La Madia Travelfood n. 347 - Gennaio/Febbraio 2021

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Mensile Sped. In Abb. Post. - Gruppo III° - 45% - Art.2 Comma 20/B Legge 662/96 - Fil. Forlì - Tassa Pagata - Taxe Perçue - Reg. Trib. Di Forlì N.653 - Del 14/6/84 - Dir. Resp. Elsa Mazzolini - La Madia Srl - Via Pacchioni, 365 - Cesena - Euro 6,00 - In caso di mancato recapito restituire al mittente che si impegna a pagare la relativa tassa

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ANNO XXXVI Gennaio/Febbraio 2021 - N. 347 - € 6,00 Direttore ELSA MAZZOLINI

E ORA CHE SUCCEDE?

LA NOSTRA INCHIESTA SUI CAMBIAMENTI NELLA RISTORAZIONE GIALLA E ARANCIONE

Il vino che sarà:

le cantine rispondono

LA MADIA EDITORE


GourmetFood

CHI RIAPRE E COME TRA IL GIALLO E L’ARANCIONE

CASA SGARRA A TRANI

42 AL PAPPAGALLO A BOLOGNA

SALA DEI GRAPPOLI A MONTALCINO KITCHEN A COMO

54 Inchieste

46

di

62

Alessandra Meldolesi

E ORA CHE SUCCEDE? LA NOSTRA INCHIESTA SUI CAMBIAMENTI NELLA RISTORAZIONE GIALLA E ARANCIONE

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Effetto Covid: cosa cambia per Lorenzo Cogo, Alessandro Dal Degan, Giuseppe Iannotti, Matias Perdomo, Matteo Rizzo, Filippo La Mantia, Nikita Sergeev, Yoji Tokuyoshi


SOMMARIO

La Madia Travelfood n. 347 - Gennaio/Febbraio 2021

Editoriale

ilmenuengineering

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Cura detox nella ristorazione

Riapriamo?

di Elsa Mazzolini

di Lorenzo Ferrari

laculturadelbenessere

Golavagando

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di Primo Vercilli

A Copenaghen POPL è il figlio pop del Noma

lasceltavegana

assaggiodilibri

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Alcol sì, alcol no?

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Weganool di Silvia Bianco

a cura di Giorgia Zucchi

Vinaria

evoOlioExtraVergine

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L’olio è afrodisiaco di Antonietta Mazzeo

Nel mondo del vino il talento non è tutto, serve il professionista

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di Alessandro Rossi

OpereDolci

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Gomma Xantana di Marcella Orsi

Vinaria

Il Grignolino con Muletta e Grissa

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di Fabrizio Salce

InSala

Tutti d’accordo: la sala va rivalutata

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di Piero Pompili

Vinaria

di

Roger Sesto

IL VINO CHE SARÀ UN 2020 DRAMMATICO MA FORMATIVO, DAGLI ETEROGENEI EFFETTI SULLE CANTINE

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Argiolas, Antinori, Cantina Terlano, Cantine Colossi, Cataldi Madonna, Elena Fucci, Fiorini, Il Marroneto, Librandi, Lungarotti, Marchesi di Barolo, Marisa Cuomo, Maso Martis, Umani Ronchi, Venica & Venica, Villa Bucci 3


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Editoriale di

Elsa Mazzolini

CURA DETOX NELLA RISTORAZIONE

Inutile negare che il vasto settore agroalimentare, enogastronomico e turistico ha subito e subirà contraccolpi devastanti. La ristrutturazione dell’intero comparto, quando possibile – al netto del gran numero di chiusure ancora in corso – dovrà tenere conto di ogni segnale economico, sociale e, finalmente, anche ambientale. Parlare oggi di una “ripresa” di stili di vita e di consumi quasi “normali” potrebbe sembrare una sorta di distorsione semantica, eppure i prodromi di orientamenti plausibili si possono già individuare e interpretare. Per esempio, in parziale collegamento con lo smart working ( che tuttavia non può sostituirsi a lungo e in toto al lavoro in presenza, che proprio nello scambio interpersonale diretto favorisce la produttività) si sta registrando un consistente esodo dalle città verso la campagna o i piccoli borghi, sollecitato anche dalla volontà di vivere e far vivere ai propri figli un’ esistenza più sostenibile. Finora la fuga dai grandi centri urbani ha coinvolto oltre 250.000 residenti, ma sembra che il fenomeno sia in costante aumento. Dunque buona parte della ristorazione deve fare i conti con una evidente diminuzione di pranzi di lavoro, di convivi familiari o amicali e forse di buona parte dello svago enogastronomico fuori casa, colpevole anche una contrazione delle possibilità di spesa di una parte della popolazione. Paradossalmente persino delivery e meal kit – ossia gli “espedienti” utilizzati dai ristoratori per fornire comfort food ai propri clienti nella fase di chiusura dei ristoranti e ora divenuti nuovi format definitivi – hanno contribuito a creare l’abitudine a consumare i pasti, anche importanti, tra le mura domestiche. Inoltre l’aumentata possibilità di acquistare online cibo e vino di ogni tipo ha indotto molta gente a pensare che, forse, la casa è un posto comodo dove coltivare le proprie passioni alimentari. Ma tra gli indicatori e le avvisaglie di cambiamenti forse permanenti dei nostri costumi, mi ha incuriosito una tendenza apparentemente poco affine al nostro settore. È definita detox make up l’attuale propensione femminile di semplificare la propria vita anche in modo esteticamente più naturale, non truccandosi o facendolo in maniera appena percettibile. Questo dilagante “movimento di liberazione” a cui si è aggiunta la tendenza del “granny hair” (tenere i capelli grigi) è il sintomo di un’esigenza di autenticità che sta permeando l’esistenza di molte persone, in buona parte refrattarie a quella cultura dell’apparenza e dell’apparire oggi eticamente anacronistica. Ecco perché sono convinta che i nostri chef più sensibili a captare i vari segnali dovranno cogliere la necessità di cambiamento che la pandemia ha evidenziato, privilegiando l’accessibilità nel nome di una condivisione più universale e meno elitaria, e gestendo la condivisione stessa con un approccio più accogliente e meno ieratico. Dal buio di questa pandemia occorre uscire insieme. La ristorazione potrà offrire il suo contributo all’inevitabile processo di rinnovamento se, nelle attuali fasi di faticosa ricostruzione del nostro tessuto socio economico, saprà offrire un nuovo patrimonio di contenuti, affidabilità e concretezza. Ai lustrini penseremo poi….

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laculturadelbenessere

a cura di

Primo Vercilli Medico Dietologo

ALCOL SÌ, ALCOL NO?

GLI EFFETTI DELL’ ALCOL SUL NOSTRO ORGANISMO In clima di festività, anche se limitati dalle restrizioni imposte dalla pandemia COVID-19, quanti di noi hanno comunque avuto un po’ più di indulgenza nei confronti di un cocktail in più o un buon bicchiere di vino o di un rinfrescante boccale di birra? Credo in tanti: l’alcol è un piacere, una coccola, un mezzo di socializzazione e non è quindi un caso che spesso rappresenti l’elemento culminante di una giornata. Se è andato tutto storto mi coccolo e se è andato tutto bene festeggio! Ma, al di là della capacità che ha l’alcol di farci “stare bene”, di accompagnarci nei diversi momenti della giornata, direi che è più che lecito chiederci se questa compagnia è qualcosa di veramente buono per noi. E questa domanda me la pongo (e ve la pongo) come medico in assoluto amante del vino e di diverse altre bevande alcoliche. Ma la risposta che leggerete nelle prossime righe è proprio il motivo che, pur da amante passionale e appassionato, ogni giorno mi permette di avere un atteggiamento più rivolto all’astinenza che al consumo. Credo che il lavoro serio e onesto di un medico sia quello di dire, purtroppo, come stanno le cose, informando e mettendo in guardia le persone (a costo di essere impopolare), lasciando poi alle stesse persone la libertà di agire secondo la propria responsabilità. Da medico, intanto, vi dico che sono contro uno slogan come “bevi responsabilmente” perché è quanto di più ambiguo ci sia e tutto fa, meno che darci elementi per essere responsabili! Si è veramente responsabili solo se si conosce effettivamente la conseguenza di ciò che si fa. Purtroppo le informazioni sull’alcol non sono così evidenti, a livello mediatico, tali da farci immediatamente capire quali sono le conseguenze del suo consumo. Secondo l’Organizzazione mondiale della sanità, nei paesi industrializzati l’alcol rappresenta il 2% delle cause di mortalità nel suo complesso. Un dato significativo è quello legato agli anni di vita persi: l’alcol incide fino al 10% di anni di vita persi (contro il 2% delle droghe!). La limitazione, o meglio il divieto di alcolici, rappresenta uno dei 12 punti cardine del Codice Europeo contro il Cancro. Proprio in questo Codice si legge “L’alcol è la causa di diversi tipi di cancro (bocca, esofago, gola, fegato, intestino crasso e seno). Le cause possono essere diverse: l’alcol viene metabolizzato nel nostro corpo in sostanze cancerogene, danneggia le cellule epatiche e può aumentare i livelli di alcuni ormoni come gli estrogeni, che a loro volta possono aumentare il rischio di cancro al seno. È quindi importante limitare, o meglio ancora evitare del tutto, il consumo di bevande alcoliche.” L’Istituto Superiore della Sanità ci spiega, nel portale Epicentro, come crescano le evidenze del nesso causale tra il consumo di bevande alcoliche e alcuni tipi di cancro, come quelli al seno e al colon-retto,

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laculturadelbenessere

il cui numero potrebbe essere sostanzialmente ridotto con efficaci politiche di prevenzione e sensibilizzazione dei consumatori. Secondo l’OMS l’11% dei casi di cancro legati all’alcol sono associati a consumi moderati. Man mano che aumentano le quantità consumate, poi, aumenta anche il rischio, che cresce ulteriormente se alle bevande alcoliche si aggiunge il fumo di tabacco. Secondo l’Oms, chi beve e fuma ha un rischio 30 volte più alto di sviluppare tumori del cavo orale, dell’orofaringe, della laringe e dell’esofago. Certamente l’aumentato rischio tumorale è la conseguenza più grave del consumo cronico di alcol. Ma ci sono molte altre conseguenze! L’assunzione di alcol interferisce con la concentrazione e con le performance cognitive perché altera il metabolismo di un neurotrasmettitore fondamentale: la noradrenalina. Secondo recenti studi, ciò che viene compromesso è l’azione della noradrenalina su specifiche cellule nervose, nelle zone del cervello deputate alla vigilanza e alla concentrazione, in particolare, in alcune aree della corteccia e del cervelletto. Ma non è tutto: un ulteriore studio associa il consumo significativo al rischio di eventi cardiovascolari gravi in chi soffre di fibrillazione. Più di 9 mila soggetti con Fibrillazione Atriale (una particolare forma di aritmia cardiaca) sono stati classificati in quattro gruppi in base alla quantità di consumo di alcol: astemi-raro, leggero (<100 g / settimana), moderato (100-200 g / settimana) e pesante (≥200 g / settimana). I dati sugli eventi avversi (ictus ischemico, attacco ischemico transitorio, infarto) sono stati raccolti per 1-2 anni. Inequivocabilmente si è visto che il consumo pesante di alcol aumenta il rischio di eventi avversi nei pazienti con Fibrillazione

Atriale, mentre il consumo di alcol leggero o moderato non lo fa. L’utilizzo di alcol porta poi al rilascio di diverse sostanze di tipo infiammatorio, provoca diverse alterazioni metaboliche (tra cui ipoglicemia, aumento di trigliceridi nel sangue), accumulo di sostanze tossiche nel fegato, favorisce l’osteoporosi e la gastrite e, per finire, porta diversi tipi di alterazioni ormonali. Direi che, a questo punto, vi ho talmente depressi che andrete subito a stappare una bottiglia per tirarvi su! Ma allora, da tutto questo, può venir fuori un messaggio positivo? Possiamo o no concederci il piacere dell’alcol? C’è veramente un modo di bere responsabilmente? Intanto, bere responsabilmente significa avere una misura precisa nel farlo e questa misura implica due aspetti: a) possibilmente non bere tutti i giorni b) stare sotto i 60 grammi di alcol alla settimana. Ma come, così pochi? Attenti, 60 grammi di alcol a settimana non sono poi così pochi: equivalgono a 5 bicchieri di vino da 13 gradi! Eh sì, perché quando voi bevete 100 grammi di vino non bevete 100 grammi di alcol. Per capire quanti grammi di alcol sono contenuti nella vostra bevanda dovete fare questa semplice operazione, a partire dalla gradazione alcolica della bevanda: (quantità di bevanda) x (gradi alcolici/100) x 0,79. Per esempio, se vogliamo bere un bicchiere da 100 ml di un vino da 13 gradi, avremo: 100 x 0,13 x 0,79 = 10,27, che sono i grammi di alcol che abbiamo consumato. Ecco, quindi, trovata la formula per bere responsabilmente, facendo in modo che il bere sia un piacere, un’apertura ad una affascinante cultura, un’esperienza sensoriale appagante, senza che la nostra salute ci rimetta! Cin Cin!

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lasceltavegana

a cura di

Silvia Bianco testimonial di cucina vegana

WEGANOOL

L’ALTERNATIVA SOSTENIBILE ALLA LANA

Weganool è l’alternativa vegana alla lana, che promette sostenibilità in ogni fase del suo ciclo di vita, dalla produzione e lavorazione, allo smaltimento finale. Weganool è un marchio registrato della società indiana Faborg ed è stato presentato in anteprima mondiale alla Future Fabrics Expo 2020 di Londra, la più grande vetrina mondiale di materiali sostenibili che proprio durante l’Expo ha mostrato particolare interesse al tavolo dell’Innovazione.

ORIGINI ANTICHE E PRESTIGIOSE Weganool nasce da un’erbaccia selvatica che prospera in maniera spontanea nelle terre aride dell’Asia Meridionale. Calotropis Gigantea e Calotropis Procera è il nome botanico di queste erbe (noto anche come Bowstring Hemp) che crescono in abbondanza nel sud dell’India, vicino Auroville, nella parte più arida del paese dove l’azienda Faborg ha sede. In realtà l’utilizzo delle fibre di questa pianta risale all’antichità, quando si realizzavano abiti per nobili e bambini. Testimonianze confermano che già nell’era della caccia, le prime corde degli archi furono realizzate con questa fibra che grazie alla sua resistenza all’acqua salata, fu successivamente impiegata dall’uomo anche per la realizzazione di forti reti da pesca. La scoperta sugli usi di queste fibre così solide assunse un ruolo decisivo nell’evoluzione della specie umana e, nonostante la Calotropis sia stata dimenticata dalla maggioranza, viene ancora impiegata per realizzare tradizionali cinture antimicrobiche per neonati da alcune famiglie indiane. Nella cultura Hindu, i fiori di Arka (Calotropis) vengono offerti in dono in ghirlande a Shiva e Ganesha e la medicina ayurvedica utilizza la pianta per le sue proprietà medicinali, soprattutto per il trattamento dei disturbi dell’apparato digestivo. L’antica Ayurveda suggerisce le foglie di Arka per curare costipazione, ulcere gastriche, crampi addominali oltre a febbre, mal di denti, lebbra e vari disturbi della pelle. Le foglie di Arka sono apprezzate per le proprietà analgesiche, antidiabetiche, antimalariche ed epatoprotettive. Per queste ancestrali e preziose origini, il fiore della Calotropis rappresenta uno dei principali fiori del giardino “The Mother’s garden” nella cittadina di Auroville, sede di Faborg e rappresenta il coraggio “...come forza che dona forza, come la fiamma di una candela che può accenderne un’altra...” (- Mirra Alfassa)

WEGANOOL: LE CARATTERISTICHE TECNICHE Gowri Shankar, il fondatore di Faborg, è nato e cresciuto in una comunità di tessitori del Devanga, area dell’India famosa nell’arte della produzione di tessuti. Dopo aver lasciato l’azienda di famiglia alla ricerca di nuove sfide nell’alta moda, iniziò a riscuotere successo come freelancer acquisendo clienti esclusivi.

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lasceltavegana

Un giorno, guardando una pianta di Calotropis fuori dalla finestra del suo ufficio, osservò che c’erano sempre tanti uccelli nettarini attorno a questa pianta: curioso, scoprì che questi animali utilizzano la Calotropis per costruire resistenti e caldi nidi a forma di goccia, appesi ai rami. Da qui ebbe l’intuizione e, nel giro di cinque mesi, il primo prototipo di Weganool era pronto. Le peculiarità della pianta Calotropis sono interessanti per un utilizzo a favore dell’ambiente: non necessita di acqua, cure e pesticidi per la crescita; ravviva la biodiversità e l’ecosistema consentendo una ricrescita della copertura forestale; come pianta perenne, non necessita di essere reimpiantata né di irrigazioni; cresce rapidamente in 6 mesi dopo la raccolta, garantendo due raccolti annui; è un antico fertilizzante, fungicida e repellente per i parassiti. Inoltre le fibre della Calotropis hanno una qualità unica nella struttura, costituita da una cellulosa cava molto simile alle fibre proteiche cave della lana di Alpaca: si distinguono le fibre del baccello che sono estremamente morbide, leggere e brillanti. I tessuti realizzati con esse donano una sensazione di regale morbidezza, proprio come quella del cashmere, perfetti per un abbigliamento leggero, di transizione tra le stagioni e caldo. Le fibre dello stelo sono anch’esse cave, ma molto resistenti, quasi impossibili da rompere a mani nude, ideali per la creazione di abiti, interni e tappezzerie durevoli. Grazie alla cavità delle fibre, si creano sacche d’aria all’interno del tessuto, rendendolo leggero e apportando proprietà di termoregolazione. Per ottenere il filato Weganool, viene utilizzato il 70% di cotone organico da irrigazione pluviale e il 30% di fibre dalla Calotropis; il filato viene poi affinato sino a 30 secondi ed infine personalizzato per ottenere un’ampia varietà di tessuti, come semplici maglie a trame di Jacquard di alta gamma.

MATERIALI SCIENTIFICAMENTE TESTATI La South Indian Textile Research Association (SITRA) ha effettuato diversi test sulla cavità delle fibre, sulla loro capacità di trattenere umidità e test citologici che garantiscono la sicurezza per l’uso umano, confermando le proprietà antimicrobiche contro le più comuni malattie della pelle create dai batteri dello stafilococco. Le ricerche sui tessuti garantiscono non solo la non tossicità all’utilizzo del prodotto finale, ma anche che la stessa fase di estrazione delle fibre non è pericolosa per l’operatore che la esegue, attuando procedure per evitare che la linfa delle fibre venga ingerita. Le fibre dello stelo sono quelle deputate al trasporto della linfa per nutrire i baccelli e le foglie; è una linfa acida, da secoli usata nell’Ayurveda per la cura di diverse malattie, ma che risulta tossica se consumata in grandi quantità.

​TINTURE CON COLORANTI NATURALI Oggi l’industria tessile è una delle industrie più inquinanti al mondo, principalmente a causa dei coloranti chimici che vengono riversati nelle acque e nella terra, con un impatto fortemente negativo sull’ecosistema. Fino alla fine del XIX secolo, i coloranti utilizzati per la tintura erano a base vegetale come l’indaco, il kadukkai, la robbia e divennero merci commerciali estremamente importanti nelle economie dell’Asia e dell’Europa. Sin dall’antichità l’uomo provvedeva a tingere i tessuti utilizzando questi materiali per lo più di uso comune e disponibili localmente, ottenendo colori brillanti e persistenti da piante, minerali, radici, bacche, cortecce, foglie, semi e legno. L’antico rituale di tintura prevedeva l’estrazione del colore aggiungendo il materiale colorante prescelto in una pentola d’acqua calda, procedendo con la bollitura sino a completa estrazione del colore. Dopodiché i tessuti venivano inseriti nella medesima pentola calda e mescolati continuamente fino a trasferire il colore sulle stoffe. La tintoria “Natural Dye House” dell’azienda Faborg unisce le antiche tradizioni di tintura alla moderna ricerca scientifica, selezionando materiali vegetali naturali e medicinali utilizzati anche nelle pratiche ayurvediche come l’indaco, il kadukkai, la robbia, l’annatto, il melograno: il ferro, l’alcanna e tanti altri ancora, perseguendo l’obiettivo di mantenere il processo di tintura e di fissazione del colore sostenibile al 100%. Adottando materie prime adeguate, si ottiene una lavorazione completamente ecologica, i cui residui sono biodegradabili al 100% e possono essere riutilizzati come compost.

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REPELLENTE ARKA: ZERO SPRECHI ED ECONOMIA CIRCOLARE PER ESSERE PARTE DEL CAMBIAMENTO Centinaia di anni fa non esistevano né fertilizzanti petrolchimici né pesticidi e la loro funzione veniva assolta dalla Calotropis, molto apprezzata ed ampiamente utilizzata dagli agricoltori di tutta l’India. Questo requisito incuriosì molto Gowri Shankar, il quale ha ideato un fertilizzante e un repellente per insetti, denominato ARKA. Il repellente viene ottenuto dagli scarti dell’estrazione delle fibre della stessa Calotropis, i residui vengono poi concentrati e fermentati ed uniti a diverse erbe ayurvediche, ottenendo un fertilizzante liquido e un potente repellente per insetti, naturale al 100% ed altamente nutriente. Questo fertilizzante consente agli agricoltori biologici locali di massimizzare la loro resa migliorando l’immunità, nonché la divisione cellulare delle piante, arricchendo notevolmente la struttura del suolo e stimolando la crescita di organismi benefici nel terreno. ARKA è ricco di micronutrienti facilmente assorbibili dalle piante e, oltre a fornire macronutrienti, contiene anche diversi microelementi e oligoelementi tra cui calcio, zolfo, ferro, boro e magnesio e tanti altri. La presenza naturale di alcaloidi uccide le larve di zanzara e aiuta nella gestione di parassiti (come zanzare e zecche), termiti, nematodi e malattie delle colture. ARKA si rivela quindi una soluzione biologica multiuso non solo; in agricoltura, ma anche nel settore Horeca dove hotel, ristoranti, resort lo acquistano come repellente per le zanzare, ma non solo, alcune cittadine come Kottakuppam Panchayat, che si trova sulla costa a sud est dell’India, utilizzano con successo il repellente contro le zanzare per disinfettare tutta l’area. Dall’inizio della sua commercializzazione nel settembre 2019, Arka è stato testato con ottimi risultati su varie colture come pomodori, melanzane, anguria, melone, banana, albero di cocco, anacardi mango, jack-frutta, limone, papaia, ananas, zucca, lenticchie nere e diverse varietà di cucurbitacee.

U ​ N AIUTO PER LE DONNE E LE ECONOMIE RURALI La produzione di Weganool aiuta l’economia rurale delle zone aride del paese, dove purtroppo non c’è garanzia di lavoro. Si tratta di un prodotto artigianale: le abili donne di queste aree lavorano a mano le fibre con cura e dedizione, creando un prodotto unico e di qualità, che al contempo dona potere alla donna ed aiuta le economie rurali indiane. IL TESSUTO CHE CREA UN IMPATTO POSITIVO NEL MONDO Prima di Weganool, diversi marchi hanno sviluppato filati per imitare consistenza e termoregolazione della lana utilizzando poliestere ed acrilico, ma la principale differenza tra questi tessuti sintetici e Weganool è che quest’ultimo è interamente a

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base vegetale: zero rifiuti, 100% ecologico ed aiuta le comunità rurali in India. Scegliere Weganool mostra una possibilità di riduzione dello sfruttamento animale che è implicato nella produzione della lana e quindi va contro gli allevamenti intensivi e contro il devastante inquinamento creato sia dalla stessa industria agroalimentare, sia dall’industria tessile. La produzione di questo tessuto ha un impatto altamente positivo, dalla lavorazione sino all’utilizzo finale del prodotto, aderendo perfettamente ai principi C2C (Cradle to Cradle) per la biodegradazione, il commercio equo e solidale ed il cruelty free. Un vero e proprio approccio olistico che progetta sistemi tenendo in considerazione gli aspetti economici, industriali e sociali, trasformando i processi produttivi, creando sistemi efficienti con elementi naturali che sono in grado di rigenerarsi e che riducono gli scarti al minimo. Difatti le schede tecniche di produzione della lana vegetale mostrano che per produrre 1 kg di Weganool con 70% di cotone organico da irrigazione pluviale si risparmiano 27.000 litri di acqua potabile pulita rispetto alla produzione del filato con cotone 100%.

WEGANOOL ALLA CONQUISTA DELLA MODA A fine Novembre 2020, a Los Angeles, è stata inaugurata la prima Vegan Fashion Library al mondo, piattaforma per la moda etica con la presentazione di una serie di capi di abbigliamento e accessori firmati in lana di derivazione vegetale, ma

anche seta vegana e pelle vegana. Un lancio importante che dimostra ancora una volta che la ricerca di alternative ai tessuti di origine animale sta prendendo sempre più piede. Gowri Shankar ha affermato in una intervista che, durante la pandemia, le richieste pervenute sono aumentate di quasi il 400%. Ad esempio, molte comunità di agricoltori in Brasile si sono messe in contatto con lui sia per l’utilizzo di Weganool sia per il repellente naturale Arka. Il modello – spiega Gowri Shankar – può essere replicato ovunque lungo la cintura equatoriale, dove c’è molta luce solare. Il tessuto Weganool sta guadagnando una crescente attenzione in Europa, Australia ed Americhe non solo da parte di marchi che promuovono la sostenibilità, ma anche da rinomati produttori di lana che sono alla ricerca di alternative per soddisfare le esigenze di un crescente mercato con consumatori sempre più consapevoli. Tra i marchi noti troviamo H&M, Marc O’Polo, Hugo Boss e Louis Vuitton che sono in trattativa per sviluppare delle collezioni con Weganool. Attualmente il primo brand al mondo ad utilizzare Weganool è Infantium Victoria, nota azienda tedesca di abbigliamento etico per bambini con la collezione autunno/ inverno 2021, che ha scelto Weganool proprio perché la lana vegana ha proprietà antimicrobiche ed è particolarmente indicata per pelli delicate come quelle dei bambini e per chi soffre di allergie.

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OlioExtraVergine

a cura di

Antonietta Mazzeo Tecnico ed Esperto degli Oli d’Oliva Vergini ed Extravergini

L’OLIO È AFRODISIACO VI SPIEGHIAMO IL PERCHÉ...

Profumato, gustoso, alleato del cuore e della salute, l’olio extravergine di oliva è il grasso più usato nella dieta mediterranea. Studi clinici ed epidemiologici hanno certificato le qualità nutrizionali di questo alimento, considerato il più appropriato all’alimentazione umana tra tutti i grassi alimentari. Una supremazia che deriva da una verità molto semplice: l’extravergine è l’unico olio ad essere prodotto solamente “spremendo le olive”, senza l’ausilio di solventi chimici o di altri interventi industriali, come succede invece per altri oli o grassi vegetali. L’olio extravergine di oliva è rimasto negli anni un prodotto genuino e naturale, una spremuta di olive che trasferisce all’olio tutte le sostanze preziose contenute nella materia prima. Consumatori sempre più informati e consapevoli ben conoscono i benefici legati all’olio d’oliva e all’extravergine, dall’alimentazione al mondo del benessere e dell’estetica. Ciò di cui invece pochi sono al corrente sono i poteri afrodisiaci dell’olio extravergine di oliva: uno stimolante naturale, privo di controindicazioni, capace di favorire la circolazione sanguigna se usato nell’alimentazione quotidiana. La vitamina E, di cui’olio extravergine di oliva è particolarmente ricco, agisce aumentando la produzione di testosterone, comunicando all’organismo una condizione favorevole per l’attivazione dei sistemi riproduttivi. Uno studio condotto da un gruppo di scienziati dell’Università di Atene, su 660 uomini con un’età media di 67 anni e presentato al Congresso dell’European Society of Cardiology (ESC) a Monaco di Baviera, ha rilevato che coloro che adottano una dieta mediterranea ricca di frutta e verdura, legumi, pesce, consumando una dose settimanale pari a 9 cucchiai di olio extravergine d’oliva, hanno una circolazione migliore e registrano un rilevante aumento dei livelli di testosterone, riducendo il rischio di disfunzione erettile del 40%, persino con un miglioramento delle loro performance. La dieta e l’esercizio fisico proteggono dall’obesità e sono fondamentali per migliorare la capacità sessuale degli uomini di mezza età, ma piccoli cambiamenti nello stile alimentare potrebbero rivelarsi più vantaggiosi rispetto all’uso di medicinali, specie per coloro che cercano una soluzione a lungo termine. L’olio extravergine di oliva oltre alle proprietà nutrienti ed emollienti (meglio se biologico e di provenienza certa) per la pelle, ha anche proprietà lubrificanti.

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OlioExtraVergine

Oltre all’acido oleico, l’olio di oliva contiene circa il 15% di acido linoleico, il 15% di acido palmitico e il 2% di acido stearico. Contiene inoltre una frazione insaponificabile che va dal’1 al 2% fornitrice di una significativa concentrazione di ingredienti attivi antiossidanti tra cui composti fenolici, clorofilla, vitamina E, fitosteroli con azione riparatoria e antinfiammatoria, e squalene, uno dei principali componenti della pelle. Naturalmente l’olio di oliva è stato anche utilizzato da sempre per massaggi, non solo per la naturale viscosità ma anche per la temperatura ottimale di assorbimento da parte della pelle, lievemente superiore a quella corporea normale. In caso di massaggio e sfregamento dei corpi, quindi, l’olio di oliva verrà assorbito più facilmente, aiutando l’idratazione del corpo. Massaggi di olio extravergine di oliva evocano la storia di Cipro e il Tantra. L’isola di Cipro, luogo consacrato ad Afrodite, nell’antichità fu eletta a simbolo della bellezza e dell’eros e

quindi di tutti gli artifici che contribuivano a rendere bella una donna come le stoffe e i cosmetici raffinati. Nel complesso industriale di Pyrgos sono state ritrovate tracce importanti della produzione di profumi e unguenti a base di olio d’oliva. Secondo le regole del Tantra, il massaggio che è alla base di un’esperienza sessuale profonda è costituito da carezze e sfioramenti eseguiti dal partner lungo tutto il corpo con tocco leggero, ricorrendo a un olio, meglio se d’oliva. Sinonimo di tradizione, civiltà e sacralità, l’olio extravergine di oliva si conferma dunque portavoce di un patrimonio non solo gastronomico: primo nutraceutico naturale nella storia dell’uomo, elisir di lunga vita e fonte di numerosi benefici, nel tempo ha influenzato la cultura del popolo, affermando il valore di un prodotto capace di conferire al piatto sapori irripetibili, ma anche ottimo e naturale alleato dell’amore.

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OpereDolci

a cura di

Marcella orsi Pasticciera Freelance

GOMMA XANTANA UN ADDENSANTE SEMPRE PIÙ USATO IN PASTICCERIA

Fino a qualche anno fa l’utilizzo degli addensanti in cucina e in pasticceria era limitato quasi esclusivamente agli amidi, alla gelatina animale, alla pectina e alla farina di carrube. Meno conosciuti erano gli addensanti della famiglia delle gomme, oggi molto utilizzati per le loro proprietà gelificanti e per la versatilità di impiego: la gomma Gellan, ad esempio, ci permette di avere gelatine resistenti al calore, che possono essere quindi scottate, scaldate, flambate ecc. senza perdere la loro forma; la Gomma di Tara ci permette di migliorare la palabilità delle gelatine, ma è molto utilizzata anche per migliorare la conservazione dei prodotti da forno e per ridurre la formazione di cristalli di ghiaccio nei gelati, ma è la Xantana l’odierna protagonista delle preparazioni sia dolci che salate. La gomma Xantana è un polisaccaride derivato dal batterio Xanthomonas campestris , che in cucina trova largo impiego per le sue numerose proprietà. Si presenta sotto forma di una polverina color crema, è insapore e stabile indipendentemente dalle temperature, il che la rende preferibile ad altri tipi di gelificanti. Inoltre è totalmente naturale e vegana e, avendo le stessa funzione della gelatina animale, la sostituisce perfettamente nelle ricette vegetariane/vegane. È molto utilizzata nelle preparazioni glutenfree poiché svolge la stessa azione addensante, viscosizzante e strutturante del glutine, pur non contenendolo. Ecco allora che nei lievitati aggiungeremo in un qualunque liquido (acqua o latte, ad esempio) 1-2 gr di Xantana su 100 grammi di farina senza glutine per aggiungere forza alla farina e ottenere un prodotto finito ben strutturato e morbido. Essendo sensibile allo zucchero, se usiamo la Xantana come addensante in creme come la crema pasticcera bisogna aumentarne il dosaggio per ottenere la densità desiderata. Avendo un’azione gelificante istantanea, la Xantana ci permette di verificare la densità di creme, gelatine e salse in tempo reale: questo è un jolly perché ci permette di dosarne gradatamente la quantità, correggendo e variandone l’aggiunta in base al prodotto che vogliamo ottenere, se più morbido o più compatto. Inoltre, essendo uno dei pochi gelificanti che agisce anche a freddo, è il più utilizzando per creare dei gel a base di vini o liquori (sempre diluiti in acqua, dato che la Xantana non è solubile in alcol) ai quali non vogliamo far perdere la parte alcolica con la cottura. Usata nelle ricette senza latticini e uova, conferisce ricchezza e profondità che normalmente si otterrebbero con burro, latte e uova. Nella ricetta del dessert al piatto che vi propongo la Xantana è utilizzata a freddo per addensare un gel dolce a base di Calvados.

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OpereDolci

“ADAMO E MELA” DESSERT COMPOSTO DA UNA FINTA MELA DI MOUSSE ALLO SPÉCULOOS CON CUORE BRUNOISE DI MELA TATIN, STREUSEL ALLO SPÉCULOOS E GEL AL CALVADOS MOULD IN SILICONE NECESSARI

Stampo semisfera in silicone da cm. 4 Stampo monoporzione mela Dosi per circa 40 dessert INSERTO DI MELA TATIN:

(per 80 semisfere) ml. 400 di succo di mela · g.35 di succo di limone · g. 9 di di pectina + g. 35 di zucchero semolato Portare a ebollizione il succo di mela col succo di limone, aggiungere la pectina miscelata con lo zucchero e far cuocere per 2 minuti. Abbattere in positivo per 1 ora. g. 800 di mele golden · g. 55 di zucchero semolato · ml. 30 di rhum · g. 2 di cannella · g. 1 di zenzero · g. 0,5 di noce moscata · g. 2 di pectina + g. 20 di zucchero semolato Tagliare le mele a brunoise dopo averle private della buccia e del torsolo. Far saltare in padella la brunoise di mele con la prima parte di zucchero (g. 55) e le spezie; sfumare col rhum e aggiungere la pectina miscelata con lo zucchero. Cuocere brevemente, fino a quando le mele diventano traslucide. Abbattere in positivo. g. 100 di zucchero semolato · g. 45 di panna · g. 1,5 di gelatina oro Idratare la gelatina. Con lo zucchero preparare un caramello biondo, quindi decuocere con la panna molto calda e aggiungere la gelatina. Far scendere di temperatura la salsa al caramello e miscelarla con la brunoise e la preparazione al succo di mela. Procedere al riempimento delle semisfere e abbattere in negativo. Da congelate, unire 2 semisfere alla volta creando la sfera di inserto. MUOSSE ALLO SPECULOOS

g. 580 di latte intero · g. 14 di gelatina oro in fogli · g. 80 di pasta concentrata di Spéculoos (oppure g. 150 di crema Lo-

tus) · g. 500 di cioccolato OpalysValhrona · g. 270 di cioccolato Caramélia Valhrona · g. 5 di fior di sale · g. 800 di panna semimontata lucida al 35% IDRATARE LA GELATINA

Fondere insieme i 2 cioccolati a 45 °C. Scaldare il latte, unire la gelatina e la pasta Spéculoos e versare sul cioccolato creando un’emulsione. Stabilizzare con un mixer ad immersione. Far scendere alla temperatura di 40-45 °C e aggiungere il sale e la panna semimontata. Versare la mousse in una sac a poche, riempire gli stampi a forma di mela per metà del loro volume, inserire al centro l’inserto di mela Tatin e ricoprire con la mousse per il restante volume. Abbattere in negativo fino a totale congelamento.

COLORANTE IN POLVERE SPRAY ORO SCINTILLANTE

Fondere separatamente il cioccolato bianco e il burro di cacao, quindi mixarli insieme con un frullatore ad immersione e aggiungere il colorante rosso. Usare ad una temperatura di 45° C. GLASSAGGIO CON NAPPAGE NEUTRO

g. 600 di Nappage Absolut Cristal Valhrona · g. 60 di succo di mela · g. 1 di colorante liposolubile in polvere marrone chiaro. Sciogliere al microonde il nappage col succo di mela, ottenuta una consistenza semiliquida aggiungere il colorante. Utilizzare tra i 30-35 °C.

STREUSEL ALLO SPECULOOS

MONTAGGIO

Lavorare insieme tutti gli ingredienti fino ad ottenere una pasta omogenea. Stendere sul silpat a 3 mm, abbattere in positivo 20 minuti e cuocere a 175° valvola aperta per 18-20 minuti. Lasciar raffreddare e tritare per ottenere una terra di Spéculoos.

IMPIATTAMENTO

g. 200 di farina 00 · g. 200 di zucchero di canna · g. 200 di burro freddo · g. 150 di biscotti Spéculoos (oppure Lotus) ridotti in farina · g. 50 di farina di mandorle · g. 3 di fior di sale

GEL AL CALVADOS

g. 75 di Calvados · g. 75 di zucchero semolato · g. 15 di miele · ml. 200 di acqua · g. 3 di Xantana Fare uno sciroppo con acqua, miele e zucchero. Aggiungere il Calvados e la Xantana. Mixare con un frullatore ad immersione.

Inserire uno stecco di legno lungo nelle mele congelate (non oltre i -22), procedere ad una prima glassatura immergendole nell’enrobage rosso al cioccolato. Appena cristallizzata la copertura spruzzare di colorante spray oro in maniera non omogenea, per dare una sfumatura dorata. Procedere alla seconda glassatura immergendo la mela nel nappage neutro. Rimuovere lo stecco di legno e conservare in positivo. Disporre al centro del piatto circa g. 20-25 di Streusel sbriciolato, adagiarci sopra la mela glassata e rifinita con un picciolo realizzato con cioccolato e decorare intorno con gocce di gel al Calvados e petali di fiori secchi o germogli.

FINITURA ENROBAGE

g. 250 di cioccolato bianco 35% g. 250 di burro di cacao in pastiglie g. 2 di colorante liposolubile rosso

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InSala

a cura di

Piero Pompili Restaurant Manager Ristorante Al Cambio (Bo) “Da piccolo pensavo che fare il cameriere fosse un lavoro da sfigati. Poi sono cresciuto e l’ho fatto. In fondo stare nella Sala di un ristorante non è poi così diverso dallo stare a Hollywood. Parlo di sala perché dei cuochi sapete già tutto”.

T U T T I D ’A C C O R D O :

LA SALA VA RIVALUTATA INTERVISTA AD ARRIGO CIPRIANI

Ormai tutti concordano sul fatto che la differenza, nel corso di un’esperienza gastronomica, la faccia per l’appunto il servizio in Sala, vero e proprio anello di congiunzione tra quello che esce dalla cucina e quello che arriva alla pancia dell’avventore. Grande la responsabilità del sevizio di Sala, che per anni è stato ampiamente bistratto e dimenticato, talvolta sottovalutato un po’ da tutti, ma che oggi è sempre di maggiore interesse in un mercato di nicchia ormai pronto ad esplodere a livello mediatico, esattamente come accadde anni fa per i cuochi che oggi imperversano un po’ ovunque, a qualsiasi ora del giorno e della notte. Ma esiste per i giovani un punto di riferimento nella Sala così come per la cucina può esserlo stato un Gualtiero Marchesi? Più di uno, a dire il vero, ma se dobbiamo pensare all’uomo di Sala per eccellenza, non possiamo non pensare che ad Arrigo Cipriani, la persona che attraverso il suo lavoro nell’arte dell’accoglienza è riuscito a creare prima di tutto uno stile (il suo) e poi un vero e proprio impero gastronomico che in tutto il mondo porta il suo nome. Un successo planetario senza eguali che dà lavoro a migliaia di persone e che, se ci pensate bene, in un futuro sempre più globalizzato nella ristorazione potrebbe essere preso ad esempio e portare i grandi fondi di investimento che lavorano nel mondo del cibo a investire e a legare il loro business proprio sulle personalità di spicco in Sala, come Arrigo Cipriani. Oggi questo discorso può sembrare fantascienza, ma se non si pensa in grande non si andrà mai da nessuna parte, ragion per cui, senza paura, dobbiamo imparare ad essere un po’ tutti Arrigo Cipriani, perché le mode in cucina passano, lo stile, invece, resta. Questa la nostra intervista al Maestro.

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InSala

Arrigo Cipriani

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InSala

Così com’è successo per la cucina e la figura del cuoco, pensa che la televisione possa aiutare a rispolverare un mestiere che nessuno vuole fare più e che ancora oggi viene visto come di serie B? La televisione e Masterchef sono il prodotto della finzione nella quale è caduta la ristorazione. Il format è stato inventato da uno pseudo chef inglese, Gordon Rumsey, il quale ha giusto il pregio di aver contribuito a distruggere una serie elevata di ristoranti tradizionali in Inghilterra. E i suoi o son falliti o hanno chiuso. Tempo fa, in un intervista, lei aveva dichiarato che i ristoranti stellati sarebbero spariti. Oggi, con il secondo lockdown, è piuttosto evidente che siano la fascia di ristorazione che più soffre, considerando che il loro lavoro spesso è prettamente serale. Secondo lei in cosa dovrebbe cambiare o evolvere la ristorazione fine dining dopo questa pandemia? Da qualche anno i voti alla ristorazione italiana sono stati dati in base alla classificazione delle guide e in particolare della Michelin. Bisogna tuttavia verificare se la classificazione stellata coincide con l’approvazione dei clienti. La Michelin è francese e in Francia le stelle hanno avuto molto successo al fine di orientare alla conoscenza del settore. Premetto che io ho 88 anni e che ho conosciuto le prime stelle. Ecco, tutte quelle che ho frequentato da giovane erano completamente diverse da quelle di oggi. La prima cosa che uno poteva notare era l’accoglienza dei clienti. Puntuale, gentile, non supponente; il cibo non si limitava all’offerta di un menu degustazione, scritto per glorificare lo chef, anzi addirittura il menu non c’era affatto, ma tutto quello che veniva servito era legato alla cucina classica francese ed era di una qualità straordinaria. Ricordo che nel 1957 alla Beaumaniere (già il nome è indicativo di buona accoglienza) dopo un lungo viaggio, di sera, anche un po’ tardi, fui accolto dal proprietario come fossi un re e non fece alcuna difficoltà per l’ora tarda. Ordinai una entrecôte che non era nemmeno sulla carta. Ebbene, me la ricordo come la migliore che ho mai assaggiato nella mia vita. La colazione del mattino fu un trionfo di croissant appena sfornati, di marmellate fatte in casa, di uova cucinate da professionisti e così via. Tutto questo è ora molto difficile da trovare, anche in Francia, penso. Il menu degustation non è fatto per il cliente, ma per esaltare l’abilità dello chef che va a inventare gusti sconosciuti estranei alla cucina tradizionale, quella che deve la sua forza al rispetto delle ricette tipiche, del gusto comune e che fa parte del DNA classico e della cultura generale. Nella cucina di chef anche famosi

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gli astrusi accostamenti degli ingredienti non dicono nulla da un punto di vista culturale. Qual è la sua idea circa le guide gastronomiche? Le guide gastronomiche sono redatte di solito da amanuensi che hanno imparato il cibo, ma non perché l’hanno vissuto, per esempio, in casa o in una trattoria dove si viene accolti con amore, sollecitudine e voglia di servire bene in modo che il cliente esca soddisfatto e felice. Lo sa qual è il momento più importante per un cliente? L’uscita dal ristorante, per cui è vitale che qualcuno gli apra la porta. È il momento in cui il cliente si sente felice perché quel gesto è un invito a ritornare. Siamo passati da una ristorazione creata da grandi uomini di Sala a una ristorazione fatta di soli chef. È possibile un ritorno alle origini? E se sì, in quale fascia di ristorazione la Sala può tornare a farla da protagonista? Questa pandemia sta rimettendo ordine tra il falso e il vero. Il futuro sarà un ritorno alla normalità senza protagonismi, a una ricerca della libertà perduta che non potrà mai essere riempita da falsi portatori della verità. Torneremo a noi stessi e a capire che il lusso non è la forma, ma l’anima delle cose. Quali sono i 3 elementi fondamentali che deve avere un grande uomo di Sala? La semplicità, la professionalità con un giusto approccio e la conoscenza della cultura del proprio Paese. Ma questa figura non deve dimostrare niente, solo far bene il suo lavoro e pensare che il cliente è colui che gli dà da vivere e non un allievo che vuole imparare o essere sbalordito dal racconto del nulla. Rispetto al passato, secondo lei quale dev’essere il futuro del servizio in Sala? La vera scuola di Sala (ed anche quella della cucina) erano i grandi alberghi dove l’unico elemento importante era non certo il cuoco, ma il cliente. Primaria era la cura dell’ospite, della sua libertà, del suo star bene in tutti i sensi. La Sala ha bisogno di disciplina, di cura, di professionalità. Il servizio si deve svolgere senza che il cliente se ne accorga, senza domande inutili, senza dover sciorinare gli ingredienti dei piatti: il cliente non deve necessariamente venire sbalordito da quello che accade. Il mondo non è cambiato. I clienti sono sempre clienti. Non vanno impressionati o trattati come fossero scolari che vogliono imparare, ma persone che hanno scelto di essere accolte e curate con tutti gli accorgimenti e la professionalità che occorrono a curarne la libertà, senza imposizioni. Ecco, senza imposizioni”.


PICCOLI PIACERI QUOTIDIANI

a Casa Tua shop.babbi.com


ilmenuengineering

a cura di

Lorenzo Ferrari Direttore Marketing di RistoratoreTop

RIAPRIAMO?

PICCOLO PROTOCOLLO DI MARKETING PER COMUNICARE MEGLIO DEGLI ALTRI Mentre ci prepariamo al peggio, pensando ad un possibile e nuovo lockdown totale — dobbiamo guardare la realtà in faccia: il rischio c’è! — speriamo in meglio. E quindi ci prepariamo ad una nuova apertura. Visto che questa eventualità si ripeterà per ogni lockdown, parziale o totale che sia, chi scrive crede sia corretto stilare un piccolo protocollo di marketing per gestire la riapertura nel modo più corretto possibile. Una parte del marketing è la comunicazione. E comunicare significa veicolare il messaggio da un mezzo ad un altro. In questo caso lo scopo della comunicazione è comunicare a tutti i clienti che si ha riaperto, e che il nostro locale è il primo della lista da visitare. È molto importante essere tra i primi locali che un cliente frequenterà alla riapertura, perché è probabile che si creerà un’abitudine. E sappiamo quanto sia importante l’abitudine nella scelta di un ristorante... Per riuscire in questo scopo, si applichi questo brevissimo protocollo: 1. Si avverta TUTTI i clienti di aver riaperto. La modalità è “copertura-totale”. Significa usare ogni canale che si ha a disposizione, in modalità serrata: email alle lista clienti, SMS e Whatsapp ai clienti più fedeli, utilizzare TUTTI i social media, persino Telegram se lo si utilizza. Insomma, non si dia per scontato che i clienti sappiano, perché in media non sanno, o hanno informazioni parziali o addirittura inesatte. 2. Proprio a riguardo del punto precedente, ci si ricordi di essere chiari e specifici sulle modalità d’ingaggio: le normative cambiano alla velocità della luce, ed è davvero complesso per i clienti finali rimanere aggiornati. Quindi, visto che ci saranno delle regole ed è bene che vengano rispettate da tutti, per garantire sicurezza e tutela, è bene che vengano sottolineate. I clienti si sentiranno al sicuro e noi faremo un figurone. 3. I mportante: si dia a TUTTI i clienti più affezionati un incentivo per tornare nella prima settimana di riapertura. Si può regalare qualcosa, dare degli incentivi, fornire dei bonus al raggiungimento di una certa soglia di spesa e via discorrendo. Ma per la prima settimana si deve puntare al sold-out perenne. Che non significa riempire il locale più di quanto si dovrebbe, rischiando di infrangere le norme anti-Covid, ma significa che ogni posto libero deve essere occupato. Si ha una sola occasione per essere il primo della lista, occorre sfruttarla come si deve. E non si dia per scontato che i clienti ci sceglieranno a prescindere, perché non è davvero così. 4. Si “coccoli” l’ospite più del solito. Se acquisire i clienti è costoso, fidelizzarli è meno costoso, stupirli è gratuito. Eppure è la strategia più efficace che esista. Non si perda l’occasione di farlo!

Buona riapertura.

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Golavagando

A COPENAGHEN

POPL

È IL FIGLIO POP DEL NOMA Il ristorante fa parte della famiglia Noma, il celeberrimo ristorante pluristellato della capitale. Il nome POPL deriva da “populus” e vuole essere un richiamo alla comunità, al legno di pioppo e al grande rispetto per la natura. La scorsa estate il Noma ha aperto un hamburger bar pop-up nel giardino del ristorante. Il successo di questa iniziativa ha spinto il team del Noma a creare un hamburger Restaurant permanente. Il cuore pulsante del POPL è una squadra di veterani del Noma che ha trascorso mesi a sviluppare le migliori ricette di hamburger. Il menu è molto semplice: hamburger a base di manzo biologico danese o hamburger vegetariani o vegani preparati nel laboratorio di fermentazione Noma. Il tutto è accompagnato da contorni di stagione, gelati e da una selezione di vini, birre, cocktail e bevande analcoliche. Grande energia, dedizione, attenzione e cura del dettaglio sono un mantra al POPL. Il ristorante non solo vuole offrire straordinari hamburger, ma desidera farlo in modo sostenibile, scegliendo esclusivamente ingredienti biologici, di alta qualità e prodotti in modo rispettoso per l’ambiente. POPL si trova in Strandgade 108, nei locali precedentemente occupati dal Ristorante 108. POPL BURGER Strandgade 108, 1401 København, Danimarca www.poplburger.com

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Inchieste

E ORA CHE SUCCEDE?

EFFETTO COVID: COSA CAMBIA PER LORENZO COGO, ALESSANDRO DAL DEGAN, GIUSEPPE IANNOTTI, MATIAS PERDOMO, MATTEO RIZZO, FILIPPO LA MANTIA, NIKITA SERGEEV, YOJI TOKUYOSHI di

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Alessandra Meldolesi


EOraCheSuccede?

Non c’è terapia intensiva per la ristorazione mondiale. Nessun tubo di ossigeno da infilare nei polmoni, per rianimare quella che rischia di restare sul campo come la grande malata di questa pandemia. Pressoché in tutto il mondo, con sparutissime eccezioni, le autorità hanno reagito all’emergenza mettendo il chiavistello alle saracinesche degli esercizi di somministrazione, senza troppe distinzioni. Che fossero pub o enoteche, fast food gremiti o rarefatti fine dining, nessuno in pubblico e al chiuso doveva più abbassare la mascherina, nonostante le ricerche unanimemente confermassero che no, non era degustando a distanza che si poteva contrarre il covid. Dopo oltre un anno di yo-yo, fra riaperture, richiusure e socchiusure varie, largamente dipendenti dal meteo, è giunto il momento di una prima, provvisoria prognosi per il settore, che verrà profondamente ridisegnato nelle gerarchie e nelle geografie. Una parte, ahimè, definitivamente al camposanto delle imprese, in parte per covid, in parte con covid, quale testamento i libri in tribunale; un’altra organicamente trasformata, per quanto tempo e con quali conseguenze a lungo andare chissà (perfino nel caso degli asintomatici, ammoniscono i virologi), a causa dei cambiamenti del mercato. Ma qualcuno rilancia, preparandosi ad approfittare delle opportunità del momento.

IL MERCATO DEGLI AFFITTI C’è per esempio il capitolo affitti: se è vero che in tutto il mondo si sono già arresi in tanti, le loro spoglie anzitutto immobiliari fanno gola soprattutto ai grandi gruppi e a chi dispone di capacità di investimento intonse. Se ne è occupato Forbes, tenendo d’occhio il mercato statunitense, dove si stima che il 17% dei ristoranti (in Italia solo a maggio era il 10) sia destinato a non riaprire: le dichiarazioni dei CEO di gruppi come Wingstop, Domino, Restaurant Brands International e Shake Shack sono unanimi: “Vedi un numero di marchi che sono in bancarotta o in difficoltà, presto ci saranno molti siti disponibili. Penso che questo sia un ottimo momento per stare sul mercato nelle vesti di compratore”. Il risultato saranno cambi di mano, nuove aperture e anche trasferimenti in sedi resesi disponibili a cifre competitive.

LA RIVOLUZIONE SPAGNOLA Un cambiamento drammatico, certo, che però potrebbe avere qualche risvolto positivo. Lo ha rilevato su La Vanguardia Toni Segarra, preconizzando una nuova “rivoluzione francese” ma spagnola, anzi europea, anzi mondiale. Se alla fine del ‘700 i risto-

ranti nacquero dalla diaspora dei cuochi di corte, che si ritrovarono improvvisamente privi di committenti, una miriade di giovani chef di grande talento, formatisi nelle maison dei maestri delle generazioni precedenti, potrebbe anch’essa perdere il proprio ubi consistam e riversarsi nelle strade e nelle periferie, alla ricerca di collocazioni favorevoli, inaugurando lo scenario democratico di un nuovo “street-food”.

IL LUSSO DIVENTA ACCESSIBILE “Quando come i cuochi dei palazzi della nobiltà decapitata, i cuochi vip di oggi si ritroveranno per strada, cercheranno il sostentamento in piccoli locali periferici che il terremoto avrà reso più accessibili. E porteranno in ogni angolo a tutte le persone curiose lo spirito di questa ristorazione prodigiosa, di cui solo le élite hanno beneficiato. Crescendo fin dove, chissà. È qualcosa che sta già accadendo. Il virus in qualche mese ci ha trasportato nel 2030, ma non ha inventato nulla. Siamo avanzati a tutta velocità e accelerando processi che erano in marcia, ma con un altro ritmo. E la velocità abitua a rompere, a lasciare indietro i più lenti, quelli che stavano a guardare, ma non volevano correre… Da tutte queste cucine straordinarie guidate da cuochi straordinari sorgerà il talento che porterà uno spirito nuovo sulle tavole della grande maggioranza, propagato dal vento distruttivo della malattia. La prima grande rivoluzione della gastronomia spagnola è stata elitista e intensiva, la seconda sarà estesa e popolare. Un’ondata di felicità quotidiana nascerà dalla profonda tristezza di questi giorni di nebbia”.

NUOVE FORME DI BUSINESS E di fatto le giovani generazioni mostrano un po’ ovunque una diversa capacità di resilienza. Se è vero che i big non hanno poi molto da temere, basterebbe schioccassero le dita per stringere contratti milionari con qualsivoglia industria alimentare, sono loro le “antenne della razza”, come gli artisti di Ezra Pound: nell’infuriare della crisi, azzardano nuove forme di business cogliendo ogni occasione per diversificare, crescere, studiare. Che si tratti del perfezionamento tecnico del delivery/asporto o di nuove attività, dalla pasta fresca alla rosticceria, fino alla produzione dei barattoli più disparati e alle dark kitchen. David Muñoz per dire, al pari di Quique Dacosta e Dani Garcia, è sprofondato nello studio di un format di food delivery che ha chiamato GoXo: si tratta di una linea di piatti da consegnare a domicilio, da ordinare il giorno prima e disponibili in quantità limitate, per assicurare una qualità impeccabile, eseguiti nelle cucine del Gruppo NH a Barcellona, in partnership con Glovo. Costo medio di un pasto, 30 euro.

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Inchieste

LE DARK KITCHEN Ma anche le catene sono attivissime sul fronte dei format virtuali o misti, nell’intenzione di valorizzare cucine chiuse o sottoutilizzate, risparmiando sulla manodopera e sui costi fissi, procedendo talvolta all’automazione della produzione e del servizio, vedi in America Kitchen Wings, Nextbite o MrBeast Burger, catena di 300 punti di delivery. Si calcola che il numero di ristoranti che utilizza qualche forma di dark kitchen sia balzato dal 13% pre covid al 51% attuale, con prospettive di crescita ulteriore e consistenti investimenti in tecnologia (geolocalizzazione, drive-thru, app e perfino droni).

STELLE CADENTI IN FRANCIA... A certificare la situazione con fare notarile sono arrivate le contestate guide 2021, Michelin su tutte: è sufficiente scorrerle per rendersi conto della drammaticità della situazione in tutta Europa. In Francia a essere particolarmente colpita è la fascia dei due stelle: perdono la seconda i due Atelier di Joël Robuchon nel settimo e nell’ottavo arrondissement a Parigi; ma è lunga soprattutto la lista degli orfani di entrambe (ben dieci, a fronte di due nuovi ingressi e delle tre stelle di Alexandre Mazzia), con nomi di primo piano come lo storico Grand Véfour (cambiamento di format: lo chef Guy Martin alla riapertura sostituirà i ravioli di foie gras da 98 euro con il gratin di cipolla a 21), L’Astrance (trasferimento e riapertura nel 2021 negli spazi che furono del Jamin di Robuchon, messo in liquidazione giudiziale e tre volte più grande della bomboniera attuale – ma la decisione risale al 2019), l’Atelier di Jean-Luc Rabanel (cambiamento di format: lo chef di Arles dopo il primo lockdown ha deciso di restituire le stelle e riunire in un unico spazio gourmet, bistrot e bottega)… C’è addirittura il caso di un bistellato convertito in Bib Gourmand: SaQuaNa a Honfleur, dove lo chef Alexandre Bourdas, dopo 10 anni ai vertici, ha deciso in seguito al primo lockdown di sposare una formula “décontractée”. Ma la conversione, assicura, era già nei piani ed è stata solo accelerata dagli eventi. Fra le stelle singole (33 a fronte di 54 promozioni) è la volta di La Poule au Pot di François Piège e dello Chateaubriand del pompatissimo Iñaki Aizpitarte, probabilmente retrocesso per la conversione incondizionata ad asporto e delivery. Stelle che si sono spente al buio, nel silenzio dei presentatori, per non guastare la regia della festa.

...IN SPAGNA E DANIMARCA Non molto dissimile la situazione inglese, con la perdita di tre due stelle, due dei quali per chiusura definitiva. Dalla Spagna giunge la notizia della fine di Zalacain, primo tre stelle del paese nel 1987,

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mentre restano in stand-by tutti i ristoranti del Gruppo El Barrio di Albert Adrià, comprendente 4 stellati (Tickets, Enigma, Hoja Santa e Pakta) e altri due esercizi (Bodega 1900 e Niño Viejo). Il bistellato Santceloni del compianto Santi Santamaria, infine, è stato trasferito entro spazi più angusti del medesimo hotel e poi definitivamente archiviato. E ancora la Danimarca, con la chiusura del Relæ di Christian Puglisi che, stanco della coazione a stupire, si consacrerà a un’offerta più “semplice”; il Noma convertito ad hamburgeria, l’Alchemist che perde 400mila euro al mese e Paul Cunningham che firma un panino per McDonald…

MENTRE IN ITALIA... L’impressione è che l’Italia tenga botta meglio di altri, probabilmente grazie a una diversa struttura imprenditoriale: laddove il ristorante è a tutti gli effetti un’impresa, conviene vendere o riconvertire; mentre qui da noi, con le famiglie al comando, ci si aggiusta. Certo i nomi lasciati sul campo dalla Michelin sono ingombranti: Lorenzo Cogo, Roy Caceres, Yoji Tokuyoshi, Luigi Taglienti e soprattutto Davide Scabin (fra gli altri), a dimostrazione di una sofferenza che colpisce duro l’avanguardia. Luigi Taglienti sta cercando alacremente una nuova location milanese per l’agognato passaggio a chef patron con i suoi soci (la chiusura del Lume, è il caso di chiarirlo, non è dipesa dal virus, ma da sfortunate dinamiche societarie); gli altri stanno dissodando o percorrendo strade originali, da cui potrebbero non tornare più indietro.

LE NUOVE APERTURE Ancora una volta la crisi agisce quale formidabile acceleratore di dinamiche pregresse, volte alla diversificazione, alla democratizzazione e perfino al downshifting, la “semplicità volontaria” di chi scala marcia, privilegiando un format popolare o semplicemente la vita privata rispetto a rischi e sacrifici del fine dining. La tendenza, inequivocabilmente, è verso una ristorazione democratica e territoriale, attenta al valore della sostenibilità. Ma c’è anche chi rilancia con nuove aperture, per esempio Enrico Bartolini, in procinto di aprire un nuovo gourmet con bistrot a Milano; oppure gli Alajmo, che pure soffrono particolarmente la crisi veneziana. Al temporary restaurant estivo in laguna è seguito quello invernale, l’Hostaria in Cortina, nata per dare lavoro in modo continuativo a ragazzi, che sarebbero altrimenti in cassa integrazione. Ubicata all’interno dell’Hotel Ancora, è stata concepita in pieno lockdown nell’arco di 50 giorni con la complicità di Renzo Rosso e propone i classici di Max e mamma Rita in un contesto super sicuro.


EOraCheSuccede?

LORENZO COGO: TRATTORIA, CONSULENZE E TEMPORARY EL COQ La chiusura della stagione al Garibaldi di Vicenza, con l’arrivo di Matteo Grandi, è arrivata a fine agosto. “È stato allora che il covid ci ha dato l’opportunità di fermarci a riflettere” – dichiara Lorenzo Cogo – “Io da un po’ di tempo ragionavo sul futuro della gastronomia e sulle prospettive da qui a cinque anni, senza trascurare la mia persona, perché solo chi è felice può dare il massimo. Ero turbato dalla situazione generale. Quando abbiamo ripreso e ho visto arrivare la seconda ondata, ho compiuto la mia scelta: o rischio tutto, perché eravamo una compagine societaria, o riscrivo il mio futuro, calibrando tante cose che non andavano nella direzione giusta. Allora ho ceduto le mie quote e ho ripreso il mio marchio per fare quello che desidero veramente. Dopo un secondo lockdown ci sarebbero voluti due anni per rientrare dalle perdite, ma un giovane non vuole morire di debiti. Ho riflettuto per qualche mese e ho deciso di imboccare nuove strade. Ho voluto innanzitutto preservare il lavoro di dieci anni di El Coq, trasformato in un ristorante virtuale che vive nel web e in spot che lo ospitano come temporary, più una performance che un ristorante fisso. Oggi essere legati a un luogo, prescindendo dalle guide ancorate a un numero civico, è un grande limite. Non riesci a essere dinamico e ad andare dove sono le persone. Ma come imprenditori bisogna essere pronti a cambiare, fermarsi e ripartire secondo il mercato, che è sempre più imprevedibile. Quindi la flessibilità, che aumenta le possibilità di successo. El Coq oggi si muove e fa eventi. Abbiamo appena lanciato su internet la mia nuova immagine, double Cogo: da una parte la volontà di supportare gli altri dietro le quinte, mettendo a disposizione di ristoratori intenzionati a migliorare il mio know-how, in veste di consulente per qualsiasi tipologia, dal bar alla trattoria, al fine dining; dall’altra il private, quindi El Coq a casa delle persone. Qui la base di ogni domesticità è sempre stata la taverna dove ospitare le persone, una cosa che si è persa ed è stata forse oggi riscoperta come informalità e stare insieme. Questa convivialità a casa propria, nella privacy, credo resterà. Il risultato sarà una cucina meno perfetta ma più spontanea, libera dall’ansia da prestazione. In questo modo sto riuscendo anche a riprendere in mano le mie passioni. Ho sempre avuto un rapporto controverso col cibo, di gola ma anche di conflitto per la paura di ingrassare. Quindi ho ripreso a fare sport, perché la salute sarà al centro della nuova quotidianità e la cucina che proporrò sarà fondata sul benessere. Ma bisogna vivere le cose prima di poterle comunicare. La mia persona deve venire prima del mio lavoro, non il contrario come è sempre stato.

Non sono mai riuscito a trovare un’ora per me stesso, quando l’ho capito ho deciso di cambiare stile di vita. Ma non escludo di tornare un giorno alla ristorazione classica, ragionando con i miei cari direi che c’è un tempo per tutto. Poi si vedrà”. Sta di fatto che il presente è nella trattoria di famiglia, il Bistrò dal Cogo a Thiene, secondo quella tendenza al downshifting, che si può ormai far risalire alla chiusura del Canto di Paolo Lopriore, presto seguito da Piergiorgio Parini in veste di consulente e papà felice. Sarà questo uno dei postumi long covid nella ristorazione disastrata? “Sono cuoco di terza generazione, dopo mio nonno Lorenzino, che era maggiordomo, e mio padre Mariano, il primo ad aprire un locale. Quindi dai 13 anni fino alla maggiore età sono cresciuto in cucina, dando il mio contributo, mentre le stagioni estive le facevo fuori. In piena emergenza sono voluto rientrare per supportare la ripresa con il mio know-how, come faccio con le aziende esterne. In questo modo posso continuare a divertirmi in cucina ogni giorno insieme ai ragazzi del vecchio staff, concentrandomi sulla tradizione e riscoprendo piatti dimenticati da tutti o da mio padre, che va giustamente orgoglioso dei suoi risotti e del suo baccalà alla vicentina. Il mio scopo è aiutarlo ad avere un’identità più forte; penso che in troppi abbiano abbandonato il format della trattoria tipica per diventare ristoranti a metà. Significa tornare a prodotti poveri, elaborati in modo corretto, e alla biodiversità anche culturale che rappresenta il vanto dell’Italia. Qui al Bistrò abbiamo ripreso le lumache, le rane, le trippe, i nervetti, le verze con tecniche aggiornate, per controllare il food cost, ridurre gli sprechi, ottenere risultati migliori. Anche il sottovuoto, se dopo c’è la finitura al caminetto. Presidio personalmente anche durante il servizio, in futuro chissà. Ma in modi diversi ci sarò sempre. L’idea è quella di stare in famiglia e mangiare cose autentiche”.

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ALESSANDRO DAL DEGAN: PRODUZIONI INNOVATIVE La montagna è in sofferenza: non solo perché è saltata la stagione della neve, ma perché i già scarsi “ristori” sono stati calcolati sul mese di aprile, che qui è stagione morta. Così come le casse integrazioni non scattano per i contratti stagionali stipulati dopo il mese di novembre, gravando spese insostenibili sui bilanci di ristoratori impossibilitati a licenziare. Se ne fa portavoce Alessandro Dal Degas da La Tana di Asiago, un altro che ha reagito con forza. “Faccio una premessa: sono sempre stato abituato a vedere il bicchiere mezzo pieno. È successo che tutto ciò di cui siamo stati privati, in un certo senso è stato compensato dal tempo per pensare. Quindi abbiamo lavorato su aspetti della nostra offerta che normalmente non avremmo avuto modo di considerare, come il sistema di consegne domiciliari e lo sviluppo dell’asporto, che nel nostro caso affiancherà il servizio ai tavoli. Quando devi sviluppare un piatto, che sia elaborato o semplice, del gourmet o dell’osteria, lo fai, lo servi, viene consumato. Cambia tutto se va trasferito e rifinito da qualcuno che non è del mestiere. Quindi a materia invariata i processi cambiano, la visione del lavoro è diversa. Questo permette di migliorare giorno per giorno su specifici aspetti. Poi abbiamo lavorato per sviluppare in barattolo prodotti veramente innovativi: pietanze vere e proprie che possono essere conservate a temperatura ambiente, nella madia di casa, e semplicemente riscaldate, dalla trippa in umido al baccalà alla vicentina. Il segreto è produrre poco: quando lo scatolame è scadente, dipende dalla materia prima e dalla scala. Ma qui gli additivi sono sostituiti dalla pastorizzazione, l’unico conservante è la temperatura. Sono tutti prodotti cotti totalmente o parzialmente in vaso, con effetti di pastorizzazione spontanea. La quantità di richieste è esorbitante, oggi mi è arrivato un ordine da mille euro. In questo modo riesco a mantenere attivo almeno lo staff di cucina. Dopo il primo lockdown, due ragazzi di vent’anni mi avevano chiesto di rinunciare allo stipendio per la situazione straordinaria. La mia reazione è stata telefonare al commercialista e trasformare i loro contratti in tempo indeterminato”.

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FILIPPO LA MANTIA: CO-CUCINA CON GIANCARLO MORELLI C’è poi il caso di Filippo La Mantia, che il 31 dicembre ha dovuto lasciare il suo grande locale milanese in Piazza Risorgimento a causa di un affitto divenuto insostenibile, pari a 31mila euro, e ora si appoggia da Giancarlo Morelli, che gli ha messo a disposizione parte della cucina del suo Bulk completa di attrezzature per praticare delivery, dietro pagamento della sola elettricità consumata; in questo modo ha potuto richiamare al lavoro 4 dei suoi 20 ragazzi, mentre gli altri restano in cassa integrazione. La co-cucina, dice, potrebbe essere il futuro, utile per abbattere le spese fisse e propiziare lo scambio di idee, come già avviene negli uffici e negli studi professionali. Ma lo chef siciliano, che cura personalmente le consegne fuori città, precisa che si tratta di una strategia temporanea, in attesa che con la nuova normalità possa aprire un nuovo locale e il Bulk riprenda il suo lavoro a pieno ritmo.


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GIUSEPPE IANNOTTI: IL DELIVERY COME FORMA D’AVANGUARDIA Lo chef che ha più approfondito il delivery in Italia è probabilmente Giuseppe Iannotti, che a cominciare dalla scorsa Pasqua, giorno dopo giorno, si sforza di innalzarlo a forma d’arte, anzi di avanguardia, esplorando la polisensorialità ed evidenziando i meccanismi di quella che finisce per somigliare a una forma di metacucina. La location, del resto, non è mai stata il punto di forza di un ristorante, simile a una cattedrale nel deserto. Che di questa debolezza ha fatto un trampolino per irradiarsi in tutto il paese. Più che una emanazione del Kresios di Telese, cui evita di rimandare anche nel nome, il progetto tuttavia deriva dallo IannottiLab, trasformato in dark kitchen. Le formule sono diverse, ma la materia è unica: il pesce (da cui il nome 8pus, vocabolo inglese per polpo, mollusco intelligente per antonomasia), portato in viaggio per il mondo sulla scia dello chef, dal Perù al Giappone. Lo sfizio di Iannotti è innanzitutto quello di reinterpretare grandi classici del repertorio etnico: dalla paella al curry, dal ceviche al ramen, semplificandone l’esecuzione come nella linea di un ristorante. Ma il delivery, parafrasando Alain Chapel, c’est beaucoup plus que des recettes: significa studio accanito dell’elaborazione a step, del trasporto, delle normative su HACCP, allergeni ed etichettatura, del confezionamento per conciliare optimum organolettico e sicurezza alimentare. Neppure il packaging è lasciato al caso: si tratta in gran parte di contenitori ecosostenibili, biodegra-

Ramen

Tiramisù

dabili e compostabili messi a punto con lo studio grafico Nju. “Le linee sono due: nel ready to eat, che può essere caldo o freddo, è interamente biodegradabile; nel ready to cook è ancora difficile eliminare i sacchetti da sottovuoto”, illustra Iannotti. La prima linea, consegnata da un driver interno, viene recapitata nel raggio di 30 minuti di auto dalla dark kitchen; mentre la seconda, affidata a un corriere refrigerato, nel rispetto della catena del freddo, è disponibile in tutta Italia. In questo caso i piatti si conservano per 3-4 giorni e possono essere anche congelati. Ma oltre alla carta ci sono i box tematici, come Il fritto a casa tua, Buon anniversario, le formule per San Valentino e per Pasqua. La logistica è implacabile: il pesce arriva dai due mercati più vi-

Torta guanaja

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Inchieste

cini, Formia e Pozzuoli; ma anche da Francia, Spagna, Chioggia e prossimamente Liguria, attraverso buyer che acquistano per Iannotti. “Siamo avvantaggiati perché per noi il pesce fresco non esiste: pratichiamo sempre processi di elaborazione. Perfino l’ostrica non la apriamo e la serviamo, ma la sottoponiamo a sterilizzazione per lavorare serenamente. Quindi quando il pesce arriva al Lab, viene pulito, sezionato e subito fermentato, frollato, affumicato, marinato o abbattuto… Poi si fa la linea e si compone il tutto. E in zona i driver siamo noi, così riesco a occupare anche il personale di sala. Siamo appena partiti con video tutorial per le singole ricette, che sono accompagnate da una cartolina con le istruzioni, quindi non possono essere improvvisate. Ma quello che continua a mancare è il contatto, per questo abbiamo inventato le playlist per San Valentino e per le altre feste, da abbinare ai piatti. Cerchiamo di abbattere le distanze anche con una mail o una telefonata, in modo da avere un riscontro. Ci tengo a chiarire che questo per noi non è un progetto tampone e che non terminerà con la riapertura del Kresios. Lo studio e il lavoro continueranno, anche perché partono da una ricerca compiuta precedentemente a Dubai, dove l’80% del fatturato è delivery. Abbiamo iniziato con la diretta di Pasqua durante la prima ondata, per dire al mondo che il Kresios era vivo; poi nel mese di giugno il progetto 8pus si è staccato. Perché Giuseppe Iannotti può firmare qualsiasi cosa, ma il Kresios deve essere

Il crudo

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un ristorante senza duplicati. Sotto il profilo tecnico ci sentiamo sicuri; stiamo cercando di migliorare il lato utente, in modo che tutto sia più chiaro e più semplice. Il mercato chiede innanzitutto pulizia e facilità di esecuzione, insomma una comodità di servizio; la parte esperienziale rappresenta il motivo per cui il Kresios resterà e anzi diventerà ancora più spinto. La gente ha capito che a casa può stare bene con una buona spesa, ma l’esperienza gastronomica rimane un’altra cosa. Il bilancio è comunque estremamente positivo: ogni mese raggiungo il target che mi sono prefissato. Non faccio ancora grossi profitti, ma riesco a mantenere aperto l’ambaradan e a impiegare i miei ragazzi, nessuno dei quali è in cassa integrazione. Anche se il primo obiettivo è stato non morire psicologicamente, aspettando ristori insufficienti e avvilenti per chi è abituato a lavorare. E non è vero che non ci sono margini: certo bisogna saper comprare e saper gestire. Qui a Telese non esistono Just Eat e Glovo, che danno anche visibilità. Per vendere devo portare la gente sul mio sito, significa marketing e comunicazione”. Ma Iannotti non disdegna un’altra opzione: quella della selezione dei prodotti. In questo caso le conserve della Cambusa, in arrivo da aziende artigianali bretoni, spagnole e portoghesi. E di recente ha aperto la sezione pescheria, perché, dice, in pochi sanno scegliere e pulire il pesce. In abbinamento offre una selezione di 200 etichette a cura del sommelier del Kresios, Alfredo Buonanno.


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MATIAS PERDOMO: NUOVI LOCALI Se c’è qualcuno che ha preso sul serio Toni Segarra e la sua esortazione a un nuovo street-food, è Matias Perdomo, che con i soci Simon Press e Thomas Piras non si è perso d’animo, ma ha moltiplicato le attività, sintonizzandole sulle esigenze del momento. “Tutti i concept che abbiamo aperto sono frutto di un desiderio nostro: quello di diversificare il più possibile l’offerta gastronomica. Nel primo lockdown abbiamo iniziato a creare Empanadas, cui già stavamo lavorando, ma abbiamo accelerato, fatto prove, individuato luogo e brand, puntando a essere i primi a tirar fuori una specialità della nostra terra. Perché no? È una tradizione per noi, interpretata con la nostra testa e il nostro know-how. Siamo partiti il 4 dicembre e sta già andando molto bene; adesso stiamo aprendo due dark kitchen dedicate, per coprire tutta Milano con le consegne. È un prodotto che si può piazzare ovunque, dallo stadio all’aeroporto, va solo rigenerato in forno, quindi consente dinamicità e flessibilità. Poi col secondo lockdown abbiamo ripescato la voglia di un format democratico, non riuscivamo a riaprire il ristorante e abbiamo ripiegato su una rosticceria, che non potesse essere confusa con Contraste. Quindi ROC - Rosticceria Origine Contraste, una rosticceria anni ’80, trasparente, slow. Si ordina sul sito per il giorno successivo, tutto monoporzione per ragioni di igiene e composizione del menu, con piena flessibilità nella scelta. Non condizioniamo il cliente, lavoriamo sul prodotto. Si può scegliere il guanciale con qualsiasi contorno: è la libertà del gusto, come da Contraste. In questo modo restiamo nel target della categoria, seppure in un concetto nuovo, parallelo agli altri. Non significa tappare un buco, ma studio del packaging, della materia prima, delle lavorazioni prima della rigenerazione. E rimarrà nel tempo per dialogare con uffici e mense, parlando quotidianamente alla città. ROC arriva ovunque. Sono formule diverse, ma coerenti per qualità e ricerca”.

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Inchieste

MATTEO RIZZO: DAL DESCO A ESKO Matteo Rizzo del Desco di Verona, è stato fra i primi a tentare la formula della dark kitchen in Italia, intrapresa il 6 maggio 2020. “L’idea è nata durante il primo lockdown ad aprile. Passate le prime settimane di stordimento per la chiusura, durante le quali mi sono riposato e ho staccato, ho iniziato a pensare a come ripartire. Non c’erano notizie positive; il target del Desco è internazionale, segue fiere ed eventi, quindi avrebbe sofferto di un’estate molto slow, senza il Vinitaly, la stagione all’Arena e il solito movimento. Ho pensato che anche riaprendo sarebbe stata durissima. Allora mi sono detto: ho una cucina, ho uno staff, stiamo qua a guardarci negli occhi. Facciamo piuttosto qualcosa di diverso per i veronesi, che sia alla portata di tutti e relativamente facile da gestire. Era da un po’ che coltivavo l’idea di una cucina che racchiudesse le mie esperienze per il mondo, in Asia, Medio Oriente e America, ma finora avevo sempre rimandato. La situazione particolare che stiamo attraversando ha offerto l’opportunità di compiere un test, senza costi aggiuntivi né salti nel buio. Abbiamo verificato l’efficacia del progetto che diventerà un locale, sono già in trattativa per diversi posti. Tutto lo staff del Desco ci lavora: abbiamo diviso i piatti fra partite e anche quando siamo aperti riusciamo a gestire Esko, che ha un ingresso sul retro con l’insegna e il campanello. Abbiamo comprato 2 motorini e con 2 rider gestiamo anche le consegne, attraverso una nostra applicazione. Con le riaperture estive c’è stato un calo, che però non ha inficiato la continuità. La parte innovativa (ma adesso siamo in tanti) è stato anche il modo di fare i piatti, con il prodotto cucinato a tre quarti, la pasta o il riso al dente, consegnati a temperatura di frigo per poi essere riscaldati in padella o al microonde, cosicché la catena del freddo assicura la salubrità e il consumo può avvenire nell’arco di 48 ore”.

Ravioli di Riace

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Red Hot Chili Pappas


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NIKITA SERGEEV: NUOVE OPPORTUNITÀ Nikita Sergeev cercava un nuovo locale da anni. Finalmente i movimenti del mercato e delle idee lo hanno messo in condizione di ampliarsi e rilanciare. “Come aiuti abbiamo ricevuto poco e niente: in tutto 9mila euro per due locali, con la cassa integrazione da anticipare. Abbiamo dovuto appoggiarci sulle nostre forze e su un’ottima stagione estiva. Sapevo che Aurelio Damiani voleva vendere e da sempre mi piaceva il suo locale leggero, vetrato, vicino al mare ma non proprio sulla sabbia. In questa situazione abbiamo trovato la fortuna e il coraggio di compiere la nostra mossa: lui lascia il locale in salute, per aprire una nuova stagione di vita. Noi entriamo in punta di piedi, con qualche timore verso la sua figura, perché è un luogo identitario, dalla clientela affezionata; ci vorrà tempo per renderlo nostro, ma siamo fiduciosi come sempre. Faremo dei lavori sia in sala che in cucina, senza stravolgerle, per sintonizzarle su quello che siamo a livello di sensazioni, ma la struttura resterà la stessa. Sempre una trentina di coperti, più il dehors per gli aperitivi. Non apriremo prima di aver finito i lavori, in maggio; mentre Banco 12 ci sarà da metà marzo. Noi trasferiamo l’Arcade in tutti i sensi, a livello stilistico, di arredamento, di atmosfera. Cambia l’indirizzo, non l’idea di cucina, che definirei neoclassica istintiva, anche se la squadra crescerà fin quasi a raddoppiare, sono già in contatto con diversi ragazzi. Andando sul mare, dovremo confrontarci intimamente con il territorio, senza cambiare fascia di prezzo: resterà il menu Percorso Nikita, alleggerito a pranzo come il lab light di Uliassi; ma ci sarà anche un degustazione esclusivamente di mare a base di pescato locale. Poi una decina di piatti alla carta e un pranzo veloce da 40 euro. Partiremo dai nostri classici, come Sedano, carota e cipolla o Cervo e cozze. Poi penso a un’insalata di crostacei e molluschi con salsa ai cannolicchi; allo scampo con arachidi, basilico e rose; alla fettuccella ai granchi con gamberi rossi e plancton; a un brodo di pomodoro verde e finocchietto selvatico… Composizioni che rappresentino l’estate: colori, sapori, freschezza ed eleganza. Voglio lavorare su questo”.

Coquillages e pollo arrosto

Brodo di pomodoro verde e finocchietto selvatico

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Inchieste

YOJI TOKUYOSHI: CAMBIARE IL FORMAT Yoji Tokuyoshi è stato forse l’unico chef in Italia che abbia trovato il coraggio di riconvertire totalmente il suo ristorante di fronte all’infuriare della pandemia, lasciando sul campo una stella. Ma appena passata la buriana, giura, riprenderà la caccia al firmamento. La sua è una bentoteca itinerante, che vende appunto bentō, le composite schiscette giapponesi, a Milano e in giro per l’Italia, con consegne spot nelle principali città in date evento. L’idea, precedente il covid, era quella di una gastronomia giapponese da aprire a Milano in un altro locale, ma è stato naturale trasferirla nel ristorante inutilizzato, occupandone in parte il personale.

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“Per aspera ad astra”. È tutta in questo motto latino la gioia dello chef Felice Sgarra dopo il riconoscimento della prima stella Michelin ricevuta a soli quattro mesi dall’apertura. Con Felice, in questa avventura, iniziata appena l’11 luglio scorso, ci sono i due fratelli Riccardo, suo gemello, e Roberto. Un risultato che vale doppio in tempi di pandemia, in ogni caso la conferma della bontà di un concept articolato e visionario che ha consentito al ristorante il sold out, durante l’estate 2020. Questo importante riconoscimento – a cui Felice Sgarra era legato, essendo già stato “stellato” per Umami ad Andria – profuma di grande coraggio nel ripartire in un momento tanto delicato quanto difficile. Ma non solo. È la risultante dell’originalità della proposta gastronomica con pregiate materie prime del territorio e qualche incursione fuori regione; della competenza e creatività in cucina, di una carta dei vini e dei distillati di prestigio; della piacevolezza del servizio e dell’impegno sempre espresso con sorriso ed umiltà dallo chef Felice, dal sommelier Riccardo e dal maître Roberto. In evidenza alcune specialità come l’insalatina di crostacei crudi, panna acida, yuzu e limone; la melanzana, burrata di Andria e pomodoro cotto e freddo e la deliziosa cassata di Casa Sgarra. La Guida Michelin descrive così il locale: “Affacciato sul lungomare di Trani, ad una ventina di minuti di cammino dal pittoresco porto, preparatevi all’accoglienza di una calorosa famiglia composta da tre fratelli, due in sala, il terzo ai fornelli. In ambienti moderni e raffinati, la cucina è una dichiarazione d’amore per la Puglia. Benché non manchino escursioni extra regionali (in particolare piemontesi), la carta è un fiorire di fave, mandorle di Toritto, burrata e ricotta forte, tartufi e ceci neri della Murgia, farina di grano arso e naturalmente gli eccellenti oli della regione. Se simpatia ed accoglienza sono di casa, la miglior didascalia è il sottotitolo che i tre fratelli hanno scelto per il loro ristorante: “una storia di famiglia”.

CASA SGARRA UNA STORIA DI FAMIGLIA Lungomare C. Colombo 114 76125 Trani (BT) Tel. 0883 895968 - 349 1867499 info@casasgarra.it www.casasgarra.it

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CALAMARO CON MANDORLE DI TORITTO, CIPOLLOTTO E IL SUO NERO INGREDIENTI PER 4 PERSONE PER IL CALAMARO

g. 500 di calamari freschi • g. 400 di ghiaccio PER IL CIPOLLOTTO

g. 50 di di scalogno • g. 50 di cipollotto fresco g. 20 di olio extravergine cultivar Bambina o Coratina brodo ristretto del calamaro q.b. PER LA SPUMA DI MANDORLE

g. 70 g di patata lessa • g. 50 di crema di mandorle g. 200 di latte di soia PER LE MANDORLE FRESCHE

g. 200 di mandorle Filippo Cea (presidio Slow Food) acqua fredda PER IL NERO CORALLO

g. 140 di brodo vegetale · g. 50 di olio evo • g. 15 di farina di riso (o farina per pane senza glutine) · g. 10 di nero di calamaro PROCEDIMENTO

Per il calamaro: mondare i calamari, eviscerandoli e tenendone da parte il nero (sacca interna dell’inchiostro); intagliare nella parte interna il calamaro con l’uso di un coltello affilato ponendo attenzione a non dividerlo. Riporre il tutto in frigo con del ghiaccio. “Addormentare” testa e ali dello stesso calamaro in una casseruola con il ghiaccio e, cuocendolo a fuoco vivo fino a far sciogliere il ghiaccio, dimezzare l’acqua del brodo: risulterà un brodo rosato, privo di oli ma ricco del profumo intenso del cefalopode.

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Per il cipollotto: mondare lo scalogno e il cipollotto e, dopo, tagliarlo a julienne. Far imbiondire il tutto in una padella antiaderente con un velo di olio evo; sfumare con il brodo di calamaro facendo man mano assorbire il tutto: dovrà risultare un composto morbido e polposo. Per la spuma di mandorle: unire gli ingredienti in una casseruola di acciaio; porla a fuoco medio per alcuni minuti e, con l’uso del minipimer, frullare a una forza centrifuga leggera, evitando di far schiumare il composto. Setacciarlo e porlo nel sifone; chiudere con attenzione e caricare con due fiale di azoto. Tenere in caldo a bagnomaria. Per le mandorle fresche: tenerle in ammollo una notte e poi spellarle a vivo una ad una. Per il nero corallo: mescolare gli ingredienti tra loro, mixarli con il frullatore a immersione fino ad ottenere un composto denso. Versare un cucchiaio di composto in una padella antiaderente preriscaldata e aspettare che l’acqua evapori completamente, lasciando un reticolo croccante sul fondo. Finitura del piatto: scottare il calamaro in acqua a 90 °C per circa trenta secondi, poi scolare, riempirlo con il cipollotto e con le mandorle fresche. Bruciare con il cannello a fuoco vivo il calamaro e vaporizzare con aceto affumicato. Impiattare con la sifonata di mandorle, poi con il calamaro scottato, ultimando con il corallo di nero e una grattugiata di mandorle fresche. Guarnire con delle foglioline di Cress verdi e un filo d’olio.


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GNOCCHI DI PATATE VONGOLE E CIME DI ZUCCHINE INGREDIENTI PER 4 PERSONE

1 uovo intero g. 250 di farina g. 500 di patate lesse schiacciate g. 500 di cime di zucchine g. 200 di vongole veraci olio extravergine sale fino q.b. PROCEDIMENTO

Versare in una ciotola la farina, le patate e l’uovo intero, aggiungendo il sale. Impastare solo per qualche minuto, compattare, stendere l’impasto sino a raggiungere 2 centimetri di spessore. Tagliare delle strisce longitudinalmente, smussare gli angoli e tagliare gli gnocchetti. Tenerli in frigo fino al momento della cottura. Aprire le vongole a vapore controllato a 95 °C per 4 minuti; pulire frutto a frutto facendo attenzione ad eventuali residui di sabbia. Condire le stesse vongole con olio extravergine. Mondare le verdure e cuocerle, conservando le cime e le parti migliori alla vista; la restante parte andrà frullata con olio extravergine, un poco di peperoncino, pepe e pochissimo sale Maldon. Cuocere gli gnocchi in poca acqua per 2 minuti e poi arrostirli in una padella antiaderente. Subito dopo adagiarli su carta e successivamente collocarli nel piatto con crema di cime di zucchine e vongole condite.

TIRAMISÙ ALLO ZENZERO E CAROTA DI POLIGNANO INGREDIENTI PER 4 PERSONE

4 tuorli d’uovo 1 uovo intero g. 100 di zucchero semolato g. 375 di panna montata g. 60 di zenzero fresco grattugiato g. 60 di carota di Polignano g. 300 di caffè al ginseng g. 50 di caffè liofilizzato g. 100 di cereali germinati PROCEDIMENTO

Montare le uova con lo zucchero finché non diventano bianche; amalgamarvi la panna montata, con delicatezza per non smontarla e poi lo zenzero e la carota grattugiata. Una parte dello stesso composto lavorarlo con il caffè e abbatterlo in forme di stampi piccolini. Rovesciare il composto precedente nello stampo e inserirlo in una formina da caffè (precedentemente abbattuta a temperatura negativa). Lasciarlo nel freezer per 24 ore. FINITURA

Su ogni piatto, adagiare il tiramisù; guarnire con il caffè e ultimare con i cereali germinati.

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Sala Dei Grappoli

A MONTALCINO

SALA DEI GRAPPOLI NUOVA STELLA MICHELIN A CASTELLO BANFI CON LO CHEF DOMENICO FRANCONE

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FashionFood

Situata nel contesto del castello medioevale di Poggio alle Mura, oggi conosciuto come Castello Banfi, la Sala dei Grappoli accoglie i propri ospiti in un ambiente elegante e raffinato. La cucina a vista, all’ingresso del ristorante, offre ai clienti la possibilità di osservare la brigata all’opera, prima di accomodarsi in una delle due sale, con pareti decorate da tralci di vite, a ricordarci il territorio in cui il ristorante si trova. Nel periodo estivo il ristorante si arricchisce di una splendida terrazza affacciata sulle mura dello storico castello, dove lo sguardo si apre sulla meravigliosa Val d’Orcia, patrimonio mondiale Unesco. Lo Chef Domenico Francone, di origine pugliese, cresce in una famiglia con una forte tradizione culinaria e si avvicina giovanissimo al mondo della ristorazione, maturando esperienze in prestigiosi ristoranti italiani ed internazionali. Arriva in Toscana nel 2008 per fare esperienza presso lo stellato Il Ristorante di Banfi. Dopo la sua chiusura, lo chef si trasferisce a Londra, dove matura esperienza presso il ristorante stellato Apsleys di Heinz Beck. Un momento magico che fa nascere in lui il desiderio di continuare a viaggiare, ma allo stesso tempo di tornare a vivere in Toscana. Ed è qui che Banfi gli offre una seconda opportunità. A Castello Banfi-Il Borgo, oltre a seguire La Taverna, supportato da una brigata di talento sia in sala che in cucina, riapre l’ex ristorante stellato la Sala dei Grappoli, dove l’autenticità e i sapori della cucina italiana e mediterranea, si uniscono in modo

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Sala Dei Grappoli

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CRUDO DI GAMBERI ROSSI, PAPPA AL POMODORO, BURRATA E BASILICO INGREDIENTI PER 5 PORZIONI CRUDO DI GAMBERI

10 gamberi rossi freschissimi, puliti e battuti con l’ausilio di un coppapasta tondo. MAIONESE AL BASILICO

1 uovo g. 300 di olio di semi al basilico g. 50 di olio extravergine d’oliva Banfi g. 5 di aceto caldo g. 5 di succo di limone sale q.b. PAPPA AL POMODORO

5 pomodori g. 100 di pomodorini ciliegia 1 cipolla 1 spicchio d’aglio g. 100 di pane raffermo basilico olio extravergine d’oliva Banfi sale e pepe q.b. zucchero q.b. CORALLO NERO DI SEPPIA

g. 30 di nero di seppia g. 350 di acqua g. 300 di farina g. 100 di olio evo tarallo sbriciolato insalatina erbette JUS DI BUFALA

g. 250 di burrata di bufala g. 100 di latte g. 2 di Xantana sale olio extravergine d’oliva

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PROCEDIMENTO:

Maionese al basilico: con l’ausilio di un frullatore a immersione montare l’uovo, aggiungere l’olio al basilico a filo e infine il resto degli ingredienti. Pappa al pomodoro: sbollentare i pomodori in acqua bollente per 2 minuti circa, togliere la pelle e tagliare la polpa a cubetti, saltare in padella i cubetti con olio extravergine d’oliva Banfi, aglio e basilico, per 1 minuto. A parte cuocere le bucce e i semi insieme a 10 pomodorini, aglio, sale, pepe e un pizzico di zucchero per 15 minuti circa; passare tutto al passaverdure. Unire i pomodorini a cubetti, una manciata di pane tostato e far cuocere per pochi minuti ancora, regolare di sale. Jus: emulsionare tutti gli ingredienti.


Sala Dei Grappoli


FashionFood

EV OL UZIONE D I QUA GLIA PROCEDIMENTO

armonico esaltando i prodotti del territorio, in un abbinamento perfetto ed unico con i vini Banfi. Castello Banfi-Il Borgo dal 2019 fa parte dell’associazione Relais & Chateaux, l’insieme di ristoranti gourmet, boutique hotel, resort e ville da anni protagonisti nel settore dell’accoglienza. “Il nostro più grande desiderio è quello di raccontare ai nostri ospiti la varietà di gusti e colori della tradizione italiana, esaltandone allo stesso tempo le infinite potenzialità. Siamo infinitamente grati a tutti coloro che credono nel nostro impegno, stimolandoci a migliorarci ogni giorno”, ha commentato l’Executive Chef Domenico Francone. Dominata da una fortezza e situata in un antico borgo medioevale, la tenuta Banfi sorge su un’area di 2.830 ettari, a conduzione familiare, a Castello di Poggio alle Mura sui colli della Val d’Orcia, nei pressi di Siena. Qui la famiglia Mariani, proprietaria dal 1978, si dedica con passione alla ricerca dell’eccellenza per la prestigiosa produzione del Brunello di Montalcino, rigorosamente ispirata a principi di sostenibilità. Su questi presupposti si basa l’accoglienza elegante e calda simile a quella di una casa e l’esplosione di sapori della migliore cucina toscana. “Con i suoi ristoranti, l’Enoteca e la Balsameria, il Borgo offre agli ospiti la possibilità di immergersi completamente nelle tradizioni enologiche e culinarie della Toscana” – commenta Cristina Mariani-May, CEO & Owner.

CASTELLO BANFI SALA DEI GRAPPOLI Tel. +39 0577 877524 - Fax. +39 0577 877530 E-Mail: reservations@banfi.it

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Disossare una quaglia per intero e batterla con un batticarne; aggiungere sale e pepe, la crespella sottile, gli spinaci e la salsiccia. A questo punto arrotolare la quaglia e legarla con uno spago; avvolgerla con pellicola e carta da forno e cuocere a vapore per 40 minuti a 80 °C. Dell’altra quaglia tenere da parte i petti e disossare tutte le cosce conservando le ossa. Frullare la polpa delle cosce con la panna, il sale e il pepe e formare delle polpettine. Cuocerle in forno misto vapore, coperte con pellicola, a 80 °C per 30 minuti. Toglierle dal forno, inserire le ossa precedentemente conservate, passare le coscette nella farina, albume e granella di nocciole semitritate. Cuocere l’uovo di quaglia in acqua bollente per 3 minuti e sbucciarlo. Nel frattempo rosolare il rotolino di quaglia insieme all’altro petto solo dalla parte della pelle, poi infornare per 4 minuti, unendo anche la coscetta, a 190 °C. Per la crespella: mescolare tutti gli ingredienti insieme e versare il composto in una padella calda con pochissimo olio, cercando di farla sottile. Cuocerla da entrambi i lati. Composta di cipolle rosse: tagliare le cipolle, rosolarle nel burro, aggiungere l’aceto, lo zucchero, il sale e il vino e lasciar cuocere per circa 30 minuti a fuoco basso, coperto. Crema di sedano rapa: tagliare la cipolla e rosolarla, aggiungere il sedano rapa, coprire con acqua e lasciar cuocere per 30 minuti. Frullare e aggiustare di sale.


Sala Dei Grappoli INGREDIENTI PER 4 PERSONE

2 quaglie · 2 uova · g. 50 di farina “00” · g. 100 di cipolla rossa · g. 50 di salsiccia · g. 10 di spinaci · g. 50 di granella di nocciole · 1 uovo di quaglia · g. 20 di sale · g. 50 di zucchero · g. 50 di aceto di lamponi · g. 50 di vino rosso · g. 100 di latte INGREDIENTI PER LA CRESPELLA

g. 80 di latte · g. 20 di farina 00 · g. 3 di sale · 1 uovo · g. 5 di olio extravergine d’oliva Banfi · g. 30 di burro · g. 50 di panna g. 200 di sedano rapa · succo di rapa rossa filtrato e ridotto


GourmetFood Maria Vittoria Caporale Foto di Nikoboi di

A BOLOGNA

AL PAPPAGALLO CENTOUNO ANNI DI TRADIZIONE E CONTINUA EVOLUZIONE. Centouno anni. Il Ristorante Al Pappagallo nasce infatti nel 1919 in via Pescherie, nel cuore pulsante dell’attività commerciale di Bologna, dove fin dai tempi più antichi le strade prendevano il nome dalle arti e dai mestieri che vi venivano esercitati. A capo del ristorante, insieme ai figli, Giovanni Zurla, famoso cuoco professionista apprezzato dall’aristocrazia bolognese.

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AlPappagallo

Solo nel 1937 Al Pappagallo fa dell’antica Casa Bolognini, in Piazza della Mercanzia, la sua sede, dove per oltre cinquant’anni è il cuoco Bruno Tasselli a deliziare con i suoi piatti i commensali, tra cui personaggi del cinema, della cultura e della musica del panorama italiano e internazionale.

Ma la storia del Ristorante Al Pappagallo non finisce qui: dal 2017 la scrivono Michele Pettinicchio, attento gourmet e cuoco per passione, con una lunga carriera da imprenditore e manager nel campo della moda ed Elisabetta Valenti, sua compagna nella vita e nel lavoro, figura complementare alla creatività di Michele, grazie alla quale ogni piccolo particolare gastronomico e gestionale è meticolosamente curato. Michele, sin dal principio, si è dedicato alla ripresa dei grandi classici, i piatti della tradizione bolognese, simbolo de Al Pappagallo, che custodiscono la cultura del sapore, la convivialità e l’abbondanza che lo hanno reso celebre per oltre cento anni e che ogni bolognese, qui, si aspetta di trovare. La fedeltà alla cultura circolare dell’accoglienza non ha dovuto attendere molto, prima di essere riconosciuta. Il 2019, infatti, non ha segnato solo un secolo di vita, ma è stato un anno di riconoscimenti: il “Tortellino D’Oro”, “per l’inestimabile eredità culinaria petroniana racchiusa in una cucina di antiche tradizioni” e il “Premio Giovanni Nuvoletti” ricevuto dall’Accademia Italiana della Cucina, per il contributo alla conoscenza e valorizzazione della buona tavola tradizionale regionale. Michele, nel 2019, comincia la ricerca di una cucina solida per un grande ristorante come Al Pappagallo, che elevi il gusto, la bellezza estetica e interpreti la sua creatività. La personalità adatta a questo compito la trova in Marcello Leoni, nome noto della cucina felsinea con un passato al Trigabolo di Argenta, poi a fianco di Gianfranco Vissani e al Sole di Trebbo di Reno. La tradizione è la leva, il punto di partenza a cui Leoni dona spessore, attraverso un continuo studio e una minuziosa ricerca delle materie prime, preferibilmente locali, in abbinamento a una carta dei vini ricca e attenta, che rende omaggio alle eccellenze del territorio. Al Pappagallo l’attenzione nella scelta degli ingredienti


GourmetFood

PASSATELLI IN CREMA DI PARMIGIANO INGREDIENTI PER I PASSATELLI

2 uova 6 cucchiai di parmigiano reggiano 24 mesi 10 cucchiai di pan grattato noce moscata q.b. INGREDIENTI PER LA CREMA

1 patata 2 scalogno 1 rametto di rosmarino g. 250 di latte g. 250 di brodo sale q.b.

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AlPappagallo

PROCEDIMENTO

Passatelli: in un recipiente mettere le uova, il parmigiano, il pangrattato e un po’ di noce moscata, impastare fino ad ottenere una consistenza solida (non deve esser né troppo dura né troppo morbida); normalmente per trafilare i passatelli si usa un passapatate a fori grandi. Schiacciare i passatelli con forza direttamente nella pentola dove bolle il brodo, cuocere per qualche minuto e scolare. Impiattare e aggiungere la crema di parmigiano. Crema: a fuoco lento aggiungere olio, scalogno tritato, soffriggendo per qualche minuto, dopodiché unire le patate precedentemente bollite e schiacciate e il rosmarino; dopo 5 minuti aggiungere latte, brodo, sale q.b. e frullare il tutto.

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IL BOLLITO

FRIGGIONE 2 cipolle dorate g. 5 di Campari g. 40 di passata di pomodoro 1 arancia Tagliare sottili le cipolle e soffriggerle a fuoco lento per circa un’ora, aggiungere il Campari, il succo di arancia e alla fine la passata di pomodoro, cuocendo per altre 3 ore.

PURÈ DI PATATE 4 patate medie g. 50 di burro

g. 50 di panna sale q.b.

Bollire le patate, schiacciarle con lo schiacciapatate, metterle in un tegame unendo burro, panna, sale, mescolando fino a ottenere una crema morbida.

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MOSTARDA MANTOVANA A CUBETTI


AlPappagallo

E LE SUE SALSE BOLLITO g. 50 di mammella g. 50 di doppione g. 50 di testina g. 50 di cappello del prete g. 50 di cotechino

SALSA DI PEPERONI 2 peperoni rossi · 2 filetti di acciughe g. 5 di capperi · g. 5 di sottaceti

Cuocere la carne per 6 ore in acqua aromatizzata con aglio, alloro e pepe nero, ad eccezione del cotechino che va cotto a parte.

Arrostire i peperoni rossi in forno per un’ora a 200 °C, farli raffreddare, togliere la pelle, frullare con i filetti di acciughe, i capperi e i sottaceti.

SALSA VERDE 1 uovo sodo g. 100 di latte 1 spicchio d’aglio g. 10 di sottaceti

g. 5 di capperi 2 filetti di acciughe g. 50 di pane 1 mazzetto di prezzemolo (solo foglie)

Ammorbidire il pane nel latte per un giorno. Scolare il pane e frullarlo grossolanamente insieme a tutti gli altri ingredienti fino ad ottenere una salsa.

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impone il rispetto della loro stagionalità. La pasta fresca, ruvida perché tirata al matterello come vuole la tradizione, qui si può mangiare sempre, come a casa. Primi fra tutti i tortellini, rigorosamente al mignolo, sia in doppio brodo di cappone, in crema di latte al parmigiano reggiano, o goccia d’oro, avvolti da una crema di panna, tuorlo d’uovo, parmigiano reggiano e una spolverata di tartufo bianco quando è stagione; ma anche le tagliatelle al ragù tradizionale e le lasagne verdi alla bolognese. Il cannellone, piatto della memoria della cucina casalinga italiana, è proposto in versione classica, con besciamella e ragù alla bolognese, ma anche con ricotta e pomodoro, nella stagione estiva. O ancora il nostro bollito, che qui abbandona il tipico carrello ed è servito scomposto con le sue salse, come una tavolozza di colori, o la cotoletta di vitello alla bolognese, una delle più rinomate in città, accompagnata dal friggione al Campari. Impossibile non lasciarsi tentare dai dessert: dalla zuppa inglese alla maniera dell’Artusi al latte in piedi al gelato al wasabi con spuma tiepida al cioccolato e il tiramisù scomposto con cialda al cacao e caffè espresso servito direttamente dal bricco. Il 2020 è stato un anno di grandi novità, iniziato con il restyling degli ambienti del ristorante, in collaborazione con l’architetto Giacomo Migliori e lo scenografo Steno Tonelli di Globe Theatre, e il rinnovamento, con un restauro conservativo, dell’antica Torre Alberici, considerata la più antica bottega di Bologna, risalente al 1273, che propone una formula più smart: un menù adatto alla consumazione veloce di qualità, che affonda le sue radici nelle antiche usanze conviviali tipiche delle botteghe con cucina. Le restrizioni dettate dall’emergenza Covid-19 non hanno scoraggiato Michele ed Elisabetta che hanno saputo affrontare coraggiosamente questa sfida. Hanno infatti attivato il servizio di delivery e da asporto proponendo un menù dedicato, con piatti da cuocere in tempi brevissimi, secondo le istruzioni fornite alla consegna, per coccolare i loro clienti e accorciare le distanze durante questo periodo difficile.

AL PAPPAGALLO Piazza della Mercanzia 3 - Bologna Tel. +39 051 232807 ristorante@alpappagallo.it

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AlPappagallo

TIRAMISÙ SCOMPOSTO CON CAFFÈ ESPRESSO IN BRICCO INGREDIENTI PAN DI SPAGNA

3 uova g. 100 di zucchero g. 125 di farina 1 bustina di lievito INGREDIENTI MASCARPONE

g. 225 di mascarpone 3 tuorli g. 30 di zucchero PROCEDIMENTO

Pan di Spagna: montare le uova insieme allo zucchero per 10 minuti aggiungendo a pioggia, lentamente, la farina ed il lievito. Mettere in una pirofila e cuocere in forno a 160 °C per 50 minuti. Mascarpone: montare i tuorli insieme allo zucchero aggiungendo il mascarpone fino a creare una crema con la giusta densità. Impiattare e versare il caffè espresso lentamente sul pan di Spagna.

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GourmetFood

A COMO

KITCHEN RICEVE LA PRIMA STELLA CON ANDREA CASALI


Kitchen

Nel novembre scorso, lo Chef Andrea Casali del ristorante Kitchen di Como ha ricevuto la sua prima stella Michelin. Ventisette anni, di origini comasche, Andrea Casali è il direttore d’orchestra della brigata. Dopo 7 anni a fianco dello chef Franco Caffara, assimilando consigli e segreti del mestiere – soprattutto per la preparazione di tutto ciò che riguarda il mare e il sud – decide di intraprendere la sua strada portando al Kitchen una cucina che rivisita la tradizione italiana con una sola parola chiave: rispetto per la materia prima. Da quasi 3 anni alla guida del ristorante, sta portando avanti il progetto di valorizzazione dell’orto biodinamico, le cui erbe e verdure impreziosiscono i piatti. Dunque i prodotti a metro 0 si sposano con i sapori del Mediterraneo, declinandosi in piatti signature quali L’assoluto di pomodoro che celebra le origini siciliane dello Chef. L’orto diventa quindi uno dei protagonisti sul palcoscenico del Kitchen. Lo Chef commenta: “Il progetto di valorizzazione è nato durante il lockdown, con l’idea di far fronte all’esigenza del momento di mangiar bene in un contesto di bellezza dove poter vivere un’esperienza di benessere, a due passi dalla città”. “La mia filosofia di cucina – dichiara Casali – punta alla ricerca partendo dalla tradizione per arrivare alla rielaborazione di piatti italiani in chiave innovativa, con grande attenzione alla qualità della materia prima. Tra le proposte ci sono molti piatti a base di carne e pesce di mare, dove risaltano i profumi del Mediterraneo e della Sicilia, la mia terra di origine. I miei menu sono molto decifrabili da parte del cliente, le preparazioni sono accurate, declinate in piatti creativi, ma semplici al tempo stesso. Lavoriamo sulla memoria del palato, su sapori che possano ricordare ai nostri ospiti la propria infanzia.”

L’OMBRINA ALLA MUGNAIA CON SPINACINI NOVELLI INGREDIENTI

4 tranci di ombrina da g. 150/200 cad. g. 250 di spinacino fresco g. 500 di fumetto g. 50 di vino bianco g. 60 di burro g. 30 di farina 1 limone 1 foglia di alloro sale q.b. PROCEDIMENTO

Per la salsa alla mugnaia: mettere a scaldare il fumetto con alloro e scorza di limone. In un pentolino a parte mettere a ridurre il vino bianco. Realizzare il roux usando farina e burro. Una volta ottenuto, versarvi il fumetto e frustare il composto; subito dopo aggiungere la riduzione di vino bianco, portare a bollore fino ad ottenere una salsa densa e lucida. Per la cottura del pesce: scaldare un sautè. Insaporire il pesce con sale e olio d’oliva. Una volta raggiunta la temperatura della padella, adagiarvi il pesce dalla parte della pelle e portarlo a cottura con una temperatura interna di 41 °C. Per lo spinacino: portare ad alta temperatura la padella e saltarvi velocemente lo spinacino con un filo d’olio d’oliva e sale q.b. Impiattamento: comporre il piatto con il pesce al centro e, nella parte superiore, lo spinacino spadellato. Ultimare con la salsa alla mugnaia.

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GourmetFood

SPAGHETTONI ALLA BARBABIETOLA, BURRO ACIDO E CLOROFILLA INGREDIENTI

g. 300 di spaghettoni g. 70 di burro acido ml. 100 di acqua di barbabietola ml. 100 di clorofilla di prezzemolo

PROCEDIMENTO

Cerchiamo di dare al piatto sapori che evochino emozioni, partendo dall’Italia e rivisitando ricette tradizionali in chiave inedita. La nostra filosofia nasce per comunicare a tutto il mondo i sapori italiani e renderli riconoscibili per emozionare: da qui è nata l’idea del menu degustazione “L’Italia secondo noi”. Il Kitchen è incastonato nella suggestiva cornice del parco del complesso di Sheraton Lake Como Hotel, di proprietà e gestione della famiglia comasca Mallone De Santis.

KITCHEN Via per Cernobbio 41 Como +39 031516460 info@kitchencomo.com Facebook: @KitchenComo

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Burro acido: in una casseruola far ridurre della metà 110 grammi di aceto di vino bianco, 250 grammi di vino bianco e 200 grammi di scalogno tritato. Filtrare il composto e utilizzare il liquido caldo ridotto. Montare con la frusta energicamente il composto, aggiungendo poco alla volta 250 grammi di burro tagliato a cubetti, freddo di frigo. Inizialmente il composto risulterà slegato, ma montandolo con energia si otterrà un composto omogeneo. Per facilitare l’operazione porre la casseruola sopra uno strato di acqua e ghiaccio, così da legare le parti. Una volta ottenuta la crema di burro, metterla in frigo a raffreddare. Clorofilla di prezzemolo: sfogliare due mazzi di prezzemolo fresco, sbollentarli per circa 1 minuto in acqua salata bollente; successivamente raffreddarli in acqua e ghiaccio. Scolare e frullare il prezzemolo con del ghiaccio per mantenere il colore verde brillante, legare con la gomma Xantana, aggiustando di sale e filtrando. Acqua di barbabietola: tagliare a cubetti le barbabietole cotte a vapore e pelate, estrarne il succo utilizzando un estrattore, filtrare per due volte per ottenere un’acqua limpida e priva di grumi. Cuocere gli spaghettoni in acqua salata bollente per circa 8 minuti; successivamente scolarli e finire la cottura in padella con l’acqua della barbabietola (circa 4 minuti). Aggiustare di sale e mantecare con il burro acido. Impiattare ponendo al centro del piatto il nido di spaghetti e versare intorno ad esso la clorofilla.



ASSAGGIO DI

LIBRI

a cura di Giorgia Zucchi

ENCICLOPEDIA ENOGASTRONOMICA DELLA ROMAGNA - Volume 3 Anche in questo terzo volume, Pozzetto convoca sulla scena contadini e gastronomi di antica sapienza, narratori e poeti, cucinieri e saggisti, per renderci, nelle sue pagine affascinanti e militanti, la civiltà delle province romagnole, con i loro colori e i loro “eccessi”, ben rappresentandoli nelle numerose ricette o nelle pagine memorabili dei grandi padri della cultura romagnola.

di Graziano Pozzetto - Editore Il Ponte Vecchio 400 pagine - Euro 16,00

CHEF STELLATO PER UNA SERA Anche in una cucina “normale” come quella di casa (senza abbattitori o strumenti sofisticati) si possono ottenere risultati straordinari. Lo dimostrano le 50 ricette raccolte in questo libro e firmate ciascuna da uno chef stellato: con le preparazioni spiegate passo passo, i consigli per impiattare a regola d’arte e l’inconfondibile “tocco d’autore” che rende unico ogni piatto. Nel libro troverete anche i suggerimenti per abbinare il vino giusto a ogni pietanza.

di Andrea Biagini - Editore DeAgostini 176 pagine - Euro 16,00

IL PIATTO RACCONTA Un piatto ben presentato raccoglie l’approvazione del commensale ancora prima dell’assaggio. Il Iibro celebra una nuova generazione di chef, fotografi e food stylist che stanno adottando un approccio fresco, ragionato e, talvolta, audace nell’allestimento dei loro piatti. Il testo combina interviste a una rosa internazionale di chef a guide pratiche sui temi dei ferri del mestiere, del colore, della consistenza, dell’aroma, della forma e delle stoviglie. di Rebecca Flint Marx - Editore Bibliotheca Culinaria 256 pagine - Euro 49,90

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CUCINARE CON JOAN ROCA A BASSA TEMPERATURA La cottura a bassa temperatura è un metodo tradizionale che oggi, grazie al progresso tecnologico, può essere applicato con più precisione per ottenere risultati straordinari. Non c’è maestro migliore di Joan Roca, chef pluristellato, che in questo volume esplora i diversi metodi, diretti e indiretti, per cucinare a bassa temperatura – in sottovuoto, in vaso, in liquido, al vapore e in forno – affiancandoli con consigli e astuzie per trarre il meglio da ciascuno. di Joan Roca - Editore Bibliotheca Culinaria 352 pagine - Euro 42,00

MANGIA COME PARLI Davide Oldani ha deciso qui di “raccontare” la sua cucina proponendo ai lettori i piatti presentati nel corso della trasmissione “Mangia come parli” di Radio24, condotta con Pierluigi Pardo. Utilizzando un linguaggio semplice e accompagnando le preparazioni passo dopo passo senza più separare gli ingredienti dal procedimento, ha creato un amalgama funzionale all’esecuzione dei piatti. Le ricette sono state raccolte seguendo il criterio della stagione e valorizzando sempre le caratteristiche e la provenienza di ciascun ingrediente, con belle foto. di Davide Oldani - Editore Il Sole 24 Ore 160 pagine - Euro 16,90

RESTAURANT FUNNEL SYSTEM Finalmente il libro attraverso il quale qualsiasi ristoratore potrà acquisire e riutilizzare il metodo che ha aiutato centinaia di imprenditori nel settore. Il Restaurant Funnel System™ è un sistema capace di creare un processo di marketing scientifico cucito su misura per il proprio locale, un sistema che guiderà passo dopo passo con un linguaggio semplice attraverso un viaggio atto a rivoluzionare definitivamente il modo di vedere e applicare il marketing. di Alex Bartolocci 288 pagine - Euro 19,90


Vinaria

NEL MONDO DEL VINO

IL TALENTO NON È TUTTO SERVE IL PROFESSIONISTA di

Alessandro Rossi

Il talento è dote o se ne è naturalmente provvisti, o, se non c’è non si può imparare - inclinazione troppo più profonda di una capacità, troppo più radicata di una passione, troppo più caratterizzante di un volto o di una maniera, per poter essere riprodotta o fingerla. Può il talento nel vino sopperire, da solo, alla mastodontica struttura organizzativa che sorregge l’impalcatura di questo settore? La risposta non è né retorica, né scontata, perché il talento non è tutto. Usain Bolt raccontava qualche tempo fa: “Faccio una cosa molto bene, ma il talento non basta. È il primo insegnamento che mi ha impartito il coach. Puoi avere talento, ma se non lavori duramente non diventi un campione”. Il talento da solo, quindi, non basta. Ma anche un grande professionista, chi sceglie i quadri o le risorse umane, ad esempio, da solo non arriva da nessuna parte e qui entra in scena il concetto del gruppo. Il gruppo esiste da sempre, è un principio quasi animalesco, sostanzialmente naturale: aiutare i propri simili per uno scopo comune. Può un gruppo aiutare un talento? Così sembra, considerando che - sempre restando in ambito sportivo - non sarebbe esistito un Maradona senza un Bagni o un Platini senza un Bonini o almeno così si mormora. Ma torniamo al vino. Il vino è talento: se un grande professionista ne sembra sprovvisto, il talento in fondo c’è. Non ho mai visto emergere all’interno di questo mondo persone senza un briciolo di talento, ma ho viste sprofondare tante che di talento ne avevano a fiumi. Purtroppo non è bastato. Il mondo del vino, quello del futuro, è fatto di professionisti con caratteristiche differenti ma compatibili e utili alla causa. Nel nuovo mondo, il nuovo verbo avrà diversi dizionari, diverse

sfaccettature che vanno coltivate con attenzione, da curare in ogni minimo dettaglio. Il gruppo sarà eterogeneamente dissimile, con soggetti anche profondamente opposti. C’è il bicchiere con la sua degustazione, il marketing, la comunicazione, il mercato italiano, quello estero e chi più ne ha più ne metta. Tanti professionisti uniti per un unico scopo: il successo del vino. Il gruppo, il sostenere insieme una filiera così complessa come quella del vino è la chiave del successo del Made in Italy per cui siamo famosi in tutto il mondo. Il vino è parte integrante della nostra cultura che ha ancora molto da raccontare: nonostante il grave periodo storico, il settore vitivinicolo continua a crescere e a offrire interessanti e sempre nuove opportunità lavorative ai veri wine-lovers. L’Italia occupa tra i primi posti nella classifica mondiale dei produttori. Data la complessità della filiera del vino e l’interesse che un numero sempre maggiore di persone le rivolgono - complice anche il web - questa attraversa un gran numero di settori e professionalità coinvolte in diversa misura nei processi di lavorazione e commercializzazione. Quindi? Quindi il gruppo è il futuro. Sostenere il talento, perché talentuoso non è solo il front man, anche il mago dei social, ad esempio, ha un ruolo assoluto in un mondo digitalizzato come quello di oggi. Uniti per un successo comune. Unire i talenti e le differenti professionalità per far emergere ancora di più un’Italia che merita sempre di più di riconfermarsi ai primi posti. D’altronde siamo famosi anche per questo: essere un’inesauribile fucina di talenti, ma con la T maiuscola.

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Vinaria

IL VINO CHE SARÀ UN 2020 DRAMMATICO MA FORMATIVO, DAGLI ETEROGENEI EFFETTI SULLE CANTINE di

Roger Sesto*

La pandemia che ha colpito il nostro pianeta ha messo in ginocchio molti settori economici e, in modo eterogeneo, molti Paesi del globo, a partire per gravità dagli Usa. Tra i comparti più colpiti l’HoReCa e, con esso, il mondo della vitivinicoltura. Vediamo come alcune tra le più interessanti cantine della Penisola hanno saputo gestire questo contraccolpo, in che misura e con qual modalità. Con nuove “parole d’ordine” che si sono materializzate: shop online, social media, brand ambassador, fare sistema con i partner di vendita, curare e informare i clienti. Ma con la consapevolezza che il rapporto umano resta imprescindibile.

La chiusura delle attività HoReCa dovuta a questo nuovo lockdown autunnale, oltre che creare grandi difficoltà ai diretti protagonisti, sta mettendo a dura prova l’indotto, a partire per esempio dalle aziende vitivinicole, costrette loro malgrado a reinventarsi e a mettere a punto nuove strategie di marketing. Peraltro, nonostante un 2020 così anomalo condizionato dalla pandemia di Covid, si registra comunque un incremento delle vendite di vino e di spumanti italiani: +5,3% in volume (+4,8% vino, +10,4% bollicine), con prezzi medi aumentati dell’1,4%. I vini Bio si mantengono sui livelli di crescita del 2019, evidenziando un +12.5% in volume. In sintesi, i primi mesi di quest’anno sono stati decisamente condizionati dalle chiusure delle attività, mentre, dopo i segnali di ritorno alla normalità del periodo estivo, si è ve-

rificata una buona ripresa autunnale, ma che inevitabilmente sarà presto ridimensionata per via della seconda ondata pandemica. Qualche considerazione può aiutare a interpretare le rinnovate abitudini dei consumatori di vino. Fermo restando che salutismo, ecosostenibilità, gratificazione e adeguato rapporto qualità/prezzo rimangono un must, da un lato si è riscontrato un generale aumento degli acquisti di vino Doc, ma, durante il lockdown primaverile, gli acquisti si sono concentrati sui vini comuni (ex vini da tavola) e sono incrementati sino al 122% gli ordini di vino online, tendenza – quest’ultima – che si è poi protratta anche nei mesi successivi. Ma ecco alcune interessante testimonianze forniteci un po’ da tutta Italia dai diretti interessati, intesi come titolari di realtà vitivinicole, esposte in ordine alfabetico.

* L’autore desidera ringraziare Riccardo Sette per il supporto dato alla raccolta di alcune informazioni quantitative e per i suggerimenti relativi alla selezione delle cantine da interpellare.

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Vinaria

ARGIOLAS (SERDIANA, CAGLIARI) SÌ A SOCIAL E A BRAND AMBASSADOR, MA SEMPRE PIÙ ATTENZIONE ALLE ESIGENZE DEI CLIENTI Valentina Argiolas, nipote del fondatore Antonio Argiolas, rappresenta la terza generazione dell’azienda sarda. Avendo come sbocco principale il settore HoReCa (80%), sono riusciti ad as-

ANTINORI (FIRENZE) LA MULTICANALITÀ DELLE VENDITE E I TANTI MERCATI GEOGRAFICI STANNO LIMITANDO I DANNI Stefano Leone, direttore commerciale generale di Antinori, asserisce che la situazione è complessa ma non disperata. La chiusura dei ristoranti è uno dei tanti settori colpiti dal lockdown, ma ci sono settori commerciali come il travel retail che è stato colpito anche di più. Antinori è presente in tutti i canali; mediamente il 50% della produzione è destinata alla in ristorazione, valore che nel 2020 si ridurrà – obtorto collo – al 30%, portando quindi ad una ovvia redistribuzione del venduto su canali alternativi. Per sua natura questa realtà fiorentina, esportando il 60-65% in 170 paesi diversi, non ha subito grossi contraccolpi dovuti alle

sorbire le perdite del primo lockdown ma ora, ammette la stessa Valentina, questa situazione non è più sostenibile. L’altro 20% del mercato italiano è rappresentato dalla Gdo, locale e nazionale, e dal comparto delle vendite online. Esportano il 35% in 65 paesi diversi, primo mercato la Germania e a seguire gli Usa, che sono cresciti negli ultimi anni, ma “oggi l’importatore che segue soprattutto il settore alberghiero sta subendo contraccolpi importanti, limitando gli ordini”, dichiara la patron. Che si dice assolutamente a favore di nuove figure professionali, come social media, marketing manager, brand ambassador: “Bisogna scegliere persone giuste che trasmettano in maniera chiara i veri valori dell’azienda”, dice Valentina. Con il pensiero rivolto al futuro, la programmazione aziendale per tutto il 2021 è già stata effettuata: ci saranno sostanziali cambiamenti, con una maggiore attenzione al cliente e una personalizzazione delle attività. “Abbiamo imparato l’utilizzo del tempo. Siamo tornati alla terra, che, se rispettata, ci proteggerà di conseguenza.”

varie chiusure, se non sul mercato domestico. In tutto il mondo ci sono anche tanti canali in crescita rispetto al 2019, come i Monopoli e la Gdo. Il focus delle aziende dev’essere quello di produrre qualità associata all’indentitarietà di un vino, il che attira e fidelizza il consumatore. Trovandoci in una fase temporale dominata dalla “multicanalità” delle informazioni e da evidenti limitazioni alle esperienze fisiche, più che in passato è aumentato il contatto tramite i social media e, in senso più lato, attraverso il canale digitale. “La pandemia ci sta insegnando che bisogna essere flessibili per fronteggiare cambiamenti improvvisi di scenari, ma al tempo stesso che la pianificazione strategica di lungo periodo resta fondamentale per mantenere una rotta corretta in un momento di così grande incertezza”.

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CANTINA TERLANO (TERLANO, BOLZANO) NO ALLA VENDITA DIRETTA E ALLA GDO, MA UN SERIO SUPPORTO AI PARTNER DI VENDITA STORICI Klaus Gasser, direttore commerciale di Cantina Terlano, si dice relativamente fortunato: “Essendo, la nostra, una cooperativa solida e sana, siamo riusciti a gestire questo pur complicato 2020 in modo adeguato, pur consci che ci attende un 2021 non certo semplice”. La cantina esporta in circa 50 paesi, per un 35-

40% del fatturato; i principali mercati? Germania e Usa: “La crisi che ha colpito il nostro settore, causata dall’arcinota questione, lo ha fatto in modo molto eterogeneo e variegato, tanto che il nostro fatturato globale è aumentato, essendo stato il mercato estero decisamente meno problematico di quello domestico”. Per Terlan la Gdo è poco appetibile; producendo nettari di fascia medio-alta, la grande distribuzione risulta inadatta, quanto meno per volumi importanti. “Collaborare con la Gdo – afferma Gasser – comporta una vendita sottoprezzo per essere competitivi: una strategia quasi suicida per realtà come la nostra, che danneggerebbe il nostro posizionamento di mercato e di conseguenza l’immagine aziendale; sono troppo poche le catene in grado di offrire un servizio idoneo alla vendita di vini importanti”. Per quanto concerne la vendita diretta, essa non può essere la soluzione a un problema strategico come questo, anzi si tratta di una pericolosa scorciatoia, una vera e propria “guerriglia” nei confronti dei partner storici (enoteche, rivenditori), i quali viceversa vanno a maggior ragione supportati in un contesto del genere, senza creare attriti competitivi di cui non se ne sente proprio il bisogno. Il direttore, a chiusura della sua testimonianza, tiene ad aggiungere che i social rafforzano il brand e consolidano la propria “presenza digitale”, aiutano a promuovere il valore del marchio e sostengono la vendita, ma che non vanno eccessivamente sopravvalutati.

nale HoReCa, questo secondo lockdown autunnale è stato particolarmente penalizzante. L’export è soprattutto europeo, con un mercato Usa oggi in particolare sofferenza, con cali di oltre il 50% rispetto all’anno precedente. Da due anni con una referenza in Gdo, i Colosi vedono questo mercato come un’opportunità in più per farsi conoscere, senza preoccupazioni sul possibile deprezzamento del vino.

CANTINE COLOSI (PACE DEL MELA, MESSINA) SI PAVENTAVA UN CONFLITTO TRA E-COMMERCE E AGENTI, E INVECE NE È NATA UNA SINERGIA

Colosi, con i suoi 11,5 ettari di vigneto compresi tra Capo Faro e Porri, è fra i produttori più rappresentativi dell’isola di Salina. Essendo il loro mercato per l’80% nazionale e costituito dal ca-

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Presenti sul Web attraverso Tannico, WinePlatform e con il loro e-shop, paventavano inizialmente che queste piattaforme andassero in conflitto con il lavoro degli agenti e delle enoteche, ma invece si sono rivelati mezzi efficaci e sinergici; l’importante, dicono, è un’adeguata modulazione dei prezzi. Valutando anche l’ingresso nell’ormai famosa app Winelivery, Piero Colosi, che rappresenta la quarta generazione alla conduzione dell’azienda, confessa “che è vitale muoversi in ogni direzione e che queste soluzioni ‘digitali’ sono tutti strumenti di supporto, pur non raggiungendo ancora l’efficacia de canali tradizionali. D’altra parte i momenti di crisi sono ciclici, destabilizzano per poi creare possibilmente nuovi e più solidi equilibri, se li cavalchi con lungimiranza, traendone stimolo per fare sempre più e meglio, possono solo rafforzarti”.


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CATALDI MADONNA (MADONNA DEL PIANO, L’AQUILA) TIRARE LA CINGHIA PER AVERE RISORSE DA INVESTIRE AL MOMENTO DELLA RIPARTENZA Giulia Cataldi Madonna, con i suoi 30 ettari vitati, produce circa 230.000 bottiglie l’anno. Si dice preoccupata, ma spera nel periodo natalizio per chiudere l’anno con perdite minime. Anche se deve ammettere che la ripresa estiva aveva portato un po’ di turismo e di rinnovato entusiasmo. Per una propria scelta strategica, la cantina ha scelto di lavorare poco con la Gdo (i distributori ne destinano il 5-10% del totale) ma di ampliare l’export, che oggi rappresenta circa il 30% del fatturato. Il suo principale mercato sono gli Stati Uniti, che però al momento è praticamente fermo, e, a macchia di leopardo, l’Europa. Secondo Giulia, l’ampliamento del canale della Gdo non è una soluzione, in quanto spopolano quasi solo vini di fascia di medio-bassa e c’è troppa competizione sul prezzo di vendita. L’opzione, almeno temporaneamente più interessante, è quella di creare canali complementari e stringere ancora di più i rapporti con l’HoReCa, che in questo momento però può lavorare solo con asporto e delivery. “Bisogna risparmiare in tempi come questi, così da avere risorse, alla ripartenza, da investire in nuovi progetti, ricordandosi di osservare sempre la parte mezza colma del calice”.

ELENA FUCCI (BARILE, POTENZA) LA PRIMAVERA 2021 SARÀ DECISIVA: UN DRAMMA SE SALTERANNO ANCORA LE FIERE Elena Fucci ha avviato la sua attività nel 2000. Oggi esporta in 56 paesi nel mondo, tramite 29 differenti importatori. I principali clienti sono enoteche, ristoranti e wine club privati. “Gli Usa sono il mercato estero principale – racconta la Fucci – ma oggi, essendo aperto un ristorante su quattro, la differenza la riescono a fare quegli importatori che hanno saputo creare lo shop online. L’anno decisivo sarà il 2021; marzo e aprile sono dietro l’angolo: se non si riusciranno a organizzare le fiere internazionali del vino, aumenterà l’incertezza e si andrà incontro a un periodo molto impegnativo”. L’azienda sta comunque chiudendo l’anno con un segno positivo, ciò grazie alla politica di esigere pagamenti anticipati, a diversi ordini giunti da privati nel corso del primo lockdown e a un’estate piuttosto ricca di turisti. Cosa succederà a livello di prezzi e quanto saranno colmi i magazzini nel 2021 sono tra gli interrogativi di Elena, che sta pensando all’apertura di un proprio shop online. Non si prende invece in considerazione l’approdo nella Gdo: meglio rafforzare la propria posizione nei mercati esteri. L’azienda ha potenziato la presenza sui social e l’uso delle piattaforme per le videoconferenze; ma si è molto perplessi sulle fiere online: come si degusta il vino? In tutti i modi, ogni canale di

comunicazione e di vendita ha un proprio pubblico, e mai come in questo momento è importante essere multicanale. “Questa situazione ci sta facendo capire quanto alla fine siano importanti i rapporti umani, che mai più sottovaluteremo in futuro”.

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FIORINI (BARCHI, PESARO-URBINO) NON FATTURARE A DICEMBRE È COME NON VENDERE PER TRE MESI, MA L’OTTIMISMO NON SCEMA Carla Fiorini, che rappresenta l’ultima generazione della famiglia di viticoltori di Barchi, nonostante le difficoltà del periodo è prona a guardare al futuro con ottimismo, avendo di recente ampliato e rinnovato la sua azienda, dotata di una tenuta 45 ettari nella valle del Metauro. Anche Cantina Fiorini, come altre realtà, è riuscita a tener botta ai danni economico-finanziari causati dal primo lockdown, ciò perché durante la ripresa estiva il fatturato è risultato essere superiore a quello dello stesso periodo del 2019, ma “i danni si conteranno nei prossimi mesi: non fatturare a dicembre è come non farlo per tre mesi durante l’anno, con una incidenza negativa sul volume d’affari finale del 10%”, questo il “grido di dolore” di Carla. Che prosegue: “Perdere partner commerciali come i ristoratori è anche una perdita in termini di rapporti umani”. Secondo Carla, avere qualche etichetta nella Gdo, a livello di piccoli supermercati locali, fa sempre comodo, senza che ciò crei scompensi a livello di prezzi e danni a livello di im-

IL MARRONETO (MONTALCINO, SIENA) QUI NESSUNA RIPERCUSSIONE; NO AI BRAND AMBASSADOR: SOLO CHI LO FA, SA DIRE DEL SUO VINO Il Marroneto di Alessandro Mori produce circa 36mila bottiglie all’anno. “Non faccio wine-tourism o vendita diretta – afferma Mori – ma lavoro con gli importatori per il mercato internazionale e con un solo distributore in Italia; per dirla tutta, quest’anno non ho notato nessuna particolare flessione degli ordini, anzi, semmai il contrario”. Secondo la sua opinione, sono soprattutto le etichette di fascia medio-bassa a patire la crisi causata dalla pademia. Complice un certo ottimismo verso il 2021, anche grazie al pros-

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magine. Più in generale, con un 70% di vino venduto localmente e un 20% commercializzato sul territorio nazionale, rimane poco spazio per l’export; una Doc poco conosciuta come il Bianchello del Metauro (tipologia di punta della cantina, declinata in varie etichette) è difficilmente posizionabile da parte dei grandi importatori internazionali. Ma nonostante tutto, la Fiorini, come già detto, si mantiene ottimista: “Per il 2021 continuiamo a progettare e a pensare, perché la ripartenza sarà grandiosa e dobbiamo farci trovare pronti; ci siamo abituati alla modalità ‘slow’, ma dobbiamo prepararci per una ripresa alla grande”.

simo arrivo del vaccino anti-Covid, Il Marroneto già a novembre ha completato l’allocazione dei suoi Brunello presso i clienti per tutto l’anno a venire. Amando molto viaggiare, Alessandro non si avvale di figure come i brand ambassador, anche perché, questo il suo pensiero, nessuno sarebbe in grado di “raccontare” i suoi vin meglio di lui, essendoci “una stretta connessione tra i miei vini e la mia filosofia”. Il suo più grande rammarico? Quello di non poter abbracciare per tutto il 2020 tutti i suoi amici; una dolorosa limitazione dato il suo carattere espansivo. L’aspetto più positivo? La diminuzione dell’inquinamento e dell’antropizzazione, che ha permesso alla natura di riappropriarsi trionfalmente di parte dei suoi spazi. “Il futuro è il ritorno al passato”.


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LIBRANDI (CIRÒ MARINA, CROTONE) GRAZIE (ANCHE) ALL’E-COMMERCE E ALLA GDO, I NUMERI NON SONO PER NULLA COLLASSATI Paolo Librandi, contitolare e direttore commerciale di Tenute Librandi, confessa che, pur subendo un danno per la chiusura dell’HoReCa, operando su più canali ed evitando conflittualità con i partner, la sua azienda è riuscita a contenere i danni, grazie soprattutto all’aumento del fatturato derivante dalle vendite online e da quelle del canale Gdo. Con oltre 30 mercati esteri a rappresentare il 40% delle vendite, Librandi afferma che, sostanzialmente, il volume d’affari legato all’export va a pareggiare quello dell’anno scorso: le vendite negli Usa non hanno registrato particolari perdite e quelle verso la Germania, che costituiscono il 50% dell’export, sono in linea con quelle del 2019. Per quanto riguarda il mercato interno, la Gdo rappresenta il 20% delle vendite, con una rete distributiva a livello regionale. Tornando alle vendite online, cresciute del 400%, ci si è appoggiati alle principali piattaforme; scartata invece l’idea della vendita diretta, per con cannibalizzare l’attività dei propri agenti. Le 2,5 milioni di bottiglie prodotte all’anno sono declinate su due linee; una di fascia alta per l’HoReCa, e l’altra di fascia medio-bassa per la Gdo. “I due canali – chiosa Paolo – possono convivere nella stessa azienda, se gestiti in maniera ordinata. L’importante è non farsi prendere dal panico, dovuto all’attuale situazione, ragionando sempre in termini strategici di lungo termine”.

LUNGAROTTI (TORGIANO, PERUGIA) IL CONSUMATORE MODERNO È SEMPRE PIÙ CURIOSO, E ALLORA VA INFORMATO 250 ettari vitati, 2 cantine, 29 etichette, 2,5 milioni di bottiglie prodotte all’anno: questi i numeri della storica cantina di Torgiano, da sempre fortemente orientata verso il canale HoReCa. Chiara Lungarotti, amministratore delegato del gruppo, confessa di soffrire molto questa situazione e questo clima di incertezza. La produzione aziendale è indirizzata per il 55% al mercato interno e per il 45% a quello estero. Per quanto riguarda l’Italia, il 70% del vino è destinato al “fuoricasa”, mentre il 30% alla Gdo, al delivery e all’e-commerce (Tannico, Vino.75). Tra le strategie future, Chiara annovera una sempre maggior presenza sui social, questo perché il consumatore s’è fatto più attento e curioso, curioso di conoscere le scelte aziendali e la loro sottesa ratio; inoltre è necessario essere sempre più lungimiranti e predittivi, così da essere sempre “sul pezzo” sia in ambito europeo sia mondiale. “Il 2020 ci lascia la consapevolezza di dover mantenere sempre il proprio modo di lavorare, e approfondire la nostra conoscenza. La nostra professionalità ci aiuterà sicuramente a superare questa crisi”.

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MARCHESI DI BAROLO (BAROLO, CUNEO) IL DIGITALE SARÀ SEMPRE SEMPRE PIÙ IMPORTANTE, MA IL RAPPORTO COL CLIENTE RESTA CRUCIALE Ernesto Abbona, al vertice di Marchesi di Barolo e presidente Uiv (Unione Italia Vini), ritiene che multicanalità e diversificazione dei mercati di sbocco siano due tra le principali leve per contrastare la crisi. Il digitale in questa partita giocherà un ruolo molto importante, offrendo nuove opportunità per fare promozione e comunicazione, oltre a rappresentare uno strumento efficace di potenziamento delle vendite dirette e del direct marketing. Il rapporto con il consumatore costituisce un patrimonio aziendale sempre più importante, da coltivare e mantenere, anche con l’utilizzo degli strumenti digitali, purché il tutto venga gestito in seno a dinamiche enoturistiche; e non come alternativa, ma come integrazione ai tradizionali canali distributivi. L’accelerazione dell’online, la crescita della Gdo e la crisi dell’HoReCa hanno cambiato le dinamiche tra i diversi canali, assottigliando quelle barriere che storicamente marcavano la strategia multicanale. I confini tra enoteca, ristorante e supermercato si sono fatti più labili, così come l’esperienza online si integra in maniera sempre più forte con l’offline. Dai buyer internazionali è arrivato al recente

convegno “Wine2wine” un messaggio chiaro: guardare in modo diverso la Gdo. Vanno trovati nuovi equilibri per valorizzare al meglio sia le peculiarità dei nostri diversi partner distributivi sia la diffusione della cultura del vino di eccellenza. Paolo Castelletti, segretario generale di Uiv, afferma che, dopo una buona ripresa nei mesi estivi, oggi la situazione è preoccupante, con una perdita complessiva per l’intero settore vinicolo, rispetto al 2019, di 1,2 miliardi di Euro. Il 2021 sarà ancora un anno di sofferenza e solo nel 2022 si comincerà a percepire una ripresa.

MARISA CUOMO (SAN MICHELE, SALERNO) BRAND AMBASSADOR E PRESENZA SUI SOCIAL MEDIA POSSONO AIUTARE MOLTO 200.000 bottiglie per annata, divise in 9 differenti terroir della Costiera Amalfitana; 68 piccoli conferitori, numerosi terreni e vitigni autoctoni recuperati dall’abbandono: tutto ciò è sintesi Marisa Cuomo. Andrea Ferraioli, marito di Marisa, confessa tutto sommato di ritenersi fortunato, riuscendo ad affrontare le difficoltà di questo 2020 grazie al target medio-alto dei vini aziendali, che minimizza le perdite in termini di vendite. “L’importante è fare sistema – afferma Ferraioli – aiutando il più possibile i ristoratori”, attraverso per esempio il blocco e le dilazioni dei pagamenti. Il mercato regionale è molto importante per questa cantina, costituendo il 42% del fatturato; il 28% proviene dalle vendite Italia; il restante 30%, che rappresenta ovviamente l’export, è frutto soprattutto del mercato Usa (California e New York), quindi Giappone, Svizzera, Russia. Per quanto concerne la Gdo, Marisa e Andrea ritengono sia un canale importante per farsi conoscere. Ma sono anche molto favorevoli alla presenza sui social media e al supporto professionale che possono dare i brand ambassador e gli wine influencer. In ogni caso, conclude Andrea, “il rispetto della terra e degli uomini è sempre stato al centro della nostra filosofia”.


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MASO MARTIS (TRENTO) TUTTI I CANALI SONO INTERESSANTI, A PARTE LA NON ADATTA GDO, MA MANCA IL VIS-À-VIS Sales manager e contitolare dell’azienda bio Maso Martis, Roberta Giurali dichiara che “sicuramente queste misure (quelle legate alla pandemia, n.d.r.) rappresentano un danno enorme. Uno dei pochi aspetti positivi di questo periodo è che le pressanti richieste dei nostri clienti che ci costringevano a far uscire alcuni prodotti prima del loro perfetto affinamento ora lo sono un po’ meno, dandoci agio di far maturare alla perfezione i nostri prodotti a beneficio della loro qualità”. Lamenta Roberta la stagnazione del mercato estero, che per fortuna però rappresenta solo il 5% del fatturato, essendo la cantina ancora giovane e in fase di posizionamento. Il 95% è destinato dunque al mercato domestico, di cui il 30% a quello regionale. Maso Martis lavora molto sull’accoglienza e sull’espansione del mercato nazionale, sfruttando ogni canale: e-shops, enoteche, ristoranti e wine lovers. Trattandosi di una realtà medio-piccola, la Gdo non è una strada praticabile, essendo necessaria la disponibilità di grandi numeri di bottiglie. “I rapporti umani – conclude la Giuriali – vanno curati e salvaguardati, l’importanza della convivialità, del vis-à-vis alle fiere internazionali sono aspetti cruciali che ci mancano molto”.


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UMANI RONCHI (OSIMO, ANCONA) L’E-COMMERCE È DI GRANDE AIUTO, MA OCCORRE COMUNICARE DI PIÙ E MEGLIO Storica e solida azienda marchigiana, da diversi anni con tenute anche in Abruzzo di dimensioni medio-grandi, vede la sua produzione essere distribuita per il 90% attraverso il canale HoReCa, e per la restante parte attraverso la Gdo. Suo amministratore delegato è Michele Bernetti, anche contitolare, che tiene a ricordare come la sua realtà sia presente negli shop online, attraverso le piattaforme più riconosciute, come Tannico, con l’idea di far a breve l’ingresso nella rivoluzionaria (per il settore) app Winelivery. Bernetti afferma che “Umani Ronchi tramite gli agenti sta lavorando bene sul territorio nazionale, perché le enoteche e le gastronomie continuano ad effettuare ordini, ma i vini di fascia medio-alta stanno risentendo di questo pesante contesto”. L’export è pari 70% del volume di affari, ripartito su 60 paesi. “La gravità della crisi – afferma il Ceo – varia da paese a paese: quelli del nord Europa, lavorando con il monopolio, restano mercati fiorenti, mentre altri, come quello Usa, dove la ristorazione è ferma, sono bacini decisamente più critici. Il focus per il 2021 è quello di prestare maggiore attenzione alla comunicazione e rafforzare sempre più il rapporto con i clienti”.

VENICA & VENICA (DOLEGNA DEL COLLIO, GORIZIA) I LOCKDOWN METROPOLITANI E LO STOP ALL’HORECA I REALI PROBLEMI Azienda friulana di circa 40 ettari, produce dalle 190mila alle 310mila bottiglie l’anno. Patron Ornella Venica, pur contenta della “ripresina” estiva, che ha contribuito a recuperare le perdite causate dal lockdown primaverile, si dice in generale preoccupata. “Lavorando praticamente solo con il settore HoReCa, il nuovo blocco autunnale di alcune grandi città come Milano, che rappresentano commercialmente punti nevralgici per Venica & Venica, è davvero un problema. Inoltre circa il 45% del nostro fatturato lo dobbiamo all’export, in particolare agli Stati Uniti, giusto il Paese al mondo più colpito dalla crisi pandemica. Alcuni importatori che hanno attivato la vendita diretta online stanno lavorando bene, ma ciò non basta per uguagliare il fatturato 2020 a quello del 2019”. Parlando di Gdo, l’azienda ritiene che il problema sia una guerra di prezzi che ne può conseguire, oltre al fatto, sempre secondo Venica, che al supermercato vi è poca propensione a spendere cifre medio-alte per l’acquisto di vini italiani. “Per noi – conclude Ornella – è importante raccontare la nostra storia, che si fonda fra l’altro anche sul tema dell’ecosostenibilità, e per farlo abbiamo bisogno di ristoratori ed enotecari professionisti”.

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VILLA BUCCI (OSTRA VETERE, ANCONA) SHOP ONLINE, PREZZI STABILI E CURA DELLA RETE VENDITE: QUESTI I MUST Ampelio Bucci, già professore di marketing e comunicazione, tra i padri fondatori della Fivi (Federazione Italiana Vignaioli Indipendenti), dedica oggi gran parte del suo tempo alla propria azienda vitivinicola. “L’attuale situazione – chiosa Bucci – ci sta danneggiando enormemente, perché il consumo di vini di qualità e di brand come i nostri, ovunque avviene per gran parte nell’HoReCa, ossia il canale di gran lunga più colpito dalla pandemia. Tra i mercati esteri, è noto, quello che più sta patendo la crisi è lo statunitense; l’Europa si differenzia in base agli Stati, mentre l’Asia si sta riprendendo bene. Lavorando molto sulla qualità e non sul continuo aumento della produzione, le 120.000 bottiglie da noi prodotte sono posizionate esclusivamente attraverso una solida rete di vendita costruita con anni di lavoro. L’apertura dello shop online è stata per noi l’unica opzione possibile per arginare la diminuzione delle vendite, una scelta che abbiamo compiuto con oculatezza per non entrare in conflitto con Tannico. In che modo? Vendendo solo in casse e non singole bottiglie”. Secondo Bucci la Gdo è sicuramente un canale strategico, uno dei pochi che ha ret-

to le avversità del 2020, ma per fruire di questo canale occorre proporre il prodotto giusto al prezzo opportuno, altrimenti i danni economici e di immagine sarebbero irreversibili. Ciò che una cantina come Villa Bucci può fare è diversificare l’offerta e suddividere il rischio. Restare solidi sul prezzo, senza variarlo. “Curare la rete vendite e mantenersi in continuo contatto con i clienti sono le azioni da intraprendere in questi periodi di incertezza”. Una cosa è certa, questo 2020 lascerà numerosi insegnamenti. La mancanza del rapporto umano ha stimolato a usare piattaforme per mantenere le connessioni socio-economiche, facendo comprendere che, a beneficio dell’ecosostenibilità, forse alcuni spostamenti erano superflui. Un anno che ha “regalato” tempo: tempo per pensare, formulare idee creative, elaborare nuovi progetti. Un anno che ha fatto passare un messaggio: la necessità di farsi multitasking, multicanale, di performare meglio la comunicazione al pubblico, sempre più strategica. Sicuramente se ne uscirà cambiati, si auspica in meglio, a tutti i livelli.


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IL GRIGNOLINO CON MULETTA E GRISSIA ECCELLENZE MONFERRINE di

Fabrizio Salce

Si chiama “Muletta” ed è un pregiato salume tipico del Monferrato. Del suo nome non abbiamo certezze: sembrerebbe che sia stato coniato dai soldati piemontesi di ritorno dalla grande guerra in ricordo del termine “Mula” che a Trieste viene usato per indicare la ragazza. Ma se del nome abbiamo solo supposizioni, della bontà e della qualità dell’insaccato non ci sono dubbi. Per la sua produzione vengono infatti utilizzate carni suine di prima scelta e lavorati tagli pregiati come la coscia, la spalla, il culatello. Un’altra particolarità della “Muletta” si evidenzia nel fatto che viene insaccata, a livello di budello naturale, esclusivamente nell’intestino cieco, e questo significa che possiamo avere una sola “Muletta” per ogni capo animale. La tipologia di budello rende il nostro salume presentabile al pubblico con una forma ovoidale, mentre il suo peso può variare dai

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600 grammi ad oltre il chilo. Come accade sempre con i prodotti artigianali, è chiaro che ogni produttore ha la sua ricetta personalizzata, motivo per cui le Mulette possono differenziarsi al taglio della fetta nelle sfumature di sapore, nella grandezza della grana macinata e nella concia. Si produce con un buon 80% di carne e il restante 20% di grasso di pancetta, la si stagiona per un minimo di sei mesi ma possiamo tranquillamente lasciare trascorrere un anno e anche più prima di godercela a tavola. Oltre alle carni vengono usate per l’impasto le spezie, le erbe, il sale, l’aglio e il buon vino del territorio, in genere Barbera. Il suo sapore è decisamente interessante, delicato ma al contempo le note di speziato lo rendono presente, decisamente appagante per il palato. È un piacevole salume, oggi una De. Co. (denominazione comunale), che deve essere gustato in compagnia di altri due ingredienti monferrini.


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Ecco allora che è consigliabile abbinare alle fette di “Muletta”, tagliate a coltello e non troppo spesse, un pane tipico del luogo: la “Monferrina” detta “Grissia”. Parliamo di un pane a pasta dura dal doppio impasto. Verrebbe voglia di dire che è un pane di altri tempi, vista la lunga lavorazione che richiede e la sua consistenza; di sicuro un pane molto buono che si sposa perfettamente con il salume. La “Monferrina” ha una forma particolare, questo grazie alla bravura dei panettieri artigiani, una figura che ricorda due chiocciole unite insieme alle estremità posteriori. Grazie alla pasta dura può essere conservata per alcuni giorni e le due punte finali della forma, per via della gradevole croccantezza, vengono storicamente usate per strofinarci sopra lo spicchio d’aglio. In poche parole per fare quella che in dialetto piemontese viene chiamata sòma d’aj, un’antica usanza gastronomica popolare. Un buon salume abbinato ad un buon pane fa sì che occorra il terzo personaggio in scena e in bocca, dunque un buon vino! Siamo nel Monferrato e allora Grignolino. Il Grignolino è uno dei vini tipici di quest’area, una terra di dolci colline che si estende nelle province di Asti e di Alessandria. Grignolino d’Asti e Grignolino del Monferrato Casalese. Vitigno autoctono che prende il nome dal termine dialettale dei vinaccioli: “Gragnola”, difficile da lavorare, sia in vigna che in cantina. Un piccola quantità di questo vino viene anche prodotta in provincia di Cuneo: è doveroso menzionarlo.

In questo caso con la “Muletta” e la “Grissia” è lampante che ci si orienti sul Grignolino del Monferrato Casalese, pertanto dobbiamo ricordare che proprio Casale Monferrato, provincia di Alessandria, all’inizio del 1900 contava un centinaio di cantine e, siccome allora la provincia di Asti non esisteva, era questa la più vitata d’Italia. Il Grignolino è un rosso che sposa benissimo anche il pesce, meglio ancora se cucinato in umido. Muletta, Grissia e Grignolino, tre eccellenze di questa terra del sud del Piemonte, tre piacevolezze che segnaliamo con grande affetto, da gustare sul territorio, ma anche da acquistare per portarsele a casa e da condividere con persone care. Perché si sa: pane, salame e vino vogliono sempre un amico vicino.

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