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MENSILE DI INFORMAZIONE NON CONVENZIONALE

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editoriale

War on Drugs DECARTA Mensile di informazione non convenzionale Numero 24 – Aprile 2016 Distribuzione gratuita Direttore responsabile Maria Ida Augeri Direttore editoriale Manuel Gabrielli Redazione Gabriele Ludovici, Claudia Paccosi, Elisa Spinelli Redazione web e photo editor Sabrina Manfredi Design Massimo Giacci Editore Lavalliere Società Cooperativa Via della Palazzina, 81/a - 01100 VITERBO Tel. 0761 326407 Partita Iva 02115210565 info@lavalliere.it Iscrizione al ROC Numero 23546 del 24/05/2013 Stampa Union Printing SpA Pubblicità 0761 326407 - 340 7795232 Immagine di copertina Sara Morelli

I contributi, redazionali o fotografici, salvo diversi accordi scritti, devono intendersi a titolo gratuito. Chiuso in tipografia il 13/04/2016 www.decarta.it

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on il termine War on Drugs si indentificano tutti quegli interventi di tipo politico e militare atti al controllo e alla repressione del mercato delle sostanze illegali. Il termine inglese viene adottato in tutto il mondo non solo per l’universalità della lingua anglosassone, ma anche e soprattutto perché questo tipo di intervento trova la sua origine negli Stati Uniti d’America.

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La guerra alle droghe, come la chiameremmo in Italia, è un’azione che nella sua stessa terminologia è di difficile comprensione. Il termine guerra solitamente viene utilizzato per indicare uno scontro tra forze armate e quindi tra umani. È dunque difficile capire verso chi o cosa possa essere diretta una guerra alla droga. Nonostante questo paradosso, è con la International Opium Convention del 1912 che possiamo trovare il silente inizio di questo conflitto che oggi è arrivato a contare ben 104 anni. La guerra alla droga, per quanto sia stata dichiarata, combattuta e portata avanti nei riguardi di cose inanimate come le sostanze, è ovviamente uno scontro tra persone. È uno scontro che il potere costituito ha deciso di portare avanti nei confronti di produttori, consumatori e commercianti di un vasto numero di sostanze che per vari motivi sono state dichiarate illegali e in seguito bollate con un unico termine: droga.

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ell’epoca moderna, tra stati, etnie, tribù, non esiste una guerra che sia durata con continuità tutto questo tempo. La guerra alle droghe è riuscita a farlo. È stato e continua ad essere un conflitto violentissimo che, come tutte le guerre, ha avuto i suoi leader, i suoi soldati, i suoi morti ed i suoi prigionieri. Non sono mancate trattative, accordi internazionali e apparenti tregue. In questo 2016, un gruppo di Stati ha richiesto un incontro internazionale dell’ONU per discutere di una riforma, o meglio sarebbe dire un armistizio. Questo incontro si chiama UNGASS 2016, che è l’acronimo in inglese per Sessione speciale dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite, e si terrà a New York dal 19 al 21 aprile. Nella storia dell’ONU è la terza volta che viene indetta una sessione speciale su questo argomento e, considerato lo stato attuale delle cose, si tratterà di un incontro critico per la credibilità dell’ Organizzazione. La guerra alle droghe – è stato detto da voci autorevoli più e più volte – è fallita. Portarla avanti è uno spreco di soldi e in molti casi un crimine contro l’umanità. UNGASS 2016 potrà essere un punto di svolta, o di non ritorno. Manuel Gabrielli Presidente Lavalliere Società Cooperativa

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Come tutto è iniziato, proseguito e forse si concluderà

Storia condensata della guerra alla droga Manuel Gabrielli | manuel.gabrielli@decarta.it 4

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gni popolo, a seconda del luogo e del periodo storico, ha avuto a che fare con sostanze psicoattive. Che si trattasse di alcol, di oppio o di qualche altra cosa, da sempre l’uomo va alla ricerca o si imbatte per caso in qualche sostanza particolare. L’utilizzo di droghe può essere visto con sospetto o con curiosità e spesso sono entrambi i sentimenti a dominare l’opinione pubblica, dividendola. Per quanto siano migliaia di anni che le sostanze psicoattive destino tali comportamenti nelle comunità è solo nell’ultimo secolo che, grazie anche ad una società più globalizzata, si sono stipulati accordi internazionali per il controllo di quelle che sono in questa epoca chiamate droghe. Questo proibizionismo diffuso non è nato da un giorno all’altro ma è stato il frutto di una serie di avvenimenti storici e sociali avvenuti principalmente negli Stati Uniti di fine ’800 ed inizio ’900 e che hanno visto l’oppio come protagonista. Il contesto storico Fu con i portoghesi che cominciò la colonizzazione del lontano Oriente; la conquista di Goa in India (1510) e di Macao in Cina (1557) aprirono le porte ai commerci di altre potenze europee. Fu così che nel giro di poco tempo la Corona Spagnola nelle Filippine e quella Britannica in Cina, iniziarono ad importare moltissima merce dai mercati orientali. Questo creò un grave deficit nelle due economie che si ritrovarono presto in un grave squilibrio a causa delle tantissime importazioni di seta, tè e argento che non riuscivano ad essere bilanciate dalle poche esportazioni. Fu per questo motivo che sia Spagna sia Impero Britannico iniziarono a comprare oppio in DECARTA APRILE 2016


India per poi rivenderlo nei rispettivi mercati orientali. La dinastia Qing al tempo governante in Cina tentò di limitare il più possibile questi scambi con l’esterno, per tentare di impedire il commercio smodato di oppio all’interno del paese, concedendo solo il porto di Canton. Quest’ultimo si rivelò presto insufficiente e, le condizioni di resistenza da una parte e di insistenza dall’altra, portarono a quelle che oggi sono note come le due guerre dell’oppio, che si tennero dal 1839 al 1842 e dal 1856 al 1860. Entrambi i conflitti vennero vinti dalle forze britanniche e portarono ad una umiliante apertura delle frontiere commerciali cinesi. Fu così che i popoli di Filippine e Cina cominciarono a soffrire di gravi problemi di dipendenza, i quali passarono inosservati fino a poco tempo dopo il 1898, anno in cui gli Stati Uniti vinsero la guerra IspanoAmericana e acquisirono le Filippine. Divenne da subito evidente come il maggior problema della colonia fosse l’abuso di oppio e fu nel 1901 che Charles Henry Brent, un vescovo episcopale inviato come missionario nelle Filippine, venne incaricato di guidare una commissione, la Brent Commission, per analizzare il problema. La commissione si riunì dal 1903 al 1904 per poi raccomandare un monopolio del commercio dell’oppio e di proibirne l’uso, tranne che per scopi medici, da lì a 3 anni. Il ruolo di Brent fu così importante che venne invitato a presiedere la Conferenza sull’Oppio di Shangai nel 1909, una sede che non era casuale visti i contemporanei e analoghi problemi cinesi con la stessa sostanza. Di lì a breve, nel 1912, verrà stipulata a L’Aia la Convenzione internazionale sull’oppio per la regolamentazione di oppio, coca e derivati.

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egli Stati Uniti il problema dell’oppio aveva già cominciato ad emergere anni prima: nel 1875 San Francisco fu la prima città a proibire l’uso dell’oppio fumato, nel 1881 fu il momento della California, nel 1886

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toccò all’Oregon e nel 1889 al Missouri. Questo non tanto per proteggere la collettività dal vizio ma principalmente perché la comunità cinese non veniva vista di buon occhio e le fumerie o opium den, come scritto dal giornalista Jacob Riis nel 1890 in un articolo di inchiesta sui bassifondi newyorkesi, erano luoghi dove prostitute bianche dipendenti dall’oppio venivano sedotte da scaltri e crudeli uomini cinesi.

il mercato di certe sostanze tramite la tassazione, conteneva una clausola che permetteva ai medici di prescrivere farmaci derivati dall’oppio e dalla coca solo nell’esercizio della professione medica. Non essendo considerata la dipendenza una malattia, e impedendo la prescrizione ai dipendenti da sostanze, questa legge rappresentò di fatto la prima forma di proibizione di droghe nella storia degli Stati Uniti d’America. In maniera simile il 14 giugno del 1937, dopo numerosi articoli sensazionalistici riguardanti messicani impazziti a causa dell’uso della marijuana, fu emanato il Marijuana Tax Act, il quale non proibì direttamente la coltivazione ed il commercio ma li rese talmente tanto complicati e onerosi da non essere minimamente convenienti.

Analogamente alla comunità cinese finirono nel mirino anche quella afroamericana e quella messicana. I primi stati a proporre un discorso di proibizione furono infatti quelli del sud e quindi caratterizzati dalla vicinanza con il confine messicano e da una grande presenza di persone di colore. È più o meno intorno al 1914 che cominciarono a circolare notizie riguardanti i cocaine fiends, riferito a utilizzatori neri di cocaina e traducibile con “demoni della cocaina”. Un articolo del New York Times scritto dal dr. Edward Huntington Williams di questo stesso anno recava come titolo: “Aumentano omicidi e follia tra i neri poveri. Hanno iniziato a sniffare da quando il proibizionismo li ha privati del whisky.” Non a caso nel 1914 fu emanato l’Harrison Narcotics Tax Act, una legge federale che per quanto, apparentemente, sembrasse solo un modo per controllare

Con il Marijuana Tax Act, in piena seconda guerra mondiale, si concluse la prima fase proibizionista degli Stati Uniti d’America, una fase caratterizzata da un cambio di atteggiamento radicale: le sostanze non vengono più controllate per motivi di salute pubblica, ma principalmente per attaccare più o meno direttamente le minoranze etniche presenti all’interno del paese. A questo proposito è facile trovare su internet le numerose dichiarazioni razziste di Harry J. Anslinger, capo dell’ufficio narcotici statunitense per ben 32 anni consecutivi, e anche articoli di stampa contenenti delle notizie che oggi appaiono quantomeno ridicole ma che ai tempi influenzarono fortemente l’opinione pubblica.

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n caso su tutti di strumentalizzazione delle notizie fu l’utilizzo del termine Marijuana al posto di Hemp (Canapa) più comune e conosciuto. Marijuana è un termine dall’etimologia incerta ma dalle sonorità “messicaneggianti” e fece parte di una strategia per far passare come sostanza demoniaca semi-sconosciuta una pianta ben nota agli statunitensi. Il delta-9-tetraidrocannabinolo, uno dei principi attivi più noti della cannabis contenuto in maggiore quantità solo nella femmina di Cannabis Indica, verrà 5


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isolato solo nel 1964 e questo comporterà l’eradicazione di tutte le piantagioni di canapa senza distinzione di specie e di sesso della pianta. Su questo fatto sono state formulate numerose ipotesi complottiste, per le quali questa distruzione della produzione di cannabis (che nel 1961 raggiungerà una portata planetaria) sia stata un’abile mossa di alcuni ricchi industriali statunitensi per distruggere una pianta che aveva troppi pregi: olio combustibile alternativo al petrolio, filati resistentissimi, fibre ottime per la produzione di carta. Al centro di queste ipotesi c’è soprattutto la famosissima industria chimica DuPont, all’epoca interessata nel proporre un nuovo prodotto, il Nylon. Sono ipotesi e come tali vanno considerate. Al contrario la propaganda proibizionista iniziò con chiare idee razziste, all’epoca molto diffuse negli Stati Uniti e ancora oggi motivo di accese discussioni. La seconda fase inizierà con il concludersi della seconda guerra mondiale, 6

quando gli Stati Uniti, con il coltello dalla parte del manico, poterono imporre la loro volontà sul resto del mondo. Non è quindi un caso che Harry J. Anslinger sia stato tra i promotori della United Nations Single Convention on Narcotic Drugs del 1961, un trattato internazionale della da poco nata Organizzazione delle Nazioni Unite, volto a regolare la diffusione di oppio, coca, cannabis e derivati. Fu il primo trattato internazionale ad includere la cannabis e prevedeva la sua eradicazione entro il 1986.

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movimenti di contestazione giovanile, spesso di sinistra, furono quantomeno in apparenza tra i principali motivi di diffusione di alcune sostanze fino a quel momento non contemplate dalla comunità internazionale. Fu così che iniziò a diffondersi l’uso di allucinogeni come lsd, mescalina, psilocibina ed ebbero grande popolarità anche anfetamine e cannabis. Contemporaneamente in Vietnam i soldati, tormentati dalle vicende della

guerra, caddero in gran parte nella dipendenza da eroina, probabilmente vittime anche di una strategia dell’esercito orientale volta a debilitare il nemico. Si diffuse tra i soldati statunitensi anche l’uso di cannabis, un’abitudine che, insieme all’uso della ben più drammatica eroina, i reduci dal Vietnam contribuirono a diffondere una volta tornati in patria. Anche in questo caso sono state molte le ipotesi complottiste successivamente formulate. Alcuni documenti desegretati dal governo degli Stati Uniti, parlano di sperimentazione di allucinogeni per il controllo mentale e per il loro utilizzo in guerra. Si pensa che la diffusione incontrollata di lsd in un primo momento, e di altre sostanze ben più dannose successivamente, sia stata una operazione mirata alla disgregazione dei movimenti di contestazione di sinistra nell’ottica di quella lotta al comunismo che gli Stati Uniti hanno compiuto con tutti i mezzi negli anni della guerra fredda. Nel 1971 Nixon dichiarò la guerra DECARTA APRILE 2016


alla droga e contemporaneamente le nazioni appartenenti all’ONU stipularono un nuovo trattato noto come Convention on Psychotropic Substances. In questo modo fu possibile l’implementazione del trattato precedente con l’elenco di nuove sostanze fino a quel momento non considerate.

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e operazioni portate avanti da questo momento in poi dal governo degli USA sono state piene di episodi oscuri, per la maggior parte poco chiari, dove le droghe sono state utilizzate come pretesto per la lotta al comunismo. In alcuni casi, come nel conflitto tra Resistencia Nicaraguense, un gruppo guerrigliero di destra, contro il Frente Sandinista de Liberación Nacional, guerriglieri questa volta di sinistra, si sospetta che il traffico di droga sia stato addirittura tollerato e incentivato per finanziare la causa della Resistencia Nicaraguense. Il narcotraffico oggi, oltre ad essere una piaga sociale per i paesi latino-americani, orientali e medio-orientali dove

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vengono prodotte molte delle sostanze, è un fenomeno di difficile comprensione. A livello internazionale vecchie politiche si sono mescolate a nuovi interessi e corrono, parallelamente, l’ottusa ignoranza di alcuni legislatori internazionali e la furbizia di alcuni individui pronti ad approfittare di questo stato di illegalità per i propri affari. Il proibizionismo delle droghe, che abbiamo molto brevemente ripercorso, che è iniziato per motivi principalmente razziali e proseguito per motivi principalmente politici, quasi mai ha tenuto conto delle drammatiche conseguenze e dei costi spropositati che comportava il proseguire in questa direzione. Oggi è inutile criticare le decisioni del passato, che fossero legittime e in buona fede oppure influenzate da altri interessi, ed è necessario studiare quali furono queste decisioni e a cosa portarono per fare un bilancio e ripartire con le idee chiare. Nel 1998 una Sessione speciale dell’Assemblea generale delle Nazioni

Unite, iniziò un programma decennale chiamato “Un mondo senza droga, insieme è possibile”. Da quel momento, in nome di una lotta iniziata quasi cento anni prima, quantità incalcolabili di glifosato sono state spruzzate per distruggere le piantagioni, sono state combattute vere e proprie guerre contro i narcotrafficanti, sono morti migliaia di civili, le carceri sono piene di persone legate a reati di droga e, cosa ancora peggio, troppe persone stanno guadagnando tantissimo da questa situazione. Oltre al guadagno scontato dei narcotrafficanti, c’è un sistema repressivo e un sistema legale che vivono di lotta alla droga. Informazione, prevenzione e riduzione del danno sono tre azioni verso le quali dovrebbero essere spostati la maggior parte dei fondi per la guerra alla droga, sono i tre campi dove gli operatori di settore chiedono che vengano investiti i soldi. Il 2016 è l’anno di UNGASS e probabilmente sarà l’inizio della fine della War on Drugs. 7


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L’operazione

Blue Moon e l’eroina in Italia Elisa Spinelli | elisa.spinelli@decarta.it

“La società s’inventa una logica assurda e complicata, per liquidare quelli che si comportano in un modo diverso dagli altri.” Irvine Welsh, Trainspotting, 1993

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hi ha visto o letto Trainspotting si è ritrovato catapultato in un racconto brutale, traumatico e molto realistico della vita di quattro eroinomani. Seguendo le parole dell’autore del romanzo, Irvine Welsh, si può confermare che alcuni “pezzi” della società stabiliscano strategie e metodi per liquidare chi può mettere in crisi il sistema e lo stato delle cose. Le sostanze psicotrope – chiamate genericamente “droga” – sono state utilizzate nella storia recente degli Stati Uniti per modificare comportamenti, per denigrare alcune classi sociali e individui – dai neri ai giovani dei movimenti del ’68 – e per screditare determinate ideologie politiche e sociali come il comunismo. La storia che vi stiamo raccontando potrebbe essere classificata come “Guerra della Droga”. Probabilmente i futuri storiografi potranno smentire o ampliare quest’affermazione. Di certo il pretesto della droga è stato utilizzato per contrastare movimenti politico-sociali piuttosto recenti, determinando conseguenze feroci anche nel tempo presente. Spesso in un conflitto le parti militari coinvolte utilizzano nomi in codice per identificare azioni belliche segrete. Anche durante questa lunga “Guerra della Droga” si possono identificare iniziative o battaglie di questo tipo; ci riferiamo nello specifico a un’operazione che in Italia, secondo alcune fonti come meglio sotto specificate, venne chiamata Blue Moon. Il nome, secondo Massimo Veneziani, autore di Controinformazione: stampa alternativa e giornalismo d'inchiesta dagli anni Sessanta a oggi, deriva da una pasticca blu a forma di luna, un tipo di allucinogeno molto in voga negli anni Sessanta.

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er comprendere l’ampiezza di questa battaglia occorre prima di tutto porre l’accento sul fatto che si tratta di più operazioni, portate avanti dai servizi segreti occidentali durante la fase di mezzo della Guerra Fredda – tra la fine degli anni ’60 e l’inizio degli anni ’70 – e indirizzate a diffondere l’uso di sostanze psicotrope, in primis LSD ed in seguito morfina ed eroina, nei movimenti giovanili di contestazione, sia DECARTA APRILE 2016


Ogni operazione militare o paramilitare deve avere un supporto mediatico per plasmare la percezione dell’opinione pubblica. Di conseguenza, alcuni “giornalisti deviati” vicini all’ambiente dei servizi segreti, divulgarono la convinzione che la protesta giovanile e l’opposizione alla guerra in Vietnam nascessero da giovani alterati dagli stupefacenti. Così alcune operazioni, negli USA e in Europa, nacquero con il preciso scopo di diffondere stupefacenti “pesanti” (anfetamine, morfina ed eroina) per indebolire e disgregare i movimenti giovanili di protesta nati nel 1968 in Occidente.

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l consumo di droghe pesanti in Italia ha subìto un aumento epocale a cavallo degli anni ’70 e ’80, apparentemente in contemporanea con la messa in atto di Blue Moon; riguardo l’Italia possiamo schematizzare l’evolversi degli eventi in tre fasi: 1968-70: diffusione delle anfetamine tra i giovani e della pratica endovenosa per il consumo; 1972-74: diffusione della morfina e aumento dei tossicomani tra i giovani; 1974-75: comparsa dell’eroina sul mercato illegale italiano in grandi quantità. Nel giro di dieci anni i tossicodipendenti DECARTA APRILE 2016

foto © Ken Hawkins

americani che europei. Le informazioni su alcune di queste azioni segrete sono confermate da documenti desegretati nel 1995 da un atto ufficiale, emanato dal presidente statunitense Bill Clinton, con il quale s’imponeva a ogni ente governativo di declassificare quasi tutta la documentazione con più di venticinque anni. Secondo alcune inchieste anche nel Bel Paese molti apparati militari e governativi presero parte alla costruzione di un capitolo oscuro della nostra storia, che alcuni giornalisti hanno definito – non a torto – “Eroina di Stato”. Le conferme, anche su quest’aspetto, giungono negli anni ’90 nell’ambito dell’indagine sulla strage di piazza Fontana, condotta dal giudice istruttore Guido Salvini. Durante l’interrogatorio l’imputato Roberto Cavallaro riferisce dell’esistenza di un’operazione della CIA – chiamata Blue Moon – finalizzata alla diffusione di droghe nei settori giovanili della contestazione italiana per depotenziarne l’impegno politico.

da eroina passarono da 0 a 300.000, provocando la scomparsa di una generazione. a prima fase cominciò tra il ’67 e il ’68: gli studenti e i primi gruppi di controcultura utilizzavano l'hashish, spesso a diffusione “artigianale”, quindi non contavano su protezioni mafiose o di polizia. Per questo motivo la repressione fu dura, con pesanti condanne in tribunale e moltissimi arresti. La domanda di massa di droga era soddisfatta solo dalle farmacie, che diffondevano sostanze legali, come barbiturici e tranquillanti, le quali venivano assunte insieme all’alcol. Non erano viste come “droghe” ma solo come delle pasticche, e le siringhe non facevano parte di nessuna modalità di consumo. In quel periodo si creò una vera e propria separazione nell’uso di sostanze: i giovani proletari erano avviati alla logica della farmacia mentre giovani della nuova sinistra si abituavano a fumare hashish.

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In Italia il cambiamento cominciò da Roma nel marzo del 1970, con estrema rapidità e violenza grazie ad un’eccezionale repressione del Nucleo antidroga dei carabinieri guidato dal generale Giancarlo Servolini del SID (il disciolto Servizio Informazioni Difesa): 100 persone furono arrestate in un barcone sul Tevere. Ma i giornali riportarono informazioni false: tra i titoli più inverosimili citiamo “Duemila giovani si drogavano sul barcone” pubblicato dal quotidiano romano Il Tempo, che nella stampa italiana si scatenò più di tutti in un turbinio di mala-informazione. Il clamore mediatico montò la psicosi droga e per decine di milioni d’italiani la droga diventò un male oscuro da proibire e punire. Nel 1973 grazie a un dossier di Stampa Alternativa – La droga nera – l’opinione pubblica italiana seppe che la storia del “Barcone” era in realtà un grande inganno: i carabinieri avevano di9


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chiarato ai giornali di aver trovato in quell’operazione mezzo chilo di hashish, molte siringhe, diversi eccitanti e decine di giovani in stato confusionale. Dagli atti dell'istruttoria, invece, risultò che il corpo del reato era mezzo grammo di hashish, ritrovato in un cestino della spazzatura, e che inoltre gli esami medici accertarono che nessuno dei giovani aveva assunto stupefacenti. Qual era lo scopo di una montatura così complessa, tanto da coinvolgere SID e una certa stampa italiana? La risposta è che si voleva tenere nel mirino del controllo e della repressione decine di migliaia di giovani in un periodo di lotte politiche. La strategia della paura della droga – scatenata dal caso del barcone sul Tevere – indusse nell’opinione pubblica adulta il bisogno di maggiore controllo e sicurezza verso i propri giovani i quali, a loro volta, erano attirati dalla curiosità di provare tali sostanze. La conseguenza fu uno sviluppo clamoroso dell’uso di anfetamine per endovena. Così il modello corrispondente alle immagini diffuse dai giornali – il capellone con la siringa – si realizzò nella realtà: migliaia di giovani, attirati dalla droga, 10

trovarono liberamente l’anfetamina a prezzi molto bassi. Nel giro di pochi anni questa sostanza divenne una piaga di massa, realizzata attraverso una precisa strategia politica e sociale. Questo primo devastante risultato ebbe poi un seguito. a seconda fase si aprì nel maggio 1972 con un provvedimento improvviso: il ministro della sanità, Athos Valsecchi, inserì nell’elenco degli stupefacenti anche le anfetamine, con più di venti anni di ritardo dalla richiesta delle Nazioni Unite. La nuova legge ebbe molta eco sui quotidiani dell’epoca, nonostante fosse un provvedimentotruffa poiché fu messo fuori legge solo 1/3 delle anfetamine; restarono in circolazione moltissime varietà usate da altrettante persone, in maggioranza donne, come dimagranti. Intanto i consumatori di anfetamine per endovena si contavano a migliaia, almeno 10.000 in tutta Italia. La principale conseguenza della proibizione delle anfetamine fu il passaggio al consumo di morfina, venduta a prezzi stracciati e di ottima qualità. Alla fine del ’72 la nuova sostanza arrivò a Roma da Peshawar: milioni di pasticche – prodotte dall’industria tedesca Mercks

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e riciclate in Pakistan, perché ne era stato proibito il commercio – furono rivendute sul mercato nero agli europei in viaggio verso l'India, i quali cominciarono a bucarsi con la morfina. Gli spacciatori di morfina a Roma non appartenevano a organizzazioni mafiose e non erano professionisti del mestiere, bensì ragazzi di periferia entrati in un affare molto più grande di loro. Esiste un documento fondamentale che spiega la storia dell’eroina in Italia, ed è il memoriale di Roberto Canale, uno delle centinaia di ragazzi romani arrestati nel ’70 dal Nucleo antidroga. Questo materiale entrò in possesso di Stampa Alternativa e fu pubblicato a puntate da Paese Sera. Canale nella testimonianza raccontava di aver conosciuto in carcere molti tossicomani e amici di tossicomani: “Tutti – afferma – quando venivano fermati gli facevano questo discorso: vi lasciamo stare, altrimenti, due anni al gabbio non ve li toglie nessuno”. Dalla documentazione emerge chiaramente il coinvolgimento del generale Servolini del SID, che ai tossicomani spesso prometteva morfina gratis se si DECARTA APRILE 2016


foto © Ken Hawkins

fossero prestati a spacciare per i servizi segreti. Così, nel 1973 Roma era ormai invasa di morfina. Gli spacciatori agivano indisturbati sotto gli occhi di agenti in borghese, e nel frattempo proseguivano al solito ritmo gli arresti per hashish; basti pensare che non fu eseguito nessun arresto per spaccio di morfina tra il 1972 e il 1973.

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l lungo inverno a cavallo tra il ’74 e il ’75 fu quello che segnò la terza fase dell’operazione tesa a indebolire i movimenti giovanili di protesta, sia a livello pubblico, screditandone l’immagine, sia a livello psicofisico, destabilizzando la salute di migliaia di giovani. È il lungo inverno in cui l’eroina, fino a quel momento sconosciuta, cominciò ad essere diffusa in Italia: le scorte pakistane di morfina della Mercks finirono e il giro cambiò sostanza, segnandone la diffusione di massa. Occorre considerare che l’eroina si presta di più – dal punto di vista farmacologico – a sostituire la morfina. Così, tutti i morfinomani passarono senza difficoltà all’eroina. Il meccanismo fu chiaramente guidato da una serie di passaggi fondamentali. Innanzitutto i tossicodipendenti spoDECARTA APRILE 2016

starono la loro dipendenza sull’eroina, nonostante i prezzi più alti allo spaccio, proprio perché non avevano nessun altro sostituto chimicamente simile alla morfina. Inoltre, alcuni trafficanti di eroina controllavano una quota del mercato delle droghe leggere, e non ebbero nessuna difficoltà a dissimulare un’improvvisa carestia delle sostanze, oppure ad alzare il prezzo al consumo. Contemporaneamente venne introdotta l’eroina a un prezzo inizialmente molto basso, così da invogliare reclute – studenti e operai – alla nuova droga. Purtroppo moltissimi giovani, pungolati dall’aspetto proibizionista delle droghe, ignoravano del tutto i pericoli di una sostanza dannosa come l’eroina. Infine, l’ultimo passaggio che permette di capire come il susseguirsi degli eventi fosse stato pianificato in ogni suo aspetto, sta nel racket dell’eroina: chi controllava quel mercato aveva la possibilità di alterare prezzi e disponibilità dell’hashish anche nelle quote di mercato di chi non era legato al racket eroinomane, attraverso arresti e sequestri della forza pubblica. I primi mesi del ’75 furono infatti se-

gnati da un boom di reazioni dei nuclei antidroga, non per fermare l’uso di eroina ma per limitare il consumo di sostanze leggere. Soltanto così, infatti, i trafficanti di eroina poterono controllare le quote di mercato delle droghe leggere, che non avevano direttamente sotto controllo. Il traffico di eroina ebbe il via libera grazie al basso prezzo di vendita, alle migliaia di arresti e ai sequestri delle medie e grosse importazioni di hashish, eseguiti in tempi rapidissimi.

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a storia della di questa “battaglia”, dove i casi mediatici sulla droga formarono un’immagine alterata dei movimenti di protesta all’interno opinione pubblica italiana, rientra in un disegno più ampio; una guerra combattuta tra gli anni ’70 e ’80 con molti tipi di armi, comprese le droghe. Questa guerra ha lasciato una scia lunga che arriva fino al presente: nell’eroina caddero in tanti, dagli studenti-freak dei ’70 fino ai ragazzi degli ’80, giovani punk, ultime frange movimentiste e ragazzi di quartieri popolari e periferici. Una strage. Una generazione scomparsa nelle maglie segrete di una guerra fredda e pungente.

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Coltivazioni

PROIBITE

foto © Fernando Vergara / Associated Press

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Gabriele Ludovici | gabriele.ludovici@decarta.it

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mmaginiamo di ridurre ai minimi termini i protagonisti del fenomeno del narcotraffico. Tra i vertici – dei quali fatichiamo spesso a delineare i tratti somatici – e i consumatori, si passa attraverso la fase della produzione. Cosa significa coltivare le “materie prime” di sostanze bandite dai trattati internazionali? Un bel rebus che genera conseguenze con risvolti anche drammatici.

Piccoli agricoltori ed intere comunità pagano le conseguenze di uno “sviluppo alternativo” ancora carente. L’Italia continua ad importare cannabinoidi dai Paesi Bassi 12

Prendiamo come base le attività del Global Forum of Producers of Prohibited Plants (GFPPP). Questo organo raccoglie le voci dei suddetti coltivatori, e il suo obiettivo è quello di presentare il proprio punto di vista al cospetto dell’UNGASS 2016. I produttori di piante proibite dei quattro angoli del globo stanno focalizzando i propri sforzi al fine di depenalizzare la coltivazione della coca, del papavero da oppio e della cannabis. In controtendenza con le limitazioni imposte dalle leggi, la domanda relativa ai derivati di queste piante è in aumento. Ma il primo aspetto negativo della questione riguarda direttamente la vita dei coltivatori, che per motivi di mera sussistenza finiscono nel mirino dell’autorità nonostante siano l’anello più povero della catena del narcotraffico. Le zone di produzione, nella maggior parte dei casi, fanno parte del mosaico del sottosviluppo, il quale ancora non trova un valido supporto dalle politiche di sviluppo alternativo. Esse si limitano perlopiù a imporre la distruzione delle coltivazioni senza fornire mezzi per ricostruire, e la beffa (oltre al danno) è costituita dal loro mediocre contributo fornito alla lotta contro la diffusione degli stupefacenti. Per capire meglio si può analizzare la situazione della Colombia. Dal 1998 BoDECARTA APRILE 2016


gotà e Washington hanno sancito una cooperazione al fine di contrastare il consistente volume d’affari del narco-business stanziato nel paese sudamericano. Il cosiddetto Plan Colombia si è rivelato, fino ad ora, un tragico fallimento. Nonostante abbia comportato investimenti da capogiro – nell’ordine dei bilioni di dollari – ha comportato unicamente un netto peggioramento della qualità della vita di intere regioni. La militarizzazione del territorio ha acuito i conflitti con i guerriglieri e l’utilizzo del glifosato – noto come “l’erbicida totale” e altamente cancerogeno – per distruggere le piantagioni di coca ha causato conseguenze incalcolabili sull’ambiente e sulla salute della popolazione. Il dato più critico riguarda lo scotto pagato dai civili in termini di violazioni dei diritti umani e morti, al quale non è stato bilanciato alcun contrappeso relativo al fantomatico sviluppo alternativo. Negli ultimi anni i contadini coinvolti nelle operazioni hanno perso la possibilità di poter vivere un’esistenza dignitosa. Oltre al Plan Colombia il governo colombiano ha da tempo ripreso le trattative con le Forze Armate Rivoluzionarie della Colombia (FARC). Da ambo le parti sono state evidenziati i forti legami di corruzione che legano lo stato ed il parastato al business degli stupefacenti. Che il dialogo sia una direzione più proficua rispetto all’installazione di sette basi nordamericane sul suolo colombiano?

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isogna poi analizzare un altro aspetto fondamentale. Coca, papaveri da oppio e cannabis non vengono coltivati solo per produrre stupefacenti. La storia insegna che da queste piante si ricavano da millenni principi attivi utilizzati nella medicina, senza contare altri usi tradizionali e moderni. Un focus va posto sull’aspetto religioso. A tal proposito basti ricordare, ad esempio, che la religione rastafariana prevede il consumo di un’erba sacra: la canapa indiana. Il 2015 è stato un anno importante per la ganja e la Giamaica, isola dove nello scorso aprile è stato parzialmente de-criminalizzato il possesso di piccole quantità della sostanza (meno di 2 once, pari a 56 grammi). Inoltre è cresciuto il ruolo di Kingston nella stipula di nuovi accordi che riguardano la coltivazione di canapa indiana nella regione caraibica. I propositi di rendere la Giamaica un importante polo della produzione della pianta per scopi terapeutici è uno dei punti chiave che verranno discussi nel corso dell’UNGASS. Il 21 gennaio del 2016, il GFPPP si è riunito ad Heemskerk (Paesi Bassi) per mettere a punto una dichiarazione divisa in punti chiari. Si è discusso delle politiche di controllo delle coltivazione e dello sradicamento forzoso; degli usi alternativi alla droga delle piante; dello sviluppo rurale DECARTA APRILE 2016

sostenibile; dei conflitti generati dalla diffusione degli stupefacenti. Le richieste dei coltivatori appaiono fondate sotto ogni aspetto. Si reclama la sospensione della distruzione forzata delle piantagioni e che le comunità coinvolte abbiano voce in capitolo sulle politiche legate alla droga, al disegno e all’implementazione dei piani di sviluppo nonché al loro monitoraggio e valutazione. L’eventuale riduzione delle piantagioni fuorilegge deve inoltre passare per l’assenso dei cittadini, in un clima di fiducia e rispetto. Stato ed istituzioni inoltre hanno il dovere di cessare i procedimenti penali nei confronti degli agricoltori e delle loro famiglie, nonché promuovere i processi di pace in Colombia ed in Birmania. Quest’ultimo paese soffre pesantemente una realtà che lo vede al centro del traffico di oppio, eroina e metanfetamina.

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ual è invece la situazione del nostro paese? In Italia è reato coltivare e produrre le sostanze stupefacenti indicate nel decreto del presidente della Repubblica n. 309/1990. Raramente, in sede processuale, viene ratificato che poche piante possano costituire il “pericolo per la salute pubblica” di cui si parla nelle leggi, ma per i trasgressori la pena è inevitabile. Fatto sta che dal 2014 lo Stato italiano ha iniziato a produrre canapa indiana. Un tavolo di lavoro del Ministero della salute, coadiuvato dall’Istituto farmaceutico militare, ha sancito che nello stabilimento chimico dell’esercito presso Firenze è possibile coltivare la pianta per scopi farmacologici. Nello specifico è opportuno sottolineare come i cannabinoidi permettano ai pazienti oncologici o affetti da HIV di patire meno dolore. Gli stessi principi attivi (Thc e Cbd) alleviano i sintomi di patologie come sclerosi multipla, sla e glaucoma. Anche in Italia l’eventuale dissoluzione del veto giudiziario può condurre alla promozione di nuove forme di economia che, sotto una nuova legislazione, permetterebbe l’apertura di nuovi ed utili scenari. La produzione dell’esercito è ancora insufficiente – almeno per quest’anno si continuerà ad importare le infiorescenze dai Paesi Bassi – e l’accesso alle cure basate sui cannabinoidi è ancora difficoltoso. In conclusione, l’UNGASS 2016 si appresta a diventare un punto di svolta per osservare la realtà da punti di vista rimasti colpevolmente nell’ombra. Poi la palla passerà alle singole nazioni e agli organi preposti alla lotta al traffico di stupefacenti, ma il mondo non potrà più far finta di non sapere. Le ripercussioni riguarderanno anche l’Italia, dove il dibattito su questi temi è sempre vivo.

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Persone chiave nel mondo Harry Jacob Anslinger (1892 - 1975)

Michael Botticelli (1958)

Fu il primo proibizionista militante della storia moderna. Conservatore convinto, si distinse nella lotta al contrabbando di alcolici e per questo fu nominato ispettore del Bureau of Prohibition. Successivamente, con il finire del proibizionismo dell’alcool fu nominato capo dell’Ufficio Narcotici statunitense. In questa veste dichiarò la cannabis la Killer Drug e si fece promotore del Marijuana Tax Act che, per quanto non ne proibì la produzione ed il commercio, consistette in una tassazione talmente alta da renderla inavvicinabile. Nel 1937, pochi mesi prima della firma della legge, prese parola presso il congresso degli Stati Uniti dichiarando:

Dal 7 marzo 2014 è il direttore dell’Ufficio Nazionale delle politiche per il controllo delle droghe, anche noto come Drug Czar e quindi massima autorità statunitense in materia. Nel 1988, dopo essere risultato positivo all’alcol test a seguito di un incidente, entrò in un programma di recupero. Ha dichiarato pubblicamente di aver fatto uso anche di cannabis e cocaina. Una volta raggiunta la sobrietà è entrato a far parte del Dipartimento di sanità pubblica del Massachussets dove ha lavorato come coordinatore di programmi per alcolisti, supervisore delle politiche e dei servizi per l’HIV, e direttore dei servizi per l’abuso di sostanze.

«Ci sono 100.000 fumatori di marijuana negli Stati Uniti, e la maggior parte sono negri, ispanici, filippini e gente dello spettacolo; la loro musica satanica, jazz e swing, è il risultato dell’uso di marijuana. Il suo uso causa nelle donne bianche un desiderio di ricerca di relazioni sessuali con essi.»

«Drug Czar è un titolo che non mi piace, penso che vada a connotare il lavoro che facciamo a quello di questa vecchia visione di “guerra alla droga”. Ci fa apparire aggrappati ad un tipo di politiche e modalità fallite del passato. È stato sbagliato tutto. La forza bruta non ha fermato l’epidemia di droga. 21 milioni di Americani sono dipendenti da droghe o da alcol e metà dei carcerati sono in prigione per crimini di droga. Non possiamo incarcerare persone con problemi di dipendenza. Non solo penso che sia veramente inumano, ma anche inefficiente, e continuare in questo modo ci costa miliardi e miliardi di dollari.»

Fu anche promotore della riforma delle politiche internazionali che portò alla firma della Convenzione Unica sugli Stupefacenti del 1961 la quale è oggi ancora vigente.

Richard Milhous Nixon

Fiorello La Guardia

Kofi Annan

Fu il 37° presidente degli Stati Uniti d’America e come tale anche uno dei personaggi più controversi della nostra storia recente. Criticato per un uso spregiudicato del potere e rivalutato per le capacità politiche, è con lui che si ebbe la prima dichiarazione di guerra alla droga ed è quindi con lui che nel 1971 ebbe inizio la War on Drugs. Oggi è ancora troppo presto per conoscere i veri motivi di questa decisione: c’è chi parla di una genuina preoccupazione per il destino dei giovani ma anche chi ipotizza un uso della guerra alla droga come metodo per sbarazzarsi della sinistra contestatrice e per attaccare indirettamente afro-americani e altre minoranze etniche. Ciò che è certo è che in quegli anni molti soldati in Vietnam caddero nell’abuso di eroina e nel tornare a casa si portarono dietro un ulteriore problema.

Fu il 99° sindaco di New York e di questi tra i più amati. Un grande oppositore delle slot machine e tra i primi repubblicani ad opporsi al proibizionismo dell’alcol. Unico oppositore anche della proibizione della cannabis, si rese promotore di uno studio scientifico, durato 5 anni e condotto dalla New York Academy of Medicine, chiamato “La Guardia Committee”. Fu il primo studio sugli effetti della cannabis e dichiarava in 13 punti quanto il problema fosse di minore entità rispetto a quanto affermato dai promotori della proibizione come Harry Anslinger. Quest’ultimo proibì ulteriori studi senza il suo consenso e commissionò alla American Medical Association un’altra ricerca che smentisse quella di La Guardia.

Nel 1998 in occasione di una sessione speciale dell’Assemblea generale dell’ONU (UNGASS) sul problema della droga, come quella che si terrà quest’anno, Annan dichiarò che «Il nostro impegno è nel fare un vero progresso nell’eliminazione delle piantagioni di droga entro l’anno 2008». Da qualche anno fa parte della Global Commission on Drug Policy per la quale ha dichiarato: «Credo che le droghe abbiano distrutto parecchie vite, ma le politiche di governo sbagliate ne hanno uccise parecchie di più». Nonostante fosse segretario generale dell’ONU quando nel 1998 fu iniziato un programma di 10 anni per “un mondo libero dalla droga”, Kofi Annan è oggi uno dei più importanti promotori per un cambio di direzione dell’ONU riguardo alle politiche delle droghe. Politiche, è bene notare, da lui stesso approvate 18 anni fa.

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Persone chiave in Italia Pino Arlacchi (1951)

Marco Pannella (1930)

È stato direttore dello United Nations Drug Control Programme dal 1997 al 2000 e come tale ha esordito con la proposta del programma decennale “un mondo libero dalla droga, possiamo farlo”. I risultati del programma vennero valutati nel 2009 e gli obbiettivi riconfermati per il 2019. Durante il suo mandato l’UNDCP segnalò una sensibile diminuzione delle coltivazioni illegali grazie al lavoro svolto. L’operato di Arlacchi fu però motivo di controversie. Michael Von der Schulenburg, direttore della divisione di operazioni e analisi, si dimise nel dicembre del 2000. In un suo memorandum confindenziale, poi trapelato alla stampa, scriveva riguardo l’UNDCP descrivendola come «un’organizzazione che ha incrementato la sua visibilità internazionale mentre allo stesso tempo sta crollando sotto il peso di promesse che non è capace di mantenere a causa di uno stile manageriale che ha demoralizzano, intimorito e paralizzato il suo staff.» Anche Francisco Thoumi, un esperto contattato da Arlacchi per concludere il Rapporto mondiale sulla droga del 2000, dichiarò che “il signor Arlacchi era molto preoccupato in quanto la bozza del rapporto non rispecchiava la sua visione della situazione della droga nel mondo.” Molte voci del rapporto vennero omesse per incontrare questa richiesta del direttore e di conseguenza Francisco Thoumi chiese di non essere citato tra i realizzatori della pubblicazione. Nonostante le critiche rivolte al suo operato, gli obbiettivi che l’ONU sta perseguendo sono ancora quelli posti da Arlacchi.

È dal 1975 che con il Partito Radicale da lui guidato si batte senza sosta, e non senza controversie, per una legalizzazione delle droghe e in particolar modo quelle leggere. A più riprese Pannella si rese protagonista di atti di disobbedienza civile, come nel 1975 quando si fece arrestare per aver fumato uno spinello o nel ’97 quando alla fine di un comizio distribuì dell’hashish ai presenti al fine di portare avanti la campagna antiproibizionista. Come lui altri radicali, in primis Emma Bonino, si resero protagonisti di atti analoghi e continuano ancora oggi ad essere attivi per la legalizzazione che, in tempi più recenti, ha visto anche l’accorpamento della causa dello scopo terapeutico della cannabis. Sul finire degli anni ’80 il Partito Radicale si fece promotore della Lega Internazionale Antiproibizionista contro la criminalità e la droga. Un sistema pensato per intraprendere una riforma legale internazionale con l’idea che il mercato degli stupefacenti non potesse essere regolamentato in un singolo paese. Nel 1993 un referendum indetto dal Partito Radicale, vinto con il 55% dei voti, abolì la sanzione del carcere per l’uso personale di droga. Un’operazione poi resa successivamente vana dalla Fini-Giovanardi e poi di nuovo ripristinata con l’abrogazione di quest’ultima per incostituzionalità.

Carlo Giovanardi

Giovanni Serpelloni

Rita Bernardini

«La cannabis provoca buchi nel cervello e il proibizionismo ha salvato il mondo» oppure «con la distinzione tra droghe leggere e pesanti, che peraltro è una distinzione senza basi scientifiche, la Corte si prende la responsabilità di lanciare un messaggio devastante ai giovani di questo Paese. Come se quelle non facessero male». Sono due delle tante dichiarazioni di Giovanardi, da alcuni definito l’Harry Anslinger italiano. È stato insieme a Fini l’ideatore della legge FiniGiovanardi, la quale come cambiamento maggiore introdusse l’equiparazione tra droghe leggere e pesanti. La sua lotta proibizionista è stata condotta, analogamente a molti politici di uno o dell’altro fronte, seguendo il volere di un elettorato conservatore, ed è stata caratterizzata dalla mancanza di dialogo e dalla intransigenza.

È stato per anni il capo del Dipartimento per le politiche antidroga italiano. In questo periodo è stato anche braccio destro di Carlo Giovanardi e promotore insieme a lui di una lotta all’uso ricreativo della cannabis. La politica di Serpelloni è stata, in linea con quella degli ultimi 40 anni, una politica di terrorismo e di repressione. È con questa amministrazione che sono iniziati i test antidroga del sabato sera, i test per i lavoratori e le perquisizioni negli istituti scolastici sono state rafforzate. Mentre veniva portata avanti questa lotta senza quartiere poco è stato fatto per servizi di informazione, prevenzione e riduzione del danno. L’istituzione – come troppo spesso avviene – è stata potenziata nella sua ostilità e non nella sua accoglienza.

Vicina ai radicali, dal 1975 è stata presidente del Consiglio generale del coordinamento radicale antiproibizionista. Nel 2007 ottenne risalto nella cronaca la sua affermazione riguardo le numerose compravendite di immobili e locali nel centro di Roma, secondo lei riciclaggio dei proventi del traffico di stupefacenti della criminalità organizzata, in particolare napoletana. Negli ultimi tempi era stata indagata per la coltivazione di 56 piante di cannabis, (azione portata avanti pubblicamente su Facebook). «Voglio essere arrestata come tutti gli altri cittadini», scriveva su Twitter e Facebook. Recentemente il caso è stato archiviato per “inoffensività” della piantagione in quanto portata avanti senza l’ausilio di luci. Una decisione che di fatto renderà interpretabile il reato di coltivazione.

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UNGASS 2016 Verso il cambiamento o verso il fallimento? Manuel Gabrielli | manuel.gabrielli@decarta.it

NGASS è l’acronimo per United Nations General Assembly Special Sessions ovvero una convocazione speciale dell’Assemblea generale dell’ONU. Questa UNGASS del 2016, che si terrà a New York dal 19 al 21 di aprile, avrà come tema centrale il problema della gestione della droga nel mondo, e per le sue caratteristiche è un evento importantissimo e irripetibile per le opportunità di cambiamento che offre. I precedenti che hanno portato a questa riunione eccezionale sono riconducibili a un’altra UNGASS, quella del 1998, con la quale è stato avviato un programma decennale di eradicazione delle piantagioni illegali nel mondo, accompagnato ad una politica di repressione generale del consumo di droghe. Un programma che in parole povere puntava, come spiegato nel suo nome, ad “un mondo senza droghe” e che è consistito fino ad oggi in un atteggiamento repressivo che ha puntato a far scomparire le droghe con la forza bruta degli interventi armati.

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Pino Arlacchi, all’epoca direttore dell’ufficio delle Nazioni Unite per il controllo delle droghe e la prevenzione del crimine, fu la persona di riferimento in quanto promotore in prima persona del programma. Il suo mandato di 5 anni, dal 1997 al 2002, fu caratterizzato da DECARTA APRILE 2016

molte controversie mai del tutto chiarite.

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ndipendentemente da questo, giunta la scadenza, nel 2009 i leader mondiali si riunirono per una seconda volta per fare un bilancio sulla situazione. Il risultato fu un rinnovo del programma per altri 10 anni, una decisione che, è evidente, non prese minimamente in considerazione gli alti costi sociali ed economici di questi interventi di repressione. Già in questa occasione alcuni paesi avevano dissentito con almeno una parte di questo programma di assoluta repressione preferendo re-investire i soldi della “guerra alla droga” in servizi di riduzione del danno * i quali, per chi non lo sapesse, sono volti a ridurre la diffusione di malattie infettive e i casi di overdose. Questo primo dissenso è stato seguito da una richiesta, da parte di Colombia, Guatemala e Messico, di anticipare al 2016 la successiva riunione del-

l’Assemblea generale che si sarebbe dovuta tenere nel 2019. UNGASS 2016 per le ONG di tutto il mondo, tra cui numerose italiane, rappresenta dunque un’occasione per cambiare questa visione repressiva e per sostituirla con un atteggiamento che miri ad una gestione che consideri l’utilizzatore come una persona, in molti casi in difficoltà, e non come un criminale o un individuo moralmente deviato. Purtroppo gli eventi in preparazione di UNGASS non si sono svolti nella maniera che molti si aspettavano, tanto che il 14 marzo, come riporta fuoriluogo.it, unica fonte di aggiornamento in italiano su UNGASS 2016, quasi 200 gruppi e organizzazioni della società civile hanno condannato l’atteggiamento negazionista dell’ONU, la quale non ha ancora riconosciuto la gravità della situazione.

Riduzione del danno Questi servizi – che hanno dimostrato la loro efficacia ma che trovano il loro maggior oppositore proprio nell’ONU – consistono in programmi di diffusione di materiale sterile (acqua, siringhe, tamponi), di recupero di materiale usato e potenzialmente contagioso, assistenza sanitaria e informazione. Sono programmi spesso svolti da unità mobili e che, in Italia, soffrono di difficoltà nell’ottenere fondi. In altri paesi, più indirizzati verso questa modalità, esistono sale dove gli utilizzatori di droghe di tipo iniettivo, che sono sicuramente il caso più difficoltoso da gestire, possono usare la sostanza sotto controllo medico. Situazione ancora più rara, ma già in atto in alcuni paesi, è la somministrazione di eroina di grado farmaceutico e con finalità di recupero.

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