazionale. C’è qualche produzione a cui ti senti più legato? «Ogni scarrafone è bello a mamma sua. Guarda, mi capita di lavorare a grosse produzioni, come a gruppi esordienti, ma l’impegno e la passione da parte mia sono gli stessi, in entrambe le situazioni. Ogni lavoro è importante, anche quelli apparentemente più piccoli. Anzi, devo dire che le richieste a volte ingenue di un principiante, sono spesso state per me lo sprone a ricercare e sperimentare nuove tecniche!» Come ti sei accostato al lavoro del produttore? cosa consiglieresti ai ragazzi che sono così coraggiosi da intraprendere un percorso del genere oggi? «Un aneddoto: tempo fa si faceva un lavoro in sala con un famoso e rinomato sound engineer. Io ero in

Per saperne di più

un angolo, solo come osservatore. Il bassista registra la sua parte e, ad ogni giro, sbaglia clamorosamente una nota. Terminata l’esecuzione, il tecnico preme lo stop e rimane fermo e zitto. Dopo cinque minuti di imbarazzante silenzio, il bassista domanda come è andata. Ancora silenzio. Dopo un po’, uno della band dice “beh… magari possiamo riascoltare”; il tecnico riavvolge, mette in play, stop… e la scena si ripete. Ci hanno messo un’ora e mezza per trovare lo sbaglio. Io ero sbigottito. Ma perché il fonico non gli ha detto subito dello sbaglio? Perché non era il suo lavoro? Questo va bene se abbiamo in sala un produttore artistico pagato dall’etichetta altrimenti bisogna comunque che qualcuno svolga questo ruolo, anche solo per ottimizzare i tempi in sala e non far spendere inutilmente un capitale alla band! Io, non riesco a stare zitto e, se c’è qualcosa da migliorare, lo propongo sempre, lasciando comunque libertà della scelta all’artista. Il consiglio, per farlo, è di rimanere comunque sempre molto umili: nessuno ha il sacro Graal della musica e, per fortuna, c’è sempra da imparare!» Grazie mille!

www.newsinstudio.com

XIII



Issuu converts static files into: digital portfolios, online yearbooks, online catalogs, digital photo albums and more. Sign up and create your flipbook.