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Nuovi Orizzonti Psicologia Medicina Pedagogia

Anno I - n째 1 gennaio-giugno 2009

NUOVI ORIZZONTI

Autorizzazione del Tribunale di Firenze Decreto n. 5682 29 Ottobre 2008 Periodico semestrale anno I numero 1 gennaio-giugno 2009 Modalità di Pagamento: Versamento sul C.C.P. numero 12709580 intestato a ISFAR srl Viale Europa 185/b-50126 Firenze Specificando la causale “Abbonamento Nuovi Orizzonti” Abbonamento 2009 (due numeri) - per l’Italia 10 euro - per l’Estero 15 euro • Il prezzo di ogni fascicolo è di euro 10; un numero arretrato (fino ad esaurimento) è di euro 10.

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Nuovi Orizzonti

S o m m a r i o

Editoriale

Pag. 4

Lo sviluppo psicosessuale nel percorso di vita di Valentina Benoni degl’Innocenti e Simone Pesci

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Il disegno onirico e la creatività teatrale di Eugen Galasso

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Aspetti psicologici del bambino e dell’adolescente obeso: lo sguardo costruttivista » di Sara Lo Scocco

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Percezione temporale, movimento e apprendimento di Elena Ester Simonetta

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Vincere la balbuzie di Simone Pesci

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21

La preadolescenza: la soglia del dodicesimo anno di Fausta Tolone

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Come ti convinco? Sveliamo le tecniche persuasive di vendita di Valentina Benoni Degl’Innocenti

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Dare un senso ai colori di Sergio Gaiffi

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Che stress! Verità, bugie e strategie di gestione di Guido Pesci

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Formazioni

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Recensioni

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News - Ultime notizie dalla Scienza

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La scienza nel quotidiano

Direttore Responsabile: Simone Pesci Segreteria di Redazione: Valentina Benoni degl’Innocenti, Sergio Gaiffi, Marta Mani, Guido Pesci, Simone Pesci Comitato Scientifico: Valentina Benoni degl’Innocenti, Elena Gaiffi, Sergio Gaiffi, Eugen Galasso, Marta Mani, Maria Raugna, Guido Pesci, Simone Pesci, Elena Ester Simonetta, Antonio Viviani Editore: ISFAR® srl Direzione, Redazione, Amministrazione: Nuovi Orizzonti - ISFAR, viale Europa 185/b, Firenze Printed in Italy: Tipografia It.Comm. Srl, via di Ripoli 50/r Firenze

gennaio - giugno 2009

Nuovi Orizzonti

Editoriale

I Fondatori Valentina Benoni Degl’Innocenti Simone Pesci

Nuovi Orizzonti nasce come spazio di dibattito e strumento di diffusione scientifica, dà accoglienza a saggi teorici e ricerche che abbiano prevalentemente una rilevanza clinica e applicativa in ambito psicologico, medico e pedagogico.

Essa intende proporre scenari d’avanguardia a quanti ope­rano in campo clinico-educativo e a tutti coloro che nel vivere quotidiano possono trovare validi e interessanti i saperi, le esperienze e le opportunità che tali discipline sono in grado di offrire.

Per i suoi contributi tecnico-scientifici si rivolge ai professionisti dei diversi settori specialistici e, contemporaneamente, ad un target più ampio e composito di lettori per la presenza di lavori maggiormente divulgativi, pur con compiuta fondatezza, esposti nella rubrica permanente La scienza nel quotidiano.

Nuovi Orizzonti, mossa da un intento laico, ospita diversi punti di vista, che ritiene ugualmente percorribili, come elementi utili ad allargare le prospettive del conoscere; accoglie la diversità in tutte le sue forme per aprirsi alla possibilità del sapere, rifiutando ogni ideologia precostituita; vuole essere il luogo dell’abbraccio fra le scienze psicologiche, mediche e pedagogiche, un connubio favorevole al benessere e allo sviluppo degli individui e desidera rendere vive e attive queste discipline.

Guidato da uno spirito innovativo, questo periodico, attento alla correttezza scientifica e deontodologica, si impegna a favorire il dialogo interdisciplinare e intra­disciplinare. Un contributo poliedrico che riconosca le differenze teoriche e metodologiche, ma anzitutto recuperi le affinità e le similitudini epistemologiche e storiche di queste scienze, con l’intento di rendere produttivo lo scambio di conoscenze e competenze ed offrire ri­sposte sempre più proficue alla Società.

Fondiamo oggi una rivista sull’Uomo per l’Uomo, un’opera che auspichia­mo capace di recuperare la tradizione proiettandola verso le sfide dell’avvenire: passato e presente si incontrano per confrontarsi in modo critico e dialettico e trarre nuova linfa allo scopo di dirigersi, intraprendere e percorrere il costante cammino verso un futuro aperto a sempre nuovi orizzonti.

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Lo sviluppo psicosessuale nel percorso della vita Riassunto Gli Autori del presente articolo intendono mostrare come lo sviluppo psicosessuale abbracci l’intero arco di vita, partendo dall’idea che esso sia un processo continuo e dinamico il quale prende avvio già a partire dalla vita intrauterina per concludersi solo con la morte dell’individuo. Sono mostrate, in modo ben strutturato all’interno di questo lavoro, gli aspetti della sessualità alle varie età, con l’intento di bilanciare risultati di ricerche empiriche con riflessioni e contributi teorici. Questo articolo, dunque, si pone come stimolo, come risorsa per informare e promuovere una cultura del benessere psicosessuale.

Abstract The Authors of this article want to show how psychosexual development spans all the length of life, from the idea that it is a endless and dynamic process which begins from intrauterine life and concludes only with death. Inside this written are showed, in a structured way, some views of sexuality at different ages with the intention of balancing results of empiric research with reflections and theoretical contributions.

This article is a stimulus, a resource to inform and promote a wellbeing psychosexual culture.

L

o sviluppo della psicosessualità non è da intendersi come un susseguirsi di statiche, rigide e precostituite fasi, ma come un dinamico e complesso processo interattivo che individua negli aspetti biologici innati, nei fattori di apprendimento, in quelli ambientali e socio-affettivo-relazionali i principali protagonisti. Come ben sappiamo la sessualità è, innanzitutto, filogeneticamente funzionale alla conservazione della specie e l’evoluzione ha favorito la permanenza degli aspetti piacevoli che rinforzano i comportamenti sessuali e portano alla reiterazione di essi. Da un lato sono presenti elementi di istintualità innata, di automatismi, di peculiarità e sequenzialità, dall’altro la risposta sessuale, attraverso l’interazione con l’ambiente, è frutto dell’apprendimento (Dettore, 2001). Come riporta dettagliatamente Bancroft (1989), esiste per i comportamenti sessuali un ventaglio di funzioni che variano dalla riduzione della tensione alla ricerca di piacere, dall’affermazione della propria femminilità o mascolinità all’esercizio di potere/dominio, dal rafforzamento o mantenimento della propria autostima alla creazione di relazioni diadiche e di un rapporto di intimità, dall’ottenimento di vantaggi materiali all’espressione di ostilità ecc. Pur non essendo inserito all’interno di sequenze stadiali, lo sviluppo psicosessuale è costellato da esperienzialità significanti e vissuti impressivi che sin da subito lasciano una traccia mentale-corporea sull’individuo e che si dipanano lungo l’intero arco di vita.

Posta tale premessa, l’excursus psicosessuale di se-

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guito presentato verrà estrinsecato grazie ad una operazione di suddivisione nei principali momenti di vita, unicamente per fini di maggiore fruibilità del testo e chiarezza espositiva.

Vita intrauterina e Infanzia È basilare iniziare a riflettere su un singolare dato che Masters e Johnson (1986) rilevarono in un loro studio ovvero quello che durante il periodo intrauterino, alcuni mesi prima della nascita, sono già presenti riflessi di erezione nei maschi che si ripropongono anche pochi minuti dopo la nascita. Per quanto riguarda le femmine gli stessi Autori hanno riscontrato la presenza di lubrificazione vaginale ed erezione clitoridea ad un solo giorno di vita. Ritroviamo frequentemente queste stesse risposte in occasione di stimolazioni sensoriali e contatti corporei genitorefiglio, in particolare nel momento dell’allattamento e durante la pulizia: fin dai primi attimi di vita è evidente come la stimolazione delle zone erogene e degli organi sessuali, essendo fonte di piacere, viene attivamente ricercata dai piccoli.

Quando diviene possibile per il bambino il controllo volontario dei movimenti, ovvero verso i sei-sette mesi, iniziano le prime attività auto-stimolatorie dirette nei maschi per poi divenire sempre più manifeste e frequenti verso i quindici-sedici mesi. Nelle femmine, invece, l’auto-stimolazione e l’auto-esplorazione compaiono più tardi, a dieci-undici mesi, prevalentemente sotto forma di stimolazione indiretta, ad esempio dondolandosi, strusciandosi o strin-

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gendo le cosce (Fenelli e Lorenzini, 1998). Intorno ai due-tre anni, e in crescendo fino ai cinque-sei anni, le autostimolazioni si fanno sempre più complete (Fenelli et al., 1998) ed è possibile anche che i bambini di entrambi i sessi si servano di oggetti (per esempio l’altalena, la bicicletta, il cuscino ecc.) per ricorrere al contatto auto-stimolatorio genitale (Galenson e Roiphe, 1974), una masturbazione prepubere che alcuni studiosi confermano presente nel 56% dei maschi e nel 30% delle femmine (Elias e Gebhard, 1969).

La consapevolezza del proprio ruolo sessuale, visibile attraverso l’inscenazione di giochi di ruolo, inizia ad essere presente nei bambini a partire dai tre ai cinque anni, anche grazie all’osservazione del modello genitoriale (Dettore, 2001).

La caratterizzazione sessuale non deve essere considerata il risultato dell’identificazione, concetto ampiamente espresso da Freud (1974), in quanto essa è la conseguenza della formazione della tipologia sessuale: il bambino diviene consapevole del suo ruolo sessuale in modo stabile verso i cinque-sei anni, producendo valori e atteggiamenti specifici del proprio sesso. A questa età si osservano modalità di gioco in cui di solito le bambine si adoperano in attività prettamente femminili (cucinare, stirare ecc.) e i bambini in quelle maschili (giocare agli indiani, fare i poliziotti ecc.), manifestando marcate preferenze per giocattoli culturalmente più appropriati ai diversi sessi (bambole versus soldatini). Oltre all’identificazione e all’attribuzione di ruolo è importante per l’apprendimento della differenziazione del ruolo e dell’identità di genere, la complementarità ovvero differenziarsi in modo com-

plementare dai membri del sesso opposto (Dettore, 2001).

Con l’aumentare dell’età all’auto-esplorazione viene affiancata una etero-esplorazione, fondamentale anch’essa per lo sviluppo dell’identità di genere e di ruolo, che assume pure caratteristiche di curiosità erotica e gioco sessuale (esibizione reciproca dei genitali, “gioco del dottore” ecc.) e che può avvenire tra bambini dello stesso sesso o di sesso diverso (Kinsey, Pomeroy e Martin, 1948; Kinsey et al.,1953). È propria dunque dei giochi esplorativi una volontà di rafforzare una personale identità sessuale ponendola a confronto con quella dei coetanei dello stesso sesso, attraverso attività ludiche come la misurazione degli organi genitali, la masturbazione collettiva e le gare di potenza urinaria (Fenelli et al. 1998).

A partire dagli ottonove anni la masturbazione, il coito, l’attività anale e orale sono cercate attivamente e possono essere sperimentate in modalità omosessuali o eterosessuali, in situazioni solitarie, gruppali e di coppia, interessando anche la diade fraterna (Dettore, 2001). Le eventuali esperienze a carattere omosessuale si definiscono come una modalità di sperimentazione della sessualità e va chiarito che non hanno alcuna connessione con l’orientamento sessuale (Fenelli et. al., 1998).

Periodo puberale Con l’intensa attivazione ormonale, con una maggiore maturazione sessuale, cognitiva ed emotiva che contraddistingue la pubertà si assiste a cambia-

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menti psicologici, sociali, relazionali, alla comparsa dei caratteri sessuali secondari e all’inizio di un desiderio sessuale maggiore e più definito che si avvale anche dell’immaginario e dell’attività onirica di tipo erotico. La pubertà si manifesta nelle donne in particolare con il menarca, segno dell’inizio della capacità riproduttiva: da questo momento in poi, socialmente e culturalmente, la ragazza viene considerata una giovane donna. È un momento assai rilevante e delicato che può essere vissuto in modo accettante o rifiutante; l’educazione e la preparazione ricevute, come pure l’atteggiamento genitoriale, in questo caso influenzano moltissimo il vissuto personale. Nel periodo puberale nei maschi la masturbazione, presente anche precedentemente, si completa con la capacità eiaculatoria (da ricordare che l’orgasmo può essere provato anche in età molto precoce, fin dai sei mesi di vita (Bakwin, 1973)).

L’autoerotismo, che investe entrambi i sessi, è un vissuto della sessualità molto importante poiché esso serve per conoscere se stessi, il proprio corpo e la propria intimità ed è accompagnato da fantasie sessuali. Queste rappresentano un bagaglio mentale che espleta la funzione di ampliare a livello immaginativo il personale repertorio sessuale e di sperimentare quali immagini possono indurre e mantenere l’eccitazione. L’immaginario, anche quello erotico, è uno degli elementi che concorre ad un dinamico equilibrio sessuale in quanto serve, secondo una prospettiva evoluzionistica, a creare ipotesi sul mondo per poterle utilizzare anticipatamente, a pianificare meglio il futuro, a garantirsi una maggiore possibilità di sopravvivenza e riproduzione intese nell’ottica della selezione naturale, ad economizzare le risorse personali di fronte alle necessità e a prospettarsi le conseguenze dei comportamenti per meglio controllarli (Fossi e Mascari, 2001). Le fantasie inoltre possono anche servire sia come segnali di avvertimento di pericoli relazionali sia come opportunità per la mente di riflettere sui suoi processi (Knox, 2005).

Adolescenza Tra i tredici e i quindici anni all’interno della popolazione maschile si assiste ad un rapido incremento del numero di soggetti che praticano la masturbazione. La proporzione degli adolescenti maschi che si masturbano aumenta circa due anni dopo l’inizio della pubertà. Tale incremento è per le femmine maggiormente graduale nel tempo. Numerosi studi confermano che più del 90% dei maschi e circa il 50% delle femmine si è masturbato entro la fine dell’adolescenza (Dettore, 2001).

Progredendo d’età si arriva all’adolescenza, periodo in cui si approda progressivamente ad una sessualità

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maggiormente agita, che vede nel necking e nel petting rilevanti occasioni di conoscenza di sé e del partner, e l’esperienza coitale, uno dei momenti o modi di affermazione di indipendenza propria dell’adolescente. Ora la perdita della verginità risulta essere caratterizzata da aspetti e atteggiamenti di natura biologica, personale, sociale e culturale con una variabilità intraindividuale e interindividuale assai accentuata. L’età media stimata del primo rapporto sessuale completo in Italia, secondo gli studi condotti sulle generazioni nate negli anni ’70 da Kontula (2004) e Ongaro (2004), è di 19 anni per le donne e 18 anni per gli uomini.

Posti di fronte a tali cospicui mutamenti relazionali e delle condotte, indipendentemente dall’aver avuto i primi rapporti sessuali, i giovani, specie coloro che si sentono o si sono sentiti “costretti” ad agire la sessualità, ricercano consulenze psicologiche in consultori, cliniche, professionisti privati ed esprimono un forte desiderio di parlare riguardo al sesso, alla sessualità e all’affettività (Labor et al., 2005). È questo dunque un interessante dato che ci fa comprendere quanto occorra accogliere le necessità e i dubbi che gli adolescenti portano in ambito familiare, scolastico e professionale da parte degli adulti, senza imbarazzi, forzature, ma con serena chiarezza e semplicità. Una conferma di ciò ci proviene da uno studio recente di Rojas-Guyler e King (2008) su un campione di adulti di origine sudamericana che rileva come la scoperta di sé, gli amici e i media siano più comunemente considerati risorse per l’educazione sessuale. Più del 60% dei partecipanti al loro studio ritiene che sia i familiari che gli insegnanti dovrebbero essere responsabili per l’educazione sessuale dei propri giovani. Inoltre è stato visto che un livello di educazione e acculturazione più basso è correlato a considerare i pari e i media come risorse primarie dell’educazione sessuale. In questa stessa ricerca si evidenzia che coloro ai quali i genitori hanno affrontato almeno una volta l’argomento della sessualità hanno una maggiore probabilità di utilizzare il profilattico durante i rapporti sessuali.

Età adulta Con il termine dell’adolescenza il trend dei comportamenti sessuali subisce un’ulteriore variazione: si registra infatti dallo studio sulle abitudini sessuali condotto da Signorelli e Renzi (1996) che in Italia tra i diciannove e i ventiquattro anni oltre il 66% delle persone ha avuto un rapporto sessuale completo, che la percentuale di rapporti di tipo anale si attesta al 25% circa e che i rapporti sessuali durante il mestruo è del 50% circa.

Per quanto riguarda le abitudini sessuali in età adulta si osserva che la frequenza settimanale media dei rap-

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porti è pari a 1,1: maggiore negli uomini (1,3) rispetto alle donne (1,0); nelle persone sposate o separate (1,3) rispetto a quelle mai sposate o divorziate (1,1). Tra i 18 e i 39 anni la frequenza settimanale è di 1,5; tra i 40 e i 49 è di 1,3; tra i 50 e i 59 è di 0,9 e tra i 60 e i 69 è di 0,4 (Smith, riportato in Dettore, 2001). Dovendo, invece, considerare i comportamenti sessuali secondo una prospettiva globale, degni di nota sono i risultati degli studi di Wellings et al. (2006) condotti su 59 paesi, i quali rilevano che si sta assistendo, nella maggior parte delle nazioni esaminate, ad un cambiamento che si spinge nella direzione di matrimoni più tardivi, conducendo così ad un incremento del sesso prematrimoniale, prevalenza che è maggiore nei paesi sviluppati rispetto ai paesi in via di sviluppo e negli uomini rispetto alle donne; inoltre la monogamia è un pattern dominante riscontrabile ovunque, ma aver avuto due o più partner sessuali negli anni passati è più comune negli uomini che nelle donne; infine l’uso del profilattico è aumentato in prevalenza quasi in tutte le nazioni, anche se le percentuali rimangono basse in alcuni paesi in via di sviluppo. Oltre a ciò sono da citare ricerche statunitensi, effettuate su soggetti di età compresa fra i 25 e i 59 anni, le quali mostrano che il 90% degli uomini ha avuto un rapporto sessuale con una donna entro l’anno precedente lo studio; nel corso della sua vita il 20% ha avuto una sola partner, il 55% fra 2 e 19 partner (un range di riferimento un po’ troppo ampio!) e il 20% più di venti (Seidman e Rieder, 1994). Secondo un’altra ricerca, la maggior parte delle donne sposate ha rapporti sessuali con un solo uomo e più del 98% ha un solo partner sessuale nel corso dei tre mesi precedenti lo studio (Seidman et al., 1994). Nelle donne non sposate è comune l’assenza di rapporti sessuali e questo fenomeno aumenta con l’età. Nel corso della vita due terzi delle donne adulte ha avuto due o più partner sessuali (Laumann et al., 1994).

strano che la psicosessualità può essere vissuta anche ad età notevolmente avanzate. Spesso l’anziano viene visto come una persona alla quale non è concesso di esprimere la propria sessualità a causa del pregiudizio che essa coincide con la capacità riproduttiva, la prestazione e l’efficienza.

La senescenza non va ingenuamente considerata una perdita o un impoverimento delle funzioni sessuali: potenzialmente un individuo in salute mantiene la propria efficienza sessuale in media fino ai 70-75 anni (Barucci, 1990). A 50 anni il 97% degli uomini e il 93% delle donne hanno rapporti sessuali soddisfacenti così come, dopo i 60 anni il 94% degli uomini e l’84% delle donne (Kinsey, Pomeroy e Martin, 1948; Kinsey et al.,1953). Come conferma Freeman (riportato in Moderato e Rovetto, 2001) a ottanta anni è possibile, per una discreta percentuale, essere ancora capaci di avere desideri e rapporti sessuali. La sessualità, tuttavia, nelle persone anziane dipende notevolmente da come essa è stata vissuta in età precedenti, specie in gioventù; avere avuto e aver mantenuto nel corso della vita un certo grado di attività sessuale protegge il funzionamento sessuale stesso (Martin, 1981). La persona anziana può, dunque, godere in modo gratifi-

Età senile Nell’età senile, come in ogni momento della vita, la persona mediamente in buona salute può contattare e vivere senza paure la propria affettività e sessualità in modo soddisfacente: il processo di invecchiamento determina negli individui un cambiamento psicofisico e sociorelazionale che investe ovviamente anche la sfera sessuale. Numerose ricerche (Moderato e Rovetto, 2001) dimo-

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cante della propria sessualità, se supera atteggiamenti e preconcetti squalificanti, spesso motivo di una “ritirata sessuale”.

Dopo aver fornito una finestra sul mondo dei principali comportamenti, atteggiamenti e abitudini sessuali e affettive, auspichiamo, grazie anche ad un’affidabile e professionale azione informativa e applicativa di prevenzione e promozione della salute ses-

suale, che ogni individuo possa vivere consapevolmente, spontaneamente e liberamente la psicosessualità, l’affettività e l’intimità in ogni sua forma per tutto l’arco vitale, seguendo soprattutto un principio di gioco, di piacere, di rispetto, di scoperta di sé e dell’altro.

Valentina Benoni Degl’Innocenti Simone Pesci

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Bancroft, J. (1989). Human sexuality and its problems. Edimburgh: Churchill Livingstone.

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Il disegno onirico e la creatività teatrale Riassunto L’Autore intende descrivere due esperienze, svolte nel ruolo di trainer, con gruppi teatrali, comunicando, con tale contributo, la ricchezza e la peculiarità formativa del Disegno Onirico. Esercizi e modalità intimamente attivanti la persona su di un piano affettivo-emotivo e personologico, strumenti di intervento di grande significatività personale che si basano sull’immaginazione, la creatività e l’espressività. Il Disegno Onirico ha consentito ai partecipanti un’occasione di riflessione comune sui loro personaggi e una partecipazione profonda finalizzata alla preparazione della loro rappresentazione teatrale.

Abstract The Author wants to describe two experiences, in the role of trainer, with a theatrical group, communicating, with this written, the formative richness and distinctiveness of Oniric Drawing. Exercises and ways deeply activators on a level affective-emotional and about personality, all the aid instruments of big personal meaningfulness that are based on imagination, creativity and expressiveness. The Oniric Drawing has allowed to the participants an occasion of common reflection about their characters and a deep participation to preparation of their theatrical performance.

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uello che propongo qui non è un saggio teorico, bensì il resoconto di alcune esperienze, svoltesi in tempi e luoghi diversi, ma con una fondamentale continuità, con due gruppi teatrali che perseguivano uno scopo ben preciso. Del Disegno Onirico (Bermolen, Dal Porto e Moretto, 2001; Dal Porto e Bermolen, 2002) mi sono servito in maniera non esclusiva né dogmatica, ma adattandolo alla situazione, che era quella della “creazione” di personaggi.

Gli incontri si sono svolti nel settembre 2005 presso Falconara Marittima, poi nell’aprile 2006 presso la sede del centro culturale “L’acchiappasogni” della stessa località con il gruppo che realizza il “Don Quijote e le pale eoliche”, mentre l’incontro del giugno 2006, è stato finalizzato allo spettacolo “Le lavandaie”, con attori diversi, salvo due eccezioni. Due spettacoli differenti, dunque, sette partecipanti nel percorso più lungo, tredici nel secondo; età comprese tra i 25 anni e i 50 nel primo gruppo, tra i 28 e i 55 nel secondo, con una netta dominanza femminile: un solo attore di sesso maschile nel primo gruppo e due nel secondo. Regista e

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drammaturgo di entrambi i progetti è stato Giovanni Zurzolo, l’organizzazione-realizzazione è a cura del citato “Acchiappasogni”, ma anche del gruppo teatrale “Teatro TerraTerra”.

Prescindo qui dagli spettacoli come prodotto finitonon finito e dal divenire drammaturgico, per l’ovvio motivo che ciò compete al regista-drammaturgo e agli attori, mentre farò qualche cenno alle dinamiche interne ai gruppi.

Il lavoro di settembre, svoltosi in gran parte all’aperto nasceva da una condizione particolare in quanto

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nessuno mi conosceva, con l’eccezione del regista e di un’attrice, quindi molte domande erano ristrette alla richiesta di informazioni generali quali per esempio: “Che cosa intendi per Disegno Onirico?”.

Rispondendo, ho cercato di far capire come sia meglio partire dal “fare” per poi magari “parlare”/ “ragionare”, ma ho fornito comunque risposte alle domande. Ho poi sottolineato come nessuno debba farsi problemi sul fatto di non saper disegnare, come in realtà ci si esprima ben al di là di quanto “codificato”. Il che cosa significhi, poi, ho cercato di “darlo” solo in pillole, comunque spiegando a priori come non si debba mai iperinterpretare o comunque interpretare negando la privacy della persona. Si è quindi proposto, da parte dell’operatore, di interpretare eventualmente, a richiesta, i disegni durante le pause.

La situazione si è sostanzialmente ripetuta per il secondo gruppo, quello di fine giugno 2006, ma in quel caso la necessità di contrarre i tempi mi ha dato l’occasione di limitarmi ai criteri interpretativi generali.

Successivamente si è lavorato molto intensamente per poi passare infine a quanto richiesto, cioè alla “riflessione” comune sui loro personaggi nel ”Don Quijote”, il che riportava tutti in medias res, con la presentazione di abbozzi di personaggi (non dei loro personaggi, in questa fase) da parte dei partecipanti.

La sessione di aprile si è aperta con l’ascolto de “L’Homme de la Mancha”, il “Don Quijote”, originariamente di Leigh-Wasserman, poi completamente riscritto da Jacques Brel, che ho cercato di contestualizzare per un po’ (ne avevo previamente tradotto il testo e, unitamente a brevi note storiche, lo avevo inviato via e-mail, circa un mese prima della sessione stessa), favorendo un impatto emotivo forte, su cui però si è lavorato, sostenendo chi scrive non esser possibile fermarsi a questo.

Il resto del programma ha previsto: l’esercizio di Disegno Onirico sulla strada con il nome del partecipante, l’incontro con i due “maghi”, l’orco che non fa paura, l’esercizio sul labirinto, un altro esercizio di mia concezione sulla scena in movimento da immaginare, dove poi ogni partecipante era invitato a cercare il proprio personaggio, a disegnarlo e a scrivere un dialogo con lui. Ho poi inserito una parte relativa alla simbologia, seguendo l’interpretazione junghiana, ma soprattutto lasciando ampi spazi ad interventi. In quest’occasione tutte le componenti del gruppo si sono espresse con molta efficacia, sicché anche le poche indicazioni teoriche non sono risultate pesanti, anzi sono nate assieme nel gruppo, non dall’operatore.

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Il gruppo ha poi dovuto confrontarsi con forme concrete percepite/percepibili e il relativo esercizio di Disegno Onirico e produzione testuale.

Ho poi proposto l’esercizio più “scomodo”, quello delle persone da cui ti sei sentito più amato etc.

(Dal Porto e Bermolen, 2004, p. 72-73), esercizio “scomodo” perché mette a contatto anche con i lati oscuri della propria vita e personalità, il quale tuttavia non ha creato problemi a nessuno. La giornata conclusiva è partita con una sorta di warming-up, riprendendo diversamente l’esercizio delle iniziali, collegate tra loro, mentre in seguito ho cercato, chiedendo ad ognuno dei partecipanti di caratterizzare in qualche modo il proprio personaggio o teatralmente o meno.

Tutti, nonostante la fatica di quelle giornate, hanno caratterizzato bene il proprio ruolo/i propri ruoli, non senza che siano emersi da parte di tutti giudizi, ma anche sensazioni forti. Sia dagli attori, sia dal regista, che, dovendo rubricare-registrare-aiutarmi con le musiche, ha potuto seguire solo parzialmente il lavoro, sono venuti apprezzamenti entusiastici.

In tutti, al di là del fattore emotivo-affettivo, molto importante per chi ha voluto offrire questo modesto contributo, c’è stata la constatazione della novità feconda del metodo, da inserire (opinione generale) in future preparazioni di spettacoli.

Il secondo gruppo-spettacolo (“Le lavandaie”, ispirato a e da tradizioni popolari e leggende marchigiane) s’è svolto in una giornata sola ed ha replicato l’esercizio sulle figure concrete-percepibili, per poi procedere con quello sulla fiaba degli occhi (Un occhio, due occhi, tre occhi) con il relativo esercizio sulla “mostra del mondo primario” (Dal Porto et al., 2004, pp. 33-35).

A partire da alcune brevissime notazioni teoriche, fornite induttivamente, cioè dopo aver sperimentato il Disegno Onirico, tutti i partecipanti, coltissimi e molto motivati, hanno chiesto ragguagli, aggiungendo riflessioni importanti, ma soprattutto sensazioni e impulsi. Ho poi enucleato il tema dell’acqua, proponendolo come simbolo archetipico, fonte di vita e liquido amniotico, quindi tra citazioni “alte” (Jung, la poesia greca ecc.), ma anche “popolari” dalla chanson française (“Les desésperées” di J.Brel: “Voilà la bonne hotesse,/ voilà la fin du monde”- “Ecco la buona ostessa, ecco la fine del mondo) a quella italiana (Mogol-Battisti: “Un tuffo dove l’acqua è più blu/niente di più”…“O mare nero/ mare nero/ mare ne/Tu eri chiara e trasparente come me...”). Un tema sviscerato e rielaborato sul proprio e sugli altrui personaggi: la rassegna di personaggi non è certo stata una “sfilata” né una passerella, perché in ogni caso ho riproposto loro altri temi “forti” come “le lenzuo-

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la”, facendo pensare, ma invitando a produrre testi e disegni per conto loro, anche a partire dal puro e dall’impuro, ancora del femminile, dei risvolti storici, ma anche storico-mitici.

Del feedback non vorrei più dire; dirò solo che “esiste uno stretto rapporto, inscindibile rapporto fra immaginazione e azione: immaginare qualcosa è prepararsi ad essa, un preparativo che tende poi a realizzarsi nell’azione” (Pesci, 2004, p. 7). Credo che, al di là del

pre-testo (mito, fiaba, altro), sempre tenendo conto degli archetipi fondamentali comunque implicati, l’azione debba qui presupporre assolutamente l’immaginazione, che il Disegno Onirico attiva in modo determinante. La ricaduta sull’azione teatrale è assicurata, anche se poi la valutazione estetico-poetica non compete a chi scrive.

Eugen Galasso

Bibliografia Bermolen, A., Dal Porto, M.G. e Moretto, L. (2001). La via del simbolo. Roma: CVX. Dal Porto, M.G. e Bermolen, A. (2002). Disegno onirico. Firenze: ISFAR. Dal Porto, M.G. e Bermolen, A. (2004). La fiaba come risveglio dell’intuizione. Roma: Magi.

Pesci, G. (2004). Prefazione. In M.G. Dal Porto e A. Bermolen. La fiaba come risveglio dell’intuizione. Roma: Magi.

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Aspetti psicologici del bambino e dell’adolescente obeso: lo sguardo costruttivista Riassunto Secondo l’OMS l’obesità infantile rappresenta una seria minaccia, in costante aumento, alla salute pubblica a causa delle gravi complicazioni mediche e psico-sociali ad essa associate. Attualmente il trattamento più diffuso è rappresentato dalle terapie cognitivo-comportamentali che si sono dimostrate efficaci nel breve termine nel ridurre l’eccesso ponderale, grazie a programmi di controllo e modificazione degli stili di vita e delle abitudini alimentari. L’effetto a lungo termine di tali trattamenti tuttavia non è stato dimostrato. Nel presente articolo viene esposto il punto di vista costruttivista evolutivo che propone un approccio alternativo all’obesità infantile non centrato sull’eliminazione del sintomo, ma sulla sua comprensione in un’ottica funzionale: a chi o a che cosa serve il sintomo?

Abstract According to the WHO, childhood overweight is alarmingly increasing, and it represents a threat to public health due to serious medical and psychosocial problems it is associated with. At the present time cognitive-bahavioural therapy is the most accepted treatment for youth obesity, appearing to be effective in the short term in reducing excess weight through programs of control and modification of lifestyle and dietary habits. A long term effect of this kind of therapies on weight maintenance however has not been established yet. The present article exposes the constructivist viewpoint, suggesting an alternative approach to youth obesity, not centered on symptoms’ elimination, but rather focused on its understanding under a functional point of view: who or what needs the symptom?

N

on esiste una definizione comunemente accettata di obesità infantile, anche se generalmente l’obesità è definita come un Indice di Massa Corporea (BMI) maggiore o uguale al 95° percentile, mentre il rischio di obesità è definito come un BMI compreso tra l’85° e il 95° percentile, con riferimento alle curve di crescita tarate su genere ed età (Centers for Disease Control and Prevention, 2006).

Negli USA, circa il 15% dei bambini (tra i 6 e gli 11 anni) e il 15,5% degli adolescenti (tra i 12 e i 19 anni) sono obesi, con un aumento negli ultimi vent’anni dell’8% circa (dal 7% al 15,3% nella fascia 6-11 e dal 5% al 15,5% nella fascia 12-19).

In Italia i risultati di un’indagine promossa dal Ministero della Salute indicano che all’età di 9 anni in città campione di Lombardia, Toscana, Emilia Romagna, Campania, Puglia e Calabria il 23,9% dei bambini è in soprappeso ed il 13,6% è obeso, evidenziando una maggior prevalenza di obesità infantile nelle regioni meridionali (16% a Napoli) rispetto a quelle settentrionali (6.9% a Lodi).

Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità l’obesità infantile rappresenta, in maniera sempre crescente, una seria minaccia alla salute pubblica a

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causa delle gravi complicazioni mediche a breve e lungo termine ad essa associate: i bambini obesi infatti sono a rischio di ipertensione, asma, resistenza insulinica, sindrome metabolica, problemi muscoloscheletrici, apnee ostruttive del sonno e diabete di tipo II (Freedman et al., 2005; Cruz et al., 2005; Goran et al., 2003; Weiss et al., 2004; Kiess et al., 2001).

Oltre a ciò un numero sempre crescente di ricerche indica come l’obesità abbia anche ricadute deleterie di carattere psicosociale sui bambini. L’obesità è infatti spesso associata ad aspetti di stigmatizzazione e discriminazione dell’individuo obeso, visto socialmente come persona priva di volontà, pigra ed autoindulgente. Essere un bambino obeso nella nostra società comporta spesso prese in giro da parte di compagni e famigliari, bullismo, esclusione dal gruppo dei pari ed isolamento. Non è difficile immaginare come tutto ciò possa avere ricadute anche gravi sul benessere psicologico del bambino. Diversi studi riportano una maggior incidenza nei bambini obesi di depressione, ansia, scarsa autostima ed autoefficacia, in particolar modo rispetto all’autopercezione corporea (Shin et al., 2008; Storch et al., 2007; Zeller et al., 2004; Braet, 1997). L’autoefficacia percepita

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(Bandura, 1986) consiste nelle credenze che gli individui hanno riguardo la propria efficacia nel gestire le situazioni ed ottenere dei risultati. La percezione di scarse competenze nell’attività fisica è spesso associata a reali difficoltà dovute anche alla condizione di soprappeso ed entrambi questi aspetti giocano un ruolo fondamentale nell’inibire la partecipazione del bambino ad attività di questo genere, innescando un circolo vizioso in cui evitare l’attività temuta rinforza l’idea di una sostanziale incapacità fisica, la quale non viene di fatto mai messa alla prova né modificata.

Obesità e aspetti psicologici Ma qual è il ruolo degli aspetti psicologici nella genesi e nel mantenimento dell’obesità infantile?

In primo luogo sarebbe bene distinguere tra obesità

con cause organiche chiaramente rintracciabili (ad esempio disendocrinopatie, tumori o lesioni che interessano il nucleo ventromediale dell’ipotalamo, sindromi genetiche) ed obesità in cui non vi siano ragioni organiche che spieghino il quadro di grave soprappeso. Nel primo caso le componenti psicologiche possono riguardare le risposte emotive e cognitive del singolo individuo e dei suoi famigliari ad una condizione di patologia fisica, sulla quale il controllo dell’individuo è scarso o nullo.

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Nel secondo caso diversi aspetti di tipo relazionale, famigliare e psicologico possono rivestire un ruolo rilevante nella genesi e nel mantenimento dell’obesità.

Attualmente il trattamento d’elezione per l’obesità infantile è rappresentato da approcci di tipo cognitivo-comportamentale, basati sulla modificazione degli stili di vita (attività fisica) e delle abitudini alimentari, sia del bambino che della sua famiglia. Tuttavia, se da un lato tali interventi mostrano un’efficacia nel breve termine, il mantenimento dei risultati conseguiti nel lungo termine è ancora da dimostrare (Wilfley et al., 2007), anche a causa della mancanza di criteri universalmente condivisi per definire un trattamento di successo (Epstein et al., 2007). Il modello di intervento cognitivo-comportamentale appare, almeno nel breve termine, significativamente più efficace, nella riduzione del peso, di interventi di tipo nutrizionale/educazionale restrittivi (Epstein et al., 2007), in quanto coinvolge nel cambiamento tutto l’ambiente famigliare e non solo il bambino, educando a sviluppare abilità e capacità di controllo sul sintomo (attività fisica e assunzione di cibo). Tuttavia, un intervento basato sul controllo del sintomo esercitato dai genitori potrebbe avere effetti iatrogeni: i normali momenti di allentamento del controllo o di defaillance alimentare potrebbero causare o accentuare sentimenti di fallimento, delusione, frustrazione o senso di colpa, e il controllo esercitato dall’esterno potrebbe ostacolare lo sviluppo di una capacità autonoma e interna di regolazione dell’assunzione di cibo (Molinari e Cuzzolaro, 2000).

L’ottica costruttivista evolutiva Tali considerazioni appaiono più facilmente comprensibili facendo riferimento ad un quadro teorico in cui il “sintomo” psicologico venga considerato non tanto un mero accidente esterno più o meno

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casuale di cui liberarsi al più presto, bensì un aspetto che riveste un’importante funzione di equilibrazione dei rapporti all’interno della famiglia dell’individuo che lo manifesta. In un’ottica costruttivista, il sintomo psicologico assume dunque un significato relazionale e rappresenta “la miglior soluzione possibile”, che, per quanto drammatica, è comunque vitale nel mantenimento dello stato di relazione con le figure di attaccamento (Ciotti e Lambruschi, 2007).

Per questo motivo diviene di fondamentale importanza comprendere la funzione rivestita dal sintomo e i meccanismi della storia di sviluppo che hanno condotto ad una tale organizzazione.

Benché ogni caso presenti specificità che andrebbero comprese e spiegate in un’ottica funzionale (a chi o a cosa serve il sintomo?) piuttosto che descritte con criteri nosografici, è possibile individuare alcune modalità peculiari di strutturazione, spiegazione e narrazione della propria esperienza immediata, che caratterizzano i bambini con obesità e le loro famiglie. Tali pattern si evolvono in maniera interdipendente con il modello di attaccamento che il bambino sperimenta con le figure significative, a partire già dalle prime settimane di vita (Blanco et al., 2007).

Sin dalle prime interazioni con le figure d’attaccamento infatti i bambini imparano ad adattare il proprio comportamento alle richieste provenienti dalle figure genitoriali. Quando i genitori non sono in grado di cogliere e differenziare il significato di diverse espressioni di bisogno da parte dei propri figli, manifestati anche attraverso il pianto (fame, sonno, desiderio, gioco, malessere fisico etc.; Chatoor, Egan et al., 1988), il bambino sperimenterà frustrazione e mancata comprensione dei sentimenti espressi e dei propri bisogni, unita ad una percezione della figura di riferimento come ambigua, inattendibile e con comportamenti discrepanti rispetto alle proprie esigenze emotive. Tale ambiguità nella risposta genitoriale ai bisogni espressi dal bambino contribuirà a creare uno scambio emotivo che non consente la discriminazione, da parte del bambino stesso, dei propri stati interni, che vengono in questo modo più facilmente regolati dall’esterno, attraverso definizioni materne che si sostituiscono a quelle dell’individuo. La confusione nel riconoscere e regolare le proprie emozioni ostacola i processi di differenziazione somato-psicologica indispensabili per discriminare tra gli stati emozionali (rabbia, paura, tristezza, bisogno di conforto) e le sensazioni somatiche (fame, sazietà, sonno) (Blanco et al., 2000).

In questo modo l’alimentazione diventa scandita dagli stati affettivi e non più dai centri ipotalamici regolatori della fame e della sazietà: uno stato di attivazione psicofisiologica può così non essere codifi-

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cato e compreso nelle sue componenti più squisitamente emotive (ad esempio rabbia per un sopruso subito, ansia per una prestazione scolastica etc.), e venir “letto” come bisogno prettamente fisico, ad esempio fame. Il cibo diventa così il luogo in cui il bambino può controllare il suo ambiente ed esprimere le proprie esigenze vitali incomprese. La continua assunzione di cibo, indipendente dal bisogno fisico ad alimentarsi, può arrivare a svolgere una funzione distraente e di distanziamento dalle emozioni negative di solitudine e bassa amabilità, tipiche dei pattern di attaccamento evitanti (Ciotti e Lambruschi, 2007).

Questa difficoltà a definire dall’interno i propri stati e i propri desideri porta ad una preponderanza, nei bambini e negli adolescenti obesi, di aspetti relativi a passività ed incapacità di controllo dei propri impulsi con comportamenti compulsivi e sregolati di assunzione di cibo.

Durante l’adolescenza la percezione di sé è dunque vaga e indefinita e si struttura intorno a confini oscillanti tra due opposti: da un lato il bisogno incondizionato di approvazione da parte di persone significative per provare a dare una definizione al proprio sé percepito come lasso; dall’altro la paura, altrettanto assoluta, di poter essere giudicati, non compresi o disconfermati da tali persone proprio a causa della propria indefinitezza e del basso senso di amabilità percepito (Di Pasquale et al., 2003; Blanco et al., 2007).

Gli adolescenti obesi inoltre tendono ad adottare uno stile di attribuzione di causalità interno, per cui le delusioni e le disconferme vengono percepite come inevitabili e sempre imputabili al sé e al proprio aspetto fisico, con un senso pervasivo di sconfitta e di delusione verso se stessi (Blanco et al., 2007).

Conclusioni Dalla breve rassegna fin qui esposta emerge come il sintomo alimentare talvolta rappresenti l’unica soluzione possibile per dare una forma ad un’identità che viene definita esclusivamente attraverso standard di riferimento esterni. Così avere un corpo brutto e inaccettabile diviene il tentativo di attribuire i propri vissuti di incapacità e bassa amabilità ad aspetti esteriori: gli eventuali rifiuti da parte degli altri significativi possono essere così ricondotti alla sgradevolezza dell’aspetto fisico preservando in questo modo un senso di sé accettabile (Guidano, 1991).

Ammettere di essere rifiutati, non amati e di essere deludenti a causa di aspetti centrali della propria personalità, potrebbe essere troppo oneroso emotivamente per l’individuo, mentre attribuire tali negatività ad una caratteristica fisica, meno centrale per

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l’identità, consente di mantenere più intatto il senso di sé.

Un approccio terapeutico all’obesità infantile ed adolescenziale centrato esclusivamente sul controllo esterno del sintomo, potrebbe risultare efficace nel breve e medio termine, ma non tener conto della funzione che in un determinato contesto quel sintomo svolge. La mancata considerazione di questo punto potrebbe essere alla base delle difficoltà a mantenere i risultati di calo ponderale nel lungo ter-

mine, laddove la manifestazione “sintomatologica” tende a riapparire quando le condizioni di rappresentazione del sé e del mondo che l’hanno generata e mantenuta non sono mutate. L’ottica costruttivista evolutiva può in questo senso risultare più utile nel comprendere i fallimenti delle terapie centrate sul sintomo ed aiutare a mettere a punto strategie terapeutiche più efficaci soprattutto nel lungo termine.

Sara Lo Scocco

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Percezione temporale, movimento e apprendimento Riassunto Elena Ester Simonetta mostra come percezione temporale, movimento e apprendimento, interagendo fra loro, sono elementi fondamentali nello sviluppo del bambino. Tenendo in considerazione questi elementi è possibile intervenire per prevenire o correggere difficoltà che sono causa di disprassia e dislessia.

Abstract Elena Ester Simonetta shows how temporal perception, movement and learning interacting each other, are importance elements in the children’s development. Examined these elements, is possible to take part to prevent or to correct all difficulties which are causes of dyspraxia and dyslexia.

L

a Percezione Temporale, ben distinta dalla Rappresentazione Mentale dello scorrere del tempo, si riferisce alla percezione delle durate e delle strutture ritmiche; è un qualcosa di mediato direttamente dai sensi, in particolare dall’udito e si situa sempre nel presente: è la percezione del successivo nel presente.

La stimolazione e l’arricchimento della percezione temporale affinano la formazione dello Schema Corporeo con l’obiettivo di consentirne l’orientamento anche nella dimensione temporale. Lo Schema Corporeo o Immagine del Corpo Operatorio è: “l’intuizione d’insieme o la conoscenza immediata che ognuno di noi ha nel suo corpo, statica o dinamica, in rapporto alle diverse parti tra loro, ed in rapporto alle informazioni sensoriali che riceve dal mondo esterno” (Le Boulch, 1975). Nella misura in cui questa conoscenza immediata del nostro corpo viene messa in gioco, nel corso di un movimento, risulta evidente come la nozione di ritmo si ricolleghi direttamente a quella di Schema Corporeo. La conoscenza immediata dello schema corporeo deve quindi consentire che l’immagine del corpo possa essere in movimento, quando questo si sposta, e che il movimento corporeo sia armonioso e continuo. Inizialmente, fin verso i 4/5 anni il bambino riconosce e si situa solamente nel presente, in questo stesso periodo, può già disporre di una buona percezione temporale che gli permette di riconoscere durate e di riprodurre strutture ritmiche non superiori ai 3 o 4 elementi costitutivi. Il bambino sviluppa la nozione di

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Tempo in due fasi successive: nella prima fase si assiste ad una evoluzione delle nozioni di ordine e durata, legate all’esperienza concreta immediata; nella seconda fase, collegata allo sviluppo cognitivo delle “operazioni reversibili” metterà in relazione fra loro i dati di ordine e durata in una successione.

La percezione temporale, attraverso la presa di coscienza delle durate e delle strutture ritmiche, porta il soggetto ad acquisire ed interiorizzare, tramite la memoria immediata, la rappresentazione mentale di un tempo o di una struttura ritmica. La tappa dell’esperienza percettiva temporale fine deve essere preceduta da una esperienza globale, in modo tale da sollecitare inconsciamente i centri nervosi automatici e ottenere delle ripercussioni affettive positive. È evidente che nel periodo da 0 a 3 anni i ritmi naturali o biologici del bambino sono quelli che organizzano l’attività automatica stessa. La discriminazione percettiva a livello temporale, evolve nel periodo del Corpo Percepito secondo una progressione prestabilita: dapprima si acquisisce la percezione delle durate, in un secondo tempo si è in grado di organizzare le differenti durate tra loro. Se a 3 anni il bambino è in grado di percepire, interiorizzare e riprodurre una struttura ritmica di due o tre battute, a 6 anni riesce a percepire e riprodurre strutture ritmiche dai quattro ai sei elementi. Infine, per quanto riguarda l’attività del Sistema Nervoso Centrale, bisogna ricordare che le informazioni sensoriali uditive di carattere temporale come le durate e le strutture ritmiche di una musica, e le informazioni sensoriali relative al

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timbro e all’altezza dei suoni sono veicolate da due sistemi afferenti diversi. Le prime, infatti, sono trasportate tramite la Branca Vestibolare che ha sede nell’orecchio interno: l’Utricolo e il Sacculo sono i centri dell’orecchio responsabili di queste informazioni; le seconde, invece, dalla Branca Cocleare, tramite l’organo del Corti. Il primo sistema uditivo, quello Vestibolare, è più primitivo rispetto al secondo Cocleare; ciò spiega perchè‚ il bambino, e in particolare il neonato, sia più sensibile alla ritmicità dei suoni, piuttosto che alle variazioni d’altezza degli stessi.

Se si vuole realizzare un lavoro percettivo e di sincronizzazione senso-motoria, si cercherà di fissare l’attenzione del soggetto su di un certo numero di dati quali il tempo, la struttura ritmica o le accentuazioni.

La manifestazione motoria del tempo, cioè la trasposizione visibile di un tempo nei movimenti della persona, si chiama cadenza. Sul piano percettivo, mentre il corpo si mette in accordo con la musica (sincronizzazione), avviene la presa di coscienza delle durate. La percezione delle durate consente di portare alla coscienza le diverse quantità di tempo che distanziano una battuta dall’altra; che generalmente vengono integrate nell’organismo in modo completamente incosciente e ne regolano l’andamento della sincronizzazione. Si possono così distinguere le distanze dei suoni più vicine o più lontane o se i tempi sono più lenti o più rapidi.

Una struttura ritmica è invece un insieme di battute diverse tra loro, costituenti un insieme unico che si ripete secondo delle leggi di strutturazione successiva all’interno di un tempo dato. Una struttura ritmica viene identificata e caratterizzata dalla accentuazione, che è un’intensificazione tonica di uno degli elementi della struttura. L’accentuazione che segue delle leggi precise di carattere culturale, ha degli effetti motori e tonici in quanto allunga la durata della nota accentuata. Il corpo nella sincronizzazione deve tradurre tonicamente l’accentuazione sonora della musica; per fare ciò è necessario che tra il corpo ed il suono ci sia un accordo tonico, che si esprime nell’allungamento tonico del movimento accentuato.

Lo sviluppo della percezione temporale nel bambino Le tappe dello sviluppo temporale rispecchiano appieno quelle dello sviluppo psicomotorio del bambino, che avviene nelle seguenti tappe (Le Boulch, 1988; Massenz e Simonetta, 1999): • “Corpo Subito” da 0 a 3 mesi • “Corpo Vissuto" dai 3 mesi a 3 anni • “Corpo Percepito" da 3 a 6 anni • “Corpo Rappresentato" da 6 a 12/14 anni

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Già all’età di 9 mesi il bambino agita gli oggetti con un gesto alternato a successione regolare che esprime la regolarità cinestesica; ad un anno è capace di emettere un’alternanza regolare e ritmata di suoni.

Alla scuola materna il bambino è in grado di compiere naturalmente delle prassie in modo armonico: salti, slanci, saltelli.

L’educazione della percezione temporale deve quindi consistere nel favorire la naturale attitudine del bambino ad ascoltare prima e di percepire poi tempi e ritmi nuovi e di sincronizzare i propri movimenti sui differenti andamenti ritmici. La particolarità della percezione temporale è che le informazioni riguardanti il tempo si situano nel presente, ma con un andamento successivo: le une dopo le altre.

Un altro fenomeno sonoro che si svolge in forma successiva è il linguaggio. Alcuni bambini per esempio che hanno problemi a livello della percezione temporale, dimenticano l’inizio della frase che hanno appena ascoltato, perchè‚ non sono in grado di memorizzare i dati successivi. Il lavoro di percezione temporale riveste quindi un’importanza considerevole, perchè‚ ha implicazioni sul piano uditivo, della motricità e quello del linguaggio.

La rappresentazione mentale di una struttura ritmica potrà avvenire nel bambino solo a partire dai 7/8 anni. La percezione di successione e velocità, prima, e poi l’immagine mentale della struttura temporale del movimento, precederanno la capacità di avere l’immagine mentale completa di una prassia. Questa immagine che corrisponde alla rappresentazione mentale del corpo mentre si sposta, si organizza a partire dai 9/10 anni. La strutturazione temporale si articola nelle seguenti tappe: ANNI

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CADENZA

STRUTTURA RITMICA

Progressiva percezione del successivo (suoni, voce, linguaggio) Strutture con 2/3 Riconoscimento durate diverse elementi Sincronizzazione senso-motoria incosciente

4/5

Percezione del successivo

3/4 elementi con differenti durate nel successivo

5

Organizzazione percettiva durate

5/6 elementi

6

Presa di coscienza del tempo: successione e durata

7/8 elementi

8/9

Possibilità di trasportare la struttura ritmica nelle prassie e di cambiare la velocità di una prassia

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10/12 elementi

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Il movimento umano è un fenomeno che si svolge nel tempo e nello spazio; inoltre si organizza in funzione di uno scopo da raggiungere e questa organizzazione gli conferisce unità. A volte la continuità del movimento nel suo insieme viene delimitata dal susseguirsi degli appoggi alternati a terra del nostro corpo, che pur spostandosi segmentariamente, mantiene una certa coordinazione tra le sue parti e ciò ha un significato unitario dell’insieme della prassia.

L’organizzazione temporale delle sequenze successive di un movimento sono: gli appoggi a terra dei piedi rappresentano il ritmo (struttura ritmica) del movimento. Queste sequenze successive devono essere organizzate in modo coordinato tra loro perchè il movimento risulti unitario. La continuità totale del movimento è quindi delimitata dai cambiamenti di appoggio con i quali si sposta il nostro corpo e la durata di un movimento può essere scomposta in tante parti (tempi) quanti appoggi intermedi dei piedi vi sono. Più questi appoggi sono strutturati in modo ritmico più il movimento risulta armonioso ed unitario.

La percezione temporale elemento fondamentale per prevenire la disprassia Gli elementi che si presentano sempre in successione nel comportamento umano sono il movimento e i fenomeni sonori. Il movimento umano e la musica sono fenomeni che si svolgono nel tempo, il movimento inoltre si svolge anche nello spazio (ampiezza e forma) ed è organizzato e finalizzato in funzione di uno scopo da raggiungere, questa organizzazione gli conferisce la sua unità.

Il movimento quindi ha una sua organizzazione interna che viene caratterizzata dalla durata temporale. L’organizzazione temporale delle diverse sequenze di una prassia, cioè di una coordinazione motoria finalizzata ad uno scopo, rappresenta la struttura ritmica del movimento. Il ritmo si presenta dunque come l’organizzazione o la strutturazione dei fenomeni che si svolgono nel tempo.

Per mezzo della percezione temporale e della relativa attenzione esterocettiva situata nel presente e nell’immediato possiamo riconoscere le informazioni che avvengono nel “successivo”. Il tempo è un fenomeno spontaneo nella persona, in quanto la stessa organizzazione neurologica umana prevede il susseguirsi di fenomeni ritmici e armonici. Se si vuole realizzare un lavoro percettivo e di sincronizzazione senso-motoria, si cercherà di fissare l’attenzione del soggetto su di un certo numero di dati quali il tempo, la struttura ritmica o le accentuazioni.

Risulta evidente l’importanza dello sviluppo di questa forma di percezione per facilitare sia gli appren-

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dimenti motori in generale, ma soprattutto per consentire al soggetto l’organizzazione di automatismi ritmici e plastici. Infatti l’aspetto temporale del movimento è l’aspetto fondamentale per consentire la realizzazione di movimenti coordinati e armonici al fine di ottenere la organizzazione di prassie corrette sia dal punto di vista dell’ideazione, sia da quello della esecuzione. Questo elemento è importante per l’apprendimento dei gesti tecnici sportivi o espressivi (Massenz e Simonetta, 2002).

La memoria immediata e il linguaggio La memoria immediata è la possibilità per il soggetto di avere la rappresentazione mentale e quindi poter riprodurre nel presente una cadenza o una successione ritmica oppure una successione di movimenti, o di parole o di numeri, senza fare fatica, per un certo tempo limitato. Infatti, per esempio, nella comprensione del linguaggio è importante che la memoria immediata giochi pienamente il suo ruolo, perché il soggetto possa capire il significato simbolico dei suoni. Il linguaggio obbedisce alle leggi della strutturazione ritmica, con le accentuazioni, e con una precisa intonazione tonico-temporale; per poterlo comprendere, ricordare e decifrare è necessario far uso di questa memoria immediata. Il bambino spesso nei primi anni della scuola elementare, quando sente una successione di suoni, in un discorso che si protrae a lungo, se non possiede una buona percezione temporale, utilizza la memoria immediata per tenere a mente il succedersi dei suoni, invece che per decodificare il loro significato semantico ed alla fine del discorso, ne ha già dimenticato l’inizio, e ne ricorda e comprende solo l’ultima parte. Nell’adulto una cattiva percezione delle strutture ritmiche viene compensata con un’operazione intellettuale di sincresi; infatti durante una conversazione può non ricordare tutte le parole, ma comprendere il significato globale del discorso in modo da riuscire a supplire alla mancanza di una comprensione analitica delle singole parole. Sia il bambino di fronte al linguaggio, sia l’adulto, quando deve fare delle rapide associazioni di idee, possono incontrare numerosi problemi se non hanno una buona percezione temporale delle informazioni sonore. Se invece queste informazioni sono automaticamente bene integrate le associazioni avvengono molto più spontaneamente e rapidamente a livello inconscio, lasciando all’attività cosciente il compito di comprendere il significato del messaggio invece che di ricordare la successione di ogni singolo elemento del discorso. Quindi per quanto riguarda l’apprendimento del linguaggio, da parte del bambino bisogna ancora ricordare come una cattiva percezione temporale lo costringe a fare uno sforzo

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di attenzione superiore al necessario per comprendere il significato di ciò che sente, rallentando la sua azione di comprensione. Allo stesso modo l’adulto che non ha ricevuto una buona educazione temporale, quando dovrà memorizzare una struttura ritmica complessa, cercherà di contare, ma contare significa ancora decomporre, perdendo così lungo la strada l’esatta durata degli elementi quantitativi. L’attività mentale superiore viene così utilizzata per analizzare l’informazione temporale, invece che per attivare la funzione simbolica e la logica. L’educazione percettiva temporale ha dunque lo scopo di far riconoscere e percepire senza sforzo le differenti durate e strutture temporali, per lasciare le energie mentali della persona impegnate nell’organizzazione di tutte le percezioni tra loro.

Tempo e apprendimenti scolastici Per quanto riguarda gli apprendimenti scolastici, abbiamo già precisato come il linguaggio parlato o scritto sia sottoposto a leggi e scansioni temporali molto precise; punteggiatura, distanza tra una parola e l’altra, differente impostazione ritmica delle frasi a seconda del significato e delle sfumature tonicoaffettive del contenuto, che variano secondo il significato da trasmettere o della lingua parlata. L’educazione degli aspetti temporali si presenta ad un tempo come una educazione del movimento, delle capacità percettivo/rappresentative e sonoro/acustiche della persona. Ogni ritmo che sia motorio, uditivo o visivo ha una sua pregnanza strutturale; le strutture hanno la caratteristica di poter essere trasferite o ricodificate, mantenendo la medesima struttura, attraverso mezzi espressivi differenti. Un ritmo uditivo vocalizzato può essere riprodotto con una struttura visiva, o con una struttura motoria. Questa caratteristica ci consente di lavorare su un aspetto che consente l’integrazione dei vari canali percettivi.

Il bambino per arrivare al concetto di numero deve acquisire attraverso l’esperienza concreta, il concetto di successione e di successione di quantità cui deve aggiungere le operazioni di classificazione, seriazione, ordine e cardinalità che costituiscono le tappe

successive dello sviluppo del concetto numerico.

L’arricchimento della percezione temporale aiuta i bambini a conquistare i prerequisiti base del concetto di successione di quantità, proprio perché‚ all’interno del tempo si trovano i contenuti di successione, ordine, durata, quantità e la capacità di strutturare significativamente una successione. Una delle componenti della discalculia è proprio il ritardo, è nell’evoluzione del prerequisito sonoro-temporale, che può portare ad una errata percezione della quantità ed a una difficoltà evidente di simbolizzazione; un suono privo di significato non potrà mai essere tradotto in grafema o in simbolo matematico.

Per quanto riguarda lettura e scrittura quando le informazioni visive e uditive non sono adatte il grafema non ha una traduzione sonora adeguata e questo determina l’impossibilità di rappresentarsi mentalmente il suo significato e quindi di simbolizzare. La lettura presuppone la discriminazione di una grande quantità d’immagini (grafemi); maggiore è il numero di immagini da decodificare, più difficoltosa è la loro individuazione e la relativa simbolizzazione. Il suono delle singole parole, “risuonando” a livello corticale permette una migliore interiorizzazione del segno, anche se il lettore non coglie al momento il significato di ciò che sta leggendo. Ogni grafema ha una sua caratteristica spazio-temporale, in base alla successione delle microforme grafiche ed alla loro sequenza ritmica strutturata. Ogni grafema, quando viene scritto a mano, viene rinforzato nella sua organizzazione percettiva, dalle informazioni cinestesiche, che concorrono con le altre informazioni sensoriali e rendere sempre meglio riconoscibile e decifrabile il segno stesso. Questo aspetto vale anche per le singole parole e le frasi del testo.

L’esperienza clinica personale mi ha permesso di verificare che i bambini dislessici presentano particolari difficoltà in ambito ritmico ed in particolare nel ritmo della successione dei grafemi in una parola e nella riproduzione delle strutture ritmiche sonore in generale.

Elena Ester Simonetta

BIBLIOGRAFIA Le Boulch, J. (1975). Verso una scienza del movimento umano. Roma: Armando.

Le Boulch, J. (1988). Lo sviluppo psicomotorio da 0 a 6 anni. Roma: Armando.

Massenz, M. e Simonetta, E. (1999). Dal corpo fantasmatico all’identità corporea. Milano: Franco Angeli.

Massenz, M. e Simonetta, E. (2002). La valutazione psicomotoria. Milano: Franco Angeli.

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Vincere la balbuzie Riassunto L’articolo concerne un caso di un giovane che lamenta una disfluenza verbale. L’Autore espone le caratteristiche del soggetto e l’anamnesi raccolta; descrive l’approfondimento diagnostico e il conseguente progetto clinico, mostrando come l’intervento di aiuto sia concretizzato nel tempo. L’Autore, attraverso la descrizione di questo caso clinico, dimostra l’efficacia di un approccio globale, psicologico e pedagogico, al problema della disfluenza verbale.

Abstract The article talks about a case of a young who has a stutter. The Author explains the person’s features and picked anamnesis; he describes a diagnostic in-depth analysis and the clinical project, showing how intervention is realized during the time. The Author, through the description of this clinic case, demonstrates clinical efficacy of a global approach, psychological and pedagogical, to the problem of stutter.

I

l linguaggio, insieme di segnali e simboli convenzionali, è un mezzo di comunicazione e di espressione che si attua per mezzo di suoni articolati e organizzati in parole. Alcune persone, avendo difficoltà nell’espressione verbale, a causa anche delle alterazioni psicoemozionali conseguenti, sono deficitari nelle relazioni interpersonali tanto da essere e sentirsi mal accolti dai gruppi sociali (Pesci e Pesci, 2007). La balbuzie, in particolare, è un disordine nel ritmo della parola, a causa del quale la persona ha difficoltà nel parlare per involontari arresti, ripetizioni o prolungamenti di un suono. È caratterizzata inoltre da una eccessiva tensione muscolare (Hulit, 1996; Altholz e Golensky, 2004).

Si presenta qui un intervento su un giovane con difficoltà nell’espressione verbale, il quale è riuscito, grazie all’aiuto clinico fornito, a riconquistare una efficacia elocutoria tale da renderlo capace di inserirsi con successo nelle relazioni sociali.

Il caso e l’anamnesi Giovanni si presenta al nostro Centro1 all’età di venti anni per una balbuzie. Durante l’anamnesi emerge che da bambino aveva manifestato un ritardo nell’acquisizione delle parole e che già nel periodo delle elementari era “molto nervoso”. Tale agitazione e irritabilità lo avevano condotto da uno psicologo dell’Asl per superare i problemi comportamentali. Alla Asl, tuttavia, non furono fatti accertamenti sulle ca1

Centro Studi Specialistici Kromos

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pacità negli apprendimenti scolastici né fu affrontato il problema della disfluenza verbale. Durante le scuole medie inferiori le difficoltà di codifica scrittoria, trascurate precedentemente dai genitori e dai docenti, si accentuano e il giovane ricorre all’insegnante di sostegno dalla seconda media fino al quarto anno delle scuole superiori. Il giovane, che presentava problemi anche nella lettura, veniva definito dai professori “svogliato”. In anamnesi emerge che la disfluenza verbale per la quale si è presentato al Centro era presente fin dalle elementari e aveva avuto un miglioramento durante il periodo della scuola media inferiore per riprendere con vigore durante il periodo delle scuole superiori.

Giovanni è attualmente iscritto all’Università dove trova difficoltà soprattutto negli esami orali a causa della disfluenza verbale. Oggi il giovane, sottoposto anche ad un approfondimento scopico, risulta avere una forte tensione strutturale, una precipitazione nel fare le cose, una frequenza respiratoria regolare e una buona capacità nell’inseguimento visivo. La disfluenza, molto evidente, è corredata di una difficoltà nella decodifica scrittoria e una difficoltà mnestica che per altro il soggetto lamenta proprio in relazione alla sua capacità di affrontare gli esami. L’elaborazione spontanea di pensiero è molto limitata.

L’approfondimento diagnostico e il progetto di intervento L’équipe ha proposto a Giovanni un approfondimento psicodiagnostico composto dal Minnesota Multi-

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phasic Personality Inventory 2 (MMPI-2) per la misurazione obiettiva dei tratti di personalità; e da test grafici e cromatici quali il Test dell’Albero, il Draw a Person Test, il Test della casa e il Color Test di Lüscher per la valutazione proiettiva del carattere e del sistema personologico.

Dall’interpretazione dei reattivi è stato possibile riscontrare una sostanziale uniformità dei risultati.

Tutti i test infatti confermano la presenza di scontentezza, inquietudine, insicurezza, tratti depressivi (per esempio MMPI-scala D: 71), ansia, mancanza di energia, paura del fallimento, bassa autostima: caratteristiche in linea con alcune ricerche empiriche condotte su campioni statunitensi (Treon, Dempster e Blaesing, 2006). Il soggetto manifesta, inoltre, rinuncia, sente di essere ostacolato, ma è passivo nei confronti dell’ambiente. Vive una forte tensione nervosa, si mostra chiuso, introverso, con brevi entusiasmi e una incapacità nel portare fino in fondo l’attività intrapresa per paura e ansia. Avverte una mancanza di spazio personale.

A seguito del quadro offerto dai colloqui, dall’anamnesi e dall’approfondimento testologico, tenendo presente l’unicità e la particolarità della persona, è stato predisposto un progetto clinico che tenesse presenti tutti gli aspetti emersi.

Il progetto di intervento si è concentrato su: esperienze contrattive e decontrattive muscolari per abbattere le tensioni, ricreare un equilibrio psicofisico, una riscoperta di sé e del proprio schema corporeo; esperienze pratiche di esposizione verbale corredate dalla coordinazione di gesti e movimenti alle quali aggiungere progressivamente frasi positive di sé; esperienze grafo-segniche ecc. Al giovane sono stati inoltre insegnati ausiliari motorio-ritmici per contrastare la disfluenza.

L’intervento Gli incontri con Giovanni vengono strutturati in modo che ci sia un momento iniziale di esperienza contrattiva e decontrattiva muscolare (Jacobson, 1952; Rolla e Manca, 1986; Pesci e Mani, 2008), al quale seguono attività maggiormente dinamiche nello spazio. Il giovane accetta bene la sequenza e fin dalle prime settimane si notano progressivi cambiamenti nel suo modo di predisporsi e mostrarsi agli altri.

Inizialmente quando al soggetto veniva chiesta una frase per poi organizzarla attraverso i gesti, la respirazione e il movimento, la produzione era molto limitata. Il soggetto elaborava a fatica frasi brevi e attinenti alla realtà circostante: “le rose sono rosse”, “il gatto dorme sulla poltrona” ecc.

Durante gli incontri si sono susseguite esperienze di

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respirazione con emissione silenziosa o sonora, associazioni di parole (per esempio: “se dico neve…”), costruzioni di frasi ecc.

Dopo un mese di intervento la capacità ideativa ed elaborativa del soggetto mostra già una notevole progressione: vengono verbalizzate frasi più lunghe (“oggi dovrebbe essere bel tempo, ma domani no”), l’organizzazione cinestetica è migliore, le tensioni sono diminuite, anche se è presente ancora un eloquio disfluente.

Il progetto di intervento prosegue con l’aggiunta di frasi positive sul sé che il soggetto pronuncia ad alta voce a se stesso, organizzandosi cinesteticamente nello spazio.

Dopo due mesi di intervento il pensiero diviene più rapido e articolato (“quest’anno il sistema universitario è più scadente dell’anno passato”), la disfluenza è notevolmente diminuita e l’organizzazione motorio-rimico-cinetica è migliorata. A corredo di ciò le tensioni muscolari sono più modeste, il grado di sicurezza e solidità personale è cresciuto e il soggetto riferisce di sentirsi più fiducioso e disponibile. Si decide a questo punto che, dovendo il soggetto affrontare alcuni esami universitari e sentendosi carente nell’esposizione verbale dei contenuti studiati, è necessario, durante gli incontri, chiedere al soggetto di organizzare cineticamente frasi desunte dalle sue materie di studio.

Dopo tre mesi circa di intervento si annota: buona singolarizzazione delle dita, buona organizzazione motorio-ritmica, minore tensione muscolare, maggiori verbalizzazioni spontanee, maggiore capacità mnestica, maggiore ideazione spontanea. Ancora impacciata la lettura.

Al quarto mese di intervento, a seguito delle vacanze natalizie, ci proponiamo di monitorare l’andamento del progetto di aiuto attraverso un colloquio clinico: il soggetto verbalizza di avvertire “progressi evidenti”, confermati da parenti e amici; ha nuove amicizie, poiché si sente più sicuro di sé e ha una maggiore fiducia nel presentarsi agli altri; non ha più i problemi di addormentamento dichiarati nell’MMPI-2; afferma di avere maggiore memoria, che stimola ripetendo a voce alta o leggendo a mezza voce quando studia; anche la lettura è migliorata, sebbene siano ancora presenti delle carenze; inoltre dichiara che in famiglia sono contenti dei suoi progressi e spontaneamente parla delle difficoltà familiari nella gestione quotidiana della nonna ipoacusica e dei dolori fisici del padre; anche i rapporti con l’altro sesso sono migliorati perché ora riesce ad avvicinarsi con maggiore sicurezza, a volte prendendo il suo modo di parlare come pretesto; infine asserisce che “gli amici mi dicono che ora non sto mai zitto”. Tuttavia,

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la disfluenza risulta ancora presente in modo rilevante di fronte a persone che lo mettono in particolare “soggezione”.

Dopo pochi giorni riferisce di aver superato un esame orale per lui particolarmente difficile “senza balbettare” e, durante l’incontro, completa convenientemente e spontaneamente le frasi dello specialista. Tenuto conto dei notevoli miglioramenti nell’esposizione verbale l’intervento prosegue cercando di consolidare i risultati ottenuti e definire una migliore lettura, che ancora appare carente. Attraverso una lettura con ausiliari motorio-ritmici gradualmente sempre più limitati, il soggetto dimostra notevoli progressi tanto da arrivare a leggere servendosi “della sola voce”.

Come variante alle dichiarazioni psicocibernetiche, per facilitare le capacità di lettura, in questo periodo vengono predisposti dei dialoghi teatrali positivizzanti il sé che il soggetto legge organizzandosi cinesteticamente.

Al fine di favorire e consolidare la crescita personologica e il rafforzamento ergico dell’Io è stato proposto, dopo circa sei mesi, di aggiungere alla distensione muscolare l’utilizzo di fantasmagorie. Il percorso di aiuto è proseguito quindi alternando esperienze pratiche di esposizione verbale corredate dalla coordinazione di gesti e movimenti con immagini mentali volte al rafforzamento dell’autostima e della sicurezza di sé.

Conclusioni Dopo circa un anno di intervento il giovane ha dimostrato di aver riconquistato una adeguata fluenza verbale e ottime capacità relazionali e comunicative, sostenute da una ritrovata sicurezza in se stesso.

Giovanni, spinto anche da una notevole determinazione, è oggi in grado di sentirsi pienamente inserito nella quotidianità sociale, mostra una buona esposizione verbale, corredata da pensieri più articolati e consoni alla sua età e al suo grado di istruzione.

Ha vinto ogni esitazione nella lettura, esibendo di non aver difficoltà neanche di fronte a uditori più ampi e si presenta oggi, dopo aver superato le note depressive iniziali, privo degli eccessi tensionali che lo frenavano.

L’intervento qui proposto dimostra l’efficacia di un approccio olistico al problema della disfluenza verbale, una prassi che può aiutare ad ottenere una migliore qualità della vita e ad aumentare le capacità acquisite nella organizzazione del linguaggio (Treon et al., 2006), un approccio che deve avvalersi e si avvale di efficienti metodologie psicologiche e pedagogiche, capaci di tenere in alta considerazione sia l’aspetto articolatorio-elocutorio sia la solidità e la sicurezza personale del soggetto in difficoltà.

Simone Pesci

Bibliografia Altholz, S. e Galensky, M. (2004). Counseling, support and advocacy for clients who stutter. In Health & social work, 29, 3.

Hulit, L. M. (1996). Straight talk on stuttering: Information, encouragement and counsel for stutteres, caregivers and speech-language clinicians. Springfield: Charles C. Thomas.

Jacobson, E. (1952). L’arte del rilassamento. Roma: Gherardo Casini.

Pesci, A. e Pesci, G. (2007). L’espressione verbale. Firenze: ISFAR. Pesci, G. e Mani, M. (eds) (2008). Metodi e tecniche dialogico corporee. Firenze: ISFAR. Rolla, E. e Manca, M. (1986). Il rilassamento muscolare. Torino: Omega.

Treon, M., Dempster, L. e Blaesing, K. (2006). MMPI-2/A assessed personality differences in people who do, and do not, stutter. In Social behavior and personality, 34, 3.

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La preadolescenza: la soglia del dodicesimo anno Riassunto In questo articolo Fausta Tolone parla, alla luce della teoria di Rudolf Steiner, del periodo che precede l’adolescenza. La preadolescenza, spiega l’Autrice, è un periodo della vita in cui la persona vive radicali cambiamenti non solo biologici. Conoscere queste trasformazioni può essere certamente utile nella pratica pedagogica o nella pratica psicologica clinica.

Abstract In this article Fausta Tolone, following the Steiner Theory, talks about the period before adolescence. The pre-adolescence, explains the Author, is a time in which every person lives important changes, not only from a biological point of view. Knowing these information can be certainly useful in the pedagogical practice or in the clinical psychological practice.

N

ella pedagogia steineriana (Steiner, 2005; 2007a; 2007b) viene dato un particolare rilievo ai cambiamenti che si verificano intorno al dodicesimo anno, periodo corrispondente alla prepubertà e che oggi passa quasi inosservato perché i processi di crescita si sono accelerati; pre-pubertà e pubertà si accavallano, richiedendo grande sforzo di adattamento ai ragazzi, spesso confusi e in difficoltà nell’essere proiettati in una dimensione così diversa e lontana dall’infanzia.

Rudolf Steiner colloca questo passaggio all’interno dei cicli di sette anni nei quali è scandita la vita dell’uomo, e in ognuno di questi settenni viene ad espressione, si “incarna” una parte dell’essere umano, che con la nascita inizia questo processo, almeno nei primi settenni.

Questo ritmo evolutivo ha a che fare con il riconoscimento della realtà umana come triarticolata: l’uomo fisico-eterico, legato alla linea dell’ereditarietà, l’uomo animico e spirituale che si compenetra nell’altra corrente e che rappresenta l’elemento individuale.

Alla luce di questa concezione dell’essere umano, si pone il compito di ricondurre ogni manifestazione alla giusta sfera di appartenenza, unico modo per dare risposta ad interrogativi che non si possono comprendere in un miscuglio indifferenziato. La tendenza attuale è quella di concentrare l’attenzione solo sui fenomeni di crescita corporea, riconoscendo ad essi, tutt’al più, un risvolto psicologico.

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Non intendo in questo articolo, addentrarmi in un approfondimento della incredibilmente ricca e complessa pedagogia steineriana, ma alla luce delle sue indicazioni, dare uno sguardo a quello che si presenta come passaggio del dodicesimo anno.

All’affacciarsi del dodicesimo anno si può notare un cambiamento molto evidente nei ragazzi: cambiamento delle dimensioni corporee a partire dalla statura, comparsa di caratteri sessuali secondari, cambiamento della voce, della gestualità, delle manifestazioni del pensiero, del sentimento e delle espressioni della volontà, in molti casi anche delle caratteristiche del temperamento.

Le caratteristiche corporee che in questo passaggio si manifestano, sono molto legate alla linea dell’ereditarietà, mentre le altre citate, sono espressione della realtà animico spirituale, e su queste vorrei soffermarmi.

In questa fase i ragazzi acquisiscono l’esigenza di esprimere un loro punto di vista, connotato di forte soggettività e spesso in forte contrapposizione con quelli che, fino a quel momento, erano stati gli adulti di riferimento, in particolare i genitori. Vogliono esprimersi su tutto ciò che sta loro a cuore e per avallare il loro punto di vista ricorrono spesso ad un linguaggio aggressivo e colorito, compenetrato fortemente dal sentimento dell’importanza fondamentale delle proprie ragioni che in questo periodo diventano talmente fondamentali, da creare anche strappi dolorosi verso chi non le riconosce. Per affermare il loro punto di vista, sono spesso disposti a

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ricorrere ad espedienti di cui prima sembravano incapaci, quali la disobbedienza, le bugie, l’insolenza: tutto per affermare le loro scelte. Non ci si pone nella giusta posizione se non si riconosce che ciò che sostanzialmente vogliono affermare è la propria autonomia, il riconoscersi come individui separati. È importante prestare attenzione alla gestualità, poiché il gesto racchiude spesso un elemento fortemente drammatico, in quanto esso viene sempre più improntato all’intonazione intenzionale, al portare ad espressione il proprio volere, i propri pensieri.

Tutto ciò che questi ragazzi ci comunicano, a saperli osservare, è un grande rivolgimento e ribollimento interiore. Di questi movimenti interni ci si può ad esempio rendere conto ponendo attenzione al loro modo di camminare. Molti ragazzi, in questa fase, hanno un’andatura a grandi passi, ma incerta, che ad un certo punto perde la sua veemenza. Questo è un segnale del fatto che le forze di volontà fanno fatica ad essere indirizzate e da uno slancio o da un’impennata iniziali divengono incerte, quasi non sapessero dove rivolgersi. Raramente si riflette sul fatto che il loro modo di camminare esprime visibilmente, la loro ricerca di un pensiero che li guidi, del pensiero causale, che indirizzi la loro volontà, ora che non possono e non vogliono più essere guidati da fuori.

Si può anche notare che in questo passaggio vengono a evidenza alcune grandi differenze tra ragazze e ragazzi: questi ultimi sono portati maggiormente alla riflessione e ad un pensare logico, le prime ad un pensare per immagini.

Molto diverso è, in genere, l’atteggiamento verso il proprio corpo. I ragazzi tendono ad avere una certa goffaggine nei loro movimenti, come se l’allungamento delle ossa intralciasse una successione armonica nell’incedere; nelle ragazze si manifesta una forte attenzione per il proprio corpo che può esprimersi in un atteggiamento di disagio, col tentativo di nasconderlo oppure propendendo per una certa esibizione. Essi sperimentano in modo diverso il loro

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processo di risveglio: i ragazzi cercano lo stimolo dei sensi, le ragazze cercano un senso nei loro stimoli.

L’irruenza che a questa età viene manifestata, ci dà la misura di quanto fortemente i ragazzi vengono raggiunti sul piano dei sentimenti e delle emozioni che ora però hanno prevalentemente a che fare con la loro personale realtà, col fatto che la loro attenzione si sposta dal mondo nel quale erano immersi nell’infanzia al loro Io. È come se avessero fame di percezioni; in questo periodo infatti la sfera emotiva si desta fortemente e la sensibilità percettiva è sviluppata a livello di tutti i sensi. Basti pensare a come si reagisce vivacemente a stimoli visivi, di colore, di luce, olfattivi, uditivi. È il periodo in cui foto, illustrazioni, poster, luci, soppiantano altre impressioni.

L’ascolto della musica anche nelle forme e nelle mode più accentuate, diventa un mondo di fondamentale importanza che fa una profonda impressione sulla loro anima.

Potremmo considerare il passaggio alla pre-adolescenza come la cacciata dal paradiso terrestre, come l’inizio di una separazione che sempre più porta verso la dimensione individuale.

Non c’è da stupirsi che questo passaggio sia vissuto con profondo senso di ansia, tanto più accentuata quanto più difficili sono i rapporti con il contesto nel quale si vive. Non c’è inoltre da stupirsi se a partire da questo momento il rapporto con i ragazzi diventa così difficile che spesso non si sa quale comportamento seguire.

Va comunque tenuto presente che le difficoltà che compaiono a questa età, in quanto strada per l’individuazione, sono una cosa normale, mentre è molto più difficile per quei bambini per i quali, apparentemente, fila tutto liscio. Se questo rivolgimento non avviene, più tardi si possono presentare problemi molto più impegnativi. I passaggi di età sono paragonabili a nascite e dunque comportano sofferenze. È importante che al momento giusto si sperimenti un significativo distacco, che si accettino le difficoltà come necessarie premesse di cambiamenti da cui deve nascere l’individuo.

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L’attenzione ai cambiamenti che si presentano a questa età, è un fatto di grande importanza, sono un po’ la chiave di volta per non lasciare soli i ragazzi in un passaggio che, per il fatto di essere obbligato, non è meno impegnativo e se non affrontato giustamente, può porre le premesse di problemi nelle età successive, che a quel punto non si riconoscono, non si capisce da dove provengano. È inoltre riduttivo parlare solo di maturità sessuale, poiché a manifestarsi è qualcosa di più vasto. Io cre-

do che la definizione di “maturità terrestre” data dall’antroposofia, esprima la globalità del fenomeno.

Tutti i cambiamenti relazionali che ora si fanno strada, portano ad una più intensa attenzione verso i propri coetanei, sia dello stesso sesso che dell’altro.

Anche il rapporto con gli adulti subisce una radicale trasformazione e questo richiede un rinnovamento dei rapporti su basi diverse.

Fausta Tolone

BIBLIOGRAFIA Steiner, R. (2005). L’educazione per l’Uomo. Archiati Verlag.

Steiner, R. (2007a). Corso di pedagogia curativa. Milano: Antroposofica.

Steiner, R. (2007b). L’educazione dei figli. Milano: Mondadori.

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La scienza nel quotidiano

Come ti convinco?

Sveliamo le tecniche persuasive di vendita

O

gni giorno siamo esposti ad un numero elevato di messaggi pubblicitari persuasivi: per strada, nella cassetta delle lettere, sul web, alla TV, su riviste e giornali, nei negozi... Ma come è possibile che tali messaggi siano efficaci?

Su cosa fanno leva gli ideatori delle pubblicità per convincerci a comprare? E quali sono i meccanismi psicologici alla base di alcune tecniche di marketing?

Innanzitutto è d’obbligo riportare alcune acquisizioni provenienti da studi scientifici che ci permettono di comprendere quanto semplici, ma affinati accorgimenti ad hoc possano far presa su scelte, opinioni e comportamenti delle persone. Le ricerche psicologiche nel campo della persuasione hanno dimostrato che formule come nuovo, rapido, facile, migliorato, adesso, improvvisamente, sorprendente, e per la prima volta inserite all’interno di una réclame, sia su carta stampata che in televisione, vendono di più; animali, bambini o immagini erotiche sono maggiormente efficaci di cartoni animati o figure storiche; nei supermercati vengono maggiormente acquistate le merci collocate negli scaffali ad altezza sguardo: i prodotti sistemati più in basso arrivano al 74% e quelli collocati a livello del pavimento a solo il 57%; i prodotti posizionati alle estremità degli scaffali di un supermercato o vicino alle casse verranno venduti con maggior facilità; le confezioni multiple, ampliando nel cliente la percezione del “valore” del prodotto, vengono considerate più appetibili (Pratkanis e Aronson, 2001).

E non è finita! Esistono tecniche persuasive che i professionisti del settore pubblicitario adottano per avere una probabilità superiore di vendita di un prodotto o comunque per rendere l’atteggiamento delle persone verso di esso più positivo.

Riportiamo qui di seguito le principali: Tecnica della reciprocità: la tecnica della reciprocità si basa su una regola che disciplina lo scambio all’interno di una cultura di favori o regali: il “se faccio qualcosa per te, tu sei impegnato a rendermi il favore”, il do ut des. Alcune delle applicazioni nelle quali ci possiamo imbattere sono il campione gratuito, il “provalo gratis”, l’assaggio ecc.

La porta in faccia: il persuasore esordisce con una richiesta estrema che sarà quasi sicuramente respinta, ma che potrà indurre una maggiore disponibilità a scendere ad un compromesso di quanto non accadrebbe altrimenti. “Sparare alto” questo è il motto! Le sue attuazioni sono ben evidenti all’interno di un autosalone dove i venditori di automobili si avvalgono spesso di questo sistema per ottenere i loro scopi.

Non è tutto: si inizia con una offerta… poi, prima che il destinatario possa rispondere, si aggiunge un altro prodotto o un’altra cosa allo stesso prezzo. Un tipico esempio è quello rappresentato dalle vendite promozionali o dalle televendite. Le tecniche della “porta in faccia” e del “non è tutto” giocano sul processo della reciprocità, sul concetto di scambio sociale al fine, solo in apparenza, di far godere il cliente di un cospicuo vantaggio.

Piede nella porta: si richiede un piccolo favore, che quasi sicuramente verrà accettato. A questo punto si avanzano richieste più impegnative. La tecnica funziona perché essere coerenti con noi stessi e onorare i nostri impegni è considerato un valore e, anche qualora l’impegno sia quasi inconsistente, “rimangiarsi la parola” ci fa sentire a disagio.

Tecnica del colpo basso: viene presenta una offerta speciale, una richiesta minima (un viaggio o un automobile con un costo promozionale assai basso). L’acquirente, spinto dall’“affare” accetta l’offerta, ma a quel punto si “scopre” che c’è stato un errore: l’offerta non è più valida. È l’ora di un’altra proposta più onerosa della prima… “anche questa è vantaggiosa”. Il cliente non può che accettare la proposta poiché ormai si è impegnato con il venditore e trova difficile tornare sulla sua decisione.

Tecnica della somiglianza: tendiamo a fidarci di chi riteniamo più simile a noi. Su tale meccanismo psicologico i venditori impiegano spesso la frase “anch’io come lei/voi” per indurre all’acquisto.

Il potere delle esche: un’esca è un’alternativa inferiore alle altre possibili: quando un oggetto è contrapposto a qualcosa di simile, ma non altrettanto buono, per effetto contrasto, è giudicato migliore di quanto accadrebbe altrimenti. Un esempio? Un’agente immobiliare vi mostra una casa malridotta richiedendovi per l’acquisto un prezzo molto alto. Sarà l’esca presentata a spingervi a comprare più prontamente un’altra casa ad un prezzo molto più alto rispetto a quello che normalmente sareste disposti a pagare.

Conoscere la natura di alcune tecniche della comunicazione persuasiva presenti nella nostra quotidianità e comprendere come esse possano influenzare i nostri atteggiamenti e talvolta anche le nostre azioni, può servire per proteggerci e tutelarci dalla propaganda non desiderata e essere un mezzo per un uso ponderato e consapevole della persuasione.

Valentina Benoni Degl’Innocenti

BIBLIOGRAFIA Pratkanis, A.R. e Aronson, E. (2001). L’età della propaganda. Bologna: Il Mulino.

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La scienza nel quotidiano

Dare un senso ai colori La realtà che ci avvolge è colore e in ogni istante della nostra esistenza i colori, sotto varie forme, anche se molte volte non ne siamo consapevoli, influiscono sul nostro vissuto corporeo, emotivo e comportamentale. La percezione di un colore dunque evoca una risposta specifica complessa che è allo stesso tempo fisiologica, psicologica, posturale, motoria oltre che affettiva e ideativa.

Essendo la realtà cromatica non solo funzione dell’oggetto percepito, ma anche del soggetto che percepisce, il colore evoca risposte sensoriali e affettive a carattere universale e intimo. Essendo in stretto contatto con le tonalità emotive, esso ha un significato simbolico e psicologico che si palesa in particolare nella scelta del colore dominante e dell’espressività cromatica che si può riassumere nella seguente classificazione (Lüscher, 1976; Di Renzo, 1998; Widmann 2006): • Blu: rappresenta la calma completa, la soddisfazione di essere in pace, di essere gratificati. Rimanda all’unificazione e al senso di appartenenza, all’amore, alla devozione, alla resa. Il blu è l’eternità, la tradizione e i valori durevoli nonché il bisogno di esprimere le proprie capacità interiori. È il colore della profondità dei sentimenti e ha come significato fisiologico la quiete e come significato psicologico l’abbandono.

• Verde: indica la volontà di operare, la perseveranza, la fermezza, la costanza e l’autoaffermazione. È il colore della crescita dell’Io, del processo di maturazione e della sfera intellettuale. Esprime l’idea di affermarsi, la costanza dei punti di vista, ma anche la difesa. Ha come significato fisiologico quello di una tensione non esplicata e come significato psicologico quello della perseveranza.

• Rosso: indica forza vitale, impulsività, forza di volontà, il desiderio in tutte le sue forme. Il rosso è necessità di ottenere risultati, impulso verso l’agire attivo. È il colore dell’intraprendenza, dell’azione per il successo, della trasformazione rivoluzionaria e appartiene al presente.

Ha come significato fisiologico l’eccitazione e come significato psicologico l’energia finalizzata, la pulsionalità.

• Giallo: è indice di allegria, affettività, speranza, mutamento, ricerca ottimistica dell’esperienza felice e del-

l’avventura. Rappresenta la capacità di scelta e l’intuizione. Rappresenta la proiezione nel mondo esterno, la ricerca, la fantasia e la gioia nel gioco e si riferisce al futuro. Il giallo ha come significato fisiologico il discioglimento e come significato psicologico il cambiamento come bisogno di sviluppo.

• Viola: rappresenta l’identificazione cioè la completa fusione tra soggetto e oggetto, il desiderio di essere conquistato, ma anche di piacere e di affascinare gli altri. È l’urgenza di comunicare il mondo affettivo e sentimentale, il voler piacere, segno di interessi metafisici e magici e di sensibilità. Il viola ha come significato fisiologico la sensibilizzazione e come significato psicologico la trasformazione che può implicare anche tappe di ambiguità.

• Marrone: indica la sensualità, l’instabilità e la scar sa integrazione. È il colore della gioia di vivere del soddisfacimento dei bisogni materiali e affettivi. È un colore privo di tensioni, concentrico, esprimibile con forme tondeggianti, con materiali caldi e accoglienti. Il marrone ha come significato fisiologico quello di rilassamento appagante e come significato psicologico il bisogno della comodità, di una vita tranquilla.

• Grigio: esprime la volontà di recintarsi da ogni cosa, il non desiderare responsabilità. Spesso si ritrova in condizione di esaurimento, di perdita di energie o di particolare stress. Il grigio ha come significato fisiologico l’intorpidimento e come significato psicologico la schermatura, il “distacco da”.

• Nero: il nero è il colore dello stato psichico che precede la coscienza (preconscio); sottolinea l’aspetto della rinuncia e della rivolta. Esprime la volontà di annientamento il diritto di potere coercitivo assoluto. Ha come significato fisiologico la stasi e come significato psicologico la coercizione, la negazione.

Dare un senso ai colori è pertanto dare un senso al mondo e alle nostre personali sfumature cromatiche, un tassello questo che ci può aiutare a comprendere meglio quel ricco mosaico della nostra personalità.

Sergio Gaiffi

Bibliografia Di Rienzo, M. (1998). Il colore vissuto. Roma: Edizioni Scientifiche Magi.

Lüscher, M. (1976). Il Test dei colori. Roma: Astrolabio.

Widmann, C. (2006). Il simbolismo dei colori. Roma: Edizioni Magi.

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Che stress!

Verità, bugie e strategie di gestione Nel linguaggio comune il termine “stress”, diffusamente impiegato nella società contemporanea, è sinonimo di tensione, ansia, preoccupazione, senso di malessere associato a conseguenze negative per l’organismo e per lo stato emotivo e mentale dell’individuo.

Per cercare di fare chiarezza su una parola fin troppo abusata, la letteratura scientifica lo definisce come qualsiasi meccanismo in grado di alterare i processi omeostatici di un organismo vivente (Cannon, 1932). Lo stress è, dunque, la reazione all’ambiente esterno di un organismo: quando viene minacciato il suo equilibrio (l’omeostasi appunto) questo mette in atto una serie di risposte di adattamento secondo una scansione che Selye (1976) definì come Sindrome Generale di Adattamento: 1) Fase della Reazione di Allarme: durante la fase di allarme si mobilitano le energie difensive.

2) Fase di Resistenza: l’organismo tenta di adattarsi alla situazione e gli indici fisiologici tendono a normalizzarsi anche se lo sforzo per raggiungere l’equilibrio è intenso.

3) Fase di Esaurimento: se la condizione stressante continua, oppure risulta troppo intensa, si entra in una fase di esaurimento in cui l’organismo non riesce più a difendersi e la naturale capacità di adattarsi viene a mancare.

Le cause della reazione di stress possono essere rintracciate sia in eventi che richiedono un cambiamento esistenziale e hanno un significativo impatto sulla persona, come ad esempio la morte del coniuge, il matrimonio, il pensionamento ecc.; oppure in “seccature” quotidiane, quali il traffico, diverbi con i vicini o con i colleghi, preoccupazioni per il futuro circa il denaro, la programmazione dei pasti ecc., che, accumulandosi nel tempo, possono innescare delle tensioni fisiche e psichiche nocive per noi stessi e per le relazioni che ci vedono protagonisti.

Tuttavia si deve essere consapevoli della distinzione, frequentemente dimenticata, tra uno “stress buono” (detto eustress), che porta un sano aumento delle performance, ad un fare di più e meglio, e uno “stress cattivo” (detto distress) responsabile di effetti quali tensione muscolare, cefalea, digestione difficile, stanchezza, diminuzione del desiderio sessuale, abbassamento del tono dell’umore ecc.: va specificato che con un grado di stimolazione troppo alto o troppo basso si ha il distress, mentre l’eustress consegue una stimolazione intermedia sia per qualità che per quantità.

Il passaggio tra stimoli potenzialmente stressanti e reazione di stress è mediato da una serie di variabili inter-

medie che fanno riferimento alla nostra capacità di valutare gli eventi (locus of control, attribuzione causale), alle strategie messe in atto per fronteggiare le situazioni (coping) ad alcune caratteristiche di personalità (hardiness, propensione all’ottimismo) e ad aiuti esterni (risorse materiali, sostegno sociale). Come riuscire, dunque, a fronteggiare in modo adeguato lo stress che sotto forme diverse ogni giorno bussa alla nostra porta? Affrontare lo stress non vuol dire eliminarlo completamente tanto da “non essere più stressati”, proprio perché lo stress è una caratteristica adattiva ineliminabile della vita e imprescindibile all’individuo stesso. Tre sono le principali strategie d’aiuto che gli specialisti nel campo dell’intervento clinico propongono per un riequilibrio psicofisico dell’individuo: 1) la modificazione dell’ambiente (solo laddove possibile: a casa, in azienda, a scuola ecc.)

2) la riduzione dell’attivazione e la conoscenza di sé: metodi e tecniche dialogico-corporee e/o di rilassamento motorio-muscolare come per esempio l’ipnosi, il rilassamento progressivo di Jacobson, il rilassamento globale di Wintrebert, i metodi Discover Project®, Trust System®, Touchball® e BodyWork® 3) la ri-costruzione personale (ristrutturazione cognitiva).

Grazie a queste strategie di management sarà possibile riacquistare il proprio benessere, la propria gioia nel vivere gli eventi, il piacere di fare, di partecipare e di stare con gli altri, con quel giusto stress che non fa male.

Guido Pesci

Bibliografia Cannon, W.B. (1932). The Wisdom of the Body. New York: Norton.

Selye, H., (1976). The stress of life. New York: McGraw-Hill.

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ISFAR

ISTITUTO SUPERIORE FORMAZIONE AGGIORNAMENTO E RICERCA

FORMAZIONE POST-UNIVERSITARIA DELLE PROFESSIONI Viale Europa, 185/b - 50126 Firenze - Tel. e Fax 055 6531816

Formazioni Anno Accademico 2009/2010 Professione Psicologo - Corso di Pratica Professionale (Sedi e Date di Inizio: Firenze, 7 novembre 2009; Milano, 14 novembre 2009) Pedagogista Clinico (Sedi e Date di Inizio: Montevarchi (Vacanze Studio), 12 luglio 2009; Cagliari, 17 ottobre 2009; Catania, 24 ottobre 2009; Bari, 31 ottobre 2009; Napoli, 7 novembre 2009; Milano, 14 novembre 2009; Roma, 21 novembre 2009; Padova, 28 novembre 2009; Firenze, 12 dicembre 2009).

Consulenza Tecnica e Peritale presso il Tribunale (CTU-CTP) (Sedi e Date: Firenze, 19-20-21 giugno 2009; Milano, 16-17-18 ottobre 2009; Firenze, 18-19-20 giugno 2010) Psicomotricista funzionale (Sedi e Date di Inizio: Firenze, 14 novembre 2009) Metodo Reflecting: abilità comunicative nelle professioni di aiuto (Sedi e Date di Inizio: Milano, 24 ottobre 2009; Firenze, 21 novembre 2009) Pedagogista - Esperienze formative in laboratorio di gruppo (Sedi e Date: Montevarchi, 27-28-29 luglio 2009) Analista del comportamento criminale (Sedi e Date: Firenze, 23-24 gennaio; 27-28 febbraio; 27-28 marzo; 24-25 aprile; 15-16 maggio; 12-13 giugno 2010) Dinamiche di gruppo e tecniche di conduzione (Sedi e Date: Firenze, 19-20 settembre; 10-11 ottobre; 7-8 novembre; 28-29 novembre 2009) I disturbi del comportamento alimentare: la diagnosi e l’intervento (Sedi e Date: Milano, 20-21 marzo; 17-18 aprile 2010) Psicodramma olistico: tecniche e applicazioni (Sedi e Date: Firenze, 9-10-11 aprile; 24-25 aprile; 8-9 maggio 2010) Disegno onirico (Sedi e Date: Montevarchi, 24-30 agosto 2009 / Firenze, 29-30-31 gennaio; 13-14 febbraio; 6-7 marzo 2010) L’abuso: maltrattamento e abuso sui minori (Sedi e Date: Firenze, 25-27 settembre 2009; 9-11 ottobre 2009) La negoziazione: Strategie e Tecniche (Sedi e Date: Firenze, 9-10-11 ottobre 2009) Psicomotricità in acqua (Sedi e Date: Montevarchi, 22-26 luglio 2009) Gruppi di espansione artistico-creativa (Sedi e Date: Montevarchi, 14-17 luglio 2009) I percorsi d’ascolto®: L’elemento sonoro nella pratica clinica e nella prevenzione (Sedi e Date: Firenze, 26 settembre 2009)

Per informazioni www.isfar-firenze.it www.formazionepsicologi.com www.clinicalpedagogy.com www.isfar.tv

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ISTITUTO SUPERIORE FORMAZIONE AGGIORNAMENTO E RICERCA

FORMAZIONE POST-UNIVERSITARIA DELLE PROFESSIONI Viale Europa, 185/b - 50126 Firenze - Tel. e Fax 055 6531816

Seminari e Workshop Anno Accademico 2009/2010 Seminario “La dislessia: conoscenze scientifiche e programmazioni psicoeducative” (Firenze, 26 settembre 2009); Workshop “La dislessia: strategie diagnostiche e nuove opportunità di intervento” (Firenze, 27 settembre 2009).

Docente: Prof. Dott.ssa Elena Simonetta Seminario “Si guarisce dalla balbuzie?” (Firenze, 16 gennaio 2010); Workshop “L’intervento clinico per vincere la balbuzie” (Firenze, 17 gennaio 2010) Docente: Dott.ssa Paola Cadonici Seminario “Bambini ‘iperattivi’ ” (Firenze, 30 gennaio 2010); Workshop “Disturbo da Deficit di Attenzione/ Iperattività: Strategie cliniche e didattiche” (Firenze, 31 gennaio 2010) Docenti: Prof. Dott.ssa Anna Lucia Ogliari e Prof. Dott.ssa Maria Raugna Seminario “Sesso e Affettività nella coppia” (Firenze, febbraio 2010); Workshop “L’intervento clinico sulla coppia” (Firenze, febbraio 2010).

Docente: Prof. Dott. Roberta Giommi Workshop “Lo sviluppo dell’espressione grafica, il disegno e il colore” (Milano, 27-28 febbraio 2010).

Docente: Prof. Dott.ssa Maria Raugna Seminario “ La Psiconcologia in aiuto al paziente alla famiglia e agli operatori ” (Firenze, 6 marzo 2010); Workshop “Teoria e Prassi Psiconcologica” (Firenze, 7 marzo 2010).

Docente: Prof. Dott. Massimo Rosselli Seminario “La condotta criminale e la devianza” (Firenze, 13 marzo 2010).

Docente: Prof. Dott. Vincenzo Mastronardi Seminario “Il bullismo” (Firenze, 16 aprile 2010); Workshop “Il bullismo: il fenomeno, la diagnosi e le strategie di intervento” (Firenze, 17-18 aprile 2010) Docente: Prof. Dott.ssa Maria Raugna Workshop “La Funzione del gioco nella pratica clinica” (Milano, 24-25 aprile 2010) Docente: Prof. Dott.ssa Maria Raugna Seminario “La disgrafia e la disortografia” (Firenze, 22 maggio 2010); Workshop “Clinica della disgrafia e della disortografia” (Firenze, 23 maggio 2010) Docenti: Prof. Dott. Guido Pesci e Prof.ssa Marta Mani Seminario “Asperger e Autismo: realtà a confronto” (Firenze, data da definire); Workshop “L’intervento clinico per l’Asperger e l’Autismo” (Firenze, data da definire) Docente: Prof. Dott. Michele Zappella

Per informazioni www.isfar-firenze.it www.formazionepsicologi.com www.clinicalpedagogy.com www.isfar.tv

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Raffaella Perrella

La depressione: storia, teoria, clinica Carocci, Roma, 2006, pp.126

L’Autrice, psicologa specialista in Psicoterapia Psicoanalitica, fornisce con questo testo un buono strumento di orientamento per coloro che siano interessati ad avere una visione d’insieme della patologia depressiva. Con egregia capacità di sintesi e di chiarezza, l’Autrice propone un excursus storico dei principali quadri teorici di riferimento (psicodinamico, cognitivo-comportamentale, biologico e psichiatrico) soffermandosi sulle maggiori figure di riferimento.

Nel volume viene dato ampio spazio ai diversi modelli di trattamento terapeutico della depressione, sottolineando vantaggi e limiti sia della terapia farmacologica sia di quella psicoterapeutica e proponendo come trattamento auspicabile la combinazione delle due tipologie di terapia. Sempre nell’ottica di fornire una visione d’insieme, l’Autrice non tralascia di menzionare anche le diverse metodiche alternative a quelle principali, quali elettroshock, fototerapia ed esercizio fisico.

Il testo tratta, inoltre, la classificazione dei Disturbi dell’umore riportati sull’asse I del DSM-IV focalizzando l’attenzione sulle indicazioni diagnostiche specifiche per le diverse fasi della vita, con un approfondimento per l’età adulta e per l’età evolutiva. Un’attenzione particolare è stata posta, infine, agli strumenti di valutazione della sintomatologia depressiva. L’Autrice, pur ritenendo fondamentale il colloquio clinico nella diagnosi di depressione, afferma la validità del supporto di altri strumenti diagnostici che indaghino sia gli aspetti fisiologici, sia quelli cognitivi.

Nel complesso il testo offre un chiaro quadro della patologia depressiva, fornendo le basi per una più approfondita conoscenza della malattia.

Assia Giannelli Giorgio Nardone

Solcare il mare all’insaputa del cielo Ponte alle Grazie, Firenze, 2008, pp. 192

A vent’anni dall’uscita de L’arte del cambiamento, Giorgio Nardone, psicoterapeuta tra i più eminenti ed innovativi a livello internazionale, pubblica quest’opera esperienziale, in relazione soprattutto all’attività svolta dal 1988 presso il Centro di Terapia Strategica di Arezzo (CTS). Con un linguaggio prezioso ed essenziale, descrive gli elementi costitutivi dei propri studi e della loro implementazione attraverso la comprensione differenziata dei casi, la diagnosi e la terapia, rilevando quel carattere innovativo che da sempre caratterizza l’opera dell’autore. Nardone fornisce all’approccio terapeutico l’intuizione strategica, inaugurando in definitiva una corrente nuova quanto controversa. I suoi suc-

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cessi sul campo vengono qui analizzati in modo lucido e incalzante. Edito da Ponte alle Grazie per il ventennale del CTS, il libro dà spazio alla ricerca, all’approfondimento e alla critica del lavoro sulla terapia breve. Un approccio semplice, ma scientifico, che vede l’utilizzo mirato delle cosiddette logiche non ordinarie: il paradosso, la credenza, la contraddizione, per costruire risoluzioni caso per caso ed ottenere una centratura, quanto mai millimetrica, del problema da affrontare. Il titolo evocativo, profondamente iconico, rende la natura essenziale dell’idea strategica, ma compendia anche la vicenda umana e professionale di cui Nardone si è reso protagonista. L’esplicazione del concetto di quella che l’Autore definisce “consapevolezza operativa” trova qui le applicazioni del caso, attraverso una tassonomia di modelli che vuol rendere comprensibile il modus operandi dell’approccio strategico, che dalla soluzione ricava la conoscenza del problema. Un motivo che scardina il pensiero tradizionale e che, come tutte le trovate geniali, procura in egual misura al suo autore plausi ed obiezioni.

Claudio Cecchi A. Vanni & G. Vanni

L’ansia in famiglia.

Meccanismi biologici, emotivi e relazionali Edizioni San Paolo, Milano, 2007, pp.154

Le autrici di questo libro esaminano il ruolo dei rapporti esistenti tra biologia, emozioni e relazioni nella genesi dei disturbi d’ansia, ponendo particolare attenzione alle dinamiche che favoriscono il nascere e l’alimentarsi dell’ansia all’interno del contesto familiare. Le autrici pongono all’attenzione del lettore i seguenti quesiti: “Come nasce l’ansia patologica all’interno delle relazioni familiari? È possibile una sua trasmissione tra i componenti della famiglia?”. Numerosi studi riportano come le emozioni siano regolate da meccanismi neurobiologici che si formano e si consolidano a partire da due aspetti fondamentali: la genetica e l’ambiente. A tale proposito nel libro viene sottolineata l’importanza dei modelli e degli stili relazionali vissuti durante la crescita. Da un punto di vista biologico si può affermare che nei momenti di crisi che si presentano nella vita di ognuno di noi, prevalgono modalità antiche, una sorta di riflessi emotivi che abbiamo appreso nella memoria implicita. I ricordi emotivi dei comportamenti e delle modalità espressive delle persone con cui siamo cresciuti, possono riaffacciarsi ed esprimersi sotto forma di comportamenti e modalità percettive. L’apprendimento gioca dunque un ruolo fondamentale: si può infatti apprendere ad essere ansiosi anche solo tramite osservazione (apprendimento vicario). Le autrici concludono, in accordo con gli studi riportati dalla letteratura, come la storia di apprendimento personale, il temperamento ed il contesto costituiscano fattori di vulnerabilità o invulnerabilità che possono influenzare le risposte a breve e a lungo termine ad eventi stressanti e allo svilupparsi di disturbi ansiosi.

Ester Molini

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Jean-Albert Meynard

Il complesso di Barbablù

Frassinelli, Milano, 2007, pp. 240 Lo psichiatra francese Jean Albert Meynard in questo libro va alla ricerca delle origini dell’odio attraverso la descrizione della cosiddetta psicologia del male, etichettata come “Complesso di Barbablù”, in riferimento all’omonimo crudele personaggio del racconto di Perrault che spingeva le proprie mogli a commettere un errore per poterle punire e così soddisfare le sue pulsioni. Questo parallelismo con il personaggio della celebre fiaba permette all’autore di analizzare il fenomeno della cattiveria e delle sue svariate manifestazioni. Nell’analizzare i comportamenti umani, l’Autore ci accompagna in un percorso di conoscenza che considera l’uomo sotto vari aspetti: biologico, antropologico e psicologico; se la patologia nasce nell’età della ragione quando comincia a delinearsi la sete di potere e di dominio sugli altri, è necessaria l’interazione di più fattori per dare origine ad un Barbablù. L’autore considera quindi sia il ruolo predisponente delle patologie cerebrali, degli ormoni, dei geni, sia quello facilitante di alcuni disturbi psichiatrici, di certe sostanze stupefacenti o della famiglia, che “è dove cominciano i primi gradini del sociale... la culla delle rivolte”.

Alla ricerca delle origini del male Meynard ci presenta un quadro estremamente sfaccettato di comportamenti umani devianti, che vanno dalla violenza fisica (abusi, omicidi seriali, sadismo) a delle forme più sottili e sofisticate del crimine (l’ironia caustica, il disprezzo sociale, la svalorizzazione e l’umiliazione), attingendo per questa descrizione non solo alla storia ed alla letteratura, ma anche alla sua esperienza di clinico. L’Autore conclude il libro offrendo consigli ed indicazioni per saper gestire efficacemente questi fenomeni, per evitare di cadere nella trappola dei Barbablù ed eventualmente uscirne il meno feriti possibile.

Valentina Biondi

Duccio Demetrio

La scrittura clinica: consulenza autobiografica e fragilità esistenziali Cortina, Milano, 2008, pp. 467

Il testo, inizialmente, individua nella scrittura in generale e nell’autobiografia in particolare un metodo per reagire a stati depressivi lievi e temporanei, non tali da indurre alla ricerca di un aiuto psicoterapeutico: identifica lo scrivere, nelle sue varie forme e declinazioni, come via per giungere ad una migliore e più profonda conoscenza di sé stessi e come risposta ad uno stato di disagio non ancora divenuto “insopportabile”. In questa ottica Demetrio propone la scrittura come possibilità per tutti di intraprendere un percorso, che sia in solitudine o assistito da un consulente, che avrà carattere introspettivo e retrospettivo, saprà rafforzare i propri margini di autonomia, consolidando il potere narcisistico dell’Io reso più fragile da circostanze par-

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ticolari della vita, ma non gravemente compromesso.

L’Autore affronta successivamente il tema della scrittura clinica in termini psicoterapeutici, ad orientamento prettamente psicoanalitico, indicandola sia come utile parte integrativa della terapia, che come importante “sintomo clinico” nel caso in cui il paziente non riesca o rifiuti di praticarla dopo averla autonomamente cercata. Viene sottolineato come il terapeuta può inferire da un testo scritto qualcosa di più dell’organizzazione mentale del paziente rispetto al solo dialogo clinico e come allo stesso tempo gli scritti del paziente possono svolgere un ruolo importante per la valorizzazione della sua parte “sana”, delle sue risorse cognitive e del suo sviluppo personale. Inoltre l’adozione di una tra le diverse possibilità di scrittura aiuta alcuni pazienti a contenere l’ansia tra una seduta e la successiva. Nel testo vengono vagliati moltissimi aspetti e cause che spiegano il contributo offerto dalla scrittura, aspetti che chiunque abbia abitudine più o meno frequente e continuativa allo scrivere ha certamente scorto in prima persona, anche se solo a livello intuitivo.

Francesca Corti Umberto Galimberti

L’ospite inquietante: il nihilismo e i giovani Feltrinelli, Milano, 2007, pp. 180

Umberto Galimberti con il suo libro “L’ospite inquietante” affronta in modo dinamico il problema del nichilismo e delle sue manifestazioni nella vita dei giovani d’oggi. Il malessere e la sofferenza che ne scaturiscono sono il risultato della crisi della nostra società contemporanea in cui la Tecnica, si è fatta spazio tra il senso e il sentimento, le idee e gli scopi, per lasciare posto alla “fredda razionalità” che non ha scopo, non promuove senso e non ha spazio per l’emotività.

I giovani soffrono e non sanno neanche perché, l’autore li definisce analfabeti emotivi, poiché non sanno leggere né le proprie emozioni né quelle degli altri. A questa incapacità di comunicare l’emozione e riflettere su di essa si aggiunge anche un’indifferenza emotiva per la quale “non si ha risonanza emozionale di fronte ai fatti a cui si assiste o ai gesti che si compiono”, e qui l’autore passa in rassegna alcuni fatti di cronaca, che hanno visto protagonisti di atrocità, senza movente, giovani ragazzi apparentemente “normali”. Mancando nella nostra società un’educazione e un riconoscimento della sfera emotiva, i giovani si trovano “ad avere un’emotività carica e sovraeccitata che li sposta dove vuole” senza esserne consapevoli, ed è questo eccesso di emotività non analizzata, non contemplata, che li porta ad essere sedotti dalla droga, al gesto suicida, all’insensatezza delle azioni senza senso, temi che l’autore affronta nei capitoli del libro.

Elena Mancusi

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NEWS

Ultime notizie dalla Scienza Sonno: a Firenze si studia chi si sveglia... senza sveglia FIRENZE - Perchè ci svegliamo un attimo prima della sveglia? E cos’hanno di particolare coloro che si svegliano... senza sveglia? Una risposta che spieghi come funziona l’orologio della mente, la sta cercando l’équipe di Piero Salzarulo della Facoltà di Psicologia di Firenze, con una ricerca che ha analizzato comportamenti e abitudini di 1.144 studenti dell’ateneo fiorentino.

I dati preliminari mostrano che l’81% usa regolarmente la sveglia, il 16% lo fa solo in certe occasioni e poco più del 3% la sveglia non la usa proprio mai: sono i cosiddetti self-awakeners, gli auto-risveglianti. Non ne hanno bisogno perché l’orologio biologico che possiedono nella mente e nel corpo li sveglia tutti i giorni alla stessa ora.

Non solo: rispetto a chi si sveglia con la sveglia, i selfawakeners escono dal sonno più facilmente e si sentono più riposati. È plausibile ipotizzare - spiega Salzarulo - che chi riesce a svegliarsi spontaneamente all’ora voluta è anche capace di modificare l’orario di risveglio rispetto a quello abituale, anticipandolo o posticipandolo. Ed è proprio su questo aspetto, cioè sulla capacità di riuscire ad anticipare l’ora del risveglio rispetto a quella abituale, senza l’aiuto di mezzi esterni, che ora sta indagando l’équipe di psicologi fiorentini (Agr).

Giovani precari a rischio impotenza Firenze - Non bastavano il contratto a tempo determinato, le difficoltà nel comprare casa e nel mettere su famiglia.

I giovani precari sarebbero anche a rischio impotenza: a sostenerlo è Marco Carini, direttore della Clinica urologica di Firenze, che a margine della conferenza per i cento anni della Società italiana di urologia (Siu) ha sottolineato come i fattori di incertezza tipici dei precari possano causare eiaculazione precoce e disfunzione erettile. Il problema dell’eiaculazione precoce, come ricorda l’esperto, colpisce il 25-30% dei giovani, mentre la disfunzione erettile interessa il 35% degli uomini sotto i 35 anni e il 47% di quelli sopra i 36.“Per i più giovani - spiega Carini - la precarietà del lavoro, le difficoltà economiche, l’impossibilità di creare una famiglia sono fonte di ansia e stress, e possono avere serie ripercussioni sulla vita sessuale”. Se a queste incertezze si somma poi anche la mancanza di un partner stabile, “allora - continua Carini - allo stress si va ad aggiungere l’ansia da prestazione che si può scatenare con i rapporti occasionali” (Ansa).

Depressione e demenza STATI UNITI - Aver sofferto di depressione prima dei 60 anni di età aumenterebbe i rischi di sviluppare il morbo

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di Alzheimer sino a 4 volte di più rispetto alla media delle persone. È il risultato di uno studio pubblicato su Neurology in cui sono stati esaminati circa 500 anziani tra i 60 e i 90 anni di età normali all’inizio dell’indagine. Di questi, 130 avevano avuto almeno una crisi depressiva in passato curata da un medico. Confrontando i dati sulla presenza di episodi depressivi e sulla manifestazione di demenza, i ricercatori hanno concluso che una pregressa depressione aumenta i rischi di sviluppare il morbo di Alzheimer di due volte e mezzo rispetto alla media. Ma se la depressione si è manifestata prima dei 60 anni, il rischio sale fino a 4 volte in più (La Repubblica).

Gli anziani sono più soddisfatti dei giovani delle loro attività sociali STATI UNITI – Il Professor Bill Von Hippel, dell’Università del Queensland ha esaminato la correlazione fra età e soddisfazione sociale. In collaborazione con Julie Henry e Diana Matovic, il Professor Von Hippel ha misurato l’attività sociale e la soddisfazione in adulti di età compresa tra i 66 e i 91 anni e in giovani tra i 18 e i 30 anni. I risultati mostrano che gli adulti più giovani, pur prendendo parte a un numero maggiore di attività sociali, sono meno soddisfatti degli adulti più anziani.

Nonostante le persone anziane prendano parte a meno attività sociali con altri e passino la maggior parte del giorno da soli, sono più soddisfatti dei giovani: la ragione ipotizzata per questa elasticità sociale sembra risiedere nella percezione dell’attività sociale. Se un giovane ed un anziano partecipano alla stessa esperienza, è probabile che il più anziano lo trovi più soddisfacente (ScienceDaily).

Chi non lavora non fa l’amore COSTA D’AVORIO – Uno studio condotto nel Taï National Park (Costa d’Avorio) da Cristina M. Gomes e Christophe Boesch hanno dimostrato l’abitudine che hanno gli scimpanzé di barattare sesso in cambio di cibo.

Grazie a numerose osservazioni i ricercatori hanno riscontrato che le femmine di scimpanzé si accoppiano con maggiore frequenza e hanno relazioni più stabili e durature con i maschi che prima hanno condiviso il cibo con loro. Così i maschi che dividono il cibo con una femmina hanno mediamente il doppio delle possibilità di accoppiarsi con lei rispetto agli altri maschi meno “generosi”. Un maschio capace di portare una quantità di cibo al branco tale da essere condivisa dimostra di essere sano, forte e più intelligente degli altri, caratteristiche che lo rendono più attraente per le femmine le quali cercano subito di instaurare dei rapporti sessuali per assicurarsi il cibo in futuro e sentirsi protette (Repubblica.it).

gennaio - giugno 2009

Centro Studi Specialistici

Kromos

Psicologia - Psicoterapia - Pedagogia Clinica Reflecting - Psicomotricità Funzionale Viale Europa 153-155 50126 Firenze tel. 0556531816 - 0556821548 - 0556532802

Il Centro Studi Specialistici Kromos, fondato nel 1985, è un Centro privato nel quale viene svolta attività clinica e di consulenza rivolta a persone di ogni età singoli, coppie e gruppi.

Psicologia e Psicoterapia La professione di psicologo comprende l’uso degli strumenti conoscitivi e di intervento per la prevenzione, la diagnosi, le attività di abilitazione-riabilitazione e di sostegno in ambito psicologico rivolte alla persona, al gruppo, agli organismi sociali e alle comunità […] attività di sperimentazione, ricerca e didattica (art. 1, Legge 18 febbraio 1989, n. 56). L’esercizio dell’attività psicoterapeutica è subordinato a una specifica formazione professionale da acquisirsi […] mediante corsi di specializzazione almeno quadriennali (art.

3, legge18 febbraio 1989, n. 56).

SERVIZI PSICOLOGICI: Psicodiagnosi e valutazione, consulenza e sostegno psicologico, psicologia dello sport, interventi abilitativi e riabilitativi, interventi psicoeducativi, progetti di intervento psicologico.

SERVIZI PSICOTERAPEUTICI: Psicoterapia, ipnosi clinica.

Pedagogia Clinica Il pedagogista clinico, basandosi sulla globalità della persona, utilizza metodi educativi, tecniche e tecnologie innovative con l’intento di rafforzare le capacità individuali e soddisfarne i bisogni.

SERVIZI: Osservazione e diagnosi, interventi educativi con finalità di prevenzione e di recupero, progetti pedagogico-clinici.

Reflecting Il Reflector facilita l’individuo a riflettere su di sé, sul proprio essere e sul proprio esistere, utilizzando prevalentemente le proprie risorse personali.

SERVIZI: Aiuto alla riflessione per conoscersi e rintracciare in sé le risorse per fronteggiare e superare gli stati di disagio.

Psicomotricità Lo psicomotricista, per mezzo di esperienze motorie, genera motivazione e stimola l’intenzionalità per far eseguire alla persona movimenti convenienti, un modo di essere efficace sull’ambiente con un’azione appropriata e adatta ad ogni circostanza.

SERVIZI: Bilancio Psicomotorio Funzionale, interventi e progetti di educazione psicomotoria Altri servizi del Centro: Progetti di orientamento; Consulenza tecnica e peritale; Supervisione; Corsi, Seminari e Workshop, Aggiornamento e Formazione per scuole, enti pubblici o privati.

Collaborano con il Centro: Psichiatri, Neuropsichiatri infantili, Altri Consulenti sanitari e legali.

Professionisti Prof.ssa Dr. Anna Pesci Psicologa, psicoterapeuta (Ordine degli Psicologi della Toscana, n. 650), logopedista Prof. Dr. Guido Pesci Psicologo, psicoterapeuta (Ordine degli Psicologi della Toscana, n. 651), pedagogista clinico, reflector Dr. Simone Pesci Psicologo (Ordine degli Psicologi della Toscana, n. 4843) Prof.ssa Marta Mani Pedagogista clinico (Ass.ne Nazionale Pedagogisti Clinici, n. 2051), psicomotricista, reflector