INVERNO 2019-2020
Il magazine delle eccellenze e delle innovazioni tecnologiche per tutti i professionisti del mondo dell’abitare
I PROGETTI E I PROGETTISTI - L’ARTE E IL DESIGN - L’INTERIOR E LE TECNOLOGIE D’AVANGUARDIA 1
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SPAZI magazine | Rivista trimestrale specializzata | Periodical magazine Registrata presso la Cancelleria del Tribunale di Vicenza con il numero 3/2019 DIRETTORE RESPONSABILE | EDITOR IN CHIEF Simone Pavan | simonepavanitalia@gmail.com | Ordine dei Giornalisti del Veneto N° 124991
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Sommario
.Architettura e Arte 10 | .Disperatamente Global | Di Simone Pavan 12 | .Bisogna mangiarla l’arte | Di Salvatore Fazia
.Spazio ai Progetti 18 | .Renzo Piano | Di Erika Marchioro e Simone Pavan
.Spazio agli Ospiti 62 | .Il designer Matteo Cibic | Intervista di Simone Pavan 70 | .Le Sindoni di Gaia Bellini | di Giovanni Simoni 74 | .Maffeo da Arcole | di Giovanni Simoni
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Sede legale: Via Capitello, 1 – 38050 Roncegno Terme (TN) Telefono 0461 775555 Sede Amministrativa: Via Carlo Alberto, 68 - 35010 Grantorto (PD) Tel. 049 5960137 commerciale@vibetonbrenta.it commercialetn@vibetonbrenta.it
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Disperata
Opera di Damian Hirst | Ph - Š Simone Pavan
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mente Global Oggi tutto si sta globalizzando, ...e l’architettura? Sono più di trent’anni che si parla di “globalizzazione”. Tecnicamente si parla della capacità delle imprese di distribuire merci e servizi in tutto il mondo. Ma la globalizzazione, di fatto, è un processo planetario di cambiamento che coinvolge anche l’arte, l’architettura, il design, la musica e persino il modo di pensare. Infatti in questi ultimi decenni, il computer e internet hanno cambiato il modo di fare e di pensare le cose. Il computer ha permesso di esplorare con estrema semplicità, le interazioni tra le varie scienze. Ma internet ci ha reso tutti “argonauti” e ci ha donato la possibilità di lanciarci ognuno, alla personale ricerca del “vello d’oro”, ossia del profitto e del capitale. Vale a dire che, ogni essere umano ha oggi la possibilità di visitare, di comunicare e di essere presente in tutti i luoghi del pianeta, in tempo reale. E sarà pur vero che il ‘navigare’ è virtuale, ma è in egual misura vero, che ciò che si scopre ‘navigando’ è assolutamente reale. Questa è la trasformazione dell’essere umano. In una recente conversazione, Vittorio Sgarbi ha parlato di un nuovo ‘rinascimento’, voglio riproporla anche se solo in parte, perché i concetti espressi, sono validi per l’arte come per l’architettura, per la musica e per tutte le ‘creazioni’ della mente umana. Il 70 % dell’arte mondiale sta in Italia, a testimonianza del fatto che in epoche passate ma anche recenti, vi è stata una enorme produzione. In futuro saremo ancora noi italiani i detentori dell’arte? L’Arte si esprime in ogni parte del mondo. In Italia ha raggiunto una perfezione superiore sia per capacità espressa dai singoli artisti sia per via delle scuole, e quindi della formazione. Dalle botteghe italiane, sono cresciuti personaggi come Michelangelo e Leonardo, da sempre abbiamo una peculiarità nella creatività artistica, più alta che in altri paesi. L’Italia ha avuto un primato dell’arte che è durato molti secoli, ma che oggi non è più scontato. La tecnologia ha ridotto il margine di esclusione di alcune aree del mondo e questo è importante, perché tu vedi su internet una cosa che accade a New York e la puoi riprodurre in Islanda come in Nigeria. Quindi una persona che ha un cervello funzionante può attivarlo anche in un luogo che non è più sfavorevole o non è più sfavorito. Quindi possiamo anche ipotizzare che se avviene una nuova rivoluzione dell’arte possa essere più globale? Più globale, più democratica, più decentrata... se io sto in un luogo depresso si presume che produca un’arte depressa...
Oggi il primato dell’Italia non c’è più, c’è una tradizione a cui ci si può ispirare, che può farti essere in un’area favorevole, però una persona intelligente può attivare lo stimolo lavorando a Toronto o a Montreal, circa qualcosa che è capitato a Parigi, ed è in tempo reale consentito dal collegamento internet, che ci rende tutti connessi. Per cui questa situazione è sicuramente un’avanzata della democrazia nella rappresentazione artistica, e sono moltiplicati gli enti erogatori di bellezza, ma il problema diventa questo: qual è il livello minimo entro cui un’opera d’arte è tale? ...in molti casi l’opera non raggiunge un livello di sufficienza, ma non è più possibile dare un criterio di giudizio che sia oggettivo. Considerando questa globalizzazione, secondo lei è ipotizzabile il materializzarsi di un movimento portatore di un messaggio globale identico per tutti i popoli? E può assumere questo, un aspetto umanistico? Si, ma nel senso che, mentre i futuristi, in un’epoca ancora artigianale, si mettono insieme in cinque e fondano il futurismo, oggi non c’è nessuno che fa il gruppo, non perché non vada bene, ma semplicemente perché non ce n’é bisogno. Ovvero, tu non fai la rivoluzione con un proclama come il manifesto di Marinetti... ti attacchi su internet e valuti alcune opzioni, qualcuna la puoi accrescere di significato e solo allora hai fatto un’opera d’arte nuova. Dal punto di vista della migrazione dei popoli, in realtà, è l’espressione materiale di una capacità di riscatto, la forza di separarsi dai propri limiti, che può avvenire in qualunque punto dell’Africa. Prima, un indigeno dell’Africa senza telefonino era isolato, adesso è collegato con il Mondo intero, e questa possibilità - di affrancare dai limiti spazio-temporali qualunque cittadino del mondo - è reale. Certo rimane sempre il terzo mondo, ma l’individuo che vuole scattare in avanti, se ha iniziativa lo può fare, senza che ci sia una lotta sociale, la liberazione di un popolo. Niente di grandioso, ma, in semplicità, uno può stare anche in mezzo a un prato e produrre la sua arte... Il progettista di architetture, ha da sempre il compito di ideare e creare gli spazi abitativi. Oggi ha anche la possibilità di sciogliere il dualismo tra il mondo delle idee e il mondo delle cose. Egli è come uno scultore che prende marmo informe e, mirando alle idee, gli dà una forma. Gli strumenti ci sono… buona lettura, Simone Pavan
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Arte interrogativi
.Bisogna mangiarla l’arte, non guardarla... Bisogna mangiarli i libri, non leggerli
Banksy è lo street artist più famoso al mondo, anche se non ancora identificato. Quest’opera è una replica del famoso murale raffigurante Vincent Vega e Jules Winnfield (John Travolta e Samuel L. Jackson), i protagonisti di Pulp Fiction, che impugnano banane invece di pistole. Il dipinto originale si trovava vicino a una fermata della metropolitana londinese, ma nell’aprile 2007 è stato letteralmente cancellato dai netturbini dei trasporti pubblici. L’opera era valutata fino a 450 mila euro.
Al posto dei critici sono sempre più i curatori a organizzare e a presentare l’arte corrente, i sans papier, caratterizzati indubbiamente da notevoli capacità selettive, ma altrettanto indubbiamente da scarse capacità critiche e creative, riflessive e narrative… Il n.1 dei curatori è Francesco Bonami, capace di adoperare sia il linguaggio collettivo – il parlato delle circostanze in cui l’arte attuale è l’oggetto di quelle grevi battute, tipiche nelle discussioni occasionali sia il linguaggio di quelle brevi battute intellettuali tipiche di certe rare maniere: nelle quali il pensiero si fa carico di qualche giudizio conclusivo sugli artisti. Come per esempio quando – parlando del proprio libro scrive: “è un libro per tutti quelli che guardano l’arte senza sapere bene cosa farsene, ma al tempo stesso senza alcuna particolare antipatia: si rivolge a coloro che dicono io non me ne intendo, e non si rendono conto che per godersi un’opera d’arte non occorre essere intenditori, basta avere una mente aperta”. Tipica battuta di un dopo cena. Bastando avere una mente aperta: che vuol dire? Una mente è aperta quando è in atto di capire, “intelligere”, cioè quando è “intelligente”. Ma Bonami lo dice tanto per dire, così riesce simpatico alla gente qualunque: pensando non agli addetti ai lavori, ma ai distratti, quasi una dedica in apertura del libro. Ai distratti. Che idea?
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E ancora: “L’arte è come il cibo, nessuno dice non me ne intendo quando va al ristorante. È il cibo dell’anima e della mente: dopo tutto si mangia per piacere, non solo per sopravvivere… Questo libro è un po’ un Artusi dell’arte, una piccola guida per godersi l’arte senza troppe ansie intellettuali…”. Piace l’idea del cibo - mi piace meno la riduzione del significato di cibo quando si specifica che si tratta del cibo dell’anima perché finalmente si fa giustizia di una cosa che specialmente in Italia genera un equivoco che, in qualche momento, ha rotto e interrotto un certo discorso circa il senso del sapere, il senso della cultura. È stato detto: con la cultura NON SI MANGIA! È stato risposto: con la cultura SI MANGIA! N0! Bisogna > MANGIARLA l’ARTE, non guardarla Bisogna > MANGIARLI i LIBRI, non leggerli. Da MANGIARE è l’ARTE, è la cultura che bisogna mangiare, nel nostro discorso, è l’arte che si mangia, non è né bello né vero dire che CON la cultura si mangia, anzi direi che è un po’ volgare, e poi è falso, la cultura non è strumentale, la cultura è già cibo, è cibo in sé, o è cibo o è niente, una frottola.
… a tutti quelli che guardano l’arte senza sapere bene cosa farsene… … per godersi un’opera d’arte non occorre essere intenditori… … l’arte è come il cibo, nessuno dice non me ne intendo quando va al ristorante… … questo libro è un po’ un Artusi dell’arte, una piccola guida per godersi l’arte senza troppe ansie intellettuali… (Francesco Bonami…)
Maurizio Cattelan | The Young Pope | 2010 | l’opera rappresenta Giovanni Paolo II abbattuto da un meteorite | Milano
È Sbagliato il discorso di Bonami quando dice: “Questo libro è un po’ un Artusi dell’arte, una piccola guida per godersi l’arte senza troppe ansie intellettuali”. L’arte è un cibo per l’anima, e più ancora per la mente, ma per godere l’arte non vale guardarla, per godere l’arte bisogna mangiarla, bisogna cibarsi, assumerla emotivamente, elaborarla intellettualmente: non c’è nessun’altra via, tanto meno leggere il suo libro. E intanto anche: i libri non si leggono, i libri si mangiano, e solo chi si ciba dei libri fatti apposta per capire l’arte, non per i distratti, ma per tutti coloro che sono attenzionati e che si aprono al desiderio di arte, di mangiarne, secondo il desiderio e a misura del desiderio. Dice: “...è un libro per tutti quelli che guardano l’arte senza sapere bene cosa farsene…”. Bella roba. …senza sapere che farsene. La gastronomia non è referenziale in un paragone così raffinato e impertinente, a meno che – raccomanda Roland Barthes - non siate Brillat-Savarin in questa sua brillante riflessione. Dice Brillat Savarin: “Esiste nella bocca, un acme di godibilità per ciascuna delle sue funzioni? Come saperlo se non riconoscendo che, tra gli adulti, in questo organo fondamentale di comunicazione tra sé e gli altri e tra sé e le cose, il piacere non può essere trasmesso che attraverso la godibilità delle
parole. Un esempio classico viene dal principe dei gastronomi, osserva Barthes, che doveva essere necessariamente principe del verbo e, più ancora, artista creatore di parole-percezioni, per riuscire a trasmetterci la quintessenza della garrulità, della sapidità, della gulturation, della saporosità, della comessation, e soprattutto della convivialità, l’unico termine che sarebbe passato ai posteri”. Ancora meglio, l’altra cosa: Brillat Savarin. – nota infine Barthes “desidera le parole come desidera i tartufi, l’omelette al tonno o la zuppa di pesce; come ogni neologo, ha un rapporto feticistico con la parola sola, isolata nella sua stessa singolarità. E poiché queste parole feticizzate restano inglobate in una sintassi purissima, tale da restituire al piacere neologico la cornice di un’arte classica, fatta di regole e protocolli, si può ben dire che la lingua di Brillat Savarin. è letteralmente ghiotta: ghiotta delle parole che usa e dei cibi a cui fa riferimento. A tale fusione, o ambiguità, ricorre lo stesso B.S. quando ricorda con simpatia quei buongustai che rivelano la loro passione o la loro competenza semplicemente dal modo – goloso – con cui pronunciano la parola BUONO”. Ci voleva.
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.We should eat art, we shouldn’t look at it .We should eat books, we shouldn’t read them
More and more often current art is organized and presented by curators instead of critics, the sans papier, characterized by significant selective abilities, but also by poor critic and creative, thoughtful and narrative abilities. The most important curator is Francesco Bonami, who is able to use a collective language- the speech of circumstances in which the current art is the object of heavy comment in occasional conversations- and the language of those short intellectual comments typical of certain manners: the ones in which the thought becomes full of final judgements about artists. For instance- while talking about his own book- he writes: “it is a book for all those who look at art without knowing what to do with it, but at the same time without showing any dislike: it is for those who don’t say they are not connoisseurs, and they don’t know that in order to enjoy art is not necessary to be connoisseurs, they just need to be open-minded”.
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A typical after-dinner comment. Just need to be open-minded: what does it mean? A mind can be considered open when it is able to understand, “intelligere”, that is when it is intelligent. Just saying, just to be nice at common people: not thinking about insiders, but about distracted people, almost a dedication in the book opening. To distracted people. What is this? Moreover: “art is like food, nobody says not to be a connoisseur at the restaurant. It is the soul and mind’s food: after all we eat for pleasure, not only to survive…This book is like an Artusi of art, a little guide to enjoy art without too many intellectual anxieties…”. The idea of food is good- but I don’t like at all the reduction of the meaning of food to the soul’s foodbecause finally things are made right about something that in Italy creates a misunderstanding which broke and stopped a certain conversation about the sense of knowledge, the sense of culture.
Arte Interrogativi | Di Salvatore Fazia
BANKSY | Con quest’opera, realizzata recentemente a New York, Banksy ha dimostrato solidarietà con l’artista e giornalista turco-curdo imprigionato Zehra Dogan, realizzando un gigantesco murale a Manhattan. Lo stile di Banksy è caratterizzato dall’uso dei graffiti stencil realizzati spruzzando vernice su una o più mascherine. I suoi disegni sono a volte accompagnati da slogan contro la guerra, il potere, l’avidità.
It has been said: WITH CULTURE WE DON’T EAT! It has been answered: with culture WE EAT! No! We should eat art, not look at it. We should eat book, not read them. ART SHOULD BE EATEN, culture need to be eat, art should be eaten, it is not nice and true that with culture we eat, it is vulgar and false, culture is not instrumental, culture is already food. Bonami’s thought is wrong, when he says: “this book is like an Artusi of art, a little guide to enjoy art without too many intellectual anxieties”. Art is food for soul and mind, but to enjoy art we should eat it, take it emotionally, develop it intellectually: there are no different ways, let alone read his book. Moreover: books shouldn’t be read, they should be eaten, just for people who eat art books, not for distracted people, but for all those who care about art. He says: “to all those who look at art without knowing what to do with it”.
Gastronomy is not referential in a refined and impertinent comparison like this unless- Roland Barthes says- you are Brillat-Savarin in his brilliant consideration. Brilliant Savarin says:”Is there in the mouth an acme of enjoyability for each function? How to know it if not recognizing that among adults, in this important organ of communication between oneself and others, the pleasure is given through words’ enjoyability. An example comes from the king of gastronomy, observes Barthes, who should necessarily be the king of verb, and moreover, the artist of perception-words, to give us the quintessence of garrulity, tastiness, gulturation, commesation and conviviality, the only term got to posterity. There is something better: Brillat-Savarin, Barthes notices- desires words like he desires truffles, omelette and fish soup; like any neologist, he has a fetishistic relationship with the single word. As these fetishized words are in a pure syntax, so as to give a frame of classica art full of rules to the geological pleasure, it is possible to say that Brillat’s language is greedy: greedy of the words he uses and he refers to. Brillat uses this fusion, or ambiguity, when he reminds the gourmets who shows their passion or their competence simply by the greedy way they pronounce the word ‘good’ ”. We needed this.
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Spazio ai Progetti
.Renzo Piano | Di Erika Marchioro e Simone Pavan
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Progetti
.Renzo Piano “Quello dell’architetto è un mestiere antico come cacciare, pescare, coltivare ed esplorare”. “The craft of the architect is as ancient as hunt, fish, plant and explore”. Di Erika Marchioro e Simone Pavan
© RPBW Ph. Stefano Goldberg
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Renzo Piano | Di Erika Marchioro e Simone Pavan
Š RPBW - Renzo Piano Building Workshop Architects
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Renzo Piano | Di Erika Marchioro e Simone Pavan
“Quello dell’architetto è un mestiere antico come cacciare, pescare, coltivare ed esplorare. Dopo la ricerca del cibo viene la ricerca della dimora. Ad un certo punto, l’uomo, insoddisfatto dei rifugi offerti dalla natura, è diventato architetto.” Ed evidentemente lui, Renzo Piano, deve essere stato molto insoddisfatto dalla natura per diventare uno dei cinque architetti più famosi al mondo. Dal premio Pritzker consegnatogli da Bill Clinton nella Casa Bianca nel 1998 – nobel per l’architettura che onora annualmente un architetto vivente le cui opere dimostrano una combinazione di talento, visione e impegno, con le quali l’umanità e l’ambiente hanno ricevuto contributi consistenti e significativi - alla nomina di senatore a vita nel 2013, la sua carriera è stata un tripudio di successi, tanto da fargli meritare l’apostrofo di Genius Loci e la medaglia d’oro dell’American Institute of Architets nel 2008.
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“The craft of the architect is as ancient as hunt, fish, plant and explore. After the looking for food, the looking for home comes. At some point, the human being has become an architect, unsatisfied by the shelters offered by the nature”. Renzo Piano must have been clearly unsatisfied by nature to become one of the five most famous architect in the world. From the Pritzker Prize received by Bill Clinton in the White House in 1998 - the nobel for architecture which every year honours a living architect whose works show talent and dedication and give a significative contribution to the human being - to the appointment as a life senator in 2013, his career has been successful so much to get Genius Loci apostrophe and the gold medal of the American Institute of Architects in 2008.
2000 / 2007 - New York Times Building,The © Denancé, Michel (49, rue de Belleville, 75019 Paris, Franceemail
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Renzo Piano | Di Erika Marchioro e Simone Pavan
Artista chiave dell’architettura internazionale degli ultimi quarant’anni, Piano nasce a Genova nel 1937 da una famiglia di costruttori edili ed è il padre, Carlo, a introdurlo fin da ragazzo alle pratiche di cantiere. Dopo aver frequentato la facoltà di architettura a Firenze, si laurea a Milano nel 1964, città da lui stesso definita “manifestamente meno perfetta di Firenze”. Nel capoluogo lombardo, il neolaureato Piano tesse le prime collaborazioni con professionisti importanti del calibro di Franco Albini e Marco Zanuso. Albini, maestro del razionalismo internazionale e considerato dallo stesso Piano il proprio mentore italiano, lo introduce allo studio meticoloso del dettaglio architettonico, mentre è la partecipazione come assistente al corso accademico del Prof. Zanuso che lo spinge a “lavorare sulla realtà fisica delle cose, mettendo le mani dentro al processo di progettazione”. A seguito della laurea, Piano si trasferisce negli Stati Uniti dove, tra il 1965 e il 1970, lavora con Louis Kahn e intesse legami con l’ingegnere polacco Zygmunt Stanislaw Makowski, pioniere nell’applicazione delle cosiddette “space structures”. È a questa embrionale fase della sua carriera che risalgono pionieristiche opere in cui vengono sperimentate strutture spaziali leggere, a guscio, realizzate con modernissimi sistemi costruttivi le quali, a volte, lo inducono a cimentarsi in cantieri altamente industrializzati, tanto da accomunare la sua ricerca a quella del maestro e amico francese Jean Prouvé. La carica innovativa di edifici come la fabbrica mobile per l’estrazione di zolfo di Pomezia, il padiglione per la XIV Triennale di Milano e quello italiano alla Fiera di Osaka, opere quali il proprio studio costruito a Genova tra il 1968 e il 1969 oltre alle abitazioni a pianta libera di Garonne e Cusago, trasformano il giovane progettista in un personaggio molto noto agli addetti al settore ma ancora sconosciuto. Apice di questa fase è la costruzione insieme al collega Richard Rogers della nuova sede della B&B Italia, azienda di arredo e di design a Novedrate di Como: singoli pezzi, altamente tecnologici, affrontati come fossero oggetti di design, vengono assemblati per dar vita all’intero progetto.
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Renzo Piano has been one of the most important artist in the international architecture for the last 40 years. He was born in Genoa in 1937 from a building contractor family and his father, Carlo, introduced him to the building matter. He attended the Faculty of Architecture in Florence, he graduated in Milan in 1964, a city he defined as “clearly less perfect than Florence”. In Milan he worked together with important professionals the likes of Franco Albini and Marco Zanuso. Albini, master of international rationalism and considered by Piano as his italian mentor, introduced him to the meticulous study of the architectonic detail. He also attended Zanuso’s academic course as assistant which pushed him to “work on the physical reality, penetrating into the design process”. After his graduation, Piano moved to USA, where he worked together with Louis Kahn between 1965 and 1970. He also met the polish engineer Zygmunt Stanislaw Makowski, the pioneer of the so called “space structures”. In this first phase of his career he experienced light and shell-moulded structures, realised through modern building systems which sometimes lead to highly industrialised yard, so much to get his research close to his master and friend Jean Prouvè. Buildings like the moving factory for the sulphur extraction in Pomezia, the pavilion for the XIV Triennale di Milano and the one for the italian Osaka Fair. These works in addition to Garonne and Cusago’s house, are born from the studies in Genoa between 1968 and 1969 and transformed the young designer into a well-known person but still not famous. The building of the new headquarter of B&B Italia (furniture and design company in Novedrate di Como), together with his colleague Richard Rogers, was the apex of this phase: single pieces, highly technological, considered as design objects were assembled to give birth to the whole project.
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Renzo Piano | Di Erika Marchioro e Simone Pavan
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Renzo Piano | Di Erika Marchioro e Simone Pavan
B&B Italia
L’edificio, a pochi km da Como, è caratterizzato dalla trasparenza tra spazio interno ed esterno e dall’essenzialità degli elementi utilizzati per la costruzione. Il volume che accoglie gli uffici sembra sospeso sulla struttura reticolare in acciaio, le pareti non svolgono più funzione portante ma lasciano spazio a tubi colorati e a grandi vetrate che dialogano con il verde circostante. A evidenziare l’effetto sospensione, la rampa a sbalzo all’ingresso degli uffici e della fabbrica. La sede di B&B Italia è testimonianza di una fase di sperimentazione eccezionale nell’architettura italiana e manifesto della cultura industriale dell’impresa da sempre aperta alla ricerca e all’innovazione: una metodologia di lavoro che ancora oggi caratterizza il linguaggio progettuale di Renzo Piano e che, fin dai primi anni, lo spinge sempre più in direzione di un accurato studio di soluzioni alternative a quelle, preconfezionate, offerte dal mercato edilizio.
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The building, near to Como, is characterised by the transparency between internal and external space and the essentiality of the elements used for the construction. The space that houses the offices seems to be suspended on the steel lattice structure, the walls no longer play a bearing function but leave room for colourful tubes and large windows that interact with the surrounding green. The cantilever ramp at the entrance of the offices and the factory highlight the suspension effect.The headquarter of B&B Italia is evidence of a phase of exceptional experimentation in the Italian architecture and the manifesto of the industrial culture of the company that has always been open to research and innovation: a working methodology that still characterises Renzo Piano’s design language and that, since the early years, pushes him more and more towards an accurate study of alternative solutions to those, prepackaged, offered by the building market.
2008 / 2016 - Stavros Niarchos Foundation Cultural Centre | Ph: Yerolymbos, Yiorgis © SNFCC
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Intervista Renzo Piano a Mario | Di Erika BottaMarchioro | Di Simone e Simone Pavan Pavan
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1971 / 1977 - Centre Georges Pompidou | Ph: © Fondazione Renzo Piano
Nel 1970 lo studio Piano & Rogers, fondato a Londra, vince il concorso internazionale per la realizzazione del Centro Georges Pompidou a Parigi. È in terra francese che Piano dà l’avvio a uno dei cantieri più discussi del XX secolo, attraverso cui realizza il prototipo del “museo dentro al museo” di fine millennio. Irriverente e provocatorio, emblema dell’incondizionata fiducia nel futuro, il Beaubourg – nome con cui l’edificio è comunemente indicato – è “una macchina urbana priva di carrozzeria”. La realizzazione del Centro nazionale d’arte e di cultura Georges Pompidou a Parigi, frutto di un lavoro condotto con l’inglese Richard Rogers, nasce con l’intenzione di creare una vetrina speciale per l’arte contemporanea francese ed internazionale. Il progetto, di portata rivoluzionaria per l’epoca, viene considerato il manifesto dell’architettura high-tech ed è a tutt’oggi uno dei monumenti più visitati di Parigi. Si tratta di un lavoro tra i più audaci e all’avanguardia anche oggi: ispirato dalle idee del costruttivismo e dall’alta tecnologia, l’esterno dell’edificio è costituito da tubi e congegni meccanici a vista. Un’opera d’arte per contenere altre opere d’arte: così Renzo Piano deve averla pensata. La creazione della grande piazza antistante permette di fare un passo indietro e apprezzare a pieno la facciata meccanizzata e le scale mobili che conducono a diversi spazi espositivi: un’opera mutevole e trasformista ma cucita su misura che si incunea nel tessuto cittadino con l’introduzione di un tema, quello della piazza, così caro a Renzo Piano, che la vede come elemento urbano fondamentale per la socializzazione tra gli individui e cuore pulsante di una comunità. A proposito della realizzazione, Piano dichiara che l’intento era quello di costruire “una gioiosa macchina urbana, una creatura che poteva essere uscita da un libro di Jules Verne oppure un’improbabile nave in carenaggio”. L’architetto contesta inoltre il termine “high-tech” con cui il Beauburg venne definito e fa notare come esso abbia, a ben guardare, un’architettura molto legata all’artigianalità, in cui ogni componente è stato disegnato e realizzato su misura. Secondo Piano, la scelta di quel tipo di struttura non era dettata dall’esigenza di esaltare la tecnologia ma da “una volontà di ribellione al confinamento della cultura in luoghi specialistici e un tentativo di farne una fabbrica, un’officina”. Grazie al planetario successo del Pompidou e al particolare interesse dell’architetto per la materia, nel corso degli anni prendono vita innumerevoli esempi di musei firmati dal genovese: dalla Menil Collection a Houston (1982-1986) (foto Menil 1 - 2), attraverso la Fondazione Beyeler a Basilea (1991-1997), l’ampliamento del Kimbell Art Museum di Kahn (1992-1995) e dell’High Museum di Atlanta (19992003), il Paul Klee Zentrum a Berna (1999-2005), fino al recente MUSE di Trento, inaugurato nel 2013.
In 1970 the Piano & Rogers office, based in London, won the international competition for the creation of the Georges Pompidou Centre in Paris. In French land Piano gave rise to one of the most talked about yard of the 20th century, through which realised the “museum inside the museum” prototype at the end of the millennium. Irreverent and provocative, emblem of the unconditional trust in the future, the Beaubourg– name by which the building is commonly referred to – is“an urban machine without bodywork”. The realisation of the Georges Pompidou National Centre of Art and Culture in Paris, the result of a work conducted with Richard Rogers, was born to create a special showcase for contemporary French and international art. The project, of revolutionary significance for the time, is considered the manifesto of high-tech architecture and it is still one of the most visited building in Paris. It is one of the most daring and avant-garde work even today: inspired by the ideas of constructivism and high technology, the exterior of the building consists of exposed tubes and mechanical devices. A work of art which contains other works of art: this is what Renzo Piano must have thought of it. The creation of the large square in front allows you to take a step back and fully appreciate the mechanised facade and escalator that lead to different exhibition spaces: a changeable and transforming but tailored work that wedges into the fabric of the city with the introduction of a important theme for Renzo Piano, that of the square, seen as a fundamental urban element for socialisation among individuals and as a beating heart of a community. Speaking of the realisation, Piano declares that the intention was to build a joyful urban machine, a creature that could have come out of a book by Jules Verne or an improbable ship in dry docking”. The architect also disputes the term“high-tech” by which the Beauburg was defined and he points out that its architecture is more linked to craftsmanship, in which each component has been designed and custom made. According to Piano, the choice of that type of structure was not related to the need of exalting the technology but to “the will of rebellion to the confinement of culture in specialised places and an attempt to make it a factory, a workshop”. Thanks to the worldwide success of the Pompidou and to the architect’s particular interest in the matter, many examples of museums signed by the Genoese came over the years: from the Menil Collection in Houston (1982-1986), to the Beyeler Foundation in Basel (1991-1997), the extension of the Kahn Art Museum Kimbell (19921995) to the High Museum in Atlanta (1999-2003), the Paul Klee Zentrum in Bern (1999-2005), till the recent Muse in Trento, opened in 2013.
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Renzo Piano | Di Erika Marchioro e Simone Pavan
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1971 / 1977 - Centre Georges Pompidou | Ph: © Fondazione Renzo Piano
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Renzo Piano | Di Erika Marchioro e Simone Pavan
Il museo, didattico, divertente, e tra i più visitati d’Italia, si sviluppa su 6 piani, di cui uno interrato, che ospitano mostre permanenti e temporanee, attività di ricerca con laboratori didattici e una serra tropicale collocata all’estremità ovest dell’edificio. Il profilo della struttura ricorda l’andamento frastagliato delle Dolomiti trentine, l’entrata del museo è una grande sala ricoperta di vetri - la lobby - dove c’è un’area dedicata alla scienza interattiva e una pensata per i bambini più piccoli, il primo piano accoglie sezioni e spazi che vanno dalla preistoria al futuro, il secondo è interamente dedicato alla terra, dalla geologia alle miniere e al rischio ambientale. Nel terzo piano si parla di natura alpina e nel quarto di montagne e di ghiacciai, al quinto si esce sulla terrazza panoramica con vista mozzafiato mentre nei sotterranei si racconta la storia della vita. L’idea architettonica nasce dalla ricerca di una giusta mediazione tra bisogno di flessibilità e risposta, precisa e coerente nelle forme: un museo in cui i grandi temi del percorso espositivo sono riconoscibili anche nella forma e nei volumi e mantengono al tempo stesso un’ampia flessibilità di allestimento degli spazi, tipica di un museo di nuova generazione. L’edificio è costituito da una successione di pieni e di vuoti adagiati su un grande specchio d’acqua sul quale essi sembrano galleggiare, moltiplicando gli effetti e le vibrazioni della luce e delle ombre. Il tutto è tenuto insieme, in alto, dalle grandi falde della copertura che, assecondando le forme, diventano elemento di forte riconoscibilità.
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The educational and entertaining museum is the most visited in Italy. It has 6 floors, one of which is underground, which host permanent and temporary exhibitions, research activities with educational workshops and a tropical greenhouse located at the west side of the building. The profile of the structure recalls the jagged pattern of the Trentino Dolomites, the entrance of the museum is a large room covered with glass - the lobby - where there is an area dedicated to interactive science and an area dedicated to children, on the first floor there are sections and spaces from prehistoric to future, while the second floor is entirely dedicated to land, from geology to mines and environmental risk. The third floor is about alpine nature and the fourth one is about mountains and glaciers, on the fifth floor there is a panoramic terrace with breathtaking views while in the basement the story of life is told. The architectural idea has born from the search for a right mediation between the need for flexibility and precise and coherent response in the forms: a museum in which the great themes of the exhibition are recognisable also in the form and in the volumes and maintain at the same time a wide flexibility of layout of the spaces, typical of a new generation museum. The building consists of a succession of fills and voids resting on a large water body on which they seem to float, multiplying the effects and vibrations of light and shadows. At the top all is held together by the great layers of the covering, which, complying with the forms, become an element of strong recognisability.
MUSE | Museo delle Scienze di Trento | Ph: © Simone Pavan
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Renzo Piano | Di Erika Marchioro e Simone Pavan
1981 / 1987 - The Menil Collection | Ph: © Fondazione Renzo Piano
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Nel 1977, a seguito della fama internazionale, Piano inizia la collaborazione con l’ingegnere Peter Rice, durata fino al 1981 con la fondazione dell’atelier Piano & Rice, a cui segue l’apertura del “Renzo Piano Building Workshop”. Fin dall’inizio la sua cifra stilistica è contraddistinta da una costante ricerca e sperimentazione nei riguardi dei materiali e delle tipologie strutturali e da una forte vena anti accademica entrambe alimentate, come più volte affermato, da una passione totalizzante per la tecnica e il costruire. Oltre lo spazio museale, interessante nucleo dell’opera di Piano è costituito da molti esempi di interventi di riqualificazione del tessuto urbano, i cui capostipiti possono essere rintracciati nell’intervento di ristrutturazione Schlumberger di Montrouge (1981-1984) e nel progetto per il recupero del Porto Antico di Genova (1985-2001), quest’ultimo avviato in vista della celebrazione del cinquecentesimo anniversario del viaggio di Cristoforo Colombo in America.
In 1977, as a result of his international success, Piano started to work together with the engineer Peter Rice, a partnership which lasted till the year 1981 and it leaded to the foundation of Piano&Rice atelier, followed by the opening of “Renzo Piano Building Workshop”. From the very beginning his style has been characterised by a constant research and experimentation about materials and type of structure and also by an anti-academic hint both supplied by a passion for technology and building, as pointed out several times. Beyond the museum space, what is interesting about Piano’s work are the many examples of interventions to redevelop the urban fabric, whose founders can be traced in the restructuring works Schlumberger in Montrouge (1981-1984) and in the project for the recovery of the Ancient Port of Genoa (1985-2001), the latter begun in view of the celebration of the 500th anniversary of Christopher Columbus’ journey to America.
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Renzo Piano | Di Erika Marchioro e Simone Pavan
A Genova, città natale, Renzo Piano ha ricostruito e rinnovato il vecchio porto con l’obiettivo di creare uno spazio fruibile da tutti, un centro culturale e di ritrovo legato al mare. Racconta l’architetto che “c’è un filo rosso che unisce il progetto a quello del Lingotto, a quello di Otranto, a quello di Burano. È la crescita di una metodologia di analisi e intervento sullo spazio urbano. Nel suo insieme il Porto Antico è una fabbrica dismessa, come il Lingotto di Torino: la differenza è che l’edificazione non è avvenuta nel corso di cinque o sei anni, ma in un tempo cento volte superiore”. Il Porto Antico è il risultato di un ambizioso progetto di riqualificazione e di riconversione funzionale dell’antica area portuale: oggi è una grandissima piazza multifunzionale che si affaccia sul Mediterraneo, con strutture pensate per renderla spazio culturale, di socializzazione, di divertimento, dove assistere a spettacoli ed eventi di ogni tipo, conoscere la gastronomia tipica ligure e fare shopping e sport. Il progetto inoltre racconta anche la sua funzione originaria grazie alle testimonianze dell’archeologia industriale, creando un legame con il passato che simbolicamente proietta la città al futuro. Il progetto, cominciato nel 1988 e terminato nel 2001, ha trasformato il porto antico di Genova in una nuova area aperta sul Mediterraneo: oggi sul molo si passeggia, si ascolta musica, s’incontra gente, si assiste a spettacoli teatrali, si vive la città e si apprezza ancora di più il suo legame con il mare. Sul ponte Spinola troneggiano l’enorme struttura dell’acquario che ricorda una grande nave; l’edificio lungo e rosso dei Magazzini del cotone, che ospita il centro congressi con 16 sale, un auditorium e 8500 metri quadrati per esposizioni; e, ancora, la città dei bambini, nuovo spazio museale dove i più piccoli imparano giocando, il padiglione del mare e della navigazione e una biblioteca per i giovani lettori. Per meglio apprezzare il porto nel suo insieme è bene salire sull’ascensore panoramico Bigo, una struttura metallica realizzata sempre da Piano che ricorda l’albero di un veliero, diventato assieme alla Lanterna il simbolo della città. Situato nei pressi dell’Acquario è una struttura composta da 9 altissimi pali bianchi che si aprono a ventaglio sostenendo una tensostruttura e un ascensore panoramico che offre una prospettiva aerea a 360° sul centro storico della città, sollevandosi fino a 40 metri. Il Bigo deve il suo nome alla somiglianza con le gru che si usavano in porto per scaricare e caricare le merci dalle navi (chiamate appunto “bighi”), mentre le bianche vele che coprono piazza delle Feste, cuore pulsante del porto antico, ricordano le imbarcazioni che un tempo attraccavano. Dietro la piazza si aprono la palazzina Millo, che ospita negozi, ristoranti, una terrazza panoramica, il museo nazionale dell’Antartide e la Bolla, una struttura sferica di 20 metri di diametro al cui interno si sviluppa un mondo esotico in miniatura, una foresta tropicale sul mare. Al suo interno, si apre un lussureggiante giardino botanico con piante ed animali che godono di un microclima appositamente creato per loro.
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In Genoa, where Renzo Piano was born, he rebuilt and renewed the old port with the aim of creating a space accessible to all, a cultural centre and meeting place linked to the sea. The architect says that “there is a red thread that unified the project to the ones of Lingotto, Otranto and Burano. It is the growth of a methodology of analysis and intervention on urban space. Taken as a whole, Porto Antico is a disused factory, like the Lingotto in Turin: the difference is that the construction did not happen during five or six years, but in a time which is a hundred times higher”. Porto Antico is the result of an ambitious project of redevelopment and functional reconversion of the ancient port area: today it is a huge multifunctional square overlooking the Mediterranean, with facilities designed to make it a cultural space for socialisation, entertainment, where you can attend shows and events of all kinds, get to know the typical Ligurian gastronomy and go shopping and sports. The project also tells its original function thanks to the evidence of industrial archaeology, creating a link with the past that symbolically projects the city to the future. The project, which begun in 1988 and completed in 2001, has transformed the ancient port of Genoa into a new area open to the Mediterranean: today on the pier you can walk, listen to music, meet people, attend theatrical shows, you live the city and you appreciate even more its connection with the sea. The big aquarium structure, which recalls a large ship, stands on the Spinola deck; the long and red building of the Cotton Warehouse, which houses the conference centre with 16 halls, an auditorium and 8500 square metres for exhibitions; and there is more, the city of children, a new museum space where children learn playing, the sea and navigation pavilion and a library for young readers. To better appreciate the port as a whole you should try the panoramic lift Bigo, a metal structure designed by Piano which reminds the tree of a sailing ship, which became, together with the Lantern, the symbol of the city. Located near the Aquarium, it is a structure composed of 9 very high white poles that fan open supporting a structure and a panoramic lift which offers an aerial perspective to 360° on the historical center of the city, lifting up to 40 meters. The Bigo owes its name to the similarity with the cranes used in the port to unload and load goods from the ships (called “bighi”), while the white sails covering Piazza delle Feste, the beating heart of the ancient port, remember the boats that once docked. Behind the square there are the Millo building, which houses shops, restaurants, a panoramic terrace, the National Museum of the Antarctic and the Bolla, a spherical structure of 20 meters diameter in which develops an exotic miniature world, a tropical forest on the sea. Inside, it opens a lush botanical garden with plants and animals that enjoy a microclimate specially created for them.
Porto Antico di Genova
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Renzo Piano | Di Erika Marchioro e Simone Pavan
Il rapporto con l’acqua è il filo conduttore di tante altre operazioni, un elemento che nel corso degli anni ha assunto un ruolo progressivamente più incisivo e uno strumento attraverso cui costruire nuovi paesaggi, in cui natura ed artificio s’intrecciano: fascinazione che ovviamente deriva dall’amata Genova ma che Piano ripropone per il Nemo di Amsterdam - il Centro Nazionale per la Scienza e Tecnologia costruito a forma di nave che pare attraccare dentro il porto - per l’aeroporto di Kansai, per il centro culturale Jean-Marie Tjibaou in Nuova Caledonia.
The relationship with water is the common thread of many other works, an element that has taken on a progressively more incisive role over the years and a tool through which build new landscapes, in which nature and artifice intertwine: fascination that obviously derives from the beloved Genoa but that Piano proposed for the Nemo of Amsterdam - the National Center for Science and Technology built in the shape of a ship that seems to dock inside the port - for the Kansai airport, for the cultural center JeanMarie Tjibaou in New Caledonia.
1988 / 1994 - Kansai International Airport Terminal Building | Ph: © Fondazione Renzo Piano
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Renzo Piano | Di Erika Marchioro e Simone Pavan
1991 / 1998 - Jean-Marie Tjibaou Cultural Center | Ph: Gollings, John - Gollings Photography © Fondazione Renzo Piano
Ispirato alle tradizioni culturali e architettoniche indigene della Nuova Caledonia, sorge al largo della costa orientale australiana il centro culturale Jean Marie Tjibaou, una delle opere più strane e bizzarre progettate da Renzo Piano. I gusci ricurvi - 10 in tutto - realizzati in listelli di legno, sono disposti attorno ad un atrio coperto, proprio come in un villaggio tradizionale. Il luogo, scelto insieme ai Kanaki (che letteralmente significa “uomini”) è una penisola che si spinge nell’oceano, ricca di vegetazione e in grado di garantire un diretto contatto con la natura. Inaugurato nel 1998 a Nouméa per celebrare la memoria di Jean-Marie Tjibaou, il leader indipendentista della comunità assassinato dieci anni prima, il grande e suggestivo complesso è sede di mostre, convegni ed attività creative. Le grandi vele che richiamano le capanne kanake sono riunite in 3 gruppi: nel primo, che funge da ingresso, ci sono una mostra temporanea sulla civiltà Kanak, un auditorium e un locale di 44 44
ristorazione; il secondo ospita una biblioteca, una sala conferenze e gli uffici, il terzo gruppo è composto da sale per la musica e la pittura. Il complesso è completamente in iroko, il legno importato dal Ghana, molto resistente all’umidità e agli insetti. I gusci hanno tutti altezze differenti, la loro organizzazione rispecchia quella dei tradizionali villaggi, fatti di case riunite a più gruppi e possono raggiungere i 28 metri di altezza. A collegare le 10 strutture è una passeggiata coperta, che guarda verso l’oceano, mentre dalla parte opposta si trova la fitta vegetazione dell’isola. I gusci punteggiano il paesaggio come le capanne dei Kanaki e come loro si lasciano attraversare dalla brezza, nascondendo inoltre un efficiente sistema di ventilazione passiva. Il rispetto per la tradizione e per la cultura del luogo, la sensibilità verso la natura, la capacità di dialogare con un popolo così diverso fanno di questo progetto un’opera davvero esemplare di quell’architettura che cerca l’universalità nei valori autentici.
1991 / 1998 - Jean-Marie Tjibaou Cultural Center | Ph: Gollings, John - Gollings Photography © Fondazione Renzo Piano
Inspired by the indigenous cultural and architectural traditions of New Caledonia, the Jean Marie Tjibaou cultural centre stands off the Australian east coast, one of the strangest and most bizarre works designed by Renzo Piano.The curved shells - 10 in all - made of wooden strips, are arranged around a covered atrium, just like in a traditional village. The place, chosen together with the Kanaki (which literally means “men”) is a peninsula that goes into the ocean, rich in vegetation and able to guarantee a direct contact with nature. It has been opened in 1998 in Nouméa to celebrate the memory of Jean-Marie Tjibaou, the independent community leader assassinated ten years earlier, the large and striking complex hosts exhibitions, conferences and creative activities. The big sails that recall the kanake huts are gathered in 3 groups: in the first, which acts as an entrance, there are a temporary exhibition on the civilization Kanak, an auditorium and a restaurant; the second houses a library, a
conference room and offices, the third group consists of rooms for music and painting. The complex is completely in iroko, the wood imported from Ghana, very resistant to moisture and insects. The shells all have different heights, their organisation reflects that of the traditional villages, made of houses gathered in several groups and can reach 28 meters height. A cover walkway connects the 10 structures, and it looks towards the ocean, while on the opposite side there is the dense vegetation of the island. The shells dot the landscape like the huts of the kanaki and, like them, they let themselves be crossed by the breeze, hiding also an efficient system of passive ventilation. Respect for tradition and culture of the place, sensitivity to nature, the ability to dialogue with such a different people make this project a truly exemplary work of the architecture that seeks universality in authentic values.
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2010 / 2017 - Centro Botín | Ph: Cano, Enrico © Fondazione Renzo Piano
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Renzo Piano | Di Erika Marchioro e Simone Pavan
1992 - NEMO | Amsterdam
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Una grande nave fantasma ispirata al romanzo di Jules Verne, di cui porta anche il nome del protagonista, Nemo, è ciò che sembra il museo della scienza e della tecnica di Amsterdam progettato nel 1992 da Renzo Piano. Impiantato in uno dei più ampi canali della città, la particolarità del centro Nemo è la facciata frontale che richiama la prua di una nave di colore verde che emerge dalle acque. È composto in totale da cinque piani, sei se si considera il tetto spiovente ma completamente accessibile, ospitante una piazza e un ristorante da cui godere di una vista mozzafiato sulla città. Nemo, una delle mete culturali più popolari d’Olanda, offre tre piani di esperimenti scientifici e chimici, attrazioni interattive come l’assenza di gravità o l’esplorazione sensoriale di suoni e immagini e, ancora, la divertente simulazione in tempo reale delle speculazioni alla Borsa di New York.
A great ghost ship inspired by Jules Verne’s novel, also named like the protagonist, Nemo, is what seems to be the Amsterdam Science and Technology Museum designed in 1992 by Renzo Piano. It is situated in one of the largest canals of the city, and the peculiarity of the Nemo centre is the front facade that recalls the bow of a green ship that emerges from the waters. It consists of five floors in total, they are six if you consider the sloping roof but completely accessible, which hosts a square and a restaurant from which it is possible to enjoy a breathtaking view of the city. Nemo, one of the most popular cultural destinations in the Netherlands, offers three planes of scientific and chemical experiments, interactive attractions such as the absence of gravity or sensory exploration of sounds and images and there is more, the funny real-time simulation of speculation on the New York Stock Exchange.
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Renzo Piano | Di Erika Marchioro e Simone Pavan
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1994 / 2002 - ‘Parco della musica’ Auditorium | © RPBW - Renzo Piano Building Workshop Architects
Nel 1994, e fino al 2002, il maestro deve fare i conti con professionisti del campo musicale, ingegneri del suono, musicisti, tecnici che obbligano la sua architettura a piegarsi di fronte alle leggi della fisica, attraverso la costruzione dell’Auditorium Parco della musica di Roma, la cui forma ricorda quella di uno scarabeo. Inaugurato nel 2002 è un complesso che si sviluppa su un’area di 55mila metri quadrati a Roma nel Villaggio Olimpico, vicino a Ponte Milvio e al quartiere Flaminio; ospita tre sale da concerto in edifici di diverse dimensioni e, al centro, un anfiteatro all’aperto, la cavea, per 3mila spettatori. Da qui, tra la sala Santa Cecilia e la sala Sinopoli, sono visibili i resti di una villa romana venuti alla luce durante la costruzione del complesso, i cui reperti sono esposti in un piccolo museo ricavato sotto la cavea. Oltre alle tre sale da concerto la struttura comprende anche il Teatro Studio, tre diversi studi di registrazione, bar, ristoranti e una grande libreria. Il complesso, la cui forma ricorda quella di uno scarabeo, accoglie gli uffici dell’Accademia nazionale di Santa Cecilia, di cui è la sede principale, dal 2003 il Museo degli strumenti musicali e una ricchissima programmazione di concerti, dal 2006 ospita anche la Festa del cinema di Roma. La prima sfida che affronta Renzo Piano nella realizzazione di questo progetto è di natura urbanistica in quanto è impensabile realizzare un auditorium di queste dimensioni nel congestionato centro storico di Roma. I resti dell’antica villa, emersi durante i lavori di sbancamento dell’area ed integrati nel complesso dell’Auditorium, consentono di rafforzare il rapporto tra il “vecchio” ed il “nuovo”, rendendo il complesso un pezzo di città creato dal nulla e immerso nel verde.
In 1994, and until 2002, the master had to deal with music professionals, sound engineers, musicians, technicians who forced his architecture to bend in front of the laws of physics, through the construction of the Auditorium Parco della Musica in Rome, whose shape recalls that of a scarab. It has been opened in 2002 and it is a complex that develops over an area of 55 thousand square meters in Rome in the Olympic Village, near Ponte Milvio and the Flaminio district; it hosts three concert halls in buildings of different sizes and, in the centre, an open-air amphitheater, the cavea, for 3 thousand spectators. From here, between the Sala Santa Cecilia and the Sala Sinopoli, you can see the remains of a Roman villa that came to light during the construction of the complex, whose finds are exhibited in a small museum housed under the cavea. In addition to the three concert halls, the building also includes the Teatro Studio, three different recording studios, bars, restaurants and a large library. The complex, whose shape recalls that of a scarab, houses the offices of the National Academy of Santa Cecilia, of which it is the main headquarters, since 2003 the Museum of musical instruments and a very rich concert program, since 2006 it also hosts the Rome Film Festival. The first challenge Renzo Piano faced in the realization of this project is of urban nature as it is unthinkable to realise an auditorium of this size in the congested center of Rome. The remains of the ancient villa, which has been found during the stripping of the area and which have been integrated into the Auditorium complex, allow to strengthen the relationship between “the old” and “the new” making the complex a piece of city created from nothing and surrounded by greenery. 5151
Renzo Piano | Di Erika Marchioro e Simone Pavan
É nel 2000 che Piano inizia i lavori per la costruzione della Shard di Londra, terminati nel 2012. La London Bridge Tower, ribattezzata The Shard, la “Scheggia” di cristallo lanciata contro il cielo, è il fulcro dell’intervento di riqualificazione del quartiere attorno alla London Bridge Station, nodo nevralgico del trasposto londinese dove, tra treni, autobus e metropolitana, transitano 200.000 persone al giorno. L’edificio, dalla forma di piramide irregolare ed interamente rivestito in vetro, non si inserisce in un sistema già consolidato di edifici alti, la sua forma rimanda piuttosto a un retaggio di visioni passate come gli alberi delle navi ormeggiate nella vicina Pool of London o come le guglie a spirale delle chiese di Christopher Wren, citate da Renzo Piano. La sua sagoma svettante e sorprendentemente leggera non impatta con prepotenza nello skyline londinese ma si delinea come punto di riferimento dell’area di Southwark sud del Tamigi, di cui l’amministrazione della città ha pianificato il rilancio. Con i suoi 310 metri di altezza, la Scheggia di 87 piani è il secondo grattacielo più alto d’Europa: otto frammenti di vetro definiscono la forma piramidale dell’edificio, otto lati asimmetrici che non si incrociano e ricevono i raggi del sole in tempi e inclinazioni diverse, costruiti attorno la struttura portante e gli ascensori. In funzione della sostenibilità ambientale la doppia pelle della facciata passiva utilizza vetri a basso contenuto di ferro e ospita nell’intercapedine tende a rullo meccanizzate per l’ombreggiamento mentre le fratture tra gli elementi permettono la ventilazione naturale dei giardini d’inverno, inseriti lungo tutto l’edificio, utilizzabili come sale riunioni o spazi di relax per gli uffici. L’architetto, inoltre, accoglie la sfida dell’amministrazione londinese che chiede di non progettare parcheggi, per dimostrare che è possibile densificare la città disincentivando l’uso del mezzo privato. La torre infatti dispone solo di 48 posti auto e chiede a migliaia di persone di prendere i mezzi pubblici nella London Bridge Station, praticamente inglobata nella base del grattacielo.
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In 2000 Piano started the construction of the Shard of London, finished in 2012. The London Bridge Tower, renamed The Shard, the crystal “Shard” threw against the sky, is the hub of the redevelopment of the neighbourhood around the London Bridge Station, the hub of London transport where, among trains, buses and metro, 200 thousand people pass daily.The building, in the form of an irregular pyramid and entirely covered in glass, does not fit into an already established system of tall buildings, its shape rather refers to a legacy of past visions such as the ship trees moored in the nearby Pool of London or to the spiral pinnacles of Christopher Wren’s churches, cited by Renzo Piano. Its soaring and surprisingly light silhouette does not overpower the London skyline but it outlines itself as a landmark of the Southwark South Thames area, of which the city’s administration has planned the relaunch. With a height of 310 metres, the 87 floors Shard is the second tallest skyscraper in Europe: eight fragments of glass define the pyramid shape of the building, eight asymmetrical sides that do not intersect and get the sunlight in different times and inclinations, they are built around the bearing structure and lifts. As a function of environmental sustainability, the double skin of the passive facade uses glass with low iron and houses in the gap mechanical roller curtains for shading while fractures between the elements allow the natural ventilation of winter gardens, which are along the whole building and they are usable as meeting rooms or relaxation spaces for offices. The architect also took up the challenge of the London administration not to design parking spaces so as to show that it is possible to densify the city by discouraging the use of private vehicles. Actually, the tower has only 48 parking spaces and this makes thousands of people take public transport in the London Bridge Station, which is embedded in the base of the skyscraper.
2000 / 2012 - The Shard - London Bridge Tower (London Bridge Quarter) | © Ventourakis,Nikolas
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Renzo Piano | Di Erika Marchioro e Simone Pavan
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2000 / 2012 - The Shard - London Bridge Tower (London Bridge Quarter) | © Martin, Chris
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Renzo Piano | Di Erika Marchioro e Simone Pavan
Nel 2006 Renzo Piano decide di condividere un po’ della sua fortuna e del suo successo e, nell’anno in cui si inserisce tra le 100 persone più influenti al mondo per la rivista Time, da vita a una Fondazione che porta il suo nome: un ente no-profit con sede a Genova che si occupa dell’archivio dello Studio Renzo Piano, ma che soprattutto mira a supportare e formare i giovani architetti attraverso borse di studio, pubblicazione di libri e promozione di mostre. Il giro del pianeta attraverso le opere del Genius Loci termina quindi così come è iniziato, con la citazione delle parole di Fulvio Irace, collega e accademico: “Ad oggi Renzo Piano sembra ancora un rappresentante della meglio gioventù di quell’eterna provincia che sa innamorarsi del mondo sino al punto di rivoluzionarlo. Ancora adesso pare sinceramente stupito dell’interesse per il suo lavoro, e quando si è presentato davanti a tremila studenti del Politecnico di Milano, nel grande spiazzo del campus Bovisa, si è commosso più che davanti a Bill Clinton quando gli ha consegnato nel 1998 il Pritzker Prize”.
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In 2006 Renzo Piano decided to share a little of his fortune and success and, in the year in which he became one of the 100 most influential people in the world for Time magazine, he gave life to a Foundation which has his name: a non-profit organisation based in Genoa that deals with the archive of Studio Renzo Piano, but which mainly aims to support and train young architects through scholarships, books publication and exhibitions promotion. The tour of the planet through the works of Genius Loci ends then as it has begun, with the words of Fulvio Irace’s quote, colleague and academic: “To date Renzo Piano still seems a representative of the best youth of that eternal province that knows how to fall in love with the world to the point of revolutionising it. Even now he seems sincerely amazed at the interest in his work, and when he introduced himself to three thousand students of the Polytechnic in Milan, in the large square of the Bovisa campus, he was more moved than in front of Bill Clinton when he gave him the Pritzker Prize in 1998”.
2000 / 2008 - California Academy of Sciences - Renovation and expansion | © Tim Griffith Photographer
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2010 / 2017 - Centro Botín | Ph: Cano, Enrico © Fondazione Renzo Piano
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Bubbliredazionale
PRODUZIONE CALCESTRUZZI PRECONFEZIONATI Vibetonbrenta S.r.l. gestisce oltre 35 impianti per la produzione di calcestruzzo, distribuiti in maniera capillare in Veneto e in Trentino. Dispone di oltre 70 mezzi propri (betoniere, pompe, betonpompe e bilici) per il servizio di trasporto specializzato nella fornitura di calcestruzzo preconfezionato, anche per grandi opere. Il settore calcestruzzi preconfezionati si inserisce in un contesto piĂš ampio di gestione di tutte le materie prime per le costruzioni, con partecipazioni significative in cave di proprietĂ con una movimentazione di un volume superiore ai 10 milioni di metri cubi di materiale, con 8 impianti di proprietĂ per la lavorazione di inerti e 3 impianti per la produzione di conglomerati bituminosi tra le province di Padova, Vicenza e Trento, il tutto attraverso le partecipate B Tech S.r.l. e Stradasfalti S.r.l. Il gruppo risulta inoltre autonomo anche nella produzione di cemento attraverso la controllata Idra Cementi S.r.l.
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CALCESTRUZZI A PRESTAZIONE GARANTITA Calcestruzzi di elevatissimo standard qualitativo, caratterizzati dai seguenti parametri identificativi: Classe di consistenza (lavorabilità) Classe di resistenza a compressione (Rck) Classe di esposizione ambientale (durabilità) Dimensione massima dell’aggregato Tutti calcestruzzi perfettamente rispondenti alla attuale normativa vigente in ambito europeo UNI EN 206 e in ambito nazionale UNI 11104 e prodotti in accordo alle ultime disposizioni NTC 2018 in relazione ai materiali da costruzione. CALCESTRUZZI A PRESTAZIONE GARANTITA PER PAVIMENTAZIONI INDUSTRIALI I calcestruzzi per pavimentazioni industriali sono formulati per rispondere alle stesse caratteristiche dei calcestruzzi a prestazione garantita con l’aggiunta di alcune particolarità, quali: – Riduzione dei tempi di presa che permettono di ridurre le fasi di lisciatura superficiale della pavimentazione rispettando le normative vigenti in termini di orari di lavoro e inquinamento acustico. – Ridotta essicazione superficiale del calcestruzzo eliminando il così chiamato “effetto onda” in fase di lisciatura della pavimentazione. – Miglioramento delle caratteristiche superficiali della pavimentazione. MALTE PRONTE ALL’USO La ditta VIBETONBRENTA può inoltre fornire direttamente presso i cantieri di lavorazione diverse tipologie di malta da muratura, pronta per l’impiego, caratterizzata da un elevato mantenimento della lavorabilità. CALCESTRUZZI A COMPOSIZIONE Sempre attenta alle nuove esigenze di mercato, su richiesta del cliente e sulla base delle indicazioni proposte, la ditta VIBETONBRENTA è in grado di soddisfare la produzione e fornitura di calcestruzzi caratterizzati principalmente da: Dosaggio, classe e tipologia di cemento Aggiunta di componenti speciali Composizione granulometrica particolare Classe di consistenza (lavorabilità) CALCESTRUZZI SPECIALI Oltre alle classi e categorie normalmente richieste già descritte in precedenza, la ditta VIBETONBRENTA è inoltre estremamente organizzata per produrre calcestruzzi speciali, caratterizzati da requisiti particolari ed in grado di soddisfare tutte le esigenze progettuali e costruttive. Ricordiamo tra questi: Calcestruzzi Autocompattanti (SCC) Calcestruzzi Alleggeriti Calcestruzzi Drenanti Calcestruzzi ad uso decorativo (pigmentati) Calcestruzzi a stabilità volumetrica (per applicazioni geotecniche)
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Sede legale: Via Capitello, 1 – 38050 Roncegno Terme (TN) Telefono 0461 775555 Sede Amministrativa: Via Carlo Alberto, 68 - 35010 Grantorto (PD) Tel. 049 5960137 commerciale@vibetonbrenta.it commercialetn@vibetonbrenta.it
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Seguiamo le aziende nei processi di Internazionalizzazione e accesso ai Fondi Europei
ACCESSO AI FONDI
Seguiamo le aziende nell’accesso ai fondi Europei attraverso un percorso di analisi e consulenza permettendo alle aziende di accedere a:
Sviluppiamo per le aziende progetti internazionali di sviluppo commerciale con azioni volte ad agevolare l’inserimento, lo start-up e il consolidamento delle aziende nei nuovi mercati:
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Contributi a Fondo Perduto Aiuti agli investimenti Accesso al credito Contributi per l’acquisto di macchinari Contributi per l’innovazione Contributi per ricerca e sviluppo Incentivi industria 4.0
Miss Grape Srls | Via Roma, 149 | +39 338 9293611 | SA +27 (60) 6260247
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INTERNAZIONALIZZAZIONE
Presidio nel territorio e analisi del mercato Individuazione e selezione di Partner stranieri Presenza diretta sui mercati locali Assistenza nelle trattative commerciali Progetti, studi di fattibilità per import-export Coordinamento delle operazioni Organizzazione fiere ed eventi internazionali
30020 Noventa di Piave (Ve) | ITALY IT | t.perin@missgrape.eu | www.missgrape.eu
Spazio agli ospiti
.Il designer Matteo Cibic | Intervista di Simone Pavan .Le Sindoni di Gaia Bellini | di Giovanni Simoni .Maffeo da Arcole | di Giovanni Simoni
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Personaggio
.Matteo Cibic Intervista al designer che ha trovato in Vicenza il suo ‘centro creativo’ Di Simone Pavan
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‘una città migliore’
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Giovane, poliedrico, iperattivo, ricercatore e come diceva Steve Jobs, folle. Un designer di “nuova generazione” proiettato al futuro. Matteo Cibic nasce a Parma, cresce tra Treviso e Venezia, studia arte e segue la sua formazione a Canterbury e poi al Politecnico di Milano, ma si dichiara orgogliosamente vicentino. Ha all’attivo svariate collaborazioni internazionali e i suoi lavori sono esposti in musei e gallerie di tutto il mondo - dal Centre Pompidou di Parigi alla Biennale di Venezia, dallo Shanghai Museum of Glass al Mudac di Losanna. Nipote di Aldo Cibic, uno dei fondatori di Memphis, il gruppo che negli ultimi decenni ha trasformato il design mondiale. Disegna e crea oggetti di ogni genere che spesso hanno una funzione diversa da quella rappresentata. Ama lavorare con gli artigiani, con i quali da vita ai suoi progetti e nelle sue creazioni traspare quella leggerezza tipica di chi è cosciente che non bisogna mai prendersi troppo sul serio.
Matteo, perché Vicenza? L’ho vissuta molto in precedenza e da due anni ho deciso che è la mia città. Ci abito con la mia famiglia e ci sto bene perché trovo che il vero lusso sia uscire di casa alla mattina e andare in ufficio in bicicletta senza vedere macchine. Vicenza è bella e importante architettonicamente, è una città che concede tranquillità ma anche molte opportunità. Inoltre è nella rete dell’alta velocità, cosa che per me è fondamentale. Spostarsi velocemente oggi è importante e poter andare, ad esempio, nel centro di Milano in un’ora e quaranta senza ingorghi stradali, è impagabile. Viaggio spesso nel mondo e ho visto che nelle metropoli anche le persone con grandi possibilità economiche sono intrappolati in una complessa e lenta mobilità. Potrà sembrare paradossale ma da questo punto di vista Vicenza è una città migliore.
Quindi il tuo centro creativo è qui a Vicenza? Certo che sì. In provincia e in generale nel Veneto ho trovato molte aziende e molti artigiani eccellenti con cui collaboro per realizzare i miei progetti. Ho iniziato con la ceramica perché ha costi ridotti sia per le lavorazioni che per gli stampi, ma poi ho lavorato molto con materiali come il vetro e il legno, per passare poi anche ai metalli. Mi piace lavorare con gli artigiani nei loro laboratori dove imparo moltissimo. Considera che “ingegnerizzare” un prodotto per la produzione industriale è cosa ben diversa che realizzare un’opera artigianale. Nel laboratorio artigiano si può lavorare con materiali plasmabili come i legni, i polistiroli, le resine, i cementi liquidi e permette di farli interagire tra loro integrandoli con finiture impensabili nel mondo industriale. In questi laboratori creo oggetti unici che diventano quindi opere d’arte mentre altri vengono prodotti in quantità commerciali.
Cosa suggerisci ai giovani che vogliono intraprendere attività affini alla tua? Consiglio di riscoprire i lavori artigianali. La provincia di Vicenza pullula di artigiani che con la loro attività rappresentano il migliore “made in Italy”. Moltissimi di questi non sanno a chi lasciare la propria attività e soprattutto non hanno apprendisti ai quali trasferire la propria esperienza e conoscenza del mestiere. Oggi il lavoro artigiano rappresenta il futuro e le associazioni di categoria agevolano questi percorsi, ma purtroppo ci sono pochi giovani disposti a fare lavori fisicamente faticosi. Quindi dico ai più giovani di cogliere l’opportunità di lavorare al fianco di maestri artigiani, il lavoro è faticoso ma garantisce futuro e buoni guadagni.
Quali sono gli aspetti che apprezzi di più di questa città? Senza dubbio l’attività culturale che è ben articolata anche se prevale l’architettura di Andrea Palladio. Le iniziative sono molteplici e offrono al cittadino tante possibilità di intrattenimento sia culturale che di svago. Lodevoli le mostre di Goldin da un punto di vista commerciale proprio perché hanno attratto molta gente in città, anche se alcuni hanno criticato dal punto di vista culturale. In altri paesi, non solo europei ma anche oltre oceano, queste iniziative sono meglio strutturate, ovvero si fa marketing con l’arte riuscendo a creare maggiore interesse, avvicinando anche un visitatore generalmente poco interessato all’arte e alla cultura. Mentre in Italia l’arte viene ancora presa troppo sul serio con il risultato di non avere “appeal” sul grande pubblico. In questo senso Vicenza farà sicuramente meglio quando riuscirà a generare partnership per integrare l’arte nel tessuto delle città, al di fuori dei templi istituzionali e generare così maggior interesse nel pubblico.
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.Interview with Matteo Cibic By Simone Pavan
Young, multifaceted, hyperactive, researcher and, like Steve Jobs said, foolish. A “new generation” designer projected towards the future. Matteo Cibic was born in Parma, he grew between Treviso and Venezia, he studied art and continued his education in Canterbury and then at the Milan Polytechnic, but he proudly claims to be a Vicentino. He has international partnerships and his works are exhibited in museums and galleries all over the world - from the Center Pompidou, the Shangai Museum of Glass, to the Mudac in Losanna. He was Aldo Cibic’s nephew, one of the founder of Memphis, the group which in the last decades has changed world design. He draws and creates objects of all kind, which often have a different function than expected. He loves working with craftsmen he gives birth to his projects with, and in his creations shines the typical lightness of people who knows that they shouldn’t take theirselves too much seriously.
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Matteo, why did you choose Vicenza? In the past I enjoyed it and two years ago I decided that it is my city. I live here with my family and I feel good because I love going out in the morning and going to the office by bike without seeing cars. Vicenza is architectonical beautiful and important, it is a city which gives you peacefulness but also many opportunities. Moreover it is in the high speed network, that is really important for me . Moving fast is really important nowadays, and reaching Milan in one hour and forty minutes, without traffic jam, is priceless. I often travel around the world and I saw that in big cities people with financial resources are stuck in a complex and slow mobility. It can seem a paradox, but from this point of view Vicenza is a better city. Is your creative center here in Vicenza? Of course. In the province and in Veneto I found many excellent companies and artisans I cooperate with to realise my projects. I started with ceramic because it has low cost processing and moulds, but I also worked with glass and wood and then also metals. I love working with artisans in their
laboratories where I learn a lot. You have to consider that to engineer a product for industrial production is really different from realising an artisanal work. In a laboratory it is possible to work with malleable materials, such as wood, polyester, resin, liquid cement and it is possible to make them react together with finishings which are impossible to create in the industrial production. In these laboratories I create unique objects which become a work of art while others are produced in commercial quantities. What do you suggest to young people who want to begin similar activities? I suggest to rediscover artisanal works. The province of Vicenza is full of artisans whose activity represents the best “Made in Italy”. Many of them have no idea who leave their activity to and they have no apprentices to whom transfer their experience and knowledge. Nowadays craft represents the future and these courses are facilitated by organisations, but there are few young people willing to do physically tiring works. Consequently, I tell
to young people to take the opportunity to work with artisans, the job is hard but it ensures a future and good profits. What do you appreciate the most of this city? Undoubtedly the cultural activity, which is really articulated, even if Andrea Palladio’s architecture prevails. There are many initiatives which offer to the citizen many cultural and entertaining opportunities. Goldin’s exhibitions are commercially commendable since they attracted a lot of people, even if someone culturally criticised them. In other countries, european and overseas countries, this kind of activities are better structured, that is marketing is done through arts, creating also interest and catching visitors who usually aren’t interested in arts and culture. In Italy arts is still too serious and it doesn’t have appeal on the public. Vicenza could do it better if partnerships to integrate arts into the city are built, going beyond institutional temples, so as to generate more interest for the public.
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Arte
.Le Sindoni di Gaia Bellini “...un silenzioso e continuo mutamento di colori multivibrazionali”
Gaia Bellini è nata sul Lago di Garda nel 1996. Da giovane ha studiato acquerello in una bottega di paese. Terminati gli studi superiori si è trasferita per un anno in Sud America dove ha studiato la materia del colore che scaturisce dal materiale vegetale. Tornata in Italia si è iscritta all’Accademia di Belle Arti di Venezia. Qui ha approfondito la storia del colore e della tintura naturale che utilizza per la ricerca tecnica di stampa botanica che la porta a creare le “sindoni vegetali”
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“Le sindoni vegetali che creo sono un modo di distacco dalla dimensione spazio tempo e, grazie alla stessa, di osservazione dell’accadimento naturale che si manifesta sulla tela in maniera fonomenica. Tramite la tecnica di stampa vegetale racchiudo all’interno delle mie tele crude materiale vegetale che nel lasso di un lungo tempo di contemplazione, scandagliato da forti variabili che influiranno sul risultato, assorbiranno quel che è l’impronta e il colore del materiale contenuto nel suo interno, diventando pelli di una natura che ora c’è e che domani non ci sarà più, in un silenzioso e continuo mutamento di colori multivibrazionali. Sindoni, perché nel linguaggio comune una sola è la sacra, il simbolo dell’uomo al centro del mondo. Sindoni di un mondo vegetale per sfatare questo primato inesistente dell’uomo su Dio. Inesistente come le tracce che su alcune delle mie tele mutano fino a scomparire sotto la luce solare”.
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Pelle
Esposizioni:
I miei ultimi lavori sono una serie di Sindoni che dal pensiero vogliono sfociare nel linguaggio simbolico e visivo con il concetto di pelle diventando spina dorsale, carnagione ed epidermide al microscopio, Colonna vertebrale perché sostegno del nostro essere, solido ma flessibile, sostegno dell’organo dei pensieri. Linea verticale ponte tra i tre livelli “terra – uomo – cielo”, serpente di movimento che è vita, scala della simbologia del 33 che è liberazione. Pelle come rappresentazione del sé psichico che esiste finché un involucro corporeo ne garantisce l’individualità. L’integrità del proprio io-pelle. Pelle che come nel mito di Marsia può sopravvivere come contenitore al contenuto basta che mantenga la sua continuità, e può sopravvivere a sé stessa come simbolo della continuità del Sé fecondo.
2017 - Esposizione collettiva ad “Art Night”, Atelier B, a cura di Gaetano Mainetti, Accademia di Belle Arti di Venezia.
Su alcune Sindoni vegetali le tracce mutano alla luce solare sino a lasciare in superficie solo quelli che sono stati i segni più intensi che il tempo ha inciso rendendo intrinseci alla tela.
La Superficie Aspetto, apparenza ed esteriorità. In questa serie di Sindoni la componente primaria non è più l’impronta ma l’essenza della stessa, in un movimento a ritroso della creazione. Così noi vedremo una superficie del già accaduto, un fermo immagine in cui il processo è giunto al termine.
2018 - Esposizione personale nelle Tenute Ugolini di Verona. - Installazione “Sindoni Vegetali”, “Tra la terra e il cielo Sentieri nell’Arte 2018”, a cura di Nadia Melotti, Valle del Tasso, Verona. - Esposizione collettiva “454” ad “Art Night”, R.U.M.A. Venezia. 2019 - Esposizione collettiva ad “Art Night”, Atelier A, a cura di Mirella Brugnerotto ed Elena Armellini, Accademia delle Belle Arti di Venezia. - Esposizione collettiva di incisione ad “Art Night”, Laboratorio 5, a cura di Gianluigi Bellucci, Accademia delle Belle Arti di Venezia. - Installazione “Sindone Vegetale”, Percorso di Land Art Bosco Nordio, Progetto Arte Natura. Bosco Nordio, Chioggia. - Esposizione personale nello spazio espositivo Nival Group, a cura di Tiziano Brusco. San Giovanni Lupatoto, Verona.
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L’Artista
.Maffeo da Arcole “...la vita, una grande tela bianca” Maffeo da Arcole, un artista polivalente, un critico della società moderna per immagini Di Giovanni Simoni
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L’Artista Maffeo da Arcole | Di Simone Pavan
“Il mio tormento è sempre l’arte, quel mondo che è sempre più difficile, ed arrogante” scriveva nel 1993 Maffeo Burati ad un amico, ed aggiungeva: “La vita è una grande tela bianca”. Poche parole, eppure densissime di quest’uomo che all’inizio della sua creazione artistica ha voluto assumere l’appellativo d’Arcole, dal nome del paese natale, prospero centro agricolo tra il Veronese ed il Vicentino. Vezzo quasi religioso, come di frate cappuccino, che non vuol dimenticare la comunità che gli ha dato con la vita i primi insegnamenti, quelli che restano. Maffeo è pittore contadino-operaio, lavora in campagna, in un casolare della Bassa vero-
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nese, dove le nebbie e le risorgive fanno crescere asparagi grossi come braccia. Ed è qui che ci accoglie con liberalità, nell’atelier ricavato nel cascinale paterno, da dove si ha il privilegio di percepire per singole tappe il suo lungo itinerario di ricerca. È l’arte e non la sola pittura la passione di quest’uomo che da più di venti dipinge, dirige brevi film, crea performance. Regista, ma anche scenografo e scultore. Un artista polivalente, sanguigno, discontinuo. Un po’ sempre inquietante. Maffeo d’Arcole ha iniziato la sua attività di pittore dipingendo i colori della sua terra e dei suoi campi , i volti dei contadini e i loro i tabarri.
Nel corso degli anni diverse mostre sul mondo contadino sono state allestite nelle province di Verone e Vicenza. Sono state la sua palestra, ove peraltro ha imparato a usare e mescolare i colori, a ricercare il particolare , a stimolare il visitatore ad andare oltre l’immagine, a riflettere sulla storia, sulla cultura dei paesaggi e personaggi che dipingeva. Il suo singolare itinerario immaginifico parte da anni lontani: fin dalla esposizione del 1980 al Palazzo della Gran Guardia di Verona, denominata “Uomo-struttura”, aveva perforato alcune tele.
In una aveva ritagliato una silhouette che permetteva al visitatore di collocarsi a volontà sul retro e mostrarsi in un imprevedibile quadro-cornice. “E da quel momento non è passato anno, o nuova ricerca espressiva, che non violentasse quel canone di base – spiega Maffeo - Via via a tela e colori si aggiungevano nuovi materiali: paglia, tessuti, corde, collage di giornali o di disegni di giovanissimi ospiti, volti tridimensionali a finestrella negli strappi, addirittura un nido di rondine con uova sotto un piccolo tetto di tegole, vere, sporgenti”.
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L’Artista Maffeo da Arcole | Di Simone Pavan
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