Jug n 58_JUG new 22/03/13 19.24 Pagina 12
Circonferenze1.2 a cura di Raffaele De Ritis
C’era un grande circo magico
Non molti tra i lettori avranno conosciuto il lavoro di Jerome Savary, regista, attore, autore, musicista e capocomico scomparso il 5 marzo a 70 anni. Ma è probabile che, come nelle complesse infinite combinazioni della storia, senza di lui e il suo lavoro forse i mestieri di cui ci occupiamo e su cui riflettiamo non esisterebbero, almeno così come sono. Tralasciando la carriera teatrale di Savary (circa duecento regie di prosa e lirica in tutto il mondo), qui è l’epoca dei suoi esordi che ci può essere utile ricordare: quegli anni ’70 francesi in cui amiamo mitizzare, ormai con spirito quasi biblico, una serie di fenomeni: le radici del circo contemporaneo, delle scuole di circo, del teatro urbano e della tensione tra artista non convenzionale e città. Bene, si può dire che queste tre o quattro cose Jerome Savary le abbia in qualche modo inventate.
«Valore culturale: termine razzista secondo cui certi artisti vanno protetti poiché meriterebbero più di altri.» Si rifletteva, sullo scorso numero, sul panorama delle arti urbane e della sua complessità. Quando, all’alba degli anni ’70, Savary e la sue troupe scendevano in strada a recitare, suonare, sputare fuoco e travestirsi, l’unico rapporto con l’istituzione era con le cariche della polizia. Savary giunse allo spettacolo per caso attraverso un percorso paradossale, formatosi tra gli ultimi surrealisti e il primo Jodorowsky, dopo un’adolescenza disparata, al fianco di Kerouac e Monk. Come dire: per generare una visione più che i “progetti” contano le influenze, le accumulazioni, gli incroci. Insomma, il percorso.
«L’improvvisazione sta all’attore come il jazz al musicista; è la pratica indispensabile che apre all’artista le porte della libertà.» Oggi la nostra voglia di catalogare, strutturare, legittimare, si scontra con la lezione dimenticata di un’epoca in cui dietro la genesi del “teatro di strada” o del “nuovo circo” l’unica spinta era la generosità del legame con la gente, unita alla voglia di imparare e mischiare più cose, senza porsi impegni di “contaminazione”.
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