10 tribuna ottobre 2015

la trevigliese

occasioni perse

A 50 anni dalla promozione in serie C vogliamo ricordare i protagonisti

Palazzo Visconti poteva essere nostro.

Vent’anni di errori sui quali riflettere

EURO 2,00

N° 10 - Ottobre 2015 - Mensile di attualità, cultura e storia di Treviglio e Gera d’Adda

DOSSIER SCUOLA

Ottobre 2015 - la nuova tribuna -

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Foto by Davide Di Lorenzo

ED ORA? Shock per la mancata laurea del sindaco e l’inchiesta sulla licenza edilizia alla geromina

Foto by Enrico Appiani

Un po’ di Modà anche a Treviglio

2 - la nuova tribuna - Ottobre 2015

l’Editoriale

Dopo lo shock, trovare la strada

Foto Attualità - Treviglio

T

reviglio si trova da qualche giorno di fronte ad una delle vicende politiche più scioccanti del dopoguerra, imprevedibili e inimmaginabili, questo mentre ci troviamo a doverne parlare quando la rivista è già in stampa. Giusto il tempo di bloccare l’ultimo ottavo (le prime e le ultime quattro pagine), per consentirci di dire la nostra senza l’amarezza di poter scrivere altro, vista l’abbondanza di cronaca rovesciata sui cittadini dal 23 Settembre, giorno della pubblicazione della confessione del sindaco: “Ho uno scheletro nell’armadio”. Uno shock per la città, per i suoi elettori, per noi vecchi amici.

Non bastasse, nel pomeriggio del 28 Settembre, quando questo editoriale era stato caricato per l’invio alla tipografia, ci giunge riservatamente l’anticipazione che la magistratura avrebbe fatto consegnare una comunicazione di garanzia al sindaco per l’affare “Blister” (Trasformazione da area agricola a residenziale alla Geromina). Questo il giorno dopo, ovvero prima dell’inizio del Consiglio Comunale. Assemblea nella quale sindaco e giunta avrebbero ribadito la volontà di andare avanti, “Almeno per chiudere le iniziative più importanti avviate e non far cadere il bilancio del Comune di Treviglio nel baratro”, preannunciavano gli assessori, ricordando che senza gli introiti pianificati la città sarebbe caduta in un grave indebitamento, sforando il Patto di Stabilità. Questo assieme ad una serie di pesantissime penali per il risarcimento danni ai privati che hanno stipulato contratti con l’Amministrazione Comunale.

Così nel primo pomeriggio del 29 Settembre, attesa da fotografi e giornalisti, la Guardia di Finanza di Treviglio, su mandato del Pm Giancarlo Mancusi, arriva in Comune e acquisisce i dati dal Pc del sindaco e dal server del Comune, ufficializzando l’indagine di abuso d’ufficio per Beppe Pezzoni e quattro dei cinque assessori: il vice sindaco Juri Imeri, Basilio Mangano (assessore ai Lavori pubblici), Alessandro Nisoli (Urbanistica) e Sabrina Vailati (Bilancio). Nessun avviso per l’assessore ai Servizi Sociali, Pinuccia Zoccoli Prandina, in quel periodo ricoverata per malattia.

Insomma, un po’ l’aria malsana di Mani Pulite che ritorna come un eco dal passato, ma che trova nei trevigliesi sopra i cinquant’anni la memoria delle poche luci e delle molte ombre, oggi come ieri. Ovvero, a parte la laurea, di cui parlerò avanti, pensare che Beppe Pezzoni possa essere coinvolto (consapevolmente) in un affare poco chiaro, appare oltre l’inverosimile. Infatti, come ha dichiarato l’attuale sindaco di Pagazzano, Raffaele Moriggi, anch’io come lui «…avrei firmato qualsiasi pezzo di carta mi avesse consegnato Pezzoni, senza neppure leggere, anche fosse stata carta igienica». Dirò di più, io gli consegnerei il bancomat e la password, così la carta di credito.

Beppe Pezzoni, entrato nella mia redazione ancora ragazzo nel 1987, da subito emerse per le sue doti intellettuali e culturali, espresse poi al meglio come sindaco di Pagazzano, amministratore di enti pubblici, quindi sindaco di Treviglio.

Comprendere perché in un periodo doloroso della sua vita, di malattia, abbia costruito quella menzogna e poi l’abbia coperta e ingigantita negli anni, è impossibile, anche perché il suo percorso professionale e politico è sempre stato in completa contraddizione con questo grave peccato originale. Moralmente rigidissimo, persino eccessivo, tanto da ignorare sempre chi l’ha aiutato e gli è stato accanto, favorendo nelle scelte istituzionali persone a lui lontane, meglio se dell’opposizione, questo per non dare mai adito alcuno al sospetto di clientelismo o favoritismo.

Tutta la sua vita pubblica è stata priva di ombre, mai è stata

messa in dubbio la sua moralità e trasparenza, le sue capacità, la sua cultura e intelligenza, quasi che quel gesto, quell’omissione gravissima, appartenesse ad un altro Pezzoni e se lo fosse incapsulato, nascosto nel subconscio, rifiutato.

Il danno causato da questo mancato attestato ufficiale è però enorme, certamente rovinoso per l’uomo, che dovrà passare per il Purgatorio e iniziare un percorso di rinascita, ma ha le doti per farlo. Poi il danno che la città, la politica, la sua scuola, il territorio subiranno a causa di questo tentato omicidio politico premeditato compiuto in concorso con la vittima. Perché di delitto sembra si tratti, presumibilmente studiato a tavolino e poi consegnato alla stampa perché ne sparasse il proiettile mortale.

Infatti, in tarda primavera, alcuni ambienti politici “amici” bergamaschi avrebbero chiesto di suggerire ai sostenitori trevigliesi di Pezzoni di non candidarlo, questo perché inutile: “Prima delle elezioni sarà dichiarato ineleggibile”. Frase incomprensibile a Giugno, e certo non riconducibile ad una laurea, lui che potrebbe insegnare ai docenti della Cattolica la materia di cui avrebbe dovuto discutere la tesi. Poi a Luglio -mi riferiscono- vengono recapitate ai giornali missive anonime con la notizia sulla laurea.

Sembrerebbe la scorciatoia di un “fuoco amico” per eliminare un concorrente vincente, e, se così fosse, la direbbe tutta sull’onorabilità di chi l’avrebbe usata, anche perché c’erano altri modi per mettere Beppe Pezzoni di fronte alle proprie responsabilità, senza la necessità di tentare di uccidere l’uomo e devastare la città privandola di un futuro minimamente programmabile.

Infatti, una volta medicate le ferite sconvolgenti e ritrovata la lucidità, ci sarà da domandarsi che ne sarà di noi cittadini e che accadrà alla politica dopo una vicenda devastante per tutti, per chi credeva nell’uomo, ma anche per gli avversari politici che da questa storia -che stanno sfruttando con toni fuori misura- ne usciranno comunque con le ossa rotte.

Concludo queste note a poche ore dal Consiglio Comunale di martedì 29 Settembre, dopo aver assistito anche a scontri fisici all’uscita del Municipio. Una reazione scomposta alle mancate dimissioni della Giunta Comunale e del Sindaco che ha concluso l’assemblea dichiarando: «Io non abbandono la nave, resto fino a quando è necessario».

Una buona scelta per il bilancio comunale e la sua gestione anche per quanti amministreranno la città in futuro. La storia ci dirà se è stato un atto eroico o un errore. il Direttore

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Fotografia di Enrico Appiani

il Sommario

Autorizzazione Tribunale di Bergamo n. 23 dell’8/8/2003 Anno 1 - n° 10 - Ottobre 2015

06-09 «Questo palazzo poteva essere nostro». Palazzo Visconti: scrigno di storia e arte (Daniela Regonesi); 10-11 Co-working, ovvero l’ufficio nell’ufficio (Marco Ferri). Treviglio: è arrivata la banda ultralarga (Fabio Erri); 12-13 La mia città e lo spot nella sua bella piazza (Nial Ferri). Giovane batterista trevigliese alla Scala (Silvia Bianchera Bettinelli); 15 Dopo un anno riapre il Filodrammatici (Ivan Scelsa); 16-17 Un po’ di Modà tra di noi, a Treviglio. Per chi non sa chi sono...

(Daniela Regonesi); 18-19 Il nuovo cd del duo Intexo (Hana Budišová). Intercultura, ovvero il mondo come casa (Maria Palchetti Mazza). Aperto il Museo Veticale (Daniela Invernizzi); 20-21 Treviglio gioca, per questo non invecchia (Nial Ferri). Lo Stecchino d’oro come dopo scuola (Ivan Scelsa); 22-23 I bimbi e il progetto “Mi fido di te” (Carmen Taborelli); 24-25 Anteas, l’Università per gli anziani e non (Carmen Taborelli). Un bilancio e il ricordo di tanti amici incontrati (Battista Regonesi); 27 La buona scuola un anno dopo l’annuncio (Fabio Pruneri). Questo inserto dedicato alle scuole trevigliesi (Carmen Taborelli); 28-29 Il trevigliese Fabio Pruneri (Carmen Taborelli). Scuole: a Treviglio non manca nulla (Cristina Signorelli); 30-31 Il fenomeno della frequenza discontinua. L’abbandono nelle scuole superiori (Carmen Taborelli); 32-33 I nostri giovani che ritornano alla terra. Ritorna il fascino del mestiere dei nonni (Carmen Taborelli); 34-37 Scuola e mondo del lavoro si parlano? (Daniela Regonesi). Creare collegamenti tra scuola e impresa

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(Daniela Invernizzi). Quanto sono sicure le nostre scuole? (Ivan Scelsa); La “tablet school” anche a Treviglio (Silvia Martelli); La De Amicis: storia di un cambiamento (Lucietta Zanda); Il mitico maestro Giovanni Zanovello (Carmen Taborelli). La maestra Binchi e quel fiocco azzurro (Roberto Fabbrucci). Il ben-essere passa dalla prevenzione; Scolpire, che passione! (Daniela Invernizzi). Treviglio Graffiti (Daniela Regonesi); Volere è potere, la legge dell’attrazione. “The Midas touch” (Daniela Invernizzi); Della Torre: medico, partigiano, intellettuale (Luciano Pescali).

Terzo capitolo: con Franco Forloni (Tienno Pini); Grossi, poeta e notaio di successo (Elio Massimino); Fiat la prima auto pompa con rimorchio (Ivan Scelsa); Quei momenti esaltanti del ‘65 (Leonardo Ravazzi); Baffi, campione di ciclismo e umanità (Ezio Zanenga). La sfida continua ricordando Luca (Cristina Signorelli); Sentire bene per vivere meglio; Lettere & Commenti: Brebemi, via del Bosco, la ciclabile e chi copia le idee. Opinioni: Variante Zogno: altri 15,5 milioni, a Treviglio nulla.

Lettere & Commenti: Alcune targhe viarie fanno proprio ridere.

Le aziende Informano “Le strisce pedonali non sono un ponte stradale” (Guido Devizi).

65-66 La scomparsa del sindaco Aldo Blini (Cristina Signorelli). C’è vita a Treviglio (Stefano Pini).

Il mio caro amico Carlo Gaiardelli (Ennio Dozzi).

Editore: “Tribuna srl” via Roggia Vignola, 9 (Pip 2) 24047 Treviglio info@lanuovatribuna.it Tel. 0363 1970511 Direttore Amministrativo Fiorenzo Erri amministrazione@lanuovatribuna.it REDAZIONE Direttore Responsabile Roberto Fabbrucci direzione@lanuovatribuna.it Comitato redazione Capo redattore: Daniela Invernizzi Laura Borghi, Marco Ferri, Daniela Regonesi, Ivan Scelsa, Cristina Signorelli, Carmen Taborelli Hanno collaborato a questo numero Ezio Bordoni, Silvia Bianchera Bettinelli, Hana Budišová, Niall Ferri, Ennio Dozzi, Daria Locatelli, Silvia Martelli, Elio Massimino, Maria Palchetti Mazza, Luciano Pescali, Stefano Pini, Tienno Pini, Fabio Pruneri, Leonardo Ravazzi, Angelo Sghirlanzoni, Giorgio Vailati, Lucietta Zanda, Ezio Zanenga Ufficio commerciale Roberta Mozzali commerciale@lanuovatribuna.it Tel. 0363 1970511 - Cell. 338.1377858 Fotografie e contributi: Enrico Appiani Foto Attualità, Tino Belloli, Virginio Monzio Compagnoni Altre collaborazioni: Laura Borghi, Giulio Ferri, Ugo Monzio Compagnoni, Sacha Parimbelli, Paola Picetti, Matteo Preziuso, Franca Tarantino, Romano Zacchetti Stampa: Laboratorio Grafico Via dell’ Artigianato 48/50 Pagazzano (BG) Cercaci su Facebook e sfoglia i vecchi numeri dal sito lanuovatribuna.it

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Pianura Bergamasca/Occasioni perdute

«Questo palazzo poteva essere nostro» di Daniela Regonesi

Non è una storia a lieto fine, come molte che abbiamo raccontato su “la nuova tribuna” quest’anno, ma una delle tante occasioni perse che riguardano la mancanza di coordinamento tra le amministrazioni comunali e non solo...

S

iamo abituati a raccontarvi storie a lieto fine, perché ci piace farvi scoprire, tra i tanti mormorii e delusioni quotidiani, sprazzi di positività, angoli di bellezza ed esperienze di successo. Oggi forse facciamo un’eccezione, ripercorrendo brevemente l’operato di Società Servizi Ambientali Bassa Bergamasca (S.A.B.B.) negli anni ‘90 e, soprattutto, alcune occasioni andate perse.

Ci aiutano in questo excursus due testimoni d’eccezione: Nicola Mercandelli, ex presidente S.A.B.B., ed Ezio Bordoni, all’epoca suo vice.

In base alle direttive fissate dal Piano Provinciale per lo Smaltimento dei Rifiuti, S.A.B.B. era il soggetto deputato all’eliminazione dei rifiuti per l’area della Bassa Bergamasca. La giunta provinciale di Bergamo guidata da Giovanni Cappelluzzo, nel quinquennio 1995-’99, decise di non investire più nelle discariche ma piuttosto nei termovalorizzatori, e che a tal proposito la S.A.B.B. sarebbe stata destinataria della realizzazione e gestione di un impianto. Mercandelli sottolinea come «in quel momento il termovalorizzatore avrebbe fatto letteralmente decollare la S.A.B.B. e tutti i suoi progetti.

Avevamo a disposizione 2 miliardi di lire a fondo perduto dalla regione Lombardia per un impianto di gestione del rifiuto secco alla

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Cava Vailata, che era già inserito in variante al prg del comune: a ciò si legava il progetto e l’acquisto della sua nuova sede presso la cava stessa, con garantite le relative coperture economiche. Ma c’erano anche tante altre proposte in cantiere, come quella - realizzata - di Ecolegno (ha come obiettivo la riduzione volumetrica del legno che, una volta raccolto, viene impiegato nella realizzazione di pannelli truciolati, utilizzati poi per mobili e complementi d’arredo, ndr), quella dell’impianto di triturazione della ghiaia, o quella del riutilizzo degli pneumatici per i fondi stradali e c’era, soprattutto, l’approvazione da parte dei comuni. S.A.B.B. avrebbe avuto

A sinistra il Palazzo Visconti di Brignano Gera d’Adda, sopra Nicola Mercandelli ex Presidente della Sabb, sotto il suo ex Vice Presidente, Ezio Bordoni. Nella pagina accanto il termovalorizzatore di Dalmine e il geometra Piero Ferri

un ruolo importante e riconosciuto, evitando di essere assorbita da BAS (la sua omologa nel capoluogo di provincia) o altri».

Ma allora cosa andò storto? La provincia, per voce del suo presidente, «riteneva l’inceneritore necessario e intendeva affidarne la realizzazione a S.A.B.B., la quale, nonostante non fosse stata esplicitamente incaricata di trovare un comune disponibile ad ospitare l’impianto, considerò diverse opzioni, tra le quali emerse come più valida la proposta di localizzarlo nel territorio di Fara Olivana con Sola». Tale comune, che allora contava 900 abitanti, era stato individuato come il più adatto poiché la maggior parte dei terreni ed immobili era di proprietà della MIA (Congregazione della Misericordia Maggiore di Bergamo, istituzione di assistenza e beneficenza fondata nel 1265). Spiega Bordoni: «era persino stato raggiunto un accordo in base al quale tutte le royalties (ossia i diritti di concessione) dei proprietari sarebbero state spese nel territorio comunale per ristrutturazioni degli immobili; stimammo che l’importo sarebbe stato pari a circa un miliardo e mezzo di lire all’anno. In pratica la MIA avrebbe lasciato lì tutti i proventi».

La storia narra che però nessuna delle amministrazioni diede seguito alla cosa, né con una delibera di intenti né di accettazione richieste dalla Provincia, alla cui porta bussò invece nel 1997 un privato: il Gruppo Radici, operante in Val Seriana nel settore tessile, che si propose come attuatore, costituendo una società ad hoc, la REA, e accordandosi con il comune di Dalmine per localizzare lì il termo-valorizzatore, inaugurato nel 2002.

Quando il gruppo Cirio mise all’incanto il Palazzo Visconti di Brignano Gera d’Adda, tesoro storico e architettonico della nostra pianura, già dimora del manzoniano Innominato, REA riuscì a partecipare, accanto a competitori tra i quali la catena alberghiera

Palazzo Visconti, uno scrigno di storia e arte Il geom. Pietro Ferri ci guida tra i passaggi di proprietà e i restauri del complesso edilizio. Lavori affidati alla Ferri Nardi Costruzioni e che hanno subito via via ritardi a causa delle vicissitudini dei vari proprietari succedutisi negli anni

francese Accor, all’asta. E a vincerla, affidando il restauro del palazzo all’impresa Ferri Nardi Costruzioni di Castel Rozzone, tra l’altro godendo, ci dicono, di una norma della legislazione nazionale che agevola l’investimento degli utili derivanti dall’attività di incenerimento nel restauro di edifici storici e di pregio.

Ecco come S.A.B.B. avrebbe potuto farsi assegnare il termo-valorizzatore, acquistare il palazzo e restaurarlo. Ma il “vissero per sempre felici e contenti” non c’è, poiché i progetti di S.A.B.B. si interrompono al cambiamento del CDA (Mercandelli lasciò per incompatibilità delle cariche, essendo lui sindaco del comune di Calcio), ed il termo-valorizzatore fu realizzato, ad opera di un privato, in un comune dello stesso colore politico della sua Provincia.

Se stessimo scrivendo una favola, a questo punto ricorderemmo che S.A.B.B. ha molti meriti, come quello di aver avviato la raccolta differenziata porta a porta 20 anni fa, e chiuderemmo con una preziosa morale, ossia che l’imprenditorialità del privato vince contro l’incapacità dei comuni. Perché, come ci ricorda Bordoni, «è necessario, ieri come oggi, un maggior coordinamento delle amministrazioni locali, anche scavalcando i confini provinciali. Più lungimiranza e senso della responsabilità avrebbero fatto sì che Palazzo Visconti fosse nostro, della collettività della bassa bergamasca».

B

ernardino Visconti nacque il 16 settembre 1579 a Brignano Gera d’Adda nell’omonimo palazzo, lì visse e, sebbene il castello non sia quello descritto nel romanzo di Manzoni, egli fu fonte di ispirazione per il personaggio dell’Innominato ne “I Promessi sposi”.

Il complesso edilizio, posto sotto tutela del Ministero dei Beni e delle attività culturali, è un insieme di edifici costruiti in epoche successive a partire dalla fine del Duecento, che hanno assunto la forma attuale nei primi anni del Settecento. Si suddivide in tre complessi: l’ala cinquecentesca, più piccola, nota come “Palazzo Vecchio”, che è di proprietà comunale e ne ospita il municipio; il Castello, detto la “Palazzina”, a cui si accede attraverso il ponte levatoio, e il lato settecentesco detto “Palazzo Nuovo”.

Pietro Ferri (nella foto), della Ferri Nardi Costruzioni di Castel Rozzone, incaricata del restauro, ci aiuta a ricostruire le tappe principali dei passaggi di proprietà del Palazzo Nuovo.

Nel 1892, alla morte di Maria Antonietta Visconti in Sauli, ultima erede della famiglia nobiliare, il patrimonio viene venduto per fronteggiare crescenti difficoltà economiche: sei anni più tardi sono messi all’incanto arredi e quadri, mentre le statue sono vendute ad un collezionista che le inserisce nei giardini di Villa Sciarra a Roma. L’intera proprietà nei primi anni del ‘900 è acquistata da diversi privati e nel 1905 Palazzo Nuovo appartiene alla famiglia nobile Celesia.

Nel 1917, dopo la disfatta di Caporetto, il palazzo è trasformato in ospedale di retrovia e subisce la devastazione dei militari: arredi e affreschi sono sfigurati, porte interne, scuri e parte degli arredi vengono bruciati per sopperire alla mancanza di legna. Per fortuna il parroco mons. Cesare Donini e l’ing.

Carlo Bedolini di Treviglio intervengono affinché le milizie siano allontanate.

Il commendator Carminati acquista poi la proprietà nel 1920, adattandola e ristrutturandola per farne la sua abitazione. Quindici anni più tardi, alla sua morte, Siegfried Granaat è il nuovo acquirente ma per la sua origine ebraica ne viene espropriato a seguito delle leggi razziali.

Tra il 1954 e il 1960 il conte Giannino Citterio, nuovo “signore” del castello, provvede ai primi restauri, mentre il 1988 è l’anno dell’acquisto da parte della società Le

Gallerie di Algranti e Semenzato, cui segue una seconda asta degli arredi.

L’edificio passa nuovamente di mano nel 1993: prima alla società Nuova Brerarte, quindi a Innofin, poi Cirio Holding spa, che a partire dal 1997 avvia i lavori di restauro, improvvisamente bloccati nel 2001 in seguito al fallimento del gruppo.

REA Dalmine spa, nella cui proprietà era entrata nel 2001 la Green Holding di Giuseppe Grossi, acquista Palazzo Visconti all’asta giudiziaria nel 2007 per 11 milioni di euro, aggiudicandoselo ad un prezzo pari quasi alla metà del valore stimato dai curatori fallimentari.

Pietro Ferri confida: «noi siamo arrivati al restauro di Palazzo Nuovo quasi per caso: all’epoca stavamo lavorando alla parte di proprietà comunale, quando i nuovi proprietari si sono rivolti al sindaco per avere indicazioni su un’impresa alla quale affidare i restauri, ed egli ha indicato noi. Quando il Gruppo Cirio ci assegnò l’incarico avevamo superato altre otto ditte concorrenti, il top in Italia per i restauri. Ci siamo aggiudicati la commessa e abbiamo collaborato con la Sacaim di Venezia, restauratrice, tra l’altro, del teatro “La Fenice”. Al momento del crac stavamo quasi ultimando il primo lotto di lavori, che prevedeva la messa in sicurezza dei tetti e delle facciate».

Conoscenze e competenze acquisite negli anni del restauro rendono il signor Ferri la Ottobre 2015 - la nuova tribuna -

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Occasioni perdute

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guida ideale, tant’è che anche alla vigilia dell’asta del 2007 gli capita di accompagnare i delegati del gruppo alberghiero Accor per ben tre volte: «erano estasiati dal palazzo. Sono stati esclusi dall’asta per una non conformità, nonostante le mie raccomandazioni di prestare la massima attenzione ai dettagli burocratici italiani». Spiega poi che «era interessata anche la Fondazione dell’Ospedale San Raffaele, che voleva farne un centro congressi, ma la mancanza di potere di rilancio fece sì che REA avesse la meglio».

L’architetto Cristiano Fabris, direttore lavori per i primi due lotti Cirio, è stato confermato nel suo incarico anche dalla nuova proprietà che, inizialmente, voleva portare lì la sua sede, poi costruita a Segrate, mentre in un secondo tempo progettava di farne una casa dell’arte.

Quanto elaborato nel 2008 da Fabris è ormai approvato definitivamente dal comune, ossia fare del palazzo un albergo di lusso con centro congressi, box interrato e centro benessere. A tal fine la REA ha completato le sue acquisizioni nel 2009, comprando la Palazzina.

Continua Ferri: «i lavori inizialmente hanno previsto piccoli interventi di tamponamento e messa in sicurezza: abbiamo recuperato tutti i tetti (circa 3.000 mq) che erano precari o crollati, abbiamo recuperato i legnami antichi, ripristinato e rinsaldato gli appoggi. L’ultimo restauro è iniziato circa tre anni fa ed è ormai concluso. I la-

BONANZA VIAGGI dal 1970 vori hanno interessato le due coffee-houses, la sistemazione delle coperture, il ripristino dei mosaici, il rinforzo delle fondazioni.

Sono stati rafforzati i bastioni, addirittura recuperando quello distrutto a fine ‘800 e le antiche fondamenta. Ora bisognerebbe completare gli interni, i giardini, le corti, le scuderie, l’arsenale, i depositi delle carrozze e metà degli affreschi (quanto rimasto in sospeso con Cirio). Questi ultimi coprono una superficie di circa 9000 mq: solo per la messa in sicurezza iniziale era presente una squadra di quaranta persone». Si tratta di opere di artisti quali i Galliari, Magnasco, Giovanni Antonio Cucchi, e Mattia Bortoloni. «Spesso è difficile individuare gli autori, laddove non hanno apposto la loro firma, perché prima dell’asta del 1898 i commissari fallimentari, con un falò nel cortile del palazzo, hanno distrutto agli archivi che vi erano custoditi dal 1300».

Mi chiedo quindi se possa esserci un finale lieto per un complesso che è stato testimone di così tanta storia e bellezza artistica, e la mia guida risponde che «da amministrazione comunale, ministero e sovrintendenza, il direttore lavori ha ottenuto le autorizzazioni per completare il restauro, oltre che un primo permesso a costruire. Manca il via da REA, ma Palazzo Visconti non fa più parte del suo core-business, quindi da un paio di anni è nuovamente in vendita».

Speriamo che il capitolo finale, in cui lo scrigno di storia e arte viene finalmente aperto al pubblico, sia scritto presto.

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Ottobre 2015 - la nuova tribuna -

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Treviglio/Giovani intraprendenti

Coworking, ovvero l’ufficio nell’ufficio di Marco Ferri

A Treviglio dei giovani ci stanno provando: «I benefici sono numerosi, l’interazione tra persone, i bassi costi di affitto, la possibilità di essere sempre aggiornati ed una flessibile gestione del proprio tempo» dice Daniele Ferla

U

n’indagine internazionale, effettuata da un importante fornitore di spazi di lavoro flessibili, mette in evidenza che circa il 50% dei professionisti intervistati dichiara di lavorare da casa per almeno la metà dei giorni lavorativi della settimana.

Una scelta che sembra offrire alcuni vantaggi tra cui la flessibilità degli orari, ad esempio, o un miglior equilibrio tra lavoro e tempo libero, ma, come evidenziato dagli stessi intervistati, offre anche degli svantaggi tra cui senso di solitudine, incontrare i clienti in luoghi poco idonei (bar, piazze, ecc.), mancanza di confronto con i colleghi, sino al timore di ingrassare per gli snack consumati fuori orario dei pasti.

Un gruppo di giovani professionisti della Gera d’Adda, che vive nel quotidiano i pro e contro del lavoro da casa, ha iniziato a confrontarsi e ad immaginare e sviluppare un progetto di “coworking” per i professionisti di Treviglio e limitrofi.

«Ci stiamo lavorando da circa diciotto mesi», commenta Daniele Ferla durante l’intervista, «ci siamo confrontati con esperienze di successo già attive in diverse province, tra cui Brescia e Pavia, ma abbiamo analizzato anche i casi che non hanno funzionato cercando di capirne le motivazioni.

La nostra non è semplicemente ricerca di uno spazio comune ove poter operare, ma vorremmo mettere in comunicazione i professionisti sia per le proprie esigenze perso-

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nali che per favorire lo sviluppo di sinergie, collaborazioni, idee, e perché no, di start-up innovative o attività in generale».

Nell’analisi della zona geografica, presa in considerazione nel progetto, è emerso che una vasta area compresa tra Dalmine (nella provincia di Bergamo) e Crema (provincia di Cremona) sembra essere sprovvista di spazi coworking e Treviglio, grazie alle infrastrutture ferroviarie e l’autostrada BreBe-

Mi, potrebbe essere la città ideale per l’avvio dell’iniziativa.

«L’idea è un ambiente in cui poter sfruttare non solo gli spazi (postazioni singole, sala riunioni, sala relax, cucina, ecc) -prosegue Daniele- ma anche i servizi che saranno a disposizione in modo aperto (opensource) per chi lavora ad esempio in settori quali web, digitale, innovazione, fotografia, marketing online, comunicazione, ecc. La scelta è caduta su Treviglio in quanto città ricca di giovani professionisti che hanno necessità di un luogo idoneo o di non più giovani che potrebbero trovare nuovi stimoli grazie al confronto in settori che evolvono e cambiano molto velocemente. Queste esigenze sono state confermate anche dai sondaggi che abbiamo fatto attraverso i social network e da chi ci ha contattato per avere informazioni».

L’idea di sviluppare uno spazio di lavoro condiviso e chiamarlo coworking nasce negli Stati Uniti nel 1998, in Italia arriva nel 2006 partendo da Milano ed attualmente sono circa 118 gli spazi attivi nel Nord della nostra penisola. Un dato interessante è la costante crescita delle donne (il 5% ogni anno) come “coworkers” in un rapporto che vede circa il 68% degli uomini come abituali fruitori.

«I benefici -afferma Daniele- sono numerosi e tangibili di questo nuovo modo di lavorare dinamico, l’interazione con le persone, i bassi costi di affitto, la possibilità di essere sempre aggiornati ed una flessibile gestione del proprio tempo. Il nostro impegno, oltre che per l’organizzazione di corsi, workshop e laboratori, sarà anche focalizzato sulla creazione di sinergie con le scuole, le associazioni di categoria, i comuni, e tutti coloro che avranno il desiderio di confrontarsi in modo costruttivo.

Solo così il progetto potrà essere un valore aggiunto ed un volano di sviluppo economico e sociale del nostro territorio».

Noi seguiremo con attenzione gli sviluppi, è già stata individuata un’area per la sede e sono stati definiti diversi servizi, nel mentre vi consiglio di visitare il sito www. coworkingtreviglio.it o la pagina su facebook www.facebook.com/coworkingtreviglio.

Tecnologia/Salto di qualità

Treviglio: è arrivata la banda ultralarga di Fabio Erri

Disponibile sul 75% delle abitazioni la connessione veloce ad internet fino a 50 Megabit al secondo ed entro la fine dell’anno copertura al 90%. Significa che si potrà lavorare più velocemente e persino vedere la Tv ad alta definizione

L

a banda ultralarga a Treviglio è realtà. Ottomila unità abitative sono servite, dalla fine di luglio, dai cosiddetti “cabinet” o “armadi di zona” aggiornati alla tecnologia FTTCab. Come descritto nei precedenti numeri del “la nuova tribuna” con l’FTTCab è possibile sfruttare il cavo in rame fino a 50 Mbit/s, superando l’attuale limite dei 20 Mbit/s delle ADSL. Il gestore della rete ha provveduto alla sostituzione di buona parte dei cabinet con il nuovo modello “testarossa”. Grazie ai testarossa le abitazioni nel raggio di circa 300 metri sono compatibili con le linee VDSL (acronimo per “Very High-speed Digital Subscriber Line”). Le VDSL sono attualmente disponibili in due versioni: la prima a 30 Mbit/s in download e 3 Mbit/s in upload e la seconda con 50 Mbit/s in download e 10 Mbit/s in upload. Alcuni operatori (Tim, Vodafone, Fastweb, ecc.) chiamano impropriamente queste linee “fibra ottica”, anche se chi avrà la fortuna di attivarne una nella propria abitazione o presso la propria azienda constaterà che la fibra ottica rimarrà là dove è adesso (in strada, sotto la rete dell’illuminazione pubblica, nelle fognature o lungo le rogge) e che tutto sarà realizzato con il buon vecchio rame. Ma poco importa il marketing e il probabile tentativo di ingannare il consumatore con un termine che è molto di moda al momento. L’importante è che collegamenti di maggiore qualità con-

Collegamenti di maggiore qualità consentiranno di lavorare meglio, vedere la TV via web e accelerare l’utilizzo della videoconferenza in HD e il telelavoro sentiranno di lavorare meglio, di vedere la TV via web e di accelerare sull’utilizzo della videoconferenza in HD e telelavoro.

Vedremo a breve la banda ultralarga anche negli altri Comuni della Bassa?

La risposta veloce è no. Secondo la pianificazione del gestore della rete nessun altro comune diverso da Treviglio sarà coperto dalla banda ultralarga nel 2015 e nemmeno nel primo semestre del 2016. L’investimento per i “testarossa” è importante, e solo territori con una popolazione industriale e commerciale significativa ne possono giustificare la spesa. È esattamente ciò che è successo con l’ADSL qualche anno fa: Treviglio la prima, Romano di Lombardia la seconda, Caravaggio la terza e poi a ruota tutti gli altri, con Calvenzano ultima della lista a distanza di diversi anni.

Come si può sottoscrivere un abbonamento alla banda ultralarga a Treviglio?

Le possibilità sono diverse. Innanzitutto non è un’esclusiva di Telecom Italia (che da poco ha deciso di chiamare anche il com-

Scavi per posare la fibra ottica, sotto una videata del test velocità linea dati e a destra gli armadietti dai quali il cavo di rame si aggancia al nodo della fibra ottica

parto di telefonia fissa e internet con lo stesso nome della mobile, cioè TIM). TIM è solo uno degli operatori che possono attivare un collegamento a banda ultralarga a Treviglio. Ci sono infatti le offerte dei più grossi operatori: ad esempio quella di Vodafone, di Fastweb, di Tiscali e della locale Qcom. Le tariffe sono più alte rispetto a quelle a cui eravamo abituati con le ADSL (si parte da 40€ al mese per arrivare a servizi che superano i 100€) e spesso sono anche molto diverse tra un operatore e l’altro. Ma ci si aspetta che il prezzo più alto non sarà un ostacolo alla diffusione della banda ultralarga grazie ad un diverso approccio all’acquisto di questo servizio: un’inversione di rotta tra considerazioni legate esclusivamente al prezzo ad altre legate alla qualità, velocità e assistenza. In altre parole, anche le famiglie saranno sempre più disposte a pagare per ottenere un servizio migliore, poiché la connessione ad internet smetterà di essere una comodity dedicata a piccoli svaghi ma comincerà ad essere una parte fondamentale della vita familiare.

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Servizio fotografico a cura di Enrico Appiani

La piazza che rappresenta l’Italia

La mia città e lo spot nella bella piazza di Niall Ferri

Annalisa Arrigoni, trevigliese, responsabile di produzione dello spot per la Treccani, spiega perché ha pensato di suggerire Piazza Manara. «Lavorare, poi, a Treviglio, è stato ancora più strano: i miei due mondi in uno. Bello!»

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artedì 15 settembre il cuore di Treviglio si è trasformato in un vero e proprio set cinematografico. Già dalle 8 del mattino un frenetico andirivieni di addetti ai lavori ha animato la piazza per predisporre il set tra pannelli solari, telecamere, luci e attrezzature. Molti i passanti che, incuriositi dall’insolito scenario, si sono soffermati sbigottiti alla vista dell’adibizione a piccola Cinecittà della piazza. A predisporre il set ci ha pensato lo staff di “Magnolia Tv”, una delle principali società di produzione televisive specializzate in format di intrattenimento per i principali

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network televisivi. Dapprima le scene sono state girate nel dehor del Bar Milano, per poi spostarsi negli interni della casa adiacente.

Nel pomeriggio la troupe ha traslocato nella vicina piazza Garibaldi, per poi fare ritorno in piazza Manara, con qualche tappa intermedia sul campanile da parte degli operatori per alcune riprese dall’alto verso il basso, in cerca di una visuale più ampia della location.

Lo spot ha sostanzialmente due protagonisti: un ragazzo che, per farsi perdonare dalla sua ragazza in seguito ad un torto fatto nei suoi confronti (probabilmente un tradimento), declama a lei dei versi in maniera del tutto sconclusionata, mentre questa si affaccia al balcone per ascoltarlo con aria quasi seccata.

La réclame, dunque, richiamerà in maniera poco pretenziosa la storia di Giulietta e Romeo, il tutto in una chiave del tutto moderna e goliardica, per la cui realizzazione è stata a dir poco preziosa la presenza di comparse del posto, che hanno poi assistito da dietro le transenne le riprese fino al loro termine, intorno alle 20.

Il perché è stata scelta proprio la piazza di Treviglio, e non qualsiasi altra piazza italiana, ce lo spiega direttamente Annalisa Arrigoni, producer ventinovenne di Magnolia Tv, dal sangue, guardacaso, trevigliese: «Il regista mi aveva chiesto una piazza con determinate caratteristiche, accogliente, vera e vissuta. E così ho pensato alla piazza dove

Alcuni scatti durante le riprese per lo spot Treccani. In basso a sinistra la trevigliese Annalisa Arrigoni di Magnolia Tv con Beppe Pezzoni

sono cresciuta, con la gente che beve il suo caffè al Bar Milano, i rintocchi delle campane e il viavai genuino. Non è stato un vero e proprio ballottaggio tra città, non voglio togliere nulla alle altre piazze, quanto piuttosto una scelta registica e narrativa: Treviglio aveva tutto quello che ci serviva, inoltre il Comune ci ha molto aiutato nelle pratiche burocratiche».

Annalisa lavora per la nota casa di produzione milanese da circa 5 anni. Il suo ruolo di producer consiste nell’occuparsi della parte di produzione degli spot, interfacciandosi, anche, con il cliente, in questo caso con Treccani.

Da 9 anni vive a Milano ma non nasconde che tornoa sempre con piacere a nella mia città di origine, «...e vedere il Paese che si smobilita con tanta disponibilità, curiosità e buon umore è stato un piacere. Lavorare, poi, a Treviglio, è stato ancora più strano: i miei due mondi in uno. Bello!». Lo spot, di cui verranno pubblicate due versioni, una da 30 secondi e una da 45, verrà trasmesso già entro la fine di settembre su Sky, e probabilmente, verrà proposto in seguito anche sulle normali reti nazionali.

Treviglio/Giovani eccellenze

Giovane batterista trevigliese alla Scala di Silvia Bianchera Bettinelli

Giampietro Pisani fa parte dell’Accademia della Giovane Orchestra del Teatro alla Scala. Allievo del maestro Paolo Belloli ”Al quale devo molto”, per pagarsi gli studi al conservatorio ha lavorato come carpentiere e saldatore...

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iampiero Pisani mi viene incontro, puntualissimo, per il nostro appuntamento-intervista, in un elegante bar di Treviglio. È un bel ragazzo bruno, dagli occhi scuri, il portamento elegante. Papá lucano, mamma catanese e un curriculum di studi classici tutto trevigliese. Venticinque anni, un’importante attività come percussionista e dal marzo 2014 fa parte dell’Accademia della Giovane Orchestra del Teatro alla Scala. Aveva soltanto sei anni, quando mamma Annamaria, capendo che il suo bambino non amava solo far rumore con la sua piccola batteria-giocattolo, ma cercava di ingegnarsi a far della musica, decise di iscriverlo all’Accademia Musicale, diretta da Elisabetta Magri. Qui, toccherà al professor Fanzaga prendersi cura del giovanissimo studente.«Non tutti sanno -mi dice Giampiero- che gli strumenti a percussione sono centinaia, alcuni assai complessi come la Marimba, lo Xilofono o il Vibrafono, e poi -aggiunge ridendo- sono talmente sonori che, in un concerto, non posso certo permettermi di sbagliare, se ne accorgerebbero tutti! In seguito, ancora ragazzino, sono entrato a far parte del Corpo Musicale di Treviglio diretto dal Maestro Paolo Belloli,e ,ci tengo a dirlo, è al Maestro che devo moltissimo. Grazie alla sua generosità, posso esercitarmi presso la sede

del Corpo Musicale; sarebbe assolutamente impossibile tenere in un condominio strumenti di dimensioni imponenti come lo xilofono o la marimba! Ma, soprattutto, Belloli mi ha forgiato come strumentista, mi ha guidato nel mio cammino di orchestrale, dandomi fiducia e quella sicurezza che mi ha permesso di superare l’esame d’ammissione alla Scala».

- Parlami un po’ del tuo esame d’ingresso alla Scala. È stata dura la selezione Giampiero?

«Diciamo che ero molto emozionato, ma dopo pochi istanti, mani e cervello lavoravano in perfetta sintonia.

Ho eseguito musiche di Ravel, Stravinskij e Gershwin».

- Scommetto che come tutti i musicisti consideri il “tempo libero” come una emanazione della professione!

«Sì certo, quando si ama il proprio lavoro, il tempo libero si usa per affinarsi, per ricercare nuove tecniche, e anche, perché no, mi diverte scatenarmi nel Rock più aggres-

sivo! Però... però, c’è una cosa che le voglio dire: quando ero allievo del Conservatorio di Milano, dove mi sono diplomato, e lei sa come sono pesanti le tasse di studio, ho trascorso molte ore in varie attività lavorative per non pesare troppo sulle spalle dei miei genitori: ho fatto il carpentiere, il saldatore ...insomma -e si illumina con un gran sorriso- ho impiegato quella stessa precisione manuale così necessaria per suonare i miei strumenti d’orchestra anche facendo l’apprendista operaio».

Ora, la lieve timidezza con cui Giampiero aveva iniziato a parlarmi, si è completamente dissolta e si esprime con molta scioltezza.

Mi parla con una certa emozione delle straordinarie tournées effettuate con la Scala: in Germania, nel New Jersey, a Muscat negli Emirati Arabi, e poi ancora Rigoletto e otto repliche del Barbiere di Siviglia con Leo Nucci e Ruggero Raimondi conclusesi il 10 agosto scorso, il Concerto d’inaugurazione di EXPO in piazza Duomo a Milano a fianco del pianista Lang Lang... Improvvisamente estrae da una tasca il cellulare, «...la vede questa bella colomba bianca? L’ho salvata da morte sicura e lei mi ripaga venendo tutti i giorni a trovarmi e si posa sul davanzale della finestra della mia camera. Sì, adoro gli animali e sono iscritto alla LIPU (lega italiana protezione uccelli, ndr)».

M’accorgo di trovarmi di fronte ad un ragazzo speciale, vivace, intelligente, maturo. Non mancherà di fare strada.

La nostra intervista è finita, ci stringiamo la mano e prima di accomiatarci gli dico:e con l’amore come sei messo? Mi guarda serio serio, ma poi torna a sorridere «Ne parliamo la prossima volta!».

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Dove eravamo rimasti?

TeatroFilodrammatici T R E V I G L I O

Dove eravamo rimasti?

Il Teatro Filodrammatici è sempre stato il punto di riferimento dei trevigliesi quando si parla di spettacolo e arte. Dopo diversi anni il Teatro riapre ufficialmente i battenti con una nuova rassegna di spettacoli teatrali e non solo.

Luogo d’incontro storico, il Filodrammatici ha accolto orchestre, corpi di ballo, compagnie teatrali e artisti di ogni tipo. Riaprire il teatro, tuttavia, è per noi come rivedere un caro amico dopo molto tempo.

Proprio per questo motivo desideriamo riprendere da dove eravamo rimasti.

Teatro Filodrammatici è un progetto voluto e gestito da

Per informazioni info@teatrofilodrammaticitreviglio.it

14 - la nuova tribuna - Ottobre 2015 design purelab.it

Il teatro prende vita grazie al sostegno e alla passione dei trevigliesi o di chi ha lasciato il cuore in questa città e non se ne è più andato: contiamo proprio su di voi per far rivivere quelle emozioni a chi ha già calcato il palcoscenico, a chi ha assistito a una loro performance, agli amanti della cultura e dell’arte.

Gli artisti vivono delle emozioni che si provano su quel palco, il Teatro vive di quelle emozioni.

La passione per il Teatro, il Teatro per Treviglio.

Intervista ad Erik Molteni e Alberto Galli

Dopo un anno riapre il Filodrammatici di Ivan Scelsa

Dopo un anno riapre il teatro a cui i trevigliesi sono più legati per la sua lunga storia e per le vicende che al teatro molti trevigliesi hanno vissuto. L’Associazione “Treviglio Arte Cultura” ci presenta il ricco calendario

È

il 1898 quando l’architetto Carlo Bedolini progetta il teatro Filodrammatici nel piazzale adiacente il Santuario della Madonna delle Lacrime di Treviglio: un’opera in stile liberty capace di ospitare nella sua sala 290 posti a sedere. I lavori vengono ultimati nel 1905, anno in cui, tra l’altro, nasce anche la compagnia teatrale drammatica del Circolo di San Luigi. Ma i due conflitti mondiali sono alle porte e, a più riprese, la struttura viene riconvertita ad ospedale militare. Ed è così che la città dovrà attendere il 1945 perché il teatro possa riprendere le sue attività in una rinnovata veste. Nel 1987 subisce un nuovo importante stop, questa volta dovuto all’intervento di restauro effettuato dall’architetto Duccio Bencetti, il cui progetto gli dona l’odierna conformazione.

E’ quasi un segno del destino che, oggi come ieri, il Filodrammatici, dopo uno stop forzoso di oltre un anno e mezzo, riapra i battenti sotto una rinnovata luce. Era infatti il 30 giugno 2014 quando, terminata la stagione degli eventi, il teatro chiuse i battenti in attesa di alcuni importanti lavori di ristrutturazione volti ad adeguarne impianti elettrici, idraulici ed antincendio che, con l’immancabile burocrazia del caso, hanno lasciato Treviglio priva di un importante riferimento socio culturale. L’impegno profuso dalla Parrocchia e dalla Cassa Rurale per adeguare alle normative la struttura ed ottenere le autorizzazioni necessarie, danno il via – tra ‘altro proprio in concomitanza con l’uscita di questo numero de La Tribuna- della nuova stagione. Cambio anche per la gestione: la guida, infatti, sarà affidata all’associazione culturale Treviglio Arte e Cultura (T.A.C.) che per l’apertura propone l’esibizione dell’Orchestra Musicisti di Treviglio diretta dal maestro Paolo Belloli ed i solisti Andrea Ferrari al sassofono e Francesco Panico alla tromba.

«Ma la peculiarità del nuovo palinsesto -precisa Erik Molteni, Presidente del sodalizio- sarà la programmazione: dal giovedì alla domenica, con un’offerta variegata ed orientata ad un pubblico sempre diverso.

I giovedì saranno dedicati al teatro sperimentale, i venerdì alla musica, i sabati al teatro classico e la domenica pomeriggio alle rappresentazioni per bambini. L’idea, poi, è

Sopra Alberto Galli, a sinistra Erik Molteni, Bruno Sonzogni e la moglie Maria Facchinetti. Sotto il maestro Paolo Belloli

quella di dedicare uno specifico argomento che faccia da ‘tema’ alla programmazione mensile.

Sono oltre 50 le date già calendarizzate e l’auspicio è quello che questa rinnovata proposta culturale possa essere spunto di dialogo e fattiva collaborazione con l’amministrazione comunale per poter programmare una stagione che sia complementare a quella del Teatro Nuovo.

La struttura, poi, pur essendo sicura e fruibile, necessita di costanti interventi che le consentano di essere al passo con i tempi

e per far ciò occorre il supporto, anche economico, di tutta la comunità».

Alle sue parole fanno eco quelle di Alberto Galli, Coordinatore delle attività dell’Associazione, che sottolinea come l’offerta possa essere importante «non solo per la cittadinanza, ma anche per gli abitanti dei paesi limitrofi e, perché no, anche per chi proviene dall’area milanese, mai così vicina grazie alle nuove opere viarie».

Accanto a loro, a credere in questo piccolo grande progetto, tanti professionisti trevigliesi di diversa estrazione, per una squadra di tutto rispetto che sarà in grado di garantire una gestione altamente qualificata. A seguire la Direzione Artistica sarà Marilisa Gusmini, per la segreteria e la contabilità Beppe Fontana. Gli aspetti legali, invece, verranno seguiti dall’avvocato Gianni Comotti ed il supporto tecnico dal geometra Mario Bazzocco. E ancora: Alessandro Frecchiami ai rapporti con le Istituzioni, Cristina Ronchi e Angela Colombo alle pubbliche relazioni ed infine Bruno Sonzogni quale responsabile del teatro dialettale e dei rapporti con il territorio. Già pronto il sito all’indirizzo www.teatrofilodrammaticitreviglio. it ed una pagina facebook in cui sarà possibile seguire la programmazione e riviverne i momenti più salienti.

Allo studio anche una modalità di acquisto ‘on line’ dei biglietti da affiancare alla più classica soluzione di vendita del botteghino. L’appuntamento, comunque, è al teatro.

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Musica/Trevigliesi di successo

Un po’ di Modà tra di noi, a Treviglio di Daniela Regonesi

Incontriamo Diego Arrigoni, chitarra solista del famosissimo gruppo pop-rock italiano, trevigliese d’adozione e per amore, ci parla della sua vita, dei rapporti con i suoi fans e della nostalgia delle esibizioni al PalaFacchetti

C

’è un componente dei Modà che da qualche anno si aggira indisturbato per le vie di Treviglio, perché «per amore» ha deciso di fare della capitale della Bassa la sua casa e perché qui «si vive bene».

Non è infatti insolito incontrare Diego Arrigoni, chitarra solista del famosissimo gruppo pop-rock, tra le vie del centro o in qualche ipermercato cittadino, come ben sanno certe signore che «armate di carrello ti fermano mentre fai la spesa», ma il rapporto diretto mantenuto da sempre con i propri fans ne tutela privacy e serenità. Ed è proprio la serenità - unita ad un pizzico di sana follia artistica - la sensazione principale che trasmette questo biondo trentaseienne innamorato della musica.

Iniziamo la nostra chiacchierata affrontando il tema cardine del dossier di questo mese, la scuola. Diego non ha da offrirmi idilliaci spunti di biografia scolastica ma, proprio perché la definisce «un’esperienza negativa sotto tanti punti di vista» sa quanto sia importante scegliere bene in base alle proprie esigenze e possibilità, «soprattutto per evitare rinunce e ritiri, come è successo a tanti miei amici. Ma a tredici anni non è facile decidere, i genitori devono essere attenti, i ragazzi hanno bisogno di una guida che non sia né troppo conservatrice né troppo permissiva». E mi spiega che lo stesso vale per la musica: bisogna capire quale tipo sia più adatto alle proprie necessità; se l’ambizione è il rock, per esempio, è più opportuno orientarsi verso una scuola privata/jazz. «Studiare lo strumento sbagliato rischia di stancarti, ma se ami la musica in generale allora è meglio partire dai classici, come ha fatto con me il mio papà, decidendo che fosse più utile che imbracciassi una chitarra vera piuttosto che fare finta con la racchetta da tennis».

Il signor Arrigoni ha il merito di aver intuito il potenziale del figlio, tant’è che questi ha persino insegnato chitarra per sei anni a Melzo (dove è cresciuto), a Trezzo sull’Adda, a Settala e anche a Treviglio. È un percorso che ha dovuto abbandonare per i crescenti impegni con i Modà, ma sorridendo Diego racconta: «mi è piaciuto molto, avevo persino scritto un metodo mio da dare agli allievi. Ho cercato di insegnare con un atteggiamento che rispecchiasse ciò che di positivo

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ho ricevuto dai miei docenti e, allo stesso tempo, evitasse atteggiamenti che da studente non ho apprezzato. È fondamentale coltivare l’entusiasmo di coloro ai quali insegni, non permettere che noia e stanchezza abbiano il sopravvento su di loro. Insegnare mi ha dato molta serenità».

Ride quando poi gli chiedo come si “impara” ad essere una rock star, e replica «non s’impara. È stato un bene arrivare a farcela a trent’anni piuttosto che a venti, con dieci anni di gavetta alle spalle, senza saltare direttamente dalla cantina allo stadio. Fare le cose gradualmente ha comportato una maggiore naturalezza. Tutto è servito, nel bene e nel male. Quando va male apprezzi il momento in cui le cose cambiano, se non perdi mai non apprezzi la vittoria. Quando continui a perdere e poi sbanchi e ottieni il jackpot ha tutto un altro sapore...». E trovo bello che, nonostante affermi di aver gustato il jackpot, la “fame” di successo ma soprattutto di suonare bene e divertendosi non si sia placata. Quello stesso appetito che viene saziato sul palco, esibendosi di fronte al proprio pubblico, quasi come un incantesimo subito torna a farsi sentire. E se infatti dico

“18 giugno 2016“ il musicista, consapevole e soddisfatto, mi spiega: «San Siro, per la seconda volta, fa meno paura. Non è la paura della gente, ma di quello che devi dare». Infatti, dopo l’incredibile successo dell’esordio dei Modà al Meazza di Milano il 19 luglio 2014, che era stato preceduto una settimana prima dalla loro esibizione allo Stadio Olimpico di Roma, questo nuovo appuntamento attesissimo dai fans non capita da zero, come mi spiega Diego, «capisci che i numeri ti danno la possibilità di farlo e lo fai con più consapevolezza. 6.000 o 600.000 persone non fa differenza, sei tu che devi dare il 2000%. Cercheremo di farlo ancora meglio, soprattutto con canzoni tutte nuove, dopo il debutto del nuovo disco (il primo concerto a San Siro è arrivato dopo un tour di un anno). Il concerto nello stadio è una sorta di dimensione aliena, di sogno che si realizza

Per chi ne vuol sapere di più

V

olendo dare i numeri, i Modà sono il gruppo italiano che dal 2010 a oggi ha venduto più album: il record è stato stabilito il 20 febbraio scorso, quando la Federazione Industria Musicale Italiana (FIMI) ha certificato il triplo disco di platino (oltre 150 mila copie vendute in tre mesi) per la loro raccolta “2004-2014 – L’originale”. La pop-rock band conta quasi 2 milioni e mezzo di fans su Facebook e 479.000 followers su Twitter, mentre su YouTube totalizza circa 200 milioni di visualizzazioni e occupa sette posti nella classifica dei sessanta video di artisti italiani più visti di sempre.

Volendo fare nomi, i Modà sono Kekko Silvestre (voce, pianoforte), Diego Arrigoni (chitarra elettrica), Stefano Forcella (basso), Claudio Dirani (batteria) ed Enrico Zappa-

Diego Arrigoni in uno scatto di Davide Di Lorenzo sul palco dell’Arena di Verona, sotto a destra, invece, a San Siro nel Luglio del 2014 (Foto di Franco Prandoni). A destra la formazione dei Modà al completo, in basso a sinistra uno scatto durante la pausa nello studio di registrazione (Foto di Paolo D’Adda).

il giorno successivo. È un sogno che comincia e poi ricomincia il giorno successivo, quando realizzi ciò che hai vissuto».

Il gruppo è dunque in sala per “Passione Maledetta”, il cd di inediti che è in lavorazione e uscirà il prossimo anno. Sul nuovo album tutto è rigorosamente top secret, ma c’è qualcosa di cui può parlare e anche molto volentieri, cioè il trio strumentale FixForb, costituito con i bergamaschi Stefano Forcella, bassista dei Modà, e il batterista Milly Fanzaga, docente dell’Accademia Musicale

di Treviglio. I tre artisti si dedicano al progressive-funk e hanno all’attivo tre album: «è un altro aspetto della musica che amo e che esploro quando i Modà sono in pausa.

Vivo di più la Treviglio musicale con il mio trio: ci siamo esibiti in città in alcuni locali, come il Revel Theater e il Clock Tower Pub. Peccato che non facciano più i concerti al Palafacchetti. Con i Modà ci siamo esibiti anche in strutture da 4.500 posti...». È pur vero che la capienza del nostro palazzetto per i concerti è di 3.640 posti, ma se negli anni passati ne hanno calcato il palco artisti del calibro di Zucchero, Francesco De Gregori, Biagio Antonacci e Gianni Morandi, per citarne solo alcuni, perché non riempire di nuovo spalti e platea con l’esercito di fans dei Modà?

Perché finché la musica potrà contare su artisti del calibro di Diego - che ha comin-

ciato a suonare la chitarra classica a otto anni, e quindi l’elettrica, e come tanti ha iniziato a formare gruppi con gli amici, e nonostante gli insuccessi ha perseverato e continuato a inseguire il suo sogno “cercando sempre di migliorarmi, come persona e come ‘professionista’”, come lui stesso scrive sul sito ufficiale dei Modà - l’arte della musa Euterpe avrà bisogno di spazi adeguati e di possibilità di esprimersi, anche a Treviglio.

E, chissà, forse tra i tanti studenti dei corsi musicali pubblici e privati del nostro territorio, un domani ci sarà qualcun altro che, pur essendo al top, non si sentirà “arrivato”, appagato e sazio. Forse è proprio così, condividendo giorno per giorno con il proprio gruppo la determinazione e l’autentica passione per la musica, che si impara ad essere una rock star.

roli (chitarra elettrica e acustica). Il gruppo viene formato nel 2002 dal suo front-man, subisce vari cambiamenti nella sua composizione e affronta una lunga e dura gavetta, fatta di serate nei locali macinando chilometri su chilometri in giro per l’Italia. Ma la tenacia e la passione, unite alla crescita costante del numero dei loro fedeli supporters, li porta ad incidere cinque album di studio, uno dal vivo e due raccolte.

Hanno all’attivo la partecipazione a tre Festival di Sanremo: nel 2005 sono subito eliminati, mentre nel 2011 e 2013 si aggiudicano rispettivamente il secondo e terzo posto.

Volendo parlare della loro attività live possiamo dire che, anche qui, di strada ne hanno fatta parecchia, passando dai pub ai palazzetti, dall’Arena di Verona agli stadi (Olimpico e San Siro), fino ad arrivare in tournée in Europa e a New York, registrando spesso e volentieri il tutto esaurito.

Ad maiora!

(d. r.)

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Musica

Treviglio/Opportunità per i giovani

Il nuovo Cd del Duo Intexo

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di Hana Budišová

ision è il nome del nuovissimo cd del Duo Intexo che abbiamo avuto il piacere di sentire l’estate scorsa, nell’ambito dei concerti “Musica nelle piazze e nei cortili”. Il concerto si è svolto nel suggestivo cortile del palazzo municipale ed è stato organizzato dal Comune di Treviglio in collaborazione con l’Accademia Musicale di Treviglio.

Il Duo Intexo è composto dall’arpista Michela La Fauci, musicista poliedrica e docente di arpa che da anni collabora con l’Accademia Musicale di Treviglio e dal pianista jazz Fabrizio Trullu, il quale, oltre i numerosi concerti tenuti in tutta Italia come solista e con diversi gruppi, si esibisce regolarmente a Blue Note di Milano.

I due artisti si sono uniti in un progetto inconsueto denominato Visions, dove, miscelando due mondi musicali e due strumenti completamente differenti, hanno creato un sound molto interessante ed intrigante. L’arpa e il pianoforte, musica classica e il jazz, blues, flamenco… Tutti questi stili uniti e miscelati in un modo molto elegante e incredibilmente naturale. Si percepisce il piacere di sperimentare con i timbri, sfruttando le potenzialità dell’arpa elettroacustica (che in questo cd La Fauci usa), del pianoforte e delle varie tastiere, senza avventurarsi troppo nel mondo della musica sperimentale che potrebbe risultare incomprensibile ad un pubblico non preparato all’ascolto.

Nel cd Visions i due artisti presentano i brani di B. Andrés, D. Henson-Conant, J. Freidlin, F. Trullu, G.F. Händel e S. Natra.

Per le informazioni sul CD scrivete sulle pagine di facebook DuoIntexo oppure le pagine web www.duointexo.it.

18 - la nuova tribuna - Ottobre 2015

Intercultura, ovvero il mondo come casa di Maria Palchetti Mazza

Una proposta educativa per i giovani, nata durante la prima Guerra Mondiale, ma che prende l’attuale forma nel 1946, incentivando scambi culturali internazionali. Ne parliamo con la presidente Chiara Rossini

H

o incontrato la signora Chiara Rossini, Presidente di Intercultura, una proposta educativa del nostro tempo che mira a contribuire alla crescita di studenti, famiglie e scuole attraverso scambi internazionali di giovani e il loro inserimento in famiglie e scuole di altri paesi.

Dalle parole della Presidente traspare l’entusiasmo proprio di chi crede nel suo operato: è una visione del mondo, quella che mi si apre davanti, nella quale non esistono differenze fra popoli, ma si ricercano ideali comuni per l’umanità del futuro.

Quale è la storia di Intercultura?” chiedo.

«Le sue origini risalgono alla Prima guerra mondiale: un’Associazione nata tra Francia e Stati Uniti come AFS (American Field Service) soccorreva i feriti, attività con le ambulanze che continuò anche su tutti i fronti della seconda guerra mondiale, a partire dal 1939.

Nel 1946 in AFS nacque un nuovo programma per accogliere negli Stati Uniti studenti stranieri delle scuole secondarie, programma che crebbe rapidamente su rete internazionale, avendo come finalità l’educazione alla pace. Dal 1955 AFS opera in Italia con il nome di Intercultura, una Onlus eretta in Ente morale con decreto del

Presidente della Repubblica. Oggi conta oltre tremila volontari italiani suddivisi su centotrenta sedi locali: altri duecentomila fanno parte delle Associazioni consorelle all’estero».

Quali le fondamenta del vostro progetto educativo?

«Obiettivo primario è offrire contributi alla creazione di una società mondiale pa-

Sul campanile

cificata, riconoscendo gli apporti che ogni cultura può dare alla soluzione di problemi comuni: una società a misura d’uomo, in un mondo trasformato in villaggio dalla tecnologia».

Quale ruolo giocano le scuole nel vostro piano di interventi?

«Intercultura offre agli alunni la possibilità di partecipare agli scambi individuali e di classe e ai seminari gratuiti di formazione interculturale per dirigenti scolastici e insegnanti».

Altri protagonisti in questo grande… gioco, le famiglie e i volontari. Qual è il loro ruolo?.

«Le famiglie sono protagoniste in quello che lei ha definito il “grande gioco”: esse hanno la possibilità di seguire il percorso di formazione dedicato ai genitori dei ragazzi in partenza e di partecipare a uno scambio interculturale, accogliendo uno studente di altro paese in casa propria».

Il ruolo dei volontari presuppone una preparazione specifica?

«Intercultura propone loro un itinerario formativo che prende spunto da esperienze concrete di scambio, si arricchisce attraverso l’assistenza agli studenti Italiani e stranieri con momenti di formazione teorica in ambito nazionale e internazionale».

E, infine, i protagonisti assoluti di Intercultura: gli studenti.

«In questa esperienza personale di educazione alla mondialità, guidata dai volontari dell’Associazione, è prevista una fase di preparazione teorica che comporta una riflessione sulla propria cultura, sulle dinamiche interpersonali, su pregiudizi eventuali acquisiti. Segue un periodo di valutazione e applicazione a quanto acquisito al proprio ambiente. Il programma tipo di Intercultura, sia esso di “invio” o di “accoglienza” in Italia, prevede un’accurata fase di selezione e di preparazione: capillare e costante è l’assistenza dei volontari, sia nel percorso educativo di Intercultura degli studenti, sia presso le famiglie e le scuole coinvolte.

I giovani si trovano impegnati in una vera e propria esperienza esistenziale. L’appren-

dimento interculturale è un processo che si sviluppa lungo tutta la vita e porta ad acquisire una maggior consapevolezza della propria identità e una nuova comprensione del mondo».

Scuole, famiglie, alunni, un identikit dei volontari?

«Sono i facilitatori e il collante del progetto educativo - organizzati in “Centri Locali” come gli altri duecentomila nel mondo- hanno età, professioni, estrazioni sociali diverse, ma, per tutti, fare qualcosa per nessun’altra ragione che la convinzione e la soddisfazione di fare la cosa giusta e di farla per gli altri è la motivazione portante».

Quali le difficoltà?

«Si deve certamente tener conto di differenze culturali, ambientali, organizzative che danno luogo a modalità operative differenti a seconda del luogo in cui ci si trova. Le tappe previste sono uguali in tutti i paesi, la selezione avviene sulla base di criteri oggettivi, la preparazione mediante incontri formativi di orientamento utilizzati anche per le famiglie. L’osservazione attenta delle diverse fasi che contraddistinguono i periodi di permanenza all’estero permette agli esperti di intervenire a supporto negli inevitabili momenti di difficoltà. Al rientro a casa, i ragazzi possono fruire di interventi di “ri-orientamento” per interiorizzare quanto appreso e trasformarlo in un diverso stile di vita».

Quale, fra le vostre proposte, raccoglie il maggiore numero di partecipanti?

«Quella che prevede la frequentazione di un intero anno, gettonato anche il programma degli scambi di classe per due settimane».

Quanti sono i Paesi coinvolti in questa esperienza?

«Intercultura ha in corso programmi di scambi di studenti con più di 50 paesi e ha avuto rapporti con altri 45 nel mondo.

Nel 1991 ha aperto il centro di formazione a Colle val Delsa dove è stato trasferito il nucleo operativo dell’Associazione, della quale nel 2005 è stato festeggiato il 50° anniversario».

Aperto il Museo Verticale

Con i suoi 297 scalini, data l’esiguità degli spazi, sarà sempre guidata e per piccoli gruppi di 15-20 persone

S

i inaugura proprio in questi giorni il museo verticale di Treviglio, all’interno del millenario campanile di piazza Manara. Il museo si snoderà lungo i sei piani della torre e racconterà gli episodi salienti della storia trevigliese, tra rappresentazioni e tecnologia che coinvolgeranno i visitatori a 360 gradi. La struttura della torre civica, con i suoi 297 scalini, è stata conservata in tutte le sue caratteristiche, per cui la visita, data l’esiguità degli spazi, sarà sempre guidata e per piccoli gruppi di 15-20 persone. Anche per questo motivo il museo sarà a pagamento: 5 euro a testa, con riduzioni per fasce d’età e famiglie. Il museo rientra nel progetto del sistema museale cittadino, in vista della futura adesione a Lombardia Musei; in virtù di questo l’agenzia di immagine Clessidra ha predisposto il logo generale di Treviglio Musei, di cui fanno parte, oltre al nuovo museo storico verticale, anche il museo scientifico “Explorazione” e il museo civico “Della Torre”, anch’esso rinnovato da un nuovo logo più stilizzato.

Daniela Invernizzi

Ottobre 2015 - la nuova tribuna -

19

La due giorni del divertimento

Treviglio gioca, per questo non invecchia di Niall Ferri

Centodieci gazebo per mettere in mostra ogni tipologia di passione ludica, insomma la mostra “Treviglio in Gioco”, nonostante il tempo non sia stato clemente, è stata un successo.

«Fonderemo un’associazione ad hoc», dice l’organizzatore

T

reviglio - “L’uomo non smette di giocare perché invecchia, ma invecchia perché smette di giocare”, così diceva George Bernard Shaw, scrittore e drammaturgo irlandese.

E come dargli torto. Ecco allora che Treviglio, perseguendo la linea di pensiero di Shaw, smette di invecchiare... per un giorno.

TinG, acronimo di Treviglio in Gioco, è il nome dell’evento che domenica 13 settembre ha debuttato con la sua prima edizione in assoluto, facendo tornare bambini molti degli avventori del centro trevigliese. L’idea, partita da Antonio Ciocca e poi pienamente sposata e sponsorizzata dall’Associazione dei Commercianti trevigliesi e Mc Donald’s di Treviglio, poi patrocinata dal Comune e dall’assessorato alla Cultura, è stata quella di trasformare l’intero centro cittadino in un’estesissima ludoteca. Centodieci in tutto i gazebo che hanno ospitato le varie tipologie di gioco, dal più classico in scatola a quello di carte più ricercato e poco conosciuto, dagli war game agli scacchi, e così via. Questo per far emergere che, oltre ai giochi più conosciuti e noti, c’è tutto un mondo ancora inesplorato, che le iniziative come questa si prefiggono di rendere noto a chi ancora non ne è a conoscenza. Gli spazi gioco sono spuntati come funghi già dalle prime ore del mattino di domenica, così da essere fruibili

20 - la nuova tribuna - Ottobre 2015

quanto prima dai visitatori che, già di buon mattino, non si sono fatti attendere. Molte, infatti, le persone che inizialmente si sono avvicinate ai vari stand, sparsi tra piazza Manara e piazza Garibaldi. Chi per curiosità, chi per conoscere le regole dei giochi a cui gli spazi erano dedicati e chi, anche, per prendere parte alle attività proposte. Ospite scomodo dell’iniziativa quella pioggia che, a metà mattina, ha messo a dura prova la tena-

cia degli standisti che, consci del probabile maltempo che avrebbe potuto imperversare in ogni momento, avevano già assicurato la loro presenza all’evento anche nel caso di condizioni metereologiche sfavorevoli.

Quasi una maledizione, un malocchio, come asserisce qualcuno ironizzando (ma non troppo), che colpisce regolarmente Treviglio non appena nella città viene organizzato un evento destinato ad avere un’importante risonanza. Al TinG, così come al Treviglio Vintage di quest’anno, caso emblematico, la pioggia ha fatto accapponare la pelle agli organizzatori che, alla fine, hanno tirato un sospiro di sollievo per la loro buona riuscita. Nonostante questo piccolo incidente di percorso, però, la manifestazione si è rivelata essere di gran lunga positiva vista anche la risposta del pubblico, che si assiepava di gazebo in gazebo.

L’entusiasmo e la determinazione dei commercianti che hanno preso parte al TinG, credendo fin da subito nel suo potenziale, è stato testimoniato direttamente dal Presidente dell’associazione che li riunisce, Gabriele Anghinoni, il quale ci ha fatto sapere che «è stata una manifestazione riuscitissima, sono davvero orgoglioso che l’Associazione dei Commercianti Trevigliesi abbia contribuito alla sua riuscita. Ad Antonio Ciocca, in particolar modo, vanno i nostri complimenti per l’impegno profuso nell’organizzazione.

Un grazie va all’amministrazione, all’Ufficio Cultura e Commercio e al Distretto del Commercio, oltre che a tutti i commercianti che hanno permesso lo svolgimento dell’iniziativa.

Un esempio di impegno comune, questo, che, come ho sempre detto, dà frutti positivi.

Assieme a “Treviglio libri” (la maratona trevigliese dell’editoria indipendente svoltasi in via Matteotti, ndr), Treviglio in Gioco ha reso molto bella la giornata pur turbata, in parte, dal maltempo».

Treviglio/Oratorio Conventino

Alcuni scatti della “Treviglio in Gioco” svoltasi a metà settembre. Un evento che l’organizzatore Antonio Ciocca propone di ripetere nel 2016

Si prepara, invece, ad un’altra vera e propria sfida il precursore del Treviglio in Gioco, l’educatore professionale Antonio Ciocca, che, da poco terminata la prima edizione dell’evento, getta già le basi per l’appuntamento del prossimo anno. «Sto già valutando la creazione di un’associazione completamente dedicata all’organizzazione del TinG - fa sapere Ciocca - per la cui prossima realizzazione provvederemo ad eliminare alcune falle organizzative che sono emerse durante lo svolgimento di questa prima edizione. Tuttavia, sono molto entusiasta per la riuscita del TinG. Quando la sera sono rincasato ero molto stanco ma soprattutto molto soddisfatto, anche per aver letto su Facebook una serie di commenti positivi. È la prima volta che mi capita di coordinare un evento di questa portata, per la cui ottima riuscita ringrazio tutti, dai commercianti, che hanno sposato l’idea, all’amministrazione». Sono dunque previste molte sorprese per il TinG del prossimo anno che, continua Ciocca, «faremo in modo che si svolga in due giornate, con l’istituzione, inoltre, di un evento parallelo, come potrebbe essere, per esempio, l’esposizione dei soldatini dell’Atlantic, che in questa edizione hanno trovato uno spazio ristretto, a differenza delle aspettative». E in caso di maltempo?

«Istituiremo un piano B per contrastare i disagi che potrebbero venire a crearsi con la pioggia. Questa prima edizione è servita anche per capire questo. Alle prime gocce cadute durante la mattinata ho pensato che gli otto mesi di lavoro e di organizzazione fossero andati in fumo. Quando, invece, nel pomeriggio ha smesso di piovere la gente è tornata a visitare i gazebo, facendo registrare molte presenze. Un abisso in confronto a quelle registrate durante la mattinata». Una sfida che si rinnova, dunque, per Antonio Ciocca e per chiunque deciderà, ancora, di affiancarlo per la realizzazione della seconda edizione del Treviglio in Gioco, prevista per il prossimo settembre.

Lo Stecchino d’Oro come dopo scuola di Ivan Scelsa

Al di là dell’impegno scolastico, spesso gli oratori hanno una funzione vitale per la fascia pomeridiana della giornata, ne abbiamo parlato con il direttore del coro Mimmo Fanelli

N

ato trentaquattro anni fa come rassegna biennale della canzone per bambini, all’interno dell’Oratorio Conventino della Parrocchia ‘Santa Maria Annunciata’, lo Stecchino d’Oro ha ormai raggiunta la sua XV° Edizione, conservando la freschezza e la vitalità dei primi anni. Ne abbiamo parlato con Mimmo Fanelli, direttore del coro e referente per la manifestazione, da anni instancabile guida del gruppo di genitori che promuove e sostiene l’iniziativa.

«L’intenzione dei promotori -dice Fanelliè sempre stata quella di trasmettere ai più piccoli la passione per il canto, la musica ed il gusto dello stare insieme in amicizia, riproponendo a livello amatoriale le canzoni del più celebre Zecchino d’Oro del quale ricalca gli ideali di pace, concordia e fiducia nel futuro dell’umanità. Motivo, questo, per cui non vengono proclamati né vincitori né vinti».

Il Coro si compone di circa trenta bambini di età compresa fra i 4 e i 12 anni, provenienti dagli oratori di tutta la Città e della bassa bergamasca, avvalendosi anche della

partecipazione di adolescenti che negli anni passati hanno fatto parte del Coro e che oggi rinnovano l’attaccamento all’iniziativa come coristi o solisti. Le orme sono quelle tracciate dai genitori che oggi mettono a disposizione la loro esperienza (non solo di coristi ma anche di strumentisti) accompagnando il canto dei più piccoli. Il loro supporto e la disponibilità si concretizzano nella promozione e nella ricerca dei finanziamenti, nell’allestimento degli spettacoli, nella logistica, manutenzione e sistemazione degli strumenti musicali e delle apparecchiature.

Ovvio che tutto questo comporta sacrifici e spesso implica seguire i figli nel fine settimana (magari rinunciando al week end fuori porta…), ma sicuramente rappresenta un esempio aggregativo sia per i piccoli coristi che per le famiglie stesse, impegnate fattivamente in un progetto di collaborazione e cooperazione che va ben al di là delle semplici parole e che si è tradotto, nel 2002, con il riconoscimento del Patrocinio dell’Assessorato Cultura della Città di Treviglio con il quale il Coro ha uno stretto e consolidato rapporto di collaborazione.

Tra le esperienze fondamentali e di rilevante valore aggregativo, che hanno portato il gruppo a ricevere il Premio Madonna delle Lacrime lo scorso mese di febbraio, sono sicuramente da annoverare la partecipazione come ospiti all’Antoniano di Bologna in occasione della 53^ edizione del celebre Zecchino d’Oro (2010), la realizzazione del musical “Musicando la Vita” del 2011, i tanti spettacoli promossi nel periodo natalizio in più comuni della provincia, la Festa dei nonni e della mamma che dal 2012 ad oggi ha toccato non solo Treviglio ma anche Romano di Lombardia e Cassano d’Adda, ed il recentissimo viaggio di quattro giorni a Francavilla Fontana, in Puglia, in cui, grazie anche alla collaborazione ed al patrocinio dei Comuni di Treviglio e Francavilla Fontana, oltre cinquanta tra bambini ed adulti hanno potuto condividere un’importante esperienza che è andata oltre l’espressione canora, sicuramente formativa sia per i bambini quanto per gli adulti.

Ottobre 2015 - la nuova tribuna -

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Treviglio/L’Assistenza Sociale

I bimbi e il progetto “Mi fido di te” di Carmen Taborelli

Momenti ludici, ma anche di riflessione sull’Affido Familiare. Mobilitati i rappresentanti dei diciotto Comuni aderenti a “Risorsa Sociale”

A

Casirate, il 13 settembre scorso, si è svolta una festa organizzata per promuovere un atteggiamento virtuoso: l’accoglienza.

Per sostenere una causa così nobile era giusto che si mobilitassero in tanti: i rappresentanti dei diciotto Comuni aderenti a “Risorsa Sociale” promotrice della festa, la psicologa del Servizio Affidi Cristina Gremizzi, Marcello Brambilla, coordinatore del progetto Cariplo, l’assistente sociale Francesca Uggè, l’istituto statale “Zenale e Butinone”, gli attori Barbara Covelli e Antonio Russo dell’associazione culturale “La vecchia sirena”, il Consorzio FA di Brignano, i cabarettisti Marta Zoboli e Gianluca De Angelis, alcune famiglie affidatarie e tante altre presenze che hanno messo in gioco le rispettive abilità e competenze.

Momenti conviviali, ludici, ma anche di riflessione a più voci: tutti insieme con una comune consapevolezza: il bambino è soggetto di diritto.

Tra i suoi diritti c’è anche quello di essere educato nell’ambito della sua famiglia.

Quando però la famiglia d’origine, per ragioni diverse, non è in grado di adempiere il mandato che le è proprio, il dovere si sposta dal livello familiare a quello sociale. È la so-

22 - la nuova tribuna - Ottobre 2015

cietà, quindi, che ha il dovere di assicurare al bambino educazione, istruzione e mantenimento, attraverso l’affido, che trova il suo compimento nell’accoglienza: un gesto di solidarietà matura e consapevole, meglio se espresso in un ambito familiare, realtà più vicina all’esperienza e al vissuto del bambino che chiede di essere accolto.

Accolto così com’è, con la sua storia, con gli affetti e i sentimenti che si porta dentro.

Disposto a lasciarsi condurre per mano da altre persone in un cammino educativo e di crescita. Pronto a ritornare, appena possibile, nella famiglia d’origine, nel frattempo aiutata, da figure professionali, a superare le difficoltà che hanno provocato l’allontanamento temporaneo del minore.

A festa conclusa i ringraziamenti di rito della presidente di “Risorsa Sociale” Giuseppina Zoccoli Prandina: «Un grazie riconoscente a quanti hanno collaborato alla riuscita della festa. Ringrazio inoltre la bravissima attrice trevigliese Marta Zoboli, che ha arricchito il programma della 3ª festa dell’accoglienza, donando alla nostra iniziativa la sua presenza e l‘interpretazione dei suoi gustosissimi pezzi comici».

Il servizio pubblico

D

iciotto Comuni della Bassa Bergamasca afferiscono all’Azienda Speciale Consortile “Risorsa Sociale Gera D’Adda” di Treviglio, presieduta da Giuseppina Zoccoli Prandina e diretta da Elisa Marchesi.

Tra le prestazioni erogate da “Risorsa Sociale” c’è il Servizio Affidi, nato nel 2012, alternativo a quello offerto dalle realtà del Privato Sociale e del Terzo Settore.

Attraverso tale servizio, l’Azienda Consortile promuove l’affido familiare sul territorio, accoglie e orienta le famiglie disponibili all’affido, le accompagna e le sostiene nei progetti di accoglienza.

Per quanto riguarda i minori, li tutela da situazioni familiari inadeguate o pregiudizievoli per la loro crescita (abuso, maltrattamento fisico e psichico, trascuratezza e abbandono), favorendo il rispetto dei loro

diritti e il recupero delle risorse educative familiari. Si occupa di situazioni sottoposte a provvedimento dell’autorità giudiziaria.

Va chiarito a questo proposito che l’allontanamento del minore dalla famiglia d’origine è predisposto dal Tribunale dei minori; a volte può anche avvenire, in forma consensuale, tra gli operatori del servizio e la famiglia del bambino. Per gestire questo servizio, “Risorsa Sociale” ha messo a punto il progetto triennale “Mi fido di te…”, dandone la responsabilità a un’équipe multidisciplinare e interprofessionale composta da: Marcello Brambilla, coordinatore del progetto, Francesca Uggè, coordinatrice gestionale del servizio e assistente sociale, Cristina Gremizzi, psicologa psicoterapeuta e Franco Bigliardi, psicologo psicoterapeuta. Il progetto prevede un finanziamento della Fondazione Cariplo di 109.000 € e del Consorzio FA di Brignano di 74.304 €. La parte restante è a carico dei diciotto Comuni in quota pro-capite.

«Il progetto - chiarisce la presidente di “Risorsa Sociale” Giuseppina Zoccoli - ha come obiettivo l’incremento del numero di famiglie disponibili all’accoglienza, favorire l’aggregazione dei nuclei familiari protagonisti dei progetti di affido e offrire risposte diversificate ai differenti bisogni delle famiglie. L’affido di un minore ad una

I numeri di “Risorsa Sociale”

N

el 2014, i minori dati in affido sono stati trentasette, pari allo 0,17% dei minori residenti nei diciotto Comuni afferenti a “Risorsa Sociale”. Di questi, 29 sono stati affidati a famiglie non parentali e 8 a parenti. Nel periodo ottobre 2012-gennaio 2015, 44 famiglie hanno contattato il Servizio e chiesto l’avvio di un percorso di orientamento all’affido. Di queste, 26 hanno acquisito l’idoneità all’affido. Con l’avvio dei nuovi progetti di affido sono 16 i nuclei familiari che usufruiscono periodicamente dello spazio di ascolto e sostegno.

famiglia, pur nella temporaneità, è una delle forme di accoglienza e di sostegno che più si dovrebbe privilegiare e per il gesto d’amore della famiglia affidataria e per il costante rapporto con la famiglia di origine del minore.

Grazie al finanziamento di Fondazione Cariplo si è sviluppato un programma di sensibilizzazione atto a diffondere la cultura dell’affido e dell’accoglienza verso i bambini con disagio e fragilità familiare.

Molte famiglie hanno dato la loro disponibilità, auspico che altre possano aderire al progetto. Eviteremmo così a molti minori il ricovero in strutture e comunità residenziali».

Tutti possono offrire la propria disponibilità all’accoglienza: coppie, singoli, famiglie con o senza figli. Non esiste una famiglia affidataria ideale, né vi sono vincoli di età, di istruzione e di reddito.

Esistono forme progettuali molto diverse tra di loro e il servizio cerca di valorizzare ogni forma di disponibilità che le famiglie mettono a disposizione. Anche qualche pomeriggio la settimana può consentire, ad esempio, l’attivazione di un progetto di accoglienza leggero. Un numero maggiore di famiglie disponibili all’affido consentirebbe risposte più adeguate ai bisogni dei minori e la sperimentazione di nuovi progetti.

Ottobre mese della Prevenzione

Minori in affido 2014 Presso parenti

8

Presso etero-familiari

29

Totale

37

Consuntivo dall’Ottobre 2012 al Gennaio 2015 Famiglie contattate

44

Famiglie idonee

26

Percorsi di sostegno

16

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23

Treviglio/Associazioni per la terza età

Anteas, l’Università per anziani e non di Carmen Taborelli

L’associazione ha compiuto dieci anni e vanta un numero sempre crescente di adesioni. I corsi che organizza sono articolati in circa venti lezioni l’anno, suddivise in due cicli e sono aperti a tutta la popolazione, giovani compresi

H

a compiuto dieci anni, gode ottima salute e vanta un numero sempre crescente di corsisti e di affezionati estimatori. Sto riferendomi all’ANTEAS (Associazione Nazionale Terza Età Attiva per la Solidarietà), meglio conosciuta come “Università degli anziani”, attiva a Treviglio dal 2005 e figlia dell’Anteas-Cisl di Bergamo.

«Una Storia da leggere, una Cultura da esprimere, un’Esperienza da vivere»: con queste motivazioni di fondo, poste in premessa alla presentazione del primo corso (anno accademico 2005-2006), è iniziata questa avventura culturale, diretta, fin dal principio, dal prof. Battista Regonesi e coordinata, negli aspetti organizzativi, da Luigi Cervi. Quello dell’Anteas è un percorso articolato in circa venti lezioni l’anno, suddivise in due cicli: uno autunnale e l’altro primaverile. Si tratta di una varietà di proposte culturali per aiutare i corsisti ad approfondire e sviluppare la conoscenza di ambiente, architettura, economia, storia ecc.

di interesse locale, nazionale e universale, dando particolare risalto, quando se ne presta l’occasione, agli avvenimenti e alle ricorrenze annualmente in calendario, come, ad esempio, per citare i più recenti, il centenario della Grande Guerra e l’EXPO. «Come per gli scorsi anni – scrive Regonesi, presentando il nuovo programma - rinnoviamo l’invito a non mancare al nostro consueto appuntamento, in compagnia dei vecchi amici e dei nuovi che vorranno aggregarsi, perché ricordiamo che il corso non è rivolto solo ai pensionati ma a tutte le persone, giovani compresi, curiose di nuove conoscenze; contiamo sul passaparola!».

Regonesi e Cervi, anche a nome dei corsisti, tengono a sottolineare la collaborazione e l’ospitalità del Direttore del Centro Salesiano, che, ogni anno, mette a disposizione la sala “Rainoni”, spazio in cui, ogni mercoledì pomeriggio, alle ore 15, si svolgono le lezioni.

Come conclusione, mi preme sottolineare e rilanciare il concetto importante sotteso

Un bilancio e il ricordo di tanti amici incontrati

T

reviglio - Non è semplice per me scegliere tra i tanti ricordi dei primi dieci anni dell’Università Anteas.

Partirei dall’inizio: nel settembre 2004, dopo più di quaranta anni di attività nella scuola ho iniziato la vita del pensionato.

Varie associazioni mi hanno contattato per delle attività di volontariato; tra queste l’Associazione Nazionale Pensionati (ANP) della Cisl di Bergamo, che aveva intenzione di tentare l’esperienza di università per la terza età nella zona di Treviglio. Il grande animo di don Piero Perego mi interpellò per questa iniziativa, narrandomi la poco felice esperienza dell’Università Popolare di Treviglio degli anni ‘80, che ebbe breve durata e sempre poca adesione. Mi incaricò quindi di contattare alcune persone inte-

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ressate e culturalmente preparate, e venne formato un Comitato Scientifico incaricato di elaborare un progetto. Fin da subito abbiamo stabilito che nelle nostre lezioni fossero riservati spazio e importanza al racconto delle vicende passate del nostro territorio.

E così il primo corso triennale ha riguardato proprio “Treviglio e la Gera d’Adda”, il secondo “Bergamo nei suoi contesti storico-geografici”, e così via. Le lezioni dei primi tre anni sono state apprezzate e seguite da più di 130 corsisti, non solo trevigliesi, tanto che a grande richiesta hanno reclamato la possibilità di avere copia della relativa documentazione; è nata così la raccolta del materiale che ci ha permesso di redigere una piccola enciclopedia del

all’iniziativa Anteas e condiviso dai corsisti: il concetto di educazione permanente, che supera l’idea di un apprendimento limitato, come qualità e quantità, al periodo scolastico della nostra vita.

Invece, ed è qui che sta il fascino di questo atteggiamento: non si finisce mai di imparare. Il processo di apprendimento nozionistico, non disgiunto da quello comportamentale, segue di pari passo la nostra vita. «Dalla culla alla tomba», nel senso che, per tutta la sua esistenza, la persona continua a studiare, ad aggiornarsi e ad avere la curiosità di conoscere nuove realtà, nuove situazioni,

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nuove sfide.

Un’anziana novantenne, ex docente universitaria, ancora brillante, ancora desiderosa di conoscere e di sapere, spiegava così il segreto della sua feconda longevità: «Il segreto sta nell’essere sempre curiosi, nel volersi superare, nell’essere affamati di sapere. Solo allenando la mente e con la predisposizione ad imparare ogni giorno cose nuove, potrai arrivare alla fine dei tuoi giorni con la voglia di vivere ancora un giorno in più».

Un ottimo esempio. Una bella lezione per tutti! nostro territorio, articolata in tre volumi: dalle origini ai nostri giorni. Mi scriveva al riguardo il compianto dott. Alfredo Ferri: «I testi scritti e raccolti formano un prezioso tesoro di notizie che lentamente formano la Storia della Geradadda oltre che di Treviglio, e saranno una fonte preziosa per gli studiosi e i ricercatori di domani».

Ciò che qualifica la nostra università è una significativa presenza di relatori locali che, oltre alla conoscenza e competenza degli argomenti, trasmettono la loro passione per i temi trattati. È sincera e tangibile la soddisfazione che mi dimostrano i corsisti che partecipano assiduamente e con attenzione alle varie attività e il loro rammarico quando il corso finisce (parecchi ci seguono fin dall’inizio!). Tanti relatori e “alunni” sono diventati amici, di altri conservo un prezioso ricordo (ad esempio Ettorina Gorreri, Carlo Gaiardelli, Paolo Origgi, Marcello Santagiuliana). Molto apprezzati sono, infine, gli approfondimenti e le “lezioni sul campo”, come le visite alla scoperta delle bellezze di cui è ricca la nostra zona.

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Speciale Scuola/il Commento

La buona scuola un anno dopo l’annuncio di Fabio Pruneri (*)

Detto, fatto? Lo scenario che è davanti ai nostri occhi è difficile da decifrare, in particolare suscitano timori il maggior potere concesso ai dirigenti scolastici e le differenziazioni, nelle mansioni e nelle retribuzioni, del personale

E

sattamente un anno fa il ministro Stefania Giannini annunciava, dalla tribuna del Meeting di Rimini, un’importante riforma della scuola. Di lì a poco Matteo Renzi, forte di un diffuso consenso e del migliore risultato elettorale della sinistra dal secondo dopoguerra, ottenuto nelle elezioni europee del maggio 2014, riuscì ad esprimere, con la formula efficace de “la buona scuola”, il suo programma di cambiamento del sistema dell’istruzione.

In un video, rivolgendosi direttamente agli italiani, con queste parole, confermava il suo intento: «Vi propongo un patto, un patto educativo, non l’ennesima riforma […] abbiamo un anno di tempo per rivoluzionare la scuola italiana […] se noi saremo in grado, nei prossimi dodici mesi di ripensare a come l’Italia investe sulla scuola, allora costruiremo la crescita dei prossimi vent’anni».

Lo scetticismo circa le possibilità di realizzare, in un arco di tempo tutto sommato limitato, un mutamento epocale quale quello enunciato, era molto diffuso. Infatti, chi conosce, anche sommariamente, la storia delle riforme del sistema formativo nel nostro Paese sa come sia stato difficile, in passato, mettere mano a questo settore. In ogni caso la sua scommessa Renzi l’ha vinta. Il 9 luglio 2015, con 227 voti a favore, 173 contrari e 4 astenuti, l’assemblea di Montecitorio ha

dato il via libera definitivo alla legge, senza che venissero apportate modifiche rispetto al testo uscito dal Senato. A riprova che il premier teneva particolarmente all’approvazione, prima dell’estate, del provvedimento.

Resta ora da valutare il prezzo di questo risultato. Infatti la risposta alla “Buona Scuola” del mondo scolastico, è stata, a tutti i livelli, compatta e di segno generalmente ostile. La maggioranza, sotto la spada di Damocle del voto di fiducia, ha però sostenuto la legge. Lo scenario che è davanti ai nostri occhi è però difficile da decifrare: l’acqua del pozzo, inizialmente trasparente e cristallina (quale italiano non avrebbe sottoscritto una politica di investimenti nella cultura e nella formazione) è stata inquinata e, forse addirittura avvelenata, dalla polemica politica. Hanno concorso a questo esito sia i maldestri tira e molla del premier, in alcune fasi accondiscendenti al dialogo con gli insegnanti in altre sprezzante e indisponibile a mediazioni, sia le forze sindacali e della scuola in generale, contrarie a forme di autonomia che modificavano un consolidato sistema di governance. In particolare suscita timore il maggior potere decisionale al dirigente scolastico e le differenziazioni, nelle mansioni e nelle retribuzioni, del personale.

La prova del disagio della classe docente si avrà, credo, nei prossimi mesi quando si verificherà se il primo punto del programma di Renzi: “Mai più precari nella scuola”

Questo inserto dedicato alle scuole trevigliesi

A

d anno scolastico iniziato da poco, la nostra redazione ha deciso di parlare di scuola per conoscere più da vicino questo mondo importante e composito. L’attenzione alla scuola va letta anche come atto di riconoscenza verso quanti dedicano tempo e passione al delicato e difficile compito di formare i cittadini di domani. In apertura, Fabio Pruneri, professore associato di Storia dell’educazione all’Università di Sassari, commenta brevemente la legge “La buona scuola” del Governo Renzi. A seguire un panorama delle realtà educative presenti sul nostro territorio e l’approccio alla problematica degli abbandoni scolastici. Un tema questo da riprendere e approfondire, a condizione che i Dirigenti

verrà raggiunto e a quale costo. Per esempio, per la prima volta lo Stato garantirà un’assunzione a tempo indeterminato a docenti chiamati a esprimere le loro preferenze su base nazionale. È pressoché certo che molti precari, ormai non più giovanissimi, saranno chiamati a trasferirsi là dove ci sono cattedre (in genere al nord) a diverse centinaia di km dalla loro famiglia. Anche lo slogan: “Basta supplenze”, che tanto rassicurante appare ai genitori, crea qualche apprensione negli istituti. Basterà davvero l’organico del Piano di assunzioni straordinario per coprire i “buchi” di personale, o alla fine si scoprirà che le risorse saranno meno di quelle del passato?

Il boccone più amaro per le forze sindacali, che godono di grande credito nel mondo scolastico, è quello relativo alla valutazione e al merito. Renzi promette un aumento di stipendio (per la verità abbastanza modesto), ma lo collega ad un meccanismo di premialità stabilito all’interno delle singole scuole. Il rischio che questo tipo di decisione sia assunta in totale autonomia dal preside, spregiativamente definito “sceriffo”, anziché in concerto con le componenti sindacali (RSU), che per loro natura si dovrebbero occupare dei contratti, in accordo con il

scolastici degli Istituti Superiori mettano a disposizione i dati richiesti. I giovani sognano un futuro legato alla terra? A rispondere sono quattro ex alunni dell’Istituto Agrario.

La scuola prepara al mondo del lavoro? Un’ampia e articolata risposta fornita dei rappresentanti del mondo dell’industria e finanza (Giovanni Grazioli), del commercio (Oscar Fusini) e dell’artigianato (Francesco Ghilardi).

E poi uno sguardo agli edifici scolastici. «Tutti a norma e sicuri»: parola di Basilio Mangano, assessore ai Lavori Pubblici, e di Massimo Bertelli, responsabile dell’edilizia scolastica del nostro Comune.

Non potevano, infine, mancare la storia della “De Amicis”, costruita nel 1899, il primo giorno di scuola del Direttore Roberto Fabbrucci e il ricordo del mitico maestro Giovanni Zanovello, che ha preparato molti allievi all’impegno, all’onestà e alla vita. Buon anno scolastico! c.tab.

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collegio dei docenti, provoca forte preoccupazione.

Sul piatto ci sono però altre importanti novità che attendono di essere verificate: la formazione continua obbligatoria, lo snellimento della burocrazia, l’introduzione della banda larga e della cultura digitale, il maggior spazio nei curricula a musica, sport, arte, il potenziamento delle esperienze di apprendistato.

Nell’etimologia della parola insegnare c’è un richiamo a lasciare un segno. Ora mi viene da chiedere: “Davvero la nostra scuola è in grado di lasciare una traccia negli studenti?”. Ironicamente a lezione spiego che l’insegnante è come un “tatuatore” che scrive nell’anima, invece che nel corpo, degli allievi. In più ha un secondo delicatissimo ruolo, quello di trasmettere indelebilmente il sapere. Una parola quest’ultima che etimologicamente rimanda al sapore. La nostra scuola lentamente ma inesorabilmente ha ridotto il compito di tramandare il “sapore” alla sola acquisizione di contenuti. In questo siamo tra i migliori al mondo, ma questo modo di imparare, basato su un accumulo di informazioni non lascia un buon sapore … talvolta anzi produce disgusto. Il paradosso è quindi quello di provocare anziché appetito e un gusto per il nutrimento un rifiuto del cibo della cultura. La risposta a questo stato di cose non dipende certo da una legge dello Stato anche se il primo ministro, amando l’iperbole, pensa di poter così costruire la

crescita dei prossimi vent’anni. È sicuro però che, Renzi o no, i grandi sconvolgimenti sociali chiedono una disponibilità al cambiamento. Si può coltivare la nostalgia del passato, si può far finta che ciò che accade fuori dall’aula appartenga ad un altro mondo, si possono perfino costruire dei muri, ma così facendo non si frenano le trasformazioni. Insomma studenti, genitori e insegnanti sono chiamati ad essere protagonisti del loro tempo, senza timore. Anche volendolo, nessuno può essere, oggi, spettatore neutrale di una storia che ci costringe a risposte rapide a problemi sempre nuovi e complessi.

(*) Professore associato di Storia dell’educazione Università degli studi di Sassari

Il trevigliese Fabio Pruneri Docente in Storia dell’Educazione all’Università di Sassari e rappresentante dell’Italia nella rivista di storia dell’educazione: “Paedagogica Historica”

F

abio Pruneri, 47 anni, trevigliese di nascita, è docente all’università di Sassari, dove insegna dal 2000.

Ha vinto, nel 2013, il concorso nazionale di docente ordinario in Storia dell’Educazione. Pruneri è a tutt’oggi professore associato al dipartimento di Storia, Scienze dell’Uomo e della Formazione dell’Università di Sassari, ove insegna “Storia della Scuola”, “Storia delle politiche educative”, “Storia dell’Educazione”; egli ha mantenuto contratti di docenza con l’ateneo della sua formazione (l’università Cattolica di Milano) e continua a svolgere ricerca anche in Lombardia, pur praticando un inusuale pendolarismo, da 15 anni, tra Casirate, dove risiede, e Sassari.

Membro del comitato di redazione della rivista “Annali di Storia dell’Educazione e delle Istituzioni Scolastiche”. Dal 2011, è rappresentante dell’Italia dell’editorial board della rivista internazionale di storia dell’educazione: “Paedagogica Historica”.

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In ambito internazionale svolge un’ormai decennale attività all’interno della comunità dell’International Standing Conference for the History of Education (ISCHE).

La docenza come visiting fellow presso il prestigioso Institute of Education dell’University College of London (UCL) è stata preceduta e seguita da conferenze a Ginevra, Umea, Amburgo, Utrecht, Amsterdam, Cambridge, Berlino, Riga, Istanbul. Nel dicembre 2015 alla Casa della cultura italiana di Londra presiederà la sessione del convegno Educating Italy nella quale farà il punto, con altri colleghi, sulle nuove acquisizioni nell’ambito dello studio della storia dell’istruzione in Italia. c. tab.

Servizio fotografico a cura di Enrico Appiani

Scuola: a Treviglio non manca nulla di Cristina Signorelli

La nostra è una città di servizi, ovvero tra i punti di forza che offre ai comuni della zona, la scuola è tra i più importanti e sotto tutti gli aspetti. Nell’offerta formativa si può scegliere anche tra istituti confessionali o laici

T

reviglio “Città che offre una vasta scelta di scuole di ogni ordine e grado”, è stato una specie di mantra che da sempre io, trevigliese doc, ho sentito ripetere nel corso degli anni ed in effetti non si tratta di un semplice ritornello.

Infatti, a partire dalla scuola dell’infanzia, la cosiddetta materna, fino alla scuola secondaria di secondo grado, i licei, gli istituti tecnici e i professionali, troviamo nel Distretto Scolastico Trevigliese ampia rappresentanza di tutti gli ordini di scuole, con una importante presenza di istituti privati che completano ed integrano la già considerevole proposta pubblica, ospitando complessivamente quasi diecimila studenti ogni anno.

Garantire il diritto allo studio, come previsto dalla Costituzione, si traduce nella realtà anche

attraverso l’offerta ai giovani cittadini e alle loro famiglie della possibilità di scegliere una formazione culturale e professionale adatta ad ogni individuo, viatico essenziale all’inserimento nel mondo dei grandi. Quindi superato il momento della scuola primaria e secondaria per il giovane studente diventa decisivo compiere la scelta giusta, che normalmente deve tenere in considerazione diversi aspetti. Uno tra gli altri è la qualità della scuola prescelta, valutazione assai complessa da effettuare, per facilitare la quale da un paio d’anni è stato sviluppato un particolare progetto Eduscopio (vedi sito web) che pur con chiari e dichiarati limiti può fornire ai genitori e agli studenti un ulteriore elemento di conoscenza dell’istituto scolastico esaminato.

La riforma del 2010 ha riorganizzato la

Scuole primarie

Cesare Battisti, Attilio Mozzi, Edmondo De Amicis, Gian Maria Bicetti, Istituto Salesiano Don Bosco, Collegio degli Angeli, Istituto Facchetti, San Martino.

Scuole second. I° grado

Scuola Media Statale Cameroni, Tommaso Grossi, Istituto Salesiano Don Bosco, Collegio degli Angeli, Istituto Facchetti.

Scuole second. II° grado

Simone Weil (Liceo Classico, Liceo Linguistico, Liceo Artistico), Galileo Galilei Caravaggio (Liceo Scientifico, Liceo Linguistico), Guglielmo Oberdan (Istituto Tecnico

scuola superiore di secondo grado ridefinendo i licei, gli istituti tecnici e quelli professionali. Il provvedimento si era posto l’obiettivo di mettere fine alla enorme frammentazione (204 istituti tecnici e ben 396 licei) originatasi dalle molte sperimentazioni realizzate a partire dagli anni ’90. L’applicazione del nuovo regolamento ha riordinato tutti i percorsi di studio superiore in sei licei (classico, scientifico, linguistico, artistico musicale e coreutico, scienze umane), gli istituti tecnici (economico e tecnologico) divisi in undici indirizzi di studio e gli istituti professionali (industria, artigianato e servizi) suddivisi in sei indirizzi. Oggi, con la nuova riforma chiamata dal governo Renzi “La buona scuola” si punta a una maggiore autonomia degli istituti scolastici, dando maggiori poteri al dirigente anche nella scelta dei docenti, sulla base delle esigenze e delle caratteristiche dell’istituto. Un aspetto fondamentale della riforma è poi quello dell’alternanza scuola-lavoro, che dovrebbe uscire dall’occasionalità e diventare strutturale: previste almeno 400 ore di stages nell’ultimo triennio dei tecnici e dei professionali e 200 in quello dei licei. Dovrebbe, a tal fine, essere istituito un Registro Nazionale in cui saranno raccolti enti e imprese disponibili a svolgere i percorsi.

Dunque Treviglio, come evidenziato nel riquadro che elenca tutte le scuole presenti nel distretto, si candida ad essere un polo attrattivo di tutto rispetto, non solo per la formazione scolastica che offre, ma anche per una radicata presenza di realtà lavorative che possono davvero contribuire a una formazione completa e moderna dei nostri ragazzi.

Economico -Amministrazione, Finanza, Marketing, Liceo Scienze Umane), Gaetano Cantoni (Istituto Tecnico Agrario, Istituto Professionale per Agricoltura), Oreste Mozzali (Istituto Professionale Industria ed Artigianato - Meccanico, Elettrico), Augusto Righi (Istituto Tecnico Industriale), Zenale e Butinone (Istituto Tecnico Grafica/Turismo, Istituto Professionale Servizi Commerciali), Istituto Salesiano Don Bosco (Liceo classico, Liceo scientifico, Istituto Tecnico Costruzioni, Ambiente, Territorio, Istituto Professionale Servizi commerciali), Istituto Facchetti (Liceo scientifico, Liceo sportivo, Liceo linguistico), Collegio degli Angeli (Liceo scienze umane).

C. S. Ottobre 2015 - la nuova tribuna -

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Servizio fotografico a cura di Enrico Appiani

Speciale/Treviglio Scuola

Il fenomeno della frequenza discontinua Nessun problema di abbandono scolastico alle elementari, invece qualche rara defezione tra ragazzi stranieri che rientrano in patria. Preoccupa il fenomeno della frequenza discontinua che «non va sottovalutato»

P

er abbandono scolastico s’intende l’uscita dello studente dal sistema scolastico prima che si concluda il ciclo cui era iscritto. Già il termine “abbandono” ha una connotazione negativa: rimanda a una realtà rimasta senza aiuto, senza guida, trascurata. Se, poi, a essere esclusa è una persona, in alcuni casi addirittura un minore, la questione si complica fino ad assumere connotazioni etiche e a generare costi politici ed economici molto alti.

A Treviglio il fenomeno è quasi completamente azzerato nel primo ciclo di istruzione, ossia nella scuola primaria (ex scuola elementare) e nella scuola secondaria di I grado (ex scuola media inferiore), ambiti in cui vige l’obbligo dell’istruzione scolastica.

Lo conferma la Dirigente dell’Istituto Comprensivo (IC) “Tommaso Grossi”, Nicoletta Sudati, secondo la quale: «In questo primo biennio di Istituto Comprensivo Grossi non si rileva alcun abbandono scolastico.

Solo alunni con cittadinanza non italiana che rientrano nel Paese d’origine senza far ritorno. In rete con l’I.C. De Amicis e la Cooperativa Dosankos è stato attuato un progetto contro la dispersione scolastica (Bando regionale) per l’anno scolastico 2014/15 e proseguirà anche nell’a.s. 2015/16».

Dello stesso parere è Donatella Finardi, dirigente scolastica dell’IC “Edmondo De Amicis”: «Il fenomeno degli abbandoni scolastici è sostanzialmente assente nelle nostre

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scuole, sia primarie che secondarie di 1° grado. Alla scuola primaria tutti i bambini concludono regolarmente l’intero percorso scolastico e alla scuola secondaria vi sono solo rarissimi casi (di norma 1 o 2 all’anno) di studenti che non concludono l’iter da noi perché, di concerto con la famiglia, si elabora un progetto per il passaggio al CPIA (Centro per l’Istruzione degli Adulti), che ha sede a Treviglio all’interno dei locali dell’istituto superiore Mozzali, ora Archimede.

Si tratta di studenti già quindicenni o sedicenni, per i quali l’ambiente della scuola media non è più idoneo né motivante e che completano pertanto il percorso scolastico con maggiore profitto presso il CPIA, dove vengono accolti e seguiti da personale attento e competente».

A sinistra l’Elementare De Amicis, sopra l’Oberdan. sotto la Dirigente della “Tommaso Grossi”, Nicoletta Sudati

La dirigente Finardi evidenzia, poi, due situazioni problematiche presenti nel mondo della scuola. Delle due, quella della “frequenza discontinua” ritengo non vada sottovalutata, ma monitorata e analizzata con tutta l’attenzione che merita. È forse “figlia” di una scuola dell’obbligo non più appetibile e di una didattica che forse dovrebbe riprogettarsi? Per capire la natura del problema e trovare le soluzioni adeguate, anche la famiglia dovrebbe sentirsi impegnata a fare la propria parte con molta responsabilità.

Così la professtressa Finardi: «Nonostante la realtà dell’abbandono scolastico sia inesistente nelle nostre scuole, vi sono però due altri fenomeni che sono comunque connessi al problema più generale della dispersione scolastica: 1. il preoccupante aumento di alunni con una frequenza discontinua, non giustificata da problemi di salute, sia alla primaria che alla secondaria di 1° grado; al momento si tratta ancora di situazioni numericamente molto residuali, percentualmente attorno al 2% circa, ma il fenomeno sembra essere in aumento e segnala una perdita di attrattività della scuola, anche come momento aggregante; preoccupa inoltre il fatto che le famiglie interessate siano consapevoli del problema ma sembrino non viverlo come tale, come se la semplice lamentela del figlio per l’inevitabile fatica che l’impegno scolastico comporta fosse elemento sufficiente per giustificare l’assenza da scuola; 2. la situazione degli alunni stranieri che rientrano nel Paese di origine. Mentre per i trasferimenti da una scuola all’altra all’interno dell’Italia è attiva una procedura precisa di scambi informativi fra le segreterie scolastiche per il monitoraggio dell’assolvimento dell’obbligo, tale percorso non è al momento attivo per i trasferimenti all’estero (sia all’interno che all’esterno dell’UE), pertanto non vi è certezza circa la prosecuzione della frequenza scolastica di questi alunni».

L’abbandono nelle scuole superiori di Carmen Taborelli

Alle superiori spesso si rompe il patto formativo tra lo studente e la scuola. Gli abbandoni scolastici: in Europa il 13%, in Italia il 33%, in Provincia di Bergamo il 18%, la Lombardia raggiunge il 29,8%

S

i è alzato il livello di scolarizzazione, ma nello stesso tempo è però aumentato il numero degli studenti che abbandonano molto presto la scuola, e molti lo fanno prima di aver conseguito un titolo di studio.

Come precisato nel servizio riportato accanto, il fenomeno dell’abbandono scolastico è quasi completamente azzerato nel primo ciclo di istruzione, salvo qualche elemento di criticità, quello, ad esempio, delle assenze non giustificate.

Assai preoccupanti sono, invece, i dati del secondo ciclo di istruzione, quello, per intenderci, riguardante la scuola secondaria di II grado (l’ex scuola media superiore), di durata quinquennale.

In questo settore, a livello nazionale, uno studente su tre abbandona la scuola senza aver completato gli studi.

Si tratta di un fenomeno che colpisce anche le regioni settentrionali, dove il dato più allarmante si registra proprio in Lombardia, con il 29,8%, seguita dalla Toscana con il 28,4% di ragazzi persi per strada prima della conclusione del loro percorso scolastico.

Nella nostra provincia il tasso di abbandono, raggiungendo il 18% circa, è superiore di cinque punti alla media europea, che si assesta al 13%. Percentuale quest’ultima che, come previsto dal piano strategico “Europa

Nella nostra provincia il tasso di abbandono, raggiungendo il 18% circa, è superiore di cinque punti alla media europea, che si assesta al 13%.

2020”, dovrebbe ridursi al 10%. L’Unione Europea ha, infatti, piena consapevolezza che «i ragazzi che lasciano la scuola sono più soggetti alla disoccupazione, hanno bisogno di più sussidi sociali e sono ad alto rischio di esclusione sociale, con conseguenze sul benessere e la salute. Inoltre, tendono a partecipare meno ai processi democratici».

Con delibera n° 138 del 21 marzo 2011, la Giunta provinciale di Bergamo ha approvato un protocollo di intesa per realizzare una rete territoriale tesa a prevenire la dispersione scolastica.

Sempre a livello provinciale, sono nati i Centri Territoriali per l’Inclusione, e, nella Bassa Bergamasca, è stato siglato un protocollo d’intesa tra le scuole di trentacinque Comuni per «costruire una cultura inclusiva».

In attesa che i progetti e i piani strategici producano gli effetti auspicati, possibilmente in tempi non biblici, il fenomeno degli

abbandoni scolastici resta in tutta la sua gravità. Assistiamo, ogni anno, al ripetersi di fallimenti, di divorzi non consensuali tra scuola e studente, di rotture definitive del patto formativo tra il ragazzo e l’istituzione scolastica.

Eppure il nostro sistema scolastico è nato per essere inclusivo, capace di «accogliere le diversità/differenze e di costruire percorsi personalizzati capaci di portare ciascuno studente al massimo livello possibile di formazione».

Analizzare le cause del fenomeno, di per sé molto complesso specie per le tante variabili in gioco, porterebbe troppo lontano. Limitiamoci allora a un approccio meno problematico e dai risvolti locali con l’aiuto di Giuseppe Pezzoni, assessore alla Pubblica Istruzione e Cultura, nonché sindaco del Comune di Treviglio, al quale abbiamo posto le seguenti domande: 1. - Quanto è consistente il fenomeno dell’abbandono scolastico negli istituti superiori statali della nostra città?

2. - La scuola non statale è più “virtuosa”?

3. - Il tasso di abbandono tra gli stranieri presenti in Italia è superiore al 44%. E da noi?

4. - Risulta che ad abbandonare la scuola siano soprattutto gli studenti maschi. Perché?

5. - Quali sono le competenze dell’Amministrazione Comunale per azzerare o almeno per contenere gli abbandoni?

6. - La scuola è “attrezzata” per fare un’azione preventiva, ossia per individuare fin dalla scuola elementare gli alunni a rischio di esclusione?

Nonostante la disponibilità di Pezzoni, le domande sono rimaste senza risposta perché ancora non si conoscono i dati locali sui quali poggiare la riflessione. Sono note, anche in rete, le percentuali europee, italiane, regionali e provinciali relative agli abbandoni scolastici nelle scuole superiori. Quelle trevigliesi, ancora, no.

Resta, comunque, l’impegno di riprendere la trattazione dell’argomento, non appena i Dirigenti scolastici forniranno i dati richiesti.

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Speciale/Treviglio Scuola

I nostri giovani che ritornano alla terra

Attività casearia, agriturismo, manutenzione del verde, zootecnia: questi i sogni di quattro ex allievi dell’istituto agrario (Giorgio Cornelli, Mirko Buratti, Marco Costanzo, Davide Nava), che raccontano sogni e progetti

S

ognavamo mio marito ed io, una volta andati in pensione, di semplificare la nostra vita, di vivere in modo essenziale in collina, in una casetta rustica, con un piccolo orto e qualche gallina per garantirci due uova e un buon brodo.

Spesso però i sogni svaniscono ancor prima dell’alba. E allora? Allora eccomi qui a guardare con simpatia e apprezzare il ritorno alla terra e alla zootecnia dei nostri giovani.

Un ritorno che favorisce anche un modo di vivere più semplice, e che, se vissuto correttamente, permette di non perdere il rapporto rispettoso, quasi sacrale, che lega l’uomo alla terra.

Da qualche parte ho letto che «La terra ha prodotto nei secoli una categoria di persone sane di mente e di corpo», persone che, aggiungo io, per avviare oggi un’attività ripongono molte speranze negli aiuti della Comunità Europea e nell’appoggio finanziario delle famiglie. Hanno queste stesse aspettative quattro ex allievi del locale Istituto Tecnico Agrario “A. Cantoni” (Giorgio Cornelli, Mirko Buratti, Marco Costanzo, Davide Nava), che raccontano, con molta lucidità e sano realismo, sogni, progetti, scelte alternative, ma anche le difficoltà per programmare il loro futuro lavorativo.

Giorgio Cornelli, vent’anni, di Treviglio: «Il mio sogno per il futuro sarebbe quello di condurre un’azienda agricola di vacche da latte in ambiente montano, con annessa

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filiera di caseificazione per la produzione di formaggi e suoi derivati, specie il burro e la ricotta, formaggelle, stracchini, po pasta semi-dura, ma anche formaggi tipici della zona.

Per realizzare il mio sogno, oltre ad avere una grande passione e sentimento di sacrificio, occorrono senso del dovere, tanta fortuna e parecchi investimenti economici. Anche se con il progressivo abbandono delle montagne sembrerebbe facile trovare degli appezzamenti di terreni con relativo fabbricato, oggi risulta più difficile trovarli in quanto le persone hanno capito l’importan-

A sinistra e nella pagina accanto l’ingresso all’Istituto Cantoni, poi nell’ordine -da sinistra- gli intervistati Davide Nava, Giorgio Cornelli e Mirko Buratti

za delle montagne nell’ecosistema naturale.

Un piccolo aiuto economico lo potrei ricevere a livello familiare, ma anche a livello europeo, in quanto vengono stanziati dei fondi per i giovani imprenditori agricoli. Oltre a ciò, per chi decide di lavorare in zone svantaggiate, sono riservate particolari sovvenzioni.

Se non riuscissi a realizzare il mio sogno, mi piacerebbe comunque lavorare nel settore agricolo e, nel tempo libero, coltivare la mia passione a livello amatoriale».

Mirko Buratti, vent’anni, di Cassano d’Adda: «Mi piacerebbe, in futuro, aprire un agriturismo oppure diventare un agronomo. Per aprire un agriturismo, occorrerebbe però un elevato investimento di tipo economico.

Per realizzare i progetti che ho in mente, devo innanzitutto concludere gli studi universitari in “Scienze e tecnologie agrarie”, alla statale di Milano, stando sempre al passo con gli esami.

Per quanto riguarda l’agriturismo sarebbe opportuno trovare dei vecchi fondi rustici, con scelta produttiva oculata e fruire degli incentivi che l’Europa mette a disposizione dei giovani imprenditori agricoli con idee innovative. Per diventare agronomo dovrei invece frequentare degli stages universitari in grado di mettermi in luce nel mondo del lavoro, poi superare l’esame di stato e iscrivermi all’albo per praticare l’attività.

Un aiuto per entrambi i sogni arriverebbe dalla famiglia, che mi sosterrebbe dal punto di vista economico. In caso non riuscissi a realizzare nessuno dei miei progetti, opterei

Ritorna il fascino del mestiere dei nonni

La Coldiretti conferma la tendenza, ma volevamo saperne di più riguardo il nostro territorio, sia dal Movimento “Giovane Impresa” che dall’Istituto Cantoni, come risposta, sia da Bergamo che Treviglio, neppure un “No grazie!”

per lavorare nell’azienda di famiglia, che però non opera nell’ambito dell’agricoltura».

Marco Costanzo, ventun’anni, di Ciserano: «Il mio progetto per il futuro è diventare titolare di un’azienda per la manutenzione del verde, con annesso un vivaio e risultare coltivatore diretto.

A mio parere, per realizzare tale progetto occorrono delle doti personali quali: la volontà, l’umiltà e la voglia e di dare sempre il massimo in quel che si fa. Ci vuole però anche un pizzico di fortuna, e poi essere al posto giusto al momento giusto. Purtroppo viviamo in una situazione politico-economica che non vuole aiutare chi veramente vuole aprire con fatica una propria attività. Un aiuto potrebbe arrivare dall’Unione Europea che stabilisce dei fondi per i giovani che vogliono diventare imprenditori agricoli».

Davide Nava, vent’anni, di Roncello (Monza Brianza): «Avendo già un’azienda agricola avviata da mio nonno nel secondo dopoguerra, il mio progetto per il prossimo futuro è l’implementazione dell’attività relativa all’allevamento del suino e relativa macellazione, trasformazione e vendita diretta, in modo tale da chiudere la filiera all’interno del centro aziendale.

Mi rendo conto che l’obiettivo non sarà facilmente raggiungibile, perché bisogna farsi conoscere non solo nella propria zona, ma sconfinare in altre province, in altre regioni e soprattutto in altri paesi. È l’estero il vero obiettivo, dove il fenomeno dell’italian sounding è ben consolidato.

L’aiuto più importante ovviamente arriva da mio padre; insieme lavoriamo in azienda, seguendo il processo di trasformazione e vendita dei nostri prodotti. Inoltre anche la rete Campagna Amica di Coldiretti ci permette di essere conosciuti dal consumatore interessato al km 0, grazie ad eventi organizzati come i Farmer’s market, oppure quelli organizzati all’interno del proprio padiglione in Expo, dove ogni giorno porta agricoltori da tutta Italia, i quali espongono i propri prodotti al mondo».

Carmen Taborelli

Coldiretti di Bergamo, sia della Dirigente scolastica del locale Istituto Tecnico Agrario “A. Cantoni”. Proposito vano, rimasto sulla carta. Nonostante la richiesta scritta inviata mesi fa, nonostante i successivi solleciti, silenzio assoluto su entrambi i fronti. Eppure sarebbe bastato un semplice e garbato: «No, grazie!».

Al loro posto, lascio molto volentieri che a parlare sia Roberto Moschino, con la sua bella poesia:

Nei campi

La terra arrochita prende colore si schiude alla luce dell’alba rivede nel lento passare i visi intagliati le mani callose, chi sa l’amaro prezzo del pane.

Di sotto il sole nudo, incavo di mano piagata semina la sua favola antica di umana taciuta rinuncia.

A sera quando degli archi la soglia le stelle vede varcare, la sua ira nel profondo tace, la falce fa specchio alla luna.

Per ogni stilla di sudore ai campi cresce una spiga. (c. t.)

Servizio fotografico a cura di Enrico Appiani

I

nostri giovani sembrano sognare il lavoro dei loro nonni; sognano un futuro legato alla terra. I dati sull’agricoltura, diffusi di recente da Coldiretti, confermano questa tendenza. Nell’anno scolastico 2013-2014, ben 60mila studenti su un totale di 262mila hanno scelto un indirizzo legato all’agricoltura, all’enogastronomia e all’ospitalità alberghiera.

Il maggior incremento si registra però a livello universitario; le immatricolazioni alle facoltà di agraria sono salite del 45%.

Sempre secondo Coldiretti il 54% dei giovani preferisce la vecchia agricoltura rispetto a lavori magari più moderni ma più stressanti. Il settore più gettonato è l’agriturismo. Anche fare il cuoco e l’agricoltore rientra nei sogni dei nostri giovani, che ovviamente mirano a un posto di lavoro che permetta di organizzare e dare un po’ di sicurezza al loro futuro. Nel settore agricolo, il dato occupazionale è positivo. Rispetto al passato, è aumentato dello 0,7%. Certo, è un incremento molto contenuto, ma è pur sempre un segnale che fa ben sperare.

Per conoscere la situazione del nostro territorio, avevo in mente di inserire, a questo punto dell’articolo, qualche considerazione/riflessione sia del delegato del Movimento “Giovani Impresa” della

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Speciale/Treviglio Scuola

Scuola e mondo del lavoro si parlano? di Daniela Regonesi

Breve sondaggio sull’efficacia dell’offerta scolastica del territorio trevigliese nel dare risposta alle esigenze del mondo del lavoro. Abbiamo sentito Francesco Ghilardi di Confartigianato e Oscar Fusini dell’Ascom Bergamo

P

roponiamo una mini-inchiesta sull’efficacia dell’offerta scolastica del territorio trevigliese nel dare risposta alle esigenze del mondo del lavoro: hanno collaborato con noi Francesco Ghilardi, capo Polo di Treviglio per Confartigianato Bergamo e Oscar Fusini, direttore di Ascom Bergamo. Abbiamo innanzitutto chiesto di dare una valutazione complessiva dell’offerta formativa delle scuole superiori dell’area trevigliese, ed è emerso che l’associazione votata alla rappresentanza di commercio, turismo e servizi non è in grado di rispondere perché non conosce abbastanza la realtà della Bassa bergamasca. Ancora una volta scontiamo una certa distanza, forse ben più dei 22 km che fisicamente ci separano, dal nostro capoluogo di provincia. Il delegato degli artigiani si esprime invece favorevolmente, definendo l’offerta «soddisfacente, sia per quanto riguarda la programmazione, sia per l’ampio ventaglio di diversificazione e, non ultimo, il grado di istruzione ottenuto alla fine di quasi tutti i percorsi formativi intrapresi».

Abbiamo quindi domandato quali siano le eventuali lacune da colmare e quali le necessità del settore per il prossimo futuro: il dott.

Fusini sostiene che «serve un buon collegamento tra scuola e impresa, perché succede ancora che chi esce dalla scuola non è in grado di affrontare il nostro mondo del lavoro fatto anche di tanti sacrifici, perché capita di lavorare di sera, nei fine settimana e nelle festività, quando gli altri sono a

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divertirsi o a riposarsi. Tra le lacune ci sono sicuramente le “occasioni ponte”, ossia gli stage in azienda sia durante che dopo il percorso scolastico. Sarebbe necessario un inserimento graduale dei diplomati con minori oneri per i datori di lavoro. Bisogna tornare a lavorare sull’apprendistato per costruire la professionalità, ma ci sono delle rigidità normative ancora da superare». Dal canto suo Ghilardi sottolinea come sia «ormai storico che le scuole superiori e le offerte formative in atto non vadano di pari passo con la richiesta di formazione delle PMI e di tutto il comparto artigiano in genere. Tant’è che i giovani diplomati o addirittura laureati si vedono costretti ad affrontare ulteriori corsi di formazione per poter avere una opportunità di ingresso nel mondo del lavoro. Alcune decine di anni or sono vi erano delle scuole cosiddette di “Mestiere” che permettevano ai ragazzi di acquisire non solo la teoria di una professione ma, cosa più importante, una manualità specifica e fondamentale per esercitare quella stessa professione. In mancanza di tutto ciò noi artigiani ci ritroviamo a non avere più un ricambio generazionale dal quale attingere e nella maggior parte dei casi si rischia di avere al fianco persone alle quali bisogna infondere anche le nozioni più basilari di una qualsiasi professione».

Entrambi sottolineano il ruolo di rilievo e di supporto che le associazioni di categoria giocano, da qualche anno, nella partita della formazione: per gli artigiani si stanno dedi-

cando «sempre più importanti risorse per la formazione mirata di giovani che si vogliono affacciare al mondo del lavoro, ma anche di imprenditori che intendono ampliare le proprie aziende, con l’obbiettivo di interloquire sempre di più con gli Istituti Scolastici fin dai primi momenti, per decidere l’orientamento dei ragazzi e per comunicare loro l’eventuale richiesta, attuale o a breve termine, del mercato e delle PMI»; per il terziario chi decide di intraprendere un’attività nel settore «deve sapere che la formazione è fondamentale. La diminuzione interna dei consumi e la concorrenza dicono che chi apre una attività non può più improvvisare. Deve essere competente su più fronti: da quello specifico del settore a quello amministrativo e finanziario».

Abbiamo infine domandato se potessero portarci qualche esempio positivo di interazione con la scuola e spiace riportare quanto afferma Ghilardi: «ci risulta ancora abbastanza complicato interagire con alcuni Istituti, ai quali non sembra interessare questa collaborazione (senza conoscerne le motivazioni), tuttavia con altri, come l’Istituto San Vincenzo di Bergamo, siamo riusciti a realizzare il progetto Botteghe della Manualità, dove i ragazzi hanno potuto conoscere, attraverso Docenti Artigiani, il mondo del lavoro, la bellezza di alcune professioni e

Creare collegamenti tra scuola e impresa di Daniela Invernizzi

Foto di Beppe Bodolis

La riforma delle scuola ha messo in primo piano l’alternanza scuola-lavoro, obbligatoria negli ultimi tre anni degli istituti tecnici e professionali. Ne abbiamo parlato con Giovanni Grazioli, presidente BCC e referente locale per Confindustria

A sinistra Oscar Fusini (Asscom), sopra Francesco Ghilardi (Confaartigianato). A destra Giovanni Grazioli (Confindustria) presidente Bcc Treviglio.

Sotto da sinistra il liceo Simone Weil, poi il professionale Zenale e Butinone, quindi il Collegio degli Angeli

il fascino di altre». Lo stesso esempio viene ricordato positivamente anche da Fusini, che cita anche collaborazioni, sulla tematica della legalità, con l’Istituto Galli di Bergamo e con le scuole elementari di Clusone, nonché l’annuale giornata formativa, organizzata col Rotary, indirizzata agli istituti superiori della bergamasca per l’orientamento nella scelta della facoltà universitaria, e la collaborazione dello scorso anno con l’ABF di Treviglio sul tema della tipicità dei prodotti e della cucina.

Per dovere di cronaca ringraziamo Sara Belotti che ci ha parlato del Centro Sviluppo Commercio Turismo e Terziario (CESCOT) di cui è responsabile: è un ente di formazione emanazione di Confesercenti, accreditato alla Regione Lombardia per l’erogazione di servizi di formazione superiore e continua di imprese e dipendenti. Ha istituito un tavolo di lavoro chiamato “Polo Turistico”, all’interno del quale vi sono alcune aziende, Bergamo Sviluppo e le scuole, tra le quali l’Istituto Zenale Butinone di Treviglio.

L

a necessità di creare collegamenti costanti e sinergie fra il mondo del lavoro e la scuola è da sempre un punto importante delle riforme scolastiche che si sono succedute negli ultimi decenni, con risultati altalenanti: positivi per alcune realtà, molto meno per tantissime altre. Ma lo scollamento della scuola rispetto al mondo del lavoro e la distanza, spesso abissale, fra ciò che viene insegnato nelle aule e ciò che viene richiesto dal mondo reale non possono più essere tollerati in un mondo globalizzato e sempre più competitivo. Anche l’ultima riforma, quella detta “La buona scuola” del governo Renzi, pone tra i suoi punti fondanti proprio l’alternanza scuola-lavoro, obbligatoria negli ultimi tre anni degli istituti superiori per almeno 200 ore l’anno.

Ci siamo dunque chiesti qual è la situazione dell’offerta formativa delle scuole di Treviglio e se sia utile al mondo del lavoro che caratterizza il nostro territorio, sottoponendo la questione a diversi rappresentanti dell’imprenditoria locale. Tra questi Giovanni Grazioli, presidente BCC, referente per il territorio di Confindustria.

-Da rappresentante del mondo imprenditoriale, qual è la sua valutazione sull’offerta formativa della scuola superiore di Treviglio e dintorni, dal punto di vista di un ritorno positivo/negativo alle richieste del mondo del lavoro? Ovvero, quali sono, se ci sono, le lacune delle nostre scuole in questo contesto?

«L’area territoriale trevigliese è caratterizzata da una forte presenza industriale, in particolare del settore meccanico chimico.

La recente crisi ha indotto significativi cambiamenti in questi settori; la ricerca di nuove leve di competitività ha spinto le imprese verso due strategie chiave: innovazione e internazionalizzazione. Innovazione significa nuove tecnologie di prodotto, nuove modalità organizzative e di processo alla ricerca di maggiore efficienza. Internazionalizzazione significa invece nuovi mercati. Secondo la recente ricerca realizzata da Confindustria Bergamo con Fondazione Edison e Symbola, l’export bergamasco è aumentato del 350% negli ultimi 10 anni.

Innovazione e Internazionalizzazione si possono sostenere solo attraverso compe-

tenze di eccellenza, continuamente aggiornate e distintive. Da qui la necessità di una scuola orientata alle nuove esigenze e l’impegno di Confindustria a sostegno dell’istruzione tecnica a tutti i livelli. Il territorio trevigliese ha delle grandi potenzialità in questo senso: l’offerta formativa è ampia e la capacità di insegnamento buona e anche integrata con il mondo del lavoro. Le imprese possono collaborare con la scuola sia a supporto dei processi di orientamento, ma, ancora di più nell’alternanza scuola lavoro.

Mi sembra importante sfruttare le opportunità di alternanza scuola lavoro offerte dalla Buona Scuola per tutti gli indirizzi scolastici, non solo per la formazione tecnica e professionale, ma anche per i licei: i ragazzi, messi a contatto con le imprese, si appassionano spesso alle tecnologie e spesso sono fonte di innovazione».

-Quali sono le necessità del settore che lei rappresenta per il prossimo futuro, ovvero, di quali professionisti/lavoratori avreste bisogno?

«Sicuramente tecnici, sia diplomati degli istituti tecnici e professionali, ma anche ingegneri. Nel nostro territorio è evidente il mismatch tra domanda e offerta: il numero degli ingegneri, in particolare meccanici, è Ottobre 2015 - la nuova tribuna -

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Speciale/Treviglio Scuola

Quanto sono sicure le nostre scuole? di Ivan Scelsa

A poche settimane dall’inizio dell’anno scolastico analizziamo la situazione generale, capendone le competenze, le condizioni degli immobili e degli impianti, gli interventi eseguiti sulle strutture

ancora troppo basso.

Interessanti sono le opportunità offerte dal percorsi post diploma, in particolare i percorsi ITS, ancora poco conosciuti dalla famiglie e dai ragazzi. Sono percorsi di formazione che realizzano veri e propri tragitti formativi integrati con oltre 1000 ore in azienda. È ovvio che le aziende non si lasciano scappare questi profili, dopo averli formati proprio sulle loro tecnologie e processi».

- Esistono, o sono esistiti, nel suo campo, esempi positivi di interazione scuola/lavoro (stage, progetti, ecc...)?

«Oggi la partecipazione a stage e progetti è sempre più radicata in molti Istituti Superiori (ITIS, Ragioneria, Istituti Tecnici) e questo offre buone opportunità di conoscenza e di approfondimento.

Nel territorio di Treviglio è presente in particolare un’esperienza virtuosa, quella di ENFAPI: si tratta di un consorzio di aziende, con la presenza di Confindustria Bergamo, che collaborano nella formazione di profili professionali ad indirizzo meccanico. Ormai da 20 anni il consorzio si adopera per la formazione di operatori meccanici e recentemente di operatore per la riparazione dei veicoli a motore, in modo coerente rispetto alle esigenze che le aziende del territorio esprimono. Gli elementi che qualificano questa esperienza sono la revisione costante dei contenuti e delle tecnologie oggetto della formazione, in modo che le competenze dei ragazzi siano allineate rispetto alle richieste del mondo del lavoro, l’attenzione all’alternanza scuola lavoro, per cui le esperienze in azienda sono progettate come veri e propri momenti formativi, il collegamento con le altre scuole del territorio per condividere progettualità. A partire da questa esperienza sulla formazione professionale, Enfapi è divenuto un punto di riferimento per le imprese del territorio relativamente alla formazione professionale: sono state avviate iniziative di formazione per apprendisti, formazione continua per i dipendenti, attività di post diploma per i ragazzi in cerca di una specializzazione».

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C

on la riapertura delle scuole ritorna, tra i tanti, il pensiero dei genitori sullo stato di sicurezza degli edifici scolastici. Gli eventi spesso drammatici che, a livello nazionale, si sono susseguiti nel corso degli anni hanno di certo catalizzato l’attenzione dell’opinione pubblica sull’argomento. Ad onore di cronaca, però, dobbiamo dire che questi sono stati concomitanti con fenomeni vulcanici e sismici registrati in aree geografiche lontane dalla nostra realtà e ben note poiché soggette al loro verificarsi.

Ma più recentemente il tema della sicurezza dei plessi è diventata quasi un’emergenza nazionale sulle spinte emotive che hanno finito con lo spegnersi in breve tempo a fronte della limitatezza delle risorse economiche disponibili. Ai Comuni, proprietari e manutentori degli edifici, spetta infatti l’obbligo di programmare gli interventi e le priorità con strumenti finanziari straordinari sorretti in buona parte dal Governo centrale che recentemente, pur avendo programmato dette spese con il decreto della ‘bella scuola’, ha di fatto soltanto sfiorato la possibilità di mettere mani seriamente ad un argomento da sempre spinoso ed oneroso. Parliamo, infatti, di soli 20.000 euro (Iva compresa…) stanziati a favore delle scuole del comune di Treviglio, specificatamente destinati alla ritinteggiatura delle aule. Ma il resto, il grosso dei problemi e dei costi che le amministrazioni locali devono sobbarcarsi, rimane un altro problema.

Il programma di interventi sui plessi, infatti, è articolato in piani annuali attuativi, predisposti in relazione all’urgenza, la cui complessità porta i Comuni a dovervi assolvere sobbarcandosi l’intero, oneroso, costo d’intervento con relativa, conseguente necessità di reperire le risorse necessarie per dare il via ai lavori. È bene ricordare come la gestione delle scuole ed i relativi oneri di mantenimento, siano da tempo stati separati con una ripartizione che ha portato i Comuni ad essere responsabili dell’edilizia scolastica di asili, scuole materne, scuole elementari e scuole medie e le Province per le scuole medie superiori.

Ne abbiamo parlato con l’Assessore ai Lavori Pubblici del Comune di Treviglio, Basilio Mangano e con il geometra Massimo

Bertelli, Ispettore Tecnico Direttivo che da oltre trent’anni si occupa di edilizia scolastica che ci ha fornito i dati e la cronologia degli interventi susseguitisi nel tempo nell’area di competenza del Comune di Treviglio.

Ultimo in ordine temporale l’intervento effettuato presso le scuole elementari ‘Cesare Battisti’ di via De Amicis, il cui impegno economico dell’operazione è stato di 350.000 euro (di cui 140.000, ricordiamolo, finanziato dalla Regione Lombardia) e che ha visto un importante adeguamento statico che ha interessato più di una trentina di punti critici rilevati nel plesso, dando il via a lavori di consolidamento della struttura che, nei mesi di chiusura estiva, sono stati ultimati in tempo utile per consentire il regolare inizio del nuovo anno scolastico. Di conseguenza, i dati raccolti sono stati studiati per mappare ed evidenziare le aree di criticità della struttura stessa in caso di evento sismico, con interventi volti ad evitare che l’edificio possa crollare su se stesso. Questi lavori, in parte, si sono resi necessari per la tipologia stessa della struttura del plesso, costruita in più riprese tra gli anni Cinquanta (la parte in mattoni rossi) e gli anni Settanta (quella in calcestruzzo).

Ma a parte quest’intervento, è importante sottolineare come tutte i plessi scolastici si-

L’Assessore ai Lavori Pubblici Basilio Mangano durante una conferenza stampa. A destra le elementari Mozzi, in centro le medie Grossi e sotto le elementari De Amicis

Gatti’, invece, subisce un ulteriore intervento anche l’anno dopo con la sostituzione dell’impianto di illuminazione con lampade a risparmio energetico e la conversione al fotovoltaico.

Emerge, quindi, l’ottimo stato di salute delle strutture scolastiche trevigliesi che non presentano particolari criticità se non un diverso livello di sicurezza antisismica dovuto prevalentemente all’anno di costruzione dello stabile che è da ritenere assolutamente soddisfacente. Effettuati con cadenza periodica e di priorità, gli interventi di manutenzione diventano una routine temporale che ha consentito (e consentiranno) alle diverse giunte di programmare i lavori manutentivi.

Per gli anni a venire, sicuramente da inserire a calendario il rifacimento del tetto della scuola ‘T. Grossi’ e la possibilità di migliorare i servizi igienici della scuola ‘Cameroni’: due interventi che lo schieramento politico che guiderà il Comune dal prossimo quinquennio dovrà necessariamente mettere a preventivo.

Foto di Enrico Appiani

ano attentamente monitorati e seguiti nella loro manutenzione, ordinaria e straordinaria. Nello specifico parliamo di 12 scuole -2 asili, 4 scuole materne, 4 scuole elementari e 2 scuole medie- la cui costruzione risale, in alcuni casi, agli albori del secolo scorso.

Gli asili di via Locatelli e via Trento: il primo risale ai primi anni Cinquanta, il secondo agli anni Ottanta. Sono entrambi corredati di certificazione degli impianti elettrici e termici nonché di Certificato Prevenzione Incendi (CPI) a seguito di importanti interventi effettuati nel corso degli anni e dell’adeguamento a quanto previsto dalla normativa del 2014.

Le scuole materne di via Casnida, di via Monsignor Begnamini, di viale Piave e della frazione Geromina: sono state costruite negli anni Ottanta (ad eccezione dell’ultima, composta da 4 sezioni e realizzata nel 2004 in conformità a più rigide certificazioni antisismiche) e già sul finire degli anni Novanta sono state interessate da un considerevole ampliamento, con la creazione di nuove sezioni e spazi aggregativi multidisciplinari

abbinati ad interventi di controsoffittatura e certificazione degli impianti. Nello specifico, poi, la scuola ‘Cerchio Magico’ di via Casnida, con la ristrutturazione del 2014, è stata dotata di un impianto fotovoltaico che non solo le consente l’autonomia energetica, ma anche di essere produttrice del servizio per terzi.

Le scuole elementari di viale Partigiano, di via C. Battisti, di via A. Vespucci e della Geromina: sono state costruite in un arco temporale compreso tra il 1890 ed il 2007, quindi ben diverse l’una dalle altre. La prima, la più ‘vecchia’, nel 1991, 1998 e 2005 ha subito importanti lavori volti all’adeguamento dei servizi igienici e degli impianti elettrici, alla creazione delle scale antincendio e al consolidamento strutturale e messa norma dello stabile.

La seconda scuola, risalente al 1952, ha subito un importante ampliamento negli anni Settanta con la creazione di un secondo corpo strutturale ed una ristrutturazione con certificazione impianti nel 1999. Lo scorso mese di agosto, poi, è stato migliorato lo standard alle normative sismiche con un consolidamento delle strutture. Analoga la cura per l’istituto della zona Nord, la cui ristrutturazione è stata effettuata nel 2008.

Discorso a parte per il “Bicetti” della Geromina che, costruito nel 2007, usufruisce sin dall’origine di tutte le certificazioni e dell’impianto fotovoltaico che venne posato insieme a quello delle vicine scuole materne.

Le scuole medie di via Bellini e via Colleoni: due strutture nate a distanza di settant’anni l’una dall’altra; la prima, del 1900, ha vissuto l’adeguamento strutturale a metà anni Novanta, con il rifacimento degli impianti elettrici, dei solai, delle facciate, delle scale antincendio e dell’abbattimento delle barriere architettoniche.

La seconda, invece, è stata oggetto di ristrutturazione nel 2003 con l’interessamento delle facciate, dei serramenti e porte interne, dei cortili, dei servizi igienici che l’hanno portata ad ottenere tutte le certificazioni ad eccezione del Certificato Prevenzione Incendi per cui è in corso la pratica.

Analogo discorso per le palestre di via Bellini e via Rossini, nonché per le altre adiacenti le scuole: tutte sono state oggetto di analoghe attenzioni. La prima, risalente al 1936, solo tre anni fa è stata oggetto di adeguamento strutturale e di rifacimento delle facciate. Per lei, nel 2016, è previsto un progetto esecutivo di riqualificazione degli spogliatoi, dei servizi igienici ed adeguamento statico delle aree indicate che verranno coibentate con spese a carico del Comune e del CONI che, sembrerebbe, parteciperà a sovvenzionare parte della spesa. Ristrutturata nel 2011 con adeguamento dei servizi igienici, consolidamento della copertura (che è divenuta con travi in legno per aumentarne la resistenza alla sismicità), la palestra ‘A.

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Treviglio Scuola

La “tablet school” anche a Treviglio

L

a tecnologia sta cambiando il mondo, tra cui quello delle scuole. È, infatti, già da qualche anno che si sente parlare di “tablet school”, in altre parole di una scuola non più basata su libri di testo cartacei e quaderni per appunti, bensì sul tablet. Un’iniziativa spesso definita “green” in quanto volta al risparmio di risme cartacee, la tablet school sta avendo una larga diffusione nelle scuole superiori. A Treviglio, la tablet viene già utilizzato in alcuni classi dell’Istituto Salesiano Don Bosco, dell’Istituto Facchetti e del Liceo Simone Weil. L’acquisto del tablet costituisce indubbiamente una considerevole spesa iniziale (per quanto sia possibile trovare anche dei modelli low-cost), tuttavia compensata dai prezzi ridotti dei testi digitali, talvolta venduti a meno della metà rispetto alle edizioni cartacee. Inoltre, i cosiddetti e-book permettono di eseguire sottolineature e di aggiungere note a bordo pagina grazie all’applicazione Scuolabook; insomma, la differenza con le edizioni cartacee è praticamente inesistente. Gli ebook hanno anche un altro grande beneficio particolarmente apprezzato dagli studenti: peso zero. Infatti, il tablet consente di concentrare volumi da centinaia di pagine in un unico dispositivo, alleggerendo notevolmente la cartella. È possibile utilizzare il tablet anche per prendere appunti. Matteo Facchetti, ex studente del liceo classico dei Salesiani, sostiene che sia molto più veloce che scrivere a mano, riuscendo così a non perdersi nemmeno una parola del professore: «Questo mi consente di studiare solo ed esclusivamente sugli appunti personali prima di una verifica, senza dover fare ricorso al libro che spesso è molto dispersivo». Inoltre, con programmi come DropBox diventa davvero facile condividere i propri appunti e confrontarli con quelli dei compagni. Ed è così che la lezione, e non solo lo studio degli studenti, ha avuto una nuova svolta: addio a gesso e lavagna. Al suo posto vengono utilizzate lavagne interattive sulle quali, direttamente dal proprio tablet, i professori possono proiettare schemi, testi e video. Inoltre, ci sono dispositivi come il Samsung Galaxy Note che permettono all’insegnante di connettere il proprio dispositivo a quello degli studenti, svolgendo esercizi interattivi, come spiega Matteo. La tablet school è dunque la scuola tecnologica nell’era digitale, mirata non solo a rendere l’insegnamento ancora più efficace, ma anche a fornire agli studenti strumenti per un utilizzo consapevole della tecnologia.

Silvia Martelli Ottobre 2015 - la nuova tribuna -

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Speciale/Treviglio Scuola

La De Amicis: storia di un cambiamento di Lucietta Zanda

I primi bimbi che salirono le gradinate della scuola di Via Zeduro lo fecero nel 1899. Un progetto nato nel 1886 e arrivato a buon fine dopo infinite polemiche con l’Ufficio Tecnico, che però portarono al dimezzamento dei costi

S

iamo agli inizi del ‘900. Il lungo Viale del Partigiano profuma di nebbia nei primi mattini di novembre già così umidi e un po’ freddi. Una leggera bruma avvolge gli scolari diretti alla Scuola Elementare Edmondo De Amicis, una mano a stringere la nera cartella di cuoio con dentro l’abecedario e il sussidiario, l’altra in quella della mamma, severa e un po’ rigida nel lungo abito scuro, i capelli raccolti in una morbida crocchia nascosta dal cappellino.

Un rincuorante abbraccio e via, su per la scalinata d’ingresso dell’edificio scolastico, per poi scomparire all’interno, il braccio teso ancora una volta a salutare la mamma.

L’atmosfera è quella un po’ ovattata e irreale di una sfuocata fotografia in bianco e nero: la strada in terra battuta e ricoperta di foglie ingiallite riporta la memoria dei solchi di qualche carretto o carrozza a cavalli che di lì passano scalpitando. Tutti i suoni sono come sopiti e lontani... È così che doveva essere l’andare a scuola tanto tempo fa.

Il vecchio fabbricato della più antica scuola elementare di Treviglio è rimasto immutato negli anni, con la sua imponente facciata ad inseguire ancor oggi il viale asfaltato e pieno di macchine e rumore. La scenografia è però totalmente cambiata. Sono pochissimi gli scolari che arrivano a piedi accompagnati per mano; per lo più scendono di fretta e furia -per via delle macchine che premono dietro- da lugubri macchinoni tipo tram, piegati in due dai pesanti zaini da trekking sul Kilimangiaro. Oppure -senza paracadute- si lanciano dai sellini tecnologici posti sulla ruota posteriore della bicicletta di qualche mamma, ancora vecchio stampo, che ha preferito fare un po’ di moto. E l’ingresso non è più sul viale ma dal cortile interno. Per via del traffico. Ma come e quando nasce questo edificio che ha accompagnato a scuola i nostri papà e i nostri nonni?

Dobbiamo risalire un po’ indietro nel tempo. Siamo negli ultimissimi anni dell’800.

Anni in cui movimenti e riforme sociali e in campo lavorativo si rincorrevano a sistemare la società che a quei tempi anelava ad un’autonomia territoriale e gestionale sempre più ambita dopo secoli di dominazione.

Ricordiamo per esempio nel 1886 la legge sul lavoro dei fanciulli che ne vietava l’assunzione nelle fabbriche e nelle miniere se

al di sotto dei nove anni. Esce in quell’anno anche il libro “Cuore”, ecco perché il nome alla Scuola elementare. Nel 1888 entra pure in vigore l’obbligo scolastico della frequenza, l’insegnamento della ginnastica e dell’educazione civica e religiosa.

Il corso elementare è definitivamente fissato in cinque anni e diviso in due livelli: le prime tre classi di livello inferiore con l’esame di terza che proscioglierà dall’obbligo e rimarrà fino al 1955 come primo esame scolastico, e la quarta e la quinta superiore.

Si cominciano pure a vedere le prime pagelle che si prestano anche ad essere il primo veicolo di mediazione tra le famiglie e la scuola sul piano sociale e culturale. Insomma una fase nuova della scuola elementare italiana.

E così, già alla fine del 1886, l’allora sindaco di quegli anni Lodovico Mulazzani, sollecitato dall’assessore all’istruzione, decide di proporre al consiglio comunale il progetto già approntato dall’Ufficio Tecnico che con un preventivo di spesa intorno alle 270 mila lire prevedeva la costruzione di un nuovo fabbricato scolastico sulla circonvallazione Zeduro, attuale Viale del Partigiano. Esso doveva ospitare tutte le sezioni delle tre scuole comunali allora funzionanti: Elementare, Tecnica e Normale, la cui funzione didattica preparava all’insegnamento secondario.

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Foto Mario Leoni (Foto Attualità)

Considerando che in ogni caso la facciata del fabbricato doveva continuare con quella già in essere posta all’inizio dell’attuale via Portaluppi -e che vi era già un corpo di edificio costruito sul fondo- tutte le varie parti nuove da costruirsi avrebbero dovuto chiudere la linea perimetrale dell’area lasciando nel mezzo uno spazioso cortile. Il progetto prevedeva oltre l’inserimento di aule di servizi scolastici, anche una mensa e pure i dormitori per gli studenti convittori della Scuola Normale. Questo l’ambizioso progetto destinato ad inaridire ulteriormente le già precarie Casse comunali.

Una proposta tuttavia destinata ad arenarsi se non fosse intervenuto -per incarico del Ministero della P.I.- un personaggio di spicco nell’ambiente scolastico d’allora, il prof. cav. Giovanni Lovadina. Seguace del grande pedagogista Friedrich Fröbel, fu lui a costruire il primo giardino d’infanzia qui a Treviglio, insieme a quelli di Belluno e Agrigento. Attento e perspicace, riuscì ad elaborare un progetto intelligente basato sull’accorpamento di spazi e risorse strutturali come i laboratori, le carte geografiche ecc, mettendo tutto a disposizione dei tre diversi indirizzi scolastici pur mantenendone e rispettandone

l’autonomia.

Il che avrebbe portato i costi di costruzione a quasi la metà, circa 140 mila lire.

Ci si sarebbe aspettati un bell’applauso e un brindisi a quest’idea brillante, e invece no.

Si entra così nel vivo della questione.

Il progetto non piace all’ingegner Bonfanti dell’Ufficio Tecnico che critica apertamente e con pungente ironia il Lovadina il quale risponde seccato e in toni piuttosto accesi che non bisognava farne una questione personale, ma che si trattava di agire nell’interesse delle scuole e dei contribuenti. È aperta polemica.

Il sindaco sente di essersi infilato in un guaio ma qualcosa bisogna pur decidere.

Sono un po’ tutti preoccupati, anche la gente normale che teme addirittura che questa irresolutezza da parte dell’Amministrazione possa incidere sulle scuole già esistenti e, tutto sommato, decentemente operative.

Si levano parecchie voci di protesta, i toni si fanno più accesi, insomma l’intera faccenda ha una risonanza notevole e molti sono i suggerimenti che arrivano agli addetti ai lavori. I più interessanti riguardano l’abolizione del convitto della Regia Scuola Normale tanto più che in città ce n’è già uno a garantire seriamente la custodia e l’educazione dei giovani. Alla fine risolve la gravosa situazione stagnante il consigliere Gerosa che, oltre ad elencare i risvolti positivi che l’abolizione del convitto avrebbe portato per l’economia comunale, decreta risolutivamente che è molto più conveniente per lo sviluppo fisico e morale che i giovani vivano al di fuori del convitto.

Tutti, stremati ormai dal tira e molla continuo, convengono che il Gerosa ha ragione.

Il sindaco propone subito -prima che si cambi di nuovo idea- la votazione sia sul convitto che sull’edificio.

Gerosa presenta dunque un O.d.G. per l’abolizione immediata del convitto, forzando leggermente la mano ai votanti con la solenne dichiarazione che “piuttosto di dargli una vita anemica è meglio decretargli la morte”.

Era la frase ad hoc che tutti volevano sentirsi dire e diciassette consiglieri con un bel sospiro di sollievo votano l’abolizione.

Tolto di mezzo il convitto, la situazione

appare semplificata e, dopo altre numerose vicissitudini, finalmente il Consiglio Comunale approva un vecchio progetto dell’Ufficio Tecnico Municipale firmato dall’ingegner Sala: delibera il completamento dell’edificio esistente erigendo due nuovi blocchi. Per una spesa complessiva di 70 mila lire. E ringrazia sentitamente il senatore Giacomo Sangalli che partecipa generosamente all’impresa con ben 10 mila lire.

All’inizio di agosto 1898, dopo mesi di intenso lavoro interrotto spesso dalle avverse condizioni climatiche, finalmente la costruzione del palazzo delle scuole viene portata a termine nelle sue parti principali. E piace.

A fronte di un preventivo di spesa di 70 mila lire, arriva a spenderne 100 mila, giustificando lo sforamento con l’aggiunta dei sotterranei, i caloriferi, le piastrelle di cemento, l’acqua potabile, il gas, le librerie per la biblioteca… i sontuosi marciapiedi di accesso all’edificio ed altri particolari costruttivi.

Ultimata velocemente e con l’impiego di parecchia manovalanza locale, la nuova scuola viene finalmente inaugurata il 9 aprile 1899. È festa grande. Tutti i maggiori esponenti delle autorità civili e militari di Treviglio e di Bergamo vengono invitati a partecipare.

Tra i vari discorsi pronunciati per l’occasione si distingue quello del sindaco, il conte Mulazzani che dopo aver incitato gli alunni alla frequenza scolastica esordisce: «Fra poco in queste aule risplenderà la luce elettrica, ma pur questa verrà offuscata da quella vivissima che si irradierà dalle scienze che qui hanno posto la loro sede». A conclusione vino e dolci per tutti, altro che discorsi, i fatti ci vogliono a coronare una festa! E infine una serata di beneficenza al Teatro Sociale curata dagli alunni del Collegio Facchetti.

Continueranno, negli anni, i nostri figli e i nostri nipoti e pronipoti a frequentare la “Edmondo De Amicis”, continuerà questa nave-scuola ad inculcare in essi il sacro fuoco dell’istruzione, con la stessa solidità la stessa inaffondabile certezza che tutto passa, ma ciò che è stato costruito con passione resta per sempre.

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Speciale/Treviglio Scuola

Il mitico maestro Giovanni Zanovello di Carmen Taborelli

Personaggio poliedrico, educatore rigoroso, ha educato e istruito molti ragazzi, ha vissuto la sua laicità consacrata in forma esemplare al servizio della missione salesiana. Tra i suoi molteplici interessi non mancava lo sport

A

gli inizi del secolo scorso, scoprì una cassa piena di libri. Ad abbandonarla, nella casa salesiana di Treviglio, fu un chierico, che aveva sostenuto con successo gli esami di maestro. Giovanni Zanovello, allora poco più che adolescente, chiese a un educatore: «Che libri sono? Se li studio e poi faccio gli esami, posso diventare maestro anch’io?».

Studiando privatamente con tenacia e determinazione, divenne quel mitico maestro che in tanti ancora ricordano. Ha educato e istruito molti ragazzi, vivendo la sua laicità consacrata in forma esemplare al servizio della missione salesiana. Carattere forte, severo, rigoroso; pretendeva precisione e completezza. Sapientemente “traghettava” i suoi scolari dalla quinta elementare alla prima media.

Memorabili le sue sfuriate e i castighi impietosi: una preghiera ricopiata più volte, uno scapaccione salutare, qualche bacchettata sulle mani data al più discolo e da questi taciuta ai genitori per evitare un supplemento con interessi. E, quando occorreva, gridava davanti a tutti: «Sei un asino!». Oppure, con tono incalzante: «Forza, studiate, imparate, non dovete restare asini; la vita vi aspetta e vi dovete preparare. Non lasciatevi cogliere in contropiede!».

Ha preparato davvero bene i suoi allievi.

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Li ha preparati non soltanto per la promozione agli esami finali, ma all’impegno, all’onestà, alla vita. Talvolta si esprimeva con tenerezza, quando, ad esempio, salutava con un «Ciao, caro», detto con cadenza veneta (era nato a Legnago il 6 febbraio 1896).

Per i suoi spostamenti in collegio usava la bicicletta: il suo “troiano”. Era nera come la sua vecchia zimarra che, d’inverno, portava sopra il vestito. In bicicletta anche per le vie di Treviglio, per andare a trovare gli amici.

«Fu il mio maestro –scrisse, nel 1997, l’ex

direttore della Casa salesiana, don Eugenio Riva- lo ricordo quando veniva a casa nostra in bicicletta, e, con la scusa di raccogliere un po’ d’insalata, seminava il buonumore e coltivava l’amicizia. Aveva il gusto delle cose semplici e genuine e a noi sembrava l’immagine della felicità».

Restano impressi nella memoria di quanti l’hanno conosciuto altri ricordi particolari, come il suo dedicarsi alla cura degli alberi e dei fiori. «A mia mamma –ricorda Arnaldo Bellini– chiedeva i fiori: un mazzo per la chiesa e un altro per abituare noi, suoi allievi, ad apprezzarne la bellezza».

«Io ho imparato a rilegare i libri proprio da lui –ricorda un altro ex allievo-. Dispensava alcuni di noi dalle lezioni e ci obbligava a rilegare i libri con lo spago e la colla fatta con acqua e farina bianca. Eravamo negli anni ‘42-43, in pieno tempo di guerra. I libri andavano rilegati per gli alunni che venivano dopo di noi. Come dimenticare, poi, le vacanze d’estate in Valtellina. Con lui salivamo a piedi da Lanzada fino alla frazione di Vetto.

C’era il tempo per i giochi ma anche per fare i compiti e per imparare a memoria le poesie».

Tra i molteplici interessi di Zanovello non mancava lo sport.

Durante le partite di calcio, restava ai bordi del campo; spronava i giocatori; incitava ora una squadra ora l’altra. Si univa ai suoi ragazzi nelle fasi più esaltanti del gioco.

Era un tifoso, ma non praticava lo sport perché aveva “l’arto inferiore destro rigido”: così sta scritto sul documentato d’identità. Insomma, aveva una gamba “sifulìna”, rigida e quasi sempre gonfia. Un impedimento sul quale era possibile scherzare alle sue spalle. Si divertirono gli allievi più grandi quando convinsero gli scolari di V ele-

La maestra Bianchi e quel fiocco azzurro di Roberto Fabbrucci

mentare che il loro Maestro aveva una gamba di gomma. Maliziosamente suggerirono loro di “saggiarla” con un ago. La gamba ovviamente non si sgonfiò, e un urlo minaccioso percorse tutta la camerata.

Dopo l’insegnamento svolto per circa mezzo secolo, il teatro rappresentò per Zanovello l’interesse più grande. Insegnava a recitare e recitava lui stesso, con arte. Lo faceva non per ottenere applausi, ma per educare nello stile di don Bosco. Recitò quando, finita la Grande Guerra, l’allora direttore dei salesiani, don Matteo Rigoni, decise di mettere in gioco gli studenti, incoraggiandoli a esibirsi alla Casa del Soldato. Molto applaudita fu la sua interpretazione nel bozzetto musicale “Il ciarlone” e nel monologo “Celebrità”. Il nostro personaggio singolare e poliedrico ricoprì anche il ruolo di sacrestano nella chiesina “San Carlo ai Morti”, attigua al Centro salesiano.

Fu attento ai dettagli e alla bellezza della liturgia convinto com’era che, se ben fatta, la liturgia è lode al Signore. Aveva una bella voce da baritono e ci teneva che il canto liturgico fosse dignitoso e solenne. Spesso era là nella chiesina, gli occhi fissi al tabernacolo a “ciacolare” un poco col Signore. «Ciacolò” per iscritto col Signore, vergando il testamento spirituale «di un uomo che visse senza capire e muore fidando solo nella misericordia del Signore. Ringrazio -si legge ancora nel testamento- la Vergine santa che si è dimostrata veramente mamma affettuosa e indulgente e forse troppo remissiva ai capricci di un figlio testardo, incredulo e fanfarone. Ringrazio e chiedo perdono a tutti i miei poveri scolari che hanno avuto il coraggio di sopportarmi. Son vissuto così lavorando più per istinto di natura che per dovere».

Piace ricordarlo ormai vecchio, sereno e sorridente così come appare nella sanguigna eseguita dal pittore e suo ex allievo Giulio Carminati, e nel bassorilievo (dono dell’ex allievo Aresi) posto nell’atrio del Palazzetto a lui dedicato dopo la morte, avvenuta a Treviglio il 29 settembre 1972.

Aveva 76 anni.

Il primo di ottobre del 1950 sotto l’albero nel cortile della scuola con un fiocco azzurro e tanta paura. Beppe Villa “imposto” come compagno di banco. L’inaugurazione dell’ambulatorio e le mattinate dedicate all’igiene dentale

A

llora tutti gli scolari delle elementari avevano il grembiule nero, un colletto di tela gommata bianca, lucida e un fiocco al collo: le bimbe rosa, i maschietti azzurro. Non esistevano classi miste, da una parte i bambini, dall’altra le bambine.

Così ero vestito il primo giorno di scuola dell’1 Ottobre del 1950, quando accanto a mia madre, all’interno del cortile delle Scuole De Amicis e davanti a un albero con un cartello su cui era scritto “Prima A”, avvenne l’incontro che fece nascere la prima amicizia fuori dal quartierino della Montecatini. Evento che trasformò l’appartamento dell’avvocato Rindo Villa nella mia seconda casa per qualche anno.

Io stringevo la mano a mamma, mentre con la sinistra tenevo la cartella con i quaderni e il sillabario, vestito a nuovo con il mio grembiulino, il colletto, il fiocco azzurro e le scarpette ben lucide. Ero terrorizzato come molti bimbi il primo giorno di scuola, ma anche mia madre lo era poiché sotto quell’albero -nel cortile delle Scuole elementari di viale Partigiano- sostava una maestra che pareva appena uscita da un film del ventennio; tutta vestita di scuro, scarponcini di pelle nera, gambali da cavallerizza fino a sotto il ginocchio, capelli raccolti a mugno e un viso duro e severo: la maestra Carla Masciocchi. Insegnante che poi scoprimmo essere l’esatto contrario dell’apparenza: brava, generosa e mite.

Preoccupati forse come noi un’altra mamma e il suo bimbo. Lui castano chiaro ricciolo e con un gran fiocco azzurro, lei minuta, vivacissima ed elegante, Alda Ruffini, moglie di un notabile della città, l’avvocato Rindo Villa. Lei che si guardava attorno tra tutte quelle coppie di bimbi e mamme in attesa, adocchiò noi, poi decisa si avvicinò, prese

Elementari De Amicis in uno scatto di degli anni ‘40, sotto la maestra Bianca Bianchi

la mia mano e quella di suo figlio e disse: “Ecco Beppe, stai con questo bimbo, sarà il tuo compagno di banco”.

La nostra maestra non era però la Masciocchi, ma la maestra Bianchi Bianca, una piccola donna rotondetta, dal viso regolare che fu personaggio autorevole e autoritario a Treviglio. Prima con il fascismo, poi dell’amministrazione democristiana nella quale ebbe il ruolo di assessore negli anni ’60, questo durante i mandati del Sindaco Attilio Mozzi (in carica dal 1946 al 1966).

Un signore alto, elegante e apparentemente burbero, un pittore nato a Bergamo e arrivato a Treviglio per disegnare intarsi preziosi per sveglie, pendole e arredi della ditta dei genitori di sua moglie: la premiata ditta Cassani in via Mazzini. Personaggio del quale diventai dirimpettaio e cordiale amico quando Laura ed io andammo ad abitare in quella palazzina signorile il 14 Giugno del 1975. Giorno del nostro matrimonio.

Un giorno mentre ero in classe accanto a Beppe a fare qualche esercizio, forse in seconda elementare, entrò il direttore accompagnato dalla segretaria, ci squadrò tutti (le classi allora erano composte di una quarantina di bambini) e mi chiese di avvicinarmi.

Mi riguardò, passò una mano sulla mia folta capigliatura riccia e ordinò che mi mettessero un fiocco un po’ più grande. La maestra Bianchi chiese a Beppe Villa di passarmi il suo, mi rifece il fiocco brontolando un “stavi meglio prima”, m’istruì sul compito che stavano affidandomi e mi accompagnò nel corridoio.

In quel luogo stavano affluendo tutte le classi della scuola De Amicis, così mi trovai, imbarazzato ed emozionatissimo -a fianco Ottobre 2015 - la nuova tribuna -

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Speciale Scuola

del direttore e del sindaco Attilio Mozzi- con un piatto argentato tra le mani contenente dell grandi forbico. Attesi la fine dei discorsi delle autorità, quindi allungai il vassoio con le forbici per il taglio del nastro e seguii il corteo che entrava nel nuovo ambulatorio, presidio medico dove una volta la settimana sarebbe arrivato l’ufficiale sanitario a fare un controllo, gruppo per gruppo, degli allievi.

Era il dott. Brizio Vertova, ufficiale sanitario, parente del chirurgo titolare dell’omonima clinica nei pressi della scuola sul Viale Partigiano, poi diventata una scuola privata: l’Istituto Conoscere. Clinica dove avevo aveva tolto le tonsille (senza anestesia ma solo con un po’ d’etere), occasione che mi rimase impressa -oltre che per il dolore- perché fu la prima volta che viaggiai su di un’auto, oltretutto di lusso. Infatti, sapendo dell’intervento, la mamma di Beppe, la signora Villa, si era preoccupata di farmi venire a prelevare con la Lancia Flavia dal cognato Valenti, il proprietario delle fonderie e papà di Vincenzo, mio compagno di giochi.

Il dottor Brizio era assai ruvido e aveva un modo strano di operare durante le periodiche visite di controllo: seduto dietro la scrivania con il Corriere della Sera aperto tra le mani, alzava di tanto in tanto gli occhi dal giornale e chiedeva di tossire, quindi poneva un paio di quesiti: “Stai bene, sei stato malato?”.

Oltre a queste “visite mediche” offerte dalla scuola, una volta l’anno ogni classe era convocata nell’ambulatorio, dove si svolgeva una vera e propria cerimonia alla presenza del direttore, dell’ufficiale sanitario e di qualche assessore o autorità locale. Il medico illustrava la necessità di lavare molto bene i denti. Finito il discorso, il direttore spiegava che avrebbe donato a qualcuno di noi un dentifricio e uno spazzolino. Poi prendeva un foglio e faceva quattro o cinque nomi.

Quello era il momento più tremendo, perché nessuno di noi voleva essere “il fortunato”, quindi marchiato come bimbo proveniente da famiglia in forte disagio sociale.

Infatti, alla fine i compagni che ricevevano lo sgradito dono erano sempre gli stessi, quelli che provenivano dal “Cantù culécc” (traversa di Via Roma e luogo abitato dai più poveri della città), in qualche stabile fatiscente del centro storico o all’interno dell’ex Gil (Gioventù Italiana del Littorio). E se pure sapevamo che non saremmo stati prescelti, il terrore permaneva fino alla fine, tanto che ci ritrovavamo a recitare mentalmente la preghiera “O Gesù d’amore acceso, non ti avessi mai offeso, o mio caro buon Gesù non ti voglio offender più”¸

Associazione Culturale MensCorpore

Il ben-essere passa dalla prevenzione

Prendersi cura di Sé significa per prima cosa occuparsi quotidianamente della salute personale

D

ire che la salute è il nostro bene più prezioso sembra superfluo, quasi scontato.

Talmente scontato che spesso ce ne dimentichiamo, finendo per abusare della resistenza del nostro sistema Corpo-Mente, fino a quando qualcosa si “rompe” in modo più o meno grave. Ecco allora che corriamo ai ripari cercando sollievo nei medicinali o affidandoci a specialisti di vario tipo. Tutto purché ci aggiustino il più velocemente possibile, così da poter ricominciare la nostra vita e archiviare la brutta esperienza. E via da capo fino al prossimo guasto. Inutile dire che questo atteggiamento, sul lungo periodo, non si dimostra particolarmente saggio. Ma non è facile scalzarlo: ci sentiamo spinti verso la ricerca ossessiva di un benessere “materiale esterno”, fatto di oggetti o esperienze eccezionali che ci diano un qualche tipo di piacere temporaneo, dimenticando che ben più fondamentale è il ben-essere che passa dalla cura quotidiana di Corpo e Mente.

Questo è un tratto culturale molto radicato nella nostra società, che ci espone a dei rischi elevati di cui siamo poco consapevoli. Le patologie più diffuse nel nostro Paese (malattie legate al fumo, problemi cardiovascolari e tumori) potrebbero essere ridotte drasticamente se semplicemente si consolidassero stili di vita più salutari. È quindi con l’intenzione

di promuovere una cultura differente che è nata circa un anno fa l’Associazione MensCorpore, che fa della prevenzione e della responsabilizzazione i suoi pilastri fondanti. Il centro propone molteplici attività orientate all’educazione, formazione, informazione e sensibilizzazione su temi legati alla salute e al ben-essere.

Laboratori, seminari e conferenze che offrono a chiunque sia interessato opportunità per imparare ed integrare nella propria vita piccole pratiche per la cura di Sé. Dal punto di vista fisico, emotivo, mentale e spirituale, perché nessuna di queste quattro dimensioni può essere considerata più importante o svincolata dalle altre. Laboratori di Qi-Gong, Yoga, Bioenergetica, Ginnastica Calistenica, Naturopatia, Pratiche di Consapevolezza, Voce. Seminari di Educazione Alimentare, Gastronomia Dietetica, Meditazione.

Conferenze su Disturbi Alimentari, Rimedi Naturali, Bioenergetica. E in più alcune proposte per i bambini: Yoga, Gioco Sensibile, Fiabe Educative, Movimento Creativo. Per stimolare anche i più piccoli, con approccio ludico, ad ascoltarsi.

MensCorpore mira a diventare un punto di riferimento sul territorio ed è aperta a richieste o suggerimenti.

Per saperne di più sulle attività è sufficiente visitare il sito, chiamare, scrivere una mail o passare direttamente durante gli orari di apertura al pubblico.

Associazione Culturale MensCorpore Via Sangalli 8, Treviglio - Mobile 340/6048816 www.menscorpore.org - info@menscorpore.org Apertura pubblico: Lunedì-Giovedì 9.00-12.00 Ottobre 2015 - la nuova tribuna -

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Servizio fotografico a cura di Enrico Appiani

Treviglio/Tra sculture il legno e graffiti

Scolpire, che passione!

I

di Daniela Invernizzi

ntervistare qualcuno sotto il sole cocente, con il rumore assordante di motoseghe e flessibili è stata un’impresa singolare (avrei voluto andare via subito), ma anche molto divertente (poi è finita a tarallucci e vino,o meglio, tutti insieme davanti a una bibita fresca). Arrivo a Pagazzano in un pomeriggio d’agosto, nella piazza antistante il Castello dove gli artisti stanno lavorando, incuranti del sole a picco e della temperatura altissima; e vedo, per prima cosa, una ragazza in bikini, bella come una statua greca, che si è appena rinfrescata nella fontana moderna della piazza e gira, noncurante e unica donna, con una motosega in mano; e poi tutti gli altri, concentrati sul lavoro e impolverati dalla testa ai piedi, con la testa al riparo dei cappelli o di altri mezzi di fortuna.

Sembrano tutti molto contenti di essere lì.

Sono undici scultori che hanno partecipato al 3° Simposio della civiltà contadina, organizzato a Pagazzano nel settembre scorso; tutti provenienti dalla provincia di Bergamo, sono stati chiamati a partecipare a questa festa con le loro sculture di legno. Il primo con cui riesco a parlare è Pierluigi Castelli, abitante a Pagazzano, che mi mostra subito la sua opera, un omaggio alla donna «che si trasforma in farfalla» mi dice. Pierluigi ha una storia particolare, ha cominciato a scolpire nel 2007 quando già da tre anni era stato colpito da una grave malattia, «ma non voglio parlare di questo». Lui non si è mai perso d’animo, anzi; e nonostante la scultura sia anche molto faticosa, al punto, a volte, da togliergli completamente le forze, Pierluigi ha creato da allora una serie di opere che è possibile ammirare (e comprare) presso il Caffè degli Artisti in via Sangalli a Trevi-

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glio. «Non ho fatto scuole, sono un autodidatta» ci tiene a sottolineare.

-Come hai scoperto la scultura?

«Un giorno, a casa, stavo facendo una staccionata, quando all’improvviso sono partito con delle decorazioni, ho visto che mi venivano bene ...da allora non ho più smesso».

-Cosa provi mentre scolpisci?

«Una grande emozione, anche se costa fatica. Non è facile manovrare certi strumenti. Guarda questa ragazza, che sta lavorando attorno al suo tronco, è fortissima».

La ragazza è Marta Zucchinali, è di Treviglio, giovanissima, da sempre la passione per il disegno e la scultura, «Lei è bravissima, è a un alto livello» mi dice Pierluigi. Mi

Treviglio Graffiti

a cura di Daniela Regonesi

N

el dossier “writers” del mese scorso non abbiamo raccontato due belle esperienze trevigliesi. Silvio Gelmi ci aiuta a fare ammenda: «i murales di piazza Setti mi sono talmente piaciuti che, da presidente dell’associazione Botteghe del Centro di Treviglio (BCT), ho voluto collaborare con i writers, conoscendo bene la differenza tra loro e i vandali che imbrattano i muri. Ho cercato un posto

avvicino, ma Marta non vuole essere intervistata. Allora continua Pierluigi: «Vedi, la bellezza è trovarci qui, a lavorare insieme. È questa la vera gioia. Poi, se qualcuno vorrà comprare la mia opera, meglio ancora. Ma non è fondamentale».

Lo lascio al suo lavoro e passo a parlare con Bruno Manenti, scultore e pittore trevigliese, e anche conosciuto e apprezzato attore della compagnia dialettale Zanovello: «È la passione che ci porta a sopportare queste temperature torride. Io sto facendo il mio solito angelo, sto cercando di dargli la massima leggerezza possibile».

Fai solo angeli?

«Angeli e castelli. Non so perché, forse

dove avrebbero potuto fare i loro disegni: lo spazio adatto lo offrivano le impalcature del costruendo “Leon d’Oro” in via Verga.

Con il benestare dei soci di BCT e del sig.

Mambretti per l’utilizzo delle sue impalcature, ho quindi chiamato gli artisti che ne sono rimasti entusiasti. Le BCT hanno fornito 300 bombolette e i writers hanno cominciato a decorare i pannelli. È stato un grande successo, tanto che ho proposto di organizzare un concorso a livello nazionale. Il passaparola ha portato a raccogliere adesioni in tutta Italia in brevissimo tempo. Abbiamo appeso i pannelli ad una robusta impalcatura collocata in piazza Garibaldi, formando due pareti di 30 m di lunghezza ciascuna e, il 28 settembre 2002, ha avuto luogo il primo concorso di graffiti

ANTONIO SOLIVARI GRAFICA E STAMPA questo è il mio modo di pregare. E i castelli perché mi piacciono le forme architettoniche medievali».

Quando hai iniziato?

«Da ragazzino. Dopo le scuole medie sono andato a lavorare come intagliatore da Luigi Gamba, che ci tengo a nominare perché è stato un grande maestro dell’intaglio in tutta la bergamasca. Mentre lavoravo ho frequentato l’accademia serale di scultura e mi sono specializzato anche in pittura e disegno».

Dove finiscono le tue opere?

«In garage! - ride- no, dai, ne ho anche venduta qualcuna. Ho pure vinto dei premi.

Certo fa piacere, ma la passione che provi mentre lavori è la cosa che conta di più». d’arte “I colori di Treviglio”. È stata una giornata favolosa: la piazza era piena di gente che si divertiva a vedere gli artisti all’opera, macchine fotografiche e videocamere erano ovunque, era presente persino una troupe di RAI3.

L’intenzione era quella di vendere i pannelli e di utilizzare il ricavato per realizzare un baby-parking, ma il progetto è poi andato in fumo e i pannelli sono stati donati all’oratorio Sant’Agostino».

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Agenzie di Viaggi della Gera d’Adda

Adda Viaggi, una storia di successi

È

una delle agenzie di viaggio più longeve e quella più radicata nel nostro territorio. A partire dal nome, infatti, Adda Viaggi è un sicuro punto di riferimento per i viaggiatori e le famiglie della Gera d’Adda (ma non solo) e ha fatto viaggiare per il mondo moltissime persone, accontentando le richieste più variegate. L’agenzia però non nasce qui, o meglio, l’idea di essa viene ai due titolari, Beppe Balini e Giancarlo Maretta, durante un viaggio in Kenya. Era il 1979 e sulla spiaggia di Watamu a nord di Mombasa i due scrivono sulla sabbia una lista di papabili nomi della loro futura agenzia.

Scelgono Adda Viaggi in omaggio alla terra che li ospita; infatti la prima agenzia viene aperta a Cassano d’Adda l’8 settembre 1980. Grazie anche alla lunga esperienza di Balini in questo campo (dieci anni in una grossa agenzia di Bergamo), l’agenzia inizia a lavorare immediatamente e a raccogliere il favore dei clienti. Il lavoro e le soddisfazioni non mancano, tanto che tre anni dopo i due aprono una succursale a Caravaggio, alla direzione della quale si pone Giancarlo Maretta. La storia dell’Adda viaggi ci porta anche alla sede di Romano di Lombardia, aperta nel 1999 e diretta da Daniela Ravera, la cui prematura scomparsa è l’unico momento doloroso nella storia dell’agenzia. Attualmente Adda Viaggi si avvale di una decina di collaboratori e, nonostante il proliferare negli anni di numerose altre agenzie, gode di ottima salute. Questo perché è stata capace di costruire un rapporto professionale con i fornitori e di grande fiducia con i clienti. È considerata una delle agenzie più qualificate per nuovi investimenti e per questo motivo ha ricevuto anche quest’anno, e per ben 17 anni, il Delfino d’Argento da Costa Crociere, grande partner dell’agenzia. Un riconoscimento europeo che si dà solo a chi dimostra grande professionalità nell’organizzazione di questo tipo di viaggi.

L’agenzia non solo lavora con i grandi Tour Operator, ma organizza in proprio ogni tipo di viaggio, dalla gita di un giorno fino ai grandi viaggi avventurosi in tutto il mondo, incluse le mete più difficili (proprio in questi giorni sta per partire un viaggio in Uzbekistan). E nonostante l’alto livello di professionalità, molto gradito dai clienti, i due titolari sono considerati alla stregua di amici con i quali condividere viaggi indimentiA destra Beppe Balini e Giancarlo Maretta, titolari dell’Adda Viaggi, davanti alla torta per i festeggiamenti della Costa Crociere per aver primeggiato tra tutte le agenzie nelle prenotazioni . Sopra due scatti presso l’agenzia di Caravaggio

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cabili. Spesso infatti sono proprio loro ad accompagnare i clienti nei viaggi più impegnativi. La succursale di Caravaggio, inoltre, lavora in sinergia con l’emittente radiofonica Radio Zeta, con la quale organizza serate (curando l’accoglienza degli ascoltatori, provenienti da ogni parte d’Italia) e viaggi in Italia e all’estero più volte all’anno, riscuotendo ogni volta grande successo. E non finisce qui: attenta alle politiche sociali, Adda Viaggi è una delle poche agenzie che organizza viaggi a misura di diversamente abili, ed è sponsor di società sportive e di attività di volontariato in tutta la zona del milanese e della bergamasca. Per tutti questi motivi nel 2005 è stata insignita dell’Ambrogino d’Oro, il prestigioso riconoscimento milanese, a riprova della serietà professionale, la capacità e la conoscenza in ambito turistico e per l’attenzione al sociale.

«Cogliamo l’occasione per ringraziare, quest’anno che festeggiamo i trentacinque anni, tutti i collaboratori che nel corso del tempo hanno lavorato presso la nostra azienda» ci dicono i titolari «e soprattutto i tantissimi clienti, molti dei quali sono diventati amici, che da sempre ci dimostrano fiducia e apprezzamento».

Daniela Invernizzi

Treviglio/Libri & Scrittori

Volere è potere, la legge dell’attrazione di Daniela Invernizzi

Il nuovo libro del Buddha del marketing, Joe Vitale, scritto insieme al trevigliese Ivan Nossa, raccoglie le testimonianze di chi ha messo in pratica la “Legge dell’Attrazione”. Ovvero la capacità di pensare senza frapporre subito dubbi

S

i sa che il Pensiero è un’arma potente, capace di plasmare le menti o incidere sul corso della storia; ma che sia anche capace di modificare oggettivamente la materia è un assunto che lascia perplesso qualcuno e affascinati molti altri. È questo il fondamento della Legge dell’Attrazione, l’ammaliante teoria che ha portato Ivan Nossa, imprenditore trevigliese, a scrivere un libro con Joe Vitale, scrittore americano di best seller (vedi box).

Incontro Ivan per un caffè a Treviglio, in una splendida giornata di fine estate. Per prima cosa mi regala una copia del libro “The Midas touch” (Il tocco di Mida) scrivendo nella dedica solo “grazie”.

«Per me la gratitudine è un sentimento importantissimo, che sento molto -mi dicee infatti il mio racconto, contenuto nel libro, parla proprio di gratitudine. La mia capacità di essere grato per tutto ciò che mi accade di bello è ciò che mi ha reso un “ragazzo fortunato”».

-Come sei arrivato a Joe Vitale?

«Leggendo “The secret”, il suo best seller, un libro che mi ha aperto molti canali e mi ha spinto ad approfondire, fino a desiderare talmente tanto di scrivere un libro con Joe che il desiderio …si è avverato. E allora ho detto: vuoi vedere che la legge dell’Attrazio-

ne funziona davvero?».

-Ma cos’è la Legge dell’Attrazione? «È la capacità di attirare nella tua vita tutto ciò che desideri. Questo perché il nostro pensiero emette vibrazioni in grado di modificare la materia, quindi anche la realtà che ci circonda. In tal senso ci sono esperimenti bellissimi del giapponese Masaru Emoto fatti sull’acqua: in breve, se io bombardo le molecole di acqua con vibrazioni positive, che possono essere belle parole, o musica classica, dopo un po’ di tempo la struttura molecolare dell’acqua si modifica, e al microscopio vedo cristalli bellissimi e armoniosi; viceversa, se la bombardo di vibrazioni negative, osserverò, dopo lo stesso periodo di tempo, cristalli scomposti, confusi, brutti a vedersi (vedi box). Anche noi siamo fatti per la maggior parte di acqua, perciò con il pensiero siamo in grado sia di richiamare, sia di inviare energia positiva».

La teoria è affascinante, non c’è dubbio, ed è bello credere che possa funzionare davvero. Sapere che, pensando positivo, volendo bene a una persona, concentrando le mie energie su di lei posso farla stare bene (magari anche guarirla?), mi riempie di gioia e di speranza. Ma che questa capacità possa influire anche su tutti gli altri aspetti della vita, perfino farmi vincere alla lotteria…

“The Midas touch”

T

he Midas touch, il Tocco di Mida, scritto da Joe Vitale, Ivan Nossa e il contributo di molti altri autori sparsi per il mondo, raccoglie le esperienze e le testimonianze di coloro che, seguendo la Legge dell’Attrazione, hanno scoperto il segreto della propria vita, realizzando i loro desideri sotto vari aspetti. Lo si trova attualmente solo in lingua inglese, scaricandolo in pdf dal sito di Ivan Nossa (www.ivannossa.com), oppure anche su Amazon. È in fase di preparazione anche la versione in italiano, curata proprio da Ivan. Il libro è già un best seller in Canada, numero uno nelle vendite, e si appresta a conquistare anche gli Stati Uniti. Ivan Nossa è laureato in lingue e letterature straniere e gestisce da vent’anni con successo una scuola di lingue ed un’agenzia di traduzioni in via Matteotti a Treviglio.

La sua passione per la scrittura lo porta a collaborare con diverse riviste e a scrivere testi per canzoni. Grazie all’incontro con Joe Vitale, ne segue i corsi conseguendo l’attestato di “Advanced Law of Attraction Practitioner”, realizzando poi il sogno di

«Noi siamo come magneti capaci di attirare quello che vogliamo davvero -continua Nossa- Ciò che non funziona nella tua frase precedente è il MA: si chiama “pensiero limitante” ed è quello che ci impedisce di credere davvero al nostro sogno e quindi realizzarlo. Se io voglio diventare ricco, ma dentro di me sono convinto che non succederà mai, allora non succederà. Tutto quello che penso di positivo mi torna, così come tutto quello che penso di negativo. La difficoltà sta proprio nel riuscire a disfarsi di questi pensieri limitanti, di cui siamo pieni, in ogni aspetto della nostra vita».

-Come fare per disfarsene?

«Innanzitutto capire quello che si è e quello che si vuole veramente. Poi, concentrarsi sull’obiettivo, eliminando dentro di noi tutto ciò che rema contro. Finché non si cambia dentro non cambierà nulla fuori. Il pensiero può davvero modificare le cose, ma bisogna crederci. Non è facile, ma possibile. È come un atto di fede. E dopotutto, se ci pensi, lo aveva detto anche Gesù: chiedete, e vi sarà dato. È questa la Legge dell’Attrazione.

Semplicemente».

essere coautore di un libro con Joe, appunto “The Midas touch”. Ha da poco terminato un altro libro che verrà pubblicato a breve.

Joe Vitale, che vent’anni fa era un senzatetto, è oggi considerato uno dei massimi esperti di marketing a livello mondiale. Ha scritto numerosi libri sui principi del successo e dell’abbondanza, tra cui “The attractor factor” e “The Secret” (da cui è stato tratto anche un film), nel quale spiega la Legge dell’Attrazione, oggi fonte di ispirazione per migliaia di persone. Nell’articolo citiamo anche il controverso scienziato Masaru Emoto, scomparso recentemente. Per approfondimenti sulla sua teoria, vedi “La coscienza dell’acqua”, di Masaru Emoto, su Amazon.

Daniela Invernizzi Ottobre 2015 - la nuova tribuna -

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Della Torre: medico, partigiano, intellettuale a cura di Luciano Pescali

Una descrizione del personaggio trevigliese, direttore sanitario dell’Ospedale Santa Maria per oltre quarant’anni e sindaco della Liberazine nel 1945, tratta dagli appunti dello storico Tullio Santagiuliana

L

a descrizione è tratta da un manoscritto di Marcello Santagiuliana scritta per una memoria che doveva concretizzarsi con mostra ed un libro dedicato al prof. Pier Luigi Della Torre.

Non se se ne fece nulla, Santagiuliana morì prima di poter trovare il tempo per farlo.

Della Torre nacque a San Nazaro dei Burgundi (PV) il 16.6.1887 e morì a Treviglio il 20 agosto 1963, dove è sepolto.

Di tanto scienziato, chirurgo di fama internazionale, di tanto uomo rimane molto poco: qualche pubblicazione medica, fatalmente datata e difficilmente reperibile. Persino le sue fotografie, dato il carattere assai riservato e schivo, sono rare. Presso l’Università di Pavia, dove si laureò e a cui aveva destinato la sua collezione medico-scientifica ed i suoi testi, il suo nome risulta del tutto ignoto. Resta il notevole lascito al Comune di Treviglio per la costituzione di quello che diverrà la pinacoteca intestata ai suoi genitori -Ernesto e Teresa Palazzini della Torre- 103 pezzi d’arte catalogati in 74 voci diverse con le relative attribuzioni, ove possibili, o indicate.

Opere che custodiva in casa nell’abitazione prospicente il vecchio Ospedale, ma che, sia in vita che post mortem, lasciò ad amici e parenti a vario titolo ed a proprio capriccio insindacabile. È certo che il Prof. Della Torre, che avrebbe potuto essere ricordato per ben altri meriti (Treviglio gli ha dedicato un vicoletto in centro!), verrà ricordato sempre per questo munifico lascito.

Figura alta, asciutta, un atteggiamento nella professione (a detta di chi l’ha conosciuto) quasi ascetico. Non si sposò mai; carattere definito burbero benefico, a volte scorbutico ma profondamente buono. Frequentò la facoltà di Medicina ove si laureò brillantemente e lavorò poi a Treviglio perché era qui che dimorava la sua famiglia. Volontà di ferro, capacità di studio e di lavoro, estrema professionalità, la carità costante (curava molto e gratis i poveri aiutandoli anche finanziariamente), temperamento mistico viveva per il suo lavoro che giudicava una missione, con una dedizione e un attaccamento al proprio lavoro superiori a quelli imposti dal suo incarico. Sempre reperibile in ospedale a tutte le ore del giorno e della notte. Aborriva le ferie, non solo le proprie, che non prese mai, ma anche quelle degli altri. Scorbutico, estra-

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Il prof. Pier Luigi Della Torre nell’unica immagine resa disponibile negli anni alla stampa locale. A sinistra un dettaglio di una corsia dell’Ospedale Santa Maria negli anni della Guerra

neo a titoli ed onori (che ne avrebbe avuto diritto), fatto cavaliere da Benito Mussolini, attaccò al collare del suo cagnetto “Burtulì” la relativa medaglia. Molto amico di Don Piero Perego, l’unico con il quale parlava di religione, argomento che normalmente non l’appassionava. Fu anche cacciatore, un bravo cacciatore tecnicamente parlando, che praticava con un gruppo ristretto di compagni.

Il medico e il personaggio pubblico Si laurea a pieni voti nel 1912 all’univ. di Pavia. Brevissimo periodo come assistente all’ospedale di Caravaggio, poi all’Ospedale Santa Maria di Treviglio entra come aiuto del Prof. Stefano D’Este e poi, conseguita la libera docenza, come primario chirurgo e direttore sanitario nel 1923. Lo rimarrà per ben 44 anni ininterrotti, fino al 1957.

Era soprattutto nella neurochirurgia che il Prof. Della Torre ha saputo dare il meglio.

La prima origine di questo interesse va forse ricercata nella malattia che portò la madre alla tomba: morì di un tumore cerebrale.

Durante la prima guerra mondiale lavorò nel reparto neurochirurgico di un ospedale militare e qi maturò la sua vocazione al ramo della chirurgia, allora in embrione, a cui avrebbe dato il suo apporto scientifico. Da allora furono migliaia gli interventi cranici da lui praticati: tumori, cisti, ascessi, ematomi post-traumatici e soprattutto interventi nelle nevralgie essenziali del trigemino.

Molto colto, addirittura enciclopedico nel suo campo, non disdegnava di operare di

tutto, non giudicando indegno di un chirurgo come lui, nessun intervento dalle tonsille alla prostata. Durante l’ultima guerra operava negli scantinati dell’Ospedale dove aveva fatto allestire una sala operatoria al riparo da eventuali bombardamenti. Dimorò alcuni anni a Parigi usufruendo di una borsa di studio messa a disposizione per conseguire la specializzazione in neurochirurgia. Il suo nome divenne famoso nel mondo della chirurgia internazionale, le sue pubblicazioni si contano a decine ed i suoi contributi scientifici hanno fatto citare il suo nome nei trattati chirurgici.

Fu membro di numerose Società ed Accademie scientifiche italiane e straniere, ma nonostante i numerosi riconoscimenti e le opportunità che si presentarono, preferì restare nella sua Treviglio.

Apolitico ma uomo di idee ben precise dedito unicamente al suo lavoro, fu scelta la sua persona dal passato immacolato e dal prestigio indiscusso per ricoprire la carica di sindaco dopo il 25 aprile, imponendo alle parti in causa la sua personalità ed onestà.

La sua giunta, quella del CLN, si dimise in data 7 marzo 1946, assicurando in tal modo un regolare e tranquillo passaggio dei poteri democratici alla nuova compagine eletta in seguito alle prime libere elezioni del 31 marzo 1946.

Fu per tutta la vita un appassionato collezionista d’arte, raccogliendo opere tra le più diverse, costituendosi nella propria abitazione presso l’Ospedale una vera e propria pinacoteca di cui ne era orgoglioso. Più dell’arte il professor Della Torre era innamorato del bello che trovava nelle forme artistiche senza un filone ben preciso, il suo più accessibile appagamento. Si faceva consigliare in primo luogo dal Attilio Mozzi, divenuto sindaco nel 1946, valido pittore e buon intenditore d’arte, poi dal signor Ernesto Rovati, persona di grande esperienza e grande gusto.

Coro Icat/Una storia trevigliese

Terzo capitolo: con Franco Forloni di Tienno Pini

L’estate 1981 vede per la seconda volta il Coro senza Direttore, mentre si riapre la discussione tra i coristi su chi scegliere. Succede così a Toni Galuppo un giovane trevigliese studente universitario della facoltà di medicina

E

cco che, sorprendentemente, ad un Direttore “viaggiante” di grande esperienza (Toni Galuppo) succede un giovanissimo “indigeno”, Franco Forloni. La scelta potrebbe sembrare spregiudicata quanto azzardata, ma la storia (corale) dirà poi quanto si rivelerà azzeccata.

Tocca quindi al ventitreenne enfant prodige trevigliese, allora studente in medicina, farsi carico delle sorti musicali del gruppo dal settembre 1981.

Per un giovane come lui, di cui la grande maggioranza dei coristi potrebbe essergli padre, un incarico da far tremare i polsi. Ma Franco, determinato e sicuro, si getta nella nuova avventura con giovanile entusiasmo.

Si definisce “coordinatore musicale” e con la sua disponibilità ed il sorriso, unite a grande determinazione, mantenendo il meglio del suo predecessore, conquista il rispetto e la stima di tutti i coristi e, pur nella continuità, conferisce una sua impronta al nuovo ICAT, puntando su una vocalità tenue e raffinata e, nel contempo, sulla fusione vocale e sull’intensità interpretativa.

INIZIA LA TERZA VITA - Anche la sorte sembra dare una mano al nuovo Direttore ed al rinnovato sodalizio, che subito decidono, in piena condivisione, di riprendere la strada affascinante quanto rischiosa dei concorsi, dopo quasi otto anni d’assenza.

Ecco quindi, il 9 maggio del 1982, la partecipazione vittoriosa al concorso nazionale di canto corale di Verres, per l’assegnazione del 1° primo Trofeo Valle d’Aosta. Dopo una prima fase eliminatoria pomeridiana, la sera, nel corso delle finali, l’ICAT sbaraglia il campo con una prova eccellente ed una votazione complessiva di 9,5/10! Il giusto carburante per un pieno d’entusiasmo che da tempo mancava, così come i canti e le urla di vera gioia sul pullman, a notte fonda, sulla via del ritorno.

Trascorrono meno di venti giorni ed ecco il Coro partecipare, a seguito di un prestigioso invito, agli XI Rencontres Internationa-

les de Chant Choral di Tours, nella Regione della Loira, al cospetto dei migliori cori europei, nel grandioso e raffinato palcoscenico del Grand Théatre de Tours. Il tutto si può riassumere, sia pur in modo molto riduttivo, in otto giorni di intensa vita corale, vissuta gomito a gomito con i coristi stranieri, tra momenti di svago ed altri di grande tensione ed impegno tra prove ed esibizioni ufficiali, conseguendo significativi consensi di critica e di pubblico. Nel complesso una grandissima esperienza, anche per i numerosi accompagnatori trevigliesi partecipanti alla lunga trasferta, che conclude di fatto la prima stagione targata Franco Forloni.

Con la fine dell’estate 1982 inizia la seconda stagione di Forloni ed ecco il Coro subito impegnatissimo in tre importanti Rassegne nazionali nel volgere del solo mese di ottobre: la prima il 2 del mese a Bolzano, al Teatro Haus der Kultur nel cuore della antica Bolzano asburgica, la seconda a Verona (al Teatro Filarmonico) e la terza il 16 ottobre a Treviglio, in occasione della “IX Rassegna di Canto Corale Città di Treviglio” con la partecipazione dei Cori Monte Pasubio di Rovigo e Cantores Mundi di Borgosesia, quest’ultimo diretto dal Maestro Mino Bordignon, legato al sodalizio trevigliese da grande amicizia e profonda stima reciproche.

Queste esibizioni ed altri successivi importanti concerti confermano l’assoluta bontà del subentro in piena corsa da parte del nuovo Direttore, con la conseguente immediata ripresa da parte dell’ICAT di un ruolo di primo piano nel panorama corale italiano.

(9 – continua) A sinistra in Place Jean Jaures a Tours, sopra Franco Forloni mentre dirige il coro durante le prove. Sotto la IX Rassegna Città di Treviglio al Teatro Ariston

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Treviglio/Personaggi storici (2)

Grossi, poeta e notaio di successo di Elio Massimino

Il legame con Alessandro Manzoni, tra patrioti e letterati, la morte del grande amico Carlo Porta , poi la curiosità di un Don Rodrigo che ha abitato a Treviglio, luogo in cui il poeta alla fine decise di comprare casa

I

l trentenne Tommaso Grossi, che pochi mesi dopo la scomparsa nel 1821 del suo amico e maestro, scrive “In morte di Carlo Porta”, i suoi versi più alti in dialetto milanese (e anche gli ultimi), non è coinvolto nei moti carbonari che quell’anno infiammarono prima il regno di Napoli e poi il Piemonte. Anche la Lombardia austriaca era in fermento e sembrava che l’esercito piemontese fosse sul punto di attraversare il Ticino, anticipando così di quasi trent’anni quella che, nel 1848, sarebbe stata la prima guerra d’indipendenza. Lo stesso Manzoni si entusiasmò e scrisse “Marzo 1821”, che quelli della mia generazione hanno studiato a memoria: «han giurato: non fia che quest’onda/scorra più tra due rive straniere/ Non fia loco ove sorgan barriere/tra l’Italia e l’Italia mai più», ecc... (Consiglio di rileggerla, è ancora capace di emozionare). Alla fine vinse la restaurazione ma questo non impedì alla Milano austriaca di iniziare una lunga stagione di grandi fermenti patriottici. L’intellighentia lombarda infatti si mobilitò, molti cospirando nella Giovane Italia di Mazzini e altri facendo cultura, come è stato il caso di Verdi, Manzoni e dello stesso Grossi.

Alessandro Manzoni e Tommaso Grossi si erano conosciuti già qualche anno prima della scomparsa del Porta, ma il legame non era stretto perché al Manzoni non interessava la poesia dialettale e quindi non frequentava la “Cameretta”. I rapporti dovevano essere comunque cordiali se nel 1822 Grossi, da un anno “orfano” del Porta, andò ad abitare a casa del Manzoni in via Moroni, a pochi passi da piazza Duomo. Vi sarebbe rimasto per sedici anni. Grossi aveva bisogno di un nuovo punto di riferimento e lo trovò nel grande Manzoni mentre questi, uomo introverso e complicato, scoprì in lui un vero amico e un valido interlocutore letterario. Solo un corridoio separava lo studio del Manzoni dalle stanze al piano terra occupate dal Grossi e quindi possiamo immaginare tanti discorsi tra i due sulle opere che entrambi stavano portando avanti e chissà quanti consigli si saranno scambiati. Grossi ha anche corretto le bozze della prima edizione (1827) dei Promessi Sposi, insieme a Luigi Rossari e Giovanni Torti. Manzoni si riferiva proprio a questi due amici quando nella lettera dell’agosto 1824 indirizzata al Grossi scriveva “sa-

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lutami i correttori”. Nella stessa lettera Manzoni gli chiese anche di suggerirgli un nome per un “bravo”: “ho dimenticato di trovarmi un nome per un bravo bergamasco che ho lasciato in bianco”. Quel bravo si chiamerà “Grignapoco”. Può aver chiesto il Manzoni anche il suggerimento di un nome spagnolo da assegnare a “un signorotto malvagio, ecc...”? Sì, può averlo fatto, magari mentre passeggiavano tra Casirate e Treviglio o verso Brignano per “studiare” il famoso castello. Però, che io sappia, non abbiamo nessuna testimonianza in tal senso. Detto questo vorrei segnalare solo come curiosa coincidenza che nel Santuario di Treviglio, che entrambi conoscevano bene, a lato del primo altare entrando a sinistra, si trova un affresco che ritrae un personaggio che fu un buon podestà di Treviglio, guarda caso, nella prima metà ‘600. Si chiamava “don Rodrigo Rejero De Pennarojas”.

Questi aneddoti però non devono farci perdere di vista il valore dell’opera del Grossi e la popolarità che raggiunse, che lo stesso Manzoni sperimentò personalmente. Questi nell’estate del 1827 è a Firenze e il 17 settembre scrive al Grossi “ma tu sai come sono occupato: ho settantuno lenzuoli da risciacquare in Arno”, dichiarandosi anche soddisfatto della collaborazione che riceve: “lavandaie come Cioni e Niccolini (intellettuali toscani con cui si confrontava su questioni linguistiche) fuori di qui non ne trovo”. Manzoni racconta anche di essere stato ricevuto dal granduca, uomo coltissimo e amabilissimo - e qui si rivela la fama del Grossi - mi parlò di te, dell’Ildegonda e dei Crociati con

molto stima. Descrive anche l’incontro del giorno dopo con la moglie e la sorella del granduca: “mi diedero pure la consolazione di parlarmi di Grossi e de’ suoi versi come mi piace sentirne parlare, e come ne avevano a parlare persone di quel l’ingegno e quella cultura”.

Grossi infatti, abbandonato il dialetto, aveva già ottenuto i primi veri successi scrivendo in lingua.

Prima “Ildegonda” poi “I Lombardi alla prima crociata” (1826), che più tardi, con libretto del Solera, sarebbe stato un successo verdiano. Da notare che quando Manzoni incontrò il granduca di Toscana, Grossi non aveva ancora pubblicato il romanzo storico “Marco Visconti” (1834), poi tradotto in inglese, francese, tedesco e spagnolo. Con questo successo Grossi divenne uno dei maggiori esponenti di un genere letterario particolare, il “romanzo storico”, in voga nella prima metà dell’800 anche perché si prestava ad essere un veicolo per la diffusione dei valori risorgimentali, come del resto alcune opere di Verdi. Il Grossi durante gli anni vissuti in casa Manzoni divenne quindi un intellettuale “impegnato”, come oggi diremmo. Fu anche uno dei fondatori del salotto della contessa Clara Maffei e sappiamo che non si poteva essere amico della contessa senza essere considerato un autentico patriota. In quel salotto il Grossi avrebbe incontrato personaggi del calibro di Carlo Cattaneo, Giuseppe Giusti, Francesco Hayez o Giuseppe Verdi ed è facile immaginare i brindisi di quella comitiva al caffè Cova, allora attiguo al Teatro alla Scala (oggi è in via Montenapoleone), dopo aver applaudito opere come “Il Nabucco”, “I Lombardi alla prima crociata” o, più tardi, “I Vespri siciliani”.

Grossi comprò casa a Treviglio, oggi in via XXV aprile, con i frutti del successo letterario, una scelta che trova spiegazione in questa sua lettera del maggio 1835 diretta a Luigi Rossari: “appena tocco questo suolo quasi natio, l’aspetto mi rinvenne e sia l’aria, sia

A sinistra Palazzo Grossi, poi il ritratto della moglie di Tommaso Grossi, Giovannina Alfieri, e quello di don Rodrigo Rejero De Pennarojas, sindaco spagnolo di Treviglio

le lunghe passeggiate che fo ogni giorno, sia l’aver dato un calcio alle penne e ai calamai, fatto sta che mi sento un altro”. Ma alla fine degli anni ‘30, rapidamente cambia vita in maniera radicale: lascia la casa di via Moroni, smette di quasi del tutto di scrivere, diventa notaio e prende moglie.

Grossi, classe 1790, quindi ha quasi cinquant’anni quando inizia a fare il notaio e sposa (1838) la giovane Giovannina Alfieri che praticamente aveva visto crescere, perché da anni frequentava a Milano il salotto della madre Francesca Alfieri Croce. Nel ritratto di Carlo Gerosa conservato nel Museo di Treviglio, la Giovannina non sembra donna capace di suscitare grandi passioni, però dalle lettere che i due si scambiarono da sposati si intuisce che gli ha dato la serenità che cercava, e anche tre figli.

Grossi divenuto rapidamente (sembra incredibile) uno dei notai più affermati di Milano, il 7 maggio ‘42 scrive a Massimo d’Azeglio a proposito della nuova strada ferrata Milano-Venezia: “le opere si incominceranno presto, per cui tra un paio d’anni andremo a Treviglio in meno di tre quarti d’ora”. Grossi otterrà l’ambito incarico di notaio dell’opera, circostanza che preoccuperà lo zio: “temo, che la troppa occupazione sia per essere di monumento alla vostra salute piuttosto gracile”. Curò anche gli interessi della contessa Clara Maffei, redigendo l’atto della sua separazione matrimoniale e quelli di Massimo D’Azeglio, il quale volendo comprare una villetta a Bellagio, nel giugno del ‘40 gli scrisse: “avremmo bisogno di un consulto; perciò imploriamo la tua protezione”.

Lasciamo per ora ai suoi successi il nostro notaio/poeta (una combinazione che ha illustri precedenti nella storia della nostra letteratura). Lo attendono un grande dolore, un ruolo importante nelle cinque giornate di Milano e altro ancora. Vedremo tutto questo nella prossima puntata, fino alla sua prematura scomparsa. (continua) Ottobre 2015 - la nuova tribuna -

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Treviglio/Uomini & Motori

Fiat la prima auto pompa con rimorchio di Ivan Scelsa

I mezzi dei Vigili del Fuoco di Treviglio, un reparto di primaria importanza nato all’inizio del novecento. I “pompieri”, oggi come ieri, sono vicinissimi al territorio proprio per il carattere di volontarietà del servizio alla popolazione

L

a Storia dei Vigili del Fuoco e dei loro automezzi nel Distaccamento di Treviglio ci obbliga a fare un excursus tra il XIV secolo (quando si fa riferimento ai “brentatori” incaricati di spegnere gli incendi e di cui abbiamo traccia grazie al punto 402 della parte I degli Statuti Comunali del 1392), passando per l’istituzione delle Guardie del Fuoco nel 1867 fino ai primi anni del Novecento, dove l’esigenza di un Corpo sempre più qualificato ed attrezzato, porta alla nascita di un Reparto in crescita costante con le variate esigenze cittadine.

La specificità dei mezzi impiegati nella bassa bergamasca in quasi cento anni di storia del Corpo ci impone di riportare alcuni importanti, e nel contempo curiosissimi, dati tecnici di sicuro interesse per ogni appassionato di automobilismo ma anche per chi, animato da semplice curiosità, de-

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sidera scoprire una specificità che va oltre la gestione locale.

Tra i Distaccamenti di Volontari della provincia di Bergamo, quello della nostra Città è sicuramente di primaria importanza.

I primi cenni storici ci riportano a quando la sede viene dotata di un autocarro incendi modello Fiat 15 Ter fabbricato nel 1918 (ma immatricolato nel 1929) targato VF546 (già targata BG1919), con allestimento da 8 posti e pompa a rimorchio per l’allora Corpo Civici Pompieri di Treviglio.

Dotato di motore a quattro cilindri Fiat 53A a benzina da 4398 cc.- HP34/2000, poteva raggiungere una velocità massima di 70 km/h annoverando misure di 4,50 metri (lunghezza), un passo di 3,00 metri ed un peso a vuoto di 3000 kg per una portata di 1500 kg. Dal 08 febbraio 1936, di fatto, passa in dotazione al Corpo Provinciale Pompieri ed alienato dopo vent’anni, a marzo

A sinistra due scatti dei Vigili del Fuoco di Treviglio nel 1940 e nel 1920; sotto un Fiat 15 Ter del 1918 ed un’autopompa Fiat 642N del 1955, entrambe in servizio a Treviglio.

del 1949.

Quasi contemporaneamente viene assegnata un’autopompa Fiat 621 L targata VF29 (già targata BG4877) ed immatricolata nel 1932. L’allestimento è del Consorzio veicoli industriali Fiat-Milano, anch’esso proveniente dal Corpo Civici Pompieri di Treviglio. Le misure di questo automezzo sono più generose, forte dei suoi 5,40 metri di lunghezza e di un passo di 3,20 metri. È alimentato da un motore Fiat 621 a benzina di 6 cilindri - HP 27/2600 in grado di raggiungere una velocità di 57 km/h muovendo un peso a vuoto di 3100 kg e con una portata di 2500 kg. Dotato di una pompa centrifuga Tamini con portata di lt. 1400/10 atm, anch’esso, dopo essere stato dato in dotazione alla sede di Treviglio, passa al Corpo Provinciale Pompieri il 8 febbraio 1936 per essere poi alienato a marzo del 1957.

Il 10 febbraio 1944 la sede di Bergamo viene dotata di un’autopompa Fiat 515 targata VF2620 con allestimento Aspi Tamini-Milano e pompa Tamini centrifuga, di prima immatricolazione e fabbricata il precedente anno. Dotato di motore a benzina di 4 cilindri – HP 14/3500 capace di raggiungere la velocità di 80 km/h, ha misure più contenute che gli consentono una maggiore agilità (3,60 metri di lunghezza e passo di 1,50 metri ed un peso di 1260 kg).

Questo mezzo, con un iter inverso rispetto ai precedenti, passa in servizio alla sede di Treviglio nel 1953 per essere poi alienato a

ottobre del 1959.

Il 6 aprile 1948, invece, sia la sede di Treviglio che quella di Bergamo, vengono dotate dell’autobotte pompa Bedford targata VF3499 in allestimento Aspi TaminiMilano proveniente dal Comando Vigili del Fuoco di Napoli (dall’allora Recupero bellico). Il veicolo è alimentato da un motore a benzina 6 cilindri che poteva raggiungere i 55 km/h ed aveva un peso a vuoto di 3280 kg ed una portata di 4000 kg. Viene alienato a settembre del 1971.

Con immatricolazione del 19 luglio 1955, alle sedi di Treviglio e Bergamo viene assegnata la nuova autopompa serbatoio Fiat 642 N targata VF4654 allestita dal Bergomi Milano del peso di 9300 kg; è alimentata da un motore diesel a 6 cilindri tipo HP59 in grado di raggiungere la velocità di 63 km/h per una lunghezza di 6,50 metri ed altezza di 2,80 metri. La pompa centrifuga Bergomi a 6 giranti e adescamento a pistoni ha una portata di 2800 litri a 8 atm con un serbatoio idrico di ben 1000 litri. Lascia il servizio per essere alienato a dicembre del 1990.

Il 16 dicembre 1957, poi, viene immatricolata l’autopompa OM Leoncino targata VF5038 in allestimento Zancageloni fabbricata lo stesso anno. Alimentata da un motore benzina OM a 4 cilindri – HP54/2800 e con un peso a vuoto di 3430 kg e portata di 1870 kg, può raggiungere la velocità di 78 km/h. Dotata di una pompa centrifuga 2 giranti con portata di 1500 litri/8 atm e adescamento ad anello idraulico, viene alienata a gennaio del 1981. Questo mezzo, pur essendo stato assegnato alla sede di Berga-

mo, sembra abbia prestato servizio anche a Treviglio, senza però ci siano particolari riscontri. È il momento del boom economico degli anni Sessanta e le molteplici necessità di una costante crescita della comunità nella bassa bergamasca sono di slancio per un costante ampliamento del parco dei mezzi di soccorso.

Nel 1962 la sede di Bergamo viene dotata di un’autoscala OM Tigre targata VF6108 costruita lo stesso anno ed alimentata da un motore diesel a 4 cilindri – HP105/2000 che può raggiungere i 60 km/h. Imponenti le dimensioni del mezzo: 7,90 metri di lunghezza per un peso a vuoto di 3650 kg ed una portata di 8550 kg. Il mezzo, in origine, viene dotato di un’autoscala Olam a 6 volate per essere poi trasformato (nel 1978) in autobotte ed assegnata alla sede di Treviglio dove rimane in servizio fino all’alienazione del dicembre 1993.

Il 17 luglio 1967 viene immatricolata la nuova autobotte pompa OM Tigre targata VF7476 in allestimento OM Viberti dotata di motore diesel a 4 cilindri da 6870 cc. – HP153/2000 che può raggiungere la velocità di 72 km/h. La sua lunghezza era di 6,28 metri ed il passo di 3,30 metri per un’altezza di 2,53 metri. Il suo peso è di 5050 kg e la portata di 6800 kg con un serbatoio idrico dalla capacità di 6000 litri.

Questo esemplare presta servizio nelle sedi di Bergamo, Gazzaniga e dal 1986 a Treviglio fino al 2000, data della sua alienazione.

L’anno dopo (è il 22 novembre 1968) viene immatricolata la nuova Fiat Campagnola 1100A targata VF8624 alimentata

Sopra un’autoscala OM Tigre del 1962 ed una Fiat 515 del 1944; sotto da sinistra: un’autobotte OM Viberti del 1967, una Fiat Campagnola 1100A del 1968 ed un’autopompa Leoncino del 1957.

da motore Fiat a benzina 4 cilindri di 1901 cc. – HP 65/400 che può raggiungere i 108 km/h. Questo fuoristrada (lungo 3,71 metri e passo di 2,25 metri aveva un peso di 1290 kg ed una portata di 480 kg) viene impiegato nelle sedi di Bergamo e di Treviglio fino alla sua alienazione a luglio 2000. Lo stesso anno viene assegnato anche un autocarro Fiat 241 targato VF8469 fabbricato nello stesso anno ed alimentato da un motore a benzina 4 cilindri di 1100 cc., anch’esso alienato nella sede cittadina nel 1996.

Il 19 febbraio 1969 è la volta della nuova autolettiga Alfa Romeo F12 targata VF8813 alimentata da un motore bialbero a benzina a 4 cilindri di 1290 cc. – HP52/5000 che può raggiungere la velocità di 115 km/h.

La sua lunghezza è di 4,41 metri e l’altezza di 2,0 metri. Il suo peso a vuoto è di 1650 kg, mentre la portata è 350 kg. In servizio presso le sedi di Bergamo e Treviglio, viene alienato a dicembre del 1993.

Ma a parte l’infinità di dati tecnici e curiosità concernenti il parco mezzi del Corpo, è indubbio che quelli che una volta venivano chiamati “i pompieri” siano, oggi come ieri, vicinissimi al territorio in cui operano e, proprio per il carattere di volontarietà del servizio, particolarmente stimati e considerati dall’affetto della popolazione. E questo avviene al di là dell’attenzione che si presta al passaggio dell’autobotte a sirene spiegate che, ricordiamolo, sta correndo per noi.

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Calcio/Una Trevigliese da celebrare

Quei momenti esaltanti del ‘65 di Leonardo Ravazzi

Dai fasti della serie C alla retrocessione in Promozione, trascorsi 50 anni ci pare doveroso sollecitare l’organizzazione di una manifestazione per ricordare i grandi protagonisti della Trevigliese

R

icordare per confrontare e poi sintetizzare o reindirizzare, se non più semplicemente ed opportunamente “interpretare fatti e situazioni”; infine, se l’analisi conclusiva lo suggerisce opportuno, ripercorrerli e riproporli al momento giusto sia nel bene che nel male.

Tutto ciò è alla base della storia o, molto più semplicemente, della memoria delle cose da ripercorrere di tanto in tanto per una ragione possibilmente positiva, sia che riguardi piccole o grandi circostanze caratterizzanti lo scorrere del tempo di una comunità così come dei singoli.

Ebbene, è quello che vorrei fare qui oggi commemorando un fatto accaduto cinquant’anni or sono e che lasciò un segno importante nella storia della nostra città; fatto tuttavia che, mi pare, sino ad ora nessuno si è preso la briga di riproporre e ricordare.

Fatto che potrebbe apparire addirittura cosa poco significativa se lo riosserviamo in modo superficiale a così tanta distanza di tempo, ma che se lo rivisitiamo culturalmente e temporalmente in quel contesto ambientale ed in quel particolare momento socio economico e culturale, non lo è affatto; anzi!

Parlo di ciò che accadde nella primavera di cinquant’anni or sono, quando Treviglio raggiunse il top della sua storia calcistica del dopoguerra; o più esattamente e specificata-

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mente, degli “ultimi cinquaquant’anni”.

Con tre giornate di anticipo sulla fine del Campionato di serie D ’64-’65, dopo una serie di ben sei vittorie consecutive e pareggiando in casa col Pro Mogliano, la Trevigliese ebbe definitivamente la meglio sul Bolzano in un campionato avvincente e condotto quasi sempre in testa alla classifica.

Insomma, il Circolo Sportivo Trevigliese,

Sopra il capitano Cavalletti, a sinistra il CST ‘64-’65; da sinistra, in piedi: il magazziniere tutto fare Cariboni, mister Papini, Invernizzi, Goffi, Rigamonti, Passera, Donadelli, Cavaletti, il Presidente Melli- Accosciati: il massaggiatore “papà” Passera, Maestroni, Gira, Alberido, Foresti, Malinverno e la mascotte del CST Abramo Furia

dai modesti mezzi e presieduto dal “tifosissimo” Geometra Agostino Melli ed allenato dal mitico mister Franco Papini (proprio lui che aveva da poco aperto le porte della serie A al grande e Trevigliesissimo Giacinto Facchetti, messosi in luce proprio nelle fila biancocelesti), fu promosso in serie C con festeggiamenti prolungatisi per settimane (se non per tutta l’estate) e sfociati in un vero bum di abbonamenti a settembre per il campionato successivo.

In premessa, a coloro fra i miei concittadini ben più giovani di me in quanto nati dopo gli anni sessanta (o poco prima) ed ormai in preponderante maggioranza fra gli autoctoni rimasti, val la pena di far sapere che nel ’65: - i campionati di C erano suddivisi in tre gironi (nord, centro e sud con isole); - i campionati di calcio prevedevano ancora 2 punti per la vittoria oltre ad 1 punto per il

pareggio; - un posto in tribuna allo Stadio Zanconti di Treviglio costava 600 lire; - i giocatori della Trevigliese guadagnavano dalle 30 alle 50 mila lire al mese, oltre ai reingaggi annuali (modesti) ed ai premi partita (2 mila lire a punto in casa e 3 mila fuori); - lo stipendio dell’allenatore mister Papini non arrivava a 70 mila lire al mese; - in campo si andava in 11 ed in 11 si restava sino alla fine, infortuni permettendo, visto che non erano previste sostituzioni di sorta.

Pertanto, il Circolo Sportivo Trevigliese nel ’65 ottenne una promozione travolgente in quella che era la terza serie calcistica nazionale (dopo serie A e serie B) ed in provincia di Bergamo si trovò a rappresentare per importanza (e la rappresentò poi per parecchi anni più che onorevolmente) la seconda società sportiva di calcio esistente: cioè subito dopo l’Atalanta.

Con ciò occupando proporzionali spazi di rilevanza e risonanza sui mezzi di informazione sia locali che nazionali e restando a lungo al centro dell’interesse della maggioranza dei cittadini trevigliesi e dello sport bergamasco, al punto che più di una volta le gare della Trevigliese furono caratterizzate dal tutto esaurito allo stadio Zanconti, in grado allora di contenere sì quasi duemila posti ma solo a rischio “straripamento”.

“Malinverno, Rigamonti, Gira, Foresti, Invernizzi, Cavaletti, Fratelli, Donadelli, Goffi, Maestroni, Passera”: è questa la formazione tipo che rappresenta forse meglio il gruppo che ha concretizzato l’anno d’oro della Trevigliese dal dopo guerra ad oggi.

Naturalmente senza dimenticare il contributo di altri giocatori, come in particolar modo: Testa, Ravasi, Alberido, Brogni, Passera II°, Roveda e Ruggeri. Nonché di alcune altre figure mitiche di quegli anni e di quelli Al microfono il Presidente del CST Agostiino Melli dà il via ai festeggiamenti per la vittoria anticipata nel campionato ‘64-’65, alla sua sinistra il Sindaco di Treviglio Attilio Mozzi e l’assessore Carlo Gaiardelli.

successivi, oltre al presidente Melli ed al mister Papini: il segretario Pasquale Miniero (anche corrispondente riguardo il CST, così come Pino Maccagni, Beppe Facchetti ed il sottoscritto, ognuno per le rispettive testate giornalistiche) con il fratello Mino, il medico sportivo Vittorio Moioli, il massaggiatore “papà” Raffaele Passera ed il “magazziniere factotum” Cesare Cariboni, da poco scomparso e rimasto fedelmente al suo posto per così dire “sino all’ultimo”.

Formazione che gli anziani ed i vecchi Trevigliesi (oggi più o meno dai 65 anni in su) ricordano tutti ancora perfettamente a memoria e sono in grado di ripetere senza esitazioni.

Ebbene qui sta il punto: quanti ricordano altrettanto a menadito una qualsiasi delle formazioni biancocelesti avvicendatesi qualche anno dopo e soprattutto “una degli ultimi quindici-vent’anni”?.

Ciò per sottolineare come, dopo un certo numero di stagioni successive al ’65 e caratterizzate comunque da militanze (svolte sempre con dignità ed entusiasmo) prima in quella arpionata serie C ’65-’66 e poi in quelle del biennio successivo ed infine in numerose stagioni di immediato rincalzo (ricordiamo per tutti le brillanti presidenze Bianchi e Mazza), piano piano la nebbia ha preso stabilmente la via dello stadio Zanconti calandovi sino a raggiungere il grado più intenso proprio quest’anno in cui viene appunto a cadere il cinquantenario di quei momenti di euforia che coinvolsero ed un po’ sconvolsero tutta la città sportiva e non.

Sì, perché proprio quest’anno il CST ha toccato paradossalmente il punto più basso di questo cinquantennio con una retrocessione in Promozione letteralmente da incubo; ma soprattutto perché ha rischiato letteralmente di scomparire dal calcio bergamasco e con ciò di interrompere la sua storia ultra centenaria.

Perciò consentitemi di, per così dire, “compiacermi” per il fatto che il capitano della Trevigliese di quel periodo (Battista Cavaletti), dopo aver cessato la sua attività qualche anno dopo il ‘65 militando esclusi-

A sinistra un gruppo di giovani tifosi del CST festeggiano il mediano Dario Foresti, diciottenne rivelazione del campionato ‘64-’65. Sopra un immagine storica dello Stadio Zanconti durante l’invasione di campo per i festeggiamenti della avvenuta conquista della serie C.

vamente per i colori biancocelesti ed aver poi seguito sempre in prima persona le vicende della sua ex squadra fino alla primavera scorsa, ci ha lasciato improvvisamente senza dover patire con tutti noi la sofferenza di assistere all’ultima retrocessione bianco celeste.

Per altro la sua è stata anche l’ultima, in ordine di tempo, di una serie di dipartite che ha ormai ridotto al lumicino il numero di coloro che sono oggi ancora in grado di testimoniare in prima persona e da protagonisti quei momenti esaltanti del 1965 calcistico Trevigliese.

Or bene, mi pare allora doveroso chiedermi come mai a nessuno sia passata per la mente l’idea di riportarli allo Zanconti (o in un teatro cittadino) per festeggiarli e ringraziarli pubblicamente, oltre che per ricordare con loro quei momenti così felici e gratificanti; cosa che io qui invito cordialmente ed insistentemente chi di dovere a fare ovviamente entro l’anno, quale iniziativa politica e sportiva almeno locale.

Soprattutto, se vogliamo sperare che il recente ricompattamento del CST con la costituzione di un nuovo Consiglio Direttivo e la sua volontà dichiarata di una vera e propria rifondazione sportiva in corso, possa farci coltivare la speranza che questo momento così basso per i colori bianco celesti sia il punto di ripartenza dell’ultra centenario blasone del CST. Ecco perché questa vera e propria “rifondazione dirigenziale della società”, ha scongiurato il rischio concreto di far scomparire dalla scena sportiva il Circolo Sportivo Trevigliese proprio nell’anno del cinquantenario di quel grandissimo successo che lo portò a toccare il vertice della sua storia sportiva post bellica.

La qual cosa ci permette almeno di chiudere questo ricordo con spirito di fiducia e bene augurando in tutti i sensi per i prossimi cinquant’anni del CST! Ottobre 2015 - la nuova tribuna -

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Storia/Pedalando nel tempo

Baffi, campione di ciclismo e umanità di Ezio Zanenga

Scrivo e pedalo, pedalo e scrivo. Pierino Baffi è stato qualcosa di più che un ottimo corridore, è entrato nella storia, anzi nella leggenda del ciclismo italiano. Vinse la prima gara della sua vita con i colori del Pedale Sportivo Trevigliese, nel 1951…

T

reviglio - “Quànd ‘na persùna l’è spès nèla memoria, völ dì che l’è dégna de pasà àla stòria” È un verso di una poesia dialettale di Iginio Bezza dedicata a Pierino che sintetizza bene il concetto di un personaggio rimasto nella memoria di molti sportivi grazie alle sue strepitose vittorie ma, anche e soprattutto, per la sua carica umana che sprigionava simpatia a prima vista.

‘Il suo ricordo ha ancora la forza di inumidirci gli occhi’ è scritto nella prefazione della sua biografia pubblicata nel 1996 e lo ribadiamo ancora oggi.

Pierino Baffi nasce a Vailate il 15 settembre 1930 (lo stesso giorno di Fausto Coppi…). Cresce sano e forte, aiuta presto papà Luigi nei lavori dei campi e a dodici anni va a bottega dallo zio Ginetto Cacciamalli, ciclista del paese. Frequentava l’ambiente trevigliese nel negozio di Papà Polloni in via Portaluppi e lì nasce la passione per le due ruote. A 20 anni si tessera per il Pedale Sportivo Trevigliese, presidente Michele Cavallo, factotum Davide Cefis, Angelo Cassinelli e Italo Caspani. Sembra un po’ tardi per diventare un campione, ma Pierino brucia le tappe e nella primavera del 1951 vince in solitaria sulle ’mura’ la prima edizione del G.P. L’Eco di Bergamo. Passa poi all’U.C. Cremasca e quindi alla ‘Ciclistica Baracchi’ di Bergamo. Nel 1954 il passag-

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gio al professionismo nella ‘Nivea Fuchs’ con capitano il carismatico Fiorenzo Magni, dove Pierino impara presto l’oscuro e prezioso lavoro di squadra.

Fiorenzo ne apprezza subito la bravura e le qualità umane, gli concede spazio e fiducia.

Pierino ripaga con squillanti vittorie, partecipa a 2 Vuelta di Spagna, 6 Tour de France, 12 Giri di Italia, unico italiano, allora, a vincere tappe in tutte e tre le manifestazioni.

Dopo Fiorenzo Magni è fedele scudiero di Pasqualino Fornara, Gastone Nencini, Ercole Baldini, Arnaldo Pambianco, Gianni Motta, per citare solo i più noti.

Fece in tempo ad ‘incrociare’ anche Gino Bartali e di Fausto Coppi fu fedele scudiero nel mondiale del 1956 di Copenaghen.

Passista veloce, resistente a tutte le fatiche, stroncava gli avversari con lunghe volate.

Maglia rosa al Giro del 1956, quattro volte azzurro ai Mondiali, nell’intera carriera vince 56 volte!

Leggendarie le sue vittorie al Tour: nel 1957 a Bordeaux con 22 minuti di vantaggio sul secondo, dopo una fuga solitaria di 145 chilometri; nel 1958 trionfa a Parigi nell’ultima tappa di 320 Km. ricevendo le ovazioni di 18 mila persone. La stampa francese lo definì ‘il toro di Vailate’.

Nel 1960 si sposa con Giusta Ferrari, testimoni di nozze Fiorenzo Magni e il patron dell’Ignis Giovanni Borghi, il re (allora) dei

A sinistra, nel 1953, Pierino Baffi all’esordio, poi nel 1956 al Giro d’Italia in Maglia Rosa con Fiorenzo Magni, Charly Gaul e Fausto Coppi

frigoriferi. Gareggerà sino al 1966 (tredici anni di professionismo) e si dedicherà poi alla direzione tecnica di compagini dilettantistiche. Morirà il 27 marzo 1985, a soli 54 anni, per un tumore al cervello, non senza però godersi il figlio Adriano professionista in mezzo al gruppo, lo stesso gruppo che lo aveva visto stimato e generoso protagonista.

Infiniti i suoi aneddoti che ho raccolto grazie anche all’amicizia che ci legava, come quello, magari banale ma significativo del suo ‘essere’. Tappa dolomitica del Giro d’Italia, sterrato, pendenza micidiale, Pierino insieme ad altri arranca staccatissimo, una maschera di sofferenza. Un tifoso via via che si avvicinano i corridori afferra il sellino e alè, una bella spinta a tutti. Chissà quanti ne ha aiutati, ma uno solo, uno con la maglia della Molteni, volta la testa e, con voce strozzata dalla fatica dice ‘Grazie!’. Il tifoso rimane di A sinistra Pierino Baffi nel 1972 con il figlio Adriano mentre in piedi osservano compiaciuti Mario Fontana e Gianni Casati. Sotto nel 1957 al Tour de France, il lancio dei fiori della vittoria alla folla. A sinistra splendido primo piano di Pierino impegnato in gara.

Storie di imprenditori/Action Club

La sfida continua ricordando Luca

L

di Cristina Signorelli

sasso: tante spinte, un solo grazie, quello di Pierino, campione non solo nelle volate ma anche nel cuore. Sapeva dir grazie a chi gli rendeva meno amara la fatica!

Era amico di tutti Pierino, disponibilissimo. Il suo seminterrato di Vailate, trasformato in officina-salotto, aveva sempre le porte aperte, vero e proprio punto di riferimento e di incontro per giovani corridori, direttori sportivi, vecchi compagni di squadra, giornalisti, semplici curiosi, per tutti c’era un sorriso, un consiglio, un racconto, …con un caffè sempre pronto.

Non si arrabbiava mai Pierino, o perlomeno non portava rancore, nemmeno quella volta che in una giornata di riposo al Tour de France i compagni di squadra lo buttarono in mare completamente vestito. L’acqua era alta, Pierino non sapeva nuotare, rischiò di annegare. Lo salvarono, Pierino disse ancora ‘Grazie’! E il giorno dopo vinse una tappa di 250 Km.!

Si, ha rappresentato lo spirito più genuino del ciclismo, l’anima antica degli uomini di una volta.

Fu un grande, oggi sarebbe grandissimo.

E, come scrisse Alessandro Manzoni: “Son cose che chi conosce la storia deve sapere” E ricordare, aggiungiamo noi.

a storia imprenditoriale di Luca e Claudio Bertollo inizia negli anno’80, quando i giovani fratelli decidono di aprire un’impresa nel campo edile. Da quei primi esordi si è sviluppato un forte sodalizio professionale che ha permesso di operare negli anni in totale armonia e simbiosi. Così quando nel 2003 Luca propone di diversificare l’attività e realizzare a Brignano Gera d’Adda un grande centro fitness, Action Club, Claudio lo appoggia incondizionatamente demandando interamente al fratello lo sviluppo e la gestione della nuova impresa. Luca si dedica completamente a questa nuova impresa dando vita a una struttura fitness all’avanguardia e supportato da personale qualificato, tanto che in breve tempo la nuova attività raggiunge il successo sperato.

Nel 2011 però la famiglia Bertollo si trova ad affrontare una dolorosa sfida, a Luca viene diagnosticato un cancro al pancreas che in pochi mesi lo strapperà ai suoi cari, ai molti amici, all’attività. Così Claudio, oltre al grande dolore per la scomparsa del fratello, deve affrontare il difficile compito di subentrare nella gestione di un’attività di cui non si era mai interessato, quella di Action Club: «All’inizio non sapevo e non capivo molto» confessa Claudio, comunque decide di proseguire l’impegno che fu di Luca, anche se occupato in altra attività imprenditoriale.

La scelta, per forza di cose, deve essere drastica e tutta orientata su come ridimensionare l’attività in una struttura meno impegnativa.

Lo aiuta l’amicizia con Fausto Minini, propietario di un centro fitness preso il Pip 1 di Treviglio in via Blancanuca, e nel 2013, con le chiavi in mano si avviano i lavori di ristrutturazione e ripristino dell’intera struttura, rinnovando gli ambienti e la piscina al fine di garantire agli ospiti del centro i migliori standard qualitativi dei servizi, oltre ad elevati livelli di pulizia ed igiene. Finalmente nel marzo del 2014 Action Club apre «in sordina – come lui stesso afferma – perché ero nuovo di questo lavoro e mi pareva doveroso acquisire una certa professionalità sul campo, così come ho sempre fatto nella mia carriera, prima di fare grande pubblicità alla nuova iniziativa».

A oltre un anno di distanza dal nuovo avvio, l’impegno profuso da Claudio nell’impresa ha dato ottimi risultati, sia con progressivo e soddisfacente aumento del numero di iscritti, sia consolidando l’affiatamento dello staff formatosi a Brignano con i nuovi collaboratori. Uno staff particolarmente serio e professionale.

Nella nuova avventura Claudio ha coinvolto anche la moglie Laura - che si dedica prevalentemente agli aspetti amministrativi e la figlia Cecilia, ottima pallavolista, che da settembre ha iniziato a collaborare in modo attivo ad Action Club.

«Dal momento in cui ho raccolto la sfida del destino – dice Claudio Bertollo - impegnandomi al meglio delle mie capacità per dare un futuro al progetto di mio fratello, ho messo a frutto la mia esperienza di imprenditore in un settore molto diverso da quello che conoscevo, dando sempre grande importanza al valore di ciò che offro ai miei clienti, come ai piccoli iscritti che partecipano al corso di danza classica o di nuoto. Bimbi e ragazzi che oltre ad imparare le tecniche della disciplina sportiva scelta, qui vivono lo sport come momento di crescita personale e sociale. Per questo accogliamo volentieri tutti, che siano campioni in erba o meno, garantendo un percorso educativo di soddisfazione personale.

In sintesi potremmo dire che la nostra filosofia è improntata nel proporre corsi ed attività sportive di consolidata tradizione, ma nel contempo in armonia con le esigenze dei clienti, questo rispettando le diversità ed attitudini di ognuno».

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Professionisti Informano/Centro Acustico Bergamasco Treviglio

Sentire bene per vivere meglio L’udito è essenziale per una buona qualità della vita

L

e cause che portano all’indebolimento dell’udito possono essere molteplici, non necessariamente legate all’avanzare degli anni o all’utilizzo scorretto di apparecchi radioproduttori di musica di cui spesso i giovani fanno un uso. Ci sono cause la cui conoscenza potrebbe aiutare a prevenire possibili futuri disturbi.

In base ad un recente sondaggio Istat, un italiano su sette presenta un disturbo più o meno marcato della funzione uditiva: un dato, questo, che seppur più concentrato nel campione avente tra i sessanta e gli ottanta anni di età, risulta fortemente invalidante anche nella quotidianità dell’individuo e, tra l’altro, fortemente riscontrato anche nelle fasce di età tra i 13-45 e 45-60 anni.

Nell’adulto la sordità può condizionare pesantemente l’attività lavorativa e la vita sociale; nel bambino il difetto uditivo deve essere oggetto di una celere ricerca della natura da cui esso deriva. Grazie allo screening uditivo neonatale -un test audiologico indolore e di pochi minutiè possibile rilevare anche in età precoce l’eventuale presenza di problematiche da approfondire successivamente con tecniche più specifiche. Ai principali sintomi del disturbo, spesso, se ne possono associare altri (vertigini, disturbi di equilibrio, sensazione di ronzio o altro rumore nell’orecchio oppure di voce ovattata). Gli effetti sulla quotidianità dell’individuo possono essere importanti: disturbi del sonno, difficoltà relazionale, di concentrazione e di apprendimento, stress, sensazione generale di malessere, aumento dell’aggressività. È in questo quadro che il Centro Acustico Bergamasco, presente sul territorio da più di trenta anni, si posiziona, con l’obiettivo di fornire un servizio completo, capace di soddisfare le più diverse esigenze delle persone con problemi di udito.

Struttura convenzionata con A.S.L. - INAIL - CGIL - CISL ha come obiettivo fondamentale il contribuire al miglioramento della salute della collettività e di conseguenza della qualità della

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vita attraverso la qualificazione del proprio personale ed il supporto alle nuove tecnologie digitali; il tutto nell’ottica di fornire un servizio affidabile, scientificamente evoluto, accurato, rapido ed efficace, a tutti i propri clienti.

Grazie alle metodiche utilizzate, alla tipologia dei controlli eseguiti e per la competenza del personale, il Centro Acustico Bergamasco rappresenta un Punto di riferimento qualifica-

to per la lotta alla sordità.

Controllo dell’udito gratuito e senza alcun impegno, assistenza e riparazione di tutte le migliori protesi acustiche, vendita pile ed accessori, sono solo alcuni servizi che il Centro Acustico Bergamasco offre alla popolazione.

Centro Acustico Bergamasco Treviglio Via Matteotti, 14/A tel. 036348098 centrocab@alice.it

Lettere

Opinioni/Treviglio dimenticata

Variante Zogno: altri 15,5 milioni, a Treviglio nulla Brebemi, via del Bosco, la ciclabile e chi copia idee

Gent. Direttore, siamo alle solite, ma purtroppo siamo in Italia. La direttrice ciclopedonale più breve da seguire per raggiungere Cascine S. Pietro, congiungendosi appunto alla ciclabile da e per Cassano D’Adda, passa per le cascine da voi menzionate, per poi girare attorno alla cava, raggiungere cascina bruciata, indi immettersi sul percorso su menzionato. Ma perché non pensarci durante i lavori di realizzazione dell’opera viaria, costruita per immettersi sulla Brebemi?

Eppure avevo fatto presente questa possibilità nel 2007 e di recente con Luigi Minuti, prospettando appunto la messa in opera di un cavalcavia ciclopedonale. Forse non si sa come fare a sperperare denaro pubblico, o più semplicemente si usano idee altrui dopo anni per far vedere come si è intelligenti a spese di chi ve le propone? Cordialità, Pierpaolo Maria Brambati Gent. sig. Brambati, ha ragione, le abbiamo rubato l’idea di non interrompere la via del Bosco, ma le assicuro che non siamo stati i soli. Non solo, all’inizio del Giugno del 2012, a nome dell’associazione “Città dell’Adda”, personalmente ho chiesto alla Brebemi l’organizzazione di un incontro con i loro dirigenti, i sindaci, gli assessori ed i tacnici dei Lavori Pubblici dei comuni di Arzago, Calvenzano, Caravaggio, Casirate, Cassano d’Adda e Treviglio. Questo per discutere dei problemi creati dai lavori, in particolare in via del Bosco, via Fissi e via Lodi. L’incontro si è svolto il 22 Giugno presso l’Assessorato ai L.P. di Treviglio ed è stato utile, anche se non risolutivo per tutti i problemi. Infatti in un nostro comunicato del 14 Aprile 2014, lamentavamo: “Rimane ancora irrisolta la drastica chiusura di via del Bosco e problemi di una serie di percorsi ed accessi a servizio delle cascine e delle utenze agricole”. Ma la Brebemi fu irremovibile, non aveva soldi. Ora, grazie anche alla collaborazione tra i comuni di Cassano d’Adda e Treviglio, si sta tentando di rimediare ai danni provocati dalla Brebemi e dalla Tav, ma soprattutto dai precedenti amministratori comunali trevigliesi. Poi, visto che è lei così attento, si faccia un viaggio tra Chiari e Melzo e constati le opere accessorie di mitigazione costruite da Brebemi e dalle Ferrovie, poi si spieghi -calendario alla mano- chi ringraziare per l’assenza totale di opere a Treviglio.

Roberto Fabbrucci

L’Assessorato regionale alle infrastrutture sborsa 15 milioni extra per la “strategica” variante in Val Brembana.

Per il collegamento fondamentale tra Treviglio, l’A4, la Pedemontana, quindi Est-Ovest lombardia, zero! È di questi giorni la notizia che, dopo la chiusura del ponte sull’Adda al traffico pesante da parte del Sindaco di Cassano, riprenderanno i lavori di costruzione della tangenziale che finalmente sgraverà Cassano d’Adda dal traffico di attraversamento che la soffoca da anni. Quest’opera viene pagata per sei milioni dalla Provincia di Bergamo, essendo conseguente ad un Accordo di Programma del 2002 tra la Regione e le Province di Milano e Bergamo, accordo che riguardava anche la tangenziale ovest di Treviglio.

Ma di realizzare quest’ultima non si parla e non c’è traccia di finanziamenti in atto in Regione e Provincia di Bergamo.

Invece veniamo a sapere che la Regione finanzierà con 15 milioni gli extra-costi della variante di Zogno, un’opera che come risaputo da tutti “è strategica per la mobilità est-ovest del nord Italia e per il rapido collegamento con le direttrici di collegamento con i valichi per il nord Europa”.

Scusate...forse ho sbagliato il virgolettato, riportando quello riferito al collegamento tra Brebemi e Pedemontana, un tratto tra Treviglio e Capriate necessario per concludere un sistema viario idoneo a connettere le maggiori direttrici di traffico del nord Italia evitando il nodo (scorsoio) di Milano. Questo tratto farebbe anche da tangenziale ovest di Treviglio e da collegamento veloce con Bergamo, ma non è finanziato da Regione e Provincia.

La terza notizia che ci riguarda è questa: la stazione ferroviaria più utilizzata per andare all’Expo è quella di Treviglio: ovvio,è il capolinea di due linee del Passante di Milano oltre che l’incrocio delle linee Milano-Brescia e BergamoCremona. Quindi Treviglio ha un ruolo

fondamentale per la mobilità regionale su rotaia, offre i suoi servizi di accessibilità e parcheggio ai cittadini di 3 diverse province (MI BG CR) e ne subisce tutte le conseguenze di traffico, rumore, inquinamento. I cittadini di Treviglio che si sono fatti carico dei costi dei parcheggi (Turro, Roggia Vignola, ecc) non riescono a trovarvi posto dopo le 8 del mattino.

I residenti nei viali sono invasi daa una massa di veicoli in attraversamento, perché qui arriva il traffico, ma i soldi

vanno da altre parti. Se io fossi il Sindaco di Treviglio a questo punto mi indignerei, convocherei Provincia, Regione e Trenord e picchierei i pugni sul tavolo minacciando la chiusura dei nostri viali al traffico pesante e mettendo in campo da subito il provvedimento di riservare il parcheggio Turro ai soli residenti a Treviglio.

Chiederei finalmente finanziamenti per attrezzare la stazione di parcheggi adeguati alla domanda crescente e interventi di realizzazione delle tangenziali.

Ma io caro Pezzoni non sono il Sindaco di Treviglio.

Ezio Bordoni Nel ritratto l’Assessore Regionale alle Infrastrutture Alessandro Sorte, brignanese e leader locale di Forza Italia. Si è opposto al completamento dell’infrastruttura viaria Treviglio-Bergamo, strategica ai collegamenti est-ovest

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Lettere

Aziende informano/Studio Blu

Le strisce pedonali non sono un ponte stradale di Guido Devizi

Il pedone non ha sempre ragione, nemmeno quando attraversa la strada sulle strisce pedonali

Alcune targhe viarie fanno proprio ridere

Complice il caldo torrido di questi giorni e l’imprecisa descrizione di un cartello turistico al semaforo di via Roma (vedi foto spora) sono partito alla ricerca del “museo civico della torre”. Avendo sentito parlare da anni del progetto dell’Amministrazione Comunale di realizzare un “museo verticale” nel campanile ho pensato (complice anche la frenesia per l’EXPO) che forse, a mia insaputa, fosse stato realizzato.

Tempo di riprendermi dall’abbaglio e dal colpo di sole di questo luglio tropicale (la pedalata sotto i tigli è stata ristoratrice e ha rimesso le cose a posto) mi sono ricordato di alcune imprecise segnalazioni viarie.

Ne cito una per tutte.

Abitando in “Via ” mi piange il cuore quando passo sotto i cartelli bianchi con l’unica scritta “via Tiragallo”. Dicitura che sembra indicare un luogo di allevamento e macellazione dei volatili da cortile. Invece la via è stata intitolata al giovane tenente degli Alpini (martire della Libertà) trucidato dai nazisti-fascisti nel 1944 a Cornalba.

Non pretendo che il Comune (in tempo di vacche magre) aggiorni tutta la toponomastica cittadina ma che almeno sistemi gli strafalcioni più eclatanti contribuendo alla salvaguardia di un certo decoro cittadino.

Oltre a qualificare meglio la memoria degli illustri personaggi, specificando la loro professione e le date di nascita-morte, si dovrebbe scrivere in maiuscolo i nomi propri come ci insegnavano alle elementari. Chi trascura le piccole cose prima o poi cade in disgrazia …vittima delle proprie manchevolezze e superficialità.

Ennio Dozzi

T

ra tutti gli utenti della strada, il pedone è senza dubbio il più debole, quello che, privo di qualsiasi protezione, nel caso di un sinistro riporta con maggior frequenza danni fisici importanti; per questo, anche quando utilizza gli appositi attraversamenti pedonali, il pedone deve prestare la massima attenzione ed evitare comportamenti che possano mettere a repentaglio la sicurezza propria e quella altrui.

A conferma di ciò la Cassazione in una recente sentenza ha riconosciuto un pedone responsabile di un sinistro per

aver attraversato la strada di corsa, pur transitando sulle strisce pedonali; in un’altra sentenza invece al pedone è stata addebitata la responsabilità del sinistro con un ciclista per esser sceso, repentinamente e senza guardare, dal marciapiede attraversando la pista ciclabile adiacente.

Non solo quindi “il pedone non ha sempre ragione” ma deve assolutamente rispettare le regole del Codice della Strada, adeguando il suo comportamento in ogni situazione evitando i pericoli.

Calando queste considerazioni nella realtà trevigliese, l’inevitabile aumento del traffico cittadino di automobili e motociclette, in assenza di modifiche strutturali alla viabilità, ha portato ad un aumento dei sinistri, spesso anche gravi, che coinvolgono i pedoni.

Molti sono ancora gli attraversamenti pedonali dove le persone sbucano da dietro un albero tanto grande da nasconderle alla vista degli automobilisti (Viale Filagno, Viale Buonarroti) e quelli scarsamente illuminati per cui la prudenza prima di avventurarsi in mezzo alla strada deve essere massima.

Sicuramente positivi sono invece alcuni interventi: quello di Piazza Insurrezione, per ridurre la lunghezza dell’attraversamento pedonale in prossimità dell’incrocio con Viale De Gasperi e quelli più recenti in Viale Ariosto e Viale XX Settembre con la formazione di protezioni per i pedoni al centro della carreggiata.

Ma, sono le cifre a dirlo, tutto questo non basta ed i pedoni coinvolti in incidenti stradali sono sempre tanti, troppi, come la cronaca cittadina ci racconta ogni giorno.

Inoltre il pedone, privo di copertura assicurativa, deve iniziare da solo la strada intricata del risarcimento del danno, mentre si sta curando per le lesioni riportate.

In molti casi si tratta di persone anziane che, oltre alle difficoltà burocratiche, non hanno i mezzi per affrontare i costi economici delle cure necessarie per la guarigione.

Affidandosi a Studio Blu il pedone vittima di un incidente stradale soluziona in un sol colpo tutti questi aspetti: quelli burocratici, trovando chi lo sostituisce in tutti gli adempimenti e nella trattativa con l’assicurazione, e quelli economici, usufruendo delle convenzioni senza anticipo di spese con medici e fisioterapisti per la completa guarigione e con medici legali per la valutazione del danno subito.

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64 - la nuova tribuna - Ottobre 2015

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Calvenzano/Lutti

PALINSESTO 2015

La scomparsa del sindaco Aldo Blini

Fin dal primo incontro appariva chiaro che Aldo Blini, Sindaco di Calvenzano, aveva le doti giuste per essere un buon amministratore. Ogni scelta dettata dall’interesse collettivo, la gestione trasparente delle risorse messe sempre a frutto per garantire il massimo vantaggio per l’intera Comunità, e non da ultimo l’attenzione che riservava ad ogni cittadino si rivolgesse a lui per un consiglio. È morto all’improvviso in una calda mattina di agosto mentre si trovava nel Palazzo Comunale, al suo posto, svolgendo l’attività di ogni giorno in compagnia dell’amico Fabio Ferla (Vice Sindaco), che lo ricorda: «Abbiamo perso un uomo onesto, una guida premurosa, un consigliere saggio, ma non il suo esempio ed il suo insegnamento che accompagneranno la nostra azione nei prossimi tempi».

A Blini va riconosciuto anche il merito, oltre ad un assiduo impegno personale nell’adempiere il suo ruolo, di aver costruito una squadra di lavoro ben preparata nei diversi ambiti di competenza e motivata nello svolgere i compiti assegnategli, tra i quali vi è oggi il più doloroso: proseguire il cammino senza di lui.

Cristina Signorelli

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Tutti l giorni alle 6:00

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Tutti i giorni alle 8:00 e alte 15:30

Discoteque Evergreen

Women in Music

Dal lunedì al sabato alle 8:00, 12:15, 17:30, 19:30, 22:00

The hits of the years

Fuorigioco

Totalmente in lingua inglese, la domenica alle ore 20:00

Al lunedì alle ore 21:00

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Storie e persone

Tutti giorni alle 9:00 e alle 17:00

Dal lun. al sab. 20:00 alle 21:00; giov.

20:00 alle 22:00. Alle 00:00 in diretta

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Rock Connections

Tutti i giorni alle ore 18:00 e alle 19:30

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Domenica alle 08:00 e alle 14:30

Quotidiano Tv

In onda tutti ì giorni alle 13:30

Al mercoledì alle 22:15

Vox Populi

Il venerdì alle ore 21:00

Tutti i venerdì alle 21:30, in replica il mercoledì alle 7:30

Rock the night

Proposte d’Arte

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Controcanto

Rimembranze

C’è vita a Treviglio di Stefano Pini

Un calendario fitto d’eventi di ogni tipo, tra entusiasmo, partecipazione e suggerimenti per il futuro

D

omenica 13 settembre 2015, si cammina fluidi per via Roma, piazza Manara e i portici di via Matteotti: eppure in pochi passi a Treviglio si incrociano dozzine di persone, qualche negozio aperto, due manifestazioni distinte, una che mette sedute ai tavoli da gioco – di un sacco di giochi differenti – tanti trevigliosi e non, giovani e adulti, l’altra che infila una bancarella di libri dopo l’altra, in una fiera della piccola editoria diventata abituale in questo periodo dell’anno, in città.

Treviglio si muove, gli avventori gradiscono, i commercianti sorridono e sembra che, dopo un torpore durato anni, ultimamente la città abbia ritrovato un poco di linfa, voglia di organizzarsi, esprimersi, quanto meno tornare per le strade del centro e rumoreggiare, sia per un mercato domenicale, per un’apertura straordinaria dei negozi o per qualche manifestazione particolare.

Riprendere il passeggio, l’andirivieni un po’ compulsivo ma volenteroso, la voglia di incontrarsi in centro e, dal centro, tornare a casa, a Treviglio o altrove, con qualcosa di nuovo in tasca. Il calendario di eventi , nel 2015, è talmente fitto da rendere impossibile ricordarne più di una manciata, a memoria, tra Vintage, Poesia, Cinema all’aperto, Sport, Giochi, Libri e, dopo che quest’articolo sarà andato in stampa (quindi qualche settimana fa, per chi legge), una sagra del Gusto.

E chissà che altro ancora.

La sequela di maiuscule utilizzate qualche riga sopra non è casuale. Ogni incontro, ogni manifestazione, ha una sua anima, i suoi organizzatori, una fisionomia specifica. Ad accomunare versi e vino, scacchi e abiti d’antan, è il palcoscenico: Treviglio e le sue vie più antiche, quel centro che i cittadini stanno pian piano riscoprendo e chi viene da fuori, qualche volta, guarda con un po’ di stupore. Un gomitolo di strade che negli ultimi vent’anni ha stravolto la sua identità, frantumandola, e ora prova a riconquistarne una nuova, meno verace ma comunque sentita.

Tutto il movimento degli ultimi mesi è il risultato di un lavoro, individuale o a piccoli gruppi, iniziato prima, due, tre

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anni fa, dopo che per un paio di lustri i trevigliesi in molte delle loro declinazioni (abitanti, transfughi dai dintorni, nuovi immigrati, giovani, lavoratori e pensionati) avevano ignorato o quasi le sorti umane della città. Non erano mancati eventi associativi e spunti culturali resistenti – seppur isolati - anche prima, ma da tempo non si vedeva un fermento

Il mio caro amico Carlo Gaiardelli

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così diffuso. E proprio oggi che Treviglio sta riguadagnando volti e colori, servirebbe un ulteriore sforzo per coordinare al meglio tutte le attività, o quanto meno stilare un calendario comune che eviti congestionamenti. Servirebbe forse una collaborazione ancora più stretta tra istituzioni e associazioni, una migliore distribuzione delle forze. Se ne parla on-line, soprattutto sui social network, sintomo che la necessità di organizzarsi al meglio è una necessità comune. Ma se ne parla anche per provare a unire individualità e retroterra differenti: è giusto che ciascuno mantenga le proprie peculiarità, le proprie finalità e il proprio tono, ma è altrettanto utile confrontarsi, per trovare un filo conduttore, fare rete senza ostacolarsi, sfruttare al meglio gli spazi e le occasioni.

Per lasciare una traccia vera e, perché no, un’eredità a chi verrà dopo, con nuove idee, nuovo movimento e una città di nuovo viva.

o scorso 25 Giugno moriva all’età di novantun anni l’amico Carlo Gaiardelli. Una figura carismatica e “storica” di Treviglio. I lettori de “La Tribuna” conosceranno Carlo -oltre che per essere stato per decenni direttore della Baslini, politico (ex partigiano) e amministrativo (Assessore Comunale negli anni ’60)- anche per l’aspetto sociale, essendo egli stato membro di varie Associazioni cittadine e sempre in prima fila nel dibattito culturale locale. Tralascio pertanto l’aspetto “pubblico” di Gairdelli limitando le mie riflessioni al solo ambito affettivo e amichevole.

I genitori non muoiono mai. Oltre che nel DNA continuano a vivere nel nostro spirito.

Anche certe amicizie non muoiono mai.

Ho conosciuto Carlo pochi anni fa e sono sicuro che la sua voce, il suo sorriso, la sua “silhouette” e la sua camminata resteranno per molto tempo nella mia memoria.

Gentilezza e umanità erano le virtù immense di questo “spirito magno” trevigliese. Nei nostri frequenti incontri non ho mai avvertito un’arrabbiatura, un rancore, un risentimento, un’ astiosità. Quando l’umanità (nel senso di sentimento verso gli altri) è figlia dell’intelligenza (e non solo del buonismo alla moda) allora da il meglio di se. E Carlo di intelligenza ne aveva da vendere.

Del resto da dove nasceva il suo modo empatico di rapportarsi agli altri? Non certo solo dalla sua gentilezza. Per amare veramente il prossimo dobbiamo considerare gli altri come persone e uomini …se non addirittura fratelli! E Carlo aveva un grande rispetto per le persone, per la loro storia, per la loro vita.

Con la morte di Carlo Treviglio perde dunque un “maestro di vita” ma non i suoi insegnamenti. Il suo spirito continuerà a pellegrinare sotto il campanile, in via Roma e tra i tigli sulla circonvallazione. I genitori non muoiono mai … e anche certi amici.

Ennio Dozzi

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