CHECK-IN 18 - Marzo 2023

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TERRE DI PISA

Scoprendo una Toscana meno conosciuta

n°18 - Marzo 2023 - Anno III

AntoniaBaldi

GiacominaArmani

DomenicoArmani

GiovanniArmani

SabinaVettori

Giovanni Armani

CaterinaCaproni

1600

Giovanni Armani

Elisabetta di Bartolomeo Cipriani

Giovanni Armani

Domenica

GiuseppeArmani

GiovannaBertoletti

1700

Giacomo Antonio Armani

Toniolo Armani

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AntonioArmaniSimoneArmani

DavideArmani

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Patrizia Armani

Claudio Armani

MarioArmani

FrancescaSaiani

Cleto Armani

Maria Tomasoni

Olimpio Armani

Remo Armani

EnricaArmani

oggi

LuigiaMartinelli

AntonioArmani

PrassedeCipriani

1800

Luigia Armani

Alessandro Saiani

Albino Armani

Enrica Cipriani

1900

Essere parte di un territorio. Essere parte di una famiglia. Essere parte di una storia.

Domitilia

Antonio Armani

Martinelli

VeronikaRafikova

FedericoArmani

AndreaArmani AlbinoArmani

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oggi oggi
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in COpertina

Terre di Pisa, scoprendo una Toscana meno conosciuta

La città della Torre fa da porta a un ambito turistico che accoglie 26 Comuni e infinite storie da raccontare, tra arte, cultura, botteghe e tradizioni. Un territorio ancora da scoprire. Noi ve ne diamo un primo assaggio, per un fine settimana lungo, tra San Miniato, Peccioli, Calci e Vicopisano

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CHeck-in • marzo 2023 5 52 44 34 38 30 26 22 Poggio Rosso La birra, dal campo al bicchiere Il vino biodinamico secondo Cosimo Maria Masini Saline di Volterra Un tuffo fra gusto, storia e cultura Tenuta di Ghizzano Enoturismo e vini bio nella Doc Terre di Pisa L'olio extravergine Al Frantoio di Vicopisano Cena a San Miniato? Al Pepenero di Gilberto Rossi Terre di Pisa L'eccellenza della carne Indice

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CHeck-in • marzo 2023 7 84 104 72 62 96 60 Donnafugata Paradiso dell'enoturismo Qatar, in vacanza tra natura, tradizioni e divertimento Lignano Sabbiadoro Fuori stagione al ritmo lento della natura Castelli e buon vino La Valle d'Aosta da esplorare tutto l'anno Bergamo e Brescia Capitale della cultura... anche a tavola Amaretto di Santa Croce La semplicità della tradizione

Editoriale

Cultura... In viaggio tra cibo e vino

Arte, storia, paesaggi, ma anche tanta cultura e qualità enogastronomica. È questa la forse inconsueta prospettiva con cui organizzare un viaggio nel territorio pisano. E non a caso Check-In ha organizzato un’ampia inchiesta su alcune prospettive non comuni con cui visitare la provincia legata alla torre pendente più famosa al mondo.

E assieme alle terre di Pisa come non offrire qualche spunto su un’altra zona oggi al centro dell’attenzione internazionale: Bergamo e Brescia capitale della cultura 2023. Proseguendo un appuntamento che ci accompagnerà tutto l’anno lanciamo un’iniziativa originale per entrare un po’ meglio nel merito delle due città secondo la nostra linea editoriale. Per questo abbiamo abbinato ai monumenti più interessanti delle province alcuni dei piatti tradizionali che ne segnano anche la cultura gastronomica.

Non mancano poi suggerimenti per questa primavera dove le ultime sciate cedono il posto ad escursioni in montagna (ecco quindi un rapporto su cibo, vino e sport in Valle d’Aosta) o si riaprono i lidi ma c’è ancora tempo per assaporare al meglio le località marine (in questo caso Lignano Sabbiadoro). Per chi ama invece il mondo del vino ecco la meta di una delle cantine più interessanti in Italia, Donnafugata della famiglia siciliana Rallo.

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Terre di Pisa

San Miniato | Il Duomo

Forse è meglio sgomberare subito il campo da ogni dubbio, non aspettatevi la solita Toscana. O meglio, alcune caratteristiche comuni ci sono: paesaggi da sogno, tradizioni culturali millenarie ed eccellenze gastronomiche, per citare le tre principali. Nonostante questo nelle Terre di Pisa si respira un’aria diversa, distante dal

turismo di massa che in alcuni casi ammorba le destinazioni toscane. Un’aria unica, per certi versi selvaggia, e che lascia negli occhi colori forti e una natura affascinante

A valorizzare questo territorio c’è, dal 2016, il brand Terre di Pisa, voluto dalla Camera di Commercio della città della Torre. Nel 2019 è nato l’ambito turistico con lo stesso nome, che raccoglie 26 Comuni. Terre di Pisa fa parte anche della rete di Vetrina Toscana, il progetto regionale che unisce

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La città della Torre fa da porta a un ambito turistico che accoglie 26 Comuni e infinite storie da raccontare, tra arte, cultura, botteghe e tradizioni. Un territorio ancora da scoprire. Noi ve ne diamo un primo assaggio, per un fine settimana lungo, tra San Miniato, Peccioli, Calci e Vicopisano
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PISA E LITORALE VALDERA - COLLINE PISANE

MONTE PISANO VAL DI CECINA

VALDARNO

COLLI MARITTIMI

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tipicità e autenticità dei territorio, attenzione all’ambiente e promuove il turismo enogastronomico.

L’impressione è di essere di fronte a un tesoro che ancora deve svelarsi nella sua interezza e proprio per questo scoprirlo ora è, in un certo senso, un privilegio che non è il caso di farsi sfuggire. Abbiamo immaginato un weekend lungo, per un primo assaggio. Ecco, allora, le destinazioni da non perdere.

San Miniato

La porta ideale del nostro viaggio nelle Terre di Pisa è, senza dubbio, San Miniato, una città che non arriva a 30mila abitanti, ma racchiude nel suo centro storico l’incredibile importanza che ha rivestito nei secoli. San Miniato è stata, infatti, una delle tappe imprescindibili dei pellegrini che percorrevano la Via Francigena verso Roma, ma non solo. Per molto tempo si è chiamata San Miniato al Tedesco, per il suo fortissimo legame con gli imperatori germanici del Sacro Romano Impero, che la scelsero come avamposto toscano grazie alla sua posizione strategica. Un’importanza che emerge in tutta la sua forza passeggiando per il centro storico, costellato da palazzi signorili, e che ha la sua massima espressione in due piazze: piazza della Repubblica, su cui si affaccia il Seminario Vescovile, e qualche metro più in su, piazza del Duomo

Il vero simbolo di San Miniato è, però, la Torre Federiciana, dalla cui cima si gode di una vista impagabile. Realizzata tra il 1217 e il 1221 per volere di Federico II di Svevia, venne distrutta nel 1944 dai tede-

schi. Quella che è possibile visitare oggi è la copia fedele, ricostruita negli anni ‘50.

San Miniato non è soltanto un’eccellenza culturale, ma è la culla di un importante patrimonio enogastronomico. È normale allora che la città sia disseminata di attività storiche legate al cibo. Se si parla di carne e norcineria, per esempio, è impossibile non citare Falaschi, macelleria che si trova proprio nel centro storico di San Miniato ormai dal 1925 ed è alla quarta generazione di macellai. Nel vecchio laboratorio, alle spalle della bottega, si trova il Retrobottega, il ristorante della macelleria, con vista sulle colline.

Nello stesso campo merita una menzione anche la Macelleria Lo Scalco, che si tro-

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San Miniato | Il borgo e la torre Federiciana

va a San Miniato Basso dal 1955. Anche in questo caso, oltre alla bottega vera e propria, è possibile degustare i prodotti di norcineria e le carni, oltre ad alcuni piatti della tradizione.

Altra eccellenza di San Miniato sono poi i dolci. In città vengono realizzati i miniatensi, biscotti la cui forma ricorda quella del cantuccio, ma è solo un’apparenza: la pasta è molto diversa, più soffice, delicata e morbida. Ci sono molteplici tipologie di questo prodotto e si distinguono l’uno dall’altro in base alla frutta che si associa ad essi. Ci sono poi i Cantucci di San Miniato, la cui forma stretta e lunga si dice richiami quella della Torre simbolo del borgo. A inventarli e a sfornarli ancora oggi è un’altra bottega storica, Il Cantuccio di Federigo, un piccolo forno di eccellenza guidato da cinque generazioni dalla famiglia Gazzarini. Il segreto

dei cantucci di San Miniato è la presenza dell’uvetta nell’impasto e una consistenza originale, data dalla doppia cottura.

Sua maestà il tartufo bianco

Detto della norcineria e del mondo dei dolci, è impossibile parlare di San Miniato e non parlare del tartufo. Le colline intorno al borgo pisano sono, infatti, il terreno perfetto per il Tuber Magnatum Pico, il tartufo bianco delle Colline Samminiatesi e, fuori stagione, del bianchetto o marzuolo, meno pregiato del bianco, ma comunque apprezzato e utilizzato. Il momento più importante della stagione del tartufo a San Miniato è la mostra mercato che si svolge negli ultimi tre weekend di novembre da più di 50 anni. Durante tutto l’anno è però possibile scoprire il mondo del tartufo e il lavoro dei tartufai.

La tradizione della caccia al tartufo è, infatti, portata avanti da molte famiglie storiche del territorio con i loro cani da cerca. Una tradizione talmente radicata che esiste addirittura una “razza” canina locale, il Riccio di San Miniato. Le virgolette sono in realtà obbligatorie, perché non si tratta di una razza vera e propria, ma di un bastardino che è però figlio di altri cani da tartufo.

La proposta turistica legata al tartufo, nel territorio intorno a San Miniato, è molto ampia. Interessante, senza dubbio, è quanto offre Nacci Tartufi a Corazzano. Da vent’anni, tra i primi a farlo, porta turisti e curiosi a caccia di tartufo tra le colline e i boschi intorno al paese. Un’esperienza reale, non artefatta, che permette di scoprire alcuni dei segreti dei “truffle hunters” locali. In conclusione, una degustazione in azienda o un pranzo in una trattoria del territorio.

TERRE DI PISA

Tanto da scoprire

San Miniato, Peccioli, Calci e Vicopisano: sono questi i luoghi da scoprire in un primo assaggio delle Terre di Pisa. Un weekend lungo all’insegna del gusto e del relax. Ma per chi volesse fermarsi qualche giorno in più oppure tornare e concedersi un altro morso di questa Toscana insolita e selvaggia, le Terre di Pisa hanno davvero molto da offrire. Parliamo, per esempio, di Santa Maria a Monte, piccolo borgo fortificato con la sua caratteristica forma a spirale. O di Pontedera, città della Piaggio, che oltre alla fabbrica ospita anche il Museo della Vespa. O di Volterra, gioiello medievale che dentro le sue mura conserva tesori di arte e architettura. Statene certi, le Terre di Pisa valgono un viaggio.

Peccioli, l’arte tra le strade

A mezz’ora di strada da San Miniato, in un viaggio fatto di saliscendi e di colline, si trova Peccioli. Quello che a prima vista può sembrare un borgo toscano come tanti, arroccato su una collina con i suoi vicoli stretti, “chiassi” li chiamano qui, è in realtà un vero e proprio museo a cielo aperto

A partire dagli anni ‘90, infatti, Peccioli ha iniziato a cambiare il suo volto, dando spazio all’arte contemporanea che ha pian piano “invaso” il borgo, che è stato premiato anche con la bandiera arancione del Touring, diventando così uno dei Borghi più belli d’Italia. Passeggiare per le sue vie è una sorpresa continua. Il cuore urbano è, senza dubbio, la piazza del Popolo, mentre quello culturale è il Palazzo Senza Tempo.

Restaurato dall’architetto Mario Cucinella, ospita sia all’interno sia nei suoi spazi

Peccioli | La Via di Mezzo di Ghizzano La terrazza del Palazzo Senza Tempo

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esterni, installazioni artistiche, anche se la vera “chicca” è la sua splendida terrazza panoramica affacciata sulle colline della Valdera. Peccioli è, però, anche il borgo dei Giganti. Stiamo parlando delle Presenze, quattro sculture alte dai cinque ai nove metri. Una si trova sul tetto dell’Incubatore di imprese lungo la Strada della Fila, un altro all’Anfiteatro Fonte Mazzola, mentre gli ultimi due fanno bella mostra nel Triangolo Verde della discarica di Legoli, trasformata in luogo di arte e di cultura.

Fuori dal nucleo storico di Peccioli, nella frazione di Ghizzano, c’è un’altra testimonianza, forse la più famosa, del progetto che ha trasformato il borgo pisano in un museo a cielo aperto. È la Via di Mezzo, la strada centrale della frazione, ridipinta dall’artista David Tremlett con colori nei toni del verde e del marrone

Certosa di Calci, una meraviglia da valorizzare

Muovendo di nuovo verso nord, risalendo cioè da Peccioli verso il capoluogo, si arriva a Calci, che può vantare una pieve, quella di San Giovanni ed Ermolao, in pieno stile romanico pisano, che vale sicuramente una visita. Il gioiello che illumina Calci è, però, la sua Certosa, che si può raggiungere con una bella passeggiata dal centro del paese.

Lo spettacolo che si presenta davanti agli occhi del visitatore è mozzafiato: un monumento barocco a cui fa da sfondo la natura selvaggia del Monte Pisano. Fondato nel 1366 da una famiglia di certosini, il complesso è stato ampliato tra il XVII e il XVIII secolo. Nel 1972 la Certosa, abbandonata dai pochi monaci rimasti, divenne

Calci | La Certosa

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Museo Nazionale, mentre nel 1979 la parte occidentale del complesso fu concessa in uso perpetuo e gratuito all’Università di Pisa.

Per questo motivo oggi la Certosa di Calci (detta anche Certosa di Pisa, poiché all’atto della sua fondazione faceva territorialmente parte del capoluogo) ha due poli museali distinti.

Da un lato il Museo Nazionale della Certosa, la cui visita offre un suggestivo viaggio nel mondo dei certosini, alla scoperta della vita solitaria che vi conducevano, fatta di rigore, meditazione e contemplazione, in ambienti che ancora oggi stupiscono

per sfarzo, magnificenza e splendore dei decori.

Dall’altro il Museo di Storia naturale dell’Università di Pisa, che ospita collezioni uniche per importanza storica e scientifica, che comprendono reperti di zoologia, paleontologia e mineralogia. Un indirizzo perfetto se si viaggia con dei bambini. Imperdibile la Galleria dei Cetacei, tra le più importanti in Europa e con una vista spettacolare sulla Certosa. Insomma, un luogo da scoprire che lascia però, è giusto dirlo, l’impressione di non essere valorizzato a dovere, almeno nella sua parte monumentale, ma che ha un potenziale enorme.

Calci | La Certosa

Vicopisano e le sue torri

A solo un quarto d’ora da Calci incontriamo Vicopisano, che conserva intatto tutto il suo fascino medievale. Il borgo, grazie alla sua posizione strategica, è caratterizzato da numerose torri e casetorri, tutte in ottimo stato di conservazione: le Torri Gemelle, la Torre dell’Orologio, la Torre delle Quattro porte, la Casatorre Malanima e la Torre del Soccorso.

Vicopisano è però famosa anche per la sua Rocca, commissionata dai Medici a Filippo Brunelleschi dopo aver conquistato il borgo nel 1406. Simbolo dell’opera dell’architetto è il muraglione merlato che collega la Rocca con la Porta del Soccorso attraverso una scalinata, ancora oggi percorribile dai visitatori.

Vicopisano | La Rocca Vicopisano | Il borgo

L'eccellenza della carne

Nel territorio pisano l'allevamento, la produzione e la lavorazione della carne sono vera e propria eccellenza. Esiste

persino una razza locale: il Mucco Pisano.

Dove mangiare una buona bistecca?

Alla Macelleria Testi

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Tra i tanti segreti che da secoli custodiscono le Terre di Pisa c'è senza dubbio quello della carne. Carne bovina, soprattutto, ma anche suina, ovina e cacciagione. Insomma, ce n'è davvero per tutti i gusti. A favorire questa condizione, la presenza di numerosi pascoli che, ancora oggi, garantiscono agli animali un'alimentazione sana ed elevati standard qualitativi. Il simbolo di questo genere di allevamento è, senza dubbio, il Parco di San Rossore

Norcineria di qualità

Dicevamo della varietà della proposta nelle Terre di Pisa nell'ambito delle carni. Un'eccellenza è rappresentata dalla norcineria. Sul territorio si producono, difatti, molti prodotti di salumeria. Non soltanto i più noti prosciutti e salami toscani, famosi per la loro sapidità, ma anche specialità meno note. Parliamo, per esempio, della Spuma di Gota, una crema che storicamente veniva utilizzata per evitare che le carni si asciugassero troppo durante la cottura e che può essere consumata spalmata sul pane caldo.

O il Mallegato, un sanguinaccio preparato con l'aggiunta di lardo, sale, noce moscata, cannella, pinoli e uva passa.

O ancora il Salame con la ciliegia, tipico di Lari, nel quale non viene aggiunto all'impasto il vino, ma il Festa, liquore alle ciliegie proprio di Lari, e le ciliegie sotto spirito.

Il Mucco Pisano e la Pecora Pomarancina

Anche la macelleria rappresenta un'eccellenza del territorio e, negli anni, questa eccellenza è stata riscoperta anche grazie a importanti progetti di recupero che hanno coinvolto due razze simbolo delle Terre di Pisa. Il Mucco Pisano era particolarmente utilizzato per "lavorare" nelle campagne pisane. Nato nel '700 dall'incrocio tra le razze locali e la Bruna Alpina, negli anni '80, con l'ormai quasi totale meccanizzazione dell'agricoltura, era praticamente scomparso. Ne restavano circa 70 capi. Grazie al lavoro di Regione Toscana e dell'Associazione Allevatori di Pisa, ora il Mucco è tornato a essere uno dei fiori all'occhiello delle Terra di Pisa. Viene allevato allo stato brado e semibrado, soprattutto nel Parco di San Rossore, e può essere consumato in numerosi ristoranti del territorio.

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Un destino simile lo ha vissuto anche la Pecora Pomarancina. Razza ovina tradizionale delle Terre di Pisa, era arrivata circa vent'anni fa sull'orlo dell'estinzione.

Ora è stata recuperata ed è molto amata dalla cucina locale. La sua carne è, infatti, di alta qualità, con un'ottima consistenza e un'interessante parte grassa.

Macelleria Testi a Vicopisano

Una domanda, ormai, sorgerà spontanea. Dove mangiare, quindi, della buona carne nelle Terre di Pisa? La risposta può essere, senza dubbio, alla Macelleria Testi di Vicopisano. Si tratta di una macelleria famigliare da tre generazioni che, alla sua attività tradizionale, ha deciso di aggiungere la ristorazione. A pranzo, tutti i giorni tranne il sabato, e a cena, dal giovedì al sabato, è possibile scegliere i salumi artigianali della famiglia Testi e i migliori

tagli di carne e gustarli in loco. Il locale è moderno e il servizio è informale, ma attento.

Nella scelta della carne ci si può affidare a Massimiliano, il padrone di casa. La proposta è ampia. Parte dal territorio, ma non disdegna viaggi fuori dall'Italia, tra Spagna, Irlanda, Repubblica Ceca e Argentina. Da non perdere, secondo noi, le patate fatte da loro, veramente notevoli, e lo Scioglimbocca. Si tratta di un salume creato proprio dalla famiglia Testi: una sezione del maiale con tutta la parte del lardo e dell’arista magra messo 20 giorni in salamoia e due mesi in stagionatura.

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Massimiliano Testi
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Cena a San Miniato? Al Pepenero di Gilberto Rossi

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Nonostante le sue dimensioni contenute, il centro storico di San Miniato, splendido borgo che funge da ideale porta delle Terre di Pisa, non può certo dirsi sguarnito di proposte gastronomiche interessanti. Tra queste, per posizione e proposta, brilla sicuramente Pepenero, il ristorante di Gilberto Rossi in piazza del Duomo

La forza del ristorante Pepenero, prima ancora di sedersi al tavolo, è data senza dubbio dalla posizione. Piazza del Duomo è, infatti, uno degli angoli più belli di San Miniato. Un'impressione che viene immediatamente confermata una volta entrati nel locale che sfrutta la sua posizione in maniera perfetta.

La sala è caratterizzata da ampie vetrate che da un lato permettono di avere una vista completa sui gioielli della piazza, dall'altro si aprono alle colline circostanti. Un colpo d'occhio davvero notevole che funziona alla perfezione con le scelte stilistiche dell'arredamento.

L'interno del locale è moderno, molto ricercato. Le sedie Phantom, i bicchieri colorati e le opere d'arte che puntellano il locale riescono a creare un contrasto curioso con la vista esterna, un contrasto che funziona e incuriosisce. Il risultato è una sala accogliente, che potrebbe forse essere più "calda", ma che riesce a sorprendere in maniera positiva.

Volto, anima e proprietario del locale è lo chef Gilberto Rossi, noto anche per le sue apparizioni sul piccolo schermo a La Prova del Cuoco con Antonella Clerici. Il

Pepenero è la sua creatura dal 2009, da quando cioè ha acquisito tutte le quote dei precedenti soci e ne è diventato proprietario.

Ultimo passo di una carriera che l'ha visto iniziare nel suo Veneto, per poi spostarsi a La Siriola, in Alta Val Badia e, infine, in Toscana, al Relais & Chateaux "La Collegiata" di San Gimignano. A San Miniato sembra aver trovato finalmente la sua dimensione, che esprime attraverso una cucina chiara e in linea con le sue idee.

Territorio, ma ragionato: la proposta del Pepenero

I concetti chiave attorno ai quali ruota la proposta del Pepenero di Gilberto Rossi

sono essenzialmente due: il Chilometro Vero e il Frigorifero Zero. Nel primo caso, si intende la volontà di fare una cucina del territorio, ma senza forzature. Vale a dire, come spiega lo stesso Gilberto, se a San Miniato la burrata buona non si trova, la andrò a prendere altrove, perché stiamo parlando di cucina italiana e non ci si può limitare al luogo in cui si trova.

Per quanto riguarda, invece, il Frigorifero Zero, si parla della ricerca del prodotto sempre fresco. Una scelta che, per forza di cose, condiziona il menu, che è soggetto al mercato e a ciò che giornalmente offre e pertanto può cambiare in base alle esigenze.

Le scelte di Gilberto trovano corrispondenza nei piatti. Il tratto comune è la de-

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licatezza dei sapori, che non si spingono mai oltre il dovuto e hanno come obiettivo la valorizzazione della materia prima, di indiscussa qualità. La carta è ridotta, con sei proposte per gli antipasti, sei per i primi e sei per i secondi, equamente divise tra carne, pesce e vegetale.

Tèra, dove tutto comincia

La proposta di Gilberto Rossi a San Miniato non si esaurisce, però, con Pepenero. Sempre nel centro storico di San Miniato, ma in via IV Novembre, si trova Tèra, aperta nel 2020, in piena pandemia. Si tratta di una bottega/gastronomia/enoteca, che nella visione di Gilberto funge da punto di riferimento per le eccellenze gastronomiche.

Le uniche regole sono freschezza e genuinità e, proprio come al ristorante, la proposta della gastronomia è ogni giorno diversa. Notevole la proposta di vini, con più di duecento etichette, soprattutto italiane.

Pepenero �� 0571 520282 ��www.pepenerocucina.it

L'olio Al Frantoio di Vicopisano

Nelle Terre di Pisa e soprattutto nella zona del Monte Pisano l'olio è una tradizione che si tramanda da secoli. Una tradizione che ha dato vita anche alla Strada dell'olio dei Monti Pisani, che racchiude al suo interno aziende di cinque differenti Comuni: Buti, Calci, San Giuliano Terme, Vecchiano e Vicopisano. Proprio in quest'ultimo, bellissimo borgo medievale noto per la rocca progettata da Filippo Brunelleschi, si trova una delle attività che contribuiscono in prima persona a portare avanti la tradizione dell'olio d'oliva di altissima qualità. Stiamo parlando del Frantoio di Vicopisano

Il Frantoio di Vicopisano, olio biologico toscano

Il Frantoio di Vicopisano si trova ai margini dell'abitato del borgo. La struttura centrale, composta dalla bottega e dal frantoio vero e proprio, gode per questo motivo di una bellissima vista sulla Roc-

ca. A circondarla ci sono dieci ettari di coltivazioni biologiche. La parte del leone la giocano gli ulivi, che coprono 5 ettari e sono circa 3mila. Il resto è, invece, composto da frutteti (in larga parte kiwi, se ne producono circa 6 tonnellate) e viti di Sangiovese e Trebbiano.

Le olive del Frantoio di Vicopisano vengono raccolte manualmente e frante direttamente in azienda nel giro di poche ore. Il risultato è un olio di altissima qualità. Sono diversi i prodotti realizzati dal Frantoio.

Il fiore all'occhiello è, senza dubbio, il Vicopisanolio Igp Toscano Bio, ma meritano una menzione i condimenti realizzati con olio abbinato a peperoncino, aglio, limone, basilico o rosmarino. Il loro segreto sta nella preparazione, che non viene realizzata, come spesso accade, in infusione. Si tratta, infatti, di oli realizzati frangendo insieme olive e l'ingrediente di accompagnamento. Questo dona al prodotto una maggiore rotondità, un gusto deciso senza essere invadente e una freschezza che non stanca mai.

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Un frantoio aperto al turismo

Come già accennato, i prodotti del Frantoio di Vicopisano sono disponibili nella bottega in loco o, in alternativa, sul sito dell'azienda agricola. Per chi volesse, però, scoprire in prima persona come nasce l'olio del Frantoio e assaporare un po' di vita contadina, l'azienda pisana è molto attenta agli aspetti legati all'oleoturismo. È, infatti, possibile visitare il Frantoio e degustarne i prodotti in qualsiasi momento dell'anno, vini compresi Non solo: è possibile scoprire tutti i passaggi che portano dalla raccolta delle olive al prodotto finito.

E per chi volesse fermarsi qualche ora in più, per poi magari godersi in tutta calma il borgo di Vicopisano, il Frantoio mette a disposizione anche tre appartamenti, perfetti per le famiglie. Un agriturismo semplice, rustico, con una vista degna di nota e circondato dalla natura.

Il Frantoio di Vicopisano �� 050 798870 ��www.vicopisanolio.it
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Saline di Volterra Un tuffo fra gusto, storia e cultura

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Una storia antica, che ancora oggi vive e si evolve: è quella delle Saline di Volterra, in provincia di Pisa, e del suo sale, considerato il più puro d'Italia. Un sale che viene valorizzato ogni giorno, sia attraverso la possibilità di scoprire la sua storia e i suoi luoghi di produzione, sia attraverso una continua ricerca, che ha dato vita negli anni a numerosi prodotti in cui il sale è protagonista.

Quella delle Saline di Volterra è una storia iniziata tremila anni fa: furono infatti gli Etruschi a comprendere per primi l’importanza dell’estrazione del sale; preziosa sostanza fondamentale per la conservazione dei cibi e per l’alimentazione. Ad essi succedettero i romani, i quali continuarono ad utilizzare l’oro bianco che emergeva dalle pozzanghere, le antiche “moje” diffuse nel lembo di terra che da Saline di Volterra

arrivava fino al mare. Sale talmente prezioso, da essere utilizzato come moneta (la parola salario deriva dall’utilizzo del sale come mezzo di pagamento).

Durante il periodo medioevale nacquero le prime strutture estrattive costruite sopra i pozzi per aumentare la produzione e renderla più strutturata. Volterra sarà al centro di numerose dispute dovute al controllo del sale, oggetto di contenzioso con la vicina e potente Firenze. Sale che grazie alla rete di strade del tempo, raggiunge le principali vie di comunicazione (da Saline a Volterra, dove c’era la dogana e poi in direzione della Via Francigena, verso le due Vie del Sale che collegavano Volterra con San Gimignano e con Gambassi Terme) ed i principali depositi (Empoli, magazzini del Sale, attuale Museo del Vetro). Ma fu il Granduca di Toscana a dare l’impulso decisivo alla produzione del sale attraverso la costruzione di quello che sarebbe di-

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ventato uno dei primi villaggi industriali in Italia. Da quel momento la produzione del sale continuerà a crescere, fino a raggiungere i suoi massimi livelli verso la fine dell’Ottocento, quando l’impianto contava circa cinquecento dipendenti. Sarà la Seconda guerra mondiale ad imporre lo stop dell’impianto, che sotto la pioggia di bombardamenti venne quasi completamente distrutto, per risorgere nel Dopoguerra, con tecnologie più avanzate. Nel 1962 fu il talento di un giovane e visionario architetto, Pierluigi Nervi, destinato a scrivere la storia dell’architettura moderna, a firmare la costruzione del Padiglione dal quale ancora oggi scende la suggestiva cascata di sale, aggiungendo un’altra pietra miliare a questo luogo, che ancora continua a raccontare la sua storia.

Sale di Volterra, un prodotto unico

Ma perché il sale di Volterra è così speciale? Innanzitutto, è certificato come il sale più puro d'Italia grazie al suo 99,9% di purezza. Si tratta di un sale ricristallizzato. Viene estratto da un bacino sotterraneo formatosi circa 5 milioni di anni fa. I giacimenti sotterranei vengono allagati con acqua dolce che, sciogliendo il sale, si trasforma in una soluzione salina concentrata al 33%, che viene poi depurata a 80 gradi centigradi per eliminare tutte le impurità che possono contaminarla. La soluzione depurata viene così inviata ai cristallizzatori, alti 40 metri, dove le elevate temperature ottenute dalla compressione del vapore, portano la soluzione a 130 gradi centigradi, facendo quindi evaporare l'acqua presente nella soluzione e lasciando il sale.

I prodotti delle Saline di Volterra

Come detto, le Saline di Volterra, di proprietà del Gruppo Locatelli, non si limitano a produrre e commercializzare soltanto il sale, ma lo stesso sale è diventato protagonista di diversi prodotti.

Stiamo parlando, per esempio, dei diversi insaporitori. Si va dal sale ai funghi porcini a quello al tartufo, dal sale agli agrumi e petali di rosa a quello all'archermes. Non solo: c'è poi un'ampia selezione di birre al sale, dalla classica chiara a quella al peperoncino, dalla blanche a quella con fave di cacao. Notevoli, infine, le tavolette di cioccolato realizzate insieme ad Angiolini di Pontedera e disponibili in vari gusti

La visita alle Saline

Lo stabilimento delle Saline di Volterra è visitabile dal venerdì alla domenica, insieme a una guida. Il tour prevede la visita alla Cascata di Sale progettata da Nervi e all'intero padiglione, la visita al Museo del sale e all'Emporio del sale e la visita allo Spazio Arte dove si alternano opere sperimentali di artisti contemporanei che usano il sale come strumento da modellare.

Il patrimonio della Salina è arricchito anche da una serie di attrezzature, manufatti ed oggetti che nel corso dei secoli hanno accompagnato la vita dell'impianto: dall'archivio storico, con documenti originali del Granducato e del Monopolio di Stato, al chinino ed all'oggettistica. L’epoca del Monopolio di Stato è raccontata attraverso le fotografie, le immagini, gli oggetti appartenuti a questo periodo storico, come le lettere in “bella calligrafia” che raccontano la

corrispondenza degli uffici amministrativi e i libri mastri della Salina. Ogni anno poi, la prima domenica di novembre, si tiene la suggestiva rievocazione del “Treno del Sale”, che offre la possibilità di viaggiare in treno, raggiungendo la salina a bordo di una locomotiva a vapore della Fondazione Fs. In passato, infatti, le Saline potevano contare su un collegamento ferroviario che arrivava all'interno dell'impianto.

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Saline di Volterra �� 0588 44325 ��www.locatellisaline.it

Tenuta di Ghizzano

Enoturismo e vini bio nella Doc Terre di Pisa

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Il borgo di Ghizzano è una frazione di Peccioli, museo a cielo aperto nelle Terre di Pisa. L'arte è arrivata anche qui e riempie tutte le strade dell'abitato collinare, ma soprattutto la via centrale, nota

come Via di Mezzo, che l'artista David Tremlett ha ridipinto nel 2019 nei toni del verde e del marrone, regalando al borgo un colpo d'occhio e portando la natura che lo circonda anche all'interno dell'abitato. Il nome di Ghizzano non è, però, legato soltanto all'arte, ma anche al buon vino. Nel 1370 i discendenti del Conte Franco Nambrot misero qui le loro radici,

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Nel borgo noto per la sua Via di Mezzo si produce vino biologico e biodinamico.
Circa 80mila bottiglie l'anno per un prodotto fortemente legato al territorio, merito di una famiglia che ha saputo innovarsi

costruirono la torre che domina il paese e insieme ad essa una cantina e un franto io. Oggi, più di seicento anni dopo, il vino è ancora un fiore all'occhiello del borgo, grazie a Tenuta di Ghizzano e alla fami glia Venerosi Pesciolini.

Vino biologico e biodinamico

La Tenuta di Ghizzano occupa circa 280 ettari, di cui 18 a vigneto, 15 a oliveto, 100 a cereali e il resto tra boschi e pioppeti. Nel 2003 l'azienda agricola ha iniziato un per corso di agricoltura biologica "naturale" e tre anni dopo ha iniziato a praticare l'agri coltura biodinamica. Un percorso che ha portato nel 2008 alla certificazione come azienda biologica e nel 2018 come biodi namica da parte di Demeter.

Forte è il legame con il territorio, con Tenuta di Ghizzano che da sempre si impegna per

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la promozione delle Terre di Pisa e che nel 2013 ha contribuito in maniera attiva alla nascita della Doc Terre di Pisa che si pone come obiettivo di rappresentare il punto più elevato del vino pisano nei comuni di Fauglia, Crespina, Lari, Chianni, Capannoni, Palaia, Peccioli, Terricciola, Casciana Terme, Ponsacco, Pontedera, Montopoli V.A., San Miniato, Orciano Pisano, Lorenzana e Santa Luce.

La politica dichiarata è quella del "produrre meno, produrre meglio". Il risultato sono circa 80mila bottiglie di vino l'anno, oltre a cereali, olio e pasta. Il vino storico dell'azienda è il Veneroso Doc Terre di Pisa, da uve Sangiovese e, in piccola percentuale, Cabernet Sauvignon. La prima annata fu il 1985 e da allora conserva intatto la sua eleganza e un'interessante mineralità. C'è poi il Nambrot Igt Costa Toscana, che prende il nome dal Conte da cui tutto partì e che è un blend di Merlot 60%, Cabernet Franc 20% e Petit Verdot 20% affinato per 18 mesi in barrique e per 10 mesi in bottiglia. Il Ghizzano Igt Costa Toscana, sia rosso (95% Sangiovese, 5% Merlot) sia bianco (50% Vermentino, 30% Trebbiano, 20% Malvasia Bianca), sono vini freschi, di facile bevibilità, ma per nulla scontati. A chiudere c'è, poi, nel solco della tradizione, il San Germano Igt Passito Costa Toscana, perfetto per i dessert, ma anche per formaggi stagionati.

Il progetto Mimesi e Via di Mezzo

La proposta enologica di Tenuta di Ghizzano non si esaurisce qui. L'azienda ha, infatti, dato vita a due distinti progetti. Da un lato c'è Mimesi: un progetto nato dopo

un lungo periodo di ricerca con l'obiettivo di dare vita a vini identitari, che fotografino in maniera chiara il loro territorio e la natura che li circonda. Si è scelto allora di usare per l’affinamento le anfore in Cocciopesto Drunk Turtle per il rosso e di Terracotta Tava per il bianco, che garantiscono la micro-ossigenazione necessaria per far maturare il vino amplificandone gli aromi e portando nel bicchiere un autentico ritratto di territorio. Da Mimesi sono nati Mimesi Sangiovese Doc Terre di Pisa, lasciato evolvere per 14 mesi in anfora e 12 mesi in bottiglia, e Mimesi Vermentino Igt Costa Toscana, che in anfora resta 4 mesi.

L'altro progetto è, invece, Via di Mezzo, un omaggio all'opera di Tremlett, che durante i lavori per la realizzazione conobbe la bontà dei vini locali. La Tenuta di Ghizzano ha, quindi, deciso di realizzare un vino rosso 100% Sangiovese e un bianco 100%

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Trebbiano, con etichette numerate a mano. Non è, però, possibile acquistarli online, nei negozi o nei ristoranti. È possibile farlo soltanto in loco, direttamente a Ghizzano. Questo perché la volontà di Tenuta di Ghizzano è che sia un souvenir e un ambasciatore del borgo.

Le esperienze da vivere

Tenuta di Ghizzano offre a turisti e curiosi la possibilità di conoscere meglio la sua realtà. Come? Attraverso tre diverse esperienze di enoturismo. La prima, l'esperienza Verde, prevede una passeggiata nel Giardino Sonoro che sorge davanti alla villa della famiglia Venerosi Pesciolini, la visita alla cantina storica e la degustazione di quattro vini e dell'olio extravergine. La seconda, l'esperienza Blu, in aggiunta prevede un tour di una delle vigne, cinque vini da degustare e un tagliere di prodotti locali. La terza, l'esperienza Porpora, permette l'accesso alla torre me-

dievale di Ghizzano dalla quale è possibile ammirare tutte le colline circostanti. I vini in degustazione, compresi quelli del progetto Mimesi, saranno abbinati a un'abbondante proposta di piatti e prodotti locali. Non ti basta? C'è anche l'esperienza Oro, che viene cucita su misura in base alle richieste del visitatore. La cantina è, infatti, a disposizione per rispondere a ogni richiesta.

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�� 0587 630096 ��www.tenutadighizzano.com
Tenuta di Ghizzano

I MAESTRI DEL DESSERT TI ASPETTANO AL VINITALY

Verona, 2-5 aprile 2023

Vieni a conoscerli! Li trovi nella Food Court, nell’area H, dove potrai assaggiare un’ampia selezione di eccellenti dessert, ognuno abbinato a un vino differente, sapientemente selezionato da esperti sommelier!

Posizione: Food Court Area H (area esterna Padd. 5-8) (Outdoor area Hall 5-8).

Il vino biodinamico secondo Cosimo Maria Masini

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Quando si percorre lo sterrato circondato da cipressi che porta all'ingresso della tenuta di Cosimo Maria Masini si ha l'impressione di venire catapultati fuori dal mondo. Da un lato, colline a perdita d'occhio, dall'altro

il profilo appena accennato di San Miniato. Al centro un'azienda agricola che si estende per 40 ettari immersa nel silenzio e in un paesaggio unico. Cosimo Maria Masini produce soprattutto vini, su 15 ettari di terreno argilloso e con un microclima perfetto per i vigneti della tradizione toscana (Sangiovese, Trebbiano, Vermentino, Buonamico, San Colombano, Malvasia Bianca, Malvasia Nera e un

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autoctono quasi scomparso, il Sanforte). Non solo però: 25 ettari sono dedicati al grano e agli ortaggi e, una parte minore, all'olio.

La tenuta si trova all'interno di un territorio che può vantare una storica tradizione vinicola, di cui Cosimo Maria Masini offre una sua personale interpretazione. L'azienda, infatti, è interamente gestita secondo i principi della biodinamica, ai quali affianca le tecnologie dell'agricoltura 4.0. Un approccio che condiziona, per forza di cose, la produzione. «Non vogliamo creare vini standard, come fossimo in laboratorio», spiegano dall'azienda. Così,

dai 15 ettari vitati, nelle annate migliori arrivano 70mila bottiglie, che vengono in larga parte vendute all'estero.

Sono nove le etichette prodotte. C'è Annick, un bianco di Sauvignon Blanc e Vermentino, con una parte minerale forte, sentori di frutta tropicale e mele gialle, fresco e leggero. C'è Nicole, 100% Sangiovese da un unico vigneto con più di ventitré anni. Passa un anno nel legno e porta con sé un sapore molto speziato. C'è Sincero, 70% Sangiovese e 30% Cabernet Sauvignon e Cabernet Franc: un rosso fresco e di ottima beva, perfetto per il mercato internazionale.

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C'è Cosimo, 70% Sangiovese e 30% Canaiolo, Malvasia Nera, Bonamico, un vino complesso, con sapori forti e che si sposa con cacciagione e carni rosse.

C'è Daphné, l'orange wine di Cosimo Maria Masini: 80% Trebbiano, 20% Malvasia Bianca, nato dagli studi su una parcella con più di sessant'anni. Ha una struttura forte, quasi paragonabile a un rosso, in cui dominano i fiori al naso e il minerale in bocca.

C'è Matilde, il rosato di Sangiovese e Sanforte nato quasi per scherzo nel 2013, ma di cui è stata aumentata gradualmente la produzione, visto il buon successo. C'è il Chianti Docg, che l'azienda produce soltanto dal 2016, con 90% Sangiovese e 10% di altre varietà a bacca rossa. C'è Fedardo, il vin santo della tenuta: Trebbiano 70% Malvasia Bianca 15% San Colombano 15%.

Abbiamo lasciato voluta mente per ultimo, infine, il Sanforte. Si tratta, infatti, di un vitigno autoctono, quasi scomparso, su cui Cosi mo Maria Masini ha lavorato, nell'ambito del passaggio in corso da una produzione più "internazionale" a una riscoperta del territorio e dei suoi vitigni.

È nato così il primo Sanforte 100%, un vino veramente affascinante, che riesce a essere allo stesso tempo forte ed equilibrato. Vi si trovano pepe nero, caffè, cioccolato, prugna, che non risultano però mai invadenti.

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Una tenuta da scoprire e assaporare

Detto dei suoi vini, Cosimo Maria Masini può contare su una proposta di enoturismo davvero interessante. Certo, il punto di partenza è senza dubbio già di alto livello. La tenuta, oltre al panorama di cui vi abbiamo già raccontato, può contare su uno spazio bottega-degustazione rustico e con una vista impagabile, su una barricaia storica, in cui si respira a pieni polmoni la storia del vino di questa collina, e su Villa la Selva, il cuore della tenuta, splendida dimora appartenuta alla famiglia Bonaparte

Per valorizzare questo contorno, Cosimo Maria Masini offre diverse esperienze a chi vuole visitare la tenuta. La più classica è la degustazione di tre vini con un tagliere di salumi e formaggi, preceduta da una passeggiata per l'azienda, con visita alla cantina, alla vinsantaia e alla barricaia. Il nostro consiglio, però, è di fare un passo in più e scegliere l'esperienza con light

lunch. Siamo certi non ve ne pentirete: in tavola la tradizione toscana nella sua massima espressione, semplice e gustosa.

Sono disponibili poi, su richiesta, dei corsi di cucina e, in stagione, la caccia al tartufo, che si conclude con una degustazione di vini abbinati al tartufo bianco di San Miniato.

Per chi vuole fermarsi, infine, è disponibile una piccola guesthouse, su richiesta.

��
��www.cosimomariamasini.com
Cosimo Maria Masini
0571 465032

GINEPRAIO Il gin 100% toscano

C'

è Enzo Brini, winemaker di Pontedera, la città della Piaggio, la cui famiglia da sempre produce vino. E c'è Fabio Mascaretti, che non è toscano, ma marchigiano di San Benedetto del Tronto. È proprio nella città affacciata sull'Adriatico che il progetto Ginepraio muove i suoi primi passi. Non lo fa con il gin, prodotto per cui oggi è conosciuto in tutto Europa, ma con l'Old Sailor Coffee, un liquore che si ispira alla tradizione marinara. I pescatori, per riscaldarsi nelle notti invernali in mezzo al mare, portavano con loro caffè, che poi univano a rum o altri alcolici e riscaldavano. È un primo passo per Enzo e Fabio nel mondo degli spirits, un passo che porta, di fatto, alla nascita di Ginepraio.

Oggi, poco più di dieci anni dopo, Ginepraio si è ritagliato il suo spazio nel mondo del gin. Lo ha fatto puntando su alcuni concetti chiave. In primis, la territorialità. Ginepraio

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Fabio Mascaretti

è, infatti, un marchio 100% toscano. Dalla Toscana arrivano tutte le materie prime che compongono i suoi gin. Ingredienti che vengono poi inseriti nell'alambicco: coriandolo, limone, arancia, angelica, ma anche rosa canina ed elicriso. E poi, non potrebbe essere altrimenti, il ginepro. Tre diversi tipi di ginepro, per la verità, selezionati chiaramente in Toscana. Una scelta che non è, però, forzata dalla necessità di rimanere sul territorio. Il ginepro toscano è, infatti, considerato tra i migliori al mondo e anche le distillerie britanniche l'hanno sempre inserito nelle loro creazioni.

Le tre etichette di Ginepraio

I gin di Ginepraio attualmente in commercio sono tre. C'è il primo prodotto, il Ginepraio Organic Tuscan Dry Gin. La bottiglia richiama la forma di una flebo. Il motivo? Il gin venne creato nei Paesi Bassi da un medico che cercava una cura per problemi ai reni. È caratterizzato da note balsamiche e piccanti, con aromi floreali.

Il secondo prodotto, in ordine temporale, è il Ginepraio Amphora Navy Strength

Gin. Un gin dall'alta gradazione alcolica (57°) che mantiene, però, le proprie botaniche

originali - ginepro del Chianti, della Maremma

e Aretino, rosa canina, coriandolo, angelica, buccia di arancia, limone ed elicriso - tutte rigorosamente certificate toscane e biolo-

giche. A differenza del primogenito, Ginepraio Amphora Navy Strenght - insignito della Medaglia d'Oro allo Spirit Selection

2020 del Concours Mondial de Bruxelles

2020 e già Medaglia d'Oro al China Wine & Spirits Awards 2019 - viene lasciato riposare circa 6 mesi all'interno di anfore di cocciopesto da 370 litri circa. In questi

Enzo Brini

sei mesi di invecchiamento, la micro-ossigenazione permessa dall’anfora dona al distillato una qualità organolettica superiore, un’importante struttura e un ottimo bilanciamento delle botaniche, sprigionando così i profumi primari e secondari tipici di ogni componente.

Il terzo e per ora ultimo prodotto della distilleria toscana è Ginepraio Organic Mediterranean Dry Gin. A spiegarlo, questa volta, è direttamente Enzo: «Parliamo di un gin secco, dry, senza aggiunta di zuccheri, frutto di una ricetta che prevede solo piante della macchia mediterranea, tutto scrupolosamente bio. E cioè ginepro, origano, maggiorana, carota selvatica, arancia amara, petit grain citronnier, mandarino verse e lentisco. Il risultato

è un gin fresco, con un grande equilibrio aromatico». Al contrario dei due precedenti, la bottiglia, che mantiene la stessa forma, cambia colore: è azzurra.

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Ginepraio �� 058 7090091 ��www.ginepraiogin.com

Ristorante Acanto, Hotel Principe di Savoia.

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Una festa per i sensi avvolti in un’elegante atmosfera milanese.
PrincipeSavoia PrincipeDiSavoia PrincipeSavoia #DCmoments dorchestercollection.com

Poggio Rosso La birra, dal campo al bicchiere

Un'idea diventata realtà, nel nome della passione e dell'alta qualità. Questo è il Birrificio agricolo Poggio Rosso, nato tra le colline di Peccioli, nel cuore delle Terre di Pisa. Un locale in cui si incontrano le diverse anime di Fernando Campana, che gli ha dato forma: l'anima contadina (la sua è da sempre una famiglia di agricoltori), la passione per la birra artigianale, l'attenzione al territorio e la cura delle materie prime. Tutti ingredienti che rendono Poggio Rosso un posto in cui vale la pena andare.

Prima di tutto Poggio Rosso non è un birrificio artigianale, ma un birrificio agricolo. Questo perché viene utilizzata per la birra materia prima coltivata dagli stessi proprietari. Grano antico e orzo biologico

coltivato sulle colline del birrificio garantiscono un prodotto agricolo oltre che artigianale non solo nel procedimento ma anche nel gusto e nel sapore delle diverse varietà di birra.

L'attenzione all'ambiente circostante non sta però soltanto nella materia prima, ma anche nei processi di produzione. Per la produzione delle birre, infatti, viene utilizzato un impianto a vapore alimentato a biomassa aziendale (nocciolino) e un impianto a pannelli solari è, invece, utilizzato per alimentare la fermentazione e garantire una corretta gestione della catena del freddo.

Nascono così Abbey Road, una belgian triple dal gusto deciso; Biba, una blanche con Senatore Cappelli; Furore, una belgian ale fruttata e quasi dolce; Ging Genie, una pale ale in cui lo zenzero gioca un ruolo da protagonista; Lappe, una weiss

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intensa e speziata; PastorAle Americana, una IPA piena e profumata; Life on Mars, la prima amber ale di Poggio Rosso.

Una tap room mozzafiato

Sgomberato il campo da possibili dubbi sul prodotto, arriva il momento di godersi al 100% il locale. Poggio Rosso può, infatti, contare su una vista impagabile sulle colline circostanti. Nella stagione più fredda ce la si può godere dall'interno della tap room o nella sala al piano superiore, in cui dominano legno e vetrate. Il meglio il birrificio lo offre però nella stagione estiva, con un dehors che con le luci del tramonto può davvero lasciare senza parole.

La proposta è, di per sé, molto "asciutta". Accanto alle birre è possibile, infatti, assaggiare focacce di loro produzione, salumi e formaggi del territorio. Nient'altro, ma tanto

basta per essere soddisfatti. La qualità è alta e la protagonista resta la birra.

A contribuire ulteriormente a creare un clima famigliare e piacevole, la possibilità di visitare direttamente il birrificio, che è comunque già in bella vista dietro una vetrata al piano terra. Su richiesta, possono essere organizzate visite e degustazioni.

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Birrifico
�� 347 1145291 ��www.birrificioagricolopoggiorosso.it
agricolo Poggio Rosso

Le farine d'eccellenza di Floriddia

L'azienda agricola biologica di Peccioli, in provincia di Pisa, coltiva soltanto grani antichi con cui produce farina e pasta. Due volte a settimana sforna anche pane e altri prodotti da forno

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La storia di Floriddia è una storia di famiglia. O, meglio ancora, è la storia di una famiglia che ha saputo innovarsi, scegliere una strada chiara e arrivare così a una produzione di altissimo livello, una vera e propria eccellenza

Un percorso iniziato negli anni '60 con Giuseppe Floriddia, siciliano d'origine, e la moglia Sabia, abruzzese, e che oggi prosegue con i figli Rosario e Giovanni Trecento ettari tra le colline della Valdera, nelle Terre di Pisa, che producono oggi farine e pasta biologiche.

L'anno che segna la svolta nella storia di Floriddia è il 1987, quando i due fratelli decidono di puntare sull'agricoltura biologica.

Un percorso che ha portato nel 2006 alla decisione, concretizzatasi poi nel 2009, di coltivare soltanto grani antichi: l'Etrusco, il farro monococco e diverse popolazioni di grani teneri e duri. I motivi sono sostanzialmente due, uno la conseguenza dell'altro. In primis, si tratta di grani perfetti per l'agricoltura biologica. La loro altezza e il loro apparato radicale li rendono più forti e in grado di "affrontare" le piante infestanti. Ne consegue una maggiore digeribilità rispetto ai grani convenzionali. Per permettere questi risultati, però, è ne-

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cessario ruotare i campi. Una rotazione che prevede, ogni anno, il 33% coltivato a grano e il resto a leguminose.

Farine e paste d'eccellenza

Le farine di Floriddia vengono prodotte all'interno dell'azienda, tramite l'utilizzo di un mulino a pietra. Prima della molitura avviene, tramite un apposito macchinario, un'attenta selezione e pulizia dei chicchi. Il risultato è una farina che contiene una giusta percentuale di fibre ed è ricca di germe e di proteine digeribili. Così, la principale caratteristica è la già citata alta digeribilità, ma anche profumi e sapori intensi che vengono poi trasferiti agli impasti.

Oltre alle farine, Floriddia produce anche la pasta, sempre all'interno dell'azienda. Il pastificio si trova, infatti, a pochi metri dal mulino. I segreti, in questo caso, sono tre: trafilatura a bronzo (a eccezione di tagliatelle, tagliolini e spaghetti), essicazione lenta (dalle 15 alle 30 ore) e basse temperature (non si superano mai i 38 gradi). A chiudere l'ampia produzione di Floriddia ci sono poi i legumi: ceci, lenticchie, piselli e cicerchie.

Pane caldo e agriturismo

Tutti i prodotti di Floriddia sono acquistabili sia online sia nel negozio che si trova all'interno dell'azienda. Due volte a set-

timana, poi, è possibile acquistare i prodotti da forno di Floriddia. Pane e altre produzioni vengono sfornati soltanto il lunedì e il giovedì, intorno a mezzogiorno.

E, se è vero che la forza di Floriddia sta nei suoi prodotti, è anche vero che l'azienda si trova immersa in un panorama collinare capace di lasciare senza fiato. Un contesto che i titolari hanno deciso di valorizzare creando anche due diversi spazi di accoglienza.

Contiguo all'azienda c'è, infatti, l'agriturismo biologico La Capannina, mentre a un quarto d'ora d'auto c'è Casa Ruffilli, composta da due appartamenti immersi nella natura.

�� 0587 697184 ��www.aziendabiofloriddia.com
Floriddia Giovanni e Rosario Floriddia

La semplicità della tradizione

Dici Santa Croce sull'Arno e subito pensi alla concia delle pelli e alla lavorazione del cuoio. La cittadina della provincia di Pisa è, infatti, uno dei centri manifatturieri più importanti d'Italia. C'è, però, un altro simbolo di Santa Croce, diventato a partire dagli anni '30 sempre più conosciuto: l'Amaretto di Santa Croce

Si tratta di un dolce composto da farina di mandorle, zucchero e uova, a cui si aggiunge, come aromatizzante, la scorza grattugiata di limone e a cui viene data una caratteristica forma conica, a "vulcano". Alla base della teglia, prima di essere infornata, viene messa una cialda.

Come già accennato, il momento d'oro dell'Amaretto di Santa Croce, che prosegue ancora oggi, è iniziato negli anni '30. Fu allora, infatti, che i proprietari delle locali concerie presero l’abitudine di regalare gli Amaretti ai propri dipendenti ed anche ai propri clienti (sparsi un po’ in tutta Italia). L'Amaretto divenne, in questo modo, il dolce simbolo di Santa Croce. Un ruolo che ricopre ancora e che è molto sentito dalla comunità, che spesso lo produce in casa.

Nonostante il forte legame con il territorio, non può sfuggire un dettaglio. L'ingrediente principe degli Amaretti di Santa Croce è la mandorla, di certo non un prodotto locale. Come mai? Il motivo è presto detto e legato alla storia stessa

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di questo dolce. Un convento di suore di clausura fondato nel 1286 da Oringa Cristiana Menaboi (conosciuta poi come Santa Cristiana), all’inizio dell’800 si trovò ad accogliere le giovani rampolle di alcune nobili famiglie siciliane. Per tutta la durata della loro presenza in convento, queste continuarono a ricevere dai loro parenti, in occasione delle feste natalizie, pacchi di frutta secca e in particolare di mandorle. Rielaborando le tecniche di produzione del marzapane tipiche della cucina siciliana, le suore cominciarono ad utilizzare le mandorle per produrre dei dolcetti da donare a loro volta ai benefattori del convento, vale a dire alle famiglie più in vista del paese. Il consumare, per Natale, dolci così particolari e caratteristici, diventò ben presto un segno di distinzione sociale e questo indusse le sorelle che gestivano, proprio davanti al convento, lo storico caffè ad iniziare a produrli in proprio, sulla base sempre della ricetta originaria elaborata dalla suore. Il resto è storia.

Nel 2007 l’Amaretto Santacrocese è stato inserito nei Prodotti Tipici della Regione

Toscana e nel 2013 è stata costituita la Comunità dell’Amaretto di Santa Croce sotto l’egida di Slow Food

Vacchetta, un Amaretto perfetto

Ogni anno, la Pro Loco di Santa Croce organizza la Festa dell'Amaretto. L'evento si svolge l'8 dicembre, anniversario dell'apparazione mariana occorsa a Santa Cristiana nel 1278, e per l'occasione i forni del paese si sfidano per vincere l'Amaretto d'Oro, il premio riservato al miglior biscotto.

Un titolo che, negli anni, si sono aggiudicate diverse pasticcerie. La scelta, per chi vuole provare il vero Amaretto, è veramente ampia.

Noi vi consigliamo quello di Vacchetta, un bar enoteca che nel 2006 ha aperto il suo laboratorio di pasticceria e da allora sforna Amaretti di Santa Croce di altissima qualità e nel pieno rispetto della tradizione, con uova fresche di galline allevate a terra e mandorle d'Avola.

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Capitale della cultura ...anche a tavola

Prosegue il nostro viaggio alla scoperta di Bergamo e Brescia Capitale italiana della Cultura 2023. Lo scorso numero abbiamo visto le eccellenze enostronomiche, dai ristoranti ai prodotti tipici fino ad arrivare ai vini.

Da questo numero però vogliamo inaugurare una rubrica un po' particolare: Bergamo e Brescia tra storia e cibo. Un excur-

sus che lega un monumento storico di ognuna delle due città ad un piatto o un prodotto tipico andando a creare una sorta di fil rouge tra Cultura e Cucina, perché come diciamo da sempre, la Cucina con la C maiuscola è un aspetto fondamentale e fondante della Cultura di una città e del suo territorio, così come lo sono la storia e i monumenti che punteggiano e definiscono il tracciato urbano.

IMPORT EXPORT INGROSSO ORTOFRUTTICOLO

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Le Mura Venete e la Stracciatella BERGAMO

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Pensi a Bergamo e immagini, prima di tutto, le sue Mura veneziane. Senza, la città non sarebbe la stessa. E non potrebbe essere altrimenti: troppo imperiose, troppo possenti, troppo belle le Mura per non essere il vero segno distintivo di una città, Bergamo, che in Italia e nel mondo viene riconosciuta anche e soprattutto per loro.

Del resto, a quale bergamasco non è mai stato chiesto almeno una volta se venisse “da Bergamo di sopra o da Bergamo di sotto”. Una battuta, spesso, che contiene però un messaggio chiaro e forte d’identità, che collega direttamente la città alle sue Mura.

Patrimonio Unesco

Stiamo parlando di oltre sei km di tracciato, luogo di romantiche passeggiate, teatro di

meravigliosi tramonti. Un posto che custodisce da più di quattro secoli le bellezze della Città Alta. L’inestimabile valore artistico e culturale delle Mura è testimoniato anche dal loro riconoscimento come patrimonio mondiale dell’umanità Unesco. Una candidatura, questa, che colloca le Mura all'interno del sito seriale e transnazionale “Le opere di difesa veneziane tra XVI e XVII secolo: Stato da Terra - Stato da Mar Occidentale”. Chi ha studiato e lanciato la candidatura ha voluto valorizzare un sistema di fortificazioni e opere di difesa costruite dalla Repubblica di Venezia tra il XVI ed il XVII secolo, armoniche tra loro e legate da un filo ideale.

La Repubblica di Venezia prese il controllo della città nel 1428 e diede inizio a imponenti lavori per ampliare il sistema difensivo della città per respingere di volta in volta le mire di Milano, dei francesi e degli spagnoli. La costruzione delle possenti mura che possiamo ammirare ancora oggi ebbe inizio nel 1561 e ultimate nel 1588. Vennero mobilitate grandi quantità di operai, architetti e soldati per proteggere i lavori. Biso-

Porta San Giacomo

gnava infatti demolire una grande quantità di edifici (si calcola circa 250) tra abitazioni, cascine, laboratori e otto edifici di culto. Per nostra fortuna, le fortificazioni veneziane, non ebbero mai occasione di mostrare la loro potenza: nel 1797 i francesi entrarono in città senza esplodere nemmeno un colpo d’artiglieria a causa del disfacimento della Repubblica di Venezia.

Alcuni tratti di fortificazione erano già presenti in epoca romana, documentati nell'VIII secolo: sono rimaste delle tracce ancora oggi visibili in via Vàgine, sotto il convento di Santa Grata e a sinistra del viale delle Mura ad ovest del tracciato della funicolare (ex via degli Anditi).

Questi resti, agli inizi del Cinquecento si trovavano in condizioni di estrema decadenza e vengono quasi totalmente sostituite dalla nuova opera. A lavori conclusi, il perimetro della fortificazione risultò del tutto nuovo e non includeva alcuna parte di opere da difesa precedenti.

Le Mura veneziane sono costituite da quattordici baluardi, due piattaforme, cento aperture per bocche da fuoco, due polve-

riere, quattro porte, a cui va aggiunto tutto l’intricato mondo sotterraneo di sortite, passaggi e cunicoli sempre a disposizione dei turisti.

Oggi è possibile percorrere l’intero perimetro delle mura (circa 6 chilometri) a piedi, un itinerario che permette di ammirare baluardi, garitte, polveriere, cannoniere e quattro imponenti porte: San Giacomo e San Lorenzo (conosciuta anche come Porta Garibaldi), Sant’Alessandro e Sant’Agostino. Il momento migliore per andare alla scoperta delle mura veneziane è sicuramente il fine settimana, quando l’intero perimetro delle mura viene chiuso al traffico.

Partendo dalla porta di Sant’Agostino e procedendo verso sinistra lungo viale delle Mura si arriva al baluardo di San Michele dove si trova l’ingresso della Cannoniera di San Michele. Proseguendo, superate lo Spalto delle Cento Piane per arrivare al punto panoramico sulla Città Bassa e la pianura.

Nelle giornate terse è possibile spingere lo sguardo fino alle prealpi bresciane. Si arriva poi alla Porta San Giacomo, indubbiamente la più spettacolare delle quattro, dove è

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possibile fermarsi per una visita a Palazzo Medolago Albani. Continuando il percorso, si arriva allo Spalto di Santa Grata: il punto migliore per godersi il tramonto, sulla sinistra si trovano il Baluardo di San Giovanni e l’ingresso della Cannoniera di San Giovanni.

La Stracciatella, simbolo di Bergamo Alta

E quando si pensa a Bergamo Alta è impossibile non pensare alla Marianna, quindi al posto in cui venne inventato il mitico gelato alla stracciatella. Allo stato attuale delle ricerche, infatti, non si hanno notizie di “stracciatella gelato” che precedono gli anni Sessanta del Novecento, né in Italia né all’estero. La ricetta della Stracciatella è datata 1961, localizzata a Bergamo e firmata Enrico Panattoni.

Enrico Panattoni, nato in Toscana ad Altopascio nel 1927, era un appassionato di cucina e di pasticceria, emigrato negli anni Quaranta con la moglie Oriana a Bergamo. Dopo aver aperto un piccolo negozio nel borgo vecchio rileva La Marianna, sempre a Bergamo Alta in località Colle Aperto, ed inizia a produrre i gelati nel suo locale. Una sua specialità è il Fiordilatte (antica denominazione della panna, fiore del latte): da lì nasce il salto di creatività. Nel 1961, l’esperimento da cui nascerà il suo must: durante il processo di mantecazione del Fiordilatte, inserisce una dose (che successivamente sarà ben calibrata) di cioccolato fondente caldo che, grazie allo sbattimento delle pale del mantecatore, “straccia” il cioccolato mentre lo solidifica. L’effetto richiama quello dell’uovo intero sbattuto nel brodo bollente, una minestra in quegli anni molto apprezzata, conosciuta come Stracciatella

alla romana. Per questo Enrico Panattoni subito battezza Stracciatella il nuovo gusto di gelato che ha creato.

Negli stessi anni a Venezia Cipriani inventava piatti come il Carpaccio o cocktail come il Bellini, nomi oggi internazionali, al pari della Stracciatella: non era ancora iniziata l’epoca del copyright, perciò questi nomi e queste ricette si sono diffuse liberamente, con le inevitabili variazioni, spesso lontane dalla qualità e genuinità originaria.

Oggi il gusto “La Stracciatella - Il gelato di Bergamo” è un marchio registrato che viene esposto in diverse gelaterie bergamasche, italiane ma anche straniere (ce ne sono perfino a Cracovia e Valencia), le uniche che posso vantare la replica della vera ricetta di Panattoni.

Palazzo Loggia e lo Spiedo BRESCIA

Spiedo bresciano con polenta Ricetta realizzata da Carlo Bresciani dell'Antica Cascina San Zago di Salò (Bs)

Lo spiedo è il piatto tipico per eccellenza dei bresciani. È d'obbligo abbinarlo, nell'anno della Capitale Italiana della Cultura, a Palazzo Loggia e alla statua della Bella Italia, i simboli e monumenti del cuore (e nel cuore) della Leonessa

Come noto, la cottura sul fuoco o sulle braci della carne su un'asta è una modalità primordiale ancestrale. Le usanze dei Longobardi che tanto hanno a che vedere con la terra bresciana prevedevano un importante consumo di carne, e in particolare di selvaggina, cotta allo spiedo che simboleggiava la forza e il coraggio del cacciatore

In origine lo spiedo popolare contadino era composto esclusivamente da uccellini: allodole, uccelli da passo fra cui le cesene tordi, beccafichi, fringuelli, la regina dei boschi, la beccaccia protagonista assoluta del famoso quadro di Angelo Inganni risalente al 1870. Con la diffusione delle armi da fuoco si moltiplicarono i capanni da caccia e i roccoli, ma furono i miglioramenti delle condizioni economiche che trasformarono la preparazione e il consumo degli spiedi da cibo tipicamente riservato ai cacciatori o contadini, in rito gastronomico identitario di tutta la provincia di Brescia. Comuni d'eccellenza dove gustarlo secondo la più genuina tradizione riconosciuta con la DE.CO sono Serle e Gussago

damentali da rispettare obbligatoriamente, da tutti, per lo spiedo di qualità sono poche: lardo, salvia, fettine di maiale (può essere lonza o coppa) e obbligatoriamente gli uccellini

E qui va aperta una parentesi. Dopo i divieti e le polemiche degli anni scorsi, nel 2022 la Regione Lombardia ha approvato una apposita legge, che consente l'utilizzo di alcuni tipi di uccelli a condizione che il cacciatore , consegni (gratis) al ristoratore non più di 150 capi, rilasciando una dichiarazione attestante la certificazione della cattura delle specie consentite nei termini di legge.

Tornando allo spiedo, va ricordato che con la lonza o coppa tagliata a fette si preparano i ''mòmboi'' detti anche ''lomboi'' o ''mombuli'': involtini salati e arrotolati, talvolta farciti con foglie di salvia alternati con lardo o pan-

D'obbligo l'accompagnamento della polenta! Gli ingredienti e le antiche regole fon-

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Angelo Inganni - Ragazza che cucina lo spiedo davanti al focolare

cetta locale. Il peso non deve superare gli 80 grammi. Gli uccellini non vanno svuotati delle interiora affinché conservino il tipico sapore amarognolo che è una delle caratteristiche dello spiedo bresciano.

Oltre alle foglie di salvia alcune varianti prevedono, fra un pezzo e l'altro, anche l'utilizzo delle patate a fette o spicchi. Fondamentale ricordare che l'unico condimento ammesso è il burro, molto burro, niente olio o altro surrogato, guai! Generalmente un chilo di burro (se possibile nostrano) per 100 prese.

Durante la cottura il grasso della pancetta si scioglie, a volte si usano dei pezzetti di lardo da spalmare poi con continuità sulle carni per insaporire. La cottura infine è una

fase delicatissima e laboriosa. A fuoco lento, la tradizione indica come miglior legna per fare le braci, l'ulivo e le viti. Dicevamo, cottura lenta seguita minuziosamente per quattro o sei ore dallo spiedatore

Occorre salare da sopra, sorvegliare che il fuoco non perda di forza, che tuttavia non deve essere eccessiva perché brucerebbe il tutto, continuare a versare dall'alto il grasso che cola e che deve essere man mano raccolto nella leccarda. Lo speditore seguirà minuziosamente tutta l'operazione senza mai allontanarsi dalla ''macchina''.

E infine tolto e portato in tavola: va gustato caldo, con l'intingolo generosamente ''imbucato'' nella polenta

Spiedo bresciano in cottura | foto macelleria Peruchetti

Castelli e buon vino

La Valle d'Aosta datuttoesplorare l'anno

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Castello Reale di Sarre

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di Piera Genta

Una piccola regione, la meno estesa d’Italia, un magico forziere che custodisce una storia di un’area abitata a partire dal 1000 a.C. dalla tribù dei Salassi e poi via via l’Impero Roma-

no, i Savoia, Napoleone, l’Unità d’Italia e l’autonomia; una incredibile biodiversità, due grandi parchi nazionali, 10 riserve naturali, 4 giardini botanici, i Quattromila delle Alpi Occidentali, i comprensori sciistici, i castelli e le tradizioni gastronomiche. Un modo nuovo per scoprire Aosta e la sua valle è seguire le orme del vice questore Rocco Schiavone, interprete

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Vigneti a Pont San Martin
La regione più piccola d'Italia è uno scrigno di arte, cultura e gusto, adatto a essere esplorato in qualsiasi momento dell'anno. In tavola dominano i sapori forti, dalla fontina al lardo e nel calice un'ampia gamma di vini di montagna

dello sceneggiato Rai ispirato ai romanzi polizieschi di Antonio Manzini. Tante le locations valdostane che hanno fatto da sfondo alle puntate, la quinta stagione è in onda da marzo.

Aosta: la piccola Roma delle Alpi

Chiamata così perchè si tratta della seconda città, dopo Roma, con il maggior numero di resti romani ancora visibili. Attraversando l’Arco di Agusto, l’antico ingresso alla città romana eretto nel 25 a.C. in occasione della vittoria dei Romani sui Salassi si raggiunge la Porta Pretoria alla destra si trova il Teatro Romano con l’imponente facciata alta ben 22 metri (il nostro commissario era solito sostare per momenti di ricordi) e poi ancora il salotto della città, Piazza Chanoux dove sotto i

Aosta

portici si trova il Caffè Nazionale, locale storico (altra tappa del commissario per un espresso o un tramezzino).

Accanto alla Cattedrale dedicata a Santa Maria Assunta, dalla facciata rinascimentale con gli affreschi e le statue di terracotta che raccontano la storia della Vergine Maria, e all’interno tra le tante bellezze i due mosaici pavimentali del coro e le belle vetrate colorate, c’è un passaggio che permette di accedere al Criptoportico, uno dei luoghi più affascinanti della città, costruito ai tempi di Augusto, uno dei monumenti sotterranei romani meglio conservati.

In questo suggestivo scenario, si vede spesso Schiavone parlare con i colleghi. Un angolo diverso della città è sicuramente il Borgo di Sant’Orso con la Collegiata dei Santi Pietro ed Orso, il chiostro e la chiesa di San Lorenzo.

Sport e ambiente

Parlando proprio di sport, da qualche giorno è stato assegnato dalla Federazione delle Capitali e delle Città Europee dello sport in collaborazione con il Parlamento europeo il riconoscimento “Valle d’Aosta, Regione Europea dello Sport 2023” per la vocazione del territorio. Sono quattro gli appuntamenti in evidenza per quest’anno: la tappa del Giro d’Italia, il TorX Endurance Trail in settembre, la Coppa del Mondo di Sci Alpino Cervino Matterhorn Speed Opening e la Coppa del Mondo di Snowboard Cross a Breuil-Cervinia.

Quattro i giganti delle Alpi: Monte Bianco, Monte Cervino, Monte Rosa e il Gran Paradiso che danno il nome a quattro delle sette aree turistiche.

Paradiso degli sport invernali con 19 stazioni sciistiche, oltre 800 chilometri di piste e numerosi itinerari fuori pista e centinaia di chilometri di piste per lo sci di fondo. Non mancano gli snowpark: l’Area-effe di Pila, primo nato in Valle all’Indian Park di Breuil-Cervinia, quello più alto d’Europa. E diverse zone attrezzate per sci alpinismo, una delle più apprezzate la valle del Gran San Bernardo. Novità per il comprensorio di La Thuile il nuovo tracciato di sci alpinismo in quota, un percorso internazionale nell’ambito del progetto transfrontaliero Nouvelles Liaisons che permette di arrivare fino a La Rosière in Francia e ritornare.

Un patrimonio naturale tutelato da un importante sistema di aree protette. Il Parco Nazionale Gran Paradiso appartiene al gruppo dei parchi nazionali storici d’Italia, istituito nel dicembre del 1922 da una riser-

va di caccia del re Vittorio Emanuele II, si estende attorno al massiccio del Gran Paradiso. Animale simbolo lo stambecco, ma sono 167 le specie di animali e 968 quelle floristiche che lo abitano.

Stambecco

Colle del Nivolet | Gran Paradiso

Il Parco naturale del Monte Avic, istituito nell’ottobre del 1989 per preservare le aree più selvagge della regione e conserva la più vasta foresta a pino uncinato della Valle d’Aosta.

Dieci le riserve naturali valdostane e quattro giardini botanici: Chanousia, al Colle del Piccolo San Bernardo; Saussurea alla stazione Pavillon dell'impianto Skyway Monte Bianco; Paradisia a Cogne e il giardino di Castel Savoia a Gressoney-Saint-Jean.

Numerose le camminate e singolari itinerari speciali come il Cammino Balteo, un itinerario escursionistico di quasi 350 chilometri attraverso antichi borghi ed imponenti castelli, praticabile per buona parte dell’anno. E le cinque tappe della via Francigena percorribili in 25 ore, 90 chilometri

dal colle del Gran San Bernardo e PontSaint-Martin.

Come dimenticare l’avveniristica Skyway Monte Bianco, entrata in funzione nel 2015. In pochi minuti, con due sole tratte, si arriva ai 3.466 m di Punta Helbronner, nel cuore del più alto massiccio delle Alpi.

Dalla terrazza panoramica sommitale si possono ammirare da vicino la cima del Monte Bianco, il Dente del Gigante, l’Aiguille Noire e la cresta del Peuterey.

Lo sguardo spazia anche sul versante francese col Mont Maudit, l’Aiguille du Midi, i Drus, e in lontananza fino al Cervino, al Monte Rosa, al Gran Paradiso e alle Alpi francesi della Savoia e del Delfinato. Per evitare code è consigliato prenotare

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Terra di Castelli

Nella regione si contano oltre 120 manieri, caseforti e torri fortificate. Facciata barocca e raffinate decorazioni settecentesche a stucco per il castello di Aymavilles, costruito come casaforte all’inizio del XIII secolo su una collina morenica all’ingresso della valle di Cogne, solamente a partire dal XIV secolo con il passaggio agli Challant, famiglia nobile della Valle d’Aosta, inizia a subire quelle trasformazioni che lo hanno reso uno dei più romantici castelli italiani. Si collocano all’inizio del Settecento gli ampi loggiati, mentre le raffinate decorazioni pittoriche recentemente messe in luce dai restauri si datano al XIX secolo e si devono al conte Vittorio Cacherano della Rocca, figlio di Teresa di Challant, ultima discendente della nobile famiglia valdostana. Nel 1970 il castello entra a far parte dei beni della Regione autonoma della Valle d’Aosta. Le sale oggi accolgono la collezione

dell’Académie Saint-Anselme, Société savante fondata nel 1855, che risulta idonea a rappresentare la collezione d’arte antica e moderna appartenente a Vittorio Cacherano Osasco della Rocca-Challant, purtroppo andata dispersa. Il percorso museale comprende tutti i quattro livelli compreso il sottotetto in cui si può ammirare un soffitto ligneo del Quattrocento perfettamente conservato.

Il Castello Reale di Sarre, ricostruito nel Settecento sui resti di una casaforte, dopo vari passaggi di proprietà fu acquistato nel 1869 dal re d'Italia Vittorio Emanuele II, che lo ristrutturò e lo utilizzò come residenza durante le sue battute di caccia. Negli anni Trenta e Quaranta fu abitato per villeggiatura dalla regina Maria José, grande appassionata di escursioni in montagna. Nel 1989 la Regione Valle d'Aosta ha acquistato il complesso per restaurarlo. Il castello, che si presenta come un corpo longitudinale con una torre quadrata posta nel centro, ospita ricche collezioni d’arte e testimonianze sui Savoia che lo caratterizzano come museo della presenza sabauda in Valle. Per rimanere sulle tracce di Rocco Schiavone, il corridoio e la sala delle corna del castello sono stati un set ben riconoscibile dell’ultimo episodio della quarta serie.

Il Castello di Saint Pierre è uno dei più antichi della regione arroccato su uno sperone roccioso dove ha sede il Museo regionale di Scienze naturali intitolato a Efisio Noussan, imprenditore valdostano, appassionato conoscitore della cultura e della natura della Valle, esponente della Société de la Flore Valdôtaine che possedeva gran parte delle collezioni presenta-

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Il Castello di Aymavilles

te nel castello. Tre piani, 16 ambienti, per ragioni strutturali non totalmente accessibili alle persone con disabilità motoria (ma un video racconta l’intero percorso museale). L’allestimento interattivo e multimediale, coinvolgente ma rigoroso dal punto di vista scientifico, offre al visitatore una duplice lettura: conoscere la storia del castello, il cui nucleo originario risale al IX-X secolo, scoprendo le parti storiche ancora presenti, come il grande camino nella sala degli stemmi e il viret , la scala a chiocciola di pietra del ‘500, attorno pareti affrescate da geometrie alla Escher, e approfondire il patrimonio ambientale e faunistico della regione, i suoi ecosistemi e le sue unicità ambientali.

Ed ancora il medioevale Castello di Fenis, uno dei più famosi e particolarmente scenografici con la sua doppia cinta muraria. L’aspetto odierno è il risultato di trasformazioni succedutesi nel tempo. Sono celebri gli affreschi del cortile e della cappella eseguiti nei primi decenni del

Quattrocento. Il castello ospita il Museo dell’Arredamento valdostano.

Il castello Sarriod de La Tour il cui aspetto irregolare si deve alle secolari fasi costruttive. All’interno della cappella è visibile un importante ciclo di dipinti murali di metà del Duecento, mentre in una sala confinante sono presenti affreschi quattrocenteschi. Singolare la Sala delle teste, che prende il nome dalla decorazione del soffitto ligneo, le cui mensole sono intagliate con personaggi curiosi ed esseri fantastici e mostruosi.

Arroccato su una parete rocciosa a picco sulla Dora Baltea il Forte di Bard, un complesso fortificato che risale all’XI secolo; fu raso al suolo dalle truppe napoleoniche dopo l’assedio avvenuto nel maggio del 1800. L’opera è costituita da diversi corpi di fabbrica indipendenti, difesi da mura massicce e dotate di cannoniere. Oggi un polo culturale che ospita musei stabili e mostre temporanee. Fino a giugno La

Il Castello di Fenis

Forte di Bard

mostra Bestiacce!… e altri animali. Creature fantastiche e zoologia immaginaria propone, nelle sale dell’Opera Mortai, un viaggio tra gli animali mostruosi che da sempre popolano l’immaginario umano. Cuore dell’esposizione sono le tavole originali della trilogia "Le incredibili avventure di Sam Colam e del professor Pico Pane" realizzata da Pino Pace e Giorgio Sommacal. I due personaggi - Sam Colam e Pico Pane - fanno da guida in questo viaggio fantastico: dall’esplorazione di terre immaginarie a pianeti inverosimili, per andare poi a ritroso nel tempo fino allo Spergiurassico.

Valle d’Aosta da bere

Da non trascurare il panorama vinicolo della regione: un’ampia gamma di vini di montagna riuniti sotto un’unica denominazione Valle d’Aosta Doc distinta in tre zone produttive che si estendono lungo la Dora Baltea: Bassa valle, Valle centrale e Alta valle divise in ulteriori sette sottozone: Blanc de Morgex et de La Salle, Enfer d’Arvier, Torrette, Nus, Chambave, Arnad-Montjovet, Donnas.

Un patrimonio di soli 600 ettari vitati contro i 3mila del passato, proprio a causa della difficoltà di coltivare queste terre, ma l’unicità dei vini che si producono sta riportando molti giovani a voler investire in questo lavoro antico, che diviene anche un importante presidio paesaggistico. Una recente iniziativa per promuovere la viticoltura della Valle d’Aosta e, in particolare, quella del comune di Aymavilles, artefici le cantine Les Crêtes, Cave des Onze Communes e Didier Gerbelle che, in occasione della Vendemmia di San Martino, data con cui si chiude l’annata agraria, hanno deciso di vendemmiare assieme le uve di alcuni dei propri filari di Neret e Fumin, per creare un vino speciale da donare al Comune. Un vino che sarà prodotto solo in 500 bottiglie e che verrà utilizzato nelle iniziative speciali. Grazie al proprio castello e alle altre attrattive del luogo, Aymavilles è una città del vino, simbolo per la regione.

Le bottiglie che ne risulteranno sono anzitutto un omaggio alla viticoltura eroica valdostana, in cui un ettaro di vigneto richiede fino a 1200 ore di lavoro manuale. La scelta delle varietà a bacca rossa Neret e Fumin non è casuale: oltre ad essere tardive e do-

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Ad Avise, nelle sale del quattrocentesco castello dei signori di Avise si trova il ristorante Le Boniface d'Avise, unico castello valdostano adibito alla ristorazione di qualità. All’interno del castello vi sono alcuni ambienti prestigiosi come la grande sala col monumentale camino e i mobili che ospitavano una ricca collezione di stoviglie e vasi in peltro; la sala delle mensole così chiamata per le quattordici mensole di legno scolpite con figure di animali, mostri e un suonatore in veste quattrocentesca. L’enoteca si trova al piano terreno mentre al piano superiore, nella sala delle mensole e in quella dell’archivio si trova il ristorante.

Ad Aosta ha ottenuto la prima Stella Michelin a qualche mese dall'apertura del suo ristorante nel centro di Aosta, Paolo Griffa. Il prestigioso riconoscimento è stato assegnato alla cucina del 'Paolo Griffa al Caffé Nazionale', ovvero pasticceria, salon de the e ristorante di alta cucina, in piazza Chanoux, il 'cuore' del capoluogo valdostano.

Sempre ad Aosta il ristorante Stefenelli Desk con un piatto imperdibile: salmerino alpino di Morgex marinato agli agrumi e aneto, crudo di champignons, pinoli tostati, olio al pino mugo.

tate di una buccia spessa che permette lo sviluppo della botritys cinerea, la muffa nobile, sono tra le varietà valdostane più antiche. Per poter assaggiare queste bottiglie bisognerà attendere fino al 2024, ma l’idea è che questo sia solo il primo passo verso un vero rinascimento del territorio.

Il Petit rouge è il vitigno a bacca rossa più coltivato, considerato l’autoctono per eccellenza, spesso vinificato in assemblaggio con altri vitigni, per lo più autoctoni, come il Fumin, il Mayolet, il Cornalin e il Vien de Nus, in percentuali variabili secondo quanto previsto dal disciplinare di produzione. In basse Valle il Nebbiolo chiamato Picotendro col quale si producono vini di alta qualità come il Donnas Doc. Tra i rossi più apprezzati, oltre al Donnas, l’Enfer d’Arvier e il Torrette

DOVE MANGIARE

Un tempo coltivato in tutta la Valle d’Aosta oggi il vitigno Prié Blanc viene coltivato solo ai piedi del Monte Bianco, nei comuni di Morgex e di La Salle. Le caratteristiche delle uve consentono anche di fare un ottimo spumante con metodo classico. In particolare presso la Cave Mont Blanc dove con il Prié Blanc si produce la Cuvée des Guides, uno spumante metodo classico le cui fasi di spumantizzazione e dégorgement avvengono nella stazione intermedia dello Skyway Monte Bianco a 2.173 m di altitudine.

Il Moscato bianco è coltivato da tempo immemorabile, le testimonianze più antiche risalgono al 1300. Tra i bianchi più apprezzati vi sono il Nus Malvoisie, il Blanc de Morgex et La Salle e il Chambave Muscat. Quest’ultimo è molto ricercato nella versione flétri, ricavato cioè dai grappoli migliori lasciati appassire in particolari ambienti arieggiati e riparati dal sole.

Particolare nel panorama valdostano il Triskell, uno spumante rosato brut metodo

classico, prodotto con l’autoctono Mayolet dalla Cooperativa CoEnfer. Ed ancora i vini del ghiaccio, da ricordare lo Chaudelune Vin de Glace prodotto dalle Caves Mont Blanc di Morgex et La Salle. Un incredibile vino bianco ottenuto dalla vendemmia notturna dei grappoli di Priè Blanc biotipo Blanc de Morgex. La vendemmia avviene alle pendici del Monte Bianco (1200 m di altitudine) durante le prime gelate a temperature tra -6 e -10. La pressatura avviene alle prime luci dell’alba per poi affinare per 12 mesi.

Valle d’Aosta in tavola

Sono quattro i prodotti Dop: Fontina, Fromadzo, Lardo di Arnad e Jambon de Bosses.

La Fontina Dop, primo prodotto agroalimentare valdostano ad ottenere il riconoscimento Dop nel 1955, è un formaggio grasso a pasta semicotta dal colore giallino tenue, prodotta da latte intero prove-

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Affinamento della Fontina Dop

niente da una sola mungitura, ha una pasta fondente che si presta molto bene a piatti quali la polenta concia e la fonduta. La fontina può ottenere la certificazione solamente se viene prodotta in Valle d’Aosta con latte di mucche di razza valdostana (pezzata rossa, pezzata nera, castana) con un’alimentazione basata su fieni e flora locale. Grazie a queste limitazioni territoriali, spesso le forme di fontina vengono ancora lasciate a stagionare in grotte storicamente utilizzate a questo proposito per la caratteristica temperatura, compresa tra i 5 e i 12 °C. La stagionatura minima non può scendere al di sotto degli ottanta giorni e può arrivare fino a due anni. La caratteristica pasta avorio o gialla della fontina ha una consistenza elastica e morbida di sapore dolce e delicato che aumenta di intensità con la maturazione. La Cooperativa produttori di Valpelline utilizza un’antica miniera per l’estrazione del rame trasformata in magazzini per la stagionatura.

Il Fromadzo Dop è un formaggio prodotto con latte vaccino proveniente da due mungiture. Dal sapore meno intenso rispetto alla fontina, questo prodotto trae le sue particolarità dalle caratteristiche del latte d’alpeggio. Riconosciuto come Dop nel 1995, si presenta in forme piccole, di peso variabile tra 1 e 7 kg. con la parte esterna di colore paglierino che si scurisce con la stagionatura presentando a volte anche delle venature rossastre. La pasta interna è bianca nel formaggio fresco, di un giallo tenue invece per le forme più stagionate. Nonostante la denominazione di origine protetta, esistono diverse versioni: semigrasso, con erbe aromatiche, magro e misto vaccino-caprino. Anche il periodo di stagionatura può variare dai sessanta giorni ai 14 mesi.

Il Lard d’Arnad Dop è un particolare tipo di lardo aromatizzato che si ricava da suini pesanti italiani di peso intorno ai 160 kg e di età non inferiore a nove mesi. A conferire il caratteristico sapore speziato, ma dolce (oltre alle erbe con cui viene curata la carne) sono i processi di salatura e le condizioni di stagionatura. Tradizionalmente la stagionatura avviene nei doils, tipici recipienti in legno di rovere o castagno.

Jambon de Bosses Dop prodotto a Saint Rhémy-en-Bosses ad un’altezza di 1600 m.s.l. con la coscia posteriore di suino pesante italiano. A conferire il caratteristico gusto speziato e intenso sono le erbe aromatiche di montagna quali rosmarino, salvia, bacche e aglio, la stagionatura (almeno 12 mesi) e i venti di montagna.

Lignano Sabbiadoro

Non solo d'estate Fuori stagione al ritmo lento della natura

84 CHeck-in • marzo 2023

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Lignano Sabbiadoro e il suo litorale. Ernest Hemingway, che ci fece tappa negli anni '50, la definì la "Florida d'Italia". Una striscia di terra, bagnata da tre diversi tipi di acqua: quella marina dell’Adriatico a sud; quella salmastra della laguna di Marano a nord; e l’acqua dolce del fiume Tagliamento a ovest, col suo spettacolare estuario

Un incontro che ha dato origine a una terra ricca di una natura che sa sorprendere, anche fuori stagione. Lignano, che fa parte della provincia di Udine, non è, infatti, un luogo da scoprire soltanto durante l'estate, ma riesce a stupire anche nei mesi che dall'inverno portano alla primavera, con colori e gusti che non possono lasciare indifferenti

Per scoprire al meglio le bellezze di questo paesaggio bisogna partire dai colori dell’alba vicino al mare di Lignano Sabbiadoro. Per i mattinieri, il percorso suggerito è quello che collega il mare alla laguna, partendo dal Faro Rosso, da sempre punto di riferimento per i marinai: proprio qui, tutte le mattine sorge il sole che abbraccia e scalda con le prime luci il panorama e gli animi.

Il percorso ciclo-pedonale inizia nelle zone di Villa Zuzzi (nota anche come Villino Zuzzi), palazzo storico in stile liberty, costeggiando la sabbia color oro e magari passeggiando lungo il litorale con qualche gabbiano. Per i più sportivi, c’è un’area attrezzata per fare fitness vista mare, ma le panchine panoramiche per godere dell’aria salmastra sono una valida alternativa per tutti. Il percorso si conclude

all’Ufficio 19, dove il lungomare si fonde con la Pineta e i profumi della natura.

I Casoni dei pescatori di Marano

Da Lignano bastano pochi minuti in barca per fare un tuffo nel passato approdando sulle sponde di Marano Lagunare, autentica terra di pescatori. Nel porto si noteranno le Batele, tipiche barche da pesca di laguna, lunghe 4 metri e dal fondo piatto, studiate per navigare in acque dal fondo non particolarmente profondo.

Le vere “star” da queste parti, però, sono i Casoni, costruzioni semplici simili a capanne su palafitte, realizzate utilizzando materiali locali, come la cannuccia palustre, in grado di far scivolare l’acqua riparando gli interni dalla pioggia. Nell’unica

stanza disponibile, i pescatori si riposavano e si scaldavano al fuoco, fino all’alba del giorno dopo.

Proprio attorno al focolare dei Casoni, in primavera sarà possibile vivere un’esperienza unica, provando la meditazione taoista per armonizzare cuore e mente e sincronizzarli al ritmo della natura, lento come le acque lagunari. Non solo: sarà anche l’occasione per degustare aperitivi con specialità tipiche tradizionali.

Fiume stella: il paradiso del birdwatching

A dare vita e colore a questo prezioso ecosistema ci sono anche cigni, aironi, rapaci, fenicotteri e molti altre specie avifaunistiche che qui sono oltre 300. Molti gli avvistamenti possibili per gli amanti

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Casoni a Marano

del birdwatching o anche per i semplici curiosi. Dall’airone rosso, che si riproduce tra i canneti del delta del Fiume Stella, al falco di palude, che in questa zona vanta una delle più elevate concentrazioni di tutta Italia, e diversi passeriformi, tra cui il basettino la salciaiola, il cannareccione e la cannaiola. Nelle insenature lagunari circostanti, invece, non è raro avvistare interi stormi di uccelli acquatici che si aggregano durante la stagione invernale, tra i quali si distinguono soprattutto folaghe e anatidi come la canapiglia, l'alzavola, il mestolone, il moriglione, la moretta e il quattrocchi.

Valle Canal Novo, riserva naturale incontaminata

Uno dei motivi per cui vale la pena esplorare questi luoghi è sicuramente la riserva Valle Canal Novo: visitarla sarà come trovarsi in una New Wetland inglese, riserve naturali incontaminate situate nel sud ovest di Londra.

Meno battuta rispetto ad altre aree protette, in Valle Canal Novo la natura selvaggia si mostra in tutto il suo fascino e può essere ammirata attraverso percorsi su passerelle di legno a pelo d’acqua. Un’esperienza incantevole dal fascino delicato, da vivere anche in inverno per seguire il ritmo lento, quasi dormiente, della natura.

C’è poi anche l’area protetta di Valle Grotari, un ex canale da pesca che sorge ai piedi di Marano, tornato naturale dopo l’interruzione dell’attività ittica. Qui è possibile fare lunghe passeggiate e ammirare l’ampio canneto arrivando dall’unico sentiero raggiungibile dal centro di Marano.

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Enogastronomia di mare

L’enogastronomia è un’altra punta di diamante di questo territorio. Tra i piatti tipici della laguna ci sono specialità a base di pesce e crostacei, come la Zuppa di pesce alla maranese, una minestra al po-

modoro servita con crostini di pane, da gustare in modo particolare nel periodo invernale. Preparato dai pescatori che vivevano nei casoni, si cucina con prodotti semplici come olio extra vergine, aglio, sale, e pepe nero per esaltare il sapore del pesce locale.

Da non perdere anche i Sievoli sotto sal, cefali conservati sotto sale, e il Bisato in speo, piatto a base di anguilla allo spiedo preparata a lenta cottura sulla brace, accompagnato da un Merlot o dal vino locale Il Refosco del Peduncolo rosso. Per chi volesse gustare queste pietanze (ma se ne parla per l'anno prossimo!), una tappa obbligata è la Festa delle Cape a Lignano Pineta nei primi due fine settimana di marzo. Si tratta di un evento enogastronomico storico nato dall’idea dei pescatori del territorio di far conoscere e gustare ai turisti le specialità ittiche dell’alto Adriatico.

Cape o Cannolicchi Bisato in speo

Dove mangiare a Lignano e dintorni

Ecco una selezione di indirizzi fra la nota località balneare friulana e i suoi dintorni, dall’incantevole borgo marinaro di Marano all’entroterra, fra lo scorrere lento del fiume Stella e le Risorgive

Alici marinate | Ristorante Al Ferarùt

Un luogo da vivere, non soltanto durante la stagione estiva: è Lignano Sabbiadoro, ma anche il suo litorale e il suo entroterra, scrigni di bellezza, natura e gusto. Ecco allora una selezione di ristoranti fra la nota località balneare friulana e i suoi dintorni, come l'incantevole borgo marinaro di Marano, fra lo scorrere lento del fiume Stella e le Risorgive.

Al Bancut

Piccolo e raccolto (una ventina di posti dentro ed altrettanti fuori), Al Bancut è da oltre 40 anni il punto di ritrovo di velisti, skipper, appassionati di sport nautici, buongustai. Stupenda la sua posizione sull’acqua, con vista sulla laguna, quasi sulla punta di Lignano Sabbiadoro. Sorta di casone contemporaneo, con il suo alto tetto spiovente, ha uno stile decisamente nautico, con l’arredamento che vede

abbinati elementi in legno centenario a particolari hi-tech come le vele in kevlar e carbonio utilizzate per la decorazione del bancone e dei lampadari. In tavola le più tradizionali ricette di pesce dell’Alto Adriatico, ma anche piatti di carne ed eccellenti primi. Il tutto rivisitato con leggerezza e rispetto della materia prima principalmente locale e della tradizione.

Fra gli antipasti, la selezione di crudo gioca fra pesci e crostacei. Fra i primi la tradizionale Pasta e fagioli gioca con anguilla, garusoli, Varhackara (pesto di Timau, fra le montagne della Carnia, nato per valorizzare il lardo conservando al suo interno ritagli di salame, speck affumicato, guanciale, pancetta e ossocollo), e il Risotto in base al mercato dichiara la freschezza assoluta degli ingredienti e la possibilità di variare in base al pescato.

Fra i secondi, eccellente è il Calamaro e razza, cime di rapa, castagne, jus di vitello e, per chi ama la carne, insolito è il Piccione, i suoi fegatini, salsa al porto, puntarelle, beurre blanc.

Al Bancut | Piccione, i suoi fegatini, salsa al porto, puntarelle, beurre blanc

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La Farmacia dei Sani

È dal 1977 che la Farmacia dei Sani ospita alla sua accogliente tavola avventori di tutte le età. Merito della genuinità dei prodotti, della semplicità dei gustosissimi piatti, dell’atmosfera informale e rilassata, veramente familiare, e del fatto che a tutte le ore è possibile degustare eccellenti salumi e formaggi del territorio accompagnati da vini selezionati da Patrizio Faidutti (una carriera da giovanissimo garzone a titolare).

In questa accogliente osteria con cucina, veranda e taverna, si mangia innanzitutto il pesce, ma non manca anche una buona scelta di piatti di carne. Le porzioni sono generose, i piatti attingono alla tradizione gastronomica friulana con digressioni verso la cucina mediterranea. Fra i piatti simbolo del locale gli Spaghetti alla Farmacia, apprezzatissimi anche perché hanno i frutti di mare già sgusciati. Tra i secondi, largo a grigliate e fritti di mare. Il tutto accompagnato da una buona scelta di vini di una cinquantina di cantine friulane e, per chi ama le bollicine, di Champagne di maison classiche.

La Barcaneta si affaccia con il suo déhors sulle piazze del centro storico di Marano Lagunare, incantevole borgo marinaro che dà il nome all’omonima laguna, a una trentina di km da Lignano. Paese di pescatori, ha un bel mercato del pesce da cui si rifornisce Claudio Moretti, cuoco e

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La Barcaneta

proprietario del locale con la ristorazione nel Dna, dato che è della sua famiglia il noto ristorante Balan di S.Giorgio di Nogaro.

Nel 2008 si è messo in proprio e ha messo in atto con passione e tanta ricerca il suo progetto di esaltare il sapore più autentico del pesce unendolo alle verdure. Piatti delicati che esaltano le materie prime e cura nella presentazione sono il suo timbro. Un successo. Il consiglio è di affidarvi allo chef che raccoglierà le vostre esigenze e vi proporrà un percorso che sicuramente non vi deluderà. Must del ristorante è la degustazione di antipasti che cambiano spesso a seconda delle stagioni e del pescato: la banalità è bandita, ed ecco che si spazia dalla tagliata di ombrina con cipolla dolce di Cavasso alle codine di gambero su crema di zucca e topinambur. Eccellenti anche i primi con paste fatte in casa e i secondi di pesci con cotture veloci. Vale la pena di assaggiare l’anguilla cotta lentamente sulla brace, che va ovviamente ordinata in anticipo. Eccellente la cantina che propone il meglio della produzione del Friuli Venezia Giulia, e dà buono spazio ai vini naturali e alle birre artigianali.

Trattoria alla Laguna

A due passi dal porticciolo di Marano e di fronte al mercato ittico, gestione familiare, cucina di pesce, posti a sedere anche all’aperto, la Trattoria alla Laguna ha raccolto da qualche anno il testimone dello storico locale Vedova Raddi, di cui porta ancora il nome dell’insegna. All’altezza dell’eredità ricevuta, propone la più

tradizionale cucina di pesce maranese, preparata regola d’arte utilizzando solo il pescato della laguna e dell’Adriatico

Fra i must i molluschi gratinati alla maranese, la granzeola al naturale cotta al vapore e insaporita solo da un filo d’olio, le orecchiette fatte in casa con gamberi e verdure di stagione, la frittura mista con 5 tipi di pesce e crostacei. Golosi i dolci fatti in casa, come la Sfogliatina con crema chantilly e frutta fresca. Il tutto accompagnato da ampia scelta di vini friulani e, per chi non rinuncia alle bollicine, Champagne e Franciacorta.

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Trattoria alla Laguna | Le moleche

Paradiso

Paradiso di nome e di fatto, questo raffinatissimo ristorante di campagna nell’omonimo borgo a una mezz'oretta di strada da Lignano, poco lontano dalla laguna di Marano. Vale assolutamente la pena di andarci, per goderne la calda atmosfera impreziosita da infiniti piccoli e colti dettagli e per gustare la cucina di questo piccolo tempio della cultura del cibo e dell’accoglienza, creato 50 anni fa da Aurelio e Anna Maria Cengarle (straordinaria Lady Chef), splendidamente affiancati nel tempo dalla figlia Federica. Il ristorante Paradiso si trova in un caseggiato in pietra del Cinquecento restaurato con estremo

gusto, uno dei locali più romantici e ricchi di atmosfera del Friuli, con ombreggiato dehors. La cucina, ora affidata a Loris Plazzotta, attinge dalle zone umide circostanti e dalla laguna materie prime particolari come erbe spontanee, funghi, bacche, selvaggina, rane, lumache, anguille. Interpreta con sensibilità il territorio e si rinnova con le stagioni. In questo periodo protagoniste sono le carni: animali ruspanti di bassa corte di piccoli allevatori locali, selvaggina da piuma e da pelo. Le preparazioni vanno dalle cotture espresse alle reinterpretazioni di elaborate ricette medioevali, ma su tutte capeggiano lo spiedo e la griglia preparate con maestria da Aurelio. Preziosa la cantina.

Al Ferarut

Vale veramente la pena di inoltrarsi nella romantica zona delle Risorgive alle spalle di Lignano per esplorare la cucina di Alberto Tonizzo, chef patron del ristorante Al Ferarut. Figlio d’arte e terza generazione in cucina e alla guida del ristorante, allievo di Igles Corelli e altri grandi, tanto studio ed esperienze, è fra gli chef più interessanti e innovativi del Friuli Venezia Giulia e la sua tavola è una sorpresa per raffinatezza e per l’impronta sicura nella ricerca continua senza virtuosismi fine a se stessi. Piatti buoni, sensati, godibi-

li, che si evolvono tenendo sempre ben presenti le radici da cui sono nati. Ogni volta, una scoperta, che può iniziare con Leccia con Figo Moro di Caneva, liquirizia e misticanza e proseguire con i Rigatoni con humus di limoni, nero di seppia, seppioline di barena e grattatina di ricotta affumicata, l’Anguilla al salto con pelle soffiata (un must), per concludersi con il Cremoso ai funghi porcini. Sorprendenti anche i dolci e fornitissima e molto curata la cantina con oltre 700 etichette italiane e straniere, con un posto di riguardo per la produzione friulana. Si può anche scegliere fra un’ottima proposta di vini al calice.

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Paradiso dell'enoturismo

La cantina siciliana è stata inserita nella classifica delle 50 aziende vitivinicole più belle al mondo.

Merito di un'attenzione particolare all'accoglienza e all'enoturismo in tutte le sue strutture

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Dici Donnafugata e pensi, inevitabilmente, alla Sicilia. Alla storia di questa terra, ai suoi colori, ai suoi profumi: difficilmente un prodotto ha rappresentato meglio lo stile di siciliano nel mondo. L'incantevole complessità che ogni sorso dei vini Donnafugata porta con sé è senza ombra di dubbio il segreto del successo di questa cantina che, per arrivare a questi risultati, negli anni ha puntato tutto su due fattori fondamentali: sostenibilità e passione.

Le vigne non sono sottoposte a processi chimici, come l'uso di diserbanti o concimi non naturali, ma non solo: anche l'utilizzo di fito farmaci è praticamente nullo Tutto ciò è possibile grazie al sapiente utilizzo delle tecniche di lotta integrata, in unione al controllo degli insetti e allo studio dei parametri climatici.

Le risorse utilizzate sono dunque essenzialmente quelle naturali e al contempo è data grandissima importanza alla sostenibilità ambientale. Concimazione organica, sovescio, diradamenti e irrigazione di soccorso permettono di ottenere il massimo dall'ambiente, razionalizzando al contempo le risorse, senza alcuno spreco.

Le uve che nascono e crescono attraverso tale filosofia sono perfettamente sane, ricche e causano il minimo impatto ambientale. Grazie alle tecniche in uso dalla cantina Donnafugata produce vini eccellenti che conquistano sia il territorio na-

zionale che quello estero, facendosi veri portabandiera di un'Italia ricca di sapori e di sane tradizioni.

Non a caso la World's Best Vineyard Academy ha inserito la storica azienda siciliana nella top 50 delle migliori cantine nel mondo per l'esperienza di visita e degustazione offerta agli enoturisti, un riconoscimento di prim’ordine.

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Vendemmia a Pantelleria

CURIOSITÀ

L'origine del nome

In tanti se lo chiedono: perché il nome Donnafugata? Letteralmente significa "donna in fuga", e si riferisce alla regina Maria Carolina d'Asburgo-Lorena, ai tempi moglie di Ferdinando IV di Borbone. Durante i primi anni del 1800, la donna fuggì da Napoli per salvarsi dalle truppe di Napoleone che stavano arrivando, rifugiandosi in Sicilia, più precisamente proprio in alcune di quelle terre dove oggi sorgono i vigneti dell'azienda. La regina fu accolta presso i possedimenti di campagna del Principe di Salina. Il nome Donnafugata nasce per mano di Giuseppe Tomasi di Lampedusa che, riferendosi all'evento, usò il termine per la prima volta tra le pagine del suo celebre libro "Il Gattopardo".

Maria Carolina d'Asburgo-Lorena rinunciò così per sempre a Napoli, sopportò il peso di gravi calunnie e dette prova di grande carattere, al contrario di molte altre persone a lei vicine, compreso il marito. Questa tempra portò lo stesso Napoleone a definirla: "L'unico uomo del Regno borbonico”.

Gabriella Rallo, la “donnafugata” di oggi

La vicenda ha ispirato non solo il nome, ma anche il logo aziendale: l’immagine della testa di donna con i capelli al vento che campeggia su ogni bottiglia. Un volto che è anche quello di Gabriella Rallo, la “donnafugata” che abbandona il suo lavoro di insegnante per occuparsi a tempo pieno dei vigneti di Contessa Entellina. Una delle prime donne in Sicilia a produrre vino in un settore tipicamente dominato da uomini: una pioniera della viticoltura di qualità al femminile.

Al suo fianco fino al 2016 c’è stato Giacomo Rallo, quarta generazione di una famiglia con oltre 160 anni di esperienza nel vino di qualità: insieme hanno fondato Donnafugata nel 1983, divenendo dei veri e propri pionieri della viticoltura in Sicilia. Oggi i figli José e Antonio hanno preso il

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Gabriella Rallo, al centro con i figli Josè e Antonio
CHeck-in • marzo 2023 99 RIMANI SEMPRE AGGIORNATO ISCRIVITI ALLE NOSTRE NEWSLETTER WWW.ITALIAATAVOLA.NET

posto del padre e guidano l’azienda e una squadra di persone orientata all’eccellenza: Josè è una donna-imprenditrice, vincitrice del Premio Bellisario 2002 per il suo grande contributo nella valorizzazione dell'imprenditoria al femminile. Si occupa del controllo di gestione e della guida della comunicazione per la cantina di famiglia. Antonio, agronomo e wine-maker, offre invece esperienza e passione nel suo lavoro, tanto da essere arrivato a capo del Consorzio di Tutela della Doc Sicilia.

Il rispetto del territorio prima di tutto

Le pratiche adottate da Donnafugata sono pensate e realizzate per portare l’azienda sempre e solo verso una direzione: il rispetto del territorio. Un esempio? La vendemmia nella tenuta di Contessa Entellina delle uve Chardonnay, per produrre "La Fuga", avviene durante le ore notturne. Questa scelta è stata fatta per sfruttare al massimo l'escursione termica

tra giorno e notte, con un abbattimento del 70% dei consumi energetici destinati al raffreddamento delle uve prima della pigiatura. Ciò consente anche di preservare tutto il corredo aromatico dei frutti, per vini ricchi di avvolgenti aromi e sapori.

Il calcolo dell'impronta ecologica, altrimenti detta Carbon Footprint, con relativa esposizione in etichetta, è un segno di rispetto e trasparenza nei confronti dei consumatori. L'azienda ha adottato questo adesivo nel 2014, mostrando in maniera chiara tutto il suo impegno a riguardo. Donnafugata quantifica le emissioni di CO2 nell'arco dell'intero ciclo produttivo e dal 2011 vanta già una riduzione del Carbon Footprint del 10%.

Una viticoltura eroica

La Sicilia Occidentale ospita i vigneti della cantina Contessa Entellina. Nei suoi 283 ettari di terra sono coltivate sia uve autoctone, vale a dire Nero d'Avola, Catarratto, Ansonica, Grillo e Grecanico, ma anche al-

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Tenuta di Contessa Entellina

tre varietà che hanno mostrato di apprezzare il clima siciliano, come Chardonnay, Cabernet Sauvignon, Syrah e Merlot, per citarne solo alcuni. Lo Zibibbo di Pantelleria regna sull'isola donando un vino inconfondibile. I 68 ettari di vigneti Donnafugata sono sparsi sul territorio e trattandosi di viticultura eroica chiama a sé un impegno di manodopera decisamente maggiore rispetto agli altri vigneti aziendali.

Tra la costa sud-orientale e l'altopiano Ibleo si ha la zona di Vittoria, con 36 et tari di vigneti. Qua nascono il Frappato di Vittoria e il Nero d'Avola, destinati alle de nominazioni Doc Frappato e Cerasuolo di Vittoria Docg.

E ovviamente Donnafugata non poteva non avere delle vigne sul maestoso Etna, più precisamente sul versante nord, divi se tra Randazzo e Castiglione di Sicilia.

Vino tra arte, letteratura e cultura

Ma Donnafugata non si contraddistingue solo per il suo vino, per il rispetto della terra e dell’ambiente, per le sue vigne maestose. Donnafugata, attraverso delle etichette ricercate e curatissime, è anche sinonimo di arte, letteratura e cultura.

E anche i nomi dei vini non sono mai lasciati al caso. "Ben Ryé" Passito

Giardino Pantesco

Non solo il palato dunque viene esaltato, ma anche l'estetica. Il vino Donnafugata mostra infatti come sia possibile ottenere raffinatezza e qualità nel pieno rispetto dell'ambiente e del territorio.

Non solo vino ma anche ospitalità

E il territorio, la Sicilia in particolare, non sta solo sulle etichette di Donnafugata. Si sente in ogni angolo delle cantine, che lavorano costantemente alla promozione della regione che le ospita. È questo che si respira se si sceglie l’ospitalità di Donnafugata, che mette a disposizione dei propri clienti anche un ampio ventaglio di possibilità per conoscere vino, prodotti e terra. Le cantine di Marsala, costruite nel 1851, conservano l’impianto tipico del “baglio” mediterraneo con l’ampia corte interna,

punteggiata di agrumi e di ulivi, e le capriate in legno, opera di antichi maestri d’ascia. Qui i visitatori hanno la possibilità di essere guidati da uno staff giovane e competente alla scoperta di Donnafugata.

La barriccaia sotterranea, la cui architettura ricorda la Cisterna Basilica di Istanbul, è un luogo emozionante, dove i visitatori possono scoprire i segreti che si celano dietro gli affinamenti di alcuni dei vini più rappresentativi di Donnafugata, come il Chiarandà, Tancredi e Mille e una Notte Costruita nel 2007 è un esempio di architettura sostenibile: scavata nella roccia di tufo (calcarenite), consente infatti un ridotto utilizzo di energia per mantenere i parametri di temperatura e umidità desiderati.

La Sala delle Botti, così chiamata per le grandi botti qui conservate, ha un particolare fascino per i manufatti che custo-

La barricaia sotterranea a Marsala

disce. In questo luogo magico i visitatori potranno ammirare alcuni dei pezzi più pregiati della collezione di famiglia: ceramiche antiche provenienti dalle manifatture di Burgio e Caltagirone; sponde in legno dei carretti tradizionali siciliani, fregiati da intagli bucolici e sgargianti decorazioni pittoriche; le “chiavi” dei carretti, bassorilievi intagliati nel legno e fregi in ferro battuto di particolare pregevolezza.

Donnafugata

�� 0923 724 200 ��www.donnafugata.it

La sala delle botti a Marsala

Qatar In vacanza tra natura, tradizioni e divertimento

IMondiali di calcio svoltisi a dicembre dello scorso anno hanno contribuito in maniera importante ad aumentare la fama del Qatar e a far conoscere tutte le bellezze di una destinazione che, per varietà di proposta, è veramente adatta a ogni tipo di viaggiatore. Ora che il grande evento è passato, rimane intatto il fascino di un Paese in cui il mondo arabo, con le sue tradizioni e i suoi sapori, si incontrano con la modernità e l'animo internazionale che gli emiri hanno saputo attirare e valorizzare come in nessun altro luogo al mondo.

Il Qatar, con più di 560 chilometri di costa e le tranquille acque cristalline del Golfo Arabo, è il luogo ideale per gli sport acquatici. Dai principianti ai più esperti, per gli amanti dell’avventura si suggerisce di sperimentare un'escursione intorno al The Pearl-Qatar con lo stand-up paddle board,

andare in kayak al tramonto o fare un'emozionante gita in moto d'acqua per esplorare lo splendido skyline. Anche una visita alle dune di sabbia ondulate del deserto del Qatar è un'esperienza da non perdere. A solo un'ora di macchina da Doha, uno dei tour più amati permette di scoprire lo splendido Khor Al-Adaid o "Mare Interno", riconosciuto dall'Unesco come riserva naturale dal paesaggio mozzafiato. Il percorso comprende solitamente il dune bashing in 4x4, una nuotata in acque splendide e, naturalmente, una traversata sul dorso di un cammello.

Tornando in città, le famiglie che desiderano provare l’esperienza del brivido non possono non visitare Doha Quest, il più recente parco a tema del Qatar, inaugurato la scorsa estate e dotato di una serie di attrazioni per tutte le età, come le “più alte montagne russe al coperto” e la “più alta torre di caduta al coperto” che rientrano nel Guinness dei primati.

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Arte e cultura in Qatar

In Qatar, il mix di cultura, arte e storia è in ogni dove. Tra le installazioni artistiche pubbliche più stupefacenti si trova EastWest/West-East di Richard Serra, costituita da quattro enormi lastre d'acciaio di 14 metri tra le formazioni rocciose di Ras Abrouq a Zekreet. Per coloro che desiderano rimanere in città, è disponibile una serie di musei iconici che comprende il Museo Nazionale del Qatar (NMoQ), con il suo design accattivante a forma di cristalli di rosa del deserto, il Museo d’Arte Islamica (MIA) progettato da I. M. Pei, e il nuovo 3-2-1 Qatar Olympic and Sports Museum, un progetto ambizioso che si annuncia come il museo sportivo più innovativo del mondo.

Immancabile è la passeggiata nel Souq Waqif, il mercato tradizionale da vivere

soprattutto la sera, quando i negozi e i ristoranti dei vicoli prendono vita e si riempiono di locals e visitatori curiosi. È assolutamente da provare la cucina locale, acquistare dei souvenir e godersi il ritmo frenetico di un tipico mercato mediorientale.

Un giorno al mare

Dopo 48 ore ricche di azione, è tempo di relax. Che si voglia leggere un libro, prendere il sole sulla sabbia o rinfrescarsi con un tuffo in mare, una giornata in spiaggia è d'obbligo. Per godere di una vista ininterrotta del tramonto si consigliano Al Shamal, sulla costa nord, e Fuwairit Beach. Coloro alla ricerca di una vacanza in famiglia possono visitare l'Hilton Salwa Beach Resort & Villas, che offre 3,5 chilometri di spiaggia bianca come la cipria,

Museo Nazionale del Qatar

il Desert Falls Water & Adventure Park o una crociera per ammirare i delfini. Un'altra possibilità consiste nell’effettuare una breve gita in barca per raggiungere l'affascinante Banana Island Resort Doha by Anantara, che ha riaperto una piscina per il surf e ha inaugurato le escursioni con gli squali balena.

Una destinazione per tutte le tasche

L'errore che spesso si commette è quello di pensare al Qatar come una destinazione irraggiungibile dal punto di vista economico. In realtà non è così. Vi suggeriamo, allora, tre ristoranti in cui poter assaggiare la cucina locale a prezzi accessibili:

Shay Al Shomous è un ristorante gestito da una rinomata figura del Qatar, Shams Al

Smat

Situato sulla Corniche, il ristorante vanta interni raffinati caratterizzati dal gusto autentico del Qatar. Grazie all'utilizzo dei migliori ingredienti e spezie, il ristorante offre una gamma di antipasti, bevande e piatti principali che possono essere personalizzati secondo i gusti dei visitatori.

Yasmine Palace

Immerso nella serena e magnifica zona centrale del The Pearl-Qatar, lo Yasmine Palace offre la più stuzzicante combinazione di esperienze gastronomiche che il Qatar abbia mai visto. Servendo piatti di ispirazione andalusa, levantina e qatariota, lo Yasmine Palace aggiunge il proprio carattere unico a piatti classici, assicurandosi di rispettare le tradizioni che sono state tramandate di generazione in generazione

Jiwan

Situato all'ultimo piano del Museo nazionale del Qatar, Jiwan riporta i clienti alle origini del Qatar. I piatti stagionali da condividere rispettano gli ingredienti locali. Con un menu contemporaneo qatariota e il design degli interni di Koichi Takada Architects, Jiwan è un concetto gastronomico coinvolgente che accompagna gli ospiti in un viaggio sensoriale attraverso il ricco patrimonio e il paesaggio unico del Qatar.

I RISTORANTI DA NON PERDERE

Qassabi, che è stata la prima donna d'affari ad aprire un negozio a Souq Waqif. Tutte le voci del menu hanno un prezzo inferiore a 7 euro, quindi è facile assaggiare un vasto assortimento di cibo autentico del Qatar.

Chapati & Karak è un locale del Katara Cultural Village che serve tè locale a meno di 2 euro. Il dolce tè karak è una bevanda indiana ormai profondamente radicata nella cultura qatariota.

Nel cuore della città si trova Turkey Central, frequentato sia da locali che da stranieri per il suo appetitoso menu, i prezzi generosi e il rapido servizio. Le opzioni del menu partono da meno di un euro, con piatti abbastanza grandi da poter essere condivisi in due.

A contribuire poi nel rendere il Qatar una destinazione adatta a tutte le tasche c'è, senza dubbio, il sistema di trasporto pubblico e in generale i trasporti. A Doha, uno dei modi più semplici per spostarsi è il nuovo sistema di metropolitane. La rete all'avanguardia è dotata di treni a 100 km/h, carrozze senza conducente e una Gold Class per i passeggeri premium. Un viaggio costa appena 2 QAR (0,55 euro) per una corsa semplice dopo aver acquistato una tessera di viaggio riutilizzabile per 10 Qar (2,65 euro).

Altre opzioni di trasporto includono un servizio completo di autobus, taxi e applicazioni di ride-hailing come Uber e Careem. Per esempio, una corsa di 30 minuti su Uber non supera i 6,60 euro.

La terrazza del ristorante Jiwan
CHeck-in • marzo 2023 109 in V il la BOLL CINE VILLA FARSETTI SANTA MARIA DI SALA - VENEZIA info@bollicineinvilla.it SABATO 1 DOMENICA 2 APRILE 2023 E D I Z I O N E 6 Con il Patrocinio di: da € 13,00 -20%* codice sconto: BOLLEIAT23 COMPRA SUBITO LA TUA WINE CARD..!!!!

DOVE DORMIRE W Doha

Un albergo moderno, dall’atmosfera giovanile perfetto per una vacanza all’insegna dello svago e del divertimento. Dotato di 289 tra camere e suite e 153 residenze: 137 Spectacular Rooms e 68 Fabulous Room, spaziose con vista sullo scintillante Golfo Arabico o sulla città (44 mq); 33 Marvelous Rooms, camere executive situate ai piani superiori che offrono viste spettacolari sulla città. Internet gratuito e accesso WIP Lounge inclusi (44 mq); 20 Cool Corner Suite, ciascuna situata agli angoli dei piani dal 3° al 7° (65 mq); 16 W Suites, enormi suite dislocate dal piano 8 al 15, design moderno e lussuoso e tecnologia all'avanguardia, sistema audio BOSE lifestyle e suono surround nel soggiorno (109 mq); 14 Wow Suites, situate tra i piani 8 e 14, con vista sul mare Arabico, arredi di lusso, tecnologia all'avanguardia, sistema audio BOSE lifestyle e suono surround nel soggiorno (127 mq); 1 E Wow Suite, una suite di lusso estremo situata al 15° piano con vista sul Mar Arabico, arredi di lusso, tecnologia all'avanguardia, sistema audiovisivo Bang & Olufsen e suono surround in soggiorno, cucina completamente attrezzata, area giochi privata con tavolo da biliardo, bar privato, fantastica camera da letto principale con letto in piuma W king size, materasso rigido con rivestimento pillow top, bagno ampio e lussuoso con doccia a pioggia separata e vasca esagonale, 2 camere comunicanti aggiuntive.

Building 262, Street 831, Doha, Qatar

I grandi eventi in programma

Lasciatosi alle spalle i mondiali, il Qatar non si è di certo fermato e nei prossimi mesi sono in programma numerosi eventi di interesse mondiale. Dal 5 all'8 ottobre, il Lusail International Circuit del Qatar ospiterà il Gran Premio del Qatar di Formula 1 2023, la prima di almeno dieci gare consecutive di Formula 1 nel Paese, dopo l'edizione inaugurale del 2021. The Gran Premio del Qatar 2023, o Qatar MotoGP, si svolgerà il mese successivo, dal 17 al 19 novembre. Il Salone internazionale dell'automobile di Ginevra 2023 (GIMS) si terrà esclusivamente a Doha, in Qatar, nell'ottobre 2023. L'evento si svolgerà dal 5 al 14 ottobre presso il Doha Exhibition & Convention Centre e in diversi luoghi significativi della città. Offrirà agli appassionati di auto esperienze eccezionali e indimenticabili.

L’esposizione mondiale di orticoltura 2023, spesso nota come Expo 2023, si

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terrà a Doha dall’ottobre 2023 al marzo 2024 e avrà come tema l’inverdimento del deserto e l’aiuto all’ambiente. L’Expo affronterà, infatti, le sfide che i Paesi del deserto dovranno superare nel campo della desertificazione e della sostenibilità e costituirà una nuova opportunità per lo sviluppo dell’agricoltura e per rendere più verdi le città del Qatar e della regione del Medio Oriente.

Il Paese più sicuro al mondo

Tra i diversi motivi per scegliere il Qatar come destinazione c'è anche quello legato alla sicurezza. Si tratta, infatti, di una meta, secondo l'ultimo Numbeo Crime Index by Country 2023, il più grande database sul costo e sulla qualità della vita al mondo, che continua a essere tra le più sicure al mondo: è il quinto anno di fila che il Qatar è alla vetta dell'indice, rivendicando il titolo nel 2019 e superando il Giappone che nel 2018 era ritornato al vertice della classifica.

La forza di QatarAirways

Se tutti gli spunti suggeriti fino ad ora non fossero sufficienti, c'è almeno un altro buon motivo per concedersi un viaggio in Qatar: la sua compagnia aerea di bandiera. Qatar Airways offre, infatti, un servizio di eccellenza e una flotta giovanissima Basti pensare che l'età media dei suoi velivoli è di cinque anni. Il comfort a bordo è alto, complice una proposta gastronomica di livello. Lo scorso anno la Business Class di Qatar è stata eletta la migliore al mondo. La proposta per i viaggiatori è ampia e le offerte sempre nuove. Un'attenzione al cliente che rende Qatar la compagnia perfetta sia per un viaggio di lavoro sia per una vacanza. E, considerando l'ampia rete di destinazioni coperte da Qatar, è interessante anche la possibilità che viene offerta di scoprire il Qatar con il programma Stopover, che offre pacchetti specifici per "allungare" gli scali soggiornando fino a quattro notti nel Paese arabo.

Per informazioni:

www.visitqatar.com

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Al ristorante 142 di Milano la colazione gourmet che piace anche ai vip

La colazione al 142: dalle 8 fino alle 11. Il ristorante milanese, in zona Porta Genova, è aperto dalla mattina alla sera, ideale per iniziare la giornata con il piede giusto. 142 nasce da un’idea di uno spazio unico dove poter vivere i 4 momenti della giornata. La padrona di casa Sandra Ciciriello insieme al team di giovani cuochi, seleziona personalmente materie prime d’eccellenza per una proposta dolce e salata gourmet. La pasticceria interna sforna tutti i giorni brioches, cornetti o waffle - rigorosamente home made. Chi lo desidera può trovare yogurt cremoso greco con frutta o specialità salate.

La prima colazione è il momento più importante: mai saltarla o sostituirla con un semplice caffè. Soprattutto deve essere sana e bilanciata, per affrontare bene la nostra giornata. I milanesi lo sanno: siamo sempre di corsa, alla ricerca di angoli particolari, dove farci coccolare, da soli o in compagnia. A pochi passi dalla Stazione di Porta Genova, dove non te lo aspetteresti, troviamo un posto “goloso”, aperto dalle 8 del mattino fino a tarda sera.

Il 142 nato da un’idea di uno spazio unico dove poter vivere i 4 momenti della giornata. Appena varcata la soglia dietro uno sfavillante bancone decorato con capsule di bottiglia, troviamo del personale gentile, preparato e cortese. Un accogliente salotto, come quello di casa vostra. Perché dunque non provare i croissant alla francese appena sfornati dal pasticcere interno? Li apri e osservi l’alveolatura della lievitazione perfetta. Ne puoi mangiare uno dietro l’altro, senza pentirti, come abbiamo fatto noi, tanto li digerisci perfettamente. Segno che la qualità degli ingredienti è ineccepibile. La padrona di casa Sandra Ciciriello insieme al suo team seleziona con meticolosità le materie prime, dal latte di fattoria a filiera corta alle uova freschissime. 142 non è solo colazione o brunch, ma è aperitivo, pranzo o cena, i quattro momenti della giornata, infatti il nome basta leggerlo all’inglese: one-fo(u)r-two, “uno per due”. Hai voglia di portarti a casa qualche specialità, un pranzo completo, un buon sugo pronto a base di pesce? Basta leggere il menu del giorno, ordinarlo e ti viene consegnato in busta sigillata con le istruzioni.

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142 Restaurant �� 02 47758490 ��www.142.restaurant LOCALI IN PILLOLE
di Emanuela T. Cavalca

Il ritorno del Flora Restaurant, polo del gusto con la cucina di Massimo Piccolo

Con un affaccio su Via Veneto, la via più famosa del mondo, il Flora Restaurant, al piano terra del Rome Marriott Grand Hotel Flora, si riapre al pubblico romano e internazionale dopo un importante restyling. La proposta gastronomica è firmata dallo chef Massimo Piccolo, interprete della cucina campana, della freschezza e del sole. L'arredo delle sale, articolate su vari spazi è sobrio ed elegante, con divani e sedute in pelle marrone, specchi e marmi policromi e tutto il calore avvolgente di un salotto. Posto all’interno di un edificio neoclassico, una volta casina di caccia della famiglia Ludovisi, è un luogo pensato per una sosta appagante nel corso della giornata, soprattutto per il lunch e per l'aperitivo, con un'offerta di autentici sapori mediterranei, e spesso si viene accompagnati dalle note di un pianoforte. Tutto contribuisce a dare all'ospite, anche per una breve sosta, un prezioso senso di attenzione ed accoglienza. La carta proposta da Massimo Piccolo è ricca di richiami regionali e soprattutto della sua Napoli con materie prime di altissima qualità e piatti evocativi di una solida tradizione nazionale. Dagli antipasti ai dessert punta ad una cucina riconoscibile e appagante, con proposte riconducibili ad una idea di cucina che rifugge da inutili effetti speciali. È apparentemente semplice ma rivela ricerca, competenza e complessità nelle scelte di base. Basti pensare al suo Spaghettone Mancini ai tre pomodori, un primo che ha spopolato al recente summit milanese di Identità Golose superando quelli di chef stellati. Ora è in menu e si impone come inamovibile nonostante i cambiamenti stagionali. Per la salsa lo chef usa tre varietà pomodori campani, il Piennolo, il Datterino giallo e il San Marzano, armonizzati in parti uguali e non passati, che insieme riescono a dare al piatto un gusto inaspettato e bilanciato.

Il Flora Restaurant si propone così, nella Via Veneto ormai risvegliata dopo l'epoca d'oro della Dolce Vita, come un luogo accogliente per una sosta golosa, di lavoro o di relax. Un'area riservata con tavolini promette anche privacy.

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L'ARTICOLO
di Mariella Morosi

Sensi Restaurant, cena con vista sul lungomare di Amalfi

Dai fasti della Repubblica Marinara di circa un millennio fa, ai fasti del turismo world wide del XXI secolo. È Amalfi, la regina della divina Costiera alla quale, giammai casualmente, conferisce il nome: la Costiera Amalfitana. Lato nord, quindi prospiciente l'attigua Penisola Sorrentina, la Costiera Amalfitana ha punto d'inizio la leggiadra Positano e punto termine la graziosa, vivacissima Vietri sul Mare, praticamente quasi Salerno. Amalfi, dell'eponima Costiera, ne costituisce centro in tutti i sensi. Sommesso il consiglio di evitarla nei due mesi di estate piena, ad intendere luglio e agosto. Poi, avendo cura ulteriore di evitare i giorni festivi, Amalfi la si gode dieci mesi l'anno. Nel rinascimento della ristorazione amalfitana, spicca la lietissima novità di Sensi Restaurant. Qui siamo davvero ad una ristorazione ad alto livello. Binomio vincente cucina sala. Lo chef è il talentuoso Alessandro Tormolino, poco più che trentenne formatosi nelle brigate di Vissani e Don Alfonso. A governare la sala, pluridecennale esperienza non sono in Italia, il prode Pasqualino Franzese. Opportuna la distinzione anche mediante label differenti tra servizio di pranzo, erogato da Sensi Bistrot, e servizio di cena erogato da Sensi Restaurant. Qui il racconto di pranzo delizioso e memorabile al Sensi Bistrot. Godurioso, appagante la vista grazie all'armonica policromia, ancor prima che l'olfatto e il gusto, giunge in tavola, servizio impeccabile, la Burrata, carpaccio di pomodoro Sorrento, origano e Fresella di Agerola. Nell'appropriato calice, profonda quanto non sbandierata la competenza del sommelier, il Bianco Greco di Tufo Di Meo 2008. Si giunge al primo piatto: Linguina allo “Scarpariello”, semplicemente favolosa! Nel calice, ad accompagnarci anche per le portate successive, il Rosato Costa d’Amalfi Salicerchi Raffaella Palma 2014. Si passa ai secondi, ce ne concediamo due! Cominciamo con la Spigola all'acqua pazza. E quanto ci sta di un bene, dopo la delicatezza della spigola, la ricchezza saporita della Frittura di pesce con salsa agrodolce. Si passa ai dolci: il Babà delizia, e poi il Tiramisù e poi il Tortino al cioccolato caldo.

114 CHeck-in • marzo 2023
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di Vincenzo D’Antonio
CHeck-in • marzo 2023 115

Il nuovo corso del Ristorante 131, proposta gourmet che guarda al territorio

Da alcuni anni in via Libertà, l’asse stradale più signorile di Palermo, esisteva un ristorante “Al 131” nome preso dal numero civico; dai primi di novembre ha cambiato gestione ed in parte anche nome diventando “131 Ristorante”. I nuovi gestori sono una coppia, anche nella vita, di cuochi: Alice Gennaro che proviene da un piccolo paese dell’Abruzzo e Liborio Mongiovì, siciliano di Canicattì. In due l’età media è 31 anni. Entrambi con la passione della cucina si formano indipendentemente lavorando in vari ristoranti sempre più importanti e scalando le gerarchie di cucina. Si conoscono a Roma ed insieme si spostano in Inghilterra dove fanno l’esperienza in due distinti ristoranti stellati. Esperienza che cambia loro la vita, la prospettiva di essere cuoco, il modo di lavorare e ancor prima il modo di pensare. All’inizio del 2020 tornano in Sicilia dove si occupano dei fornelli di un importante e noto ristorante, quando si offre loro la possibilità di rilevare il 131 non se lo fanno scappare. La nostra cena si apre con un'amuse bouche che parla palermitano stretto: un morbido bigné a mò di paninetto con panella fritta e maionese al sesamo, un boccone di sfincione nel gusto ma originale nella forma ed un cip con sfera liquida di caponata, un inizio promettente che reinterpreta nella vista e composizione alcune pietanze iconiche. Antipasti: Polpo arrosto, patate dolci, finocchietto e salsa Bbq. Tentacolo di polpo scottato e grigliato, salsa Bbq casereccia, patata dolce a crema e solida, maionese al polpo, semplicemente impeccabile. Primo piatto: Plin di calamaro, estratto di peperoni, guanciale e limone candito. Raviolini tipo piemontesi ripieni di calamaro, mantecati con un estratto di peperoni molto leggero, completati singolarmente da calamaro bruciato, guanciale croccante e limone salato in modo da assaporarli, completi, al cucchiaio per prendere tutti gli ingredienti in un sol boccone. Secondo: Pecora con lemon curd salato, cardoncelli e patata schiacciata.

Dessert: Cioccolato di Modica, mango e pannacotta al cocco. Il cioccolato fondente è in due consistenze accompagnato dalla panna cotta al cocco, e mango in crema e in cubetti. Se amate il cioccolato è imperdibile.

116 CHeck-in • marzo 2023
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IMPORT EXPORT INGROSSO ORTOFRUTTICOLO

CHeck-in • marzo 2023 117

MeQ

Il Mercato coperto di qualità a Follonica

La struttura mette in pratica i principi promossi dal manifesto di Vetrina Toscana, il progetto di valorizzazione del turismo

enogastronomico: etica, attenzione all'ambiente e rispetto degli animali

118 CHeck-in • marzo 2023

Una delle anime storiche delle città è, senza dubbio, il mercato. Un luogo di incontro, di scambio, ma anche fondamentale per conoscere tradizioni e abitudini locali. Non a caso, in tutta Italia, ma anche nel resto del mondo, i mercati stanno vivendo una stagione di rinascita, in alcuni casi lontana dalle origini, ma sempre nel segno della qualità dei prodotti e dell'attenzione sia alla popolazione locale sia ai turisti.

Anche Follonica, in provincia di Grosseto, ha deciso di inserirsi in questo trend, inaugurando il MeQ, il suo mercato coperto di qualità. Un mercato che punta alla valorizzazione delle tipicità locali, del-

la filiera corta e della stagionalità e che si ispira al manifesto dei valori di Vetrina Toscana, il progetto di promozione del turismo enogastronomico toscano.

Il progetto MeQ ruota intorno ad alcuni concetti fondamentali: etica, attenzione all'ambiente e rispetto per gli animali. Per questo motivo, nel MeQ non possono entrare bottiglie di plastica. La struttura sarà dotata a breve di una casetta dell’acqua da cui sarà possibile rifornirsi ed è già in funzione un eco compattatore, in cui inserire le bottiglie di plastica da smaltire. Al raggiungimento di una soglia di bottiglie inserite, verrà emesso un buono sconto per l'acquisto di prodotti all'interno del mercato. Infine, la lotta allo spreco alimentare: l'invenduto o quel che rimane a

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fine giornata verrà consegnato alla mensa della Caritas per una sostenibilità sociale, oltre che ambientale. Gli animali, infine, saranno ammessi all'interno della struttura e avranno sempre una ciotola d'acqua a loro disposizione.

Un nodo centrale per il turismo locale

L'obiettivo dell'Amministrazione comunale, che ha portato avanti il progetto, è di trasformare il MeQ in un punto di riferimento anche per i turisti. Per farlo sono diverse le strade che si è scelto di percorrere. In primis, il mercato è un vero e proprio racconto per immagini grazie ai murales e alle opere dello “street artist” Dario Vella, che coniugano una visione

moderna alla tutela dei ricordi del passato con saracinesche artistiche che riproducono anche foto d'epoca e una texture grafica che richiama le vecchie mattonelle del pavimento.

Nel mercato verrà realizzata, entro giugno, anche l'asta del pesce, condotta “a voce”. Il prodotto ittico sarà presentato dal banditore mettendone in risalto le caratteristiche, citando la specie, la provenienza, la freschezza ed il peso, attività che rafforzerà ulteriormente la vocazione di attrazione turistica del mercato.

In conclusione, la piazza centrale del MeQ è un luogo perfetto per eventi e iniziative. Ospita, infatti, spazi per lezioni di cucina e spettacoli, perfetti per promuovere le eccellenze del territorio.

L'inaugurazione del Mecato coperto di qualità di Follonica

segnalazioni

«È una struttura - ha detto il presidente di Regione Toscana Eugenio Giani - che rispecchia i valori e la filosofia di Vetrina Toscana: investire sulle eccellenze e sulle tipicità territoriali e promuovere ristoranti e botteghe alimentari. Devo ringraziare il Comune per il grande lavoro svolto, per aver ridato vita a una struttura che aveva perso smalto e vitalità. Un intervento reso possibile grazie ad un bando regionale del 2019. Credo si possa parlare di una scommessa vinta, per aver reso possibile la riqualificazione di un luogo pubblico e averlo reso nuovamente attrattivo e spazio di socializzazione, consumo e acquisto».

A Giani ha fatto eco la vicepresidente regionale Stefania Saccardi: «Oggi viene segnato un evento importante per il Golfo di Follonica ma direi per la Toscana della maricoltura e della pesca professionale. Il nuovo Mercato coperto è il sigillo a un’attività professionale di alto livello che coniuga storia, cultura, impresa, turismo e benessere, valori legati in questo caso al mare e ai suoi prodotti. L’area del Golfo di Follonica presenta storicamente interessanti e importanti attività produttive ittiche e il Mercato coperto di Follonica negli ultimi anni ha assunto il ruolo di portavoce delle eccellenze enogastronomiche del territorio puntando sulla sua struttura. Questo, grazie alle ottime imprese di acquacoltura e pesca qui insediatisi che si sono viste riconoscere uno specifico marchio di qualità. La Regione ha fatto la sua parte, favorendo anche l’ammodernamento del mercato con la realizzazione della sala d’asta che gli darà ulteriore lustro e che porterà una maggiore spinta qualificata alla promozione e allo sviluppo dell’uni-

verso pesca che qua ha radici profonde».

In chiusura è, invece, intervenuto Leonardo Marras, assessore regionale al Turismo. «Vetrina Toscana rappresenta il veicolo per l’enogastronomia di qualità toscana, fondata sulla tradizione e sulla tipicità. Sono questi principi che hanno ispirato e guidato il Comune di Follonica nel recupero e riqualificazione di questo importante luogo di incontro e socialità L’area dedicata allo show cooking e quella per l’asta del pesce rappresentano le novità di questa ristrutturazione, un modo per potenziare l’attrattività turistica di questo spazio», ha evidenziato.

Per informazioni: www.vetrina.toscana.it

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n°18 - marzo 2023 - Anno III - edizionE digitale

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122 CHeck-in • marzo 2023

C’è chi li definisce estremi, chi li chiama eroici, questi vini sono figli della fatica e del sudore dell’uomo.

Fiorduva, un vino prezioso, frutto del duro lavoro di uomini e donne che, per mancanza di spazio, sono costretti a coltivare con il sistema del “pergolato” che prevede una sorta di griglia dove, pali incassati direttamente nella roccia, sostengono vitigni cresciuti in fazzoletti di terra a strapiombo sul meraviglioso mare della costa amalfitana.

CantineMarisaCuomo www.marisacuomo.com
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124 CHeck-in • marzo 2023
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