L'ago di Clusane numero 2

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Aprile 2012 Numero 2

L’ago di Clusane Dei cittadini, per i cittadini

Gli articoli: • L’angolo dell’educazione: l’alfabeto educativo • Più veloci della luce.Anzi no. • Worldwide metro: viaggiatori, non turisti • L’impronta digitale • Le biotecnologie in Italia • Fra le immagini

In questo periodo, abbiamo più volte sentito discutere del PGT da giornali e concittadini. Ma cosa significa questa sigla? Perché è tanto importante? Soprattutto, perché riguarda ognuno di noi? Il Piano di Governo del Territorio (abbreviato PGT) è uno strumento di pianificazione urbanistica introdotto dalla legge regionale n°12 del 2005. Esso va a sostituire il Piano Regolatore Generale (PRG) e ha lo scopo di definire l'assetto dell'intero territorio comunale. Il PGT si compone di tre atti distinti che coinvolgono tutta la cittadinanza, periti esperti in vari campi e il consiglio comunale. Il primo atto della stesura del PGT è il “documento di piano” che definisce il quadro generale della programmazione urbanistica. Tutti i cittadini e le associazioni locali possono avanzare proposte ed esigenze destinate all’utilizzo delle aree private e comuni. Ciò significa che i cittadini sono chiamati a partecipare alla pianificazione territoriale già nelle prime fasi della stesura, al contrario di quanto avveniva nel PRG. Proprio per questo, è prevista la costituzione di un “osservatorio” che ha il compito di raccogliere dati che illustrino la realtà delle esigenze, dei bisogni e delle attese dei cittadini, in modo che il comune possa definire politiche e fissare obiettivi il più possibile aderenti alle richieste della comunità. Il documento di piano prevede inoltre un lavoro di analisi del territorio da tutti i punti di vista, incluso quello geologico, ambientale, viabilistico, infrastrutturale, economico, sociale e culturale. Il secondo atto del PGT viene chiamato “piano dei servizi”, in quanto definisce le strutture pubbliche o di interesse pubblico di cui il comune necessita. Tale piano tiene conto del costo delle strutture esistenti e future e definisce la modalità di realizzazione dei servizi. Il terzo atto del PGT è il “piano delle regole”. Quest’ultimo atto definisce le destinazioni delle aree comunali (es. area agricola, area di interesse paesaggistico, area storica o ambientale) e le modalità di intervento urbanistico sia sugli edifici

esistenti, sia sugli edifici di nuova costruzione. Quando il PGT risulta concluso, al consiglio comunale spetta il voto di adozione. Forse non tutti sanno che lo scorso 3 febbraio è stato riadottato il PGT del nostro comune. Una volta che la delibera verrà pubblicata sull'albo pretorio, i cittadini potranno nuovamente esprimersi presentando osservazioni di carattere personale o generale che verranno discusse e votate da un consiglio dedicato, al termine del percorso di adozione. Uno strumento utile che permette ad ogni cittadino di esprimere la propria opinione, che dà la possibilità di ideare e costruire il paese anche a chi è lontano dalla politica : ecco quello che dovrebbe essere il PGT. Purtroppo spesso i cittadini rinunciano al diritto di “far sentire la loro voce” , forse per pigrizia, forse per la complessità con cui il PGT viene diffuso. Il Piano di Governo del Territorio può rischiare, allora, di diventare uno strumento utilizzato solo da chi ha una conoscenza tecnica specifica dell'ambito urbanistico. Certamente si presta attenzione alle aree di interesse privato... Ma per quanto riguarda le aree pubbliche? Chi si assume l'incarico, l'onere di difendere le aree di interesse culturale e paesaggistico? Noi tutti ci affidiamo al consiglio comunale e troppo spesso ci adeguiamo a quello che gli altri scelgono per noi. Forse dovremmo iniziare ad interessarci del nostro paese, a farci delle domande sul territorio che ci ospita, ad esprimere le nostre idee... E forse il comune dovrebbe sensibilizzare e diffondere con metodi e strumenti adeguati le trasformazioni del territorio, anche ai cittadini che non hanno la competenza o l'opportunità di accedere ad un indirizzo internet per scaricare il Pgt. In conclusione, il Pgt deve diventare uno strumento di tutti i cittadini per tutti i cittadini e, come disse un famoso sceneggiatore: "L'unico modo per iniziare a fare qualcosa è smettere di parlare e iniziare a fare". Paola Bianchi


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L’angolo dell’educazione: l’alfabeto educativo

" Ogni intervento educativo passa necessariamente attraverso un atto, un gesto, un intervento che non può essere privo di affetto "

Mi piacerebbe proporre, in questo spazio che mi è stato dato, un alfabeto educativo. Questo dovrebbe aiutarci ad entrare nel tema dell’educazione tramite dei flash, cioè sintetici stimoli di riflessione volti a migliorare sempre più il compito educativo a cui tutti siamo chiamati. Dedico quindi il “primo numero” alla lettera “A”, che farà da apripista alle tematiche che approfondiremo per diversi numeri. Gli argomenti non sono elencati in ordine di importanza, ma per come sono stati suggeriti dal cuore. Non si può parlare di educazione senza partire dal presupposto che educare significa Amare. Ecco allora il nostro primo sostantivo: Amore, che ne racchiude in sé altri, come Affetto e Amorevolezza. Ogni intervento educativo passa necessariamente attraverso un atto, un gesto, un intervento che non può essere privo di affetto. Un affetto sincero, che non cerchi secondi fini, ma che, al contrario, ricerchi il bene della persona verso cui portiamo il nostro intervento, anche se per tendere a questo l’intervento può creare momentanea sofferenza e fatica. E questo Amore è necessario che venga percepito dall’altra persona. Vorrei ora sottolineare come l’intervento educativo non è, e non deve essere, interesse solo di un Educatore, ma un cosiddetto “affare di stato”, in cui ogni Adulto deve prendersi le proprie responsabilità nei confronti dell’intera comunità in cui vive. Ogni Adulto, infatti, è responsabile e corresponsabile di quanto accade attorno a lui e in maniera prioritaria di quanto accade ai bambini e ai giovani. Nessuno può chiamarsi fuori da questo grande compito educativo: genitori, formatori, insegnanti, catechisti, allenatori, ecc., perché se ognuno facesse la sua parte, la mala-educazione diminuirebbe a vista d’occhio! Quanto di più essenziale l’educatore deve far crescere nell’educando è l’Autostima: i bambini, gli adolescenti e i giovani hanno

bisogno di sentirsi Amati, Accolti, di sapere che c’è qualcuno che è disposto a dedicare loro del tempo per Ascoltarli, per Aiutarli. Questo farà crescere la consapevolezza che non saranno mai soli, ma che qualcuno ha stima di loro. L’autostima è una componente essenziale per una crescita adeguata e positiva del fanciullo. L’intervento educativo deve essere effettuato con molta Attenzione:ciò significa che l’educatore deve procedere con la consapevolezza che tutto quanto fa ha delle conseguenze significative nella vita dei ragazzi. Tali conseguenze saranno a volte positive ed altre negative. Assumono quindi grande rilievo la scelta del linguaggio, delle modalità con cui ci si approccia all’educando e soprattutto l’essere testimoni con la vita di quanto si “predica” . C’è poi un ingrediente magico che deve riempire la vita dei nostri bambini, dei nostri ragazzi: l’Allegria! L’educatore deve incantare i ragazzi, regalando loro la gioia di vivere, anche quando il sole sembra oscurarsi, perché la vita di un bambino senza l’allegria non è vita! C’è infine un ultimo flash che vorrei lasciare, molto trascurato in questo ultimo tempo e che causa diversi problemi nel mondo giovanile. L’educatore ha smesso di essere Autorevole. Non autoritario. Autorevole. Parola chiave che permette di avere e dare rispetto; di essere presente ma mai sostitutivo; di indicare la strada ma mai di imporla; di voler bene senza essere amiconi o compagni di un viaggio che spetta solo all’educando vivere. Se l’educatore sa essere autorevole, vi assicuro, troveremo per strada molti bambini meno viziati e più amati! Benedetta Viti


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Più veloci della luce. Anzi no. Era lo scorso 23 settembre 2011, quando i ricercatori del Cern di Ginevra ufficializzavano la clamorosa scoperta che alcune particelle elementari (i neutrini) sarebbero in grado di viaggiare ad una velocità superiore a quella della luce, ritenuta fino ad oggi invalicabile. Qualche ora più tardi, un ministro dell’ex governo si congratulava con il team di scienziati per i risultati ottenuti grazie ad un tunnel sotterraneo che avrebbe permesso il passaggio dei neutrini “sparati” dal Cern in direzione del Gran Sasso, dove hanno sede i laboratori dell’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare. Possibile che l’Italia sia attraversata da un tunnel che consente il transito di corpi microscopici sconosciuti ai più, quando Clusane è attraversata dalla linea ADSL solo da qualche settimana? Effettivamente anche al Cern di Ginevra gli scienziati dovrebbero aspettare decenni per veder realizzare un tunnel così lungo. Per loro fortuna, studiano particelle con massa talmente piccola in grado di attraversare la materia senza subire influenza alcuna. Si noti che occorrerebbe un muro di piombo spesso un anno luce per riuscire a trattenere una manciata di neutrini contenuti in un fascio. Da tempo però presso i laboratori del Gran Sasso i ricercatori dispongono di un rivelatore di neutrini in grado di catturarli e studiarli. Dopo tre anni di rilevamenti e calcoli, lo scorso settembre il clamoroso annuncio: “I neutrini sono in grado di viaggiare più velocemente della luce”. A soli cinque mesi di distanza però lo stesso team di scienziati fa il passo indietro. “Ci siamo sbagliati”. Sembra infatti che il sistema GPS, utilizzato per misurare il tempo di

percorrenza dei neutrini sul tragitto Ginevra-Gran Sasso, fosse mal funzionante. Forse una fibra ottica difettosa avrebbe introdotto errori nel calcolo della velocità. Nulla di fatto quindi? Nì. I ricercatori preferiscono non sbilanciarsi, questa volta. A breve, i test riprenderanno per poter chiarire se il cavo difettoso possa aver compromesso o meno i risultati degli esperimenti pubblicati lo scorso settembre. Ma cosa comporterebbe una tale scoperta? Innanzitutto le leggi di Einstein andrebbero riviste, in quanto basate sul concetto che la velocità della luce è invalicabile. In termini semplici, cadrebbe il principio di causalità, secondo cui le cause precedono le conseguenze. Inoltre, sarebbe lecito pensare che i neutrini percorrano la strada più velocemente servendosi di scorciatoie spazio-temporali, il che avvalorerebbe la Teoria delle Stringhe. In alternativa, si avvalorerebbe l’idea del supermondo: un universo strutturato con 43 dimensioni, contro le 4 considerate oggi (le 3 dimensioni spaziali più il tempo), nel quale i neutrini potrebbero andare più veloci della luce senza violare il principio di causalità. Fra gli scienziati lo scetticismo ovviamente non manca (e non è mai mancato). Restiamo in attesa del prossimo annuncio, o della prossima smentita. Giancarlo Bianchi

"Cosa comporterebbe una tale scoperta? Innanzitutto le leggi di Einstein andrebbero riviste in quanto basate sul concetto che la velocità della luce è invalicabile "


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WORLDWIDE METRO: Viaggiatori , non turisti

"Il processo per poter essere “cittadini del mondo” passa attraverso numerose esperienze con il “diverso” , lo “straniero”, non visto più come una minaccia , ma come un’opportunità"

E’ ormai un dato di fatto che le distanze geografiche tra gli stati e persino tra i continenti si siano drasticamente ridotte negli ultimi anni, attraverso internet e la generazione “low cost”, permettendo così ad un ventaglio di potenziali fruitori molto più ampio di raggiungere le più svariate località in Europa e nel Mondo . Fare un viaggio a Londra era, fino a 15 anni fa, riservato agli uomini d’affari e ai turisti che programmavano la vacanza mesi e mesi prima; oggi è incredibile, e allo stesso tempo affascinante, pensare che gli stessi abitanti della City inglese, preferiscano farsi il canonico “week end fuori porta” all’estero in una delle Capitali mediterranee, invece di starsene a Londra, per poter risparmiare soldi. Eh si, mi è capitato spesso di incontrare gruppi di inglesi a Barcelona, che decidono di farsi il fine settimana in Catalunya anziché a Londra, “perché qui divertirsi costa meno, e il biglietto aereo l’ho pagato 30 Euro!” . Certamente, la vita è drasticamente

cambiata anche a chi, come me, è spesso all’estero per lavoro; non oso immaginare quanto fosse difficile far visita alle aziende clienti senza il navigatore satellitare; la ormai pensionabile cartina geografica rimarrà senza dubbio un intrigante equilibrio tra intuito e orientamento, ma sfido chiunque, ad esempio, a trovare al primo colpo l’azienda nella periferia di Praga, senza sapere una parola di Ceco, nella speranza che il tuo inglese e il gesticolio affannato di italico stampo possano aiutare a farti capire con il contadino boemo. Ma è proprio vero che internet e, più in generale, la generazione del “lowcost 2.0”, sia andata di pari passo con le opportunità che si presentano? Forse no; il processo per poter essere “cittadini del mondo”, quelli scafati e capaci di muoversi in ogni angolo della terra con la stessa disinvoltura di quando si esce di casa, passa attraverso numerose esperienze con il


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“diverso”, lo “straniero”, non visto più come una minaccia, ma come un’opportunità dalla quale entrambi gli individui possono trarne innumerevoli spunti di riflessione. “Mettersi in gioco”, magari cogliendo al volo le possibilità di poter fare un’avventura all’estero di qualche mese con l’università, ma anche autonomamente, con qualche ricerca in internet o grazie al consiglio di qualche amico che l’ha già fatta, significa decidere di partire da zero ed essere pronti ad adattarsi alle più svariate circostanze che comporta un’esperienza di questo tipo. L’università, l’azienda per cui si lavora che ci propone uno stage di qualche mese nella filiale all’estero, o l’annuncio trovato sul web che ci invita a valutare l’ipotesi di un lavoro lontano da casa, saranno solamente la cornice del viaggio, perché la sostanza sarà quella di vivere nel diverso, e adattarsi al cambiamento repentino . E’ un luogo comune da sfatare subito quello di pensare che, in ambito universitario, ci siano facoltà che propongono progetti di studio/lavoro all’estero che siano inutili al percorso di studi intrapreso. Ci saranno sì università che prevedono Erasmus o Stages logicamente legati al piano di studio ma, ad oggi, si tende ancora a sottovalutare il valore aggiunto che un’esperienza all’estero possa dare a figure professionali non direttamente correlate alla conoscenza della lingua. Non è un caso che oggi le aziende, all’insegna della tanto vituperata “flessibilità”, valorizzino enormemente i Curricula che riportino un’esperienza lontano da casa, qualunque essa sia; perché non è facile decidere di partire, come non è facile ambientarsi in una nuova realtà fatta di nuove persone con le quali condividere il proprio tempo. Il mondo del lavoro globale ci sta inevitabilmente costringendo ad essere pronti al cambiamento continuo e repentino, nel bene o nel male. Basti solo pensare che, solo in Inghilterra, si ipotizza che oltre 700.000 lavoratori statali perderanno il proprio posto di

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lavoro entro il 2016; tra qualche anno, quindi, il termine “requalification” (la riqualificazione dei nuovi disoccupati verso settori lavorativi non saturi), diventerà di uso comune giusto a fianco della “flexibility”. La stessa opportunità di imparare una lingua straniera, a prescindere dall’utilità della medesima nel mondo del lavoro, permette infatti di rompere e reinventare gli schemi logico-consequenziali che la nostra testa è abituata a seguire, aprendosi così verso un nuovo approccio intellettuale e una nuova capacità di ragionamento. Saper tradurre, ad esempio, in due lingue diverse, senza passare dalla madre lingua , comporta una particolare elasticità mentale, simile a quella (molto diffusa tra chi vive all’estero da tempo) di riuscire a pensare in una lingua straniera . La mia rubrica vuole quindi essere uno spazio di condivisione di chi, come me, ha studiato/lavorato e, in generale, ha vissuto una realtà all’estero, mettendo così in luce i propri incontri con i nuovi Cittadini del Mondo, andando oltre ai soliti luoghi comuni con cui spesso si etichetta il cittadino straniero. Nei prossimi articoli proverò a coinvolgere amici e conoscenti che vivono o hanno vissuto lontano da casa, chi in Europa, chi in Oceania e chi in America, per provare a capire cosa lascia a posteriori una scelta di vita così importante.

Giovanni Pedemonti

"Il mondo del lavoro globale ci sta inevitabilmente costringendo ad essere pronti al cambiamento continuo e repentino, nel bene o nel male”


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L’impronta digitale

" Appassionati di programmazione informatica, management, marketing e grafica si sono riuniti e hanno messo in gioco le proprie capacità raccogliendo la sfida di impostare un’azienda in 54 ore "

Questo vuole essere uno spazio per trattare con un linguaggio semplice e diretto delle novità tecnologiche che prendono piede intorno a noi, con uno sguardo particolare al nostro territorio. Nel presente articolo, vorrei far conoscere un’iniziativa davvero interessante che si è tenuta a Brescia durante l’ultimo weekend dello scorso mese di ottobre. A partire da venerdì 28, infatti, presso la suggestiva location del castello Malvezzi, si è tenuta una maratona delle idee chiamata “Startup Weekend”. Di cosa si è trattato? Innanzitutto chiariamo cosa si intende per startup. Con il termine startup si identifica l'operazione di avviamento di un’impresa. “Startup Weekend” è la più grande iniziativa al mondo di startup competition, che in Italia ha già visto le prime edizioni a Venezia, Milano, Roma e Torino, divenendo il punto d’incontro per coloro che sognano di realizzare una propria idea d’impresa e condividere idee innovative nell’ambito tecnologico. Appassionati di programmazione informatica, management, marketing e grafica si sono riuniti e hanno messo in gioco le proprie capacità raccogliendo la sfida di impostare un’azienda in 54 ore, un weekend appunto. Il venerdì sera i partecipanti hanno esposto la propria idea di business con l’obiettivo di appassionare i presenti e di convincerli a far parte del proprio team. La sera stessa le idee più apprezzate hanno portato alla formazione di squadre di lavoro che durante tutta la giornata seguente (sabato 29) si sono dedicate allo sviluppo concreto di un business plan (il progetto d’impresa), alla programmazione software, allo studio della grafica, nonché alla definizione di un piano di marketing per il lancio. Gli ultimi sforzi sono stati impiegati nella giornata conclusiva (domenica 30) in cui i vari team hanno potuto presentare la loro idea e il loro prototipo di impresa ad una giuria formata da investitori pronti a scommettere e a finanziare il progetto più convincente. Più della metà degli oltre 110 professionisti presenti all’evento

provenienti da tutta la penisola erano bresciani. Tra i dieci progetti nati nel weekend si può trovare un denominatore comune: guardare all'esistente e cercare di capire come il web può produrre valore aggiunto per uomini e aziende. Ecco che allora nascono idee come «Tipsto.me» (elaborata dai ragazzi dell'agency bresciana Basili.co), a cui è stato assegnato il primo posto: si tratta di un’applicazione che permette di ricevere consigli dagli amici su scelte da effettuare (ad esempio sull'abbigliamento, ma non solo), ma anche di dare propri pareri in forma ludica scegliendo tra alcune alternative. Al secondo posto «ilmioquartiere», un social network iperlocale creato per consentire alle attività commerciali di pubblicizzarsi ed agli abitanti di vivere più consapevolmente la propria città, scambiando annunci, favori, consigli e quant'altro. Il terzo gradino del podio è andato a «peppertweet»: una applicazione basata su Twitter che permette di raccogliere i cinguettii (le pubblicazioni su Twitter) per parole chiave, posizione geografica e nome di account. Non è un caso che l’evento si sia tenuto proprio a Brescia. Come riportava il quotidiano Bresciaoggi del 27 ottobre, c’è, nella nostra provincia, un numero crescente di aziende attivo nel mondo dei servizi internet alle imprese. Si tratta di un modello tutto bresciano ispirato alla Silicon Valley americana (la zona dove sono nate aziende del calibro di Google, Microsoft, Apple e Facebook) e che sta prendendo piede con successo nel nostro territorio. Numerosi sono infatti i progetti che hanno dato vita ad un nuovo modo di intendere il lavoro, a nuove imprese e a gruppi collaborativi per la condivisione di idee in questo settore, come ad esempio Talent Garden e WebdeBs, due delle iniziative che hanno reso possibile la realizzazione di un evento di rilevanza internazionale nella nostra città. Chissà che il prossimo Mark Zuckerberg, l’ideatore di Facebook, non sia proprio della nostra provincia. Luigi Bianchi


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Le biotecnologie in Italia Con il termine generico di biotecnologia (tecnologia biologica) si indicano tutte le applicazioni tecnologiche della biologia. Così la principale risorsa enciclopedica del web, wikipedia, apostrofa l’ambito di cui mi occupo da più di cinque anni ormai. Tra i corsi di laurea che si presentano agli studenti italiani usciti dalla maturità, quello di Biotecnologie rimane uno dei più difficili da comprendere a fondo. Quando più di cinque anni fa decisi di lanciarmi sulla scelta del corso di laurea di biotecnologie mediche presso l’università degli studi di Brescia, non avevo realmente un’idea precisa delle potenzialità lavorative del corso, ma ero fortemente motivato e questa motivazione mi ha portato a conseguire la laurea triennale in biotecnologie mediche e a breve mi porterà a completare il mio percorso di studi con la laurea specialistica. Per questo, mi è sembrato interessante aprire, con il presente numero de “L’ago di Clusane”, una rubrica che possa approfondire l’ambito delle biotecnologie e che ad ogni numero vada ad esplorare un diverso argomento di interesse scientifico. Quindi cosa vuol dire Biotecnologie in parole povere? Vuol dire ricerca scientifica ma non solo, vuol dire pianificare un’attività di laboratorio che permetta di arrivare a scoperte scientifiche-tecnologiche importanti. Gli ambiti di cui può occuparsi un biotecnologo sono svariati: dalla ricerca su un nuovo farmaco a quella per controllare la qualità di un alimento o per crearne di nuovi, a quella industriale per ottimizzare alcuni settori velocizzando ad esempio le reazioni chimiche, a quella medica andando a lavorare su nuove strade diagnostiche-terapeutiche per il trattamento di una malattia. Le potenzialità del settore sono veramente tante e coincidono spesso con un progresso importante in molti campi. Sembrerebbe una scelta facile quella di studiare biotecnologie, ma non è tutto oro quello che luccica, perché in Italia la ricerca scientifica è decisamente problematica soprattutto dal punto di vista economico e burocratico e non esiste una cultura giornalistica che possa trasmettere ai non addetti al settore le reali potenzialità e i benefici che si potrebbero trarre dalle biotecnologie. Le poche volte nelle quali qualche ricercatore scientifico è stato messo sotto le luci dei riflettori negli ultimi anni è stato per dimostrare la passione che c’è dietro questo lavoro, dando per scontate le difficoltà economiche e

contrattuali in cui devono versare i lavoratori. Una recente indagine Almalaurea e MIUR ha mostrato che ad un anno dalla laurea triennale la percentuale di coloro che lavorano è l’11,8% (contro il 97,7% di un laureato in Scienze infermieristiche, per fare un esempio) collocandosi all’ultimo posto tra tutti i corsi di laurea considerati con uno stipendio medio di 748 euro. I dati migliorano leggermente se si va a prendere un laureato con laurea quinquennale alle spalle, che dopo un anno dalla laurea ha una percentuale media del 35,5% di essere impiegato (contro ad esempio il 73,1% di un laureato in economia) e uno stipendio medio di 968 euro. Una problematica legata alla laurea in biotecnologie è anche quella della sovrapposizione con altri corsi di laurea relativamente simili, quali Biologia o Tecnico di laboratorio, che propongono figure professionali che spesso possono essere intercambiabili all’occhio di un’azienda disattenta. Eppure il nostro territorio offre delle ottime possibilità potenziali di sfruttamento della professione; ad esempio nella produzione del vino, molto importante nella zona della Franciacorta, le biotecnologie alimentari e fermentative potrebbero giocare un ruolo fondamentale per migliorare la produzione e aumentare l’espressione degli aromi tipici. La produzione di vino si basa sulla fermentazione di zuccheri (glucosio e fruttosio) presenti nel succo d'uva; il processo avviene ad opera di un lievito in particolare, il Saccharomyces cerevisiae. Il biotecnologo potrebbe intervenire sulla selezione dei lieviti utilizzabili per la produzione del vino, oppure andando a migliorare la qualità delle materie prime impiegabili e le modalità di prelievo di queste materie, oppure rendendo maggiormente espresso un aroma rispetto ad un altro andando a compiere particolari metodiche fermentative. Stesso discorso si potrebbe fare anche per altri ambiti alimentari, quali la produzione della birra o del pane entrambe basate su processi che sfruttano lieviti. Questi discorsi per ora rimangono forse troppo proiettati verso il futuro, soprattutto in un periodo di crisi economica e ancora troppo distanti dalle realtà locali ancorate a tradizioni spesso dure a morire, anche se a volte controproduttive. Nicola Lopizzo

" Le potenzialità del settore sono veramente tante e coincidono spesso con un progresso importante in molti campi "


Fra le immagini

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La redazione: Bianchi Giancarlo Bianchi Luigi Bianchi Paola Bonardi Bruno Lopizzo Nicola Pedemonti Giovanni Treccani Carloalberto Viti Benedetta

Stiamo attraversando un momento eccezionale per la fotografia; viviamo, infatti, in una società che sempre più si esprime per immagini. “Esistono più fotografie che mattoni“, così scriveva Peter Turner nell'introduzione al suo libro History of Photograhy. Le fotografie sono diventate tra gli oggetti più comuni con cui ogni giorno abbiamo a che fare; tuttavia, queste immagini, che ci appaiono tanto semplici e scontate, nascondono un'infinita complessità. Oltre a cercare di capire cosa sia una fotografia, oggi ci troviamo di fronte ad un ulteriore problema: quello di cercare di fare chiarezza, di sapersi orientare nell'infinità di icone esistenti. Il noto artista e studioso italiano Franco Vaccari ha definito l’attuale situazione di sovrabbondanza di immagini come "una discarica di rifiuti al cui interno vi è la più vasta varietà di immagini". L'immagine della discarica - scrive l'autore - è un efficace modello per quelle situazioni dove un'apparente varietà di rifiuti (in questo caso di immagini) si appiattisce […] La discarica, quindi, diventa luogo di confusione dove nulla è più riconoscibile, dove un’ apparente varietà diviene invece una grande singolarità”. Mai prima di oggi, infatti, è stata prodotta una così grande quantità di materiale iconografico che, tuttavia, paradossalmente, sta creando una situazione di confusione tale per cui le immagini tendono a scomparire fra loro sotto una coltre di immondizia. Il problema dei nostri giorni, infatti, è quello di saper disporre, sistemare e dirigere il proprio sguardo. L'attenzione, come ancora ci ricorda Vaccari, è diventata un problema nel momento in cui questa viene diretta e incanalata da apparati di controllo che organizzano la nostra esperienza visiva quotidiana (ad esempio la televisione). Ma ogni fotografia, ogni immagine è, in realtà, il frutto di una scelta e di un contesto. Il processo “che dona alla natura il potere di riprodursi" così come descritto dal Daguerre ( artista e chimico

francese, riconosciuto come uno degli inventori della fotografia) non è oggettivo, ma sempre mediato da alcune scelte. La fotografia è politica, la fotografia si basa su scelte soggettive di singole persone ( l'autore), di gruppi di persone ( come la redazione di un giornale) o di gruppi ancora più grandi ( come le società, intese come società civili). Sempre Vaccari, nel suo libro Fotografia e inconscio tecnologico, ci mostra come, quando le immagini erano rare, la comunicazione era qualcosa che andava conquistata. Ogni figura rappresentata in un testo o in un dipinto doveva avere un suo significato e rispettare alcune caratteristiche, quali la giusta proporzione di anima e corpo o, ancora, non essere troppo scura, ma nemmeno troppo chiara e nemmeno doveva essere compresa da chiunque. Tutto ciò affinché la comprensione divenisse un processo di apprendimento, di scoperta e non un processo veloce, immediato ma banale e privo di insegnamenti. Capire un 'immagine, comprenderne appieno i suoi significati , le sue ragioni, le sue motivazioni, capirne il legame con il contesto storico e geografico, diviene, pertanto, fondamentale oggi, in un mondo globale, dove l'immagine sta sempre più prendendo il sopravvento e dove solo a ciò che è ritenuto socialmente utile viene attribuito valore e dignità di essere visto, mentre tutto il resto viene espulso dal mondo del "visibile". La fotografia, dunque, oggi, ci deve portare al confronto con le tematiche del visibile, attraverso quel particolare legame che lega ogni immagine ad un contesto, qualunque esso sia: storico, politico, sociale o geografico. Carloalberto Treccani


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