Catalogo mostra "come se il ghiaccio"

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come se il ghiaccio opere di italo chiodi


18 luglio 1946, 95 rue de la Faisanderie, Parigi. Charlotte Delbo è una giovane donna che, nella guerra e per la Resistenza al nazifascismo, ha perso molto – il marito, la casa con le sue cose, l’energia fisica necessaria per il suo lavoro. In quell’estate vive in una nuova casa, a pochi passi da quella dove, nel marzo 1942, era stata arrestata dai gendarmi francesi per essere consegnata poi, dopo la fucilazione del marito, alle autorità tedesche ed essere deportata ad Auschwitz (24 gennaio 1943). Da quella casa scrive a Louis Jouvet affidandogli parole che nessuno ancora conosce:

come se il ghiaccio opere di italo chiodi Salone ex-Ateneo, Bergamo alta 26 gennaio | 16 febbraio 2016 progetto ideato da Elisabetta Ruffini per l’Istituto bergamasco per la storia della Resistenza e dell’età contemporanea progetto grafico Dario Carta fotografie Marco Mazzoleni © 2016 Il filo di Arianna © 2016 Italo Chiodi per le opere Stampato in Italia nel gennaio 2016 su carta Fedrigoni Freelife Vellum White

questo libro che ho scritto (non è ancora quello che ho voluto scrivere, è quello che ho dovuto scrivere) comincia con una lunga poesia che ho sentito scrivendola. L’ho sentita così chiaramente che il mio cuore smetterebbe certo di battere se un giorno davvero la recitaste.

Nata in una famiglia d’origine italiana, Delbo ha puntato tutto sulla cultura per trovare la sua strada; figlia di immigrati, non ha potuto seguire un corso di studi regolare; iscritta al Partito comunista, ha frequentato l’Université Ouvrière e ha fatto filosofia con Henri Lefebvre. Dal 1937 è la segretaria personale di Jouvet con il compito di stenografare le riflessioni e i discorsi sul teatro del grande attore e regista e di tradurli in testo scritto. Quando Delbo invita Jouvet a farsi lettore della poesia che apre il libro appena scritto, è l’idea di letteratura da lui ereditata a mettersi alla prova. Il libro, certo, nasce dal bisogno di rac-

contare e di fare sapere del sopravvissuto che ritorna: bisogno provato da tutti e “imperativo come un dovere”, un obbligo verso gli altri di far sapere ciò che è stato, dirà Delbo molti anni dopo1. Eppure questo bisogno è concepito immdiatamente non come atto informativo o di testimonianza, ma come “arte, opera, creazione”. È il gesto artistico che costruisce la memoria, che porta a coscienza nel discorso l’esperienza vissuta, dandola a vedere agli altri. E il discorso, se non è chiacchiera, è “la lingua del poeta […] impregnata di senso, impregnata di vita”. Per questo “la letteratura è conoscenza”. Per questo “le grandi opere trovano un’eco presso chi le legge secoli dopo; per questo […] ci parlano ancora e trasmettono ancora una verità inesausta”. La scommessa è alta e per verificare che le sue parole siano pari al compito, Delbo le lascerà riposare vent’anni. Solo nel 1965 uscirà Aucun de nous ne reviendra. Oggi, tradotto per le edizioni Il filo di Arianna, Nessuno di noi ritornerà (Bergamo, 2016) trova un’eco nell’opera di Italo Chiodi. Una scommessa per l’Isrec, impegnato a far conoscere Delbo in Italia, che Chiodi ha rilevato con generosità nella comune consapevolezza che l’arte è “realtà e trascendenza della realtà […] senso e portatrice di senso” […] 1 Cfr. C. Delbo, Conferenza di New York, in Charlotte Delbo. Una memoria mille voci, a cura di E. Ruffini, Il filo di Arianna, Bergamo 2014, p. 62. Da qui tutte le citazioni che seguono.

introduzione Elisabetta Ruffini


Intrappolate in un blocco di cristallo al di là del quale, lontano nella memoria, vediamo i vivi.


Non so più perché piango quando Lulu mi scuote: “Basta ora. Vieni a lavorare.” Con tanta bontà


che non mi vergogno di avere pianto. È come se avessi pianto contro il petto di mia madre.


Eravamo là immobili, ridotte al solo battito dei nostri cuori.


Ogni viso è inscritto con tale precisione nella luce di ghiaccio, nel blu del cielo, che vi si incide per l’eternità.


Elisabetta Ruffini

[…] Le opere di Chiodi nascono da un punto preciso di Nessuno di noi ritornerà, il capitolo “Il tulipano”, che per me, lettrice e traduttrice del libro, è diventato di colpo un punto prospettico da cui ripensare alle parole di Delbo. Mi sono accorta che con le opere di Chiodi negli occhi ho avuto la percezione immediata della ricerca, in Delbo, della bellezza per dire Auschwitz: non uno scandalo di fronte all’offesa subita, ma una necessità per non tradire la vita. Il linguaggio nitido, preciso, pulito non diventa descrizione, ma impregna di vissuto le parole solidificando le emozioni, le sensazioni in colori, prospettive, silenzi, scene, quadri. Dalle tele di Chiodi sono stata rimandata alle frasi dedicate da Delbo al cielo, al freddo, all’orizzonte senza trovare né volere trovare immagini corrispondenti, ma per sentire la forza delle parole che lavora sull’immaginario, lo incide con la radicalità dell’esperienza. La corolla delicata del tulipano, il suo colore sono diventati un grumo d’emozioni e di significato che hanno fatto emergere nel testo la delicatezza, la dolcezza del prendersi cura: dei corpi delle compagne, della vita, del passato. Attraverso l’opera di Chiodi, il freddo si è esplicitato nel suo essere un protagonista nell’opera di Delbo, perché il freddo è l’esperienza che si solidifica nelle parole che la danno a vedere, la rendono presente davanti agli occhi dei destinatari chiamati a assumerla nella propria consapevolezza per tenerne viva la memoria.

Installazione di Italo Chiodi prendersi cura • ovest tecnica mista su tela, cm 215 x 300, 2016 matita e tempera su carta, cm 15 x 21, 2016 come se il ghiaccio tecnica mista su tela, dimensioni ??, 2015 prendersi cura • est matita e tempera su carta, cm 15 x 21, 2016 tecnica mista su tela, cm 215 x 300, 2016


Il filo di Arianna isbn 978-8-89611-922-8


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