La Piazza del Delta - 2013mar n30

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Arte Nel 50esimo della tragedia, un’opera di Cagol invita ad andare oltre

Diga del Vajont: un raggio per nuove prospettive Un lampo, una luce per non dimenticare la tragedia. Un bagliore, che aiuti a smantellare questa grande lapide ancora lì presente di Alain Chivilò paesaggio. Ecco che lungo la strada che porta a Erto e Casso, in un’area parcheggiabile proprio sopra e centralmente la diga, Cagol ha fatto partire un lampo improvviso che ha squarciato la fine della vallata, facendosi osservare anche nella parte terminale dell’area di Longarone. Un messaggio che in questo luogo vuole indicare la ripartenza per un possibile ed effettivo slancio futuro grazie anche all’arte. Ecco una testimonianza dell’artista. La fine del confine (della mente). Una performance europea che parte dalla Diga del Vajont. Il luogo diventa effettivamente centrale perché il destino ha fatto si che s’incontrasse con il mio modo d’intendere l’arte. Il progetto è nato per la Barents Art Triennale di Kirkenes in Norvegia ed è un’idea di arte pubblica. Da questa località, posta sul confine della Russia oltre il circolo polare artico sul Mare di Barents, parte un potente raggio di luce che supera questo difficile confine. Un’idea, se vogliamo semplice, che assume connotati storici, simbolici molto forti. Per svi-

luppare la performance anche in Italia ho pensato a Dolomiti Contemporanee che già avevo apprezzato negli anni passati per il loro agire. In successione dopo un incontro con Gianluca D’Incà Levis, aver visitato il museo presso l’ex scuola di Casso e nel contempo aver visto per la prima volta dal vivo il luogo della diga del Vajont, ho capito che questo progetto doveva essere fatto in questo territorio. L’ambiente ha fatto assumere maggiore importanza imprimendo forti significati: un raggio di luce che oltrepassa e supera la diga nel cinquantenario dal tragico evento. Una luce che vuole decretare una fine del confine inteso nella sua totalità, al fine di non dimenticare la tragedia per immediatamente superarla con un bagliore, che aiuti a smantellare questa grande lapide ancora lì presente che si erge ancora immobile. Cercare dunque di andare oltre a quello che è accaduto perché non lo si può distruggere, bensì è possibile superarlo contemporaneamente attraverso segni simbolici dell’arte di oggi, riuscendo così a

Il grande fascio di luce attraversa la valle, teatro della tragedia che costò la vita a oltre 2.000 persone pensare a un futuro che deve esistere per tutta l’area. Non guardarsi sempre indietro, ma oltrepassare nel ricordo questo confine che è in tutti noi. Un luogo che potrebbe essere inteso come ricerca, stimolo, cultura, arte e situazioni positive. Non una visita di turisti per vedere i resti di una tragedia, bensì una meta per un futuro che non si fermi solo a cinquant’anni fa. Dalla Diga del Vajont alla Tofana di Rozes di Cortina. Dalla Tofana di Rozes parte invece il progetto così com’era stato pensato. Ossia un lungo viaggio verso il nord d’Europa toccando la Germania, la Danimarca fino alla Norvegia. C’è un sottotitolo

al progetto “la fine del confine” che ritengo molto importante: “della mente”. Noi essere umani siamo pieni di confini e questa luce che faccio viaggiare traccerà i cieli per un futuro e un superamento ulteriore. A Cortina voglio dare una visione delle Dolomiti diversa dalla classica iconografia a cui tutti siamo abituati. Montagna che diventa futuro centrale del mondo. Nel 2011 la partecipazione alla Biennale di Venezia. Anche nel 2013? Il progetto di due anni fa è legato a questa luce che irradio ora. Si trattava di evocare e provocare il confine. Quindi una stimolazione per

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ono trascorsi cinquant’anni dal tragico evento del Vajont e tutta l’area conserva e fa traspirare un’aria di pensiero funebre per coloro che vivono, per chi passa vicendevolmente dal Friuli al Veneto e per coloro i quali ritengono la meta “turistica” da visitare. La rabbia, il dolore, la commozione e il rispetto devono essere sempre mantenuti alti, però tutto il territorio è inteso solamente come uno scempio determinato dall’ottusità dell’uomo. Tale ambito è un dato di fatto, però è necessario fare un passo in avanti senza dimenticare. Le potenzialità di ripartenza esistono e l’Arte potrebbe tracciare la via giusta che dalla memoria guarda “oltre”. Da questo concetto parte e si genera la performance artistica dell’artista trentino Stefano Cagol (Trento 1969). Lo scorso 5 marzo è partita la I tappa di un progetto internazionale denominato “La fine del confine (della mente)”. Da una postazione mobile un potente generatore irradia un forte raggio di luce che taglia orizzontalmente il


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