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Cirque de Demain 28>31 gennaio [Parigi] www.cirquededemain.com di Raffaele De Ritis foto di Yan Forhan
Se nella prima edizione del 1978 figuravano piccoli cavallerizzi o adolescenti domatori di ippopotami, alla 31 esima edizione il pubblico circonda ormai i tre lati di un enorme palco quadrato: quasi un segno indefinito di “domani” del circo in cui la sfida pare essere l’equilibrio tra la necessaria energia avvolgente del pubblico e la perdita del cerchio tracciato da letame, polvere e sangue. La costante corsa del circo verso la teatralità pare ormai conciliare una grande suggestione poetica con una strana ridefinizione della relazione col pubblico. Il livello tecnico e la performance atletica restano in continua progressione: dagli impossibili record cinesi, alla purezza fisica ucraina della scuola post-sovietica, alle contaminazioni artistiche del mondo francofono, difficilmente la storia dell’acrobazia ha conosciuto maggiore fertilità. Ma se una volta la “poesia” era nella semplicità dell’essere umano confrontato con i mille occhi dell’arena, scaturigine all’intera mitologia novecentesca dell’”artista come saltimbanco”, oggi essa è costruita a tavolino quale confezione patinata agli exploit del corpo, ormai con un pudore distante, ormai diffidente verso due matrici identitarie del circo come la tradizione umoristica del circo e il dramma del rischio, mentre il tappeto sulla pedana rimpiazza la segatura e i suoi quadrupedi. Il gioioso e ricco charivari di apertura della scuola Fratellini pare un ponte ideale tra la spontaneità dell’artista classico e il fascino più meditativo di chi va in pista dopo il duemila. Dopo un buon ventennio si può misurare uno degli impatti più determinanti del Cirque du Soleil sul
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mondo della pista: un intimismo malinconico, volentieri cupo, quasi sempre tale da porre lo spettatore non più come testimone di quello scambio un tempo più prossimo alla corrida o alla boxe, ma quale voyeur di sentimenti e vite interiori altrui. È il caso del romanticismo delle nuove coppie di mano a mano apparse da qualche anno, una disciplina ormai gemella a forme nuove come la contact dance e altre derivazioni. Il Festival di quest’anno ne ha avuto esempi come il duo ucraino You and Me, in cui siamo invitati ad osservare un flirt su una coperta, forse in un parco; la scrivania del duo franceseYannick e Greg, nei tormenti di un poeta con un angelo; Leilani e Sancho del Cirque Eloize, straniati dall’inedito rapporto tra contorsionismo e hip-hop. Questa sensazione di stare dietro al buco di una serratura si ha ancora con il mondo interiore di Remy Martin acrobata al palo; con il tormentato rapporto di Maxyme Pythoud con la ruota cyr (in un pregevolissimo lavoro); negli incubi di Francois Gravel, a più riprese estratto dal proprio letto attraverso le cinghi aeree; o con l’equilibrista Eike Von Stuckenbrok sul suo manichino inanimato; e ancora nelle meccaniche intimiste del tecnicamente eccellente duo aereo Polinde, quasi due bambole alienate; fino all’acrobata svizzero Florian Zumkehr che ci racconta di un delirio in un’inutile camicia di forza. Dunque corpi che rotolano per terra o lungo gli agrées aerei, perfezione e leggerezza ma rivolte sempre verso l’interiorità, penombre ed espressioni contemplative, che hanno come contraltare estetico poche altre tendenze. Una è quella di provenienza dal teatro di stra-