Il caso Shostakovich: tra storia e stile

Diploma di II livello – Musica da Camera A.A 2020-2021

Il caso Shostakovich: tra storia e stile

Relatore: Tiziano Mealli Candidata: Anna Rozsa Farkas

INDICE

Premessa …………………………………………………………………. p. 3 Introduzione ……………………………………………………………… p. 4 Compagno Shostakovich ………………………………………………… p. 5 Considerazioni sullo stile …………………………………………………. p.12 Lo stile sotto la lente d’ingrandimento del Trio no. 2 op. 67 ……………... p. 19 Bibliografia – Sitografia …………………………………………………... p. 29

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PREMESSA

Questa tesi scritta è strettamente legata al concerto di laurea che terrò al mio Diploma di II livello in Musica da Camera. Il programma prevede infatti opere di Dimitrij Shostakovich (Trio no. 2 op. 67 e la Sonata per violoncello e pianoforte). Secondo i piani iniziali avrei dovuto eseguire il Trio no. 4 di un altro compositore russo, Nicolai Roslavets. Egli è un compositore di rilevante interesse sia storico che artistico caduto troppo presto nell’oblio. Nella stesura finale di questo lavoro scritto, nonostante le sue musiche non vengano poi eseguite nella sede del concerto di laurea, si farà comunque alcuni riferimenti a Roslavets; questo può essere utile, oltre che per fare conoscenza di un autore sconosciuto, anche per un paragone storicostoriografico con il compositore al quale dedicheremo questo lavoro, cioè Shostakovich.

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Introduzione.

La vita e l’opera di Dimitrij Shostakovich è particolarmente intrecciata con gli avvenimenti del ‘secolo breve’. Questa definizione, coniata dallo storico Habswam, indica come inizio e fine del Ventesimo secolo rispettivamente la Prima guerra mondiale e la fine della Guerra fredda, ossia il dissolvimento dell’URSS. Gli sconvolgimenti politici hanno troppo spesso influenzato la produzione e la libera creatività di questo compositore e alla stessa maniera hanno avuto una ricaduta sulla ricezione della sua opera e sulla storiografia, assai problematica, intorno alla sua figura.

Nonostante siano passati trent’anni dalla fine del suddetto secolo breve, tale influenza sugli studi è ancora sentita e questo spropositato interesse della storiografia novecentesca per il contesto storico ha fatto sì che un approccio neutro che si basasse sull’analisi musicale immanente sia mancato fino a tempi recenti1. In questo lavoro, dunque, si terrà conto della dualità che caratterizza gli studi shostakovichiani.

Dedicheremo una prima parte alla complessità del suddetto periodo storico, mettendo a paragone con Shostakovich le vicende di altri compositori e altre arti, come il cinema. La seconda parte della tesi verterà invece maggiormente sull’analisi dello stile di Shostakovich, dedicando alcune pagine anche all’analisi del Trio no. 2 op. 67.

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«Previously, musicological research had scrutinized the composer's political struggles and speculated about how his music may or may not reflect his frustration with socialist realism, a matter about which scholars disagree sharply.18 Early scholarship lacked a deep and detailed analysis of his music and instead placed at its epicentre Shostakovich's political and social life». Gabriel Fankhauser, Cadential Intervention in Shostakovich’s Piano Trio in E Minor., Op. 67, in “Music Analysis”, vol. 32, no. 2, Wiley, 2013, p. 210–50. http://www.jstor.org/stable/43864511.

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Compagno Shostakovich

Chi pensa che i regimi comunisti dell’Europa Centrale siano esclusivamente opera di criminali, si lascia sfuggire una verità fondamentale: i regimi criminali non furono creati da criminali ma da entusiasti, convinti di aver scoperto l’unica strada per il paradiso. Essi difesero con coraggio questa strada […].

In seguito, fu chiaro che il paradiso non esisteva e che gli entusiasti erano quindi degli assassini2.

Il titolo del celebre libro su Stravinskij di Massimo Mila – Compagno Stravinskij - riporta la parola ‘compagno’ di forte connotato sovietico, nonostante il compositore in questione, come anche Prokofiev, sia immigrato ben presto in Occidente e per la prima abbia fatto ritorno, per una breve visita e conferenza musicologica, solo negli anni Sessanta. Molto più compagno fu Dimitrij Shostakovich che visse invece tutta la sua vita nella Russia sovietica.

La valutazione della sua figura oscilla tra due poli opposti: l’immagine del funzionario di partito con l’aria dimessa3 e il compositore caduto vittima di un potere totalitario.

Probabilmente la verità è mediana rispetto a queste due posizioni, che solo agli occhi dell’Occidente paiono tanto contraddittorie; chi ha vissuto quel regime, appunto senza emigrare e continuando a serbare un amore profondo per la propria Russia come Shostakovich, ha necessariamente dovuto trovare una strada percorribile4. Strada che il figlio Maksim – persuaso che suo padre, al di là delle scelte artistiche (!), abbia agito bene – definisce «l’unica via possibile»5.

Milan Kundera, L’insostenibile leggerezza dell’essere, Milano, Adelfi, 2008, cit., p. 180.

Franco Pulcini, Sostakovic, Torino, EDT, 2021, cit., p. 4.

4 Su questa incomprensione dell’adattamento di Shostakovich alle linne guida del Potere, anche il direttore d’orchestra Kurt Sanderling: «Dieses Mäntelchen, das er sich umhängen musste, wurde vom vielen (in der westlichen Welt) verstanden als Kompromis, als Feigkeit, als Charakterlosigkeit» https://www.youtube.com/watch?v=hM1JF8BRZOE 5 Pulcini, Sostakovic, cit., p. 69.

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Shostakovich non è assolutamente definibile antisovietico – o con altre parole ‘un individuo controrivoluzionario’, un ‘nemico del potere’ - e di fatto non è mai stato preso nessun provvedimento vessatorio nei suoi confronti da parte del regime. Non è nemmeno definibile anticomunista, in quanto la storia della sua famiglia vanta un lungo passato di individui rivoluzionari. E d’altronde, quale intellettuale non ha esultato alla notizia dell’Ottobre del 1917?

C’era una parte dell’intelligencija russa che dalla seconda metà dell’Ottocento spingeva verso la democrazia, incrementando così una sempre maggiore spinta antizarista. La famiglia progressista di Shostakovich vive in prima linea questo fermento6: il nonno è un rivoluzionario, sospetto al regime, che aiuta fuggire prigionieri incarcerati dopo le rivoluzioni. Per questo egli sarà condannato ai lavori forzati in Siberia. I due figli poi si spostano però nella Russia occidentale, compiendo entrambi studi scientifici, non senza abbandonare mai l’interesse per l’arte, la cultura e la politica. Tra i libri del padre di Dimitrij c’era anche Che fare? di Nikolaj Cernysevskij. Egli sposerà poi una giovane studentessa del Conservatorio di Mosca, che diventerà la madre di Dimitrij, aumentando così l’interesse per la musica in famiglia.

Dimitrij Shostakovich nasce nel 1906. Egli nasce già sotto l’epoca del fermento rivoluzionario socialista. La sua nascita segue di un anno la prima Rivoluzione russa del 1905 e nel 1917 ha soli undici anni: è presente alla stazione Finlandia con lo zio Maksim quando Lenin arriva con il treno dall’Europa e tiene il suo discorso alla folla rivoluzionaria7 e già così piccolo sarà testimone da vicino della violenza durante le manifestazioni. La sua formazione coinciderà con l’inizio dell’era sovietica e anche le prime esecuzioni delle sue musiche in pubblico e i primi successi saranno sanciti dal nuovo potere socialista. Dimitrij, o Mitja - secondo il diminutivo con il quale solevano chiamarlo tutti - nasce in questo nuovo sistema politico le cui regole conosce bene sin dall’inizio e impara necessariamente a destreggiarsi tra di esse.

Il primo periodo dell’affermazione del comunismo è caricato da grandi aspettative dal mondo artistico. Si sente l’aria della libertà e finalmente si può rompere con il passato, non senza ventate di furie iconoclaste8. La maggior parte degli artisti ed intellettuali condivide e abbraccia anche politicamente gli ideali del marxismo. Il compositore Nikolai Roslavets, di origini

«La famiglia Shostakovich è di lontana orgini polacca. […]. Era una famiglia progressista, impegnata politicamente […], avevano partecipato all’insurrezione del 1831». Francesca Gentile Camerana, collana diretta da, Dimitrij Shostakovich. Torino, De Sono, 2003, cit., p. 12.

7 Pulcini, Sostakovic, cit., p. 5.

8 ibid., p. 17.

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modeste contadine, si autoproclama il vero compositore proletario e con fervore si butta nella realizzazione di una musica sempre più rivoluzionaria; il compito del compositore si carica, dunque, di un ulteriore forza politica-visionaria. Roslavets inoltre vede an analogy between the proletariat’s leadership that replaced an old regime with a new social order and the artistic avant-garde that replaced a tradition with new modes of expression. Undoubtedly, he believed that the Communist authority he envisioned would foster a state in which the avant-garde was to be appreciated, not misunderstood or viewed with suspicion.

Altre volte il marxismo diviene anche modello stilistico per l’artista. E’ il caso di Ejzenstein, celebre registra sovietico, che nell’elaborazione del suo famoso montaggio intellettuale tenta di imitare il metodo del materialismo dialettico: il suo scopo nell’affiancare le diverse inquadrature non è quello di rendere la narrazione più fluida ma quello di mimare il metodo della dialettica nella quale «lo scontro di elementi antitetici produce una nuova sintesi che li oltrepassa». Si possono osservare di frequente nei suoi film successioni di inquadrature apparentemente non congruenti l’una con l’altra ma che nella loro fusione, secondo il registra, debbono suscitare determinate sensazioni nel pubblico. Si tornerà di seguito sull’importanza del cinema sovietico nello stile del giovane Shostakovich.

Il fervore rivoluzionario spinge dunque verso lo sperimentalismo in tutti i campi artistici. A capo della Narkompros viene installato Luncarskij, un uomo vicino alle arti che cerca di appoggiare in tutti i modi i giovani artisti. Accanto a lui, a capo della sezione musicale della Narkompos siede Arthur Lourie, compositore d’avanguardia molto importante in quegli anni; sarà lui a firmare una borsa di studio per il giovane Shostakovich nel 1921. Il sopracitato compositore Roslavets sarà invece colui che commissiona a Mitja, in qualità di capo della Casa Editrice dello Stato (AGITODEL), la Seconda Sinfonia. Questi compositori, assieme anche a Nikolaj Obuchov, avviano per primi nell’Europa dell’Est la sperimentazione con strutture dodecafoniche. Roslavets in realtà si dedica anche alla diffusione delle teorie dodecafoniche scrivendo per il primo in Russia recensioni su opere di Arnold Schönberg e Anton Webern.

Oltre alla dodecafonia vengono sperimentate anche altri argomenti cari alle avanguardie musicali: l’impiego dei microintervalli o la composizione grafica.

I compositori d’avanguardia, associati anche in appositi circoli per il sostegno della musica contemporanea, sono in questo primo momento anche ben inseriti politicamente. Le difficoltà cominciano ad avvistarsi, dopo la morte di Lenin, con la creazione del RAPM nel 1925 (Associazione dei musicisti proletari russi) che mira una stretta ben più forte sulle libertà dei

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musicisti. I motivi di questa stretta chiaramente sono politici: bisogna favorire l’arte proletaria, quella rivolta alle masse, e non la sofisticata arte borghese. Di fare arte borghese vengono tacciati compositori del passato (tra cui Chopin, Cajkovskij) ma «naturalmente anche il “modernismo”, apprezzato nel primo decennio successivo alla rivoluzione, viene ora considerato “borghese”»9. La primaria accusa è quella di ‘formalismo’, cioè di un’arte troppo complessa per poter essere compresa dalle masse e scritta, nell’ottica del potere, per il puro diletto del compositore borghese e il suo circolo ristretto. Per lo Stato sovietico la musica doveva essere invece a servizio del Potere e delle masse; e in un regime totalitario, non seguire le regole dettate, può guidare a conseguenze disastrose. Affrontiamo il caso di Roslavets.

Egli prende la difesa pubblica della musica atonale additata dal RAPM come illogico e critica l’associazione per la promozione di un’arte di sola propaganda, vuota nei suoi contenuti e ‘passatista’ nella sua forma. Roslavets, come fiero proletario, vede nell’attività del RAPM lo screditamento del potenziale dello slancio rivoluzionario in musica. Durante gli anni Venti, egli addirittura ritira la sua tessera di membro del Partito Comunista; erano i primi anni del nuovo sistema totalitario, non poteva ancora sapere le conseguenze di questo gesto.

Ovviamente egli perderà la sua cattedra di insegnamento e il suo posto come editore. Come compositore verrà sempre più screditato, nonostante nel 1927 abbia scritto la cantata Ottobre per il decimo anniversario della Rivoluzione – ormai è troppo tardi. Negli anni Trenta è messo sempre più ai margini e gira addirittura la voce che egli sia stato represso (fino agli anni Sessanta non si era chiarita la faccenda, a proposito della difficoltà della ricerca in uno stato totalitario dove non passano le informazioni). La realtà poi non è tanto lontana: come si scoperse dopo, c’erano già tutti i documenti pronti per la repressione del compositore ma egli nel 1939 subisce un’emorragia che, oltre a paralizzarlo, lo rende inabile anche a parlare.

L’URSS così lo ritiene un nemico un po’ meno pericoloso per il popolo, e il compositore potrà morire di morte naturale in pace cinque anni dopo10.

Ci preme sottolineare come, analogamente alle strette sulla musica, anche il cinema comincia a subire sempre maggior controllo da parte del governo a partire dal 1927. Lo stesso Lunacriskij viene accusato di favoreggiare un cinema destinato più agli intellettuali borghesi che alle masse e i maggiori registi, tra i quali Vertov e Kuleshov accanto a Ejzenstein, vengono sempre più ibid., p. 18. Pulcini usa qui la parola ‘modernismo’ per indicare gli stessi autori che sopra abbiamo indicato appartenenti all’avanguardia.

10 Anna Ferenc, Reclaiming Roslavets: The Troubled Life of a Russian Modernist, in “Tempo”, no. 182, Cambridge University Press, 1992, pp. 6–9, http://www.jstor.org/stable/946098.

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impossibilitati a sperimentare strade nuove – non a caso tutti loro svolgeranno lo sguardo verso le possibilità in Occidente11. Il capo d’imputazione è il medesimo: l’accusa del formalismo.

Conviene chiarire le implicazioni di questa parola perché è la stessa che verrà usata contro Shostakovich. Dal 1934 il nuovo responsabile dell’organizzazione del partito sarà Andrej Zdanov, che intraprende con forza la caccia a qualsiasi manifestazione artistica non in linea con il regime. Come primo punto, va limitata l’attività degli artisti formalisti, in quanto «il metodo creativo dei compositori formalisti è il più deliberato e reazionario idealismo soggettivo12» perché «essi esaltano il soggettivismo, il costruttivismo, l’estremo individualismo e la complessità tecnica del linguaggio musicale; proprio quello, insomma, che dovrebbe essere condannato»13. In quest’atmosfera chiaramente c’è sempre meno posto per la libera creazione soggettiva, in favore ad un oggettivismo sopra-individuale che sfocerà poi nello stile tipico sovietico del realismo socialista.

Tuttavia, come è noto, Shostakovich non è del tutto messo ai margini. Il suo nome, sin dalla sua giovanissima età è ben nota sia in patria che in Occidente (il primo successo internazionale è già in età giovane con la Prima Sinfonia) e non finirà nell’oblio come tanti colleghi. Egli sarà anche destinatario di molteplici premi musicali dello Stato. Come si è sottolineato prima, egli cresce in questo nuovo sistema e sa destreggiarsi nelle sue regole. A suo modo accoglie le critiche del formalismo14 e saprà adattarsi ai dettami del regime, non senza qualche ironia – che approfondiremo più avanti parlando del suo stile musicale. Vediamo solo come esempio la Seconda Sinfonia che reca come sottotitolo All’Ottobre: essa è un monumentale canto corale di massa che celebra con le parole del coro il nome di Lenin. In linea, dunque, con le aspettative del potere.

La vicenda di Shostakovich vede comunque degli alti e bassi nel suo rapporto con il potere. Le sue opere Lady Macbath e Il naso vengono censurate ed egli deve ripiegarsi unicamente sulla musica strumentale. Durante la Seconda guerra mondiale egli compone la celebre Settima Sinfonia ‘Leningrado’ e anche il Trio no. 2 op. 67. Entrambi hanno inizialmente grande successo, la prima internazionale, mentre la seconda nel 1946 ottiene il Premio di Stato.

L’Ottava sinfonia (1944) sarà già ampiamente osteggiata e ben presto anche le opere recenti

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Kristin Thompson, David Bordwell, Storia del cinema. Un introduzione, Milano, McGraw-Hill, cit., p. 94.

Pulcini, Sostakovic, cit., p. 38.

13 ibid., p. 60 14 «[…] si è diffusa l’impressione che Shostakovich, di fronte alle imputazioni di formalismo, avesse fatto buon viso a cattivo gioco accogliendo di buon grado i “consigli”». ibid, p. 43.

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verranno criticate. Per non parlare di opere come la Quarta sinfonia e certe pagine cameristiche che non verranno proprio eseguite in questo periodo buio. Di questo periodo, del 1948 è anche lo scritto di Zdanov Sulla filosofia, la letteratura e la musica nel quale vengono espressi ammonimenti precisi e minacciosi contro i compositori tacciati di formalismo.

Gli anni seguenti alla guerra vedono dunque il compositore messo ai margini, complice anche la Guerra fredda. Quest’ultimo sconvolgimento della politica internazionale fa sì che nella Russia stalinista il successo ottenuto dal compositore negli ultimi anni all’estero sia vista con sospetto. Stalin fa di tutto per impossibilitare il compositore: le sue opere non vengono più eseguite, mentre prima era su tutti i cartelloni. Gli sarà però concesso di lavorare su musiche per film, che almeno danno la possibilità di una sopravvivenza economica al compositore che nel frattempo viene anche destituito dalla sua cattedra nel Conservatorio. Il lavoro con il cinema – che già Lenin ammette di essere l’arte più importante per il socialismo per la forza di propaganda e la capacità di penetrazione tra le masse analfabete15 – riabilita in qualche modo la figura di Shostakovich, in quanto a Stalin piacciono particolarmente le sue musiche per film; ma come è noto, egli è fortemente limitato nella sua libera attività creativa di artista.

Dopo la morte di Stalin, nel 1953, arriva un momento di sollievo. Il nuovo capo di stato Hruschev ben presto ammette le colpe del potere staliniano e si avvia una maggiore apertura culturale. Certo, ci sono sempre I controlli del RAPM ma molto meno rigidi di prima: la Tredicesima Sinfonia ‘Babi Yar’ (1962) solo pochi anni prima sarebbe stata impensabile, considerando anche l’antisemitismo di Stalin. Inoltre, Shostakovich – russo e anche sovietico fino al midollo – appoggia pienamente la nuova direzione dell’URSS entrando anche nel Partito Comunista nel 1960. In questi anni spesso è alla guida delle delegazioni musicali all’estero dell’URSS. Da persona non grata del potere egli è «diventato ora un funzionario di regime che viaggiava per il mondo con passaporto diplomatico e godeva di tutti I privilegi economici della nomenklatura16».

Che dire allora sul caso Shostakovich? Egli è vittima o un abile giocatore nelle trame della politica culturale sovietica? Citeremo ancora Pulcini: E le forze più ottuse della cultura non trionfarono proprio grazie all’infinita pazienza e capacità di sopravvivenza di non-eroi come Shostakovich, che hanno saputo destreggiarsi in una situazione difficile con grande prudenza e astuzia politica. […] La sua capacità di persuasione e logica

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Thompson-Bordwell, Storia del cinema, cit., p. 82.

Pulcini, Sostakovic, cit., p. 81-82.

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stringente nel ragionare sulle cose dell’arte finirono per avere la meglio sui mediocri invidiosi […]17.

Sullo stesso argomento ascoltiamo anche la voce di Schönberg: Per parte mia Shostakovich è un musicista di grande talento. Forse non è stata colpa sua se ha lasciato che la politica avesse peso nello stile delle sue composizioni. E anche se questa fosse una debolezza del suo carattere – egli non sarà un eroe ma un musicista di talento 18.

Particolare, come nel 1944 Schönberg abbia visto con tanta chiarezza la situazione particolare del compositore russo e abbia saputo accettarlo senza criticarlo. Forse la necessità manichea di dover decidere se Shostakovich sia stato un convinto sovietico a servizio del potere, o un musicista vittima asservito e costretto dallo stesso, è solo di noi postumi che, siamo incapaci di capire profondamente «l’estrema durezza mortale»19 al quale gli artisti sotto l’URSS erano esposti. Le cose probabilmente sono molto più complesse di una coppia di opposizioni e forse la via giusta per maturare un giudizio sulla grandezza anche umana20 di Shostakovich è proprio capire come egli ha saputo, appunto con pazienza, crearsi una strada rimanendo fedele, fin quanto ha potuto, sia a sé stesso che alla propria Russia.

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ibid., p. 63. ibid., p. 54.

19 David Fanning, Shostakovich Studies, Melbourne, Cambridge University Press, 1998, cit., p. 24.

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Pulcini riporta numerosi esempi di quanto il compositore cercasse in ogni momento aiutare persone, allievi in difficoltà economiche. Negli anni della guerra I soldi prevenutigli dalle esecuzioni dell’estero e dai premi comprava il pane per gli amici. Numerose anche le testimonianze di esponenti della cultura, colleghi, che lo ricordano un uomo estremamente cordiale, buono, leale.

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Considerazione sullo stile

Per quanto da una parte lo stile di Shostakovich sia inconfondibile, esso porta su di sé il segno di molteplici influenze, tra le quali non è sempre facile orientarsi per lo studioso. Uno dei principali analisti del compositore russo, David Fanning, riporta la problematica, già accennato precedentemente: Yet, outside the concert hall the focus of attention seems to have been on the extraordinary circumstances of his life rather than on the music itself. This book seeks to show that the power of his work stems as much from its craftsmanship as from its political and personal context.

In queste pagine ci concentreremo, dunque, sull’artigianalità del lavoro del compositore e sulla sua estetica. Uno studio in questa direzione risulta più difficoltoso rispetto allo studio dello stile di un altro compositore, perché Shostakovich, al contrario dei suoi colleghi contemporanei, lascia alla storia pochi scritti teorici. E anche quel poco che abbiamo come suo lascito teorico, può giustamente destare il dubbio di autenticità: secondo Pulcini «quasi tutti gli scritti […] sono abili mediazioni fra la grossolana volontà impositiva del potere la necessità d’indipendenza artistica»21.

Sicuramente possiamo però individuare due filoni stilistici ai quali egli non è affiancabile: non è né compositore-fantoccio del potere, né accanito sostenitore delle novità avanguardiste.

Shostakovich, per quanto in determinati momenti della storia mondiale egli sia stato dipinto così (duranta la Guerra Fredda per esempio), non è meramente un compositore asservito al potere, nonostante abbia in certi casi soddisfatto le linee guida estetiche del potere. Questi ultimi possono essere riassunti nelle poche seguenti massime: adozione di canti popolari russi e canti corali di massa; esaltazione del potere e quindi musica positiva (bisogna evitare ogni pessimismo); evitare procedimenti atonali. La pochezza di questi requisiti dimostra che, se Shostakovich non fosse nient’altro che un fantoccio dello stalinismo, sicuramente non lo ricorderemo come uno dei compositori più importanti dello scorso secolo. Dopo aver assolto il compito del buon compagno scrivendo oleografie ottimistiche poteva dedicarsi alle sue opere – che nei momenti più buoi rimanevano, appunto, sulla scrivania senza essere eseguite. E’ di nuovo il figlio Maksim a chiarire la semplicità di questo rapporto con il potere: «bisognava

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Pulcini, Sostakovic, cit., p. 63.

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scrivere certe opere commissionate. Grazie a queste Shostakovich aveva la possibilità di scrivere anche quello che voleva»22.

L’altro stile dal quale possiamo distanziarlo è il modernismo o avanguardia russa dei primi decenni del Novecento. Nonostante egli da giovane fosse venuto a contatto con questi gruppi di compositori rivoluzionari, vicini ai futuristi (Lourie, Roslavets, Mossolov, Orstein) egli nel 1956 afferma con sicurezza che «dopo [aver] pagato un certo tributo all’infatuazione per il modernismo, sono giunto alla ferma persuasione che le attuali correnti modernistiche non hanno alcuna prospettiva23». Egli alla stessa maniera criticherà Schönberg e la scuola dodecafonica come antiespressiva, capace di comporre solamente per dogmi, nonostante anche lui utilizzerà poi strutture dell’insieme cromatico24 – certamente non seguendo le linee della serialità. Rimane il fatto che anche egli sviluppa, dunque, un linguaggio atonale e cioè, come si è ribadito, non è in linea con i dettami del potere. Può forse sorgere il dubbio che la fermezza con cui giudica il ‘modernismo’ (per altro termine abbastanza sfuggente) è per proteggersi da eventuali critiche?

In altri scritti si sente ugualmente l’aria di un’influenza del regime. Tentiamo alcune considerazioni intorno allo scritto del 1951, Musica a programma reale e apparente.

Nell’URSS tutte le musiche dovevano avere un programma, o almeno un titolo che evocasse alcuni contenuti, per motivi chiari: in questa maniera si poteva controllare che l’opera d’arte sia effettivamente funzionale al socialismo e lodasse il partito; se anche i singoli movimenti recavano un sottotitolo ciò dava ancora più sicurezza, e meglio ancora se l’opera conteneva anche dei cori (pensiamo alla Seconda Sinfonia che con i suoi versi celebra Lenin). Spesso nelle interviste che Shostakovich rilascia in prossimità alle prime delle sue sinfonie le sue parole sul ‘programma’ presunto della sinfonia risuonano come giustificazioni. A proposito dell’Ottava egli afferma che «l’idea filosofica del mio nuovo lavoro in due parole: la vita è meravigliosa! Ogni cosa malvagia scomparirà. La bellezza trionferà»25! Commentiamo con le parole di Pulcini: «A onor del vero, l’Ottava è fra le pagine più lugubri e pessimistiche dell’autore»26. Chi conosce il gusto della maggior parte delle opere di Shostakovich, sa che sono pagine piene di dolore, di sofferenza urlata. Pare, dunque, che il compositore, per lo meno

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ibid., p. 69. ibid., p. 215.

24 ibid., p. 80 e 84.

25 ibid., p. 54.

26 ivi.

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con le parole sui programmi, cercava di giustificarsi agli occhi di un potere che, come abbiamo detto sopra, si aspettava solo musica celebrativa dall’aria positiva.

A proposito della Settima, dedicata a Leningrado sotto la guerra, afferma: «Non voglio costruire un episodio naturalistico con tintinnare di sciabole, esplosioni e così via. Cerco di comunicare l’impatto emotivo della guerra»27. Egli è consapevole, dunque, del limite che un programma preciso possa significare e sa che il «contenuto della musica non è solo un soggetto circoscritto e preciso, ma anche un idea generale28». D’altronde, storicamente l’evoluzione della musica strumentale è andata perfezionandosi appunto tralasciando i programmi nel corso dell’Ottocento. Certamente sono eccezioni Berlioz, Liszt e Shostakovich nel suo scritto Musica a programma reale e apparente, ricco di considerazioni tecnico-storiche, si destreggia abilmente tra una presa di posizione pro o contro il programma; il fatto che il breve saggio si concluda con un encomio sul compito del compositore nel lodare la vita sovietica29 lascia di nuovo trapelare l’idea che si tratti non tanto di scelte estetiche proprie ma un abile mossa tattica per poter rimanere a galla.

Finora abbiamo visto le correnti nelle quali non è iscrivibile il nostro compositore – cioè modernismo, dodecafonia, populismo di massa, mera musica a programma -, ma quali sono invece le influenze che lo caratterizzeranno? In un primo momento, come ricorda negli scritti autobiografici, egli viene a contatto, anche tramite i suoi primi maestri del conservatorio con I compositori del Gruppo dei Cinque (che egli curiosamente chiama il Gruppetto Possente). In un secondo momento, grazie alle sue amicizie con Boris Asaf’ev e Ivan Sollertinskij, amplia il suo orizzonte di ispirazioni. Grazie al primo comincia ammirare particolarmente Stravinskij, Krenek e Hindemith, che ammette siano fondamentali per la sua formazione; il secondo carissimo amico, gli fa conoscere i grandi sinfonisti Brahms, Bruckner e Mahler. Torneremo sull’importanza di questi incontri, che sono ben riconoscibili nella scrittura frammentaria, piena di citazioni di Shostakovich; ma prima interroghiamoci sulle origini di questo tipo di scrittura frammentaria.

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ibid., p. 50. ibid., p. 209.

29 «Ci debbono essere sinfonie, quartetti, sonate e concerti strumentali il cui programma abbia un carattere filosofico più generale, che comunque rispecchi la nostra attuale vita sovietica». E ancora «una musica profonda e ricca di contenuti, che sia ricca di idee e immagini autenticamente sovietiche». In queste righe il compositore sembra giustificare quella parte della sua produzione (produzione strumentale assente di programma) che è la più criticata dal potere. ibid., p. 212.

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Premettiamo che il collage musicale e il procedimento compositivo per frammenti, non sono peculiari solo di Shostakovich, ma anche di altri compositori come Debussy, Stravinskij. E’ tuttavia interessante interrogarci sulle origini teoriche di questo tipo di metodo, comune a tutte le arti. Un incentivo viene sicuramente dalla linguistica e dalla semiotica formalista. Il formalismo è una scuola letteraria che viene a crearsi nei primi decenni in Russia da circoli di giovani studiosi; il loro scopo è quello di spostare l’attenzione nello studio della poesia dagli approcci biografistici, impressionistici o psicologici più prettamente alla struttura del testo (di fatto questo è la culla del futuro strutturalismo). Il loro interesse si concentra principalmente sul delineare come il significato di un testo dipenda dalla forma e dalla percezione che noi abbiamo di quest’ultima; gli esponenti di questa scuola, per spiegare il procedimento poetico, parlano di «spostamento semantico», ovvero dello spostamento dell’abituale reso ‘strano’, presentato cioè in nuovo contesto, come se fosse visto per la prima volta. Tale tecnica dello straniamento gioca chiaramente con le nostre strutture percettive30: attraverso lo straniamento, o slittamento di elementi, il discorso lineare si interrompe e la poesia (o altro oggetto artistico) acquista nuovi significati.

Questo argomento richiama alle nostre attenzioni il crescente interesse per il sistema percettivo dell’uomo e come una riflessione su essa possa diventare un incentivo creativo. Il cinema sovietico si aggiorna sulle teorie pavloviane sui riflessi condizionati e lo sfrutta con successo in ciò che è chiamato il montaggio delle attrazioni31. In questo tipo di montaggio vengono collegati due azioni indipendenti per esprimere un medesimo concetto, ma non per suggerire una simultaneità temporale tra I due, ma per «creare un analogia tra di essi che orienti una risposta emotiva dello spettatore»32. Lo scopo era, per l’appunto, la creazione di una risposta emotiva forte nel pubblico. Questa tecnica verrà poi chiamata anche ‘cinepugno’ in quanto usato spesso per rendere ancora più terribili scene ripugnanti (Corrazzata Potemkin: inquadratura della rivolta dei marinari per la carne marcia alternata con l’inquadratura dei vermi nella carne).

Abbiamo deciso di abbandonarci in questa parentesi sul cinema perché quest’arte a suo modo ha probabilmente giocato un ruolo importante nella formazione di Shostakovich. Da giovane, per guadagnare un po’ di soldi, faceva il pianista accompagnatore nelle sale. Ne ha parlato

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Alberto Cristiani Aldo Cutroneo, Laura di Paolo a cura di, Sostakovic e il suo tempo, Lucca, Libreria Musicale Italiana, 2008, cit., p. 15-24.

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Thompson-Bordwell, Storia del cinema, cit., p. 85. ibid., p. 87

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sempre come di un impegno odioso che gli rubasse troppo tempo dal lavoro compositivo e spesso anche i lavori futuri per il cinema sonoro saranno più un ripiego – per motivi politici come già accennato. Resta il fatto che il nuovo mezzo artistico lo avrà anche stimolato, perché in un secondo momento ammetterà anche che «il lavoro nel cinema risvegliò in me il vivo desiderio di scrivere un’opera (lirica) cinematografica»33 e che ciò poteva aprire illimitate possibilità per l’azione drammaturgica. Alcuni studiosi sviluppano anche l’ipotesi che il tipico procedimento compositivo per collage e la forma spezzettata della sua musica sia in qualche modo correlato al montaggio cinematografico, all’alternarsi repentino di inquadrature34.

Questo procedimento compositivo è ben rintracciabile nella produzione sinfonica si Shostakovich. Il compositore scrive in totale quindici sinfonie, un numero ben elevato di opere sinfoniche, che in parte può essere motivato dal fatto che la direzione dell’URSS individui in questa forma la più adatta a rappresentare la vita socialista35. Nelle sinfonie Shostakovich utilizza ciò che Pulcini chiama ‘montaggio sinfonico’; si intende con questa espressione un tipo di conduzione lontana dalla rapsodia romantica, nel quale il compositore si avvale di numerose citazioni, brevi frasi assemblate.

Le sue sinfonie sono “accumuli” danteschi di immagini, di profili, di cenni musicali ricchi di significato; i temi e gli sviluppi, del pari, sono montaggi di frammenti di realtà sonora circostante, giustapposti con una velocità nuova rispetto alle abitudini precedenti di Mahler 36.

Il riferimento a Mahler è importante. Sopra abbiamo già accennato che Shostakovich si avvicina al sinfonismo mahleriano, chiaramente non in linea con il gusto sovietico antioccidentale, grazie allo stimatissimo amico Sollertinskij. Anche le sinfonie del compositore austriaco si avvalgono spesso di vari incisi; questi possono essere le autocitazioni dei propri Lied (tra alcune delle più celebri Ging heut’ morgen über’s Feld nel primo movimento della Prima sinfonia, 1. movimento; Des Antonius von Padua fischpredigt nello Scherzo della Seconda sinfonia) o inserti di elementi non appartenenti alla musica colta quali il Ländler, o il Walzer struassiano rivisitato. Questi, specialmente per il loro stridere netto con il contesto nel quale sono inseriti, risultano spesso quasi triviali, fuori luogo. Così la musica klezmer che segue

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Pulcini, Sostakovic, cit., p. 216. ibid., p. 10 35 «[…] la sinfonia in URSS venne intesa come un solido pilastro in grado di sorreggere il nuovo edificio ideologico». E ancora: «tutto quanto vi è stato di più bello e di più importante […] noi lo troviamo nella musica dei nostri sinfonisti». Cristiani, Cutroneo, Di Paolo, Shostakovich, cit., p. 104.

36 Pulcini, Sostakovic, cit., 143.

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la marcia funebre del terzo movimento della Prima Sinfonia di Mahler, sa di un elemento dissacrante, irrisorio di tutto ciò che si è pronunciato prima.

Shostakovich si fa maestro di questo modo di procedere. Questo metodo gli permette anche di variare diversi livelli discorsivi, di caricare le sue opere di svariate figure e rendere le proprie composizioni quasi dei messaggi in codice – molto spesso non senza qualche vena di ironia e di satira politica. E’ proprio questo aspetto che gli permette di sfuggire lo stile della retorica ufficiale richiesto dal regime. Taruskin vede la sinfonia shostakovichiana come un discorso codificato (a richly coded utterance), che può essere semanticamente decifrato.

Semantic or extroversive signs are those with referents that lie outside the work in which they occur. […] Very often they invoke other music, whether by allusion to specific pieces or by more general reference to ‘topics’, genres, and styles37.

Quali sono dunque questi stili che richiama Shostakovich nelle sue opere, e quali sono le sue fonti? Sicuramente un incentivo alla sua fantasia viene dal teatro russo e dal cinema. Di frequente, in opere cinematografiche o teatrali dell’epoca, per caratterizzare determinati «tipi sociali’ - quali per esempio il ‘nemico del popolo’ - venivano impiegate danze popolari occidentali quali il cancan, il valzer, il fox-trot38. Due compositori che abbiamo già citato come cari a Shostakovich sono Ernst Krenek e Paul Hindemith; probabilmente è attraverso loro che egli viene a contatto con le prime forme jazzistiche39 che talvolta ritroviamo nei collage shostakovichiane. A proposito dell’impiego di linee melodiose al limite del semplicismo, in uno scritto Shostakovich ammette che fu l’amico Sollertinskij a indurlo ad apprezzare musiche di autori come Johann Strauss o Offenbach, aiutando così il compositore a godere di tutti I generi di musica liberandosi da una «snobistica concezione dell’arte»40.

Anche l’immaginario dei can-can, dei cabaret e il mondo delle marionette è vivo in Shostakovich; ma si tratta di un puro citazionismo a mo’ di divertissement? Se, con Taruskin e molti altri studiosi, condividiamo l’idea che ci sia qualcosa oltre le citazioni bisogna andare più a fondo nell’analisi. Lo studioso Bernd Feuchtner, a proposito delle marionette, suggerisce l’idea che essi rappresentino l’Alltagstrott – o per l’appunto Marionettentrott – ovvero la noia della grigia quotidianità in un regime dove «jede persönliche Verantwortungsgefühl war

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Fanning, Shostakovich Studies, cit., p. 29.

Pulcini, Sostakovic, cit., p. 142.

39 Krenek è tra i primi ad impiegare strutture jazzistiche (che egli crede siano proprie del jazz, mentre sono un surrogato di jazz che arriva in quei primi anni in Europa) nella sua opera Johnny spielt auf, di grande fortuna in quei anni e che Shostakovich apprezzò 40 Pulcini, Sostakovic, cit., p. 215.

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ausgelöscht, weil jede individualität ausgelöscht war»41. Così la danza della marionetta diviene la critica sociale dell’indifferenza.

Facciamo un esempio simile dalla famosa Settima sinfonia dedicata a Leningrado. Il tema del primo tempo, che secondo tanti ricorda quella del Bolero di Ravel, suscitò critiche per la sua triviale semplicità – anche da compositori come Béla Bartók. Esso ricorda infatti la banalità dei canti rivoluzionari. A quale scopo? Le interpretazioni variano ma sono tutti sul medesimo filone: l’inciso è visto come un’immagine satirica della società stalinista, o come l’immagine universale della stupidità, della ridondanza del senza gusto, del banale42.

Così, ciò che agli occhi del potere passa come celebrazione della società sovietica, non è altro che una presa in giro del conformismo al quale gli uomini sono obbligati nei regimi totalitari.

Il direttore d’orchestra Kurt Sanderling che lavorò a fianco di Shostakovich e divenne suo amico, condivide questa idea. Durante le prove della Quinta sinfonia egli interpreta la musica dell’amico proprio in questi termini, presentando all’orchestra temi che ricordano melodie russe come «una presa in giro del potere. Quelli lì sopra però non lo capivano [ride], pensavano fosse veramente una bellissima musica russa». Sanderling evoca anche immagini più concrete, in riferimento a un tema che potrebbe sembrare grazioso, ma che il direttore chiede esplicitamente di non eseguire graziosamente.

Immaginatevi una festa del Partito e il concerto in questa occasione. Il balletto che verrà eseguito è provato da mesi, con tutte le mosse giuste, ne troppo lungo, ne troppo corto. E’ tutto studiato alla perfezione, i ballerini sono annoiati; è come se tutti dicessero intonando alla stessa maniera: «Grazie padre Stalin, per la felice vita sovietica nella quale possono cresce I nostri bambini, grazie padre Stalin»43.

Così, come suggerisce Feuchtner, il linguaggio di Shostakovich non sarebbe altro che un linguaggio di bugie; ma d’altronde come poteva essere diverso se «die Lüge war der Lebenstil – wie sollte es in der gegängelten Kunst anders sein»44?

Bernd Feuchtner, Dimitri Schostakowitsch. “Und Kunst geknebelt von der groben Macht“, Kassel, Bärenreiter-Verlag, 2002, cit., p. 169.

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Esti Steinberg, Irony, Satire, Parody and the Grotesque in the Music of Shostakovich. Cornwall, Ashgate, 2000, cit., p. 90-93.

43 44

Traduzione mia. Fonte: https://www.youtube.com/watch?v=hM1JF8BRZOE&t=1825s Feuchtner, Schostakowitsch, cit., p. 165.

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Lo stile sotto la lente di ingrandimento del Trio no. 2 op. 67

Se nel capitolo precedente abbiamo fatto delle costatazioni più generali intorno allo stile del compositore, addentrarci nella storia della genesi, nella costruzione formale e nell’analisi di una opera concreta può sicuramente aiutare a mettere a fuoco i punti salienti dello stile shostakovichiano. Il Trio no. 2 è tra le opere più citate del compositore. Come nota però lo studioso Patrick McCreless, maggior parte degli studi si è concentrato più sul contesto storico e sulle cause che hanno ispirato quest’opera (extrinsic meanings) tralasciando così le correlazioni e i significati prettamente musicali (immanent meanings). In queste pagine seguiremo, dunque, le avvertenze di questo studioso: nell’accingerci a presentare queste celebri pagine musicali si cercherà di tenere presente entrambi i livelli.

Il Trio no. 2 viene composto durante l’anno 1944. Shostakovich comincia a comporlo in prossimità alla notizia della scomparsa del caro amico Ivan Sollertinskij e dedica l’opera a lui.

Questo trio – oltre a continuare la linea di grandi trii in memoriam di Rachmaninov, Tschaikovskij45 – è la prima opera dell’autore che ingloba musica ebraica. Che Shostakovich nutrisse molta simpatia per questo popolo, nonostante egli non fosse ebreo, era risaputo dalle sue frequentazioni sia femminili che di amicizia46; ma non è da escludere che l’idioma ebreo inserito in questo trio possa fungere anche come simbolo dell’amore per Mahler, condiviso con l’amico Sollertinskij, che, nel 1932, scrive un libro sul sinfonista austriaco-ebreo.

La tematica del trio è chiaramente la morte; la morte sia dell’amico Sollertinskij, sia delle numerose vittime ebree del fascismo. Mentre Shostakovich sta completando il trio nell’estate del 1944, giungono le prime notizie dai primi campi di concentramento liberati sulle camere da gas e delle atrocità commesse dai nazisti. Una delle notizie scioccanti è la notizia di un ufficiale tedesco che nel campo di Treblinka (liberato dall’Armata Rossa) obbligava gli ebrei destinati al massacro di cantare e danzare prima di essere uccisi.

Horrified by sotries that SS guards had made their victims dance beside their own graves, Shostakovich created a directly programmatic image of it. This harshly realistic movement is meant to shock and, at its height, the impression of someone stumbling about in exhaustion is painfully vivid47.

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Mishra, p. 152 Faircl362 47 Fanning p. 11 46

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Immagini e parole potenti, sufficienti a chiarire l’interesse che si è creato sin dagli inizi intorno a quest’opera. Le fonti non chiariscono l’origine della melodia ebraica che è il fulcro del movimento finale del trio, ma – come si intuisce – il centro di questo lavoro non è l’interesse per la musica popolare ebraica e, forse nemmeno l’immedesimazione con una comunità oppressa o la simpatia in generale per questo popolo48. E’ attestato però che lavorando con Meyerhold, Shostakovich viene a contatto con il compositore ebreo Michail Gnesin i cui lavori – scritte per il grande teatro del regista costruttivista - lo affascinano molto. Esti Scheinberg sostiene che «there is a considerable influence of Gnesin on Shostakovich’s Jewesh works, for example, in his Second Piano trio and in his From jewish folk poetry49. Sicuramente Shostakovich conosceva dunque bene la musica ebraica, non importa fosse originale o stilizzata, e nel trio ritroviamo elementi tipici della musica klezmer (II grado abbassato, IV eccedente).

Dopo queste prime considerazioni iniziali che ci aiutano a fare i primi passi nel contesto di questo trio addentriamoci nello stile, struttura formale e analisi dell’opera. Si tratta di un’opera formalmente tradizionale, in quattro movimenti; la particolarità, e forse anche la chiave di lettura, sta nella ciclicità del trio. Con questo si intende la ripresa di temi del primo e del secondo movimento nel finale; ciò denota forse la volontà di rendere l’opera particolarmente organica. La ‘ciclicità’ è una nozione complessa e un poco sfuggente. Caratterizza sicuramente il sinfonismo di Mahler, e ciò può essere un indizio; di fatto il termine ciclico è impiegabile più al genere sinfonico che non alla musica da camera e a ben guardare anche gli esempi riportati da McCreless50 sono, appunto, tratti dalla grande tradizione sinfonica.

Tuttavia, quando la ciclicità si riferisce all’unità contenutistica di un’opera (Seelenzustände), si presuppone che il ritorno periodico di temi (figure, caratteri) sia collegato ad un programma, come per esempio nel caso di Berlioz. Per quanto l’analisi ermeneutica di Patrick McCreless si avvicini a un’idea del genere, si può sostenere che la musica da camera - genere per eccellenza del nuovo ideale di musica assoluta nell’Ottocento - sia la via meno indicata per voler scrivere musiche programmatica. E, tra le altre cose, abbiamo già visto sopra la probabile avversione di Shostakovich al programma. Già che egli era obbligato ad immettere qualche indicazione contenutistica nelle sue sinfonie per compiacere il regime, molto probabilmente nella musica da camera, notoriamente il genere nel quale Shostakovic poteva rifugiarsi

48

Faircl, 367 Scheinberg p. 301 50 fanning p. 116 49

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nell’intimità, evitava il programma ben volentieri. Ci tratterremo, dunque, dal trarre conclusioni concrete sulle immagini che la musica può suscitare, incoraggiati anche dall’idea hanslickiana che la musica non è altro che ‘forme sonore in movimento’, disinteressate ad esprimere alcunché (riferito a contenuti extramusicali).

Primo movimento. Andante-Moderato Il primo movimento è descritto spesso come una forma sonata, anche se un poco deforme considerando la sezione dello sviluppo molto più breve delle altre due sezioni. Questa ‘forma sonata’ è preceduta da un’introduzione, un canone a tre voci che ci può richiamare scelte dello stile neoclassico51. Si tratta di un dolente canto accennato dagli armonici quasi improbabili del violoncello; il canone viene ripreso dal violino in sordina e dai registri più bassi del pianoforte.

Un inizio insolito, che inaugura un’opera insolita, contrassegnata indubbiamente dal dolore.

Dal Moderato in poi, a fig. 652, comincia la forma sonata. Il pianoforte accenna il primo tema (fig. 6-b. 3) in mi minore, tonalità base dell’opera. A fig. 14 troviamo il secondo tema, un movimento circolare in tre che ricorda un movimento di danza un po’ impacciato, che ritorna sempre su di sé. Convenzionalmente a fig. 18 ci sarebbe lo sviluppo, per la ripresa del primo e del secondo tema rispettivamente a fig. 21 e a fig. 25. Sono molteplici le ragioni che rendono dubbia la corretta attribuzione di forma sonata a questo movimento.

Per esempio, dopo la ripresa del primo tema, affiora un nuovo elemento, molto sarcastico: un temino saltellante accennato prima del pianoforte e poi dal violino accompagnati da un rudimentale tempo di danza (La-Mi insistenti del violoncello). L’altro fatto è che la ripresa del secondo tema a fig. 25 è già anticipata a fig.23-b.7, e – mentre dopo (a fig. 25) sarà più ridotta (la scala ascendente da 6 a note è ridotta a 4) dando l’idea di qualcosa che si attorciglia su sé stesso senza la possibilità di andare avanti – almeno a fig.23-b.7 è ripresa per intero, pur con una funzione modulante (cromaticamente). A questa ‘ripresa’ segue subito l’avviamento verso la chiusura del movimento e si evidenzia sempre di più l’accompagnamento (IV-III-III-II-II-I) che il violoncello intraprende già a fig.23-b.7. Questo pattern sembra voler evidenziare la caduta sulla tonica di Sol e poi, in quello che forse da fig. 26-b. 3 sarebbe più giusto chiamare una coda, sulla tonica di mi. Il pianoforte per l’ultima volta accenna il primo tema, quasi sommesso e nascosto dietro il pacioccoso pattern del violino in fortissimo: questo poi si attenua sempre di più, in unisono con il violoncello, e si può osservare anche un’aumentazione ritmica 51

p.mishra 153 Indicheremo I segni di chiamata con l’abbreviazione fig. e le battute con l’abbreviazione b. Per esempio per indicare l’ottava battuta della partitura, useremmo fig. 1-b.2.

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della stessa linea melodica. Tutto sembra sottolineare che siamo in mi minore, va tutto secondo le regole della musica tonale, finché il pianoforte non fa diventare il fa diesis fa naturale. Questi fa risuonano come piccoli martelli fastidiosi sotto gli arpeggi in mi minore del violino; un presagio del ‘fa ebraico’ (secondo grado abbassato), centrale del quarto movimento?

A proposito di instabilità tonale, tanto tipica della musica di Shotakovich, l’intero trio oscilla tra il centro tonale di mi minore e si bemolle, maggiore, ma più frequentemente si bemolle minore. Ciò si osserva già nel primo tema in mi minore, con una sospensione di quattro battute in Si bemolle maggiore a fig.7-b.3. Più avanti si trova una sessione più lunga di undici battute sempre in Si bemolle maggiore a fig. 15, e per la prima volta si accenna un temino innocente in fig. 18-b.8. Ancora a fig.20 una affermazione della centralità del Si bemolle maggiore: da questa triade parte il movimento percussivo che ci guida alla ripresa del primo tema.

Secondo movimento. Allegro con brio Il secondo movimento, come spesso gli Scherzi di Shostakovich, è di vivace ritmicità e velocità frenetiche. A proposito del tempo d’esecuzione indicato, che è al limite del realizzabile nell’esecuzione, Shostakovich ammette che quando scrisse il trio aveva solo un vecchissimo metronomo non affidabile e che i tempi indicati sono sbagliati53. Questo Scherzo è in Fa diesis maggiore ed è sicuramente il movimento che presenta meno problematiche per l’analisi. Si tratta di una regolare forma ABA’. La sezione ‘trio’ (B) stride con il tema principale: non solo per la nuova tonalità di Sol maggiore, ma anche per giocoso e comodo tempo di danza che intona (un rowdy waltz54), contrastando così nettamente il carattere spigoloso, deciso e caricaturale delle parti A, A’.

Secondo la sorella di Sollertinskij, questo movimento rappresenta perfettamente «[the brother’s] temper, his manner of speech, his habit of returning to one and same thought.» Le parti A, quelli cioè del tema in Fa diesis maggiore, sono ben sviluppate; il tema riaffiora sempre, immerso in altre figure quali note ribattute, arpeggi virtuosistici e un nuovo elemento

53

https://www.jstor.org/stable/j.ctv1t1kfj8.81?Search=yes&resultItemClick=true&searchText=shostakovich+trio+ op.+67&searchUri=%2Faction%2FdoBasicSearch%3FQuery%3Dshostakovich%2Btrio%2Bop.%2B67%26acc %3Don%26wc%3Don%26fc%3Doff%26group%3Dnone%26refreqid%3Dsearch%253A64fa52a2130de947785 9de1eadcf67c8%26so%3Drel&ab_segments=0%2Fbasic_search_gsv2%2Fcontrol&refreqid=fastlydefault%3A97894833a56daff29b7569a31170a316&seq=3#metadata_info_tab_contents 54 fanning 121

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che potrebbe essere forse visto come un secondo tema, in quanto ugualmente ripreso anche in A’.

Si tratta dell’elemento a fig. 37 poi a fig. 55.-b.5: una scala ascendente di tre note accentate seguito da un breve crescendo, che sembra una messa in voce innaturale, quasi animalesco.

Sarà questo elemento a fare da contrappunto al tema esposto nel violino a figura 41.

Rostropovich spiega questo momento musicale richiamando una immagine dell’URSS in occasione di una prova con Cascioli e Zimmermann: Sapete nell’URSS c’erano le demostrazioni e la gente spesso si ubbriacava. Qualcuno, che ha bevuto troppo, esce dalle file e vomita. […] Voi, dunque, [riferendosi al violoncello e al pianoforte] andate dritti con la manifestazione; io che ho bevuto troppo devo uscire dalle file a rimettere55.

Oltre l’ilarità di questa idea interpretativa di Rostropovich, questa è anche un indizio del fatto che la giusta direzione per interpretare la musica di Shostakovich sia quella di seguire i numerosi caratteri, figure spesso buffe e sardoniche. L’interprete è chiamato ad immedesimarsi in loro e plasmarli in immagini vivide. In questo secondo movimento si tratta proprio di questo e i numerosi accenti e le particolari arcate segnate indicano proprio ciò.

Terzo movimento. Largo Il terzo movimento è una funeraria passacaglia. Questo è un altro riferimento al passato (come il canone introduttivo) essendo la passacaglia una forma antica. Essa anche nel passato era legata al tema della morte e del funerario; la storiografia su questo terzo movimento di Shostakovich conviene infatti sul fatto che si tratti di un lamento funebre dedicato all’amico Sollertinskij. Il pianoforte e gli archi svolgono funzioni nettamente diverse. Il pianoforte per tutto questo Largo continua a ripetere gli otto accordi che, forte, aprono il movimento.

Svolgiamo uno sguardo all’incatenamento armonico di questi. I primi due accordi preludono a una possibile affermazione della tonalità di si bemolle minore (I-V); invece a ciò segue una debole Do maggiore per una seguente serie di accordi che si sviluppano cromaticamente, intessendo vari voice-leadings, ma senza una funzione tonale. L’ottavo accordo è solitamente interpretato come dominante di mi (tonalità di base) che però non arriva mai a risolvere. Se così fosse, già il settimo accordo potrebbe indicare un quarto grado. Il nostro orecchio, a mio parere, non si aspetta però nessuna tonica, in quanto questo V grado (ottava battuta con basso 55

Traduzione mia. Fonte: https://www.youtube.com/watch?v=KQjXgT0-lqA&t=384s

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si) non è un quinto grado, è un accordo diminuito; quindi né dominante, né tonica: nessuna traccia di tonalità.

Riparte il ciclo da Si bemolle minore. Su questo tappeto di accordi si adagia l’intenso dialogo tra i due archi. Il loro attacco è in si bemolle minore, ma presto le linee melodiche si evolvono verso altri ambiti tonali, senza mai affermarne nessuna (potrebbe essere un accenno a Si bemolle maggiore a fig.58-b.5); se concordiamo con alcune analisi e vogliamo parlare di tonalità di base (si bemolle minore) esso in realtà viene ripresa solo alla fine del movimento, con la riesposizione del tema.

Il movimento è una inesauribile marcia funebre che ciclicamente si rinnova; il tempo lento indicato dà un carattere meditativo e di cupa cerimonialità. Il primo periodo del violino espone il tema (da fig. 58. a fig. 59), che poi dal violino passa al violoncello. Dopo questi due periodi il canto del lamento si evolve verso una forma libera, e come abbiamo detto sopra anche verso modi o tonalità libere. La perenne ciclicità del pianoforte si sospende nelle ultime battute del movimento sul bicordo si-re: arriva la risoluzione sul mi?

Quarto movimento. Allegretto Il si permane, ma da dolce movimento si evolve in insistenti, spigolose ottave staccate; il sol diesis a fig.64-b.4 sembra un cedimento perché fa trapelare un possibile Mi maggiore, confermato dalle prime tre note del pizzicato del violino. Il fa (fig. 64-b.5) sfata però l’affermazione della tonalità. Si tratta piuttosto di un modo tipicamente ebreo, il freygish56 (qui in mi), con il settimo grado alzato (re diesis) e il secondo grado abbassato (fa naturale). Nella versione di shostakovochiana di questo modo è presente però anche il terzo grado alzato (sol diesis), costante nell’accompagnamento del pianoforte. Quest’ultimo, attenuando il dolente lamento del violino, rende al canto una qualità di risata fra le lacrime (laughting through tears), spesso associato alla musica ebraica57 – una categoria che può essere centrale nella lettura del significato di questo movimento e torneremo verso la conclusione su questo tema.

L’Allegretto finale del trio è sicuramente il movimento più interessante, sia per la forma – un rondo irregolare – sia perché è il movimento che permette di conferire l’aggettivo ‘ciclico’ al trio. Abbiamo già trattato del primo tema ebraico (a). A questo segue a fig. 66 un’altra melodia 56

Michael Mishra, A Shostakovich Companion, Westport, Praeger, 2008, cit., p. 154.

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Ivi.

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ebraica, questa volta in modo dorico, con il quarto grado alzato (b). Viene poi ripresa (a) con piccole variazioni. Dopo un inciso spigoloso - con accenti spostati e con la figura ritmica di croma-semicroma-semicroma - e di gusto quasi hindemithiano, si arriva alla sezione B. Il violoncello presenta una appassionata melodia instabile ed irrequieta in 5/8 (c) (fig.71-b.3).

Questo tema viene poi alternato con (d)(fig. 72.), di nuovo un tema ebraico freygish, questa volta in si58, fino alla ripresa di (a) in mi bemolle nei registri più bassi del pianoforte. Questa volta (a) viene contaminata con (d) (fig. 77-b.11), per poi essere ripresa a fig.77. Dopo un periodo di transizione dove i vari elementi vengono mescolati (le melodie ebree e anche il modello ritmico ‘hindemithiano’) a fig.82 ci avviamo verso il climax del movimento con il contrappunto di (b) del violoncello con il perpetuum mobile del pianoforte che si ritorce su sé stessa sulle note di (a). All’ingresso appassionato martellato del violino segue la pomposa ripresa di (d). Ecco il famoso ‘banale’ di Shostakovich: il tema (in Si bemolle maggiore) in fortissimo è accompagnato da accordi sempre della tonalità di base degli archi. Una macchina da guerra? La ridicolizzazione di quest’ultima? Il trash delle atrocità? All’interprete e all’ascoltatore la scelta. Qui è da sottolineare come questa parte, con pochissimi mezzi di tecnica compositiva, risalta inequivocabilmente, proprio per la sua banalità. Segue la ripresa a fig. 86. di (c); qui è decisivo l’indicazione Tempo I., presente nell’originale edizione DSCH che rende il tema non più passionale, ma sofferente. Esso è presentato in terze parallele dagli archi in fff. Segue (d) per arrivare alla parte conclusiva del movimento e la sua ‘cadenza’ su Mi maggiore (che già affiorava nelle prime battute del movimento, ricordiamo).

Gli arpeggi del pianoforte spazzano via il clima che si è creato sinora. Gli svolazzi nel registro alto del pianoforte avvengono sugli otto accordi della passacaglia del terzo movimento: ecco il primo indizio di ciclicità. La seconda volta il ‘giro’, finalmente, dopo la sua tortuosa ricapitolazione continua nel Largo, risolve su mi minore. Secondo indizio della ciclicità: il violino riprende il tema iniziale del canone. Il canone non è solo accennato, è eseguito con precisione sino alla fine riprendendo esattamente l’introduzione del primo movimento – quindi segue il tema al violoncello e poi al pianoforte. Il tutto è accompagnato dalla leggera intessitura suonata dal pianoforte, che sembra quasi un’improvvisazione ad libitum obbligato. Come nel Moderato del primo movimento, la melodia si arresta su crome puntate e riaffiora (a) in quinte parallele, sempre nel registro basso del pianoforte. Quest’ultimo strumento è violentemente interrotto dagli archi intonano (b) in mi. Qui è difficile pensare che dietro la melodia possa

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Ivi.

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ancora celarsi un sorriso; in partitura c’è l’indicazione ff con sordina per gli archi. L’effetto è quello di chi urla, ma non gli esce abbastanza suono. Anche l’accompagnamento non è più il simpatico ‘umm-pa’ dei pizzicati, ma una stridente settima martellante.

A fig. 103 il pianoforte borbotta ancora (a) e mantiene mi che verrà però sospesa con quella che potrebbe sembrare una cadenza in Re maggiore (prime tre b. di fig. 104). Viene ancora una volta trapelato una cadenza in Mi maggiore, (Sol diesis come terzo grado) ma il Fa sfata di nuovo l’attesa. Ritornano gli otto accordi della passacaglia e di nuovo l’andamento si risolve, ma questa volta in mi maggiore. Sullo sfondo di questo accordo maggiore, violino e violoncello accennano per un’ultima volta (a).

Qui concludiamo la nostra analisi, pur lasciando aperte tante domande. Cosa significa il mi maggiore finale? Una possibile accettazione della sofferenza59? E gli echi di (a) intonati dagli archi: un riemergere di brutti ricordi del passato nonostante ci fossimo già riappacificati con esso60? Possiamo anche impegnarci a descrivere più meticolosamente il ‘dolore’ contenuto in questo trio. McCreless suggerisce che ci siano due dolori: uno più intimo, legato alla perdita dell’amico; l’altro ‘pubblico’ esprimente la compassione del popolo ebreo. I diversi movimenti o temi dolorosi esprimerebbero dunque questa dualità61. E’ legittimo individuare un elemento puramente musicale (nota, pattern, ritmo) come segno di significato di un concetto62?

Nella premessa a questa analisi abbiamo già espresso che ci terremo lontani da interpretazioni ermeneutiche simili, che prendono forse troppo alla lettera determinati segni musicali. Queste interpretazioni sono necessarie all’attività artistica dell’interprete; è ciò che facciamo davanti a tutte le pagine musicali, consci, però, che l’interpretazione di un artista non ha validità universale, né scientifica. La volontà che può spingerci a spiegare nel dettaglio pagine musicali così affascinanti è, oltre il loro valore estetico, il loro valore storico. In qualche modo

Maggior parte delle analisi verte verso questa interpretazione. Sembra però una soluzione un po’ troppo banale per un compositore come Shostakovich, che non ha paura del buio – se si può utilizzare questa locuzione alquanto poetica. Si potrebbe pensare, forse, che abbia voluto compiacere il Potere con l’inserimento di un lieto fine a un opera che, con grande potenzialità, poteva essere criticata per il dolore che rappresenta, oltre per i temi ebraici, facilmente riconoscibili, contenuti al suo interno. Proprio in quegli anni anche in Russia cominciava a farsi sentire l’antisemitismo nel mondo della cultura. Mishra, Shostakovich, cit., p. 157.

60 Fanning, Shostakovich, cit., p. 130.

61 ibid., p. 128.

62 ibid., p. 136. Per McCreless la nota Fa (‘Jewish’ F) rappresenta «the subject’s indelebile consciousness of unjust deaths by political terror»; dunque, sarebbe questa coscienza, da cui il soggetto è incapace di liberarsi, a far sì che il Fa non risolva mai. Qui l’autore è incongruente, perché effettivamente poi risolve, come lui stesso lo nota.

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quest’opera è ancora vicina a noi, è stata composta nel contesto di eventi tragici che i nostri nonni hanno ancora vissuto e forse ciò ci fa pensare di poter essere ‘complici del mistero’ – per dirla con Jankélévitch – di questa musica.

Nella volontà di afferrare il significato ermeneutico dell’opera, bisogna forse fare un passo indietro ed osservarla nella sua interezza, organicità, come ha fatto Esti Steinberg. Abbiamo già affermato sopra che, per motivare la presenza di temi ebraici nell’opera bisogna probabilmente andare oltre all’idea che Shostakovich abbia semplicemente voluto rendere omaggio a un popolo pesantemente vessato dalla politica nazista. (Per quanto il fatto, notorio, che il tema (b) del quarto movimento risuoni nell’Ottavo quartetto dedicato, appunto alle ‘Vittime del fascismo’, possa forse suggerire l’interpretazione del tema (b) come segno semantico di ‘vittima’). Steinberg sostiene che Shostakovich non era tanto interessato al folklore ebraico, « […] but for Jewish ethos, the Jewish mode of awareness of existence, the inescapable human responsibility to expect justice in a hopelessly unjust world»63. Steinberg parla, dunque, di una filosofia dell’essenza64 tipicamente ebrea, che accetta il mondo doloroso, rendendola in qualche modo vivibile attraverso l’ironia o la danza. Chi all’inizio del quarto movimento non pensa si possa trattare di una maliziosa, ma pur giocosa e disimpegnata danza ironica? Steinberg spiega bene che l’ansia esistenzialista (existential angst) può essere trasformata e resa comprensibile attraverso l’ironia. Quest’ultima applica un certo tipo di distacco emozionale e rende possibile uno sguardo e un commento sull’ansia esistenzialista.

L’ironia esistenziale «can laugh at our deepest source of horror, becoming an act of moral courage, a statement of victory and a reach»65. Il coraggio della danza non è altro che an act (…) of awareness: it is a musical correlation of existential jewish ethos. far from being sarcastic or nihilistic, Jewish ethos isa portrayed here as overcoming existential angs, by surviving both god’s love and his justice66.

Non si intende certo suggerire che Shostakovich sia così profondamente esperto di filosofia ebraica, per quanto sicuramente la sua amicizia con Sollertinskij gli abbia elargito alcune nozioni in merito. La visione di Steinberg può essere interessante, perché è una linea interpretativa che ci ricorda che la musica è anche una pratica sociale e come tale può veicolare 63

Pauline Fairclough, David Fanning, The Cambridge Companion to Shostakovich, New York, Cambridge University Press, 2008, cit., p. 366.

64 Si intende l’esistenzialismo in filosofia. Steinberg ne da la seguente definizione: «a generalized dysphoric approach to human existence and a strong feeling of its senselessness and lack of direction». ibid., p. 362.

65 66

ibid., p. 350. ibid., p. 367.

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non solo messaggi in codice ma modi di ‘essere’. Le pratiche musicali, in determinati momenti esistenziali dolorosi quali quelli vissuti dal compositore e dai suoi contemporanei, possono avere forse anche funzioni paideutiche, volte ad aiutare l’uomo a convivere con il dolore.

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Bibliografia Francesca Gentile Camerana, collana diretta da, Dimitrij Shostakovich. Torino, De Sono, 2003.

Alberto Cristiani Aldo Cutroneo, Laura di Paolo a cura di, Sostakovic e il suo tempo, Lucca, Libreria Musicale Italiana, 2008 Pauline Fairclough, David Fanning, The Cambridge Companion to Shostakovich, New York, Cambridge University Press, 2008.

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