La presenza di un “codice” templare negli affreschi di Tempio di Ormelle di Valentina Pinto
A Tempio, frazione di Ormelle, nel trevigiano, si trova una chiesa che, nonostante la sua semplicità costruttiva, presenta un ciclo di affreschi sulla cui interpretazione si sono accesi numerosi dibattiti. Riguardo alle origini del complesso, quel 1190, scelto in principio dagli storici locali, verrà in seguito riveduto grazie al ritrovamento di ulteriori fonti. Nello scritto Templari e Giovanniti in territorio trevigiano (secoli XII-XIV), Gianpaolo Cagnin analizza il toponimo Templo affermando che “l’attestazione più antica finora reperita del toponimo (la cui esistenza presuppone una presenza templare ormai consolidata)”, risalirebbe al 1168: “il 3 gennaio un certo Vitalis de Templo figura fra i testimoni di un contratto livellario, rogato a Treviso”. In realtà, la data, si rivelerà ben precedente grazie all’intervento dello storico Giovanni Battista Verci. Nello scritto Storia degli Ecelini, Codice Diplomatico Eceliniano, egli affermò come Ecelino I, detto “il Balbo”, dopo aver preso parte alla Seconda Crociata e al quale venne concessa, dallo stesso patriarca di Aquileia, la Villa di Radio (attuale Rai), località a pochi chilometri da Tempio, essendo lui un uomo di grande religiosità, autorizzò nel 1149 (anno in cui è documentata a Rai l’esistenza di una chiesa denominata Santa Lucia dei Templari e andata purtroppo distrutta), lasciti di beni e terreni agli ordini monastici delle chiese nei dintorni, favorendo così, a partire da quella data, anche l’insediamento dei Templari nella vicina zona di Tempio. Un altro documento importante, riguardante l’effettiva presenza locale di una magione, ci è pervenuto grazie all’intervento dello studioso Romeo Carrer che, insieme all’ex sindaco Sante Carnelos, ha pubblicato, nel libro Il comune di Ormelle, un verbale datato 1193 e tratto dagli Annales Camaldulenses. Si tratta di una lite per questione di confini e di usufrutto dei pascoli, in cui erano protagonisti i monaci della granza di Stabiuzzo, le comunità di Cornudella, Olmo, San Michele e tra le quali figure, spicca la testimonianza di tale Peregrinus de Templo, che affermò di aver visto i monaci, in quel di Stabiuzzo, da almeno trent’anni. Il termine peregrinus, ci darebbe un’ulteriore conferma su come tutta la zona, con al “vertice” Tempio ed i territori limitrofi, fosse un vero e proprio punto strategico, oltre che per fini economici, per l’accoglienza dei pellegrini. La magione, infatti, soleva situarsi nei pressi di importanti vie di comunicazione di origine romana, atte al pellegrinaggio o nei pressi di un fiume o di un corso d'acqua, ai fini di favorire l'approvvigionamento idrico, fondamentale, oltre che per la propria sussistenza, alla vendita di una parte del raccolto al fine di finanziare le guerre in Terrasanta. Il termine magione, viene fatto derivare dal latino mansus, participio passato del verbo manere, col significato di “sostare”, “rimanere”, “fermarsi”. Sorte in epoca romana, tra il I sec. a.C. ed il IV secolo d.C., come veri e propri luoghi di “sosta” per dignitari, ufficiali e coloro che viaggiavano per ragioni di stato, conosceranno un ampio utilizzo nel Medioevo, grazie ai numerosi pellegrinaggi. Nelle antiche fonti, riguardanti la presenza di magioni