La Madia Travelfood n. 340 - Settembre 2019

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Mensile Sped. In Abb. Post. - Gruppo III° - 45% - Art.2 Comma 20/B Legge 662/96 - Fil. Forlì - Tassa Pagata - Taxe Perçue - Reg. Trib. Di Forlì N.653 - Del 14/6/84 - Dir. Resp. Elsa Mazzolini - La Madia Srl - Via Pacchioni, 365 - Cesena - Euro 4,00 - In caso di mancato recapito restituire al mittente che si impegna a pagare la relativa tassa

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ANNI

www.lamadia.com

ANNO XXXV Settembre 2019 - N. 340 - €E 4,00 Direttore ELSA MAZZOLINI

RISTORANTI

Londra, Bilbao, Singapore, Parigi, Torino, Amsterdam, Madrid

AL MUSEO

nei ristoranti di Mosca, Parigi, New York, Londra, Tokio

LA FOOD DESIGN MANIA

LA MADIA EDITORE




Sommario LA MADIA TRAVELFOOD N. 340

GourmetFood

di

Flavia Tomaello

GourmetFood

di

Giulia Gavagnin

pag. 44

pag. 56 60 RISTORANTI AL MUSEO

MAGORABIN

Pennello, scalpello e cucchiaio.

Il cantastorie a tinte rock della cucina piemontese.

GourmetFood

di

Flavia Tomaello

Vinaria

di

Mario Federzoni

pag. 66

pag. 96 DANIELA SOTO-INNES È una messicana di New York la migliore cuoca del mondo.

CRUS, CLOS, LIEUX-DITS E CLIMATS Ma che vuol dire?


La scelta vegana

Eventi

Tha game changers

Cucine Aperte.......................................................................... pag. 35

di Silvia Bianco.......................................................................... pag. 8

Buone Nuove................................................................................ pag. 38

Il menu engineering

Chef di Spirito

Recensione negativa: sì o no? Io dico no

Massimiliano Capretta

di Lorenzo Ferrari..................................................................... pag. 12

di Sonia Leo............................................................................... pag. 39

EVO - L’olio extravergine di oliva

Tendenze

L’olio extravergine di oliva nei dolci

Food Design Mania................................................................. pag. 54

di Antonietta Mazzeo............................................................. pag. 14

Intervista a...

Olio DOP Riviera Ligure

Scott Wiener

di Fabrizio Salce....................................................................... pag. 16

di Lucy Gordan......................................................................... pag. 70

Intervista a...

Giovani Talenti

Nasce il “Ristoratore Resistente”...................................... pag. 18

Andrea De Carli, Elisa Zanelli, Marco Cozza

Golavagando

di Antonietta Mazzeo............................................................. pag. 74

Aroma a Brescia

Vinaria

di Fabrizio Salce....................................................................... pag. 22

Il focus di Alessandro Rossi

Teatro alla Scala - Il Foyer, a Milano................................ pag. 25

Ma chi è realmente Robert Parker?

L’Officina, ristorante culturale, a Perugia

di Alessandro Rossi................................................................. pag. 88

di Annarita Pelaracci.............................................................. pag. 26

Champagne italiano?

Mangiafuoco a Collodi

di Mario Federzoni.................................................................. pag. 90

di Domenico Acconci.............................................................. pag. 27

Dalis, rosato del Teroldego

Fabio Nurra a Sassari

di Gianluca Ricci....................................................................... pag. 92

di Cristina Vannuzzi................................................................ pag. 28

Erbaluce, un piemontese di buon carattere

Tenuta di Bacco a Monte di Procida

di Fabrizio Salce....................................................................... pag. 94

di Laura Gambacorta............................................................. pag. 30 Banco_12 a Porto San Giorgio............................................. pag. 34



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35 compleanno

La Madia!

Continuano a pervenirci gli auguri...

GAJA DA: ANGELO ione Gaja Dis tribuz Cara Elsa, di x 35) giorni 12.775 (365 ga a rivista di vita per un OLsono MOO stronomia rni io g i 1.0 0 0 TO di più d rve d i un G o consecutivi uin carica. I n no italiano nra n o co n fo m e ri se m b im a tr e la tu d e re , m e n ! el b remio No presa è da p

Cara Elsa, la tua penna gentile e attenta è stata capace di raccontare, attraverso delle parole armoniche, il mondo che ogni giorno nutro con la passione che mi accompagna da tanti anni. Rispecchiarmi nelle tue parole rappresenta un regalo grande: la consapevolezza di poter condividere con occhi sensibili, come i tuoi, i dettagli della mia cucina ed i colori vivaci che emanano. Occhi sensibili appunto che osservano e poi raccontano, arrivando ad altrettante persone attente e sensibili: è così che nasce il contagio di bellezza genuina. Con grande gratitudine, auguri. Pietro Zito - Antichi Sapori - Andria (BT) Tanti auguri e complimenti per la professionalità e la tenacia con cui raggiungete i vostri lettori. Bravi e bravissimi!

Gentile Sig.ra Mazzolini, le sue più sincere congratulazioni, con l’augurio che questo compleanno sia la celebrazione di un importante risultato e al tempo stesso un nuovo punto di partenza per il futuro. Cordiali Saluti. Italo Pedroni - Osteria di Rubbiara Nonantola (MO)

Vittoria Cisonno Direttore Movimento Turismo del Vino Puglia

Auguri alla redazione, auguri a Elsa Mazzolini direttrice, ideatrice, anima de La Madia Travelfood. Teresa Cremona - Giornalista

BUON COMPLEANNO LA MADIA TRAVELFOOD! Tantissimi auguri a La Madia Travelfood, la rivista di enogastronomia e viaggi a mio avviso più seria d’Italia. Maurizio Urso Presidente Accademia Nazionale Italcuochi Sicilia

35 anni portati con passione ed allegria. Tantissimi auguri e complimenti di cuore a due Donne straordinarie, Elsa e Maria Chiara. Due uragani, due concentrati esplosivi di energia sottile, due menti brillanti e sopraffine, due sorrisi contagiosi. La mela non cade mai lontana dall’albero. Con tanto affetto, stima ed amicizia Vincenzo Vottero, Licia Mazzoni Ristorante Vivo - Bologna

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lasceltavegana

a cura di

Silvia Bianco testimonial di cucina vegana

THE GAME CHANGERS

ATLETI E SCIENZIATI A FAVORE DELLA DIETA VEGETALE Dotsie Bausch

James Wilks

Lewis Hamilton

Novak Djokovic

IL NUOVO DOCUFILM CHE SFATA IL MITO DEL VEGANO GRACILINO “The Game Changers”, presentato in anteprima al Sundance Film Festival nel 2018, è il nuovo film prodotto da James Cameron, Arnold Schwarzenegger e Jackie Chan che documenta l’esplosiva ascesa dell’alimentazione vegetale negli sport professionali, unendo salvaguardia, scienza rivoluzionaria e spettacolari storie di lotta e trionfo. I protagonisti sono atleti d’élite, culturisti, soldati speciali, campioni di forza, scienziati visionari, icone culturali ed eroi dei nostri giorni che sono passati a una dieta a base vegetale e che hanno come missione quella di creare un cambiamento radicale nel modo in cui mangiamo e viviamo. Le star del film mettono fortemente in discussione la convinzione che si debba mangiare carne per essere forti; attraverso prove concrete e scientifiche dimostrano che le diete vegetali possono farci vivere in condizioni di salute ottimali e avere prestazioni fisiche complessivamente migliori. Il film è diretto dal vincitore Oscar del film “The Cove”, Louie Psihoyos, e dal produttore esecutivo James Cameron e cavalca la vera storia del protagonista: James Wilks, allenatore delle forze speciali, lottatore MMA e vincitore del reality The Ultimate Fighter, il quale viaggia per il mondo alla ricerca della verità sulla carne, le proteine e la forza, assieme ad alcuni degli atleti più forti, veloci e resistenti del pianeta. Il viaggio di Wilks svela miti obsoleti sul cibo che non solo incide sulle prestazioni umane, ma anche sulla salute dell’intera popolazione globale.

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Scott Jurek

COME NASCE THE GAME CHANGERS Nel 2011 James Wilks fu obbligato ad uno stop fisico di 6 mesi, dovuto alla rottura delle vertebre e alla lacerazione dei legamenti di entrambe le ginocchia durante un combattimento contro un futuro campione dei pesi massimi. Fu così che James Wilks iniziò a fare delle ricerche in campo nutrizionale per poter tornare in pista il più rapidamente possibile. Si imbatté in uno studio scientifico sui gladiatori romani che affermava che la loro dieta era principalmente vegetale, con molti cereali e perloppiù senza carne. Prima di questa sua scoperta, James Wilks era convinto di dover mangiare sempre più carne per essere forte ed affrontare la sua carriera agonistica. Questa rivelazione capovolse le sue convinzioni e lo portò a lanciarsi in una ricerca durata cinque anni alla scoperta della verità sulla nutrizione. James Wilks decise immediatamente di alimentarsi di soli prodotti vegetali, non nascondendo una transizione inizialmente un po’ problematica, proprio perché non aveva ancora una vera cultura al riguardo. Presto imparò ad approcciarsi a questo nuovo stile di vita e presto raggiunse grandiosi miglioramenti in termini di energia, forza, resistenza e recupero. James Wilks iniziò a documentare le sue inchieste: armato di videocamera, registrava ogni intervista ad atleti ed esperti di nutrizione. Conobbe Joseph Pace - un ricercatore canadese esperto in campo nutrizionale con un particolare interesse per l’alimentazione nello sport - il quale lo convinse a realizzare un lungometraggio. James Wilks, con l’aiuto di Brian Wendel, creatore e produttore esecutivo del film For-


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ks Over Knives, iniziò le riprese nell’autunno del 2013. All’inizio del 2014, un primo breve trailer fu visionato da Louie Psihoyos, il regista premio Oscar di “The Cove” che si propose subito come regista del docu-film; immediatamente dopo avvenne l’incontro con James Cameron che decise di unirsi al film non solo come produttore esecutivo, ma anche come primo benefattore della raccolta fondi che lo stesso Cameron decise di organizzare.

I MIGLIORI ATLETI “PLANT-POWERED” E GLI SCIENZIATI PIU’ GREEN Il protagonista del film James Wilks, pluricampione di MMA ed allenatore delle agenzie governative, divenne vegan nel 2011, successivamente all’incidente da combattimento, quando i medici gli pronosticarono un alto rischio paralisi. Si ritirò completamente dalla sua carriera di lottatore agonistico e iniziò ad alimentarsi escludendo ogni tipo di prodotto animale. Il recupero delle forze fu eccezionale e ad oggi James è in perfetta forma. I tempi di recupero veloci sono necessari per gli atleti agonisti come James e nel film viene spiegato che gli alimenti vegetali hanno 64 volte più antiossidanti degli alimenti animali: la lattuga iceberg - considerata come un alimento povero di nutrienti - ha più antiossidanti del salmone o delle uova e quindi il passaggio a una dieta a base vegetale riduce l’infiammazione del 29% in appena tre settimane (con questo non vogliamo certamente affermare che bisogna nutrirsi di sola lattuga). Oggi, il programma di allenamento di J.Wilks è più leggero rispetto a quando gareggiava nell’UFC, ma continua a sollevare pesi, corre tutti i giorni e svolge allenamenti di combattimento regolarmente. La sua alimentazione quotidiana è semplice, ma energetica: una tazza grande di fiocchi o farina di avena, con latte vegetale di mandorla, semi di canapa, zucca e lino, mirtilli e banane a colazione; uno stufato di lenticchie, biete e patate dolci a pranzo; un frullato con latte vegetale, banane, datteri, bacche e foglie di cavolo come spuntino pomeridiano, con eventuale aggiunta di proteine in polvere vegetali a seconda del tipo di allenamento; tofu saltato in padella con verdure come peperoni, broccoli, cavoli, carote, cipolle, aglio per cena; infine una tazza di cereali integrali con mele, fichi e noci come spuntino pre-nanna. Durante i cinque anni di ricerca per la produzione del film, James Wilks incontra innumerevoli atleti da tutto il mondo: atleti delle Olimpiadi, campioni del mondo e detentori di record mondiali, ognuno dei quali con incredibili storie, come il pesista olimpionico americano Kendrick James Farris e la surfista portoricana Tia Blanco, lo strongman Patrik Baboumian, l’ultra-maratoneta Scott Jurek, la ciclista Dotsie Bausch e l’ex difensore nella NFL Lou Smith, ognuno dei quali incarna a livello mondiale una o più prestazioni che vanno dalla forza, potenza, alla resistenza, recupero e longevità. Scott Jurek, ultrarunner dalla potenza e resistenza incredibili. Nel 2015 stabilì il record completando Appalachian Trail (Sentiero degli Appalachi, sulla costa orientale degli Stati Uniti d’America) in 42 giorni, battendo il record fissato da Jennifer Pharr Davis nel 2011 di 46 giorni, 11 ore e 20

minuti. L’Appalachian Trail è un sentiero escursionistico lungo circa 3500 Km, S. Jurek si svegliava ogni mattina alle 4:30: correva, camminava, talvolta gattonava, con la pioggia ed il vento, per dimostrare che una dieta a base vegetale può aiutare a raggiungere la fine del lungo Sentiero degli Appalachi che inizia in Georgia e termina nel Maine. Il potenziale del corpo umano è immenso, afferma Jurek nel film, ed una dieta vegetale è il combustibile ideale per affrontare le sfide più impervie e non mollare mai. S. Jurek divenne vegetariano nel 1997 e vegano nel 1999. Patrik Baboumian è uno strongman di origine Iraniano-Armena, emigrato in Germania da bambino, vinse il titolo dell’uomo più forte della Germania nel 2011 e attualmente detiene più record mondiali nel sollevamento pesi. In grado di sollevare un’auto e spostarla su di un fianco come se fosse leggera come una piuma, inizia la sua carriera nel mondo dello strongman per un tragico episodio che coinvolse sua madre, suo padre e sua sorella in un incidente mortale: sopravvisse solo la madre. Da allora P. Baboumian promise di fare tutto il necessario per essere un eroe e poter aiutare tutti gli esseri viventi. P. Baboumian smise di mangiare carne nel 2005 e nel 2011 divenne il nuovo volto per la campagna di sensibilizzazione della PETA (People for the Ethical treatment of the Animals). Dotsie Bausch ciclista olimpica, vinse l’argento ai giochi di Londra del 2012, battendo ogni record femminile e maschile per aver vinto una medaglia all’età di 39 anni. Atleti come D.Bausch spingono il loro corpo all’estremo ed ogni piccolo vantaggio conta infinitamente per i risultati finali. Oltre ad un duro allenamento fisico e psicologico, necessitano del combustibile ideale per avere la forza per pedalare su una pendenza che richiede 800 watt di potenza già ai blocchi di partenza. “Quando sono passata ad una dieta interamente a base vegetale”, afferma Bausch, “sono diventata come una macchina. Qualunque cosa chiedessi al mio corpo, in qualsiasi istante, era in grado di darmelo”. Dotsie Bausch divenne vegan nel 2009. Un altro eclatante esempio nella storia è Carl Lewis, un velocista olimpico nove volte medaglia d’oro che da quando divenne vegan realizzò tutti i suoi migliori traguardi. Oltre agli atleti nel film appaiono diversi esperti nel settore dell’alimentazione, della sanità pubblica e dell’antropologia, con storie e conoscenze potenti, con una prospettiva scientifica unica a sostegno della nutrizione vegetale, tale da non poter essere non raccontata. Tra i più interessanti il Dott. Kim Williams, allora presidente dell’American College of Cardiology; il Dott. Fabian Kanz, un antropologo forense di Vienna che analizzava le ossa dei gladiatori, le cui ricerche rivelarono che i gladiatori si nutrivano principalmente di grano, orzo e fagioli; il Dott. James Loomis, ex medico di squadra dei St. Louis Rams/Cardinals, il quale afferma che il consumo di carboidrati è una potente fonte di energia, sotto forma di glicogeno. “Penso che una delle idee sbagliate più comuni nell’alimentazione sportiva”, afferma Loomis, “sia che le proteine animali, in particolare la carne, siano fondamentali per crescere sani e forti ed ottenere prestazioni di alto livello. Questo chiaramente non è vero”. E’ evidente che tutte le proteine animali che le persone consumano provengono dalle proteine che gli animali a loro volta assumono dalle loro diete a base vegetale, il

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che rende gli animali gli inutili intermediari. Non sono necessarie tante proteine per vivere in salute e forti. Il vegano medio ottiene il 70 % in più di proteine di quante ne abbia bisogno dalle sole piante”. Durante il film, i medici intervistati affrontano il discorso della B12, spiegano chiaramente che è vero che i vegani non assumono B12 naturalmente dal cibo, ma che anche chi mangia carne ha un bassissimo livello di B12. Questo perché viviamo in un mondo snaturato: prima dell’era moderna, questo nutriente, che altro non è che un batterio naturale, poteva essere da noi assimilato dal suolo, e quindi dai vegetali che mangiamo, o dall’acqua che beviamo, ma gli agenti chimici presenti come i pesticidi e l’inquinamento, uccidono le fonti naturali di B12. Per questo, tutti, vegani e non, hanno al giorno d’oggi necessità di integrare.

LA RICERCA INNOVATIVA CHE SOVVERTE CREDENZE OBSOLETE Nel film vengono presentati due esperimenti scientifici dal vivo che utilizzano gli atleti come diretti soggetti del test. Il primo esperimento, viene condotto su tre giocatori della NFL (National Football League), con lo scopo di identificare l’effetto che un singolo pasto a base animale e successivamente uno a base vegetale può avere sul flusso sanguigno. Il secondo esperimento viene invece effettuato su tre atleti del college, ai quali vengono somministrati i medesimi due pasti, a base animale e vegetale, con l’intento di verificare quali conseguenze possono avere sul flusso sanguigno di una sezione specifica dell’anatomia maschile, ovvero la funzione erettile. Lo studio, condotto da Aaron Spitz, MD - delegato capo dell’American Urological Association - ha scoperto che il testosterone totale aumenta del 26 percento con una dieta a base vegetale, il che equivale ad ottimali prestazioni sessuali. “Più gli uomini mangiano la carne”, dice Spitz, “più rapidamente la loro età virile si riduce”. Nel film viene presentato il test nello specifico effettuato su tre atleti professionisti ed analizza la frequenza e la forza di erezione (quest’ultima misurata da un piccolo dispositivo “super-intelligente”) in due momenti diversi: una volta, dopo aver consumato un burritos a base di carne e la seconda volta, la sera seguente, dopo aver consumato una versione vegetale dei burritos. Dopo il pasto vegetale, tutti e tre i soggetti hanno manifestato erezioni più potenti, con un aumento della frequenza di erezione fino al 500% in più e con una circonferenza del pene maggiore. Questo studio sovverte l’antica concezione di virilità frutto di un marketing mirato, che ha determinato nella società la dipendenza dalla carne. Arnold Schwarzenegger, oltre ad essere uno dei produttori esecutivi, è uno dei protagonisti del documentario. Schwarzenegger interviene raccontando le sue personali esperienze sul campo e di come nella sua carriera da bodybuilder agonistico ha mangiato molta carne, poiché riteneva fosse fondamentale per la sua forza. Ora, a 70 anni, Arnold Schwarzenegger ha realizzato che è una credenza errata, un indottrinamento dei colossi della carne attraverso spudorate e menzognere campagne di marketing. Oggi, da oramai più di quattro anni, Arnold Schwarzenegger vive, cresce sano e forte con una dieta unicamente vegetale.

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A SETTEMBRE, NEI CINEMA DI TUTTO IL MONDO Oltre al regista vincitore Oscar James Cameron (Terminator, Titanic, Avatar) e Peter Jackson (Oscar per The Lord of the Rings e Nominee per Hobbit) in veste di produttori esecutivi, si sono uniti alla produzione Arnold Schwarzenegger, Jackie Chan, Lewis Hamilton campione di Formula 1, il tennista Novak Djokovic recente vincitore della finale Wimbledon contro Roger Federer e Chris Paul uno dei migliori playmaker della storia, convocato per ben nove volte all’NBA All-Star game. Il docu-film verrà proiettato in più di 1000 cineteatri in tutto il mondo, una premiere mondiale, un evento di una sola notte, il 16 settembre 2019, presso tutti i cinema del globo aderenti (per ulteriori dettagli visitare il sito www.gamechangersmovie.com) dopodichè il film sarà su Video on demand.

DAL CINEMA AL FOOD BUSINESS I due produttori esecutivi James Cameron e Peter Jackson, oltre alla loro carriera cinematografica, si sono uniti per sviluppare nuovi prodotti alimentari vegetali in Nuova Zelanda, un progetto che, a detta di James Cameron, potrebbe cambiare il futuro dell’agricoltura Kiwi. James Cameron possiede infatti più di mille ettari di terreni agricoli nella regione del Wairarapa ed attualmente vive a Wellington dove sta effettuando le riprese di quattro sequel di Avatar. In una interessante intervista del canale Sunday TVNZ, Cameron è fermamente convinto che questo progetto potrà mantenere vitali le piccole cittadine neozelandesi. Cameron, divenuto attivista ambientale, auspica che la Nuova Zelanda elimini gradualmente l’allevamento di bestiame che causa un terribile impatto ambientale. “Ciò che viviamo qui in Nuova Zelanda è che i fiumi e i laghi sono estremamente inquinati”, afferma J. Cameron “Oggi, La Nuova Zelanda non è all’altezza della sua stessa immagine e di quella che ha sempre proiettato nel mondo.” J. Cameron non manca di sottolineare che le nostre diete devono cambiare, proprio come ha fatto la sua famiglia che non mangia più carne e latticini oramai da diversi anni, grazie anche alla moglie Suzy Amis Cameron che per prima decise di intraprendere questo percorso coinvolgendo James ed i loro 5 figli. PBT New Zealand è la società fondata a Marzo 2017 da James Cameron e Peter Jackson e le rispettive mogli Suzy Amis Cameron e Dame Fran Walsh. “È un’azienda agli inizi” ha detto Cameron, “Abbiamo un team molto piccolo e siamo praticamente in fase di ricerca e stiamo studiando il modo migliore per rendere efficiente l’estrazione di proteine dall’erba medica”. Lo scopo di questo progetto è di trasformare il settore agricolo della Nuova Zelanda in un hub leader mondiale per alimenti innovativi a base vegetale e, conseguentemente, incrementare la crescita economica del paese proprio dal cuore della Nuova Zelanda, fino ad oggi uno dei maggiori esportatori di carne e latticini al mondo.


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A sostegno della necessità di ridurre il consumo di carne, un rapporto della società di consulenza globale AT Kearney prevede che la fornitura globale di carne diminuirà di oltre un terzo entro il 2040. Più della metà della carne non sarà di provenienza animale: una percentuale sarà coltivata in laboratorio, utilizzando cellule animali, un’altra percentuale verrà proprio da altri prodotti costituiti da proteine vegetali che riproducono sapore ed odore della carne. La responsabile dell’innovazione dell’associazione Beef and Lamb New Zealand, Lee-Ann Marsh che rappresenta agricoltori e rivenditori Kiwi, afferma nell’intervista del Sunday TVNZ che le tendenze non sono propriamente fatali per il settore zootecnico, ma concorda sul fatto che gli alimenti a base vegetale avranno un ruolo molto importante nel nostro futuro.

“Dobbiamo pensare in termini di popolazione mondiale: 10 miliardi di persone nel 2050. La carne potrà alimentare solo una piccola parte della popolazione e dobbiamo quindi pensare ad altre tecnologie che saranno in grado di dar loro da mangiare “. Una dieta a base animale non è naturale, né necessaria. Una dieta a base di cibi vegetali integrali è lo strumento più potente che abbiamo per migliorare il nostro aspetto, la nostra salute, le nostre prestazioni e per preservarci da una pronosticata e non troppo lontana implosione della Terra. L’auspicio è che, anche grazie a questo documentario, molte persone realizzino che la direzione giusta è quella verso una dieta vegetale con un atteggiamento il più possibile ecosostenibile.

Chef Davide Larise - Ricetta Vegan e Gluten Free

© Lisa Tramontina

AL RE CARCIOFO Carciofi al timo, mousse di mandorle aromatizzata al limone e pepe rosa, chips di verdure invernali e sentore di arancia INGREDIENTI per 4 persone Per la crema di mandorle: g. 125 di mandorle pelate, g. 375 di acqua, g. 35 di succo di limone, g. 3 di sale, pepe rosa, scorza di un limone. Per i carciofi: 12 carciofi, l. 1 di olio extravergine d’oliva, sale, timo e rosmarino, aglio. Per le chips: verdure essiccate (topinambur, zucca). Per la salsa di arancia: g. 70 di succo d’arancia, g. 5 di kuzu in polvere, qualche ramo di mentuccia romana. Per la salsa liquirizia: g. 1 di liquirizia in polvere, g. 20 di acqua. PREPARAZIONE Affettare i topinambur e la zucca con l’aiuto di una mandolina o pelapatate in uno spessore di circa 2 mm. Stendere le fettine ben disposte in placchette e lasciare seccare in essiccatore o forno a 30°C per circa 1 giorno. Se occorre, lasciare seccare qualche ora in più, fino a quando non saranno croccanti. Frullare con un potente frullatore le mandorle pelate e l’acqua; filtrare poi il composto con un étamine. Portare poi il liquido filtrato a bollore, togliere dal fuoco e cagliarlo con il succo di limone. Fare riposare una

ventina di minuti e passarlo nuovamente in un étamine. Frullare la parte rimasta nel telo con un minipimer condendolo con sale e pepe rosa. Mondare i carciofi e tornire solo la parte con le foglie tenere. Con uno scavino, pulirli dalle barbe interne e tagliare l’estremità appuntita. Porli in una casseruola e coprirli con olio aromatizzato con aglio, qualche rametto di timo e rosmarino. Chiudere con un coperchio e cuocere a fiamma bassissima fino a quando non saranno teneri (circa 20 minuti). Raffreddarli e conservarli nel loro olio di cottura. Spremere l’arancia e versare il succo in una casseruola. Unire il kuzu e mescolare con una frusta. Portare a bollore e cuocere per circa 3 minuti. Raffreddare inserendo in infusione qualche rametto di menta per qualche minuto. In una casseruola inserire la polvere di liquirizia e l’acqua. Mescolare con la frusta e ridurre il liquido fino ad ottenere una salsa densa. Stendere la salsa di liquirizia. Creare dei punti di mousse di mandorla in diversi punti del piatto. Collocare i carciofi e le cialde di verdura essiccate. Fare cadere alcune gocce di salsa d’arancia e decorare con scorza di limone e cimette di timo.

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a cura di Lorenzo Ferrari Direttore Marketing di RistoratoreTop

RECENSIONE NEGATIVA: SÌ O NO? IO DICO NO E CONSIGLIO DI FARE ALTRETTANTO

Qualche sera fa chi scrive ha avuto l’occasione di festeggiare un avvenimento importante presso un noto ristorante milanese. Un locale “pettinato”, giusto, frequentato da bella clientela, ideale per passare una fantastica serata e spendere parecchio più della “solita cena”: anche questo è parte integrante dell’esperienza. Purtroppo è andato TUTTO male. Abbiamo richiesto di ordinare il secondo dopo aver ordinato antipasto e primo, visto che ci sarebbe piaciuto poi ordinare un dessert, qualora avessimo avuto ancora appetito: c’è mancato “tanto così” che mi maledicessero chiedendo la carta di credito a garanzia. A metà della prima portata iniziavano già i primi sintomi di malessere, per usare un eufemismo. Ci siamo alzati dopo il dessert e ci siamo recati alla cassa. Avremmo esposto le nostre rimostranze al titolare, ma le uniche parole che ci ha rivolto sono state l’ammontare del conto. Anche il “grazie” del tutto assente. Figuriamoci un “arrivederci”. Chi scrive ha passato la notte insonne, in preda a crampi allo stomaco: una situazione al limite dell’intossicazione alimentare. Insomma, tutto ciò che poteva andare male, è andato male. Persino peggio. In una situazione di questo genere ci sarebbero stati tutti i presupposti socialmente accettati e accettabili per lasciare una recensione negativa. Ma che dico negativa, distruttiva! Di quelle preparate, ponderate, scritte in punta di fioretto e corrette per aggiungere i fendenti finali, per colpire laddove fa più male. Di quelle dove sadicamente si gode mentre le si scrive. Di quelle dove ci si compiace mentre si analizza, istante per istante, l’andazzo della serata, dove si enfatizzano i lati negativi e si tralasciano quelli positivi. Dove si umilia, si scredita e si ironizza, dall’alto delle proprie convinzioni. Ma così non è stato: non la scrivo e non la scriverò - probabilmente - mai.

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Perché? In primo luogo perché chi scrive sa quanto possa essere devastante una recensione negativa, specialmente se fatta in pubblico. Che ci si creda o meno, esse vengono lette. Tutte, ma soprattutto le negative, vengono lette e quelle parole, spesso e volentieri, colpiscono e fanno male. E mi domando: c’è davvero bisogno di fare deliberatamente del male al prossimo in cambio di un quarto d’ora di popolarità? In secondo luogo perché so di avere di fronte degli esseri umani e, in quanto tali, fallibili. Non siamo perfetti. Chi scrive non è perfetto, chi legge non è perfetto. Sbaglio, sbagliamo e sbaglieremo. A volte, anche solo prendere consapevolezza di ciò, può aiutarci a prendere la decisione giusta e soprassedere riguardo gli errori altrui. In terzo luogo perché no, non è GIUSTO lasciare una recensione negativa senza aver cercato in tutti i modi di conoscere il parere della parte in causa. Perché non serve ad alcunché se non a seminare odio. Perché non permette veramente un diritto di replica al giudicato: non gli dà la possibilità di redimersi, scusarsi o spiegarsi. Lo mette solo nella condizione di DIFENDERSI. Si dirà che il non lasciare la recensione è un comportamento omertoso, perché lascia in balia degli eventi i prossimi avventori. Non sono del tutto d’accordo. Non sto dicendo che gli errori non vadano fatti notare, sto contestando il modo in cui vengono fatti notare. Per esempio, sapete cos’ha fatto chi scrive? Ho scritto al diretto interessato spiegandogli, CIVILMENTE, cos’è che non è andato come doveva, chiedendo il perché. Che è quello che ogni ristoratore, così come ognuno di noi, si aspetta e si merita: la possibilità di rimediare. E credo che solo dopo averle provate tutte per mettere l’altra parte nella condizione di rimediare, si possa prendere la tastiera e battere una recensione negativa. In tutti gli altri casi, no. Vi invito a fare altrettanto.



a cura di Antonietta Mazzeo Tecnico ed Esperto degli Oli d’Oliva Vergini ed Extravergini

L’OLIO EXTRAVERGINE DI OLIVA NEI DOLCI L’olio extravergine di oliva uno dei prodotti cardine della dieta mediterranea, uno dei principali e più importanti prodotti d’eccellenza del nostro territorio, in ragione delle sue peculiari proprietà organolettiche è capace di valorizzare e di combinarsi con qualunque preparazione, sia essa a base di pesce, carne, verdura cruda o cotta, formaggio o dolce! Fluido e profumato l’olio extravergine di oliva può donare a torte e creme un sapore incredibile, abbinando i sentori e pizzicori tipici dell’olio di oliva al gusto dello zucchero e delle uova nelle creme; sostituendo i grassi del burro con quelli vegetali dell’extravergine, si possono rinnovare ricette classiche. Utilizzare l’olio extravergine di oliva per la preparazione dei dolci ha molti vantaggi e il risultato è sorprendente, una vera e propria esperienza sensoriale, i nostri sensi sono pervasi da una poesia di aromi che richiamano le campagne, i profumi della macchia mediterranea e la frutta. Le preparazioni risultano più soffici e acquisiscono consistenza e digeribilità, ma soprattutto l’extravergine nei dolci aiuta la salute. Il burro è costituito principalmente da grassi animali, di cui una buona parte sono saturi, e acqua.

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Esistendo una precisa corrispondenza tra una dieta ricca di grassi saturi e le malattie cardiovascolari, possiamo quindi desumere che gli stessi non abbiano effetto positivo sulla nostra salute. Il burro che acquistiamo al supermercato è frutto di trasformazioni industriali che alterano le molecole di cui è costituito; rendendolo un prodotto decisamente poco genuino. L’olio extravergine di oliva è composto quasi interamente da grassi, ma questi sono per il 75% insaturi, che a differenza di quelli saturi, esercitano una funzione vitale nella protezione del sistema cardiovascolare. I grassi dell’olio extravergine “sono buoni”, e giovano al nostro benessere, l’acido oleico esercita una funzione antiossidante e gastroprotettiva, agevola il transito attraverso la mucosa intestinale favorendo la digestione dei grassi; questo rende l’olio molto più digeribile del burro. La composizione dei grassi dell’Olio Extravergine di Oliva incide anche sulla resa e la conservazione dei dolci; i grassi insaturi che lo compongono lo rendono meno viscoso rispetto al burro, questo consente di inglobare un maggiore quantitativo d’aria durante la preparazione del dolce, rendendolo molto più soffice e morbido, evitando che si secchi ed aumentandone


la durata. I dolci preparati con grassi saturi di origine animale, al contrario, propendono a perdere sofficità e morbidezza in poco tempo. Per la pasticceria si deve scegliere l’olio di oliva giusto, non tutti i tipi di olio extravergine sono adatti per questo scopo, bisogna porre la giusta attenzione sulla qualità e sulla provenienza, privilegiando l’eccellenza. L’olio non deve essere intenso ma dolce e delicato, per evitare che sovrastai le altre materie prime, alterando il gusto finale. Con l’Olio Extra Vergine di Oliva è possibile realizzare la maggior parte delle ricette della pasticceria, come torte, biscotti, plum cake, bignè, paste frolle o pandispagna. Per comprendere le giuste dosi di Olio Extra Vergine di Oliva da aggiungere in sostituzione del burro o dello strutto, partiamo dalla composizione dei due elementi. L’olio d’oliva è un grasso al 99,9% mentre il burro è composto dall’83% di grasso e per la restante percentuale è latticello, da ciò deriva che non è possibile sostituire il burro con pari peso di olio, bisogna sempre tenere conto della percentuale di acqua di scarto tra i due grassi. Per regolarsi con le dosi, cioè per calcolare quanto olio è necessario, basta moltiplicare i grammi di burro per 0,83: 100g di burro corrispondono a 83g di olio. Un aspetto da tenere in considerazione è quello relativo alla consistenza dei due grassi; il burro è solido mentre l’olio è liquido, in una ricetta di pasticceria, dove la tecnica e la precisione devono prevalere sull’ istinto, è una variabile fondamentale da valutare e considerare. Essendo liquido, l’olio infatti potrebbe dare problemi di mantenimento della consistenza, che possono però essere facilmente risolti con qualche piccola accortezza, come ad esempio aggiungendo qualche tuorlo in più nella frolla perché si possa “legare” meglio, dove c’è una carenza basta compensare con piccoli accorgimenti come questo. Ma è possibile “rassodare” l’olio d’oliva perché possa sostituire il burro anche nella consistenza. La tecnica più facile e ripetibile è quella della “maionese”, un’idea geniale nella sua semplicità ed efficacia. Olio d’oliva, acqua e uova vengono emulsionati insieme con un frullatore ad immersione seguendo il procedimento con il quale si ottiene la maionese. In poche parole, i tuorli vengono sottratti alla ricetta e sono emulsionati con l’olio d’oliva e l’acqua, in quantità sufficiente a rimpiazzare quella che manca nel burro. Quello che si ottiene è un grasso semi-solido, adatto a moltissime ricette. L’Olio Extra Vergine di Oliva è un prodotto famoso per le sue qualità salutistiche, è più digeribile, più naturale, più sano, senza trasformazioni industriali che cambiano le molecole delle materie prime. L’olio è un grasso naturale in sintonia con il nostro benessere, è fondamentale comunicare l’importanza del mangiare sano e naturale, chi assaggia i dolci preparati a base di questo prezioso alimento ha la sensazione di ritornare bambino quando per apprezzare le bontà della vita bastavano ingredienti semplici e autentici.

CIAMBELLA ALL’OLIO EXTRAVERGINE DI OLIVA INGREDIENTI

per una ciambella di cm. 24 di diametro g. 340 di farina

g. 200 di zucchero

g. 125 di yogurt bianco

g. 120 di olio extravergine d’oliva dolce e delicato 4 uova

buccia grattugiata di 1 limone 1 bustina di lievito per dolci zucchero a velo

PREPARAZIONE

Mettere in una ciotola grande le uova con lo zucchero e

montarle insieme fino ad ottenere un composto chiaro e spumoso. Unire l’olio extravergine d’oliva e continuare a lavorare il composto con le fruste. Quindi unire lo yogurt e

la farina a cui avremo unito il lievito. Unire anche la buccia di limone grattugiata e mescolare bene il tutto con un cucchiaio di legno.

Oliare bene uno stampo da ciambella e versarvi dentro il composto. Infornare a 180°C e cuocere per circa 30 minuti o

comunque fino a quando la ciambella non sarà diventata ben dorata (fare la prova stecchino).

Fare intiepidire la ciambella, togliere dallo stampo e spolverizzare con lo zucchero a velo.


OLIO DOP RIVIERA LIGURE CONTROLLATO, ASSAGGIATO, CERTIFICATO, GARANTITO di

Fabrizio Salce

La magia della cucina, della riuscita di una ricetta, anche la più semplice, è tutta da ricercare nella capacità di accostare e abbinare fra loro i giusti sapori. Anche gli oli hanno le loro valenze e le loro differenze, motivo per cui l’assaggio dell’olio prima dell’utilizzo dovrebbe essere prassi abituale e di buon gusto. Cibo e olio devono incontrarsi in un perfetto equilibrio, non devono coprirsi l’uno con l’altro e meno che mai annullarsi. Tra gli oli più famosi, l’olio Dop Riviera Ligure annovera ben 600 aziende dalle più piccole - quelle che producono solo olive - alle più grandi con tanto di frantoio per la spremitura. Il lavoro del Consorzio è quello di garantire la filiera produttiva in tutte le sue fasi al fine di offrire al consumatore finale un prodotto di qualità. Il direttore del Consorzio, Giorgio Lazzaretti, sottolinea come sia necessario fare comprendere sempre di più al consumatore, quando si reca al ristorante, quanto abbia valore l’utilizzo di un prodotto legato alla sua terra d’origine e garantito da una seria e corretta certificazione.

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PARLARE DI DOP RIVIERA LIGURE SIGNIFICA ABBRACCIARE TRE MENZIONI GEOGRAFICHE L’olio extra vergine d’oliva Riviera Ligure DOP è ottenuto dai frutti dell’olivo della varietà Taggiasca, Pignola, Lavagnina, Razzola e cultivar locali autoctone. La denominazione deve essere accompagnata da una delle seguenti menzioni geografiche aggiuntive: Riviera dei Fiori - dove l’olio si produce con olive Taggiasche per almeno il 90%. Olio giallo chiaro con lievi sfumature verdoline; profumi fruttati leggeri o medio leggeri, freschi, puliti, di oliva; morbido e delicato, di buona fluidità. Amaro e piccante lieve; sentori di mela e punta piccante in chiusura. Riviera del Ponente Savonese - Olio da olive Taggiasche per almeno il 50%. Di colore giallo chiaro con lievi sfumature verdoline; profumi fruttati leggerei o medio leggeri, freschi, di oliva; morbido e delicato, con note amare e piccanti in equilibrio e buona fluidità; sentori di mandorla, mela, e una lieve punta piccante in chiusura. Riviera di Levante - Olio da olive Lavagnina, Razzola, Pignola e cultivar locali autoctone per almeno il 65%. Colore giallo oro dai riflessi verdolini; profumi fruttati leggeri o medi, con freschi sentori vegetali di carciofo; vellutato e armonico, con punta piccante persistente e progressiva: toni mandorlati e rimandi alle erbe di campo in chiusura.

OLIO DOP RIVIERA LIGURE

La conferma di un grande prodotto Il gusto leggero e delicato, caratterizzato da una tipica nota dolce, fa dell’olio extravergine d’oliva Riviera Ligure DOP un olio ampiamente utilizzabile in cucina poiché non copre il sapore delle pietanze. E’ ideale sui piatti a base di verdure e di pesce tipici della gastronomia mediterranea, ma anche sulle carni. La sua naturale versatilità lo rende interessante nella sperimentazione della cucina fusion, mentre la nota dolce lo rende protagonista nelle preparazioni di pasticceria. L’evento è stato decisamente piacevole, un attimo delizioso in cui ho ritrovato oli pregiati e produttori appassionati, i sapori di una terra e l’eleganza di una cucina.


Intervista a...

UN’UTOPIA?

NASCE IL “RISTORATORE RESISTENTE” PER UNA CUCINA VIRTUOSA ED ETICA

Ristoratore resistente: si deve definire così Luca Farinotti che dopo aver pubblicato #mondoristorante (finalista al Bancarella cucina 2019) ha appena pubblicato Parma Best Restaurants, guida atipica che segnala solo locali e produttori virtuosi, non sponsorizzati, sorretti da linee guida basate su principi morali. Ma chi è e perché Farinotti ha scritto #mondoristorante?

Ho cominciato a interessarmi alle multinazionali del cibo durante il mio primo viaggio in India, a metà degli anni novanta - spiega - . L’India è stato uno dei primi paesi di sperimentazione selvaggia degli OGM e pesticidi e fertilizzanti annessi, con risultati devastanti. Quando sono entrato a tutti gli effetti nel business della ristorazione, alla fine degli anni novanta, la mia visione era molto diversa dalla realtà in cui il mondo del food ipertroficamente naviga oggi. Ho scritto #mondoristorante spinto da un forte moto istintivo, non consapevole, inizialmente, di ciò che sarebbe poi emersa come una bozza di filosofia dal profondo della mia coscienza indignata e bisognosa di ribellione. Sono cresciuto seguendo l’esempio di incorruttibilità di mio padre e leggendo Luigi Veronelli fino a ritrovarmi, a quarant’anni, proprietario di ristoranti. Da cosa nasce la sostanziale insofferenza verso il “sistema ristorazione” in Italia che ha dato origine al tuo libro? E’ il confronto quotidiano con la storia del mondo del food degli ultimi dieci, quindici anni ad aver alimentato progressivamente la crasi profonda che mi ha portato a voler raccontare (e confrontare) la ristorazione di ieri e quella di oggi. Gli eroi del mio libro non sono gli chef stellati superstar, né i grandi imprenditori del vino, bensì i Gianni Frasi e gli Ales Kristancic, i Luca Gargano antesignani e i Walter Massa pre Farinetti, la vecchietta col suo ristorante sul Lago di Venere con un solo piatto in menu, il cuoco della Versilia che si immerge nei flutti fino al collo, prima dell’alba, per rastrellare le arselle. Da una semplice constatazione empirica e analitica delle dinamiche portanti della ristorazione del 2020 (contenitore inglobante, omologante, standardizzante a tutti i livelli) ho sentito la necessità di evidenziare il contrasto tra l’immenso potere mediatico di questa e il modo irresponsabile e corrotto di cui se ne fa uso. La ristorazione oggi ha la potenzialità per essere il più importante intermediario tra il mondo della produzione del cibo e il consumatore a tutti i livelli. I potentissimi canali di divulgazione, però, invece di essere utilizzati come amplificatori di cultura virtuosa, sono sfruttati solamente a vantaggio del mero profitto dalla maggior parte degli operatori, candidamente scevri del vero senso della responsabilità che il nostro mandato comporterebbe. Per questo ho teorizzato il profilo del Ristoratore Resistente, in aperto contrasto con gli standard “qualitativi” su cui L’Alta Ristorazione si poggia. I comandamenti del Ristoratore Resistente sono, tra gli altri, il rigetto della grande distribuzione, delle multinazionali, delle sponsorizzazioni (come la guida dei “50 best restaurants”, sponsorizzata da San Pellegrino e Acqua Panna associazioni quali Slow Food e il suo rapporto finto etico con la COOP, monumentali realizzazioni commerciali come FiCO, non possono essere presi oggi come simboli virtuosi da un giornalismo che invece dovrebbe essere obbligato a prendere coscienza delle responsabilità che la ristorazione oggi ha nella difesa alla morte della PRODUZIONE del cibo virtuoso e in merito alla missione educativa nei confronti del consumatore che ne consegue). Ma quali operazioni specifiche può mettere in atto un ristoratore resistente? Le virtù richieste: l’indipendenza intellettuale, il voto di proteggere il pianeta, l’agricoltura sostenibile e tutto ciò che è virtuoso tout court. La missione è fare cultura attraverso l’arma mediatica potentissima di cui oggi dispone. Non ho scritto in #mondoristorante: se un quotidiano integerrimo come “Italia Oggi” lo ha definito un vero e proprio prontuario per chi voglia fare ristorazione nel tempo presente e futuro, se sono stato invitato a partecipare al “Terroir Talk” di Arlene Stein (unico ristoratore italiano) e se recentemente #mondoristorante si è aggiudicato il Premio Selezione Bancarella della cucina (e inserito nella sestina dei finalisti del 20 ottobre 2019) significa che il libro ha colpito nel segno perché solleva un dibattito, quanto meno filosofico,

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Intervista a...

proprio perché endogeno rispetto al mondo della ristorazione, che ha un pubblico sensibile alle questioni proposte. Tra i miei contendenti letterari al Bancarella c’è Oldani (chef superstar sponsorizzato) e l’albo d’oro dei precedenti vincitori annovera Bastianich (che oggi pubblicizza Mc Donald’s); spero tuttavia che qualcosa stia cambiando se il mondo della cultura prende in seria considerazione la letteratura sul cibo (seppur - o proprio in virtù di- generata dall’interno del sistema, ovvero da un esercente e non dal giornalismo specializzato) che analizza la fenomenologia del food da un altro punto di vista, facendo outing e mettendosi, di fatto, in posizione di contrasto. Esiste un dibattito in tal senso? C’è un dibattito esterno alla ristorazione, alimentato da un mondo culturale profondamente sensibile alla sostenibilità. Questo tipo di dibattito può dare molto fastidio agli esercenti più o meno consapevolmente inseriti nel sistema, nella misura in cui è un ristoratore a denunciare che la classifica dei “50 best restaurants” la fa Nestlé o che certi marchi di caffè non siano così sostenibili e virtuosi come si vuol fare credere, seppure grandi chef ne siano testimonial. Perché l’impatto della verità è molto diverso se a dire questo è un imprenditore del food e non un giornalista di Report o di Repubblica. E il sistema farà di tutto per proteggere certi inconfessabili motivi di sponsorizzazione, per dirla alla Gianni Frasi. Charlotte Horton, wine maker virtuosa a Seggiano (Castello di Potentino) mi ha definito, nel suo splendido inglese romanzo, un vero “rebellioso”. Io amo questo epiteto perché di “rebellione” qui si tratta e, quale ristoratore resistente, farò di tutto per influire sul bene del mondo attraverso la mia professione. Specifica meglio il concetto di senso della responsabilità di cui parli? Risponderò con una frase di Ales Kristancic, viticoltore sloveno. “Ogni cosa che tu fai, diventa parte della tua carne. Sii orgoglioso del tuo lavoro, ma non commettere l’errore di servire comunque un prodotto, se non è quello autentico. Non devi servire le acciughe, se non hai quelle

vere. Puoi semplicemente scrivere sul tuo menu: oggi c’è solo il pane! In questo modo, e solo in questo, tu puoi fare la differenza”. E’ con queste poche e semplici parole che si possono riassumere i principi di comparazione tra il metodo tradizionale e le tendenze contemporanee, sia di coltivazione, allevamento e lavorazione (in riferimento ai produttori) che di cucina (la ristorazione in generale). Ristoratore Resistente può essere un ristorante di lusso, una piccola trattoria, una pizzeria, un bar, un chiosco, un locale modaiolo, non importa. Quello che importa è che rappresenti e incarni l’autenticità di un territorio attraverso un’assunzione di responsabilità senza precedenti, in particolare nella divulgazione più autentica della cultura, non solo gastronomica, connessa al nostro preziosissimo terroir. Terroir è una parola francese. Intraducibile poiché essa comprende in sé i concetti più alti di tradizione, storia, terra e rapporto dell’uomo con essa, cibo, clima; umore, caratteristiche e carattere, unicità di un popolo e del proprio legame col territorio. In relazione a ciò, e dunque in virtù dell’attitudine a esercitare il proprio mandato con senso di responsabilità e di verità, oltre che di passione e amore, resistendo alle tentazioni del business fine a se stesso, si possono definire resistenti uomini e aziende che siano autentici divulgatori del terroir. Quali caratteristiche principali deve avere il Ristoratore Resistente? 1) il rifornirsi solo da piccoli produttori di cibo virtuoso, sostenibili e realmente connessi al territorio, che sia esso a kilometro zero, o vero, o buono. Resistenti, dunque, alla scorciatoia del cibo industriale, facilmente reperibile, ma catalizzatore della perdita d’identità. 2) l’accettare, di conseguenza, di lavorare con piccole quantità di determinati prodotti in certi periodi dell’anno. Resistere, dunque, alla paura di rimanere “senza qualcosa” e alla tentazione di rimpiazzarla con un prodotto meno virtuoso, a motivo della costante necessità di soddisfare l’automatismo della dinamica “domanda-offerta”. Questo tipo di resistenza preserverà i piccoli produttori virtuosi, istruendo e abituando,

allo stesso tempo, il consumatore ad accettare il fatto che non sempre è possibile trovare il vero cibo di eccellenza (che non può prescindere dalle stagioni, dai raccolti, dal ritmo della terra e dell’uomo che lavora in armonia con essa). Il ristoratore che non sostituisce tali prodotti con quelli provenienti dal mercato globale e standardizzato, protegge coraggiosamente l’identità di un terroir. 3) l’essere consapevole delle proprie enormi responsabilità, quale principale mediatore tra il produttore di cibo e il consumatore, nel portare al consumatore la vera tradizione, la vera cultura, la vera identità, la vera storia di un terroir. In base alle scelte che il ristoratore/commerciante di cibo opera, egli può creare una connessione emozionale tra il consumatore e il terroir, oppure una vuota connessione al cosiddetto “food show”, fine a se stessa. Quali sono i valori che il ristoratore deve possedere per avere successo in questa sfida? Passione, cultura, coraggio e rispetto. La cultura parte principalmente dalla ricerca. Poi, bisogna avere il coraggio di scegliere strade alternative, nell’eliminare i compromessi (per esempio quelli relativi allo “sponsor system” applicato dai produttori industriali) affermando così la propria indipendenza. Bisogna anche avere il coraggio di combattere contro il falso e la standardizzazione (partendo dalle piccole cose: l’acqua, il caffè, l’olio), di trasformare tutto ciò in una routine, e di “non mollare mai”. Il rispetto, per il Ristoratore Resistente, è attenzione all’ambiente e alla salute dell’uomo: riduzione dell’uso della plastica, riduzione dell’inquinamento, focus costante alla sostenibilità, promozione di cibo sano, non certo in virtù della sua ripartizione tra grassi, proteine, carboidrati e fibre, o dei contenuti di colesterolo o calorie, quanto piuttosto della semplice selezione di prodotti la cui origine sia realmente virtuosa. Il Ristoratore Resistente, in definitiva, si sforza di promuovere cibo virtuoso proveniente da produttori virtuosi. Allo stesso tempo, il suo fruitore si mantenga libero, di mentalità aperta e sempre attento alla reale origine di ciò che egli mangia e beve.

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...FACCIOCOSE... VEDOGENTE... a cura di

Elsa Mazzolini

“Dieci mani per dieci anni” al Quartopiano Suite Restaurant di Rimini Dieci gli anni di un prestigioso traguardo. Dieci le mani di autorevoli chef che, insieme, si sono ritrovati per una serata speciale lo scorso 17 luglio. L’occasione era appunto il compleanno del Quartopiano Suite Restaurant, ospitato nell’ampio giardino del ristorante, con cinque postazioni live animate da altrettante firme di primo piano della cucina: Vincenzo Cammerucci dell’agriturismo Camì a Lido di Savio, Claudio Di Bernardo del ristorante Dolcevita del Grand Hotel di Rimini, Gianluca Gorini del ristorante Da Gorini di San Piero in Bagno, Angelo Troiani del Convivio Troiani di Roma, e il resident chef Silver Succi. Insieme a loro, i corner con i prodotti eccellenti di tutta Italia: l’isola barbecue di Gianni Guizzardi di Bologna, i formaggi di Gastronomia Beltrami di Cartoceto, i salumi dell’azienda agricola Gabrielli il Grigione di San Leo, i pesci marinati di Comacchio, il fritto di Spirito Contadino di Foggia, la Piadina Romagnola con le Mariette, fedeli custodi della tradizione artusiana a Forlimpopoli. E ancora, gli speciali drink del bartender Charles Flamminio, la Birra Amarcord di Rimini, le proposte wine di Tenuta Colombarda, Tenuta Santa Lucia e Podere Vecciano, tra le più rappresentative aziende romagnole. Chiusura in grande stile con la speciale cake del decennale preparata dal Maestro pasticcere Roberto Rinaldini. A rendere ancora più gradevole la serata, le note musicali dal vivo di Nicoletta Fabbri insieme a Jazz Quartet. www.quartopianoristorante.com

A lato, dall’alto al basso, i piatti della serata: millefoglie di zucchine, melanzana, pomodori, rapa rossa e gialla - chef Vincenzo Cammerucci; risotto Balilla “Az. Agr. Cascina Canta” alla parmigiana e limone con katsuobushi di tonno, mazzancolle e peperoni - chef Silver Succi; pappardelle ripiene di ricotta con burro di canapa, ciliegie ed erba pepe - chef Angelo Troiani; ceviche classico - chef Claudio Di Bernardo; pollo arrosto marinato alla soia, maionese al pino e semi tostati - chef Gianluca Gorini.

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...facciocose... vedogente...

Dire Fare Sognare Il riconoscimento alla cultura del cibo in Emilia-Romagna, Marche e Veneto Anche quest’anno il Premio “Dire Fare Sognare” ha assegnato quattro riconoscimenti speciali ad altrettanti protagonisti nella promozione della cultura del cibo e del vino nell’arco della loro carriera. Questi i premiati dell’edizione 2019: Igles Corelli, firma tra le più celebri della cucina italiana nel mondo; l’Associazione Il Tortellante di Modena, per avere trasformato in terapia un semplice gesto come la produzione della pasta fatta a mano; la Biblioteca Internazionale La Vigna di Vicenza, punto di riferimento mondiale con i suoi 51mila volumi di settore; Michela Tassorello di Fresco Piada di Riccione, avanguardia nella produzione artigianale di un prodotto simbolo della Romagna. Insieme a loro il Premio è stato consegnato a dodici operatori scelti tra le eccellenze gastronomiche e non che si sono contraddistinte nel corso dell’anno: dall’Emilia, Trattoria da Irina di Savigno (sezione tradizione), Emanuele Petrosino de I Portici a Bologna (sezione innovazione), Maison du Gourmet di Coloreto di Parma (sezione innovazione). Per la Romagna, Gianluca Gorini del ristorante Da Gorini di San Piero in Bagno (sezione innovazione), La Trattoria di Cesenatico (sezione tradizione), Gianni Castellana di Novecento a Rimini (sezione emergente). Per il Veneto, Giancarlo Perbellini di Casa Perbellini a Verona (innovazione), Donato Ascani del Glam a Venezia (emergente) e Osteria Fra.Se di Piove di Sacco in provincia di Padova (tradizione). Per le Marche, Mauro Uliassi del Ristorante Uliassi a Sinigallia (innovazione), Nikita Sergeev del Ristorante L’Arcade a Porto San Giorgio (emergente) e Trattoria la Gioconda a Cagli (tradizione). A scegliere i nomi dei premiati tre tra le più qualificate firme del giornalismo enogastronomico: Andrea Grignaffini (critico enogastronomico, curatore delle guide de L’Espresso), Elsa Mazzolini (giornalista enogastronomica, direttore de La Madia, Travelfood) e Alessandra Meldolesi (critica gastronomica, collaboratrice con le principali pubblicazioni di settore).

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Golavagando di

Fabrizio Salce

A BRESCIA

AROMA FISH, WINE & MORE Tra le tante trasferte di lavoro me ne sovviene una in terra ligure. Avevo trascorso la giornata tra riprese e interviste per la televisione e alla sera venni ospitato in un importante centro termale. Dopo cena, insieme agli altri ospiti della serata, fui invitato a trasferirmi nel teatro del centro per assistere ad uno spettacolo. Sul palcoscenico, accompagnato da un musicista, trovai un gradevole “chansonnier” che accarezzava con la voce e il modo di muoversi lo stile del grande Paolo

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Conte. Cantava canzoni allegre e divertenti scritte da lui ma in realtà nella vita di tutti i giorni altro non era che uno stimatissimo medico di cui preferisco non fare il nome. Cito con piacere questo aneddoto per sottolineare quanto la passione vera di una persona collimi solo in modo parziale con la vita di tutti i giorni. Dopo tanti anni di studio e molti di lavoro il nostro dottore era riuscito probabilmente a colmare il suo vero sogno più con la musica che con la professione.


Aroma

Roberto Giannoni è il giovane chefpatron del ristorante Aroma di Brescia e la sua storia già ricca di esperienze nonostante l’età mi ricorda quella giornata di lavoro in Liguria. Studente di medicina a Parma, ad un passo dal traguardo degli studi, Roberto mette a fuoco che la sua vera passione non è tanto quella di fare un giorno il medico, ma piuttosto quella di sperimentare e comprendere al meglio la buona cucina. Sono le serate con gli amici a stimolarlo, quelle situazioni dove vale la pena mettersi ai fornelli e provare a realizzare piatti che possano piacere. Lascia così, in accordo con la famiglia, la città emiliana e ritorna nella sua Brescia. Per lavorare bene bisogna comunque essere preparati, motivo per cui iniziare a frequentare corsi di cucina. Studi, esperienze, segreti e malizie. Il passo successivo è doveroso e dà il via al percorso vero, quello in cui abbandoni tutto e tutti e ti metti a disposizione per apprendere il mestiere. E allora stage in vari ristoranti italiani tra i quali il Dispensa Pani e Vini Franciacorta di Torbiato di Adro con lo chef Vittorio Fusari e il Miramonti l’altro di Concesio alla corte del bretone Philippe Léveillé. Gli studi di medicina sono ormai lontani e dall’Italia bisogna passare all’estero per avere una visione più ampia del lavoro. Arriva a Copenaghen dove trova collocazione presso il ristorante Brace (pronuncia breis) dove la miscela di culture è in primo piano e gli ingredienti sono diversi con aromi ed erbe selvatiche, e anche le tecniche e gli approcci risultano differenti; la sua mansione danese è quella di gestire i piatti caldi. Roberto si rende anche conto che un buon ristorante non dipende solo dalla cucina, c’è la sala che ha la sua importanza e anche questa deve essere un’esperienza da vivere in prima persona. Rientra in Italia e sulla sua terra

bresciana affronta altri mesi di lavoro al ristorante Carlo Magno dove apprende l’arte dell’accoglienza e della gestione della sala. Arriva così il momento del grande passo. Compreso il concetto che le materie prime devono essere di primissima qualità, conosciute le tecniche di lavorazione che consentono di spaziare e sperimentare, e con la coscienza che tutto, non solo la cucina, deve funzionare al meglio, nel 2012 apre il suo primo ristorante all’interno del golf club di Brescia: il Vita Nova. Anni importanti per crescere e migliorare e, soprattutto, per affinare una propria identità di chef e di titola-

re. Si chiude l’importante esperienza con il Vita Nova e ha inizio un’altra avventura tutta da vivere. Da poco più di un anno Roberto ha aperto un nuovo ristorante nel pieno centro storico della città di Brescia basandosi sul concetto di una filosofia ben delineata: Fish, Wine & More. Ovvero una cucina prevalentemente a base di pesce tra aromi e profumi particolarmente ricercati e ben equilibrati; la carne, come la cacciagione, non manca ma con una presenza in carta minore anche in base alla stagionalità. La carta dei vini italiani annovera etichette pregiate e produttori meno blasonati ma molto

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Golavagando

interessanti, così come per gli champagne francesi per i quali Roberto nutre un certo affetto. And more, e altro, ovvero i piatti più tradizionali della nostra cucina italiana. Il ristorante si chiama Aroma, un nome scelto con oculatezza e intelligenza in quanto in varie lingue europee ha lo stesso significato. Aroma è situato all’interno di una dimora del 1500 con pavimenti e soffitti originali; entrandoci si trova una sala dove gustare cocktail classici o signatures, mentre al primo piano due ampie sale e una saletta più riservata sono dedicate al ristorante. L’arredamento é minimalista e curato e gli spazi tra i tavoli consentono di avere la giusta privacy durante i pranzi e le cene. Guardando la carta con le varie proposte si può anche optare per l’interessante formula “carta bianca allo chef”, ovvero lasciare che dalla cucina, in base ai gusti e ai desideri del cliente, Roberto e i suoi collaboratoti realizzino in autonomia le portate. Viene chiesto al cliente cosa ama, cosa vorrebbe mangiare e cosa non vorrebbe, poi si lavora di conseguenza. Il personale in cucina e in sala è decisamente giovane ma ben motivato nel fare le cose per bene. Ho piacevolmente degustato del salmone Loch Ness marinato alla barba-

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AROMA

Via Trieste 56/B 25121 Brescia

Tel 030 8772319

www.aromabrescia.it

bietola e salsa alle erbe aromatiche, un carpaccio di storione impreziosito dalla burrata e dal caviale; ho poi molto apprezzato il risotto ai due Franciacorta con battuto di gamberi rossi di Sicilia e lime, così come ho trovato delicatissima la coda di rospo servita con la salsa di granseola. Il semifreddo alla mela verde e ginepro con la gelatina di gin ha completato il mio momento a tavola da Aroma. Naturalmente sono solo i piatti che personalmente ho avuto il piacere di assaporare ma avrete modo, di persona, di trovare una carta ricca e variegata. Un ristorante giovane ma non privo di senso del buon gusto tradizionale,

elegante ma non impegnativo, con piatti delicati e ottima cura del dettaglio. Cortesia in grande quantità. Roberto Giannoni è un appassionato del suo lavoro e del buon mangiare in genere, così come il medico di inizio racconto della sua musica; quando il lavoro lo consente, anche lui diventa cliente di altri ristoranti in cui apprendere nuove nozioni, e anche di cantine dove poter scegliere i vini più idonei all’abbinamento dei suoi piatti. È anche un buon conoscitore delle bellezze storiche e architettoniche patrimonio dell’Unesco della sua Brescia e della storia che da Arnaldo in poi ha dato lustro alla città lombarda.


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A MILANO, RISTORANTE

TEATRO ALLA SCALA - IL FOYER Nuovo concept per il Ristorante Teatro alla Scala - IL FOYER, evoluzione del ristorante Il Marchesino aperto da Gualtiero Marchesi nel 2008. Il nuovo locale, completamente ristrutturato e ispirato ai decori del Teatro alla Scala, presenta un nuovo ambiente dove gusto e classe si incontrano, omaggiando in grande stile Milano. Gli spazi sono stati ridefiniti per offrire ed esaltare le diverse esperienze culinarie del nuovo luogo cult del lifestyle cittadino. Il progetto, affidato a Michael Vincent Uy, architetto con studio a Milano e con una lunga esperienza maturata nel mondo del lusso, include elementi d’arredo che mettono in risalto l’eleganza dell’ambiente, tra avvolgenti divani e poltrone in velluto rosso, raffinati tavoli in vetro e marmo e applique dorate che creano un’atmosfera calda ed accogliente. Il nuovo ristorante, che conquisterà i palati più esigenti movimentando ulteriormente la scena gastronomica meneghina, propone un menu innovativo caratterizzato dalla rielaborazione di ricette della tradizione italiana, riprendendo in chiave

moderna le creazioni del Maestro. A guidare la brigata in cucina è l’Executive Chef Anatolij Franzese, approdato nel mondo Marchesi nel 2016, che svilupperà, nel nuovo progetto in Piazza della Scala a Milano, la Grande Cucina Italiana nella chiave Marchesiana della semplicità e dell’eleganza. Il riso e oro di Gualtiero Marchesi, piatto icona riconosciuto nel mondo, diventa il centro del marchio del nuovo ristorante Il Foyer che rappresenta il luogo dove la Grande Cucina Italiana, partendo dal “Riso, oro e zafferano”, si esprime nel modo più semplice e diretto permettendo agli ospiti di gustare i tradizionali simboli della nostra cucina in chiave moderna. Il ristorante offrirà inoltre l’irrinunciabile tradizione della cena pre e post Teatro offrendo agli ospiti un rinfresco prima dello spettacolo o durante l’intervallo, oppure di finire in bellezza la serata con una cena senza eguali, una volta terminata la rappresentazione teatrale. La caffetteria, nuovo punto di incontro per chi ama godersi la colazione fuori casa, offre un trionfo di pasticceria dolce e salata a cura del Pastry Chef italo-argentino Matias Ortiz. L’aperitivo e l’after dinner saranno un altro momento clou de Il FOYER. La cocktail list ideata dal Bar Manager milanese Matteo De Palma. RISTORANTE TEATRO ALLA SCALA - IL FOYER Bar, caffetteria, pasticceria, cocktail bar, light lunch, pranzo, cena e pre-dopo teatro Piazza della Scala angolo Via Filodrammatici, 2 - Milano - Tel. +39 02 72094338

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A PERUGIA

L’OFFICINA RISTORANTE CULTURALE di

Piatti creativi ma solidamente ancorati, proposte che variano in base alla stagionalità dei prodotti. Una cucina che tiene insieme una forte impronta territoriale con diversi rimandi internazionali. Molto profonda la cantina con oltre 600 etichette. Presenti sia i grandi produttori che i giovani innovatori del vino. Ada Stifani e Joannis Karakousis, moglie e marito, sono i protagonisti di uno dei luoghi più suggestivi e interessanti di Perugia. Parliamo de L’Officina, ri-

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Annarita Pelaracci

storante culturale di Borgo XX Giugno, anima gourmet di una Perugia multiculturale. Approdo per appassionati del buon cibo e del buon vivere, istituzione sopra le righe di uno dei quartieri più vitali del centro storico cittadino. Una storia partita tredici anni fa per mano di Joannis e Ada, rispettivamente sommelier e chef, ideatori e proprietari di questo luogo che il 18 maggio 2006 nacque come circolo culturale con un’idea molto chiara: creare un posto a Perugia dove arti e cucina si

fondessero in una vera e propria osmosi dei sensi, con l’obiettivo di offrire al pubblico un’esperienza multisensoriale che stimolasse mente e palato. Ed è stato così che proprio nei locali della storica Officina bilance e pesi Mariani, dove è situato il ristorante, si sono alternate mostre d’arte, concerti, convivi, presentazioni letterarie, incontri e cene diventate ormai leggendarie. Una cucina fusion, che fa della selezione delle materie prime e della qualità il suo ingrediente base. Una ri-


Golavagando

cerca continua che la chef porta avanti spingendo sempre più in là l’asticella. La chef Ada e suo marito sono cuore e testa de L’Officina, un vero e proprio circolo del gusto dove è possibile trovare prelibatezze provenienti dalle diverse parti d’Europa accanto a produzioni artigianali del più piccolo produttore dell’Umbria e del centro Italia. Piatti creativi con ingredienti ricercati e materie selezionate, tradizione umbra rivisitata e mixata con sensibilità a gusti internazionali. Cucina contemporanea con solide radici nella tradizione italiana. Le proposte variano mensilmente, in base alla stagionalità dei prodotti. La carta dei vini è ben bilanciata tra le etichette più rinomate d’Italia e del resto del mondo e i piccolissimi artigiani del vino, tutti selezionati da Joannis. Molti anche i vini biodinamici e naturali presenti in carta. Ampia anche la carta delle birre artigianali e la selezione dei distillati dal mondo.

L’OFFICINA

Borgo XX Giugno, 56 Perugia (PG)

Tel. 075 5721699

A COLLODI

MANGIAFUOCO OFFRE NUOVE AVVENTURE, MA SOLO CULINARIE di

Domenico Acconci

Non v’è chi non sappia che Carlo Collodi è l’autore di “Le avventure di Pinocchio”, un libro di grande fortuna tradotto, di epoca in epoca in ben 75 lingue e dialetti di tutto il mondo. Uno dei personaggi più caratteristici del romanzo, burlesco, burattinaio e amante della buona cucina come fa arguire il suo nome, è “Mangiafuoco”. Ecco perché nel paese di Collodi gli è stato intitolato un ristorante che sorge proprio nella centrale piazza della località. L’intestazione è precisamente “La taverna dei miracoli da Mangiafuoco” e si sa che in detta taverna Pinocchio andava a gozzovigliare insieme a quei malandrini del Gatto e la Volpe. Il titolare e cuoco è Massimo Iacopini, di parentela romana, ragion per cui molte delle preparazioni cucinarie sono tipicamente romanesche. Fra gli antipasti si incontrano le puntarelle alla romana; fra i primi piatti spiccano bucatini cacio e pepe, spaghetti alla carbonara e all’amatriciana; fra i secondi piatti carciofi alla giudia; abbacchio con patate; fritto misto di agnello e pollo con verdure. Del resto non manca mai anche la toscanissima ribollita o zuppa rifatta; per i dolci c’è da restare ammirati della bella stenderia di crostate e budin. Inoltre, per gli appassionati di pizza, ce n’è una ricca varietà. Sul tavolo il tipico fiasco impagliato alla toscana con un rosso corposo delle colline circostanti, ma va considerato solo uno stemma e si può scegliere fra una lunga lista di selezionati vini di tutta Italia. Si mangia bene e si spende poco, per usare un detto proverbiale, infatti un buon pranzo o cena costa come prezzo medio 30 euro escluse bevande. Sito da raccomandare anche perché contiene un angolo per ragazzi con giochi e giocattoli, naturalmente con tanti Pinocchi in varie versioni. Buon caffè con l’ammazza caffè come regalino della casa.

LA TAVERNA DEI MIRACOLI DA MANGIAFUOCO

Piazza Carlo Collodi, 1 - Collodi (PT) - Tel. 0572 428631

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FABIO NURRA PROFUMI ANTICHI NELLA SARDEGNA DI OGGI di

Cristina Vannuzzi Mariano Marcetti

foto di

Fabio Nurra è un architetto. La sua è una storia non banale, piena di passione per la Sardegna. La trasformazione da architetto a cuoco avviene per colpa, o merito, di un talento istintivo per la tavola. Storie, profumi, sapori indelebili mutuati dalla sua terra sono oggi riproposti con grande sensibilità. La materia prima e la volontà di valorizzare il territorio producono una cucina semplice, figlia della memoria: i prodotti al centro del piatto, segnati con eleganza da tocchi d’inventiva su una base classica. Fabio Nurra è un ragazzo cresciuto sul mare. Lui è il primo, al porto, la mattina, ad aspettare le barche dei pescatori per avere il pesce guizzante, vivo, e poi raccontarlo attraverso una serie di ricette costruite per rispettarlo.

CERNIA ARROSTO AI PROFUMI DEL MEDITERRANEO INGREDIENTI

g. 800 di filetto di cernia, kg. 1 di pomodoro San Marzano,

g. 500 di pomodoro ciliegino, frutti di cappero, olio EVO, timo q.b., sale e pepe q.b., erbe aromatiche q.b., Xantana, zucchero di canna. PREPARAZIONE

Sfilettare la cernia ottenendo 4 filetti da circa 200 grammi ciascuno. Scottare in una padella antiaderente il filetto otte-

nuto dalla parte della pelle facendole ottenere una spiccata croccantezza.

Passare all’estrattore il pomodoro San Marzano. Dall’estratto

ottenere un gazpacho emulsionando con olio, sale, pepe, origano e gomma di Xantana.

Cuocere il pomodoro Pachino al forno per due ore a 100°C

con zucchero di canna, sale, pepe e timo, facendolo diven-

tare confit. Assemblare il piatto posizionando il gazpacho di pomodoro e sovrapponendovi il pesce portato a cottura ideale.

Finire la composizione con il pomodoro confit, frutti di cappero, foglie di basilico fritto ed erbe aromatiche.

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TAGLIOLINI AL NERO DI SEPPIA CON GAMBERO E ZUCCHINE CROCCANTI SU SALSA DI PEPERONI ROSSI INGREDIENTI

g. 800 di peperoni rossi, g. 800 di gamberi, 2 zucchine, g. 400 di

tagliolini pasta fresca, basilico, olio EVO, sale e pepe q.b., g. 20 di nero di seppia, aglio q.b., bottarga di tonno. PREPARAZIONE

Soffriggere con uno spicchio d’aglio e olio EVO le teste di gam-

beri con nero di seppia. Scolare i tagliolini e mantecarli nella salsa

ottenuta. A parte cuocere in forno a 240°C i peperoni e, una volta

cotti, privarli della pelle e dei semi e frullarli con olio EVO, sale e pepe. Comporre il piatto adagiando la crema di peperoni sul fondo, successivamente i tagliolini mantecati al nero.

Aggiungere la coda del gambero precedentemente scottata in acqua salata, le zucchine saltate in padella tagliate a filangée, la foglia di basilico fritto e la bottarga di tonno macinata.

RISTORANTE FRATELLI TOLA

Via Mercato, 2 B, 07100 Sassari SS - Tel. 342 676 4174


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TENUTA DI BACCO CRUDI E PESCATO FLEGREO TRA I FILARI CON VISTA SUL MARE di

Laura Gambacorta

Con l’apertura a fine aprile della Tenuta di Bacco, ubicata esattamente al confine tra Monte di Procida e Bacoli, la proposta ristorativa dell’area flegrea si è arricchita di un nuovo riferimento che punta decisamente sulla qualità. La tenuta si estende per circa 12000 metri quadri, metà dei quali sono dedicati alla Falanghina, il 20% al Piedirosso e il restante 30% a orto e agrumeto. L’azienda agricola, infatti, è una delle fondatrici dell’Associazione del Mandarino dei Campi Flegrei. In realtà la Tenuta di Bacco, il cui titolare è Vincenzo Guardascione, nasce già nel 2010 ma esclusivamente come Day Spa in cui al servizio piscina veniva affiancato un percorso relax con massaggi e vinoterapia. Nella primavera del 2019, invece, viene inaugurata ufficialmente la moderna sala ristorante con circa 40 coperti, circondata da ampie vetrate attraverso le quali si può apprezzare la bellezza dei filari di viti. La cucina, affidata alla guida dello chef Roberto Mazzocchi che ha al suo attivo esperienze nelle brigate di Crudo Re a Napoli e della Locanda del Testardo a Bacoli, si basa su due elementi fondamentali del territorio: il pescato e i prodotti dell’orto. Il

servizio in sala, invece, è curato in modo garbato direttamente dalla giovane Mena D’Alessio, direttrice della struttura. Punti di forza del menu sono le Candele alla genovese di mare, gli Spaghettoni con vongole e timo limonato e il Fish and Chips flegreo con maionese di baccalà. Nel periodo estivo, a partire dalle 19,30, è attivo anche il corner dei “Crudi di Bacco” dove poter gustare i crudi dello chef, accompagnati eventualmente da bollicine, sulla terrazza che domina la piscina, il lago Miseno e il mare. TENUTA DI BACCO

Via Miliscola - Monte di Procida (NA) - Tel. 081 2242322

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Golavagando foto di

Marco Cicioni

A PORTO SAN GIORGIO

BANCO_12

LA CUCINA QUOTIDIANA DI MERCATO A Porto San Giorgio, piccolo centro sulla costa marchigiana, ha aperto Banco_12, da un progetto di Nikita Sergeev, chef Patron del Ristorante L’Arcade, largamente conosciuto sul territorio nazionale e apprezzato dalla critica di settore. Tutto nasce da un cartello “Affittasi” avvistato nei pressi di uno dei locali più legati da sempre al mondo del cibo: il mercato ortofrutticolo di Porto San Giorgio. Da tempo alla ricerca di un luogo per poter proporre la propria cucina in una versione più quotidiana e comprensibile, Nikita Sergeev propone un servizio full time, dalla colazione alla cena, dalla gastronomia d’asporto, ad un buon calice all’ora dell’aperitivo. Con pochi fronzoli, Banco_12 si adegua allo stile classico anni ‘50 in sintonia con il mercato. La cucina è completamente a vista, con attrezzature moderne per interpretare al meglio le materie prime del territorio, spesso acquistate dai

commercianti “vicini di casa”. Oltre alla cucina, fa bella mostra di sé la vetrina con i prodotti della gastronomia freschissimi e già pronti da mangiare: insalate, lasagne, fritti (anche al momento) e molte altre golosità ogni giorno diverse. A dirigere l’orchestra in cucina è Francesco Pettorossi, cuoco di pluriennale esperienza, che racconta: “Cucinare all’interno di un mercato è il sogno di ogni cuoco. Lasciarsi ispirare dai prodotti del giorno, ma non solo, seguire le stagioni e “sfruttarle” per far divertire i clienti, gli stessi con i quali posso chiacchierare e spiegare come intendo valorizzare il meglio del nostro territorio. Il banco_12 nasce con questo intento, trasformare al meglio ciò che il mercato ha da offrire, senza esagerazioni ma con un’estrema dose di concretezza e di gusto. E poi, ogni cuoco sa come trasformare”. Circa 25 coperti in tutto, divisi tra posti al bancone, un’intima saletta interna al primo piano, proprio all’interno della torretta del mercato e il dehors esterno. Accurata la scelta di arredi, stoviglie e materiali per regalare al cliente un’atmosfera da bistrot cittadino. La carta dei vini, studiata dal sommelier de L’Arcade Leonardo Niccià vanta oltre 100 etichette, è ricca di proposte interessanti, curiose e poco convenzionali, spaziando dal territorio al mondo e strizzando l’occhio ai vini veri e naturali. Bella anche l’opportunità di poter scegliere il vino direttamente dalla amplissima cantina del vicino fratello maggiore L’Arcade dal quale con qualche minuto in più d’attesa arriverà la bottiglia desiderata. Il conto medio è sui 28 euro. All’ora di pranzo c’è il menu del giorno che varia quotidianamente in base alla proposta del mercato; un crostone, un primo o un’insalata, acqua e caffè ammontano a circa 12 euro. BANCO_12

Porto San Giorgio (FM) - Via Gentili, 7 - Mercato Coperto

Tel. +39.0734.253444 - 339.2233079 - bancododici@gmail.com

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Eventi

A CUCINE APERTE LA VOGLIA DI PUGLIA VIEN MANGIANDO

I soci del consorzio pugliese aprono al pubblico le loro cucine con showcooking, degustazioni e laboratori La gastronomia pugliese s’impara direttamente in cucina a Cucine Aperte, la giornata simbolo della ristorazione di qualità che per il terzo anno coinvolge i soci del Consorzio La Puglia è Servita in tutta la regione. Per l’edizione 2019, la data da segnare in agenda è il 28 settembre, per questo evento che diventa sempre più l’appuntamento immancabile per tutti i food lover. Giunto alla terza edizione, Cucine Aperte già si prepara a riconfermare il suo successo, come format che incentiva i consumatori ad approfondire, valutare e riconoscere cosa mangiano, attraverso la gli alti standard dei soci del Consorzio, tutti professionisti dell’ospitalità e della ristorazione accomunati dall’equilibrio tra territorio, ricerca e tradizione. Per tutta la giornata, le strutture socie apriranno le porte delle proprie cucine ai partecipanti, che potranno visitare le cucine, approfondire la conoscenza delle materie prime, seguire laboratori, degustazioni tematiche, e naturalmente assaggiare le preparazioni a cura dei ristoratori soci, tra i migliori di tutta la Puglia. La particolarità della manifestazione è proprio nell’incontro diretto con i cuochi, che diventano ambasciatori in prima persona della gastronomia pugliese, accompagnando i clienti

nel cuore della propria cucina e del proprio personale rapporto con le materie prime del territorio attraverso l’esperienza diretta “sul campo”. Anche per questa edizione, ogni struttura sceglierà il proprio “Prodotto nel piatto”, su cui incentrare la degustazione: i visitatori potranno quindi spostarsi da una struttura all’altra, assaggiando le diverse tipicità di ogni territorio. In degustazione anche i vini del Movimento Turismo del Vino Puglia, gli extravergine di Buonaterra - Movimento Turismo dell’Olio Puglia e i prodotti tipici raccontati direttamente dai produttori e dagli artigiani del gusto del territorio. In più, un ricco programma di attività animerà le strutture nel corso della giornata: showcooking, laboratori per grandi e piccini, abbinamenti cibo/vino e molto altro ancora. Il programma completo e aggiornato delle attività sarà disponibile sul sito www.lapugliaeservita.it, insieme alla GoogleMap con la localizzazione delle strutture aderenti all’iniziativa. Cucine Aperte fa parte della programmazione progettuale dal titolo “La Puglia è Servita” presentata da Tirsomedia a valere sul fondo di sviluppo e coesione - FSC -2014-2020 “Patto per la Puglia” e finanziata dall’Assessorato all’Industria turistica e culturale della Regione Puglia.

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BUONENUOVE!

Prendiamoci un caffè - Verde È di Lady Cafè la recente produzione della linea BIOLOGICA VerdeCaffè, tisane e prodotti cosmetici ottenuti con l’utilizzo di caffè verde biologico macinato. Il caffè verde è il caffè crudo, non tostato. Secondo uno studio dell’American Jurnal of Clinical Nutrition, il caffè verde apporta importanti benefici sul nostro corpo e metabolismo: brucia i grassi dato l’alto contenuto di acido clorogenico, un componente in grado di ridurre l’assorbimento di zuccheri da parte dell’intestino e accelerare il metabolismo. Inoltre è un potente antiossidante, ricco di omega 3 ed omega 6, riduce colesterolo e triglicerdi e regola la pressione. Buon alleato contro stress e disturbi psichici, rinforza i tessuti connettivi ed è benefico per pelle e capelli. Il caffè utilizzato per la linea di tisane VerdeCaffè è molto pregiato, si tratta infatti della selezione Mexico Altura BIO: arabica lavato ad acqua che nasce nel territoriio di Varacruz, tra i 1200 e i 1600 metri di altitudine. Le sue cultivar sono Typica, Mondo Novo e Caturra. Certificato BIO a rispetto del prodotto e dell’uomo che lo coltiva.

www.torrefazioneladycafe.com

L’unicità del Pomodoro Cannellino Flegreo Il pomodoro cannellino, annoverato dalla Regione Campania tra i prodotti tradizionali, è coltivato nell’area flegrea sin dall’Ottocento. Il seme del pomodoro cannellino non è un ibrido ma viene tramandato da generazione in generazioni. La semina inizia a fine febbraio e la coltivazione si realizza, come da tradizione, con il supporto di canne e spago in juta o canapa in modo manuale così come la raccolta, da luglio a fine agosto. L’Associazione Pomodoro Cannellino Flegreo, che si colloca presso il sito archeologico di Cuma a Pozzuoli, annovera otto produttori: Azienda Agricola Costagliola - Via Caranfe, 1 - Monte di Procida Azienda Agricola Km 0 Flegreo - Via Cappella, 313 - Monte di Procida Azienda Agricola Pignata Emilio - Via Domitiana, 31 - Giugliano in Campania Azienda Agricola Raffaele Palumbo - Via Gian Felice, 32 - Giugliano in Campania Azienda Agricola Russo - Via Monte di Cuma, 1 - Pozzuoli Azienda Vivaistica Tammaro - Via Cuma Licola, 11 - Pozzuoli Masseria Pignata - Via Domitiana, 89 - Giugliano in Campania Orti Flegrei - Via Grotta del Sole - Pozzuoli

www.pomodorocannellinoflegreo.com

Dalla Sicilia una pasta alle bacche di goji Nasce a Pachino una linea benessere di confetture con bacche di goji e mandorla siciliana, biscotti, liquori e, ora, pasta di grani antichi e pasta senza glutine (penne rigate e pappardelle). Il GLUTE-GOJIFREE è un marchio registrato che non esiste in Italia, in Europa e nel mondo. Nella pasta di grani antichi di varietà Russello non vengono tolti né la crusca né il germe di grano, preservando proprietà importanti come omega 3 e omega 6. L’aggiunta di estratto di bacche di goji apporta benefici al sistema immunitario.

www.gojipachino.com 38


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REX WHISTLER E LEVEL 9 A LONDRA - NERUA A BILBAO ODETTE A SINGAPORE - PALAIS DE TOKYO A PARIGI - SPAZIO 7 A TORINO RIJKS AD AMSTERDAM - THYSSEN-BORNEMISZA A MADRID

RISTORANTI AL MUSEO PENNELLO, SCALPELLO E CUCCHIAIO di

Flavia Tomaello

Siamo seduti al tavolo di uno dei più rinomati ristoranti di Londra, apettando un piatto di pollo biologico, proveniente da un allevamento appena fuori città. In cucina lo chef Alfio Laudani che ha appena terminato di dare una pennellata di sole al piatto che sta per servire. Quando la creazione arriva al tavolo, la mente vola verso quei soli squarciati dei quadri di Van Gogh. Lì davanti, proprio di fronte al commensale, fa capolino una dipinto contemporaneo ispirato alla tela dell’olandese che brilla in una esposizione da pochi anni presente in Gran Bretagna.

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RistorantiAlMuseo

Questa mostra rappresenta la somma delle intenzioni di una decina di musei mondiali; perfino la National Gallery ha accettato di prestare “I Girasoli”. Sono proprio questi i colori che esplodono nel piatto che si può assaggiare presso il ristorante Rex Whistler, nel cuore della Tate Britain. Il luogo prende il nome dall’artista britannico vissuto tra le due guerre che, ancora studente presso l’Accademia d’Arte Slade, aveva ricevuto l’incarico di dipingere un murales nel 1926. L’opera si intitola “La ricerca di carni rare” e venne presentata nell’inverno del 1927. Avvolti da opere d’arte, da una musica classica scelta appositamente per la degustazione, non è più possibile continuare a fruire soltanto dell’arte figurativa con tutti i sensi a disposizione. I musei hanno aperto le loro porte. Oggi la moda, il design industriale e la gioielleria hanno fatto breccia nelle sale d’esposizione, offrendo un valore aggiunto alla fruizione di altre forme artistiche improntate a bellezza e creatività. Le sale diventano luoghi dove la visione dell’opera d’arte rappresenta solo una parte dell’esperienza sensoriale. Il resto degli stimoli la completano, la perfezionano, la differenziano da altre. E tuttavia, non tutto rimane lì: alcuni musei stanno diventando centri di attrazione gastronomica, dove il visitatore entra in un percorso artistico che parte dallo stimolo culinario.

REX WHISTERL RESTAURANT Tate Britain Art Gallery,

Milbank, London SW1P 4JU Tel. +44 20 7887 8825 www.tate.org.uk

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REX WHISTLER A LONDRA PASSIONE ITALIANA SUL TAMIGI Ecco un luogo davvero unico, che offre un menù britannico ispirato alla stagione e con importanti fornitori ecosostenibili che operano in tutte le isole britanniche. La cucina del ristorante Rex Whistler della Tate Britain, guidata dalla chef Alfio Laudani (qui sopra), usa gli ingredienti con grande cura e rispetto, utilizzando tecniche della cucina tradizionale e tocchi di modernità. La sua cantina di vini è considerata una delle migliori e più pregiate di Londra, sotto la supervisione di Hamish Anderson e del direttore sommelier Gustavo Medina. “Della tradizione britannica mi piace la cacciagione, la lepre e la pernice - racconta Laudani. Mi piace la cottura lenta, la carne alla brace e uso i tagli meno costosi così da ottenere un sapore più deciso”. Un altro valore aggiunto che marca la differenza è il caffè. Tate ha la propria torrefazione di caffè. “Usiamo il caffè nei dolci - continua lo chef - e di recente ho usato il nostro caffè per marinare il petto di tacchino e preparare un aperitivo a base di affettato di tacchino”.

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NERUA IN SPAGNA UN MUSEO ALL’OMBRA DELLO CHEF La struttura dell’emblematico museo Guggenheim di Bilbao potrebbe facilmente eclissarne qualsiasi altra, ma questo non è il caso del Nerua, dove la squadra di giovani chef prepara, sotto la direzione di Josean Martínez Alija, una vera cucina d’avanguardia, al passo con le straordinarie esposizioni che via via si susseguono all’interno del museo. Nerua riflette la stessa architettura del Guggenheim, con pareti bianche, piatti a forma di pergamene e sedie ideate dal premiato disegnatore newyorkese Frank Gehry. Dispone anche di un’ampia terrazza con vista sull’eccezionale esterno del

NERUA GUGGENHEIM BILBAO Abandoibarra Etorb., 2 Tel. +34 944 00 04 30

48001 Bilbao, Bizkaia, Spagna

www.neruaguggenheimbilbao.com

© ph Andoni Epelde © ph Andoni Epelde

museo. Le porzioni sono piccoli capolavori, come conviene ad un adepto dello chef catalano pluristellato Ferran Adrià. “Il nostro approccio è meticoloso, - dice lo chef - quasi clinico. Serviamo quasi tutto in semplici piatti bianchi con solo due o tre ingredienti”. Gli ingredienti mediterranei, familiari, come l’acciuga, il tacchino, il baccalà e il cioccolato, brillano nel menu grazie ai suoi lampi d’ispirazione. “Il segreto è la ricerca - afferma -. Si tratta di analizzare i prodotti nella loro essenza, conoscere la loro origine, il loro utilizzo, le loro proprietà, il loro potenziale... E’ così che nasce il processo creativo, la parte fondamentale della mia cucina. Analisi, riflessione, rivalutazione. Da allora ho continuato a perfezionare, stagione dopo stagione, il mio stile di cucina, puro, essenziale, senza sovrastrutture”.

ODETTE A SINGAPORE LA FILOSOFIA DEL TUTTO L’ultimo gioiello della corona artistica di Singapore, la National Gallery Singapore, è un centro di arti audiovisive che ospita una collezione impareggiabile di arte moderna del sudest asiatico. Occupa gli edifici che accoglievano gli uffici del Municipio e

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ODETTE

1 St Andrew’s Rd, #01-04 National Gallery, Singapore - Tel. +65 6385 0498 www.odetterestaurant.com

l’antica Corte Suprema, più di 64.000 metri quadrati che sono stati riqualificati secondo linee guida di estrema conservazione. Al centro di questo complesso, un ristorante dal nome di donna, Odette, si confonde con l’arte in una forma quasi impercettibile. Creato dall’artista di Singapore Dawn Ng, il ristorante ricrea un ambiente femminile grazie alla combinazione dei colori rosa, grigio e crema, oltre ad ospitare opere d’arte originali. Odette ha ottenuto due stelle Michelin nell’anno della sua apertura e ora fa il suo ingresso nella lista dei migliori 50 ristoranti d’Asia, posizionandosi al numero 9, che è anche l’entrata in classifica più alta di sempre. Un sofisticato ristorante francese diretto da Julien Royer che, grazie ai migliori ingredienti della stagione e i

prodotti tradizionali da tutto il mondo, concentra tutta l’attenzione sui suoi piatti eleganti e raffinati. I menu, di quattro o otto piatti, cambiano regolarmente, ma i commensali possono sempre aspettarsi piatti elegantemente colorati come

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il Gallinaio della Guinea francese, servito con risotto di sedano e crocchette di foie gras. Oppure la trota e il polpo alla griglia e i broccoli alla romana, con spruzzi di miso caramello. “Abbiamo la speranza che Odette rappresenti un’esperienza onesta e accogliente, - suggerisce Royer -. Qui ogni ingrediente trova la giusta collocazione e il suo perchè, viene trattato con la massima attenzione in modo da esaltare i sapori più essenziali. Oltre alla creazione di piatti d’autore, la nostra passione è quella di ricercare i prodotti migliori per valorizzare la nostra cucina”. La filosofia gastronomica è stata ribattezzata dallo chef come la “filosofia del tutto”; si parte dall’esplorazione dell’impatto visivo degli ingredienti crudi della cucina di Julien, che li separa per riproporli poi in un universo surrealista di forme che sembrano fluttuare e cristallizzarsi, andare alla deriva e fissarsi in studiate acrobazie.

PALAIS DE TOKYO IL COLORE PONTE TRA TOKYO E PARIGI

PALAIS DE TOKYO

13 Avenue du Président Wilson, 75116 Paris, Francia

Costruito per l’Esposizione Internazionale del 1937, l’edificio prende il nome dal “Tokio Wharf” (attuale viale di New York). Era disegnato fin dall’inizio per ospitare due diversi musei: il Museo d’Arte Moderna della città di Parigi, da un lato, e il Museo Nazionale d’Arte, dall’altro. Il primo occupa l’ala est dell’edificio, mentre l’ala ovest ha subìto varie sorti, secondo le varie assegnazioni, sempre in relazione con le arti audiovisive. Qui si trova il Palais de Tokyo che rappresenta uno spazio di creazione contemporanea. Tra i suoi corridoi appare un signore elegante, affascinante e colto. Monsieur Bleu, un’opera del talentuoso architetto Joseph Dirand, trova espressione negli aspetti più glamour

Tel. +33 1 81 97 35 88

www.palaisdetokyo.com

dell’Art Deco, nell’opera di Yves Klein e nello stile minimalista di Adolf Loos. Il risultato è spettacolare: marmo verde, panche di velluto e geometrici lampadari di cristallo. Lo chef Benoit Dargere ha ricreato una gastronoomia che si rispecchia nel luogo: senza tempo, internazionale, vivace. Ha mantenuto il suo particolare legame con la cucina francese nel rivisitare i classici con tutta la loro grandezza e grazia. “Qui abbiamo un’elegante brasserie dallo stile francese - ci spiega Dargere -. Le parole chiave di questa direzione insolita e unica: gusto e rispetto per la stagionalità dei prodotti”.

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RistorantiAlMuseo

LEVEL 9 A LONDRA UN LIVELLO SUPERIORE Londra racchiude, tra i suoi edifici, terrazze che si affacciano su sorprendenti panorami. Level 9 si trova allo stesso piano dell’antica centrale elettrica diventata il più moderno edificio delle gallerie Tate, dove si disvela un panorama impressionante sulla cattedrale di St. Paul e sullo Shard. Il cibo è moderno, europeo, con un forte tocco di ingrendienti britannici. Il menu cambia regolarmente, rispecchiando la dsponibilità dei prodotti di stagione ed è flessibile. Viene concessa la degustazione di un menu di tre piatti, ma si accoglie anche il visitatore che cerca un approccio veloce. Lo chef principale, Jon Atashroo,

LEVEL 9

Level 9 Blavatnik Building, Bankside London SE1 9TG,

Tel. +44 20 7401 5108 www.tate.org.uk

è il leader di una squadra che ama produrre sapori indimenticabili. Oltre al menu di stagione, vengono presentate anche creazioni a tema che si coniugano con le esposizioi temporanee. I suoi piatti propongono un cibo locale. Meno miglia aeree, meno imballaggi, meno plastica. “I termini “iperlocale” e “iperstagionale”, tra quelli che ho sentito ultimamente, sono quelli che meglio ci descrivono” - indica. “La nostra porposta è unica, saporita, bella, speziata, soprendente e sexy” spiega Atashroo. Non si può abbandonare il suo salone senza aver provato il cavolo al burro di anacardo e la salsa di uvetta e capperi.

SPAZIO 7 A TORINO LA CASA DELL’ARTE Ristorante, caffetteria e trattoria contemporanea: sono queste le anime che convivono nella Spazio 7, un luogo d’incontro della cucina italiana. Qui la sperimentazione naturale è parte integrante di uno dei centri più importanti dedicati all’arte

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SPAZIO 7

Via Modane, 20 - 10141 Torino - Tel. +39 011 379 7626

© ph Lido Vannucchi

www.ristorantespazio7.it

© ph Giorgio Perottino

contemporanea, la Fondazione Sandretto Re Rebaudengo. Alla guida del progetto, Emilio Re Rebaudengo. Oltre alla sua passione per l’arte, che è parte fondamentale della sua vita, è un grande amante dei viaggi, e questo gli permette di scoprire nuovi luoghi, culture e cibi. Spazio 7 ha ottenuto la sua prima stella Michelin. Al primo piano c’è il ristorante, disegnato e costruito da Claudio Silvestrin, architetto dell’intero spazio. Le pareti sono sobrie e su una si evidenzia la pietra leccese che è lo stesso materiale della facciata esterna dell’edificio. Insieme al pavimento di calcestruzzo questi due elementi forniscono la tela di fondo per i mobili minimalisti che creano un ambiente moderno e contemporaneo. L’intervento dell’artista italiano Amedeo Martegani domina parte dell’ambiente con l’opera “Senza titolo”, un dipinto murales di tre colori sopra la carta da parati. Integrazione, sperimentazione e contaminazione culturale: sono queste le sfide giornaliere che affronta la squadra di cucina diretta da Alessandro Mecca (foto a lato). Le sue esperienze comprendono il DOM di San Paolo dove ha lavorato con Alex Atala, uno dei massimi esponenti della cucina sudamericana contemporanea. Mecca giunge allo Spazio 7 a settembre del 2005 dopo aver passato tre anni nella tenuta di San Martino a Villanova d’Asti. Qui propone, insieme a un menu di piatti contemporanei, un menu tradizionale e uno “a mani libere”, ossia a discrezione dello chef, che comprende otto piatti. Pane, pasta fresca e dolci sono rigorosamente fatti in casa.

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© ph Luca Biolcati


RistorantiAlMuseo

© ph Jan Kees Steenman

RIJKS AD AMSTERDAM LA TAVOLA ARANCIONE IN OLANDA Come ente Nazionale, il Rijksmuseum offre una visione generale rappresentativa dell’arte olandese dal Medioevo in avanti, così come dei principali aspetti dell’arte europea e asiatica. Attualmente risulta essere uno dei centri d’arte più attivi in Europa. Il suo ristorante ne segue le orme. RIJKS ha aperto le porte per la prima volta nel 2014, con Joris Bijdendijk (qui a lato) al comando del ristorante. Ha ottenuto una stella Michelin nel 2016. “Mi hanno assegnato una missione speciale quando abbiamo dato inizio a questa esperienza del ristorante - racconta Bijdendijk -: svelare la cucina olandese e metterla nel menu - Mi è sembrato un compito stimolante e nobile. Il miglior posto per esplorare la cucina olandese era, ovviamente, all’interno del Rijksmuseum. Ho studiato i molti fantastici quadri con i soggetti barocchi di combinazioni, verdure, formaggi, ecc. Per la composizione del menu, ho cercato produttori autentici e ho trovato prodotti fantastici. Le diverse regioni dei Paesi Bassi hanno una grande quantità di verdure speciali, frutta, carne e pesce. Ma si producono anche formaggi tipici, insaccati e pane”. Da non perdere: la versione attuale del piatto con le rape. Lo chef strizza l’occhio e racconta: “Abbiamo deciso che non c’era spazio nel piatto per nient’altro che distraesse dalla sua essenza: così ci abbiamo messo solo la salsa e le rape”.

RIJKS

Museumstraat, 2

1071 XX Amsterdam

Tel. +31 20 674 7555

www.rijksrestaurant.nl

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GourmetFood

IL THYSSEN-BORNEMISZA DI MADRID IN PORZIONI DA ASPORTO Il museo ha sempre dimostrato il suo interesse per il mondo della gastronomia. Da lì è nata l’idea di realizzare una pubblicazione di carattere gastronomico; uno straordinario libro di ricette che comprende 25 piatti ideati da altrettanti chef spagnoli di fama internazionale; un dialogo tra arte e gastronomia; un viaggio attraverso il gusto, inteso come senso ed estetica. Gli chef selezionati hanno percorso le sale del Thyssen in cerca d’ispirazione in qualche dipinto del museo. Ognuno di loro ha scelto un’opera e ha realizzato una ricetta. Non si è cercata una trasposizione letterale dall’opera verso il piatto, ma un’ispirazione che potesse apparire attraverso il tema dell’opera scelta, la struttura del materiale utilizzato dall’artista, i colori… Diego Guerrero, ad esempio, ha trovato l’ispirazione nell’opera di Mijail Larionov, “Il panettiere”, 1909; Sacha Hormaechea nel potente Jackson Pollock, “Marrone e argento”, datata attorno al 1951; Ángel León ha optato per Paul Klee, “Omega 5 (Oggetti d’imitazione)”; Carmen Ruscalleda si è commossa davanti all’opera di László Moholy-Nagy, “Segmenti di un cerchio”, 1921 e Paco Torreblanca ha riservato per sè il Vassily Kandinsky di “Tensione delicata n. 85”, 1923. Guillermo Solana, direttore artistico del Museo Nacional ThyssenBornemisza spiega: “Gli chef che hanno partecipato a questo libro ci offrono un fantastico ventaglio della cucina come arte visiva, attaverso un’incredibile varietà di modi di servire il Thyssen in tavola. Alcuni di loro creano repliche del quadro direttamente nel piatto”. Un libro che è pronto per essere servito. THYSSEN BORNEMISZA

Paseo Del Prado, Madrid - www.museothyssen.org

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Tendenze

SCOPPIA LA

“FOOD DESIGN MANIA” TRA I MILLENNIAL

Noma - Copenaghen

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FoodDesignMania

Il cibo è ormai diventato sinonimo di fashion e design. La capacità di far vivere un’esperienza unica e di offrire uno spazio accogliente sono le caratteristiche più ricercate dai consumatori, soprattutto dalle nuove generazioni. Scenario confermato da una ricerca pubblicata sul portale britannico The Independent, secondo cui oltre il 40% dei millennial ha ammesso di ritenere l’estetica della tavola come il requisito fondamentale per la scelta di un locale; un fenomeno che si ripercuote a cascata su tutto ciò che i giovani pubblicano sui social per comunicare con un post quale piatto hanno mangiato e il locale prescelto. Questo può rappresentare quindi anche un fattore da cui dipende il giro d’affari e la reputazione online dei ristoranti, dato che, secondo uno studio americano pubblicato su Business Insider, il 99% degli appartenenti alla Generazione Z e dei nativi digitali sceglie il mondo dei social e delle recensioni come uniche fonti attendibili. Basta pensare che su Instagram l’hashtag #FoodDesign compare oltre 350mila volte, segno di un vero e proprio trend. Quella del food design è una tendenza che, partendo dai social, ha influen-

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White Rabbit - Mosca

zato le scelte stilistiche di alcuni dei migliori ristoranti e locali in giro per il mondo, che oggi sono secondo gli esperti di stile a tavola tra i più “instagrammabili”: dal Loulou di Parigi, raffinata interpretazione del “vivere parigino” che presenta tavoli in cuscinatura di velluto blu, al Noma di Co-

penaghen (pagina accanto), concepito a livello architettonico come un vero e proprio villaggio scandinavo. Dal White Rabbit di Mosca, locale alla moda che serve cucina russa contemporanea al sedicesimo piano del Centro commerciale “Smolenskij passazh”, proprio di fronte al Ministero Loulou - Parigi

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Tendenze

Palm Court - New York

degli Esteri, allo Sketch Gallery di Londra, tappa imprescindibile per gli amanti del cibo a due stelle Michelin e per coloro che vogliono vivere un’esperienza sensoriale completa. E ancora dal Palm Court di New York, struttura di un’eleganza sobria con tavoli circondati da palme, al Takazawa di Tokyo, raffinato locale con una sala quadrata rivestita in legno e una cucina in acciaio lucido che funge da palcoscenico per lo chef. Nella “top 10” dei locali più instagrammabili rientrano anche l’Elon Café di Londra, il primo bar total pink con mura rivestita internamente di fiori, il 230 Fifth di New York, location perfetta per gustare un cocktail al quinto piano di uni dei grattacieli più alti nel centro della Grande Mela, il Nobu di Malibu, ristorante glamour di Malibu per un lauto pranzo con vista sulla magnifica spiaggia californiana, e il Catch di Los Angeles, il locale più fashion di tutta la West Hollywood. 230 Rifth - New York

Elon Café - Londra

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FoodDesignMania

Takazawa - Tokyo

Sketch Gallery - Londra

E l’importanza dell’estetica di un locale e del modo di servire un piatto è confermata anche dai maggiori esperti del settore: “Sono da sempre una fanatica dell’estetica in generale e credo che l’unione di tutti i sensi aiuti a vivere appieno un’esperienza, e quindi memorizzarla nel tempo – spiega Ilaria Forlani, pastry chef premiata nel 2017 ai Lux Food Drinks Awards Uk di Londra – Oggi, anche nel mondo della ristorazione tutto viene passato sotto lo scanner dei social che prediligono il bello e l’instagrammabile. Creare un piatto che stupisca, che possa essere fotografato e condiviso prima di essere assaporato è quello che fa sempre la differenza. E lo stesso dicasi per i locali: in un panorama sempre più in competizione, vince chi presenta l’atmosfera più glamour tra tutti”. Pensiero condiviso anche da Francesca Zampollo, fondatrice della Online School of Food Design, ricercatrice e consulente in Food Design Thinking: “La filosofia del Food Design Thinking aiuta a sorpassare il concetto di tavola e di piatto verso l’esperienza del cibo nella sua totalità, dove il sapore diventa coerente con luci e musica. Il piatto diventa un tutt’uno, il servizio e il tavolo entrano in simbiosi con l’aspetto visivo del cibo, il tutto verso una modalità progettativa che si muove beyond the plate. Il Food Design, infatti, esplora in profondità i confini dell’interazione tra uomo, cibo e tavolo”. Mangiare è ormai diventato un atto esperienziale che mette in moto tutti i sensi, non solo quello del gusto: “Quando si mangia non si compie un atto puramente necessario, ma si vive un’esperienza che rimarrà per sempre nei nostri ricordi - afferma Ilaria Innocenti, designer e art director emiliana che nel 2010 ha fondato Ilaria.I - Per questo motivo diventa indispensabile sperimentare nuovi modi di servire il cibo e il design può dare il suo contributo per poter far vivere un’esperienza personalizzata. Il mio consiglio è quello di rendere l’atmosfera dei propri locali più esotica, portando a tavola materiali insoliti come il cemento, il metallo e il legno, allontanandosi dallo standard comune della porcellana”. (Fonte: espressocommunication.it)

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GourmetFood

MAGORABIN

IL CANTASTORIE A TINTE ROCK DELLA CUCINA PIEMONTESE di

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Giulia Gavagnin


Magorabin

Vive sospeso tra i sogni del Chelsea Market e la geometria della Mole, che si trova a pochi passi dal suo ristorante. E’ un creativo puro che ha molto visto e molto viaggiato, che piace e si piace; tuttavia non cerca ossessivamente i riflettori. Forse devono essere i riflettori a cercare lui, perché gli piace molto anche parlare, ma essendo consapevole dei propri mezzi sa che le parole più significative provengono dalla sua cucina, così vibrante, contemporanea ed estemporanea. Marcello Trentini è una fucina di idee, sforna ricette in continuazione, se non fosse per pochi classici sempre in carta, ogni giorno sarebbe diverso dall’altro. Non si bagna mai due volte nello stesso fiume, un po’ per indole, un po’ per educazione. E’ pollockiano, elabora infinite variazioni di colore, la sua ispirazione è fluida come un “dripping”, le sfumature sono sempre simili ma diverse. Ha iniziato nel 2003 insieme alla moglie Simona nei locali attigui all’insegna attuale, che da pochi mesi ospitano un elegante cocktail bar travestito da speakeasy, dove spiccano le eccellenti torte salate di Filippo Novelli e la mixology di Carlotta Rubia. “Oggi il Mago ha raddoppiato”, dicono in città. In verità, non ha solo raddoppiato gli spazi, in quindici anni ha implementato le idee, ha traslato nel suo ristorante un laboratorio newyorchese di quadri, sagome, installazioni in continuo movimento. Il “Mago” ama il multiculturalismo degli States, ma è profondamente sabaudo.

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GourmetFood

LEPRE ALLA ROYALE INGREDIENTI per 4 persone

che. Mischiare il sale e lo zucchero e ri-

g. 150 di sale

lasciandolo marinare per circa 3 ore, do-

g. 400 di controfiletto di lepre g. 150 di zucchero Per la Salsa Royale g. 300 di foie gras

g. 100 di panna fresca

g. 50 di fondo bruno di lepre g. 50 di burro freddo Per finire

g. 10 di granella di nocciole tostate g. 10 di polvere caffè solubile, 2 funghi porcini freschi

g. 10 di polvere di funghi porcini secchi 1 tartufo nero

sale Maldon q.b. pepe verde q.b.

PROCEDIMENTO

Ripulire il controfiletto di lepre dalla copertina esterna e da eventuali parti bian-

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coprire il controfiletto completamente, podiché lavare sotto acqua corrente ed asciugare in un canovaccio.

Per la salsa Royale, rosolare in padella facendo partire da freddo il foie gras tagliato a pezzi. Una volta rosolato e dora-

to, filtrare il grasso in eccesso e metterlo

nel Bimby aggiungendo prima la panna, iniziando a frullare, poi il fondo bruno di lepre e, alla fine, il burro freddo a pezzet-

ti. Salare, pepare, filtrare al colino fine e conservare in un pentolino.

Prendere nuovamente la lepre, tagliarla e fette fini e disporle su un piatto piano;

condire con la granella di nocciole tostate,

la polvere di caffè solubile, la polvere di

funghi secchi, salare e pepare. Tagliare i funghi porcini freschi e il tartufo nero alla mandolina e disporli sopra la lepre a coprire alternandoli. Terminare con un giro di salsa Royale sopra i funghi e il tartufo.

Non sono due anime in contraddizione, ma in continuità. Vinicio Capossela cantava il Tanco del Murazzo, ritratto del primo laboratorio urbano della Torino contemporanea: “Il tipo aspetta dietro il ponte senza fretta, il fiume è giallo, lento fango d’Orinoco scorre tra i fuochi, gli spacci, il mangiafuoco scende il murazzo, c’è una macchina bruciata, kebab arrosto e folla a grappoli in parata, le ragazze aspettano di uscire fuori per ballare e intanto provano le scarpe nuove e ridono da sole”. Marcello Trentini è un po’ questo, un po’ un cantastorie a tinte rock, un possibile Lou Reed torinese. A lato il cocktail bar, a un angolo di Corso San Maurizio il nuovo ristorante: un’anticamera, un’elegante sala arredata con toni urban-chic, un tavolo conviviale con vista cucina e l’immancabile affresco che richiama la Grande Mela, centro del mondo. Le radici, però, sono profondamente piemontesi, non solo perchè da queste parti si confezionano gianduiotti di foie-gras come amuse bouche e si fa un utilizzo importante di vermuth anche in cucina. “Magorabin era il folletto che da queste parti i genitori invocavano quando i bambini si comportavano male. Il classico spauracchio. Ci dicevano “guarda che arriva il Magorabin!” . Così Marcello Trentini nel 2003 ha deciso di essere, in qualche modo, lo spauracchio, il diverso, in una città che era ancora tutta tajarin, bagnèt verd, finanziera. E’ cresciuto negli anni, nel 2016 ha ottenuto la prima stella, non nasconde ambizioni di seconda. “Siamo cresciuti costantemente, la sala e la brigata funzionano all’unisono, abbiamo sempre reinvestito tutti gli utili nel locale, la clientela è variegata, ho un repertorio davvero ampio… non vedo perché non dovrei pensare in grande” dice con una punta di orgoglio. Come dargli torto?


Magorabin

FINANZIERA DI ANIMELLE E SCAMPO INGREDIENTI per 4 persone

PROCEDIMENTO

4 scampi freschi

poi spellare a mano la pellicina esterna presente sulle animelle ed eventuali parti ner-

g. 500 di animelle di vitello sanato g. 100 di farina di riso olio evo

Per le animelle: far spurgare le animelle sotto acqua fredda corrente per circa 12 ore, vose. Asciugare bene sino alla cottura in un canovaccio.

g. 100 di burro chiarificato

Per gli scampi: privare gli scampi del carapace e rimuovere con uno stuzzicadenti il filo

Per la Beurre Blanc

re in una padella tiepida il contenuto delle teste lasciandolo cuocere per pochi secondi.

g. 100 di aceto di patata dolce g. 50 di scalogno tritato succo di 1/2 lime

g. 250 di burro freddo a cubetti sale e pepe q.b.

Per la salsa di teste di scampi 4 teste di scampi ricavate

dalla pulizia degli scampi olio di semi q.b.

nero intestinale. Tenere da parte sino alla cottura. Con le teste ricavare la salsa: spreme-

Lasciar raffreddare, poi montare con olio di semi come fosse una maionese; salare e pepare e filtrare con il colino fine.

Per la salsa Beurre Blanc: in un pentolino ridurre della metà l’aceto e lo scalogno tritato. Filtrare il liquido rimanente in un nuovo pentolino e porlo a bagnomaria, aggiungere il succo di 1/2 lime, cominciare a montare con una frusta incorporando il burro freddo un pezzo per volta fino a ottenere una salsa spessa e consistente; salare e pepare.

In una padella con del burro chiarificato rosolare sono a doratura le animelle precedentemente infarinate in farina di riso.

In un’altra padella rosolare in olio evo gli scampi per un minuto solo sulla schiena.

Impiattare ponendo le animelle al centro di un piatto piano, coprire con la maionese di teste di scampi, a fianco porre uno scampo a persona e glassare con la salsa Beurre Blanc. Finire con un giro di pepe e una grattugiata di scorza di lime.

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GourmetFood

Ti accoglie nell’anticamera con un aperitivo a base dell’immancabile vermuth e racconta le origini: “Provengo da una famiglia mediamente benestante, ho frequentato il liceo artistico e all’inizio non avrei mai immaginato di diventare cuoco. Dopo la maturità ho scoperto che questo mestiere era un ottimo viatico per viaggiare nel mondo. Ho visitato vari paesi prestando servizio nelle più diverse tipologie di ristorante. Siccome sono metodico per natura, mi sono reso conto di avere una naturale predisposizione per far uscire contemporaneamente un gran numero di piatti, e così ho capito che avrei potuto farne un mestiere. Non ho avuto grandi maestri, quando sono tornato in Italia ho deciso che avrei aperto il mio ristorante il prima possibile e, semplicemente, mi sono messo a studiare”. Alla domanda “qual è la tua principale fonte di ispirazione?” risponde seccamente “me stesso e i miei viaggi”, lasciando intendere di aver sempre cercato una propria strada maestra. In effetti, la cucina di Trentini è un vasto pout-pourri di riferimenti culturali. Seduti al tavolo conviviale, con un blando sottofondo costante di classici del rock anni ’70, da Iggy Pop ai Led Zeppelin, in preziosi contenitori a forma di scatola, sfilano pregevoli amusebouches, su tutti i tacos di pelle di pollo, biete e maionese all’arancia e il gianduiotto al foie-gras. L’inizio vero e proprio è affidato alla finanziera di scampi, tanto per non far sorgere dubbi sulle radici piemontesi. Un cuoco che si rispetti non può far

mancare la scaloppa di foie-gras, che Trentini presenta con carciofi e oliva taggiasca (accostamento che forse non contempera alla perfezione l’amaro del carciofo con la dolcezza della taggiasca) e nemmeno un tocco di caviale, accoppiato a rombo e salsa olandese. Un classico inamovibile dalla carta è la tartare di gamberi e lingua al mandarino, un piatto elegante e bipartito in due, con una doppia anima che si fonde in un unico boccone. Non manca nemmeno la capasanta esaltata da un incontro nippo-franco-torinese, fondo di volaille allo yuzu e tartufo al Vermuth. Un probabile futuro classico è l’eccellente risotto mantecato a tre burri con petto di piccione alla brace, con un punto di affumicatura perfetto. L’anatra con semi e rape è forse più ordinaria, ma manifesta l’interesse spiccato di Trentini per l’elemento vegetale che non serve da un mero accompagnamento cromatico alla carne. Prima dei dessert, immancabile l’agnolotto pizzicato torinese nel tovagliolo. Gli abbinamenti sono di pregio, e non solo enologici: Simona prepara apposite tisane e kombucha, per non appesantire d’alcol il cliente. L’Universo del Mago è tuttavia amplissimo, non riconducibile all’elenco esemplificativo di piatti di cui sopra. Al cocktail bar si è aggiunta in questi giorni l’apertura di una bottega di ispirazione veg all’interno del nuovo Mercato Centrale di Torino. Si chiama Fata Verde, e rappresenta l’anima femminile del Mago. A questo punto, siamo pronti per nuove, stimolanti soprese del folletto torinese.

RISTORANTE MAGORABIN

Corso S. Maurizio, 61 - Torino - Tel. 011 812 6808 www.magorabin.com

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GourmetFood

DANIELA SOTO-INNES È UNA MESSICANA DI NEW YORK

LA MIGLIORE CUOCA DEL MONDO di

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Flavia Tomaello


DanielaSotoInnes

Il Messico e il Perù, con un revival di piatti che provengono dalle popolazioni indigene. Il Cile con la sua forte tradizione costiera. La Bolivia con il recupero di coltivazioni perdute. Il Brasile e la sua avanguardia nella cucina esotica. L’Argentina che ormai non è più solo carne grazie anche al mitico Mauro Colagreco, tra i migliori cuochi, a cui il continente si pregia di aver dato i natali. L’America Latina è quindi di moda, e non si tratta di qualcosa di passeggero. Questo continente ha continuato a ricercare i valori delle sue origini fin dalla Reconquista. Si è preso il tempo per reincontrarsi con la sua storia, riunire l’incrocio di razze che l’hanno popolato a seguito dell’immigrazione e riscoprire una propria personalità gastronomica del tutto nuova che oggi spopola tra i foodies di tutto il mondo. I suoi cuochi ne hanno stabilito il cammino, passo dopo passo, provenienti ciascuno dai propri paesi, dalle proprie terre. Hanno elaborato un percorso che viene dal passato ma tende ad essere un progetto verso il futuro. Questo percorso si riconosce in personaggi come Diego Oka e Gastón Acurio, o Daniela Soto-Innes e Enrique Olvera. La Signora, chef del ristorante newyorkese Cosme, è diventata la prima cuoca messicana ad essere eletta come migliore al mondo da “The 50 Best”. Allo stesso tempo, a soli 28 anni, risulta anche essere la più giovane ad avere ottenuto questo riconoscimento, ricevuto lo stesso giorno in cui si stava sposando con il suo compatriota Blaine Wetzel che lavorava a Washington. Per lei i valori personali sono molto presenti in tutto ciò che realizza. Di fatto, è stata sua nonna ad insegnarle i primi passi in cucina, lasciandole un’eredità fondamentale e una sorta di mantra: “La cucina è migliore se le ci si dedica con allegria e amore”. È talmente convinta di questa filosofia

da dedicare parte del suo tempo allo stato d’animo del suo personale di cucina, motivandolo quando lo vede giù di tono, mettendo musica e facendo esercizi con i suoi cuochi.

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IL MENU C’è qualcosa che brilla intorno a lei e la sua cucina splende per quel quid che si chiama, appunto, felicità. “Quando stai cucinando in un ristorante che ti chiede molto, a volte puoi essere molto stressata, - dice. Ma quello che lo fa funzionare sono proprio le persone che riescono ad avere ancora un sorriso anche con 10 - 12 ore al giorno di lavoro senza sosta. Vederli ballare e cantare a squarciagola mi rende orgogliosa di poter dare altrettanta felicità a qualcuno mentre fa il suo lavoro. Una carriera diventa qualcosa di piacevole solo se si accorda con la tua anima e questo è ciò che facciamo”. Quando Cosme è entrato per la prima volta nel radar dei migliori ristoranti

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GourmetFood

del mondo nel 2017, Daniela Soto-Innes era stata definita come la protetta di Enrique Olvera, lo chef che aveva aperto questo moderno ristorante messicano a New York nel 2014. Nel 2016, a soli 25 anni, aveva vinto il premio Rising Star dalla Fondazione James Beard. Tre anni dopo era stata selezionata nella categoria miglior chef dalla stessa fondazione insieme ad Alex Stupak, che afferma di “aver aperto la porta a questo tipo di cucina messicana a New York”. Soto-Innes segue solo le proprie regole: nella sua cucina, il personale non proviene necessariamente da una formazione “formale”, ma impara in loco tutte le abilità che servono. Non esiste una regola del silenzio: la sua è una cucina entusiasta. E il menu in sè non è per niente complicato, con piatti però che mettono l’accento sul sapore.

IL PASSO DOPO LA COCCARDA Dopo quattro anni nel ristorante, Soto-Innes si trova in pieno processo evolutivo. Lavora per ottenere concetti più semplici e sapori più puliti, adoperandosi al contrario di quanto ci si aspetta dalla cucina tipica messicana. La sua proposta non è semplicemente quella di una cucina messicana moderna impiantata negli Stati Uniti, ma qualcosa di unico: “come fosse un altro stato del Messico”. Nel piatto questo si traduce in soffiatelle di granchio, un “orrore stupendo” che si verifica quando la tortilla si gonfia durante la friggitura, e piatti leggeri e freschi come le vongole o le tostadas. E poi ci sono i classici che sono sempre stati nel menù fin dall’inizio, come il carnevale d’anatra e il suo dessert di meringa di buccia di mais. Mentre Soto-Innes si trova alla direzione della cucina del Cosme, nel 2017, insieme a suo marito Olvera, inaugura Atla, un ristorante informale aperto tutto il giorno, che offre eleganti classici messicani come le uova rancheros e le quesadillas nel distretto di NoHo di New York. Alla fine di quest’anno la coppia farà la sua prima incursione nella west coast, aprendo a Los Angeles due ristoranti contigui, Damian (che offrirà cibo messicano con influenze giapponesi) e Ditroit (un locale di tacos). Probabilmente entrambi i ristoranti proporranno un ambiente minimalista, disegnato da Alonso de Garay e sapori naturali, tipici della combinazione Soto-Innes-Olvera, anche se singolarmente manterranno una propria identità. Nonostante Daniela sia una persona gioviale e trovi sempre occasioni di divertimento nel lavoro, questo non toglie che sia una donna particolarmente attenta agli affari. Questa è la sua caratteristica di fondo, ossia la combinazione dei

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due estremi. È originale in molte delle sue scelta come ad esempio offrire opportunità di lavoro a cuochi immigranti dai 20 ai 65 anni, che, come lei stessa dice, “probabilmente starebbero conducendo taxi o starebbero a lavorare in qualche lavanderia”. Ciò che la alimenta è proprio l’affidare responsabilità al suo personale e il trattare ognuno con la dignità che si merita. Dice sempre che il fatto di essere giovane “è per lei qualcosa che va celebrato e qualcosa per cui chiedere scusa”. In un’industria dominata prevalentemente da uomini, dirige una cucina che è composta per due terzi da donne. Al momento di ricevere il suo premio, ha detto: “Sono cresciuta con una sfilza di donne intorno davvero forti e che amano cucinare. Quando sono nata mia madre era l’avvocato di mio padre, ma voleva essere chef perchè mia nonna aveva un panificio e la mia bisnonna era andata a scuola di cucina. Tutto girava attorno a chi aveva fatto la torta migliore, o il miglior mole (salsa densa a base di peperoni, frutta secca, spezie e cioccolato in cui viene cotta la carne, ndr ). Sapevo che era questo che mi faceva felice. Sono state queste personalità che mi hanno indirizzato alla cucina, le persone e le storie dietro a ciascuna di loro che ne svelavano i segreti e i motivi di ciò che stavano cucinando”.


DanielaSotoInnes

COSME

35 E 21st St, New York, NY 10010 Stati Uniti

Tel. +1 212-913-9659 www.cosmenyc.com

TOSTADAS DI CEVICHE DI CAPESANTE CON ISOPO E CILIEGE MACINATE INGREDIENTI per 4 persone

g. 20 di succo di lime

Per le capesante: bollire l’acqua e il sa-

4 tortillas ovali di mais rosso

12 ciliege, tagliate a metà

e lasciar raffreddare. Quando l’acqua è

Per le tostadas

(g. 20 ciascuna).

2 cucchiai di olio di semi d’uva,

1 pomodoro, tagliato a dadini sale, a piacere

per friggere

In tavola

Per le capesante

12 foglie di coriandolo

4 capesante per ogni tostada, a fettine g. 100 di sale

3 litri di acqua

20 di isopo

sale Maldon

1 peperoncino “serrano” (verde)

2 fettine di limoni, tagliate a metà

Per il ceviche

PREPARAZIONE

tagliate a pezzettini

asciugare la tortilla una notte. Una volta

g. 40 di cetriolo, fettine sottili g. 10 di cipolla rossa, fette fini, tagliate a julienne

g. 5 di gambi di coriandolo tritato g. 2 di zenzero

g. 15 di olio di oliva spremuto a freddo

Realizzare dapprima le tostadas. Lasciar ben asciutta, in una pentola riscaldare l’olio a 190°C, aggiungere la tostada e cuo-

cere fino a vedere delle bollicine. Togliere

dalla pentola e scolare su carta assorbente e condire con il sale Maldon.

le. Mescolare fino a far dissolvere il sale fredda, aggiungere le capesante e la sala-

moia per 10 minuti. Scolare le capesante e sciacquarle con acqua fredda. Collocarle

sopra una carta assorbente per asciugarle bene. Tagliare ogni capasanta in 6 pezzi.

Per il ceviche: mescolare tutti gli ingre-

dienti, condire con il sale, scolare il liquido e metterlo da parte. Al momento di servire in tavola, in una scodella, mescolare le

capesante con il liquido rimasto del cevi-

che. Porre le tostadas su carta assorbente, collocare le fettine di capasanta nella to-

stada e sopra cospargervi gli ingredienti del ceviche. Decorare con fettine di isopo,

coriandolo e peperoncino verde. Alla fine

aggiungere sale Maldon. Trasferire il tutto su un piatto con mezzo lime.

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GourmetFood Intervista a...

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XXXX XXX XXXXXX di

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UN’IMPRESA DI SUCCESSO:

SCOTT WIENER E I SUOI PIZZA TOURS A NEW YORK di

Lucy Gordan

Nato nel New Jersey suburbano vicino a New York, Scott Wiener non ha una goccia di sangue italiano. I suoi avi erano ebrei russi e polacchi. Nonostante ciò, fin da piccolo il suo piatto preferito è sempre stato la pizza. Poi, all’età di undici anni, dal 27 aprile 2008 per l’esattezza, questa specialità napoletana è diventata non soltanto il centro della sua dieta, ma anche la materia della sua professione. Guida quattro “pizza tours” a piedi in Manhattan e due a Brooklyn: nei quartieri di Williamsburg e Downtown. Ogni tour si ferma in tre pizzerie. Inoltre la domenica guida un bus tour a Manhattan e, a rotazione, in un altro quartiere di New York, fermandosi in quattro pizzerie a sua scelta tra le 58 che frequenta abitualmente. I suoi tours solitamente partono da “Lombardi’s” a Spring Street nel quartiere Soho di Manhattan. Fondata nel 1898 e diventata proprietà dell’immigrato napoletano Gennaro Lombardi nel 1908, “Lombardi’s” è la pizzeria più antica di New York.

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GourmetFood ScottWiener

La Madia ha partecipato ad un bus tour. Dopo un assaggio di pizza da “Lombardi’s”, abbiamo fatto delle degustazioni da “Patrizia’s” e “Best Pizza”, ambedue a Williamsburg, prima di fermarci da Kestè nel distretto finanziario di Manhattan, dove, oltre XXXXX a preparare la pizza, il proprietario Roberto Caporuscio (Presidente dell’Associazione dei Pizzaiuoli Napoletani in America) e xxxxxxxxxxx sua figlia Giorgia, organizzano corsi per diventare pizzaiuoli napoletani certificati. xxxxxxxxxxx Durante il tour Scott ci ha raccontato la storia della pizza sia napoletana sia newyorkese, le storie delle pizzerie incontrate sul nostro tour, i loro modelli diversi e la differenza tra una pizza cotta al forno a legna e una cotta al forno a carbone. Dopo il tour abbiamo intervistato Scott da “Lombardi’s”. Abbiamo parlato del suo amore per la pizza, dei suoi tours, della sua collezione di 1.480 scatole per consegnare la pizza a domicilio e della sua monografia, “Viva La Pizza: The Art of the Pizza Box”, pubblicato nel 2013.

L’NTERVISTA Le sue prime memorie sulla pizza? Probabilmente risalgono ai tempi della scuola elementare. Abitualmente il venerdì sera mamma e papà uscivano e ci lasciavano a casa con una babysitter. La pizza per noi era il cibo della liberazione, la liberazione dai nostri genitori. La mia memoria più incisiva di quei tempi risale a quando ho comprato del cibo per la prima volta con i miei soldi. Si trattava appunto della pizza. Non è dunque soltanto il mio ricordo della pizza, ma quello collegato alla mia indipendenza, alla mia crescita. Questo episodio, senz’altro, spiega perché amo ancora la pizza oggi. La pizza appartiene a chi la sta consumando in quel momento. Se pensi alla

cucina francese o italiana, pensi allo chef. Invece, per quanto riguarda la pizza, pensi “questo cibo è mio, fa parte di me.” Questa situazione è particolarmente valida per la pizza americana, perché qui ti danno la tua fetta di pizza e tu aggiungi diversi condimenti, quindi la pizza è tua, non appartiene più al pizzaiolo. Come sei arrivato ad organizzare i tuoi tours? Dopo il diploma alla High School ho iniziato subito a lavorare. Amo tantissimo lavorare. Il mio primo lavoro in assoluto è stato fare l’insegnante di sostegno in una scuola ebraica, poi il “bus boy” o “garzone” da “Chili”, una catena di Tex-Mex.

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Intervista a...

L’origine dei tours? Mi piaceva portare gli amici a mangiare la pizza a New York, Filadelfia, nel New Jersey. Ero solito dire: “Ho appena letto di tre pizzerie famose nel Bronx: prendiamo la mia macchina e andiamoci. Poi, tornando a casa, fermiamoci in quest’altra pizzeria a Brooklyn.” Da lì l’idea continuava a prendere piede. Poi è proprio decollata. Dopo un po’ non aveva più senso andare con la mia macchina, non conteneva abbastanza posti. Quindi affittavo uno scuolabus perché eravamo quasi sempre una trentina di persone. Un giorno un amico mi ha detto: ”Lascia perdere il tuo lavoro: i pizza tours sono la tua vocazione. Li devi fare tutti i giorni.” All’inizio l’ho preso come uno scherzo, poi, dopo un mese o due, un altro amico mi ha detto: “Scott, ho sentito che quel tour che tu hai fatto era molto divertente: io ed altri amici miei vorrebbero partecipare la prossima volta che lo fai.” Ho risposto: “Grazie, fammi capire se organizzare i tours professionalmente potrebbe essere fattibile.” Ero in alto mare. Non avevo mai fatto una cosa simile. Per fortuna ho scoperto che fondare un tour company non era così complicato come avevo temuto. Quindi

il 27 aprile 2008 ho guidato il mio primo pizza tour. Chi è stato il tuo mentore? Tony Muia. Lui è proprietario di un’azienda di nome “A Slice of Brooklyn”. Organizza tours a piedi in diversi quartieri di Brooklyn. I suoi tours visitano soltanto due pizzerie e lui parla soltanto della pizza a Brooklyn. Ha aggiunto anche dei tours di cioccolato a Brooklyn, ma io amo soltanto la pizza

e volevo limitarmi a delle pizzerie, ma non soltanto a Brooklyn. Volevo conoscere sempre più pizzerie e cambiarle ogni settimana. Tony mi ha aiutato a lanciare i miei tours. Mi ha presentato al suo assicuratore e al suo venditore di biglietti. Mi ha insegnato le basi di come amministrare la mia società. Qual è il tuo obiettivo? Rendere felici i partecipanti, ma anche incrementare il loro apprezzamento per la pizza, che è un cibo più complesso di quanto pensavano prima del tour. Abbiamo sentito parlare di te da Kenny Dunn, il fondatore di “Eating Europe”. Ha detto che, dopo aver partecipato ad un tuo tour, è stato ispirato ad iniziare i suoi. Adesso lui organizza food tours a Roma, Firenze, Parigi, Londra, Amsterdam, Haarlem, Praga e, di recente, a Lisbona; tu quanti tours organizzi? Hanno luogo tutti a New York? Non intendo espandere i miei tours ad altre città. Vorrei organizzare dei tours che funzionano in rapporto al mio stile di vita.

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ScottWiener

I tuoi tours frequentano quante pizzerie? Attualmente frequentiamo 58 pizzerie a rotazione. Loro non mi pagano per fare parte dei miei tour. L’unico scambio commerciale consiste nel fatto che io pago le pizze che i miei partecipanti consumano e lascio mance ai camerieri. Quanti tours fate ogni settimana? Da dieci a quindici. A piedi possiamo coordinare non più di 16 persone; sull’autobus 32. Conosco personalmente ognuna delle 58 pizzerie che frequentiamo.

visitato Roma, Firenze, Catania, Siracusa, Taormina, Palermo, Amalfi e Sorrento. Come vedi, è predominamente il sud, ma mai sulla costa adriatica. Non ho mai visto Venezia. A settembre torno in Italia, a Napoli, per fare il giudice in una competizione tra pizzaioli. Se ci fosse una richiesta seria, farei volentieri un pizza tour a Napoli una volta all’anno. Qual è la tua pizzeria preferita a Napoli, adesso? “Pellone”, ma mi piace tanto anche “50 Kalò” e “Concettina ai Tre Santi” dove Ciro Oliva fa il pizzaiolo.

Quante guide impieghi? Siamo in nove, tutti freelance o parttime. Alcuni hanno degli orari fissi; altri lavorano quando ho bisogno.

Preferisci la pizza napoletana a quella “romana”? Sì, ma non sono più stato a Roma dal 2011.

In questi undici anni quante persone hanno partecipato ai tuoi tours? Circa 70.000. Il 20% di loro torna per partecipare ad altri miei tours. Non conosco le cifre precise, ma quasi tutti i tours annoverano qualcuno che ha partecipato ad un altro tour.

Il tuo condimento preferito? Salsicce a New York; mozzarella, pomodoro e basilico a Napoli (Margherita).

Da dove vengono? Più o meno il 40% viene da qui vicino, l’area che noi chiamiamo “Tri-State”, cioè New York, New Jersey, e Connecticut. E dall’Italia? Sì, qualcuno. Come ti scoprono? Su internet o passaparola. Quante volte sei venuto in Italia? Vengo ogni due anni. Ovviamente vado quasi sempre a Napoli, anche se l’anno scorso ho visitato soltanto Parma. Durante i miei viaggi passati ho

Hai mai frequentato un corso per diventare pizzaiolo? Collaboro spesso con Roberto Caporuscio a Kestè e Enzo Coccia a Napoli, ma non ho mai completato un corso con tanto di certificato.

Quale bevanda preferisci insieme alla pizza? Dipende dal condimento. Per la pizza al taglio a New York preferisco la Coca Cola. Se nel condimento c’è della salsiccia, scelgo root beer o una specie di chinotto americano. A Napoli durante il giorno bevo della birra; la sera un vino frizzante. Come Massimo Bottura, tu dirigi un non-profit. Mi racconti di “Slice Out Hunger”? Lo scopo di “Slice Out Hunger” è di donare soldi ad organizzazioni che lottano contro la fame. Non abbiamo una sede. Organizziamo eventi di beneficienza e i profitti vengono donati, per esempio, a case protette per donne maltrattate o a cliniche pediatriche a Williamsburg.

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Giovani talenti

ANDREA DE CARLI ELISA ZANELLI MARCO COZZA A SALÃ’ CUCINA GIOVANE RICCA DI IDEE E PRIVA DI COMPROMESSI di

Antonietta Mazzeo Niko Boi

foto di

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TrattoriaAlleRose

L’

elemento distintivo e caratterizzante di questi giovani chef è la curiosità, la voglia di spingersi oltre. La loro è una cucina moderna, fresca, essenziale e curiosa, dove la tradizione locale incontra la passione per sapori esotici mescolati a prodotti di stagione, scelti con cura e abbinati con fantasia. Entrambi comaschi, classe 1991, Andrea De Carli e Marco Cozza, hanno frequentato la scuola alberghiera del Centro Studi Casnati di Como per poi proseguire insieme lo stage all’Albereta, da Gualtiero Marchesi. L’apprendistato si è trasformato poi in un percorso lavorativo durato circa cinque anni, dove hanno potuto accumulare esperienze attraverso il contatto diretto con i migliori maestri della cucina, partendo proprio dal fondatore della cosiddetta “nuova cucina italiana” purtroppo recentemente scomparso. A completare lo staff della cucina, Elisa Zanelli, vincitrice del concorso Emergente Pastry Chef al Sigep di Rimini 2019, dove ha messo in risalto

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Giovani talenti QUINTO QUARTO VEGETALE INGREDIENTI per 4 persone

g. 400 di gambi o scarti di broccoli e cavolfiori

circa 2 ore le fibre solide e le falde di cipolla.

ml. 20 di olio di nocciole

Cuocere i gambi dei broccoli e cavolfiori

g. 5 di cenere di cipolle bruciate

by, setacciare e condire con sale, pepe,

g. 2 di sale di Maldon

g. 10 di fibre secche di broccoli e cavolfiori

g. 10 di erbe selvatiche acide o amare PROCEDIMENTO

In forno cuocere le cipolle a 190°C per

40 minuti in modo che si brucino; una volta tolte dal forno, sfogliarle e stenderle su una placca.

Con l’aiuto di un estrattore, passare le foglie in modo da ottenere l’estratto liquido e quello solido.

Lasciare seccare in forno a 70°C per

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a vapore per circa 3 ore, frullare al Bim-

l’estratto delle foglie e l’olio di nocciola; formare un rotolo con la pellicola e congelare, per far mantenere la forma.

Togliere il rotolo dal congelatore, ta-

gliare dei cilindri di circa 4 centimetri, in

modo che ricordino un midollo di bue e, una volta tolta la pellicola, cuocerli in forno a 190°C per 4 minuti.

Una volta cotti, passarli ancora da caldi nella cenere di cipolle.

Servire a piacere con olio extravergine

Casaliva del Garda ed erbe selvatiche acide o amare.

un talento naturale davvero significativo e una preparazione, sia tecnica che culturale, del tutto encomiabile. Tanto, per una ragazza di soli 18 anni. Da febbraio 2016 Andrea e Marco sono gli chef patron del ristorante Alle Rose, situato nel centro del suggestivo borgo di Salò, in un paesaggio caratterizzato da parchi, giardini e ville, immerso tra agrumi, ulivi e oleandri: da oltre cento anni, una delle località turi-


TrattoriaAlleRose

stiche del Lago di Garda più apprezzate dal turismo internazionale. La passione e la cura per i dettagli di Andrea si unisce alla curiosità sfrenata di Marco, alla sua ricerca costante di sapori decisi, di punte acide e amare che ritrova talvolta nelle sue erbe aromatiche, “cavallo di battaglia” del ristorante; erbe frutti, radici e germogli freschi segnano infatti il carattere distintivo di molte preparazioni, tesori spontanei, spesso sconosciuti che si trovano sui monti “dietro casa”, prodotti eccezionali che, utilizzati con misura e sensibilità, si trasformano in preparazioni che arrivano dritte al punto, senza mezzi termini, proprio come loro tre.

CIOKKO INGREDIENTI per 4 persone

in una pentola e portare a 65°C in modo

ml. 150 di panna

Filtrare con una carta tessuto e conserva-

g. 125 di cioccolato fondente 70% g. 10 di glucosio

g. 15 di miele in favo

g. 20 di erbe selvatiche acide o amare Per il gelato alla camomilla g. 250 di latte

3 bustine camomilla liofilizzata

g. 8 di estratto di camomilla dei tintori

g. 8 di clorofilla di camomilla dei tintori g. 4 di latte in polvere g. 5 di destrosio g. 17 di panna

g. 21 di zucchero g. 2 di neutro TRATTORIA ALLE ROSE

Via Gasparo da Salò, 33 - 25087 Salò (BS) Tel. 0365 43220

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PROCEDIMENTO

Frullare a freddo la camomilla dei tintori con acqua e ghiaccio, versare il contenuto

da separare la clorofilla dall’acqua.

re la clorofilla solida. Rimettere sul fuo-

co l’acqua di scolo e portarla a riduzione completa. Nel Bimby versare il latte con le

polveri e la camomilla liofilizzata e portare a 70°C, poi aggiungere la panna e portare

a 80°C; infine aggiungere la clorofilla e l’estratto e versare il composto nell’apposito contenitore Pacojet e congelare.

A parte portare a ebollizione la panna con il glucosio e versarla bollente sopra il cioccolato fondente in 3 tempi.

Stampare negli appositi stampi e lasciare raffreddare, poi sformare.

Intanto seccare per circa 30 minuti le erbe in forno a 74°C.

Comporre il piatto con la tegola, le erbe spontanee secche sopra e il favo di miele. A parte servire il gelato.

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Giovani talenti

GLI CHEF INTERPRETANO

QUADRELLI CON AGNELLO E TIMO QUINTO QUARTO VEGETALE, ANIMELLE D’AGNELLO E RISTRETTO DI CARNE INGREDIENTI per 4 persone

PROCEDIMENTO

Divine Creazioni Surgital

ore, frullarli, setacciarli e condirli con sale, pepe e

16 Quadrelli con agnello e timo 4 animelle di agnello

g. 150 di gambi di broccoli ml. 50 di olio di semi

ml. 20 di olio di nocciole

g. 30 di pane secco grattugiato g. 30 di uovo intero

ml. 100 di ristretto di carne 12 foglie di acetosa

12 foglie di camomilla dei tintori 12 foglie secche di broccolo

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Cuocere i gambi dei broccoli a vapore per circa 3 olio di nocciola; formare un rotolo e congelare.

A parte impanare e friggere le animelle di vitello do-

po averle sbollentate in acqua e aceto per circa 5 minu-

ti. Cuocere i Quadrelli in abbondante acqua bollente sa-

lata. Nel frattempo ultimare la cottura del midollo vegetale e delle animelle fritte in forno.

Una volta cotti, scolare i Quadrelli e porli sul piatto con le animelle, il midollo vegetale e il ristretto di vitello. Rifinire con le erbe spontanee.


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Giovani talenti per

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Giovani talenti

BAULETTI CON FRIARIELLI E “CACIOCAVALLO SILANO DOP” PESTO DI RADICCHIELLA, FIORI DI ZAFFERANO E POMODORI CONFIT INGREDIENTI per 4 persone

16 Bauletti con friarielli e “Caciocavallo Silano DOP”

Divine Creazioni Surgital g. 10 di fiori di zafferano 12 pomodori confit g. 20 di burro

g. 100 di radicchiella g. 10 di pinoli tostati

g. 20 di parmigiano grattugiato

g. 40 di olio extravergine d’oliva del Garda 12 foglie di malva fresca PROCEDIMENTO

In un mortaio di marmo, pestare la radicchiella fresca con l’olio extravergine, i pinoli tostati e il parmigiano, fino ad ottenere una salsa liscia e ben amalgamata.

Cuocere in acqua bollente salata i Baulet-

ti, scolarli e saltarli in padella con una noce di burro. Disporre i Bauletti sul piatto, aggiungere il pesto di radicchiella, i fiori di

zafferano, i pomodori confit e le foglie di malva fresche.

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Giovani talenti per

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Giovani talenti

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Giovani talenti per

SCRIGNI RIPIENI AGLI SCAMPI LATTE FERMENTATO, CAVIALE, CIPOLLA BRUCIATA E FIORI DI CAMPO INGREDIENTI per 4 persone

PROCEDIMENTO

Divine Creazioni Surgital

no saraceno per circa 2 giorni, poi frullare

16 Scrigni ripieni agli scampi ml. 200 di latte

g. 50 di riso Vialone Nano g. 50 di grano saraceno g. 12 di caviale

g. 20 di polvere di cipolla bruciata 20 fiori di campo misti

Lasciare in ammollo in acqua il riso e il grail tutto e lasciare fermentare per circa 4

giorni, fino a quando il ph non raggiunga i 4 – 4,5 gradi di acidità.

A questo punto unire la pasta formata con

il latte, cuocere nel Bimby per 4 minuti a 80°C e fare raffreddare.

Bruciare la cipolla in forno per 2 ore a

180°C, poi lasciare raffreddare e frullare al cutter in modo da avere una polvere finissima.

Cuocere gli Scrigni in abbondante acqua

bollente salata, scolarli, impiattarli e spolverarli con la polvere di cipolla.

Comporre il piatto con gli Scrigni, aggiungere il latte fermentato e finire con il caviale e i fiori di campo primaverili.

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ilFocusdiAlessandroRossi

a cura di

Alessandro Rossi esperto di vino, bon vivant, fondatore del Premio “Dire Fare Sognare”

MA CHI È REALMENTE ROBERT PARKER? IL PIÙ GRANDE CRITICO ENOLOGICO DI TUTTI I TEMPI DECIDE DI USCIRE DI SCENA UNA VOLTA PER TUTTE Siamo nel 1982, è un’annata molto controversa a Bordeaux. Oggi quella vendemmia è considerata superba, contrariamente alle opinioni di molti critici che la definirono acida e matura troppo precipitosamente. Solo un critico, addirittura americano, scrive tutto il bene possibile tra lo stupore generale dei colleghi che ovviamente la pensano diversamente. Il suo nome è Robert Parker. Quella visione tutt’altro che azzardata fece balzare le quotazioni di Parker da un momento all’altro trasformandolo in un vero e proprio ago della bilancia per i prezzi di molti vini internazionali attraverso i suoi punteggi. Parker ha il merito di aver introdotto e divulgato il sistema di classificazione dei vini in centesimi. Il sistema classifica il vino su una scala da 50 a 100 punti, in base all’aspetto, al colore, all’aroma, al sapore oltre alle potenzialità di invecchiamento. Robert Parker jr. nasce a Baltimora nel Maryland il 23 luglio del 1947 e si laurea con ottimi risultati in giurisprudenza nel 1973. Per dieci anni e mezzo esercita la professione di avvocato diventando anche assistente e consigliere generale per le banche di credito agrario di Baltimora.

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ilFocusdiAlessandroRossi

Il 9 marzo 1984 è il giorno della svolta: decide di dimettersi di punto in bianco dallo studio per diventare uno scrittore di vino. Il suo interesse per il vino inizia nel lontano 1967, quando decide di trascorrere un mese intero all’estero durante le vacanze di natale in Alsazia e proprio qui il giovane Robert si accorge del proprio acume gustativo. Nel 1975, decide di abbozzare la sua prima idea di vino: una “guida del consumatore indipendente” ai vini francesi visto che in America non esistevano all’epoca ancora grandi punti di riferimento al riguardo. Parker non ha una formazione classica sul vino e sente il bisogno di una scrittura onesta e autentica, differente da quella che circola all’epoca. Crede che la critica sul vino sia troppo legata alla parte commerciale e vuole far conoscere le proprie idee enologiche scrivendo da consumatore indipendente e senza conflitti di interesse. Robert Parker inizia così a scrivere le sue prime recensioni; l’anno è il 1978. La prima edizione si chiama “The Wine Advocate Baltimore-Washington” e il primo numero è spedito gratuitamente a una serie di rivenditori di vino statunitensi; nessun consumatore privato. La rivista ha subito un grande successo e dopo le prime uscite gli abbonati crescono a dismisura, fino ad arrivare all’incredibile numero di 50.000 copie in poco tempo. I giudizi e le critiche enologiche di Robert Parker incominciarono ad influenzare pesantemente gli acquisti degli appassionati ma soprattutto dei buyers, non solo negli Stati Uniti, bensì in 37 paesi di tutto il mondo. Nel profilo di William Langewiesche su Robert Parker, “The Million Dollar Nose”, lo stesso Parker afferma di assaggiare 10.000 vini ogni anno e di ricordarsi ogni vino che ha assaggiato negli ultimi 30 anni. Come i grandi calciatori che assicurano gambe e piedi, o come i cantanti la voce, il naso e il palato di Parker vengono assicurati per 1 milione di dollari. Parker in fondo è un ragazzo semplice nato nel Meryland: poca eleganza e tante scarpe da ginnastica perché, come teorizzava lo psicologo William James, il nostro modo di vestire è influenzato da quello che siamo ma anche da quello che vorremmo essere. Ma per tutti arriva prima o poi il momento di ritirarsi dalla lotta, perché la sua vita è stata veramente una lotta e nel 2019, a 71 anni Bob, come lo chiamano gli amici, decide di appendere il bicchiere al chiodo, soprattutto per problemi fisici che lo hanno costretto a rallentare. E’ giunto il momento di godersi il vino della sua cantina,

sicuramente ben fornita, senza per forza criticarlo o punteggiarlo. Molti sostengono che Parker ami solo i grandi vini ma lui nega. “Non posso davvero lamentarmi di niente - dice - ma penso che le persone che cercano di dipingere una visione davvero semplicistica del mio palato, non leggono quello che faccio”. I critici di Parker da sempre affermano che il suo potere è esagerato per il suo gusto così mediocre. Si dice preferisca vini fruttati fortemente concentrati e che molti produttori di tutto il mondo si sentano obbligati ad accontentare il suo palato. Sciocchezze, dice lui: “I miei colleghi critici hanno un’idea completamente distorta. non sono il nemico della diversità, ma il più grande sostenitore”. Inoltre crede che la diversità dei vini oggi sia più grande di quanto non lo sia mai stata, ma non può fare a meno di riconoscere che molti vini negli ultimi anni hanno un approccio stilistico più omologato che in passato. Lui chiama questa corrente “imitare i vini” e sostiene che sono l’inevitabile sottoprodotto di un’industria di successo. Sostanzialmente questo è Robert Parker, il vero Parker: un uomo che si è fatto da solo, una ricetta perfetta destinata al successo, condita da una quantità non trascurabile di ego.

Giovani

Degustatori

“Spazio e voce alle nuove leve in cerca di gloria”

Vuoi raccontarci la tua storia? Inviala a: lamadia@lamadia.com La pubblicheremo sul sito www.lamadia.com

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Vinaria

CHAMPAGNE… ITALIANO? di

Mario Federzoni

Lo sapevate che anche noi, in Italia, abbiamo “la Champagne”? No? Bene, eccovi serviti: il paesino di Champagne dista 2,52 km dal comune di Verrayes, di cui esso fa parte, in provincia di Aosta, nella regione Valle d’Aosta. La frazione o località di Champagne sorge a 518 metri sul livello del mare. Vi risiedono 193 famiglie per un totale di quattrocentocinquantasei abitanti. Un insediamento importante è il “Caseificio Champagne” dove conferiscono il latte gli allevatori di Verrayes, Saint Denis e Chambave. Vi sono anche alcuni vigneti di piccole dimensioni, e chissà… forse i loro proprietari potrebbero chiamare “Vino di Champagne” il vino che ne traggono?! Che ne dite, sarebbe un gran bello scherzetto per i nostri amici francesi. Entrando a Champagne, il profumo del timo in fiore si fa sempre più forte, questa parte della Valle d’Aosta grazie al suo terreno particolare e all’esposizione garantisce a questa piccola pianta di proliferare e di svilupparsi praticamente ovunque. Dalla frazione di Champagne (dopo Nus e poco prima di Chambave), la strada si inerpica verso il comune capoluogo di Verrayes. Un chilometro appena, e una deviazione sulla destra porta a scoprire l’ennesimo angolo-sorpresa della Valle d’Aosta.
 Di qui passa la via Francigena, un percorso nato a mezza collina proprio per le condizioni che in tempi passati vedevano nella pianura, oggi verdeggiante, un territorio rischioso a causa delle numerose zone umide e soggetto a inondazioni della Dora. Chi non ha ancora avuto l’occasione di conoscere questa zona della Valle d’Aosta sarà piacevolmente sorpreso dello spettacolo di cui potrà godere già durante il tragitto che lo porterà a Champagne che si può raggiungere percorrendo la strada statale 26 e, perché no, una volta arrivati si potranno assaggiare i formaggi ed il vino della Champagne d’Italia.

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Vinaria

XXXX

XXXXX XXXXX di

Xxxxxxx

DALIS

ROSATO DAL TEROLDEGO di

Gianluca Ricci

Solo un maestro della vinificazione del Teroldego come Paolo Endrici - a cui si deve la produzione del celeberrimo Gran Masetto - avrebbe potuto ipotizzare la creazione di un rosè partendo da uve che nella notte dei tempi venivano raccolte, pigiate e spedite in tutta Italia per regalare un po’ di colore a vini mortarelli. C’è voluta però la quinta generazione della famiglia che dalla fine dell’Ottocento gestisce la cantina Endrizzi di San Michele all’Adige, nel cuore del Trentino, per concretizzare un progetto visionario come quello che ha aggiunto alla gamma dell’offerta dell’azienda di famiglia il nuovo Dalis. Dalis come Daniele e Lisa Maria, i due figli di Paolo Endrici che hanno trasformato i sogni del padre in una solida realtà. Da oggi esiste un rosato prodotto con uve Teroldego, quelle stesse che, lavorate in diverso modo, hanno fatto la fortuna dell’azienda trentina, oggi una delle più apprezzate nella produzione dell’autoctono per eccellenza, insieme al Marzemino, dell’ex terra asburgica. Le uve vengono raccolte dagli appezzamenti di Sorni e Faedo, nel cuore delle colline Avisiane fra i rinomati vigneti di Lavis, per poi essere immediatamente raffreddate a dieci gradi in cella, quindi vengono sottoposte a diraspatura e pigiatura soffici e fermentate in acciaio. Per dare vita al Dalis il Teroldego viene ingentilito con Sauvignon Blanc, lavorato secondo tradizione: profumi e gusti si sprigionano in gran quantità all’apertura, purché essa avvenga entro breve tempo dall’acquisto. Chi ci sente sambuco, chi pomodoro, chi lampone, dettagli parametrici che scompaiono davanti alla freschezza del gusto e all’originalità di un’operazione che fino a qualche anno fa sarebbe suonata oltraggiosa alle orecchie di qualsiasi vignaiolo trentino. E invece qualcosa si sta muovendo

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Dalis

anche in una terra tradizionale come quella, in cui la rincorsa alla spumantizzazione ha spesso tralasciato lo studio delle varietà più consolidate. Da Endrizzi la nuova generazione ha osato là dove non si pensava ci si potesse spingere, tanto che Dalis non è solo il rosato del Teroldego, ma anche bianco (una cuvée di Nosiola, Chardonnay e Sauvignon Blanc) e rosso (ovviamente Teroldego più Petit Verdot, Merlot, Cabernet Sauvignon e Sangiovese), profumatissimi strappi ad una regola che rischiava di inchiodare la vinificazione trentina alla perpetuazione di gesti e procedure un po’ ingessati. «Il progetto Dalis – ha raccontato Andrea Cristofori, responsabile della comunicazione dell’azienda – è stato fortemente perseguito da Lisa Maria e Daniele Endrici per offrire a un pubblico giovane, disimpegnato ma comunque educato al buon bere, vini di fantasia provenienti però da uve trentine, dal giusto prezzo e dalla grafica accattivante». Senza tenere conto delle scelte politiche fatte negli ultimi anni dall’azienda, che ha abbracciato senza mezzi termini la causa dell’ecosostenibilità fin dai lontani anni Novanta: niente diserbanti, dunque, e uccelli e confusione sessuale contro i potenziali insetti dannosi, ma anche interramento dell’area produttiva e ottimizzazione delle procedure di conferimento, oggi assai meno impattanti di qualche decennio fa. Certo, i movimenti dei consumi sui mercati hanno sicuramente contribuito ad accelerare alcune decisioni significative: il tentativo di lanciarsi nel variegato mondo dei rosati non può non essere stato ispirato dai dati raccolti da parte dei massimi esponenti del mondo della statistica enologica, secondo i quali il consumo di vino rosato nel mondo è aumentato dall’inizio del secolo ad oggi di oltre il 30%. Per non parlare del boom registrato negli ultimi anni dai rosé francesi che nel quinquennio appena trascorso

CANTINA ENDRIZZI Località Masetto, 2

38010 San Michele All’Adige (TN) Tel. 0461 662672 www.endrizzi.it

hanno aumentato le loro esportazioni verso gli Stati Uniti del 43%, anche se pure i rosati di casa nostra si sono battuti bene accumulando record di vendite su record di vendite, con percentuali tali da garantire nell’ultimo decennio un aumento di vendite da 3 a 114 milioni di euro. Numeri che la dicono lunga sulle potenzialità di un mercato che ancora pochi in Italia hanno provato a sfidare, se non aumentando le produzioni tradizionali. È vero che il mercato italiano fatica a reagire alla provocazione, limitando i consumi a livelli modesti se comparati a quelli dei principali competitor europei, ma nel mondo sta accadendo l’esatto contrario e l’aumento delle richieste si posiziona anno dopo anno su livelli a due cifre. Per fortuna c’è anche chi, come la famiglia Endrici, ha voluto mettersi alla prova arricchendo l’offerta con un prodotto in grado di garantirsi, per prezzo e qualità, una posizione. Forse sarebbe auspicabile che anche qualche altro coraggioso vignaiolo osasse lanciare il guanto di sfida: la nostra penisola è ricca di vitigni in grado di poter dar vita a vini rosati dotati del quid necessario per posizionarsi su un mercato che oggi mostra di voler accogliere benevolmente qualsiasi cosa sia in grado di

movimentarlo, purché qualitativamente irreprensibile. Il rosè, da moda estiva qual è ormai diventata, potrebbe consolidarsi in qualcosa di più e dare finalmente impulso alla nascita di quella quarta gamba, dopo rossi, bianchi e mossi, su cui il mondo del vino italiano potrebbe poggiare con maggiore equilibrio. I vitigni adatti al processo sono numerosissimi, per di più distribuiti in tutto lo Stivale: se c’è riuscito Endrici, a rendere rosa il rossissimo Teroldego, probabilmente qualche altro interessante esperimento potrebbe essere portato a termine in tempi utili per creare una massa critica in grado di insidiare su questo particolare versante la corazzata francese, che sui rosé è riuscita a costruire un fenomeno sempre più apprezzato. Da rosso a rosa, in fondo, il passo può essere davvero breve.

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Vinaria

ERBALUCE UN PIEMONTESE DI BUON CARATTERE di

Fabrizio Salce

È un antico vitigno del Piemonte, forse una variante del Fiano, portato in terra Sabauda dai romani che amavano chiamarlo luce dell’aurora (Alba Lux). Ma al contempo sono in molti a sostenere che sia un’uva originaria del canavese. Il suo alto livello di acidità e la fragranza la rendono decisamente bigarré, ottima per la produzione di spumanti, vini fermi e passiti. La zona di produzione ha il suo cuore nel comune di Caluso, in provincia di Torino. Stiamo parlando dell’Erbaluce, un’uva e un vino bianco tra i più gradevoli e fruttati della regione. Il suo gusto offre eleganti sentori di frutta, al naso i profumi di fieno e di fiori sono preponderanti, il colore varia dal giallo pallido del fermo al prezioso colore ambrato del passito. La versione bollicine è a tutto pasto, mentre il fermo sposa molto bene i fritti di pesce, le verdure, in particolare i carciofi e poi i funghi. Il passito è un vino da meditazione ma non delude con i formaggi erborinati e magari assaporando le calde note di un sigaro cubano. Contrariamente a quanto si possa pensare, il fermo non disdegna qualche anno di invecchiamento, anche se la freschezza la si apprezza meglio in gioventù. Andiamo a Caluso per una sana passeggiata tra i filari di Erbaluce con gli amici della Cantina Produttori di Erbaluce di Caluso. La cantina, nata nell’ormai lontano 1975 da un piccolo gruppo di viticoltori, annovera oggi circa 150 soci ed è operativa su quasi 40 ettari di vigneto. La sede è situata nei locali della vecchia scuola enologica Ubertini, oggi Istituto per i servizi per l’enogastronomia e l’ospitalità alberghiera. Non solo Erbaluce nei vigneti dei soci. Per la produzione del Canavese Rosso e del Rosé spumante metodo Martinotti anche

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Erbaluce

Barbera, Bonarda, Freisa, Neretto e Nebbiolo. L’Erbaluce regna sovrana e il suo vino fu il primo bianco piemontese a ottenere la DOC nel 1967 mentre la DOCG Erbaluce di Caluso è arrivata nel 2010. Per la restante produzione a denominazione Canavese la DOC è targata 1996. Varie sono le referenze della cantina a partire dal Caluso Spumante DOCG Goccia d’oro 36 con i suoi 36 mesi di affinamento sui lieviti, uno spumante morbido e cremoso strutturato e con lunga persistenza. Segue l’Erbaluce di Caluso DOCG Punto Zero di buona struttura, rotondo e avvolgente. Poi il Baiarda un altro Erbaluce di Caluso DOCG dall’equilibrato sapore che ricorda le spezie e la frutta matura. Troviamo altri due fermi, il Fiordighiaccio e L’Erbaluce, naturalmente entrambi DOCG ed Erbaluce in

purezza come gli altri vini appena menzionati. Il primo è morbido con sentori di ananas e banana, il secondo ha nella sua freschezza e nell’equilibrio il sapore dell’Erbaluce tradizionale. Il passito esprime tutte le note e le armonie di un vino da gustare nei momenti di grande relax. Passeggiando tra i filari in compagnia di Bartolomeo Merlo, presidente della cantina, e di Paolo Vercelli, enologo, salta piacevolmente agli occhi il sistema di allevamento decisamente esclusivo con la classica topia canavesana (pergola canavesana). Questi sono terreni di origine morenica mentre il tipico microclima della zona è stato ispiratore per la mano dell’uomo proprio nella tipologia di allevamento: l’altezza delle vite che arriva anche a due metri è un’ottima arma di difesa per le gelate più pericolose. Caluso produce un vino che nel tempo si è evoluto, è cresciuto, è maturato grazie alla costanza e al buon lavoro dei suoi interpreti e alla straordinaria versatilità delle sue uve.

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Vinaria di

Mario Federzoni

CRUS, CLOS, LIEUX-DITS E CLIMATS MA CHE VUOL DIRE? In vitivinicoltura, nel mondo, si usano svariati termini per indicare luoghi precisi, seppur nell’ambito di una stessa denominazione di origine, in cui crescono vigneti dai quali si traggono vini dalle caratteristiche uniche e di grande eccellenza. In Italia li definiamo con diversi sinonimi: Vigneto, Podere, Campo, Tenuta, Appezzamento, Tenimenti… Solo a livello locale, per tradizioni ataviche, abbiamo nomi che possiamo ritrovare in etichetta accanto alle varie d.o.c. o d.o.c.g., ad esempio Rive, Sorì, Bricco... Questi nomi generici (anche se, come detto, in etichetta sono spesso agganciati alle denominazioni dei vini) non vengono espressamente riconosciuti dai disciplinari. Ciò è un vero peccato, poiché la loro precisa funzione sarebbe quella di individua-

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Vinaria

re piccole e precise parcelle che, per esposizione, pendenza, altezza, approvvigionamento idrico, soleggiamento e terreni confinanti, abbiano una propria intrinseca personalità, che ceda alla vigna e, di conseguenza, ai vini che se ne traggono, caratteristiche uniche e costanti nel tempo, pur essendo parti di una grandi tenute o proprietà indivise. È in Borgogna che nasce, già nel medioevo, grazie ai monaci dell’Abazia di Citeaux, la prima classificazione delle parcelle in base alla qualità dei loro vini. Il termine Cru - che pare derivare dal verbo francese croître (crescere) - venne usato solo per indicare i vini migliori con due terminologie aggiuntive: Grand Cru e, scendendo di livello, Premiere Cru; dopo di che si arriva alle Appellations communales. Ma poiché anche queste due importanti terminologie non specificavano affatto le peculiarità intrinseche di quelle particolari parcelle cui si accennava prima, queste ultime in Borgogna vennero indicate col termone Climat.

Nell’ambito di una stessa denominazione Grand Cru possono esistere diversi Climat, ed ognuno di questi può avere caratteristiche particolari e diverse. Ancora in Borgogna troviamo spesso citato anche il termine Clos, che indica una vigna circondata da un muretto a secco, con l’ingresso spesso chiuso da un cancello su cui compare il nome del proprietario. Oggi i muretti dividono le varie proprietà, ma anticamente furono costruiti per impedire l’ingresso a tutti quegli animali, selvatici o anche a capre e maiali, che potevano danneggiare il vigneto. Il termine Clos è anche parte della denominazione di alcune proprietà classificate a livello di catasto agrario (Clos de Vougeot, Chambertin-Clos de Bèze, Clos de Tart, ecc.) In altre zone della Francia, come la valle del Rodano o, ultimamente, anche in Champagne, abbiamo l’uso di un altro termine, da non confondere col precedente poiché assai più generico: Lieu-dit. Il vocabolo è molto antico e risale, con tutta probabilità, al Medioevo, ma non è riferito esclusivamente ai vigneti, poiché, già allora, stava ad indicare semplicemen-

te una località, un pezzo di terra con un determinato nome derivato da una proprietà, o da una particolarità del luogo, tanto che nell’800, con la creazione del catasto agrario, il termine è rimasto immutato. I vari Lieux-dits viticoli, infatti, assumono spesso i nomi della composizione o della conformazione del suolo, dei proprietari o di un particolare fisico presente nell’appezzamento; fatto sta che nell’uso comune, spesso e volentieri, i due termini Lieu-dit e Climat vengno confusi tra loro e, molte volte, usati come sinonimi, nonostante vi siano tantissimi casi in cui a un certo Climat non corrisponde affatto lo stesso Lieu-dit, anche se indicato con lo stesso nome. A volte si verifica poi che un determinato Climat comprenda solo una piccola parte di un Lieu-dit, oppure averne maggiore estensione e inglobarlo interamente, o anche possederne più di uno, e viceversa.

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