Juggling Magazine #86 - march 2020

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WORK

work-claudiostellato.com

di Claudio Stellato

foto di Claudia-Pajewski

Ho iniziato a lavorare a WORK in aprile 2017, per concludere il suo processo di costruzione a febbraio 2020. Il percorso di creazione non è stato affatto lineare, WORK è il risultato di venticinque residenze dal formato sempre diverso. Otto giorni, magari, per costruire una parte della struttura, o dodici per provare qualcosa di nuovo. Non sappiamo mai quanto possiamo resistere insieme nello stesso spazio a favore del processo creativo. Procediamo per test, per capire la nostra resistenza umana, che è il fattore base per la buona riuscita di un lavoro di gruppo, e non siamo mai riusciti a trascorrere insieme più di quattordici giorni consecutivi nello stesso luogo. In residenza, aggiungiamo sempre materiale creativo al processo in corso. Non lavoriamo mai alla costruzione delle scene con delle transizioni. Appena gli altri capiscono cosa ho intenzione di fare, contribuiscono con le loro idee. Ogni volta non ci sono limiti. Trasformiamo materia in nuova materia, costantemente. Emergono ricordi, pensieri, idee, riaffiorano immagini e particolari. Ad esempio, la scena iniziale di WORK si ispira a un vecchio gioco dei luna park, la sfida impossibile di infilare un grande chiodo con tre colpi di martello in una spessa trave di legno. La realtà è più interessante della fantasia, basta smuoverla di pochissimo per trovare l’extra-ordinario. Ho lavorato sei mesi da solo, poi ho spiegato agli altri su cosa volevo incentrare la creazione. Rinnovando casa nella vita reale, ho introdotto il bricolage nella mia pratica artistica. L’ipersemplicità che diventa artistica, è aderenza ad un senso. Nel caso di WORK, è il gesto dell’artigiano a diventare creativo. Prendere un’azione quotidiana e semplice-

mente cambiarle vestito, è un’azione artistica. I movimenti in scena sono gli stessi che puoi vedere fare a qualcuno che ogni giorno fa il suo lavoro su un trabattello, qualcosa di normale che è anche una maestranza, azioni fisiche conosciute e ripetute per anni, un’economia dei movimenti che dosa la forza di ogni gesto in relazione agli strumenti tipici dei manovali. L’uomo e l’oggetto sono centrali nei miei lavori, il rapporto con la materia è incentrato sull’azione. Senza cazzuola o spatola, il muratore non può fare un muro. Se non ci fossero gli oggetti in scena, non ci sarebbe lo spettacolo. Di base, so riprodurre tutti i ruoli e le dinamiche di WORK, tutte le coreografie che partono dall’interazione con l’oggetto, il controllo sui materiali. In scena, ci sono due artisti di circo e due scenografi, obbligati a trovare un linguaggio comune. La donna non è meno forte dell’uomo, gli scenografi non sono meno forti degli artisti di circo. Ognuno di loro ha una diversa attitudine, eppure sono tutti allo stesso livello. Non volevo far risaltare le differenze tra loro, ma far emergere il processo attraverso la cooperazione delle diverse personalità. Come per La Cosa, volevo lavorare senza supporto tecnico. In WORK, i rumori naturali sono musica, non esiste un piano luci. La scenografia richiede un continuo mantenimento. Tutti i materiali sono nobili, al-

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cuni si rompono, o devono essere sostituiti prima di ogni replica. I colori, sono tempera per bambini, ma usiamo anche l’argilla pura mischiata a cellulosa e paglia che si usa per la costruzione delle case. Alcuni spettacoli sono critici sulla società che ci circonda. Per me, è un approccio troppo descrittivo, da cui prendo volentieri le distanze. Cosa c’è da capire in un origami? È sempre un foglio di carta, ma se tolgo le sue pieghe, la sua complessità, non è più un origami. Perché mi devo sforzare di capire il diverso, se è, per sua natura, diverso?

Prima di WORK, mi ispiravo a quello che suggerisce un noto programma francese per i più piccoli: “perché fare semplice, se puoi fare complicato”. Allora rendevo difficile ogni passaggio, per creare la missione di base, rendere artistico qualcosa di naturale. A quell’approccio, ora ho aggiunto anche la frase: “Tutto ciò, per niente”. Se metti insieme questi due aspetti, trovi il senso di quello che facciamo.


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