I Semini 04: Come "Pregare sempre"

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Come “Pregare Sempre” pregARE e stato di preghiera I SEMINI


«La vita interiore del giusto che tende a Dio, e che già vive di Lui, è veramente l’unica cosa necessaria (Lc 10,42).

È evidente che per essere un santo non è indispensabile aver ricevuto una cultura intellettuale, e spiegare una grande attività interiore; basta vivere profondamente di Dio. […] “Qual vantaggio infatti avrà l’uomo se guadagnerà il mondo intero, e poi perderà la propria anima?” (Mt 16,26 CEI 1974). Se sacrifichiamo tante cose per salvare la vita del corpo, che dopotutto dovrà morire, come non dobbiamo essere pronti a tutto sacrificare per salvare la vita dell’anima destinata a durare in eterno? E non deve l’uomo amare la propria anima più del suo corpo? Una sola cosa è necessaria, ascoltare la parola di Dio e viverla per salvare l’anima propria. È questa la parte migliore che non può essere tolta all’anima fedele». (R. Garrigou-Lagrange) Testi utilizzati: p. Rodolfo Plus, Come pregare sempre (testo digitale da totustuus.cloud) S. Francesco di Sales, Filotea; R. Garrigou-Lagrange, Le tre età della vita interiore, VivereIn, vol. II; Dizionario di teologia da scrutatio.it; Articolo da itresentieri.it; Catechismo degli adulti.

I SEMINI n. 04


1 ATTI DI PREGHIERA E STATO DI PREGHIERA (Tratto da: padre Rodolfo Plus S.J. , Come pregare sempre, Marietti 1924)

Pensare sempre a Dio è possibile?

Si impone fino dall’inizio una distinzione: non bisogna confondere gli atti di preghiera con lo stato di preghiera. Gli atti di preghiera sono momenti di unione affettiva della nostra mente con Dio. Rientrano in questa categoria tutte le preghiere vocali o mentali, rosari, novene, giaculatorie, ecc. in pratica parole recitate con le labbra o con la mente; oppure intime aspirazioni che partono dal cuore. In entrambi i casi il nostro pensiero è occupato da Dio, o cerca di occuparsi di Dio. Questi momenti possono essere così frequenti da costituire una trama pressoché continua durante la nostra giornata, vale a dire: posso pensare solo a Dio? La risposta è no, e vi è una duplice impossibilità: • Anzitutto un’impossibilità pratica. Il nostro dovere di stato ci impone un grande numero di atti diversi dagli atti formali di preghiera: una lezione da preparare o da svolgere, un lavoro di casa o un’opera di carità, una occupazione intellettuale assorbente. • Vi è poi una difficoltà di ordine psicologico. Anche se le occupazioni esteriori fossero ridotte al minimo, gli esercizi continui di preghiera sarebbero impossibili per le nostre capacità mentali. Anche gli orari dei contemplativi sono interrotti da occupazioni diverse dalla preghiera. Possiamo quindi considerare tre principi basilari: 1. Non si può, salvo eccezioni, applicare costantemente il proprio pensiero a Dio. 2. Essere uniti a Dio con la volontà è più importante che essere a Lui uniti con il pensiero continuo. 3. Il ricordo frequente di Dio aiuta molto l’unione intima della volontà con Lui. 1


Da ciò possiamo concludere che pensare sempre a Dio è impossibile; pensare spesso a Lui è utilissimo e desiderabile. “Pregare sempre” non significa far seguire agli esercizi di pietà nuovi esercizi di pietà, a un rosario la recita di un piccolo ufficio, poi una lettura, un’orazione mentale e così di seguito; ma significa vivere in uno stato in cui tutto sia «elevazione dell’anima a Dio». In breve: Gli atti continui di preghiera sono impossibili; ma lo stato continuo di preghiera è sommamente desiderabile. Lo stato di preghiera e i doveri del proprio stato

Per prima cosa - a parte il tempo della preghiera - Dio ci chiede in ogni occasione di agire per Lui adempiendo i doveri nel nostro stato, evitando anche, se necessario, di fare pratiche di preghiera nel caso in cui ciò arrecherebbe un danno all’«agire per Lui». Cosa sono i doveri del proprio stato? Per un lavoratore, far bene e con onestà il proprio lavoro; per una madre, aver cura dei figli e della famiglia; per uno studente, impegnarsi nello studio, e così via. Un esempio per chiarire il concetto. Una madre di famiglia rimane tanto assorta nelle pratiche di pietà che non riesce a combinare nulla. I momenti di preghiera si moltiplicano, le orazioni o gli slanci si susseguono; ma si accumulano anche gli abiti da stirare, i piatti da lavare, le negligenze verso i figli e il marito, e le dimenticanze di ogni tipo. Chi non le consiglierebbe meno esercizi di pietà e più fedeltà ai propri doveri di stato? È preghiera tutto ciò che sale verso l’Altissimo per adorarlo, ringraziarlo, domandargli perdono e implorare le sue grazie. E per tutto ciò che sale a Lui si intende sia tramite la preghiera esplicita e formale (gli atti di preghiera), sia per mezzo della preghiera implicita al nostro stato di preghiera. In che modo, allora, mantenersi in stato in preghiera durante lo svolgimento dei nostri doveri di stato? Essi devono essere compiuti: 1. 2. 3. 4.

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Per Dio (purezza d’intenzione) Nel miglior modo possibile (perfezione degli atti) Conformemente alla volontà di Dio In unione all’offerta di Cristo


Le azioni, anche quelle più semplici, così compiute, vengono soprannaturalizzate e divengono preghiera molto gradita a Dio.

TRASFORMARE TUTTO IN PREGHIERA Ogni azione fatta per Dio sale a Lui come una «elevazione» del nostro essere verso la suprema maestà divina, il gesto filiale della creatura che offre tutto al suo Creatore e Padre. Di qualunque cosa si tratti, lavare i panni o spazzare le strade, quando appartengono ai doveri di stato, sono tesori che accumuliamo per il cielo, se li svolgiamo in modo gradito a Dio. Perché ciò avvenga vi sono alcune condizioni: - Purezza d’intenzione: significa fare tutto per Dio, offrendolo a Lui, senza gonfiarci per il buon risultato di un’azione svolta ma facendo risalire tutta la lode e il merito A Dio. Ogni cosa, che si tratti di salse di cucina, speculazioni di alta filosofia o lavoro manuale del falegname, può essere trasformato in preghiera tramite la giusta intenzione. Dio ha una grande bontà nei confronti delle intenzioni umane: a differenza degli uomini che giudicano dall’apparenza, Dio vede l’intenzione del cuore. Tuttavia non basta parlare della bellezza e dell’importanza dell’intenzione; occorre anche sottolineare la difficoltà di riuscire a mantenerla sempre rettamente orientata. L’Imitazione di Cristo raccomanda di avere lo sguardo semplice, cioè avere, in tutto ciò che si fa, un intento esclusivamente soprannaturale, non macchiato da vari motivi umani. Sant’Ignazio propone il medesimo ideale: «Che in tutte le cose cerchino Dio e Dio solo». Bisogna sempre ritornare su questa raccomandazione, comune a tutti i maestri di vita spirituale, e vigilare costantemente sulle insidie tese dall’amor proprio, dall’orgoglio, dal piacere di apparire o di essere lodati. Infatti, se vogliamo guardare bene, quasi sempre le motivazioni sono «mescolate»: le nostre azioni non le facciamo solo per Dio, ma vi aggiungiamo anche un po’ di vanità o di amor proprio. - perfezione dei nostri atti: Dio non ci chiede di fare grandi cose, ci chiede invece di fare ciò che rientra nei nostri doveri quotidiani ma in 3


un altro modo, nel miglior modo possibile: con gioia o serenità, come se fosse stato Lui a dirci di fare quella cosa, e non lamentandoci della nostra situazione; come se stessimo facendo quell’azione o quel compito per Lui. Ad esempio: se il tuo lavoro è stirare camicie, fallo come se stessi stirando una camicia di Dio; se il tuo lavoro è di fare saldature, falle come se ti fossero state commissionate da Dio. - La vera unione con Dio, poi, risulta dall’unione della nostra volontà con quella di Dio: se la volontà di Dio o il suo desiderio richiede che ora io preghi, il mio dovere è pregare. Se invece richiede che io abbandoni la preghiera per attendere ad altri compiti molto impegnativi (che non lasciano nel frattempo alcun riposo alla mente per salvaguardare l’unione del pensiero con Dio) la mia unione con Lui è tuttavia preservata, a patto che tali compiti siano svolti nella volontà di Dio, nel miglior modo a noi possibile e nel pieno della carità. La santità si trova esattamente nell’unione della nostra volontà con il divino volere. Spesso desidereremmo una vita diversa da quella che Dio ci ha assegnato: piena di altri avvenimenti, di altre attività, di doveri di stato meno monotoni. Ma dobbiamo renderci conto che è stato Dio a scegliere il compito e il posto per ciascuno di noi. Per questo motivo dobbiamo impegnarci e fare del nostro meglio durante le nostri occupazioni quotidiane, il nostro dovere di stato, il nostro essere impiegato, casalinga, insegnante, genitore, coniuge, consacrato, medico… I santi si comportavano così, facevano bene quello che dovevano fare, sono rimasti abitualmente fedeli nelle piccole cose: è la nozione più elementare e allo stesso tempo più profonda di santità. Per avere sempre a mente questo obiettivo, un metodo potrebbe consistere nel chiedersi : “come farebbero questa cosa Gesù o Maria, se fossero al mio posto? Come si comporterebbero? Cosa direbbero?...”. Un’anima che adottasse questa regola di condotta pratica non avrebbe più bisogno di cercare altrove una formula di santità: l’avrebbe già trovata.

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PRESENZA DI DIO IN NOI Pregare è offrire se stessi con Cristo

Mettersi a pregare significa cercare il contatto con l’Invisibile: ci è stato insegnato che “la preghiera è elevazione dell’anima a Dio”. Nonostante i nostri sforzi e la buona volontà spesso abbiamo ben poco di buono con cui presentarci davanti a Dio. Ma c’è un segreto per dare alla propria preghiera e alle proprie azioni un enorme valore agli occhi di Dio: con il battesimo ho ricevuto il potere di offrire Gesù al Padre Celeste. Pregare «cristianamente», quindi, significa offrire Gesù Cristo, i suoi meriti, le sue sofferenze, tutto il tesoro da Lui accumulato con l’intera opera di Redenzione, unitamente a tutto cioè che siamo e abbiamo, ai nostri affetti, alle nostri azioni, alle nostre facoltà, ecc. È il per Cristo, con Cristo e in Cristo della Messa. Se la nostre preghiere sono spesso vuote e restano senza frutto è perché spesso non c’è abbastanza Gesù Cristo nella nostra preghiera. Il padre Guillore consiglia: «fissando lo sguardo su due cose soltanto: le divine azioni di Gesù, che tenete fra le mani come un tesoro da offrire; e il Padre celeste a cui le offrite». «Dovete presentare e offrire Cristo con un cuore umile e generoso, come tesoro servito per la vostra liberazione e il vostro riscatto. E Gesù vi offrirà con Lui al Padre, come frutto prediletto per il quale Egli e morto; e il Padre vi riceverà assieme al Figlio, in un abbraccio pieno d’amore». Ecco due formule di offerta: 1. Cuore divino di Gesù, io ti offro per mezzo del Cuore Immacolato di Maria, madre Tua e della Chiesa, in unione al Sacrificio eucaristico, le preghiere, le azioni, le gioie e le sofferenze di questo giorno, in riparazione dei peccati, per la salvezza di tutti gli uomini, nella grazia dello Spirito Santo, a gloria di Dio nostro Padre. Amen. 2. Eterno Padre, ti offro, per le mani purissime di Maria e per il Cuore divino di Gesù, il Sangue preziosissimo di Gesù sparso generosamente nella Passione e ogni giorno sugli altari;unisco le preghiere, le azioni, le sofferenze mie di questo giorno secondo le divine intenzioni 5


della Vittima Santa, in sconto dei miei peccati, per la conversione dei peccatori, per i bisogni della Santa Chiesa e in suffragio delle Anime sante del Purgatorio. Amen. Da queste formule di offerta giungiamo facilmente al prossimo punto: l’inabitazione, cioè la presenza costante della Santissima Trinità in noi.

DAL CATECHISMO DEGLI ADULTI: BATTESIMO E UNIONE A CRISTO L’iniziazione cristiana è l’inserimento dei credenti in Cristo morto e risorto come membri del suo popolo profetico, regale e sacerdotale, per morire al peccato e vivere da figli di Dio, facendo «la verità nella carità» (Ef 4,15). Si attua nell’educazione alla fede e nei sacramenti del battesimo, della cresima e dell’eucaristia, i sacramenti dell’iniziazione cristiana, che danno rispettivamente inizio, incremento e continuo nutrimento alla vita nuova del discepolo di Cristo. Il battesimo, lavacro di acqua conferito nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo, rimette il peccato originale e tutti i peccati personali; fa rinascere come figli di Dio, uniti a Cristo e animati dallo Spirito; consacra con un sigillo spirituale indelebile; incorpora alla Chiesa e rende partecipi della sua missione. Uniti e configurati a Cristo, formiamo la Chiesa suo mistico corpo: un solo battesimo, un solo Dio Padre, un solo Signore Gesù Cristo, un solo corpo ecclesiale, animato da un solo Spirito Santo. Consacrati con il carattere battesimale, siamo resi partecipi della missione profetica, regale e sacerdotale del Messia. Siamo abilitati a professare la fede con le parole e le opere, a ordinare secondo giustizia e carità le relazioni con gli altri, a offrire in unione al sacrificio eucaristico il lavoro, la sofferenza, l’esistenza intera. L’inserimento in Cristo e nella Chiesa, attuato dallo Spirito Santo, implica un profondo rinnovamento interiore, che è liberazione dal 6


peccato originale e da tutti i peccati personali eventualmente commessi e soprattutto dono della grazia santificante, in virtù della quale partecipiamo addirittura alla vita divina della Trinità fin da adesso, siamo «chiamati figli di Dio, e lo siamo realmente» (1Gv 3,1), diventiamo eredi dei beni eterni, dal momento che, «se siamo figli, siamo anche eredi» (Rm 8,17). Il battesimo «non è un semplice suggello alla conversione, quasi un segno esteriore che la dimostri e l’attesti», ma comporta una nuova nascita e nuovi legami con le persone divine. Fa sì che il battezzato sia una nuova creatura e abbia nuove possibilità. Non per niente nella Chiesa delle origini i cristiani si considerano «santi» (2Cor 1,1), cioè appartenenti a Dio, e sono consapevoli di dover vivere «come si addice a santi» (Ef 5,3) e di doversi rivestire come «amati di Dio, santi e diletti, di sentimenti di misericordia, di bontà, di umiltà, di mansuetudine, di pazienza» (Col 3,12). Ogni comunicazione di amore inizia con un dono, ma il dono attende una risposta.

Il battesimo, per non restare infruttuoso, esige una coerente risposta personale. Il rito si compie una volta per sempre e non può essere ripetuto, ma occorre tradurlo ogni giorno in esperienza vissuta: ce lo ricorda la solenne rinnovazione delle promesse battesimali nella veglia di Pasqua. I battezzati sono idonei a ricevere i sacramenti successivi. Resi partecipi della triplice missione profetica, regale e sacerdotale di Cristo, sono deputati, ciascuno per la sua parte, ad attuare nel mondo il compito salvifico della Chiesa, nella varietà delle vocazioni e dei ministeri. Purtroppo per molti il battesimo rimane come sepolto sotto una coltre di cenere. Occorre farlo rivivere con una presa di coscienza personale attraverso un adeguato cammino di fede.

ESSERE CONSAPEVOLI DELLA PRESENZA DI DIO «La via più breve all’amore perfetto consiste nell’avere Dio continuamente presente: ciò fa evitare ogni peccato e non lascia tempo di pensare ad altre

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cose, di lamentarsi o mormorare. La presenza di Dio, presto o tardi, conduce alla perfezione». (Padre Pergmayr)

Dicevamo che in tutte le nostre azioni dobbiamo avere una totale purezza d’intenzione e dare al nostro dovere di stato, generosamente osservato, il massimo orientamento soprannaturale. In tal modo la nostra vita, anche al di fuori dei momenti dedicati alla preghiera, sarà una vita d’orazione. Perché ciò avvenga è necessario acquisire l’abitudine di rivolgere uno sguardo a Dio prima di cominciare un’azione o di prendere una decisione. Si comprende allora che è un immenso beneficio, per chi è in cammino spirituale, pensare non soltanto alla presenza di Dio in generale, “in ogni luogo”, ma anche alla sua presenza dentro di noi. Rivolgersi a Dio presente in noi richiede un semplice sguardo di fede. L’inabitazione divina nell’anima in stato di grazia e, infatti, una realtà, per cui non devo immaginarmi grandiosi scenari e neppure intraprendere viaggi avventurosi e fantastici fino ai confini dello spazio. Devo fare una cosa sola: entrare in me stesso. Qui trovo il Signore. Dio è presente nelle nostre anime per mezzo della grazia santificante. Chi ha preso familiarità con questa idea ha tutto l’occorrente per praticare l’unione con Dio, e per valersi delle cose circostanti come strumenti che riconducono sempre al centro della vita spirituale. Un’anima di fede, quando entra in una cattedrale, abbassa istintivamente la voce, misura i gesti e assume un atteggiamento più composto: è alla presenza della divina Maestà, del Grande Ospite. Tace e adora. Qualunque cosa debba fare, non può ignorare Colui che nel tabernacolo dimora e vive. Siamo altrettante cattedrali viventi, siamo per noi stessi la nostra cappella, in noi Dio dimora e vive se siamo in stato di grazia. L’eucaristia non è il solo sacramento della presenza reale di Dio fra gli uomini, c’è anche il battesimo: l’inabitazione delle tre persone divine in noi dopo essere stati liberati dal peccato originale non è meno reale della presenza del Signore nel tabernacolo; la differenza fra le due presenze riguarda unicamente le modalità, ma non la loro realtà. S. Paolo della Croce scrisse: «La fede ci attesta che il nostro cuore è 8


un grande santuario, perché è tempio di Dio e dimora della santissima Trinità».

PRESENZA DI DIO E RACCOGLIMENTO Nel XVII secolo, nelle Pratiche per conservarsi alla presenza di Dio si raccomandava «il semplice, ma amoroso, ricordo di Dio presente in noi». • Semplice: «si può fare senza immagini, senza atti esteriori, senza ragionamenti e senza sforzo intellettuale; questa vista di Dio non disturba le nostre occupazioni, anzi le facilita: alla presenza di un amico si lavora meglio». • Amoroso: «non è necessario fare un atto particolare d’amore divino, basta un implicito desiderio di piacere a Dio, misura del nostro amore nei suoi confronti». • Presente in noi: «non è proibito considerare l’onnipresenza divina - specialmente se ci si riesce con facilità - ma questo particolare modo di vedere Dio presente in noi fu molto stimato dalla maggior parte dei santi perché è assai utile per condurre al vero raccoglimento». Su questo argomento dobbiamo ascoltare specialmente santa Teresa d’Avila: «Ricordate quel che dice sant’Agostino, il quale, dopo aver cercato Dio in molti luoghi, lo trovo finalmente in se stesso. Ora, credete che importi poco per un’anima soggetta a distrazioni comprendere questa verità e conoscere che per parlare con il suo Padre celeste e godere della sua compagnia non ha bisogno di salire al cielo, ne di alzare la voce? Per molto basso che parli, Egli, che le è vicino, l’ascolta sempre. E per cercarlo non ha bisogno di ali perché basta che si ritiri in solitudine e lo contempli in se stessa. Nonché allora spaventarsi per la degnazione di un tal Ospite, gli parli umilmente come a Padre, gli racconti le pene che soffre, gliene chieda il rimedio, riconoscendosi indegna di essere chiamata sua figlia» . Per rassicurare quanti potrebbero stupirsi nel vedere portare a così 9


sublimi conseguenze pratiche una dottrina così semplice ed essenziale, la Santa aggiunge: «Quelle tra voi che sanno racchiudersi in questo modo nel piccolo cielo della loro anima, ove abita Colui che la creò [... ], vanno per buona strada e non mancheranno di arrivare all’acqua della fonte» . «Io per me vi confesso che mai seppi cosa volesse dire pregare con soddisfazione fino a quando il Signore non mi pose su questa via. [...] Concludo ripetendo che dipende tutto da noi. Chi vuol arrivare a questo stato, non deve mai lasciarsi scoraggiare. Si abitui a ciò che ho detto, e a poco a poco si farà padrone di sé. Non solo non perderà nulla, ma guadagnerà sé per se stesso, facendo servire i propri sensi al raccoglimento dell’anima. Se deve parlare, penserà che ha da parlare in se stesso con qualche altro. Se deve ascoltare, si ricorderà di prestare orecchio a una voce che gli parla più da vicino. E, volendolo, constaterà di poter star sempre con Dio, rimpiangendo il tempo in cui ha lasciato solo un tal Padre, i cui soccorsi gli sono tanto indispensabili. Se può, lo ricordi spesso ogni giorno, o almeno di tanto in tanto; e, fattane l’abitudine, presto o tardi ne caverà profitto. Dopo aver ottenuto questa grazia, non vorrà cambiarla con alcun tesoro» .

PRATICA DELLE GIACULATORIE La pratica delle orazioni giaculatorie facilita il distacco dalle creature. Il pensiero di Dio, soprattutto quando è ardente e pieno d’amore, scopre la brace e ravviva la fiamma. Occorre specificare che la giaculatoria non dev’essere fine a se stessa, cioè parole senz’anima: devono essere un breve ma affettuoso pensiero lanciato verso Dio, durante le nostre attività. Esse ci aiutano a ricordarci che, qualunque cosa stiamo facendo, siamo sempre alla presenza di Dio; e ci ricordano gli obiettivi di purezza d’intenzione e perfezione dei nostri atti, obiettivi che dovremmo sempre tenere a mente se vogliamo entrare poco a poco nello stato di unione moralmente continua . Niente di meglio, quindi, che rinnovare frequentemente questi piccoli 10


pensieri di amore verso Dio. Cominciamo con ciò che è più facile: un atto di offerta a Dio, per esempio, ogni volta che mutiamo occupazione. Se le orazioni giaculatorie intralciano il lavoro, è opportuno trascurarle a vantaggio della sua buona riuscita. Prima di tutto, come abbiamo già detto, c’è il dovere di stato. Notiamo che i cenobiti e i primi monaci, a quanto sembra, non erano abituati a lunghe orazioni. In una lettera a Proba, sant’Agostino scrive: «Si dice che i nostri fratelli in Egitto pregano frequentemente, ma le loro preghiere sono molto brevi, simili a dardi scoccati verso il cielo». È interessante notare il motivo: «Per timore che l’attenzione, cosi necessaria nelle preghiere di maggior durata, finisca per illanguidirsi e spegnersi». Quali giaculatorie?

Ciascuno si abbandoni all’inclinazione che sente in cuore. Vi sono momenti in cui per le disposizioni interiori prorompono spontanei i sentimenti della via purgativa: «Pietà Signore! Miserere! Fiat! Gesù mio, misericordia!». Altre volte le aspirazioni si riferiscono alla via illuminativa: la popolare invocazione «Sacro Cuore di Gesù, confido in Voi!». Altri preferiscono le orazioni della via unitiva, che sono in se le migliori e tendono efficacemente a mantenere l’unione con Dio: «O beata Trinità!» di sant’Ignazio, «Mio Dio e mio tutto» di san Francesco d’Assisi e altrettante simili. Nel caso di un’anima senza inclinazioni speciali, suggeriamo quale giaculatoria di singolare valore il segno di croce e il Gloria Patri, i migliori richiami della presenza di Dio. Eccone alcune, a titolo puramente indicativo: • • • • • • •

Ti amo, Signore, mia forza Mio Dio, io ti amo e ti ringrazio Signore, sia fatta la tua volontà Signore Gesù, abbi misericordia di me peccatore Sia gloria al Padre al Figlio e allo Spirito Santo Grazie, Signore Gesù Benedetta Maria Santissima l’Immacolata 11


• Ti adoro, Signore Gesù, e ti benedico • Signore pietà, Cristo pietà, Signore pietà • Benedetto il Signore in eterno • Sia lodato e ringraziato ogni momento il Santissimo e divinissimo Sacramento • Benedetto sia Dio e benedetto il suo Santissimo Nome

PERSEVERARE NELLA PREGHIERA: CONSOLAZIONE E ARIDITÀ Nella vita di preghiera distinguiamo tre casi: calma, consolazione, desolazione. 1- Lo stato di calma. Il perseverare in essa non richiede grande fa-

tica, ma vuole tuttavia un certo impegno, la buona volontà di saper essere fedeli nelle piccole cose. Spesso, per pigrizia e mancanza di tempo veniamo meno alla nostra fedeltà a Dio: se non ci viene facile pregare quando tutto va bene, quando c’è “bonaccia”, come potremo sperare di mantenere salda la fede e perseverare quando arriverà la tempesta?

2- Lo stato di consolazione. “Sia benedetto Dio, Padre del Signore nostro Gesù Cristo, Padre misericordioso e Dio di ogni consolazione!” (2Cor 1,3). «La consolazione, cioè quell’emozione che produce un senso di pace e di gioia, rientra nel quadro generale della stessa purificazione del cuore, cui il vero credente viene abitualmente sottoposto da Dio Amore. Il Signore stesso conceda ai suoi «amici» delle consolazioni spirituali. È legittimo attenderle; esse, però, non possono mai essere lo scopo primario della vita spirituale. La consolazione è vera se è un momento di crescita» .

I grandi santi e maestri spirituali (Teresa d’Avila, Giovanni della Croce, Francesco di Sales, Tommaso d’Aquino, ecc.) hanno però messo in guardia da alcuni errori insidiosi: 1) Il primo, comunissimo errore, è costituito da una sorta di golosità 12


spirituale che porta a cercare più le consolazioni di Dio che il Dio delle consolazioni: cioè si cercano più le consolazioni in sè che Dio in quanto tale e per l’amore che gli è giustamente dovuto. «La gola spirituale, secondo San Giovanni della Croce [...] si trova spessissimo nei principianti: essi desiderano più le consolazioni sensibili che ricevono o si aspettano di ricevere tramite la preghiera, anziché amare Dio per tutto ciò che di sublime Egli è; questo è un amare prima se stessi e poi Dio. Nella norma, quindi, per far uscire l’anima da questa situazione scorretta, Dio la priva di ogni consolazione sensibile perché cerchi Lui anziché le consolazioni sensibili» . San Giovanni della Croce ci avverte: «non desiderate mai di ottenere favori singolari». Vuol forse dire che non dobbiamo desiderare la più stretta unione possibile con Dio? Certo, ma, una cosa è desiderare la pienezza sempre più vasta di grazia santificante, il che è vivamente consigliato; ben altro invece è desiderare grazie «date gratuitamente»: visioni, rivelazioni, ecc. il che è imprudente. Sulla stessa linea San Francesco di Sales: «la devozione non consiste nella dolcezza, soavità, consolazione e tenerezza sensibile del cuore, che ci porta alle lacrime e ai sospiri e ci dà una certa gradevole e sensibile emozione in qualche esercizio di pietà. No, cara Filotea, queste emozioni e la devozione non sono nemmeno parenti! Ci sono molte anime che godono di queste tenerezze e consolazioni e che, non per questo, cessano di essere viziose, e di conseguenza non hanno un vero amore di Dio e, ancor meno, una vera devozione. Saul, mentre perseguitava a morte il povero Davide, fuggiasco davanti a lui nel deserto di Engaddi, un giorno penetrò tutto solo in una caverna in cui era nascosto Davide con i suoi; Davide in quell’occasione avrebbe potuto ucciderlo molto facilmente, ma gli risparmiò la vita; non solo, ma non volle nemmeno spaventarlo. Lo lasciò uscire e poi lo chiamò per dimostrargli in tal modo la propria innocenza e fargli sapere che lo aveva avuto alla sua mercè. E cosa non fece mai allora Saul per dimostrare che il suo cuore era commosso di fronte a Davide? Lo chiamò figlio mio, si mise a piangere ad alta voce, a lodarlo, ad esaltarne la bontà, a pregare Dio per lui, a 13


predirne la futura grandezza, a raccomandargli i posteri. Come avrebbe potuto manifestare una maggiore dolcezza e tenerezza di cuore? Ciononostante nulla era cambiato nella sua anima, e continuò la persecuzione contro Davide, inesorabile come prima. Ci sono persone che assomigliano a Saul, che riflettendo sulla bontà di Dio e sulla Passione del Salvatore, provano momenti di forte commozione e sospirano, versano lacrime, pregano e rendono grazie con modi molto sensibili. Si direbbe che sono presi da una fortissima devozione. Ma quando si giunge alla prova, ci si accorge che assomigliano ai temporali passeggeri di una estate molto calda, allorché cadono sulla terra grossi goccioloni senza penetrare in profondità e sono utili soltanto a far crescere funghi; infatti tutte quelle lacrime e tutte quelle tenerezze cadono su un cuore vizioso e non lo penetrano, per cui non gli sono di alcun giovamento. Nonostante tutte le apparenze, quella brava gente non si priverà di una sola lira di quanto possiede [...] o di un briciolo dei propri agi per il servizio del Salvatore sul quale ha pianto. I buoni movimenti che ha provato, sono soltanto funghi spirituali che, non solo non sono vera devozione, ma spesso sono soltanto astuzie del maligno, il quale distrae le anime con queste piccole consolazioni; e così le rende contente e soddisfatte di modo che non cercano la vera e solida devozione, che consiste in una volontà costante, decisa, pronta e operante di attuare ciò che sappiamo essere gradito a Dio» . 2) Il secondo errore consiste nel confondere la consolazione sensibile con i veri «tocchi» di raccoglimento infuso, e immaginarsi di essere stati favoriti con grazie mistiche. Ciò può anche essere avvenuto, ma quasi sempre è così. Capita allora che taluni si convincano di essere stati chiamati a Dio da un’opera speciale fatta di rivelazioni mistiche, di miracoli ed eventi straordinari. la golosità spirituale ci fa ricercare le consolazioni sensibili (in alcuni casi vi è anche la ricerca del miracolismo) della grazia, al punto da ricercare in esse più noi stessi che Dio. Orgoglio spirituale e golosità spirituale sono alla base del falso misticismo . 3) Un terzo errore dello stato di consolazione è credere che Dio sia contento di noi perché ci sentiamo “soddisfatti”. Oggi abbiamo toccato 14


«il settimo cielo», una consolazione dopo l’altra, ma con poco sforzo da parte nostra (faceva tutto il Signore), ieri durante la preghiera siamo stati disturbati da distrazioni e, pur cercando di fronteggiarle, ne siamo usciti senza entusiasmo... Sarebbe ingenuità concludere che la meditazione di oggi sia stata superiore a quella di ieri. In realtà, il vero valore della preghiera dipende dall’intensità della nostra carità in quel momento, ed è possibile che io abbia esercitato una maggiore carità ieri nella lotta anziché oggi nella consolazione. Non bisogna mai dimenticare che sia la consolazione che la desolazione provengono entrambe da Dio, e la dispensazione di una anzichè dell’altra ha sempre, per così dire, un valore educativo, per insegnarci a perseverare nella fede anche quando non “sentiamo” nè Dio nè dolci emozioni. «Sant’Agostino ha ammonito che non tutte le consolazioni sono vere e che si può facilmente pensare che ciò che diletta fa bene, anche se invece, a volte, nuoce.» .

LA DESOLAZIONE O ARIDITÀ SPIRITUALE Secondo i vari autori citati in questa sezione, l’aridità spirituale, quando è inviata da Dio come correzione, è per uno o più dei seguenti motivi: -

presunzione ricerca di consolazioni sensibili rifiuto di fare delle rinunce fingere nella Confessione rifiuto di voler cambiare, di convertirsi davvero attaccamento ai piaceri mondani

A questo proposito, il Catechismo degli Adulti ci dice: “A volte il nostro cuore è insensibile ai pensieri spirituali; non riesce a pensare a Dio con amore e consolazione. Questa aridità può derivare da depressione psichica oppure da accidia, tiepidezza, affetti disordinati. Dobbiamo contrastarla rimanendo fedeli agli impegni stabiliti e facendo la volontà di Dio, anche quando non ci sentiamo gratificati” [985]. 15


(da R. Plus) La desolazione (o aridità) costituisce la grossa pietra d’inciampo per la maggior parte di quei fedeli che non sanno che questo è un mezzo che Dio adotta ordinariamente per fare progredire le anime nella santità. Agli inizi, di solito, le anime vengono colmate di consolazioni e favori spirituali: facilità nel pregare, fervore, continuo desiderio di conversare con Lui... Ma, a un tratto, tutto cambia: le attrattive si spengono e, dopo uno splendido sole, cala la notte. Qui il Signore attende le anime al varco. La maggior parte di esse abbandonano e si allontanano appena non trovano più nelle preghiere le consolazioni divine; forse perché non seguivano Dio per amore, ma per godere dei suoi favori; forse perché non sanno che questo è un passaggio obbligato nel cammino di fede; taluni pensano di essere stati abbandonati da Dio.. Dunque, cosa accade? Perché questo passaggio? Essenzialmente, il Signore vuole che si badi non a ciò che Egli concede, bensì a ciò che Egli è. Al momento giusto Egli ritira le consolazioni sensibili e abbandona l’anima alle risorse della pura fede, per vedere se l’anima continuerà a cercarlo. Dio vuole essere amato per se stesso; quindi presto o tardi, a un certo punto del cammino di fede, ritrae tutto il sensibile affinché l’anima si trovi sola con Lui solo. Vuole che ci si renda conto che Egli vuole essere cercato e amato per amore, non per “convenienza”, per poter avere dei favori da Lui. Ecco la ragione di quelle strane purificazioni, attive e passive («notte dei sensi, notte dello spirito»), per le quali il Signore fa passare le sue anime predilette. È in simili frangenti che si rivelano anime veramente di fede; a che serve una devozione che si pratica solo quando «fa piacere»? Se qualcuno fosse in questo momento nelle tenebre della desolazione, sappia che dalla perseveranza nell’orazione dipende il conseguimento di grazie di cui neanche sospettano il valore, superiori in virtù santificatrice a tutto ciò che potrebbero desiderare. Quindi, innanzitutto, è necessario fare un serio esame di coscienza, per vedere se tale aridità è stata causata da qualche nostro rifiuto a Dio (ad esempio, mancanze di perdono, resistenza ai cambiamenti operati dallo Spirito Santo, rifiuto di fare un sacrificio che Dio ci chiede, vanità, presunzione o giudizio temerario nel parlare, ecc.). Dobbiamo allo16


ra domandare sinceramente aiuto a Dio per poter comprendere quali sono le nostre mancanze; ma, soprattutto, è necessario avere la volontà di cambiare se stessi, anche se ciò significa abbandonare una nostra cattiva tendenza abituale o fare una rinuncia che ci costa molto: “Se qualcuno vuole venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce ogni giorno e mi segua” (Lc 9, 23). Questo è il motivo per cui tanti diventano anime ritardatarie e restano in questo stato anche tutta la vita. A coloro i quali vogliono progredire, San Francesco di Sales (in Filotea) dona alcuni consigli su come comportarsi quando si è in questo stato: - come già detto, fare l’esame di coscienza. - Umiliarsi profondamente davanti a Dio, riconoscendo la propria miseria e che non possiamo fare nulla di buono senza di Lui. - Invocare Dio e domandargli la sua gioia, con parole semplici, ad esempio: “Rendimi, Signore, la gioia della tua salvezza. Padre mio, se è possibile, allontana da me questo calice; ma non la mia, la tua volontà sia fatta. Fammi capire se ti ho offeso, se ho mancato di amarti come avrei dovuto. Guariscimi, risanami, correggimi. Ti prego di compiere sempre in me la tua santissima Volontà”. - «Va dal tuo confessore, aprigli bene il cuore, svelagli tutti i nascondigli della tua anima, accetta i consigli che ti darà, con grande semplicità e umiltà. Dio ama infinitamente l’obbedienza, per cui aggiunge spesso efficacia ai consigli che si ricevono da altri, soprattutto quando si tratta delle guide delle anime, anche se non c’è nessuna esteriorità apparente; pensa a Naaman: il Signore rese per lui prodigiose le acque del Giordano, nelle quali Eliseo, senza alcuna ragione apparente, gli aveva ordinato di bagnarsi». - «rimettersi con semplicità nelle mani della Provvidenza di Dio, affinché si serva di noi tra le spine e nel deserto, fin che gli piacerà. [...] Se perseveriamo nell’umiltà, ci colmerà dei suoi deliziosi favori, come fece con Giobbe». - «Infine, Filotea, tra tutte le nostre aridità e sterilità, non perdiamo il coraggio, ma aspettiamo con pazienza, il ritorno delle consolazioni. 17


Continuiamo il nostro abituale modo di vivere; non tralasciamo per questo motivo nessun esercizio di devozione, anzi, se ci è possibile, moltiplichiamo le buone azioni; e se non possiamo presentare allo sposo la marmellata, gli daremo la frutta secca; per lui fa lo stesso, a condizione che il cuore che gliela offre, sia decisamente risoluto ad amarlo». Egli poi nota che «molti, specialmente le donne, cadono nel grave errore di credere che il servizio che noi rendiamo a Dio senza piacere, senza tenerezza di cuore e senza sentimento, sia meno gradito alla Maestà divina; al contrario, le nostre azioni sono come le rose che, quando sono fresche, sono più belle, quando invece sono secche emanano un profumo più acuto: lo stesso avviene per le nostre opere; quelle fatte con tenerezza di cuore piacciono più a noi, dico a noi, perché noi guardiamo soltanto il nostro piacere; quelle invece compiute con aridità e sterilità, sono più profumate e hanno più valore davanti a Dio. Sì, cara Filotea, in tempo di aridità, la volontà ci trascina al servizio di Dio quasi per forza, e per conseguenza, deve essere più vigorosa e costante che in tempo di tenerezze. [...] Dico la stessa cosa per ogni sorta di buone opere, perché più noi proviamo contrarietà a compierle, sia quelle interiori che quelle esteriori, più godono del favore e della stima di Dio. Nelle virtù, minore è l’interesse da parte nostra e più vi splende in tutta la sua purezza l’amore di Dio. Facilmente il bambino bacia la mamma che gli regala lo zuccherino, ma se la bacia dopo che gli ha dato assenzio o fiele, allora sì che è segno che le vuole veramente molto bene!» . Concludiamo con questo estratto (tratto dal sito itresentieri.it): «Non bisogna desiderare le consolazioni di Dio, bensì il Dio delle consolazioni... Perché la fede non è un “sentimento”. Oggi è molto diffusa, per cause che trovano la loro spiegazione nel modernismo teologico, una “sentimentalizzazione” della fede. Non è più la verità che garantisce l’esperienza, bensì il contrario: è l’esperienza che deve garantire la verità. Si cercano, nella fede, consolazioni e stati di entusiasmo. Dimenticando che non vanno amate le consolazioni di Dio, quanto il Dio delle consolazioni. Indipendentemente da quello che si “sente”, bisogna amare Dio con tutto se stessi. Questa è la vera fede. Leggiamo cosa scrive in proposito padre Gabriele di Santa Maria Mad18


dalena (1893-1953) nel suo Intimità Divina: «[...] Quando nel tuo amore per Dio rimani freddo riguardo alla sensibilità e non «senti» nulla, non devi turbarti: troverai così minore soddisfazione nel tuo amore - perché sentire di amare è assai più dolce - ma il tuo atto di amore sarà ugualmente vero e pieno. Anzi, mancandoti l’appoggio e lo slancio che viene dal sentimento, sarai costretto ad applicarti con maggior decisione all’atto della volontà e ciò, lungi dal nuocere, renderà più volitivo, e perciò più meritorio, il tuo atto d’amore. Appunto perché la sostanza dell’amore sta nell’atto della volontà che vuol bene a Dio, ecco che il Signore, per rendere più puro e più intenso il tuo amore, spesso lo priverà di ogni dolcezza di sentimento; non sentirai più di amare Dio e ciò ti darà pena, ma, in realtà, lo amerai nella misura in cui saprai decisamente volere la sua volontà, il suo beneplacito, il suo gusto al di sopra di tutte le cose. Del resto, sentire l’amore non è in tuo potere, mentre è sempre in tuo potere fare atti d’amore con la volontà, è sempre in tuo potere voler bene a Dio cercando con tutte le tue forze di vivere per lui, di fargli piacere».

RIASSUMENDO - CONSIGLI PRATICI: 1. Fa’ della tua giornata un’offerta continua: hai l’occasione di vivere un nuovo giorno in compagnia di Dio, cuore a cuore; 2. Ricordati della gratitudine: più si è grati, più si è felici. Ringrazia e loda il Signore, specialmente se senti qualche ingiuria al suo Nome, per riparare una tale orribile offesa al suo amore; 1. Trasforma tutto in preghiera, come se fosse stato Dio a chiederti: “Puoi stirarmi questa camicia? Puoi ripararmi questo rubinetto? Puoi fare i compiti da solo...?” Quindi: • Fare ogni cosa per Dio e non per amor proprio, o lamentandoci (purezza d’intenzione); • Fare ogni cosa nel miglior modo che ci è possibile; • Fare ogni cosa secondo la volontà di Dio, e non seguendo le nostre preferenze personali 19


3. Se ti è possibile (per i tuoi doveri di stato, cioè in base al lavoro che svolgi) cerca di mantenere un po’ di raccoglimento, cioè il silenzio dei pensieri e l’attenzione verso Dio dentro di te, lì, vicino. Anche quando siamo soli con noi stessi, abbiamo «qualcosa di sovrumano» che continuamente ci accompagna; tra un’occupazione e un’altra, ricordati di Lui; 4. Pensa spesso a Gesù: • Cerca la sua volontà in ogni cosa, in ogni accadimento o contrarietà della giornata, negli incontri piacevoli o sgradevoli... cerca di capire cosa Egli ti chiede nelle varie circostanze che ti accadono (l’obiettivo più alto e perfetto è di uniformare la tua volontà alla sua in ogni cosa); • Unisci le tue azioni più semplici ai suoi meriti divini: così ogni atto acquisirà un enorme valore e merito; puoi usare le tue parole spontanee o aiutarti con qualche formula di offerta; • Pensa alla sua presenza nel Ss. Sacramento: quale grande dono ci ha fatto! Portati con il pensiero di fronte a un tabernacolo, dove Lui attende, come in una prigione d’amore, chiunque voglia gettarsi ai suoi piedi; se ti è possibile, in un momento di pausa e di quiete, puoi fare la comunione spirituale; • Quando vieni offeso, deriso o non creduto, pensa che anche Lui è stato trattato così; applica questo metodo a tutto ciò che ti capita e comincerai a vedere ciò che hai intorno in modo differente. 5. Usa le giaculatorie (o un versetto della Bibbia) per portare il tuo pensiero verso Dio. Ama, adora, ripara, ringrazia, offri, benedici, intercedi, chiedi perdono per te e per tutti; affida i tuoi cari e tutta l’umanità a Dio. Non scoraggiarti mai, neanche nelle avversità: Dio ti è vicino, è sempre lì con te.

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Letture consigliate: semplici e ricche di spiritualità

Il Cammino della preghiera, Movimento contemplativo missionario P. de Foucauld Invito alla vita spirituale, Henry J.M. Nouwen, Queriniana La preghiera giorno dopo giorno, Anthony Bloom Dialogare con Dio, Chiara Amirante

Opuscolo non commerciabile realizzato a scopo didattico e divulgativo, a gloria di Dio e per la salvezza della anime.


COME “PREGARE SEMPRE” Cosa si intende per “pregare sempre”? È possibile recitare continuamente preghiere? Certamente no. Questo opuscolo illustra la differenza tra atti di preghiera, stato di preghiera e doveri del proprio stato, e di come sia possibile trasformare tutto in preghiera, incluse le nostre più consuete azioni quotidiane. Tratto principalmente dall’opera di padre Rodolfo Plus s.j., Come Pregare Sempre (Marietti 1924), adattata in lingua corrente.

I Semini: piccoli semi per il cammino spirituale, riscoprendo la bellezza della spiritualità cattolica

Trovi questo e altri opuscoli al seguente indirizzo: issuu.com/isemini Scaricabile da https://bit.ly/isemini

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