La pagina maggio 2005

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C’era una volta un re

Le parrocchiette Giampiero Raspetti

Raffaela Trequattrini

I l male è solo là, nel campo

avverso. I letamai del proprio campo non emanano, al più si tratta di benaugurante stallatico naturale. Nel gioco del calcio, un’entrata violenta compiuta dagli altri giocatori è malvagità, abiezione, non solo loro, ma di tutti, dirigenti compresi, della città, della nazione. Se invece la compie un giocatore della squadra amica è coraggio, gesto indomito, praticamente eroismo. Paroloni rubacchiati ai racconti epici magnificano, nelle cronache sportive, normali gesti atletici effettuati da giovanottini in mutande, superlautamente foraggiati, puntelli di un baraccone che si fa trogolo anche per similimprenditori in cerca di appalti, politici in cerca di visibilità, giornalisti che ciarlano del niente, sciacquette in cerca di tutto. E così uno sport da praticare diventa alloggio per investire, per chiacchierare, per trasformarsi in guardoni. Oggi sempre più stalla nella quale alcuni bianchi interpretano luridamente il loro odio razziale.

C’è una favola, non so se la conoscete... L’ho trovata, a seconda dei testi, con due titoli diversi: “Il re nudo” o “I vestiti nuovi dell’imperatore”. Per riassumerla in breve, la storia narra di un re che venne truffato da un mercante. Costui, infatti, si era presentato a corte dicendo di possedere un abito la cui vista era preclusa agli sciocchi. Il re, che non vedeva niente, perché ovviamente non c’era niente da vedere, atterrito dall’idea di apparire uno sciocco, lo acquistò e, dopo aver annunciato ai suoi sudditi la sorprendente caratteristica dell’abito, cominciò a girare per le strade, intenzionato a scorgere dalle espressioni dei visi chi era intelligente e chi invece no. All’inizio, siccome nessuno ci teneva a fare la figura del cretino, ognuno fingeva di ammirare questo vestito. Finché tra la folla un uomo più ingenuo, o forse meno ipocrita della massa, ad un tratto gridò “ma il re è nudo!”. segue a pag. 2

Italiani, stupida gente?

N° 5 - Maggio 2005 (25)

Francesco Borzini

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Comunicare necesse est amare non est necesse

Si avvicinano le date fatidiche del 12 e 13 giugno, in cui si apriranno le urne per votare il referendum sulla fecondazione assistita: un tema che attiene alla salute e ai diritti di libertà di ciascuno di noi. Ebbe modo di dire Carlo Azeglio Ciampi, qualche anno fa, che lui ai referendum e nelle altre tornate elettorali è andato a votare sempre e comunque, perché ha conosciuto in gioventù la mestizia di una dittatura che non consentiva il diritto di voto (buffoneschi plebisciti a parte) e il sacrificio dramma-

E’ proprio così importante “comunicare”? Chi s’era mai posto un problema del genere prima d’oggi? E perché nel giro di pochi decenni il comunicare è finito in primo piano fino a divenire, ai giorni nostri, quasi un’ossessione? Prima non si comunicava? Come no! Ci si incontrava al caffè, all’osteria, in piazza e si parlava, discuteva, litigava. Era più difficile capirsi? Ma figuriamoci! Chi voleva capire capiva e chi non voleva no, esattamente come oggi.

segue a pag. 2

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Vincenzo Policreti

A PAGINA Donna Referendum Pala dei Francescani di Terni - Incoronazione della Vergine di Narni 8-9 Proprietà ecclesiastiche a Narni nell’alto medioevo: il caso di Farfa 12 Sulla strada per Piediluco 13 Vecchia Osteria 5 7

Un minimo di... contegno Sandro Tomassini

La frantumazione della scena ternana Francesco Patrizi

Che vogliono questi parenti delle vittime di Piazza Fontana? Di che si lamentano? Cosa pensano possa mai giustificare e legittimare le loro pretestuose e supponenti recriminazioni? O tempora, o mores! Ahinoi, il pudore non è più di casa in queste lande, se chi ha impudentemente sollecitato l’avvio della costosa e delicata macchina della Giustizia, per la sola curiosità di vedere in faccia gli esecutori e i mandanti della strage, può ora arditamente dolersi di una sentenza che lo grava delle spese sostenute!

Un venerdì di maggio la meglio gioventù ternana ha portato letteralmente in scena la propria divisione, la frantumazione in cui è lacerata da anni. Lo spaccato a cui ci riferiamo è quella gioventù che fa teatro, quella che crea, che fa l’arte, ma che non si parla, non si scambia idee, non si dà una mano. Non stiamo parlando di giovani apatici rintronati dalla Playstation, ma di ragazzi che per mesi passano le serate a provare una scena, a ripassare un testo in una stanza in affitto o in un garage.

segue a pag. 3

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