Vincenzo D'Argenio Portfolio

Page 1

VINCENZO D’ARGENIO Portfolio

Statement

Da sempre appassionato di arti visive, fin da giovanissimo si avvicina al writing. A seguito di stimoli e confronti con la scena artistica contemporanea, intraprende nuovi percorsi sperimentando in particolar modo con le matrici normografiche avvicinandosi anche alla fotografia, al video e alle tecnologie digitali, fino alla modellazione e all’installazione ambientale.

I suoi lavori cercano, attraverso linguaggi eterogenei, di esprimere stati d’animo intimi che traggono ispirazione da letteratura e filosofia, spiritualità e neuroscienze.

Il sott testo narrativo della sua ricerca è spesso riconducibile a esperienze strettamente personali che racchiudono il reale messaggio della sua produzione.

Opere selezionate

Senza titolo (Robin)

Senza titolo (Sedia)

Senza titolo (Apparecchio ortodontico

Senza titolo (Scarpe ortopediche

Senza titolo (Braciere)

Senza titolo (Occhiali)

Senza titolo (Radiosveglia)

Senza titolo

Io sorprendo

Senza parole

Verso

Senza titolo

Ultimo giorno a Riga

XY

Neanche a parlarne di istituirmi specialista delle mie malattie

Frame

CTRL+ALT+CANC

D.F.

Deflagrazione

DEFLAGRAZIONE artist’s cut

RICOGNIZIONE

ˈɡrōniNG

Robin

Gli oggetti della memoria si animano sul supporto urbano, il cartone da imballaggio che ancora porta impressi segni della merce. La consistenza delle cose fluisce nell’immateriale del ricordo, come ex voto fatti di impressioni sfocate, i sentimenti del tempo trascorso diventano simboli visibili sulla porosità del reale. Il vuoto non è solo un concetto da riempire. Fill The Voids. (il titolo della mostra n.d.r.) è immaginare e colorare gli spazi, fisici e tangibili, esistenziali e irreali. Perché luoghi, anche quelli che consideriamo nostri e abbiamo conosciuto con l’abitudine, sono composti non solo da spazio ma, soprattutto, da immagini latenti e impressioni percettive. Luoghi interiori a molteplici dimensioni, pareti sulle quali si aprono squarci di sensazioni e ricordi sfocati. In queste camere dalle coordinate instabili, vuoto e pieno sono le false misure che creano forme oscillanti, gli oggetti emergono da uno sfondo scuro, memoria disorganica degli uomini.

crediti fotografici: Michele Sabella

Senza titolo (Sedia( tempera su carta riciclata cm. 76 x 115 c.ca

2013 collezione privata

Senza titolo (Apparecchio ortodontico stencil, vernice spray su cartone reciclato cm. 24 x 27 c.ca

2013 collezione privata

Senza titolo (Scarpe ortopediche) tempera su cartone riciclato cm. 46 x 38 c.ca

2013 collezione privata

[...]
Testo di Mario Francesco Simeone

Senza titolo (Occhiali) stencil, vernice spray su cartone reciclato cm. 34 x 26 c.ca

2013 collezione privata

Senza titolo (Radiosveglia)

tempera su cartone reciclato

cm. 64 x 50 c.ca

2013

collezione privata

Senza titolo (Braciere)

tempera su carta riciclata cm. 79 x 119 c.ca

2014 collezione privata

Testo di Luciana Berti [...]

L’evocazione della trasformazione della materia è al centro della ricerca di Vincenzo

D’Argenio. La sequenza narra il mutamento in atto di un elemento del quale non possiamo identificare la natura, che va dall’infinitamente piccolo alla progressiva espansione della superficie. L’oggetto si appropria dello spazio e lo popola con la sua struttura amorfa che destabilizza la percezione dei piani. D’Argenio inserisce una perturbazione nella continuità logica dell’opera attraverso il suono, un rumore elettronico diffuso dalle cuffie, che smentisce l’elemento organico in formazione. La trasparenza del supporto incastonato in cornici profonde, produce un rapporto di presenza-assenza dell’ombra degli elementi tracciati, attivati dall’orientamento della fonte luminosa. In assenza di luce la materia non esiste, il reale si occulta diventando una pura eventualità. L’opera, però, è un’organizzazione di materia del tutto eccezionale che non risponde alle caratteristiche fisiche degli altri elementi. Essa, infatti, si schiude allo sguardo e contemporaneamente si ritrae, assumendo tutti significati che le sono impressi e che è possibile leggervi, eppure tace inerte. ]...[

Senza titolo

stencil, vernice spray, acetato, cartoncino, audio cm. 30 x 30 x 4,5 cad. (cuffie escluse)

22’ loop

2015

Arte/Studio-Gallery, Benevento

crediti fotografici: Valentina Argia Socievole
https://bit.ly/2L3CDph

Testo di Mario Francesco Simeone

L’interferenza è l’effetto del fenomeno ondulatorio dovuto alla sovrapposizione di onde, generate da sorgenti coerenti, in un dato punto dello spazio. Flaviano Esposito e Nello Mormile hanno configurato il loro intervento per nascondere, origini condensando visivamente l’intensità di questa formula attraverso gli strumenti del mapping audiovisivo.

Il videomapping, una delle declinazioni più recenti e spettacolari della videoarte, usa la superficie architettonica non solo come supporto alla proiezione ma come elemento da trasfigurare con effetti tridimensionali e di luce e ombra che creano un ambiente dinamico e di forte impatto, simile agli esiti della realtà aumentata. Interferenza, spin-off di nascondere, origini, sviluppa una nuova linea interpretativa, derivata dai temi che hanno orientato la mostra.

Esposito e Mormile compiranno un’operazione immateriale negli spazi della galleria, intervenendo sulle opere già in esposizione e sulla scansione dell’architettura attraverso un sistema di proiezioni e suoni, creando una struttura sensoriale e concettuale da sovrascrivere su quella dell’allestimento originario. L’interferenza, in fisica, è una sovrapposizione di onde, solitamente provenienti dalla stessa sorgente, che può essere costruttiva o distruttiva. In questo caso, l’incontro si sviluppa tra il linguaggio sedimentato delle opere allestite (Senza titolo - V. D’Argenio, 2015) e quello virtuale delle proiezioni in corso di svolgimento.

Un dispositivo complesso della percezione che nasconde la realtà deformando l’esistente, fraintendendo le costruzioni del senso per originare altri segni.

crediti fotografici: Flaviano Esposito

Io sorprendo

6 Polaroid montate su cassette di legno (fotografia all'interno della prima cassetta di legno visibile attraverso un foro)

cm. 10 x 8 cad.

2015

Testo di Maria Venditti

6 polaroid in sequenza. Istantanee ordinate come a scandire il ritmo meccanico del tempo, quando lo si misura. Fermo immagine sul fluire di un moto che si va compiendo, per inquadrarlo in modo rigoroso. La partizione e la cristallizzazione della volatilità del reale è d'altronde il lavoro dell'intelletto di fronte al divenire. Il tempo autentico, invece, il sentire interiore è dinamico e materico ed è espresso nel modo in cui la luce si è fermata, frutto dell'errore, sulle pellicole in successione, come una rivelazione. Sul fondo nuance tenui ma pigmentate come uno spazio cosmico, galassie del possibile, su cui si staglia il sedimento dellesperienza che è valanga, rena che si insinua, concresce e procede. È lo scorrere del tempo, il tempo vissuto che alimenta se stesso, si va accumulando senza lasciare che nulla si perda mai veramente, fino a precipitare e depositarsi. Forse per questo si usa dire, riferendosi alle cose andate, "scavare nei ricordi". Farlo è anche, sempre, spingersi negli abissi della propria interiorità, ed emergere da lì, venire a galla trasfigurati dall'elemento in cui si è immersi. Un volto appena decifrabile, un'identità appena accennata - quello che ne è della soggettività nell'esperienza - è nell'ultima tra le polaroid. All'estremo opposto della sequenza troviamo l'unico intervento operato: un ritaglio centrale sul retro di un istantanea capovolta che sta ad indicare un cambio di prospettiva, un traslare al di qua della superficie su cui la realtà si imprime. Il cerchio generato dal taglio da a sua volta su un' immagine, l'unica più definita della serie. Vedere attraverso un punto di osservazione che assimila autore e spettatore. L’operazione richiama alla mente l’esempio grafico che Bergson utilizzava nell’enunciare la sua concezione del rapporto tra memoria, ricordo e percezione: la figura del cono rovesciato. Immaginiamo di avere un piano ed un cono rovesciato la cui punta poggia su tale piano. Il cono rappresenta la coscienza umana, il piano, la realtà, la base del cono è la memoria. La memoria, in quanto somma di ricordi, ha un contenuto vastissimo, ma nel ricordo si oscura e tocca la realtà in un solo punto, che è quello della percezione, attraverso la quale la coscienza entra in contatto con essa. Come un presagio, un evento epilettico che è insieme abbassamento della soglia di coscienza e avvertimento dell’oltre. Manifestazione sensoriale, improvvisi automatismi dai quali erompe la consecutio dell’esperienza e la sua assimilazione.

Senza parole stencil, vernice spray, acetato, plexiglass, carta, ferro cm. 60 x 106 x 40

2015

Palzzo Caracciolo, Napoli

N.d.A.

Senza parole è la trasposazione in forma libro di un test a gettoni per la valutazione dei soggetti affetti da afasia. Il test originariamente comprende un questionario e un kit, composto da 20 elementi (10 gettoni tondi e 10 quadrati), di essi metà misura 4 e l’altra metà 2 centimetri di diametro.

Le forme sono suddivise a loro volta in 5 categorie cromatiche: bianco, verde, giallo, rosso e nero (in basso un esempio di come si presenta un Token test).

Il lavoro è nato dopo aver somministrato questo test a mio nonno D.F. poco prima della sua scomparsa, avvenuta nel luglio 2015, per produrne dei dati che avrebbero portato ad un oggetto artistico. L’obiettivo è quello di condividere con il fruitore la stessa sensazione di smarrimento e incomprensione nell’affrontare qualcosa di apparentemente incomprensibile.

Sfogliare il dispositivo libro è l’unica operazione possibile vista la totale mancanza di informazioni univocamente decifrabili. Il libro è stato suddiviso in capitoli cromatici la cui desaturazione sta a sottolineare la perdita pressoché totale della capacità di produrre e/o comprendere messaggi tipica degli afasici. Il solo capitolo/colore riconosciuto durante il test, e per tanto rimasto immutato, è stato quello rosso, a ricordare l’unica istruzione compresa da D.F. durante il questionario.

crediti fotografici: Angelo Marra

Testo di Mario Francesco Simeone

Tra le linee oblique di Verso [...] si intersecano simmetrie e biforcazioni, traiettorie semantiche che comprendono un rivolgimento di prossimità, un moto orientato al contatto, una diafana emissione visiva, un’alternanza di sequenze ritmiche. L’opera scandisce l’ipotesi di una relazione tra l’edificio storico e la volta celeste, delineando un’estensione in cui aderiscono la pietra della Terra, il profilo del suo satellite naturale e gli impulsi della stella madre. La struttura (in basso il progetto) [...] si configura come un ibrido tra elementi geometricamente puri – due circonferenze sovrapposte con un’angolazione di 23°, pari all’inclinazione dell’asse terrestre – e dispositivi tecnologici, il pannello solare e gli accumulatori che convogliano l’energia per trasformarla in diffusione luminosa. Su questo sistema di scivolamento della luce e della geometria, la forma si sviluppa in un intreccio di distanze, in una vertigine dell’oggetto che tende a scomparire. Così, Verso è la superficie di una corrispondenza biologica e concettuale, cinematica e poetica, sulla quale gli spazi del mondo e quelli del cielo raggiungono un punto di equilibrio, come accade nella meccanica dell’astrolabio – dal greco astèr, astro, e lambàno, prendere – in cui il microcosmo e l’universale sono inquadrati in un’antologia grafica.

struttura in ferro

Verso*

ferro, pannello led, forex, batteria solare cm. 200 Ø

2015

Palazzo Caracciolo, Napoli

pannello led batteria solare

*con Gianmarco Biele, Alessandra Donnarumma, Flaviano Esposito
forex
] [
base di ferro
crediti fotografici: Angelo Marra

]...[

Testo di Luciana Berti e Mario Francesco Simeone

La desinenza -aria definisce un sistema di congruenza tra due ambiti semantici, tra la narrazione di una storia e l’archiviazione di un sapere. Così, la struttura di Cervinaria (il titolo della mostra n.d.r.) si articola seguendo una stratificazione di elementi eterogenei che delimitano un percorso di attraversamento percettivo, di fluidità conoscitiva, tra la tradizione orale, l’ipotesi originaria del racconto, e quegli oggetti depositari di sedimentazione storica, sociale, culturale.

]...[

L’appartenenza al contesto emerge come fiera coscienza oppure è diluita nei ritmi del contemporaneo, si individua come un’identità dispersa, o concentrata tra pietre bianche, castagni, album di fotografie, suoni, aneddoti e oggetti personali, elementi che si addensano per diventare storie da tramandare, ascoltare, tradire.

]...[

crediti fotografici: Vincenzo De Lucia

Senza titolo* pietre, terra, luce installazione site-specific 2015

Palazzo Marchesale, Cervinara

*con Gianmarco Biele

N.d.A.

Ultimo giorno a Riga è un lavoro scaturito da una riflessione personale sulle relazioni tra gli individui.

Questa installazione in situ è composta da microsfere di polistirolo che ricoprono l’intera area calpestabile di un salone storico al piano terra della Rocca dei Rettori, sede della Provincia di Benevento. La prima sensazione è tattile e vuol catapultuare il visitatore in un’espereinza simile all’attraversamento di un campo innevato in una condizione di semioscurità. Alla proiezione a terra spetta il compito di definire lo spazio circostante. Il rumore bianco di una tempesta di neve in lontananza ricrea, indoor, un tipico panorama invernale.

La forma geometrica proiettata è composta da una palette di quadrati iscritti uno nell’altro ed è la metafora di uno spazio rimasto “vergine” dopo una nevicata. Si tratta di una rivisitazione del diagramma di Hall (a destra), antropologo noto per le sue teorie sulla prossemica, lo studio degli spazi e delle relazioni che si instaurano tra gli esseri umani.

Il fruitore, di fronte a questo corpo di energia che rappresenta uno spazio intimo potenzialmente condivisibile, sul piano fisico e spirituale, può arbitrariamente decidere se fermarsi a contemplare o modificare, attraverso l’interazione diretta, il confine di luce ricreato all’interno del campo luminoso.

crediti fotografici: Flaviano Esposito

Ultimo giorno a Riga

proiezione, microsfere di polistirolo, audio misure ambientali

22’ loop

2015

Rocca dei Rettori, Benevento

spazio pubblico
personale spazio sociale spazio
https://bit.ly/2NByaMs
spazio
intimo

a sinistra e pagina successiva: modella/performer Rossella Di Micco

crediti fotografici: Sara Cancellieri

Testo di Caterina Villani

Una diagnosi, la consapevolezza del cambiamento, una nuova identità più complessa ed articolata. La riflessione artistica come mezzo comunicativo. Il dittico XY nasce dall’elaborazione digitale di un referto medico attraverso la sovrapposizione di contorni delle scansioni craniche provenienti da una risonanza magnetica encefalica. dati neuroscientifici diventano segno e il loro esito si fa forma, con l’inserimento all’interno dei margini, dei due punti di vista di una lesione tumorale, valorizzata della foglia oro.

Paradosso: l’oro, il valore aggiunto, assume la forma del male che, inconsapevole, porta ad un nuovo valore, la nuova identità. La fusione tra vissuto e filosofia di vita si concretizzano in un’opera essenziale che ripercorre in un colpo d’occhio un cammino lungo quanto un’esistenza.

XY

stencil, acrilico, foglia oro cm. 30 x 30 x 4 cad.

2016

Palazzo Angelini, Buonalbergo

]...[ un lavoro che nasce dalla sperimentazione con varie tecniche traendo ispirazione dalla filosofia, la letteratura e le neuroscienze.

E’ interessante come D’Argenio riesca a far parlare due mondi diametralmente opposti in modo coerente e stupefacente al tempo stesso attraverso lavori esposti, donando loro un’artisticità unica. Trovare l’intersecazione esatta è un passaggio delicato che cammina su una sottile linea ma che l’artista riesce a equilibrare trovando una soluzione perfetta.

]...[

crediti fotografici: Angelo Marra

Testo di Gioia Cativa

Testo di Luciana Berti e Mario Francesco Simeone

A Palazzo Buonanni, piccole e grandi storie si incrociano, conseguenza di un’ultima coincidenza tra gli eventi umani e i cicli della natura. L’epigrafe in marmo che sormonta l’ingresso è dedicata all’illustre Michele Buonanni, chirurgo maggiore del corpo generale della Reale Artiglieria di Ferdinando IV di Borbone e tra principali studiosi dell’infezione del vaiolo. Benché l’attuale impaginazione del palazzo abbia mutato l’aspetto originario, si conservano frammenti di altri episodi rimasti fuori dalle cronache ma impressi nelle forme degli oggetti immobili. La residenza, chiusa da anni, è impregnata dai rumori del quotidiano, riverberi di vite ancora presenti che si intrecciano ad arbusti, cespugli, erbe e rampicanti, le cui radici si sono sovrapposte all’architettura. La natura ha esteso la propria struttura cellulare sugli strappi della carta da parati e tra gli interstizi del cemento, forme biologiche che si avvitano alle inferriate e ai corrimano, comprimono vetri, scandiscono la misura di nuovi spazi d’oscurità e lo scorrere di un tempo inestimabile. La precisione degli spigoli si sfalda, la coerenza delle superfici si sgretola componendo un movimento organico e, tra questi frammenti in continua metamorfosi, fluiscono nuovi simboli, immagini di una scrittura ibrida di stucco e clorofilla

Neanche a parlarne di istituirmi specialista delle mie malattie #1 stencil, antiruggine, tessuto cm. 100 x 100

2016

Palazzo Buonanni, Cervinara

] [

Testo di Luciana Berti e Mario Francesco Simeone

L'installazione è composta da due elementi a parete e uno centrale, cui materiali sono stati sottoposti a processi di degradazione, secondo variabili sia calcolate che impreviste, simili a quelle che il tempo ha impresso sull'architettura del Palazzo (Buonanni n.d.r.).

Sulla lamina di ferro e sul tessuto è stato attuato un processo di ossidazione, contrastato dall'azione di un agente antiruggine, due reazioni chimiche opposte e controllate da una matrice, che contribuiscono a far affiorare nuove forme. Al centro della sala, sul vetro infranto, si manifestano segni grafici caotici, effetto instantaneo dell'impatto di una pietra di grafite.

Neanche a parlarne di istituirmi specialista delle mie malattie #2 gesso, grafite, vetro cm. 100 x 100

2016

Palazzo Buonanni, Cervinara

Neanche a parlarne di istituirmi specialista delle mie malattie #3 stencil, ruggine, ferro cm. 100 x 100 2016 Palazzo Buonanni, Cervinara

A seguito di alcuni sopralluoghi a Palazzo Buonanni è emerso subito il forte legame tra corpo archittetonico e corpo biologico. Una riflessione dalla quale è venuto fuori anche il titolo di quest'installazione che cita un capitolo del libro Storia di un Corpo di Daniel Pennac. In un contesto già fortemente caratterizzato sono stati inseriti dei reali segni biologici. Una colonia di cellule tumorali gliali è stata realizzata attraverso una matrice e della vernice antiruggine, il calco di un'astrocitoma, che si staglia sul pavimento come un sasso (o un meteorite) e una cicatrice cheloide, incisa attraverso un periodo di ossidazione di una lastra di ferro durata alcune settimane. Il lavoro prende forma proprio attraverso alcuni dei materiali presenti nel palazzo a sottolineare il leitmotiv di questo lavoro: tempo e malattia.

crediti fotografici: Flaviano Esposito, Vincenzo De Lucia

N.d.A.
Frame stampa inkjet b/w su carta fotografica cm. 56 x 246 c.ca 2017 Galleria E23, Napoli

Testo di Mario Francesco Simeone

S.H.E.N. è una multinazionale che gestisce e coordina enormi flussi economici e di informazioni la cui potenza è minacciata dalla creazione di un logo che, immesso nel mercato, porterebbe a effetti imprevedibili.

Quando il suo servizio di hacking e spionaggio intercetta alcune trasmissioni criptate, si avvia un programma di ricerca capillare, per trovare l’organizzazione anonima che sta lavorando alla creazione del logo, una minuscola cellula dispersa nella corrente del web.

La storia è raccontata esclusivamente attraverso le fonti rintracciate dal servizio di hacking, comprendendo brani di chat reperiti sui social network e sui servizi di messaggistica, recensioni e prenotazioni sui portali di booking, fatture e ordini dai siti di e-commerce, gallerie fotografiche e video caricati su diverse piattaforme di condivisione. Qualunque elemento reperito sulla rete può dare forma alla struttura narrativa, contribuendo allo sviluppo della trama e della ricerca.

N.d.A.

Frame è un racconto fotografico composto da 222 immagini disposte lungo una sequenza bustrofedica.

E’ la narrazione svelata da uno smartphone, che ricostruisce le esperienze personali di un’identità digitale, attraverso fotografie del quotidiano durante un lungo periodo di ricovero durato dal 22 novembre al 13 dicembre del 2016.

a sinistra: dettaglio in formato originale del 111esimo frame

Fonte: iPhone 4

Modello: MC605IP/A

N° di serie: 83105GWMA4T

IMEI: 01 264500 422184 0

ICCID: 8939 0100 0020 2471 7575

crediti fotografici: Danilo Donzelli

CTRL+ALT+CANC installazione misure variabili 2017

Rocca dei Rettori, Benevento

]...[
Gerardo D’Argenio Senza titolo (Vincenzo( olio su tela rimossa dal telaio cm. 40 x 50 c.ca. 1982-83 Rocca dei Rettori, Benevento

]...[

Testo di Mario Francesco Simeone

Shen è una parola chiave nella cultura cinese, riferita agli ambiti della medicina e della filosofia. Sottoposto nel corso del tempo a diversi cambiamenti grafici, l’ideogramma è attualmente composto da una parte fonetica shén (spiegare) e dal radicale shì (mostrare, indicare), con le due linee orizzontali che rappresentano il cielo e le tre verticali ciò che ne discende. Con tutte le riserve e le incertezze del caso, il termine si può tradurre con “spirito” e indica la radice della forza vitale, che risiede nel cuore e si dirama a tutti gli altri organi. Nei testi medici il significato assume sfumature diverse in base al contesto e alcune volte è riferito allo Yin e lo Yang, oppure, ancora, si allude all’illuminazione e all’intelligenza, con il concetto di Shenming.

]...[
Senza titolo (06 12 2016 memoria( stampa fine art su carta cotone 240 gsm cm. 80 x 100 2017 Rocca dei Rettori, Benevento

Io Sorprendo (video edit( videoproiezione

22'' loop

2015-17 Rocca dei Rettori, Benevento

N.d.A.

CTRL+ALT+CANC è un'installazione ispirata alla casualità degli errori e alla loro imprevedibilità (o quasi).

Tre brevi flash autobiografici che generano senso nella loro eterogeneità. Nel primo lavoro (la tela nuda), l'errore è evidenziato da una macchia di colore che finisce per avere una valenza premonitoria. Mio padre, autore del dipinto poi rimasto incompleto, ha inconsapevolmente lasciato una pennellata di colore ad olio sulla testa del mio ritratto di neonato e, come ne Il Ritratto di Dorian Gray ha ignaramente trasposto su tela la previsione di un futuro che si sarebbe verificato a diversi anni di distanza. Un segno che riporta al secondo lavoro, la stampa di una sovrapposizione di fotografie scattate da un'altro artista, Gianmarco Biele, il quale, su mia richiesta, ha effettuato una rapida sequenza di scatti dal balcone della sua casa, distante solo poche centinaia di metri dalla finestra della mia stanza d'ospedale il 6 dicembre 2016, il giorno prima che subissi una delicata operazione alla testa.

Trait d'union, la proiezione video di un lavoro fotografico del 2015: Io Sorprendo.

crediti fotografici: Ilaria Galliano, Gianmarco Biele, Roberta Feoli

https://bit.ly/2RWAz37

in alto a destra:

D.F. #3 (10.VII.2015( stampa lambda applicata su dibond cm. 100 x 100

2019

L’Appartamento, Bologna

Testo di Mario Francesco Simeone

Chi era D.F.?

D.F. è una storia raccontata attraverso un’istallazione multimediale che i visitatori potranno attivare tramite QR code (in basso). Il link porta a un file caricato su una piattaforma cloud, una sorta di audioguida che contiene una serie di interviste a quattro donne di diverse generazioni (a destra), che conoscevano D.F. e che, adesso, ne ripercorrono la vita. Durante l’ascolto, il fruitore potrà esplorare lo spazio espositivo in cui saranno allestite vecchie fotografie ritrovate negli archivi familiari, risalenti agli ultimi anni di vita di D.F., ricostruendone gradualmente l’identità.

a destra: D.F. #1 intervista audio 20’ 27’’ 2019

L’Appartamento, Bologna

https://bit.ly/3mXhWvl

“[...] Lui è caduto e la fede è rimasta appesa vicino alla gru. Io poi sono andata, l’ho presa e l’ho portata al santuario di San Nicola [...]”

- Luigia Rosa Zilli, detta Rosa (moglie)

Testo di Mariarosa Lamanna

“Il fratello Eugenio aspettava che uscissero pulcini dal nascondiglio, gli dava una botta in testa e li ammazzava. E suoi genitori se la prendevano sempre con mio padre Domenico”.

- Erminia, Anna Facchiano (figlia)

“Arrivò questo camion davanti casa, con questi due signori dentro. E, allora praticamente uscendo fuori mamma scoprì che era il fratello [...]”

La mostra D.F. di Vincenzo D’Argenio a cura di Emilia Angelucci e Mario Francesco Simeone (i cui testi sono accessibili al seguente url: https://bit.ly/2XnoWbf n.d.r.), evidenzia le molteplici sfaccettature dei processi di ricostruzione e restituzione dell’identità, orientandoli nei campi pertinenti alla memoria e al ricordo. L’impianto formale dell’esposizione mette in mostra il racconto epico di D.F. attraverso tre installazioni multimediali e una fotografia. L’attraversamento orale, tra inflessioni, sfumature e inesattezze, è delimitato da fotografie e video ritrovati negli archivi famigliari, fruibili tramite dispositivi digitali, analoghi per funzione a quelli biologici di primaria necessità: tramandare il passato attraverso testimonianze, ergendosi a “monumenta” contemporanei. L’archivio di famiglia è qui sublimato a strumento analogico di archiviazione della memoria individuale e collettiva, caratterizzate da precise norme di ordine storico e sociale. Il flusso di voci, un file audio attivabile tramite QR code e contenente quattro interviste rivolte a donne di diverse generazioni che conoscevano D.F. ne ricostruiscono gradualmente l’identità e la vita nell’ordine del ricordo, occupando lo spazio interiore del visitatore, più collegato alla sensibilità personale e alle emozioni. La fotografia, memoria di una traccia immortale in cui il reale impressiona la realtà, imprime la sua orma nel suolo della memoria filmica come in quella psichica. testi critici di Emilia Angelucci e Mario Francesco Simeone, in forma poetica di rêverie, supportano e partecipano la messa in mostra di D.F. evocando frammenti di vita, ricordi e dialoghi tra gli autori e l’artista, in una dimensione in cui ricordo personale e memoria collettiva possono unificarsi in un positivo recupero di archetipi universali e immortali.

“Mi ricordo di quando mi veniva a prendere a scuola. Lui, quando facevo le scuole medie mi veniva a prendere tutti giorni all’uscita da scuola, io mi imbarazzavo un sacco. Perché nessun nonno veniva a prendere nipotini che del quartiere si ritiravano tutti a piedi [...] ”

- Michela, Pia D’Argenio (abiatica)

D.F. #2

archivi fotografici analogici e digitali riversati su 5 tablet

2019

L’Appartamento, Bologna

- Maria Antonietta Bassanini, detta Marisa (nipote)

Testo di Caterina Villani

Attraverso un corridoio nella penombra ci si tuffa nell’atmosfera ovattata che racchiude il vissuto di una famiglia.

D.F. nonno, marito, padre, zio, per voce di quattro figure chiave della sua vita, accoglie il pubblico aprendo uno spiraglio nel proprio intimo grazie ad un repertorio fotografico consultabile su supporti digitali suddivisi per aree tematiche. La dimensione multimediale consente una fruibilità talmente contemporanea da permettere allo spettatore di entrare nella quotidianità del protagonista, fondendolo con il proprio privato, trovandosi così protagonista a propria volta. Unica immagine statica è la stampa iperdefinita dell’ultimo atto condiviso della vita di D.F. circondata da un’alone di luce, come a portarla su un livello ultraterreno. Grazie ad una minuta corte esterna si raggiunge quindi la sala video (a sinistra) dove le difficoltà, le sofferenze, la routine abbruttita dalla malattia e dalla vecchiaia di un nucleo famigliare, diverso da quello di ognuno noi solo per pura coincidenza, vengono proiettate su una parete rivestita di pluriball che estrapola colori cangianti ed accentua la distanza tra il pubblico e D.F. come a identificare un livello onirico dal quale ci si sta risvegliando. Attraverso un corridoio nella penombra ci si allontana dai ricordi e si rientra nel presente.

D.F. #4 videoproiezione su pluriball, seduta con tappeto vintage, naftalina muto 15’ 55’’ loop 2019 L’Appartamento, Bologna https://bit.ly/2Xqv5OZ
crediti fotografici: Marco Mastroianni
della mostra 2020
Vivaio Urbano, Bologna
Deflagrazione veduta
Senape

Testo di Maria Chiara Wang

ANSA, Bologna, 06 agosto 2018, h14:38 1

Un violento incendio, seguito da diverse esplosioni, udite in una vasta area della città è scoppiato poco prima delle 14 in zona Borgo Panigale, alla periferia di Bologna. Il rogo, dalle prime informazioni, interessa un’area fra la tangenziale e alcune concessionarie di auto che si trovano fra la via Emilia e via Caduti di Amola. Secondo le prime informazioni, ci sarebbero alcuni feriti. Il raccordo autostradale di Casalecchio è stato chiuso in entrambe le direzioni.

Diario di C e V, Bologna, 06 agosto 2018

Parco del San Pellegrino, ai ‘300 scalini’

Primo bacio all’ombra dell’Acer Campestre 89 003

Deflagrazione nasce e si sviluppa come un’opera viva che intreccia la vicenda pubblica, quella dell’esplosione di Borgo Panigale del 6 agosto 2018, al vissuto personale dell’artista, ovvero la nascita della relazione con C.

Nei lavori in mostra vi è un rimando costante tra la cronaca e la sfera privata, tra materiale documentario ed elementi autobiografici, tra reperti naturali e riproduzioni artificiali.

Due le icone che fungono da filo conduttore tra gli episodi di questa narrazione: il fuoco e l’acero, complementari in un dualismo indissolubile. Il primo, richiamandosi alla concezione stoico-eraclitea, rappresenta lo spirito vitale del mondo, il principio attivo da cui tutto deriva e a cui tutto ciclicamente ritorna mediante una conflagrazione universale (o ecpiròsi); l’acero, invece, nel solco della cultura giapponese, simboleggia gli amanti, il rinnovamento, la rinascita.

La mostra prevede un’installazione a parete che, mediante un collage di 50 scansioni su carta fine art, riproduce il telo a fiori su cui C. e V. si trovavano al momento dell’esplosione. Completano l’opera un tappeto di erba sintetica e una registrazione ambientale.

Il racconto autobiografico prosegue con una scultura di legno realizzata con rami dell’acero campestre 89 003 e foglie stampate in resina. Il focus si sposta, quindi, sulla vicenda pubblica attraverso un video che riproduce le diverse documentazioni della deflagrazione caricate in rete negli istanti successivi allo scoppio ed alcuni documenti inediti. Ai piedi della proiezione, 55 piante essiccate di miglio intendono essere un riferimento al luogo della vicenda: Borgo Panigale (Båurg Panighèl).

Il progetto espositivo trova il suo epilogo e pieno compimento nella pubblicazione omonima, al cui interno una fitta sequenza di immagini in successione - senza l’uso di parole, come in un film muto - lascia allo spettatore la possibilità di farsi voce narrante e di rintracciare nei vari scatti proposti gli elementi di una storia precedentemente suggerita dalle opere esposte.

1 https://www.ansa.it/sito/notizie/topnews/2018/08/06/incendio-con-esplosioni-a-bologna_00e589b0558a-46a3-a333-4011cd50a4ae.html

Deflagrazione #2

Legno di acero, stampa3D a resina liquida

cm. 110 x 60 c.ca

2020

Senape Vivaio Urbano, Bologna

Testo di C.

Da sempre osservo Bologna dall’alto. Il giorno in cui fui messo a dimora si è perso nella burocrazia: compaio per la prima volta nel censimento dell’aprile 2009 «acero campestre n° 89003»

E’ come se mi avessero notato solo allora, eppure già c’ero. Ogni giorno all’albeggiare la mia ombra si proietta sul fianco della collina: per qualche attimo, mentre San Luca prende forma, ho una chioma immensa. Vedo la città che si sveglia, le strade si popolano, gli aerei rollano in pista, l’elicottero giallo atterra, cani portano al guinzaglio propri padroni...

Con il sole ho sempre compagnia: si sdraiano sull’erba, stendono un telo a fiori e osservano le mie foglie... oppure si proteggono semplicemente dal calore. Coppie si scoprono, aerei decollando trascinano con sé l’immaginazione... partenze astratte...

Luce-buio, gelo-afa, pioggia-siccità scandiscono il mio tempo...non esistono calendari o orologi, solo giorni che si impilano nelle stagioni. Perdo le foglie, mi vesto di cristalli di neve, compaiono gemme, le cicale stordiscono la quiete, riperdo le foglie... Talvolta assisto ad eventi eccezionali...

Il 6 agosto 2018 è iniziato con la solita coppia, unintesa... quiete tramutata in una esplosione, sirene, una nube densa, il fumo...

C’erano il sole, l’elicottero giallo, il telo a fiori*...

https://bit.ly/3t0lXRN

Deflagrazione #1

videoproiezione a parete, 55 piante di miglio essiccate, legno, terra. audio, 3’ c.ca, loop 2020

Senape Vivaio Urbano, Bologna

Erano le 13:45 di lunedì 6 Agosto 2018 quando il vicentino Andrea Anzolin, autista 42enne alla guida di un’autocisterna che stava trasportando 23 tonnellate di GPL, tamponò un camion in coda sul tratto autostradale tra la A1 e la A14. Fu l’unica vittima di quella che viene ricordata come l’esplosione di Borgo Panigale. Nello stesso momento, a brevissima distanza in linea d’aria, C., la mia compagna, ed io, dopo circa un mese di frequentazione, ci stavamo baciando per la prima volta all’ombra dell’Acer Campstre 89 003 nella zona nota come “300 scalini”, assistendo a tutto ciò che avvenne.

Deflagrazione #3

Stampa su carta fine art Permajet matt plus 240g/m2 di 50 scansioni da telo, erba sintetica, vinile copia singola 33 rpm 22’ per lato, giradischi.

dimensioni ambiente

2020

In principio la cosa passò quasi inosservata, non capivo cosa stesse accadendo finché non fui distratto dalla densa colonna di fumo nero. Interrompemmo le effusioni per guardare nella direzione dell’autostrada. Pochi minuti dopo: l’esplosione seguita dal rumore assordante della deflagrazione. Ho intensamente ragionato sulla tragica vicenda pubblica per sempre legata al mio vissuto personale. La tragedia ebbe un discreto impatto su una città già emotivamente stordita dalle recenti ricorrenze legate al 2 Agosto 1980 poi, come spesso accade, resta poco di un vissuto indiretto che permane negli atti di cronaca. Frequento spesso il belvedere al Parco del San Pellegrino: il “nostro” Acero è stato fotografato in momenti differenti, prelevando rametti o foglie, confrontando il calco della sua corteccia con quello del battistrada della carreggiata dove Anzolin perse la vita Il materiale documentario, collezionato per circa un anno, si è trasformato in un’opera viva, emblema dialogante del mio/nostro vissuto privato con la vicenda pubblica: metaforici gli elementi botanici come il panìco (o miglio), graminacea alla quale la zona di Båurg Panighèl deve il proprio nome; un bonsai di acero tridente acquistato erroneamente sull’onda dell’entusiasmo, ribattezzato poi Gilberto; infine un giovane Acerino campestre nato spontaneamente nel giardino dei genitori di C. E, ovviamente, “il telo a fiori”* https://bit.ly/2Qsct3r

Senape Vivaio Urbano, Bologna

Testo di V.
https://bit.ly/3e3Bmug

N.d.A.

Deflagrazione ha ufficialmente chiuso a causa di problemi tecnici dopo poco più di 72 ore dall’inaugurazione. Se il fuoco dell'esplosione di 2 anni prima aveva acceso la miccia di una lunga genesi l'acqua che ha sommerso lavori l'ha spenta in meno di 2 giorni.

Molti degli esemplari del Diario di C. e V. sono rimasti “sigillati” dall’acqua e, quello che era stato definito come un “film muto” è finito per diventare anche “invisibile”. I diari rimasti a lungo in acqua a lungo hanno cambiato forma diventando sostanzialmente unici. Nonostante fossero un prodotto editoriale sono diventati delle piccole opere.

Ho pensato che l’unico modo per continuare a raccontare questa storia a chi avesse voluto ancora ascoltarla sarebbe potuto essere un corrispettivo digitale dei nostri tempi di un “diario segreto”: un file .pdf criptato da una password (da richiedere). Sulle stampe della mappa di Bologna restavano delle increspature e i giochi di colore che i segni gialli (che ricordano 2 punti in cui si svolge la storia della mostra: la chioma dell’acero e l’esplosione) hanno impresso dove il colore ha reagito con l’acqua, diventando come un acquerello.

crediti fotografici: Maria Chiara Wang

in basso e a destra: Deflagrazione #4 (Diario di C. e V.( edizione di 100 copie numerate cm.14,8 x 21

48 pp acolori

2020

a sinistra: Deflagrazione #5 (06.08.2018)

Stencil tagliato a mano, vernice spray su carta Canson 200g/m

edizione di 22 copie numerate cm.42 x 29,7

2 colori

2020

https://bit.ly/deflagrazione_dargenio

Testo di Emilia Angelucci Un oggetto

Pomeriggio, 9 luglio 2021.

Seduta in poltrona sfoglio assorta il catalogo della mostra di Christian Boltanski Anime. Di luogo in luogo che ho ritrovato nella libreria sotto diversi volumi che si erano accumulati nel tempo.

Dall’ultimo incontro con V. avevo iniziato a percepire il desiderio di fare ritorno agli oggetti che avevamo condiviso e nei quali risiedono i ricordi della nostra conoscenza. Gli avevo prestato il breve catalogo anni fa dopo esserci confrontati su alcune opere alle quali stava lavorando. Immagino di essere stata guidata da un inconsapevole riflesso alla sua costante necessità di ripercorrere e dare nuova vita a esperienze ormai lontane. miei gesti, il cercare il testo dentro la libreria e lo scorrere le sue pagine, hanno evocato le memorie che da tempo questo oggetto preserva. Si legge a pagina undici: «Da sempre ho cercato di conservare accuratamente i ricordi di ogni cosa. Come ho dichiarato altre volte, la Storia con la “s” maiuscola è conservata nei libri mentre sono le storie piccole, quelle di cui noi siamo protagonisti, quelle che scompariranno con noi, le storie che ho voluto conservare». Le parole che rivolge Boltanski al curatore Danilo Eccher mi suonano ancora così accordate all’instancabile lavorìo di V. Si potrebbe, infatti, guardare alla sua pratica artistica come una minuziosa traduzione e conservazione di storie. Il suo compito lo esegue come un rituale caratterizzato da un intimo algoritmo di gesti che hanno l’intento di dare forma a frammenti materiali di esperienze che andrebbero altrimenti perdute. Processo che V. paragona a una pratica meditativa attraverso la quale costruisce una narrazione sedimentata ricreando i dettagli di ogni suo singolo elemento.

Come dicevo, considero Anime. Di luogo in luogo il primo di una diversificata serie di oggetti che formano l’elenco dei miei ricordi. Tutti assieme costituiscono un confuso ma coerente cluster di cose che dà origine a una storia cominciata nell’inverno del 2019 con la co-curatela della personale di V. intitolata D.F. Nello stilare un’approssimata catalogazione potrei annotarvi: un tappeto raccolto dalla spazzatura, palline di naftalina e il loro odore che ci ricordava la casa dei nonni, gli album di famiglia, una parete di pluribol e un opuscolo intitolato D.F. Sono tutti oggetti della memoria con forme, suoni e odori differenti che compongono una stratificata narrazione la cui vicenda lascio all’immaginazione. Vorrei, infatti, concentrarmi su un altro punto. materiali che costituiscono i miei ricordi e ai quali sono istintivamente ritornata mi portano a ragionare sull’essenza di questo scritto. Sono di fronte a un piccolo testo composto da fitti caratteri stampati su carta che diverrà un nuovo e tangibile frammento di memoria contenente un breve elenco di oggetti legati all’immagine di una storia cominciata due anni fa. Esso, inoltre, risiede accanto alla testimonianza di C., a formare un duetto che a sua volta dialoga con le opere presenti in DEFLAGRAZIONE artist’s cut Una stratificazione simile alla matrioska: sono molteplici voci che assumono una consistenza e si accumulanocomponendo un coro organico di spazi di memorie che

dimorano in questa personale. Con questa riflessione mi è possibile introdurre un’altra caratteristica della poetica di V., la coralità. All’interno della sue mostre, infatti, non risiede mai soltanto un soggetto. Il suo è un attento lavoro di rappresentazione di esperienze passate in cui coesistono più attori e punti di vista rispetto la vicenda che viene raccontata. In effetti, a pensarci, V. mi ha domandato di esprimere la mia voce per poi inserirla in questa busta, creando così un nuovo elemento da unire a DEFLAGRAZIONE artist’s cut. Sulla busta, inoltre, ha apposto un timbro, la traduzione della memoria di un albero, l’Acer Campestre 89 003 che, con le sue fronde, ombreggiava V. e C. quando la storia ha avuto inizio.

Era sempre un pomeriggio, 6 agosto 2018.

DEFLAGRAZIONE, scriveva Maria Chiara Wang, era nata e si era sviluppata dall’intreccio di un vissuto pubblico, la tragica esplosione di un’autocisterna a Borgo Panigale, e di un vissuto personale, l’inizio della relazione tra V. e C. all’ombra dell’acero nel Parco del San Pellegrino.

Dal giorno dell’accaduto, il 6 agosto 2018, V. aveva iniziato il suo rituale lavorìo di preservazione della memoria, che aveva poi presentato in DEFLAGRAZIONE, mostra inaugurata il 25 settembre 2020 presso Senape Vivaio Urbano.

L’artista aveva esposto cinque opere frutto della meticolosa ricostruzione della vicenda avvenuta nel caldo pomeriggio di due anni prima oscillando «tra la cronaca e la sfera privata, tra materiale documentario ed elementi autobiografici, tra reperti naturali e riproduzioni artificiali».

V. aveva scelto di raffigurare il momento elaborando suggestioni che legavano il vissuto di differenti personaggi. Nelle sue opere era narrata l’esperienza di V. e

C. attraverso un collage di 50 scansioni su carta fine art che ricostruivano il telo a fiori su cui si trovavano due al momento dell’esplosione, il tappeto di erba sintetica e una registrazione ambientale. Riecheggiavano, inoltre, le voci della tragedia dell’incendio, la cui traccia era presentata tramite una proiezione video delle inedite immagini registrate da uno dei primi soccorritori accorsi sul luogo dell’incidente. Ai piedi giacevano 55 piante di miglio essiccate come riferimento al luogo della vicenda: Borgo Panigale. E l’Acer Campestre 89 003, la cui impronta era lasciata da una scultura di legno realizzata con suoi rami e foglie stampate in 3D con resina liquida.

Poi arrivò il 27 settembre 2020 a segnare il prosieguo di questa narrazione. Quella notte lo spazio espositivo di Senape Vivaio Urbano si allagò. Io fui l’ultima ritardataria, mi riferisce V. sempre attento alle coincidenze, a vedere la mostra prima che l’acqua ne forzasse la prematura chiusura.

DEFLAGRAZIONE artist’s cu t veste di nuove memorie la precedente mostra. Dal 6 agosto 2018 gli eventi si sono susseguiti e la storia si è stratificata. Questa seconda personale abita un nuovo luogo, quello di Museo Spazio Pubblico, e contiene nuovi attori ed elementi. V. ricorda la vicenda dell’allagamento tramite un

video riprodotto su tablet e aggiunge la voce di Luca, il bambino incontrato sotto quello stesso Acer Campestre 89 003, che aveva disegnato per l’artista la pianta con la promessa che sarebbe stato parte della mostra, tradotto poi in una proiezione. V. propone, inoltre, molteplici materiali di studio collezionati durante il suo dettagliato intervento di rievocazione. Compaiono le trame dell’acero e del battistrada del luogo dell’incidente riprodotte attraverso due calchi, la memoria dell’albero nel richiamo a un erbario costituito da una boccetta contenente la sua resina e un ramo della sua chioma e alcuni racconti fotografici. E infine ci sono la preziosa voce di C. e questo oggetto-ricordo.

Pomeriggio, 6 agosto 2021.

V. ha deciso di organizzare un momento di dialogo con il pubblico. Anche se DEFLAGRAZIONE artist’s cut rimarrà aperta sino al 20 agosto 2021, l’incontro vuole segnare la fine di un tortuoso cammino. Un piccolo rituale per concludere una lunga storia.

Sera, 14 luglio 2021.

Un pensiero va alla memoria di Christian Boltanski.

crediti fotografici: Antonietta Dicorato

pagina precedente:

Deflagrazione #7 (Luca)

disegno su lucido,proiezione da lavagna luminosa dimensioni ambiente

2019-21

Museo Spazio Pubblico, Bologna

a destra e sinistra:

Deflagrazione #6 (artist’s cut)

oggetti, testi, materiali, memorie, documentazioni audio-visive dimensioni ambiente

2019-21

Museo Spazio Pubblico, Bologna

RICOGNIZIONE

veduta della mostra

2022

Il Cerchio dalla Libia a via Libia, Bologna

in alto: Senza titolo B carta carbone, carta dorata, cornice cm. 22 x 24

2022

a destra: Senza titolo A

terracruda, acrilico, fogliaoro, piedistallo in ferro

cm. 20 x 18 x 82 c.ca

2018 - 2022

#9CFFCE (dettagli)

livella laser, treppiede, vernice, presa da arrampicata, sabbia, gesso, grafite, shungite, vernice magnetica

misure ambiente

2021-22

RICOGNIZIONE
della mostra 2022 Il Cerchio dalla Libia a via Libia, Bologna
veduta

Intervista di Emilia Angelucci per exibart.it del 12.05.2022

E.A.: All’interno del comunicato stampa si spiega che sei rimasto da subito colpito dall’atmosfera della sala polifunzionale dell’Associazione. Qual’é stata la prima impressione che hai avuto nel visitare questo luogo? E in che modo ha influenzato la produzione della mostra?

V.D.: «“RICOGNIZIONE” è un progetto che avevo da qualche tempo in programma di realizzare. La scoperta de Il Cerchio è stata del tutto casuale; dopo aver visto alcune immagini dei suoi interni mi era venuta l’idea di visitare lo spazio e provare a chiedere una collaborazione. Durante il sopralluogo, ho percepito un profondo senso di spiritualità nella sala polifunzionale, a mio parere l’ambiente più affascinante per la presenza di tappeti e divani caratteristici del mondo arabo. Essa mi ha richiamato alla memoria due artisti che adoro: Rothko (e la sua omonima Cappella a Houston) e Spalletti (Cappella di Villa Serena a Città Sant’Angelo). Dal momento che il progetto era già fortemente spirituale e simbolico, ho pensato di orientarmi in tale direzione.

Nello spazio, l’installazione a parete #9CFFCE è in relazione con i due elementi di un dittico. Il primo, Senza titolo A al quale ho iniziato a lavorare nel 2018 con l’artista Sara Cancellieri, è composto da diciotto lamelle di terra cruda, di cui una rivestita in foglia oro, disposte su un piedistallo in ferro. Per la mostra ho completato il dittico con un secondo lavoro, Senza titolo B composto da altrettanti livelli

di carta carbone incorniciati, che generano un’opera indecifrabile e scura, se non fosse per uno strato in carta dorata. Durante la sua realizzazione ho pensato alla Ka’ba e alla Pietra Nera. Quest’opera dialoga inoltre con una croce situata sulla parete opposta prodotta da una livella laser».

E.A.: In mostra inserisci due suggestioni: il breve racconto di Arthur C. Clarke I nove miliardi di nomi di dio e il #9CFFCE il Cosmic Turquoise, l’errato colore medio dell’universo. Queste paiono due indizi atti a suscitare possibili chiavi di lettura sulla relazione tra due concetti che hanno ispirato le opere, spiritualita’ e scienza. In che modo si legano alla tua dimensione piu’ personale e fungono da filo conduttore delle opere? Perché hai scelto di inserire la storia di un errore?

V.D.: «Sono cresciuto con la nonna materna, una friulana cresciuta al sud che aveva una fede pragmatica spesso legata a consuetudini apprese dopo il suo arrivo nel Sannio, come tentare di scoprire con una manciata di orazioni, un piatto d’acqua e alcune gocce di olio d’oliva chi mi avesse fatto il malocchio quando avevo mal di testa. Luigia mi narrava anche storie di piante e animali, come la leggenda del pettirosso connessa alla Corona di Cristo. Insieme ai miei ricordi d’infanzia, evocano la mia visione anche le riflessioni dell’astronomo Carl Sagan sul Pale Blue Dot (in alto), la fotografia del pianeta terra scattata da una distanza oltre l’orbita di Nettuno, tra le più toccanti che io abbia mai letto: quando un uomo di scienza parla in quei termini

non mi sembra molto lontano da un sacerdote durante l’omelia. Ad ogni modo, #9CFFCE era già stato ideato per una call in cui mi ero domandato quale potesse essere il colore dell’Universo. Dopo qualche rapida ricerca scoprii che si chiama Cosmic Latte, ma pensare all’immensità come a una tazza di cappuccino non mi ispirava granché. Ho poi letto che il primo colore medio (errato) del cosmo era stato il magnifico Cosmic Turquoise! (vedi in basso a sinistra) Quale errore più bello? I nove miliardi di nomi di dio è un racconto breve che mi ha fatto conoscere Aldo Brianzi, uno dei componenti di Fuochi Antichi che performeranno in occasione della Art City White Night 2022 (14 maggio) accompagnati dal live set di Domenico Canino. Le poche pagine mi hanno fatto riflettere profondamente e ho deciso di aggiungere nella sala alcune copie del racconto da collane di differenti case editrici ed edizioni (vedi in basso e a destra). Il mio lavoro solitamente presenta una forte componente narrativa così, essendo “RICOGNIZIONE” un progetto più simbolico, vi ho voluto inserire suggestioni che potessero arricchire la mostra fornendo l’elemento mancante. Avendo in un certo senso eretto la mia chiesa temporanea (ride), mi piaceva che visitatori potessero esperire un ambiente immersivo e trattenersi con una lettura».

E.A.: Come le tue opere auspicano di relazionarsi non solo con un ambiente gia’ fortemente caratterizzato ma anche con le consuetudini delle persone che lo vivono quotidianamente? E quali sono state e saranno le difficolta’?

V.D.: «Le difficoltà non sono state poche e non lo saranno neppure durante i giorni di apertura dal momento che nella sala riposano e pregano gli ospiti de Il Cerchio. Per evitare di arrecare disturbo, i visitatori della mostra saranno invitati a indossare dei copri scarpe o a toglierle. Dal canto mio, ogni giorno smonterò e rimonterò parzialmente la mostra per non arrecare disagio. Tutte le volte che posso cerco di dialogare con spazi non deputati all’arte, anche se non nego che un white cube dà sempre una certa sicurezza rispetto ad altri luoghi in cui sei un ospite».

#9CFFCE Cosmic Turquoise #FFF8E7 Cosmic latte

Dal lat. recognitio -onis, der. di recognitus, p. pass. di recognoscere ‘riconoscere, osservare attentamente’

• sign. 1, 1891; sign. 3, sec. XVI.

RICOGNIZIONE nasce dall’osservazione, dalla percezione all’interno di un luogo quotidiano di sensazioni, emozioni, vita. Può uno spazio trasformarsi, completarsi, divenire altro da sé attraverso l’arte?

La sala polifunzionale de "Il Cerchio", che vive quotidianamente il passaggio di avventori, migranti, in cerca di riposo, silenzio, preghiera, viene interpretata per mezzo della presenza di installazioni visive, olfattive e uditive da parte di Vincenzo D'Argenio.

Prima di entrare e perdersi nella percezione dell’essenza meditativa e riflessiva di questo affascinante luogo così rivisto, all'ingresso ci accoglie Io sorprendo (2015): alcune polaroid in sequenza, una serie di fermo immagine a scandire il ritmo meccanico del tempo, dinamico e materico nel modo in cui la luce si ferma sulle pellicole in successione. Una suggestione sullo scorrere del tempo, tra identità ora appena accennate ora più definite, cambi di prospettive, traslazioni di realtà.

E’ come se D’Argenio stesso ci comunicasse che stiamo per entrare in un luogo al di fuori dal tempo, negli abissi infiniti dell’universo, in cui è necessario lasciarsi guidare dalle percezioni allontanandosi da sé e dall’esperienza della vita esterna per essere coinvolti nell’essenza spirituale completa di questo luogo, così come lui stesso ha sperimentato.

Attraverso suggestioni materiche e visuali, viene narrata la percezione personale di questo luogo da parte dell’artista. Uno spazio che viene dunque reinventato, che diventa nuovamente "altro" da sé, o forse D’Argenio ne coglie la vera essenza?

Un'unione di differenti spiritualità, che si fondono in un medesimo luogo, meditativo, proiettato verso la riflessione. La realtà come chiusa al di fuori, in pausa. La mente invece libera di vagare oltre, nella vastità del cosmo qui simboleggiato da un errore. Un tributo ad un glitch del software usato nella ricerca del colore medio dell’universo: ecco il Cosmic Turquoise che campeggia a richiamare l’Universo.

All’interno di uno studio sullo spettro della luce proveniente da più di 200.000 galassie, due studiosi della Johns Hopkins University identificarono in questa tinta #9CFFCE il colore medio dell'universo. Qualche mese dopo tuttavia, si accorsero che questa colorazione era errata, in quanto un bug nel software deputato alla conversione degli spettri registrati in frequenze luminose percepibili dall'occhio

umano aveva alterato risultati. Un errore nella percezione sensoriale ha creato questo colore inesistente, che all’occhio umano appare come una tonalità di ver-

de-azzurro assai tenue e chiara.

Nella costruzione artistica questo colore è proposto in forma di cerchio allungato, un'ellisse che sembra richiamare il moto orbitale dei corpi celesti e la struttura stessa con cui comunemente è rappresentato l’universo. In questo immoto vuoto spaziale, le coordinate di una livella laser cercano, esplorano, fino ad individuare un piccolo meteorite, una presa da arrampicata rivestita di particolato e vernice magnetica, che smuove questa superficie di colore pieno. due fili di luce rossa si incontrano, intrecciano, giocano su di esso e lo recognoscono, portando la mente ad infrangersi con essi.

Al centro della sala un piedistallo su cui una delicatissima scultura formata da lastre in argilla cruda, di cui una soltanto rivestita con foglia oro, è posta in dialogo con un’altra opera gemella sulla parete opposta: un’elaborazione con più livelli di carta carbone e, simmetricamente, uno solo realizzato in carta dorata. L'oro, emblema per eccellenza della luce, diventa qui segno distintivo, che porta l'occhio a esplorare, individuare, rivelare l’errore, valorizzato dal metallo nobile per eccellenza, che lo eleva a valore aggiunto.

Il breve viaggio all’interno di questa visione, in quello che diviene un non luogo attraverso la visione artistica, si conclude con lo sfondo sonoro di Domenico Canino: Cellular accompagna e quasi sembra fare eco al rumore sordo dei battiti del cuore dell'universo stesso. Il suono si intreccia al passo attutito dai variopinti tappeti, che

di nuovo ci riportano alla preghiera così come l’odore di incenso che invade le narici. nove miliardi di nomi di Dio, racconto fantascientifico richiamato dalla presenza di alcuni libri all'interno della installazione, rimanda alla spiritualità universale di cui questo luogo si fa scrigno.

Testo di Silvia Delevati

MOVIMENTO E SUONO

Il gruppo di danza Fuochi Antichi, propone per Art City White Night 2022 una performance ispirata all’installazione RICOGNIZIONE di Vincenzo D’Argenio e alle sonorità di Domenico Canino.

Ogni 30 minuti si alterneranno quattro danzatrici in coppia o singole, che si muoveranno all’interno dello spazio abitato dalle opere di D’Argenio. Un movimento di corpi che darà vita a leggi fisiche, concetti astratti, vuoti cosmici. Andrà in scena il Magnetismo di due stelle che si avvicinano, attirano, finché una non spegne l’altra; l’Assenza, il vuoto di luce, in assenza di appigli visivi l’esplorazione attraverso il corpo della spazialità circostante; le Oscillazioni, il moto del proprio corpo, tensione verso un equilibrio e perdita dello stesso; le Interruzioni, la mancanza di suono dove il silenzio dà vita alla comunicazione del corpo in movimento; le Connessioni di due elementi celesti che nel loro vagare si incontrano e connettono, generando nuovi moti. La figura umana trasfigurata, fugaci visioni di nero e oro animeranno questi concetti altrimenti astratti.

Ad accompagnare questi moti una composizione sonora live di Domenico Canino, Circular Synthesis, che si muove in loop, richiamando il moto dell’universo immaginato in suono, e trasferito dalle danzatrici in movimento fisico. Corpi reali e sonori entrano ed escono, fondendosi in una ciclicità intervallata da una voce, che richiama una profezia: "quando l'ultimo nome di Dio sarà scritto nel cielo lassù, senza tanto chiasso, le stelle si spegneranno."

Movimento-suono-immagine vibrano in un’unica visione fondendosi tra loro.

live set di Domenico Canino - Circular Synthesis

performance di Fuochi Antichi

Alice Franchini, Silvia Delevati Magnetismo

Ramona Stefanini - Oscillazioni

Katia Rindone - Interruzioni

Alice Franchini - Assenza

Katia Rindone, Ramona Stefanini - Connessioni voce Katia Rindone e Aldo Brianzi

crediti fotografici: Roberta Micale

stativi, maschera termoplastica, casco da bici, tablet e videoproiezione a parete misure varibili

01’24” - 22’22” loop

2012-13

dopo alcune crisi epilettiche mi viene diagnosticato un glioma di basso grado cui seguirà prima craniotomia nel luglio ‘13.

2016

a seguito di controlli periodici a settembre si presenterà una recideva con nuova operazione nel dicembre ’16 e radio e chemio terapia all›IRCCS C. Besta nella primavera del ’17 a seguito della quale chiederò di poter tenere la mia maschera usata durante le sedute di irradiazione.

Autunno ‘17

mi trasferisco da una piccola provincia campana (Benevento) a Bologna. Continua la chemio mensile casalinga a base di temozolomide mentre con la mia compagna finisce dopo circa 7 anni. Decido di non lasciare la città, trovo lavoro. Pur non riuscendo mai a fare quel che realmente vorrei continuo a portare avanti miei progetti artistici.

2018-19

arriva una nuova compagna di vita Caterina una mia coetanea medico con la quale cambierà radicalmente la mia prospettiva della vita: leggerezza e dinamicità, ora ho una bicicletta e, dopo una caduta, decido che anche un caschetto è necessario.

Settembre ‘19

a seguito di una polisonnografia per sospette apnee notturne ho richiesto video della notte trascorsa in ospedale.

Estate ‘21

C. incinta del nostro primo figlio comincia finalmente a percepire movimenti del piccolo ed entusiasta si filma la pancia inoltrandomi in tutto circa 20 video fatti in vari momenti durante quel periodo. I video sono caratterizzati da un pov sempre simile così decido di realizzarne un editing formato da tutti livelli a ridotta opacità così da lasciar vedere, e sentire, il tutto in un’unica visione ai quali viene aggiunta la traccia del battito di Tank registrato attraverso un doppler fetale. Padre (proiezione) e figlio (video tablet) legati da uno stato di vulnerabilità si sognano (?) a vicenda. Spettatori due stativi sui quali poggiano due momenti significatavi della mia vita: la maschera termoplastica (malattia, paure, incertezze...) e il casco da bici usato negli ultimi 3-4 anni (serenità, dinamicità visione di un futuro...).

N.d.A.
ˈɡrōniNG
2023

L’opera pone a confronto due archivi: il ricordo affettivo e attraverso il video di famiglia e quello distaccato dei referti medici. mettendo in comunicazione uno stralcio audiovisivo di una polisonnografia del 2019 con alcune riprese fatte con lo smartphone da C., compagna dell’artista, nel 2021 quando, gestante, era solita riprendersi la pancia durante movimenti del loro primo figlio, ad alcune settimane dalla sua nascita. Questi momenti sono stati scelti per i loro sentimenti contrastanti, a cavallo tra gioie e paure, curiosità e incertezze. A completare l’installazione, due stativi sorreggono due simboli dicotomici legati alla testa: un casco da bici e una maschera termoplastica.

crediti fotografici: Yari Sacco

Biografia

Vincenzo D’Argenio (Benevento, 1982) si è laureato in Scienze dello Spettacolo e della Produzione Multimediale presso l’Università degli Studi Suor Orsola

Benincasa di Napoli nel 2010.

Giornalista pubblicista, è contributor per la rivista di settore Exibart. E’ inoltre grafico, web-designer e si occupa di organizzazione di eventi artistico-culturali.

Dopo un esordio come street artist con lo pseudonimo di LAST22 ha intrapreso un percorso artistico indipendente. I suoi lavori hanno preso parte a mostre nazionali e internazionali.

E’ stato tra finalisti dello Stencil Art Prize di Sidney nel 2013 e del contest Smartup Optima a Napoli nel 2014. Con la sue mostre personali D.F. e RICOGNIZIONE è rientrato nel cartellone delle mostre segnalate da ART City in occasione di Arte Fiera 2019 e ART City White Night nel 2022. Attualmente vive e lavora a Bologna.

Mostre collettive

Textures, Palazzo Montevergine (Airola - BN)

2023

Ma non tutto è nero, Aula d’Arte Istituto di Istruzione e Formazione Giambattista

Vico con un testo di Emilia Angelucci (Art City 2023 Art City Withe Night 2023)

2021

Cronache, Villa Davia, Borgo di Colle Ameno (Sasso Marconi - BO) a cura di Capital Project

2019

Slow is Good, Palazzo Angelini (Buonalbergo - BN) a cura di Michele Spina e Gioia Cativa

2017

Shen 0.2, Rocca dei Rettori (Benevento) progetto curatoriale di Mario Francesco Simeone;

Shen, Galleria E23 (Napoli) progetto curatoriale di Mario Francesco Simeone

2016

Antologia Palazzo Buonanni (Cervinara - AV) a cura di Mario Francesco Simeone e Luciana Berti

2015

Da se stesso a se stesso ritorna Rocca dei Rettori (Benevento) a cura di Mario Francesco Simeone;

Verso, Palazzo Caracciolo (Napoli) a cura di Mario Francesco Simeone - coordinamento scientifico di Angela Tecce; Cervinaria, Palazzo Marchesale (Cervinara - AV) a cura di Mario Francesco Simeone e Luciana Berti; Chiaia in Arte (Napoli); nascondere, origini, Arte/Studio-Gallery (Benevento) a cura di Mario Francesco Simeone;

Invito a prendere un caffè (Napoli) a cura di Numen Art Gallery; Any Given Post-it, White Noise Gallery (Roma) a cura di Sofia Catoni e Chiara

Garlanda

2014

Smartup Optima, Optima Italia (Napoli) a cura di Alessandra Troncone; First Flight (New York);

13x18 La Casa di Schiele Gallery (Benevento) a cura di Mario Francesco Simeone

2010

Zerostigmata Benefit Collective, Mattia Fagnoni Onlus (Napoli)

Mostre personali

2022

RICOGNIZIONE, Il Cerchio dalla Libia a via Libia (Bologna) con testo di Silvia Delevati in collaborazione con Fuochi Antichi/Teuta Nertobacos (Art City White Night 2022)

2021

DEFLAGRAZIONE artist’s cut, Museo Spazio Pubblico (Bologna) con testi di C. ed Emilia Angelucci

2020

Deflagrazione Senape Vivaio Urbano (Bologna) a cura di Maria Chiara Wang

2019

D.F., L’Appartamento (Bologna) a cura di Emilia Angelucci e Mario Francesco Simeone in collaborazione con TAZ e Maison Ventidue (Art City 2019)

2013

Fill The Voids., Libreria Masone Alisei (Benevento) a cura di Mario Francesco Simeone

Pubblicazioni

Contatti

+ 39 320 8788185

dargeniovincenzo.bn@gmail.com

fb.com/vincenzo.d.argenio.art

instagram.com/vincenzo.d.argenio

twitter.com/v_dargenio

skype: vincenzo.d.argenio

bit.ly/portfolio_dargenio

Ri-Creare (Guardia Sanframondi - BN); Under One Roof (New York)

2013

Stencil Art Prize, Chrissie Cotter Gallery (Sidney); Textures, Palazzo Montevergine (Airola - BN)

2012

In Wall We Trust (Airola - BN); Demo Day (San Martino V.C. - AV);

2017

222 Artisti emergenti su cui investire 2018, Exibart Edizioni (Roma) a cura di Cesare Biasini Selvaggi ISBN 9788885553019

N.d.A.

Mia nonna era solita raccontarmi della leggenda del pettirosso (erithacus rubecula) il quale si sarebbe insanguinato il petto tentando di rimuovere con il becco la corona di spine che circondava la testa di Gesù Cristo sulla croce. Per questo motivo sarebbe rimasto macchiato di rosso. In questo lavoro ho voluto caricare di senso il segno distitntivo di un piccolo volatile che si fa totem delle inconsapevolezze di noi esseri umani. Proprio come quest’ultimo, è allo scuro del proprio marchio infatti, anche molti individui sono spesso inconsci dell’ inquietudine e del malessere che li segna nel profondo.

in prima pagina: Senza titolo (Robin( vernice spray agglomerata su matrici sovrapposte cm. 21 x 29,7

2008-2013

a destra: Robin stencil, vernice spray su carta cm. 21 x 29,7

multiplo 2013

Turn static files into dynamic content formats.

Create a flipbook
Issuu converts static files into: digital portfolios, online yearbooks, online catalogs, digital photo albums and more. Sign up and create your flipbook.