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Equilibrio, festival di nuova danza 2/27 febbraio, Roma
L’appuntamento con Equilibrio, Festival della Nuova Danza a Roma, é ormai un appuntamento irrinunciabile non solo per gli appassionati ma anche per chiunque sia interessato a incontrare ciò che di nuovo e di meglio propone il panorama della danza internazionale, e la consolidata direzione artistica di Sidi Larbi Cherkaoui garantisce l’originalità nella scelta sia di artisti di fama internazionale che di nuovi gruppi emergenti. Tutte le proposte di quest’anno si sono confrontate sul tema dell’Inevitabilità, sia nel senso del ripetersi dei cicli della storia dell’uomo, sia dell’avvicendarsi e del riproporsi di sentimenti ed emozioni nella vita del singolo individuo. Nella visione di Sidi Larbi l’inevitabilità é collegata all’esperienza umana del tempo: se la vita é ‘un treno in corsa che non si ferma mai’, l’arte e la danza ci permettono di fermarlo, di trovare diverse prospettive e nuove riflessioni con cui ripensare alla nostra vita. L’eccezionale Sylvie Guillem ha aperto il Festival con 600 Miles Away, tre coreografie dei grandi Kyliàn, Forsythe e Mats Ek. In Forsythe l’assenza di scenografia e di una struttura narrativa riconoscibile e la musica stridente valorizzano le asimmetrie e le imprevedibilità del movimento che hanno reso famosa la Guillem, la quale racconta che Forsythe aveva chiesto a lei di ‘fare in modo che le gambe diventassero braccia’ e al suo partner ‘di trasformare le braccia in gambe’. Su una partitura musicale che non vuole coinvolgere emotivamente e che é una sfida alla velocità d’azione e a un uso non abituale dei muscoli, entrambi riescono ad avvincere lo spettatore in una ininterrotta creazione di nuove possibilità articolatorie ed espressive che sembrano alterare la struttura fisio-
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a cura di Donatella Ruini f to di Musacchio/Ianniello fo
logica del corpo umano. Il virtuosismo e l’intensità della danzatrice si esprimono forse ancora al meglio nei movimenti più lirici ed evocativi della coreografia di Mats Ek: un filmato in scena proietta la Guillem che sembra così danzare con se stessa e da iniziali movimenti goffi e disarmonici trova libertà di espressione nel progressivo togliersi i vestiti, simbolo di un’identità limitante. Sullo schermo appaiono immagini di persone che sono memorie ma forse anche proiezioni di un giudizio da cui non é facile liberarsi nella ricerca della propria libertà interiore. Spettacolo di altissimo livello e forse il più tradizionale degli incontri del Festival, che ha visto il sempre trasgressivo e provocatorio per i temi e la nudità in scena Dave St. Pierre, i Fratelli Thabet con la spiritualità della musica sufi, la fraternità e il ritorno alle origini, il duro e aggressivo Wim Vandekeybus, Anne Stanzak con i suoi dubbi tra paura e desiderio, e l’atteso nuovo progetto di Sidi Bou Larbi, Puzzle. Atteso per riconosciuta bravura ma anche per la caratteristica diversità dei suoi spettacoli, mai simili e sempre sorprendenti nell’originalità e nell’ampliamento di prospettive e orizzonti che lo spettatore viene portato a percorrere e condividere. Un rumore di fondo costante, caldo e avvolgente accompagna l’ingresso del pubblico in sala, la scena é aperta e la totale assenza di quinte lascia scoperte le luci di scena laterali. Al centro del palcoscenico enormi parallelepipedi grigi che come sempre non saranno un semplice sfondo scenografico, ma parte viva, mobi-
Bill Cooper
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le e integrante delle coreografie: in questo spettacolo l’elemento scelto é la pietra, intesa come ‘pietra fondante’ dell’esistenza umana. Su proiezioni di un percorso infinito di porte, gli undici ballerini scendono in scena attraversando la platea e finiscono a sbattere ossessivamente sui muri di pietra. Da questo inizio caotico i moduli orchestrati dai danzatori si muovono, si trasformano e diventano gradini di una scala: un suonatore di flauto armonizza la confusione, la musica diventa evocativa e suggestiva e la magia comincia lentamente a crearsi e ad avvolgere lo spettatore. Non é facile entrare nella complessità dell’immaginario di Sidi Larbi ma é impossibile non restare quasi ipnotizzati dall’atmosfera che riesce a creare. Una delle più affascinanti caratteristiche dei suoi spettacoli é la presenza in scena di artisti di matrice diversa, in una trasversalità culturale che é forse unica nel suo genere, spettacoli che sono un vero e proprio universo di artisti di terre e tradizioni lontanissime tra loro, unite a suggerire la bellezza delle differenze e la loro possibile armonizzazione. In Puzzle il flautista e percussionista giapponese Kazunari, il gruppo polifonico maschile corso A Filetta e la sorprendente cantante libanese Fadia Tomb El-Hage creano un’atmosfera irreale e quasi religiosa di grande intensità emotiva. La perfetta orchestrazione, oltre all’interazione tra oggetti e movimento, fa anche cantare gli eccellenti danzatori e vede i cantanti partecipare alla coreografia aggiungendo dram-