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Il buco
da Anna per parlare, escamotage per impedire la rapina.
La mattina, l’uomo si presenta e Anna racconta il passato di Silvana, donna che si concedeva a tutti e che, però, ha sempre incolpato la figlia, intralcio che le ha impedito di trovarsi un uomo stabile. Nonostante ciò, il piano prosegue perfettamente, anche se Anna sceglie di rinunciare, sostituita da Renato, timoroso che l’eventuale perdita della casa spedirebbe la ragazza in carcere. Nonostante gli imprevisti, la rapina va a buon termine, ma Franco fugge con il bottino, per cui Renato si impegna a saldare i debiti della ragazza, anche se Anna non sembra entusiasta del gesto. Sebbene l’uomo sia intenzionato a concludere la loro relazione, alla fine cede e rinuncia a un viaggio di lavoro, che avrebbe rappresentato una svolta per la sua carriera, per aiutare Anna con un esame universitario che, se superato, potrebbe ridurre la pena. Silvana torna a casa dopo la fuga di Franco, ringraziando Renato per aver saldato i debiti e pronta a ricominciare la sua relazione con il poliziotto.
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Superato l’esame, Anna viene rimessa in libertà, scoperta che terrorizza Renato, che tenta di fuggire da lei, spaventato nuovamente dalla responsabilità di un rapporto duraturo; Anna però, dopo aver capito di amarlo, sceglie di lottare per lui. Renato si rende conto che, nonostante il desiderio di fuggire, non ce la fa ad andarsene, per cui i due decidono di fare due passi per Roma per calmarsi e iniziare una nuova vita fuori dalle mura dell’appartamento.
AAl di là di una regia piuttosto acerba, dove abbondano (soprattutto nella prima parte) un esasperato utilizzo del ralenti per sottolineare, in maniera piuttosto didascalica, i tormenti del protagonista, la sceneggiatura di Emiliano Corapi sembra edulcorare un immaginario piuttosto malsano, nascosto sotto la patina rassicurante della commedia, dominato dal fascino che un femminile passivo e in gabbia continua a esercitare nella psiche maschile (e patriarcale), che può sfruttare il contenimento del soggetto temuto per esorcizzare la minaccia freudiana della castrazione mediante uno sguardo feticistico, se non sottilmente sadico. In questo scenario, Anna è l’ideale di donna: relegata nella sfera domestica da cui non può fuggire, incapace di provvedere autonomamente al proprio sostentamento, intellettualmente inferiore (tanto da necessitare il supporto di Renato addirittura per capire cosa sia una nota a piè di pagina), desiderosa solo di sesso e, di conseguenza, costantemente disponibile, senza costringere a una relazione emotivamente impegnativa e senza alcuna presa di responsabilità, totalmente all’opposto di Simona; d’altro canto, lo scenario distorto che Corapi costruisce non va neanche a vantaggio del soggetto maschile, rappresentato come inetto, non in grado di gestire una relazione alla pari, capace di rinunciare al proprio successo lavorativo per dedicarsi al suo nuovo feticcio.
Ciò che manca è uno sguardo grottesco e parossistico capace di restituire la disfunzionalità sottesa al rapporto tra i protagonisti in maniera riflessiva e critica, nascondendola nel territorio rasserenante e prevedibile della commedia sentimentale, che raggiunge il suo apice nel banale monologo di Miriam Leone in merito al canto di Dante su Paolo e Francesca, esaltando il potere epifanico, improvviso e irrazionale dell’amore, inno a un sentimento che può apparire non solo casualmente ma anche nei confronti delle persone più inaspettate. Peccato che l’amore tanto decantato sia il grande assente di questo film, che sembra premiare un’irresponsabilità senza controllo (spacciandola sottilmente per eroica), donne-feticcio da salvare, rapporti privi di intimità e basati sulla convenienza, anche sessuale, componenti di una vicenda non solo artificiosa e macchinosa, ma veicolante immaginari retrogradi, nonché malsani, in cui a pagare è proprio una scrittura intelligente e profonda del sentimento e della sensualità.
leonArDo MAgnAnte
di Galder Gaztelu-Urrutia
Origine: Spagna, 2019 Produzione: Ángeles Hernandez, Carlos Juàrez e David Matamoros Regia: Galder Gaztelu-Urrutia Soggetto e Sceneggiatura: David Desola, Pedo Rivero Interpreti: Ivan Massagué (Goreng), Zorion Eguileor (Trimagasi), Antonia San Juan (Imoguiri), Algis Arlauskas (Preso) Durata: 90’ Distribuzione: Netflix Uscita: 20 marzo 2020
I
Il film è ambientato all’interno di una sorta di prigione tecnologica che si sviluppa in verticale ed è suddivisa in un’infinità di piani, detti livelli. Ogni livello, è collegato tramite un “buco”, una gigantesca apertura che permette ad una piattaforma mobile, contenente cibo, di sostare per pochi minuti al giorno in ogni cella. In ognuna di esse la prigione ospita una coppia di prigionieri che una volta al mese vengono trasferiti indiscriminatamente in un livello diverso, più basso o più alto rispetto al precedente. Naturalmente, chi occupa i piani superiori ha più probabilità di sopravvivere
a discapito di quelli che risiedono ai piani inferiori (costretti a cibarsi degli avanzi o, nel peggiore dei casi, condannati a morte per denutrizione).
Il protagonista è Goreng, uno dei volontari della sperimentazione, che decide di farsi rinchiudere nella prigione per sei mesi in cambio di un attestato di permanenza, del tutto incosciente della reale situazione. Si trova al livello 48 e condivide la cella assieme a Trimagasi, un ambiguo anziano che deve scontare un anno di reclusione per omicidio colposo.
Dopo il primo mese, i due vengono trasferiti al livello 171, a cui la piattaforma giunge ormai totalmente priva di cibo. Qui Goreng si risveglia improvvisamente legato e immobilizzato al suo letto da Trimagasi, che ha intenzione di attendere otto giorni prima di cibarsi di lui; in seguito però, Miharu, una donna che ogni mese staziona sulla piattaforma per scendere in cerca di sua figlia, uccide brutalmente Trimagasi e trae in salvo Goreng.
Il mese seguente Goreng si sveglia al livello 33 in compagnia di una donna, Imoguiri, e del suo bassotto Ramses II. Si scopre che quest’ultima era una funzionaria che faceva parte dell’amministrazione, ovvero si occupava dei colloqui con i futuri prigionieri, e che, dopo aver scoperto di essere gravemente ammalata di cancro (ormai in stadio terminale), si era offerta anch’essa volontaria ad entrare nella prigione. Qui la donna cerca di razionare il cibo per i prigionieri dei livelli sottostanti e cerca di convincere quest’ultimi a fare lo stesso, ma viene continuamente ignorata e derisa.
Il mese successivo Goreng si risveglia al livello 202 da solo: Imoguiri, dopo aver scoperto che i livelli sono più di 200, si suicida per disperazione; qui l’uomo, trascorre questo periodo di reclusione allo stremo delle forze e costretto al digiuno forzato.
Trascorso un mese, Goreng si risveglia al livello 6 con un nuovo compagno di cella, Baharat; quest’ultimo tenta di raggiungere il livello superiore per mezzo della sua fune. Tuttavia, la coppia residente del livello 5 lo respinge e lo umilia defecandogli sul viso. Goreng convince però Baharat che per scalare la struttura bisogna scendere tutti i livelli per poi risalirvi (attraverso l’ausilio della piattaforma), razionando inoltre il cibo a partire dal livello 51. Per sconfiggere il sistema, decidono di difendere ad ogni costo un piatto di panna cotta, ritenuto il “messaggio”, da far arrivare al livello 0. Infatti Imoguiri, prima di morire, gli ha riferito che l’obiettivo della prigione era condividere ciò che si ha (il cibo) tra tutti, soprattutto con chi si trova in maggiore difficoltà. Durante la discesa, Goreng e Baharat distribuiscono porzioni di cibo ai prigionieri, attaccando coloro che si ribellano o tentano di mangiare più del dovuto; i due uomini scoprono però che la piattaforma è più profonda del previsto, superando quindi il livello 250 e raggiungendo di fatto il livello 333, all’interno del quale scorgono una bambina nascosta sotto il letto.
I due, dopo essersi precipitati in soccorso della bambina, decidono di sfamarla con la panna cotta che avevano gelosamente custodito; in seguito realizzano che il reale “messaggio” è la stessa bambina, simbolo di speranza per un futuro migliore.
Il giorno successivo però, Baharat muore dissanguato a causa delle profonde ferite riportate durante gli scontri con gli altri prigionieri; Goreng allora porta con sé la bambina nella piattaforma, ma realizza che il messaggio non richiede portatore. Pertanto l’uomo scende dalla piattaforma e si allontana, fissando lo sguardo verso la bambina che, con estrema velocità, viene trasportata verso l’alto. “L “La storia di ogni società sinora esistita è storia di lotte di classe”. Sembra proprio da questo celebre motto marxiano che prenda corpo lo script de Il buco, l’horror a sfondo distopico del regista spagnolo Galder Gaztelu-Urrutia, qui al suo primo lungometraggio. Presentato in anteprima mondiale al Toronto International Film Festival dove ha vinto il premio del pubblico, il film è una cruda metafora nei confronti di una società egoistica fondata sul classismo e sulla distribuzione iniqua dei beni che - attraverso l’ausilio di un’ambientazione claustrofobica e piramidale (a metà strada tra un carcere tecnologico e un girone infernale dantesco) - diviene specchio del più marcio sistema capitalista.
Insomma, non è difficile decifrare il substrato politico del film, dove la verticalità della prigione evidenzia le gerarchie elitarie, fonti di ingiustizia, diseguaglianza e devianza sociale. Gaztelu-Urrutia ha il pregio di non adottare mezze misure - tra eccessi di fluidi corporei, carne, violenza e scene splatter - puntando il dito proprio contro un sistema spietato che provoca un’inevitabile guerra tra poveri, costretti a uccidersi tra loro pur di sopravvivere, invece di rivolgere il proprio odio e le proprie forze verso chi gestisce e governa le loro vite.
La sceneggiatura di David Desola e Pedro Rivero sfrutta abilmente queste tematiche e, nonostante un