Juggling Magazine #51 - june 2011

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Julien Monney julien@monocycle.ch

Sono cresciuto a Ginevra (CH) e come tanti mi sono avvicinato al monociclo a scuola, a 8 anni. Praticavo un po’ tutte le arti circensi, ma il monociclo è quello che ha subito attirato in particolar modo la mia attenzione, così nel 1994 sono stato tra i fondatori di uno dei primi club di monociclisti svizzeri, chiamato Les CasseRayons (Spacca Raggi). Al tempo gli unici trick che si vedevano in Europa col monociclo erano il repertorio del circo di tradizione, con tavoli, scale, etc. Non c’era internet e fu solo grazie ai filmati che nel 1992 ci mostrò un amico, di ritorno da una delle prime edizione di UNICON in Canada, che ci rendemmo conto di cosa stesse accadendo oltreoceano. Fu quasi uno shock per tutti noi vedere il freestyle, gente che andava con due piedi sulla forcella e cose del genere. Fu così che decisi di allenarmi sempre di più, fino ad un regime di 10 ore al giorno, tutti i giorni!

Avevo elaborato un approccio sistematico al monociclo per la ricerca di nuovi trick. Pensavo a cosa fosse stato già realizzato e che cosa si potesse realizzare partendo da quello. Avevo analizzato una serie di posizioni di base sul monociclo e mi sono dedicato a declinare tutte queste posizioni di base. Per esempio posizionare il corpo a 90 ° rispetto alla perpendicolare del monociclo, oppure riuscire ad andare in piedi sulla sella partendo da un appoggio al muro (credo di essere ancora l’unico in grado di farlo). È molto interessante vedere come oggi siano disponibili tanti modi per utilizzare il tuo monociclo: street, trial, free style, extreme, unidance, etc. inoltre si moltiplicano le associazioni, i contest, e ci sono sempre più persone che si avvicinano al monociclo. Con il freestyle sono arrivate le forcelle con base quadrate per poggiare i piedi, l’alluminio al posto del ferro, piccole migliorie per rendere l’attrezzo più resistente. Ma a grosse linee

tutti i vari tipi di monocicli che usiamo adesso, da quello standard alla ultimate wheel, sono stati inventati già a fine ‘800, quando c’era molta ricerca sui velocipedi. Una grande rivoluzione artistica è stata invece introdotta alla fine degli anni ’80 in un piccolo club da una donna giapponese, Emiko Rimura, che ora ha 65 anni. Fu lei che, ispirandosi ai musical americani, ha ideato la UniDance, cioè coreografie di danza sul monociclo. Una ricerca molto bella, i cui esiti approcciarono nei contest internazionali nel 1992. Questo stile, denominato japanise style (i giapponesi sono ancora oggi i migliori in team competition), mutua qualcosa anche dal pattinaggio artistico, e negli anni ha poi prodotto molte variazioni che hanno influenzato un po’ tutti noi. Per me il monociclo non è mai stato uno sport o una forma artistica, ma una scelta di vita per migliorare psicologicamente, spiritualmente la mia persona. In 26 anni dedicati al

monociclo sicuramente mi è anche capitato di pensare “ma cosa sto facendo?”, c’era sofferenza, dolore, anche noia; a volte non volevi salirci su, ma lo facevi lo stesso perché, seguendo i consigli di Philip Petit, sapevo che c’era sempre qualcosa di importante che sarebbe maturato proprio in quei momenti in cui avresti voluto mollare. Ho fatto spettacoli, mi piaceva la relazione con il pubblico, era molto interessante, ma il mio obiettivo non era la performance, era più un percorso e una sfida interiore. Sono stato in tanti show e probabilmente ci ritornerò, ma per ora ho smesso di esibirmi e ho cominciato ad insegnare ai giovani monociclisti, oltre a continuare i miei studi come antropologo. Non credo ci sia uno stereotipo del monociclista e quando insegno cerco di tirare fuori la personalità di ognuno. Credo che oggi più che il monociclo, esistano invece i monociclisti, con le loro idee, creatività, differenze da valorizzare.

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