8 minute read

Mi chiamo Francesco Totti

Next Article
Diavoli

Diavoli

Da più parti si sono visti ammiccamenti verso L’armata Brancaleone ma si tratta soprattutto di suggestioni ambientali e visive mentre la riflessione sul potere contiene forti richiami alla contemporaneità (come la tirata sulle tasse fatta dal protagonista in prigione). A mancare è un po’ di coraggio per spingere di più sul pedale della provocazione o della critica sociale.

Le cose migliori del film sono le prove della coppia Stefano Fresi-Max Tortora: il primo perfetto nei panni del mite autista di autobus che si ritrova a indossare i panni di un sovrano di un piccolo regno medievale, il secondo più che mai in forma, capace di arricchire il suo avvocato un po’ imbroglione con lampi quasi diabolici o quantomeno machiavellici. Accanto a loro, le graziose presenze femminili di Silvia D’Amico (già interprete di Non essere cattivo di Claudio Caligari e The Place di Paolo Genovese) nei panni di una ragazza che non ha mai visto la modernità e della giovane Fotinì Peluso (divenuta celebre grazie alle fiction Romanzo famigliare e La compagnia del cigno) nel ruolo della sorellastra del re assetata di potere.

Advertisement

Commedia in costume venata da sfumature grottesche e surreali, Il regno rappresenta una buona occasione in parte mancata, un soggetto interessante che poteva avere uno sviluppo più riuscito, se solo quei cenni a temi così attuali come i dilemmi morali attorno all’esercizio del potere, al dispotismo, alla chiusura verso lo straniero fossero stati sfruttati di più.

Resta qualche risata facile legata all’improvviso salto nel tempo (la mancanza della tecnologia, i diversi usi e costumi) e affidata alla verve comica di una coppia di protagonisti che si ritrova catapultata, sono parole dell’avvocato-ciambellano Tortora, “dentro a ‘sta follia”.

elenA BArtoni

di Alex Infascelli

“L “La prima parola che ho detto è stata: palla”. Inizia così il racconto intimo e umano di Francesco Totti, in cui la struttura narrativa è alimentata e sovvertita dallo stesso giocatore, protagonista, voce narrante e autore di un vero e proprio flusso di coscienza. Le prime inquadrature lo ritraggono in alcune immagini d’archivio in spiaggia, nel 1977, a un anno: a stento muoveva i primi passi, ma quella palla cercava già di prenderla a calci. Poi alla scuola elementare Manzoni, quando dimostra ai suoi compagni increduli di riuscire a colpire tutte le “paperelle” umane che camminano. Per poi presentare la carrellata della sua famiglia: il padre Enzo, che non gli ha mai fatto un complimento e l’amata mamma Fiorella, che con il fratello Riccardo invece lo hanno sempre incoraggiato. Infine i cugini con cui trascorreva l’estate a Torvaianica e gli amici di una vita. Il passo è breve e lo vediamo fin da adolescente giocare nelle file della Lodigiani, la terza squadra di Roma, anzi la seconda, come dicono i romanisti. Poco dopo il passaggio alla Roma (lo voleva anche la Lazio, ma la famiglia Totti non ha mai avuto dubbi), la chiamata, mentre stava giocando con la primavera, per la trasferta di Brescia con la prima squadra: non la lascerà più. Proprio lui che andava allo stadio con il padre a vedere Giannini, il Principe, ora si trova a giocare con lui. L’adrenalina e l’emozione per la prima trasferta a Wembley con tutta la famiglia, lascia presto il posto a uno dei periodi più travagliati nella storia della Roma, quello seguito alla scomparsa di Dino Viola nel gennaio del 1991, a cui è legato anche il nome di Ciarrapico. Nel mezzo di una stagione difficile e un rendimento scadente in campionato, la squadra viene diretta da Ottavio Bianchi, che avrebbe alla fine conquistato la Coppa Italia in finale contro la Sampdoria e sarebbe arrivata alla finale di Coppa Uefa contro l’Inter.

La presidenza passa a Sensi e si alternano diversi allenatori, Mazzone, con cui arriva il primo goal in trasferta, fino al 1997 quando arriva l’argentino Carlos Bianchi, che avrebbe mandato volentieri Totti in prestito. Voleva Jari Litmanen, già campione e vicecampione d’Europa con l’Ajax, un giocatore affermato. Ma il destino e il talento si mettono di mezzo. Il duello, come quello di un film western, mette i due pistoleri di fronte al torneo Città di Roma nel febbraio del 1997, ma Totti dà spettacolo e

Origine: Italia, 2020 Produzione: Lorenzo Mieli, Mario Gianani e Virginia Valsecchi per The Apartment e Wildside con Capri Entertainment, Fremantle, con Vision Distribution e Rai Cinema, in collaborazione con Sky e Amazon Prime Video Regia: Alex Infascelli Soggetto: dal libro “Un capitano” scritto da Francesco Totti con Paolo Condò, Alex Infascelli, Vincenzo Scuccimarra Sceneggiatura: Alex Infascelli, Vincenzo Scuccimarra Interpreti: Francesco Totti (Se stesso) Durata: 105’ Distribuzione: Vision Distribution Uscita: 19 ottobre 2020

di fatto segna la sua riconferma. Poi arriva Zeman che lo struttura fisicamente e lo incoraggia a osare. Il turno passa a Fabio Capello, il mister che arriva con la fama da vincente. Il primo anno però va malissimo. Accade la cosa peggiore: a vincere lo scudetto è la Lazio. L’anno dopo sarà però l’anno in cui la squadra sembra invincibile e non a caso conquisterà lo storico terzo scudetto e la Supercoppa italiana. Alla corte di Capello oltre ad Aldair, Zanetti, Tommasi e Montella arrivarono Samuel, Emerson, ma il vero colpo da novanta fu senza dubbio l’ingaggio di Batistuta.

Proprio in questo periodo Francesco nota nella trasmissione televisiva Passaparola una soubrette, Ilary Blasi e sente subito che sarebbe stata la donna della sua vita. Così la invita allo stadio a vedere l’infuocato derby del 10 marzo 2002, durante il quale in diretta le fa una dichiarazione inequivocabile, scoprendo la maglietta con scritto “6 unica”. Da quel momento i due non si sono più lasciati. Nel 2003 arriva anche l’ingaggio da parte del Real Madrid, che aveva affrontato la Roma e visto Totti da vicino e lo voleva. Nonostante l’offerta di dodici miliardi l’anno, Totti decide eroicamente di rimanere nella sua Roma. Inizia poi l’era Luciano Spalletti: in campionato la Roma è l’eterna seconda e Francesco subisce un brutto infortunio e un’operazione immediata. Dopo una riabilitazione serrata riesce a partecipare all’indimenticabile Mondiale 2006, in cui vince la Nazionale italiana. Spalletti appare come grande amico nella prima fase e persona irriconoscibile nella seconda, quella più drammatica, in cui Francesco viene relegato a riserva e persino rimandato a casa nella partita con il Palermo. Infine il doloroso ritiro e l’ultima partita del 28 maggio 2017, con la commovente sfilata allo Stadio Olimpico.

L’ L’idea alla base di questo appassionante docufilm, firmato da Alex Infascelli, è che durante la notte precedente al suo ritiro il capitano e numero 10 della Roma ripercorra tutta la sua carriera e di conseguenza gran parte della sua stessa vita, in un Olimpico deserto. Mi chiamo Francesco Totti inizia con l’inquadratura del viso di Francesco, che non nasconde qualche ruga, in uno stadio in chiaroscuro che diventa un luogo metafisico. Un’idea semplice, che Infascelli declina però in maniera del tutto sorprendente, anteponendo sempre l’uomo all’epica sportiva e puntando al cuore di tutti gli appassionati di sport, non solo del calcio e non solo romanisti. In mezzo c’è semplicemente la vita di un ragazzo come tanti, che ha avuto la fortuna e l’abilità di coronare i suoi sogni con un pallone fra i piedi. Un ragazzo di cui emergono le fragilità, come l’impossibilità di godersi la sua città senza l’assillo di miriadi di tifosi, il rapporto coi genitori e le critiche causate dal suo carattere fumantino e irritabile sul terreno di gioco, in netta contrapposizione alla mitezza che lo caratterizza nella vita privata.

Dentro questo film c’è un lavoro impressionante di ricerca: materiale inedito, foto e video d’archivio che si susseguono senza sosta, con una lucidità e una consequenzialità curata in ogni dettaglio. E poi c’è la voce narrante dell’ex capitano che, tra ironia e commozione, ripercorre tutta la sua vita, calcistica e personale, attraverso gli affetti più cari. Ma anche le cadute fragorose, l’infortunio, il calcio a Balotelli, il Mondiale che rischiava di saltare, lo sputo a Poulsen, le lacrime dell’addio all’Olimpico, l’antipatia nei confronti di Carlos Bianchi e il rapporto burrascoso con Spalletti. Vediamo un Totti senza filtri, con la sua umanità e la sua intimità, che sono poi le basi sulle quali reggono le fondamenta del campione che ha unito un popolo per venticinque lunghissimi anni. C’è anche l’essere romano con tutti i pregi e i difetti che questo comporta. Poi c’è Roma, illuminata dall’alto in tutto il suo splendore, capitale meravigliosa, che abbraccia e avvolge in una stretta così forte che ti lascia senza fiato.

C’è tempo ancora per parlare delle due figure del mentore e dell’allievo, rispettivamente Giuseppe Giannini e Antonio Cassano. Il primo mito e figura di riferimento per il giovane Totti, il secondo da lui protetto e coccolato, prima del passaggio a quel Real Madrid che per Totti avrebbe fatto carte false. Ma soprattutto Vito Scala, il suo preparatore atletico, per lui molto più che un amico, “un fratello, uno che gli ha dato i consigli giusti, sempre, anche quando sbagliava”. Infine come in una favola il racconto del matrimonio con la sua Ilary e la nascita dei tre amati figli. Una fede indiscussa quella del “pupone”, portata avanti scalzando offerte arrivate da ogni parte del globo, una storia di amore e di onestà nei confronti della sua città e della società, cosa più unica che rara e lontanissima dal calcio di oggi.

Infine, si torna all’origine, a quel bambino che sogna di diventare campione e a quel campione che nel momento dell’addio ripensa inevitabilmente all’infanzia e a ciò che ha costruito dopo, nella triste consapevolezza che un capitolo della sua vita sta per chiudersi per sempre. Rivediamo il Totti bambino, interpretato da un giovanissimo attore, attraverso delle

This article is from: