Ippolita Gallo Storia della pedagogia - Storia dell’Attivismo La Pedagogia del Novecento -

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Università della Calabria Dipartimento di Lingue e Scienze dell’Educazione

Corso di Laurea in Scienze Pedagogiche per lʹInterculturalità e la Media Education

Storia della Pedagogia

Storia dell’Attivismo La Pedagogia del Novecento

Studente Prof.

Ippolita Gallo

Giuseppe Trebisacce

matr. 174803

Anno Accademico 2014/2015


Ippolita Gallo

Storia dell’Attivismo

«L’educazione è la formazione dello spirito secondo le leggi dello spirito, lo sviluppo dello spirito secondo la sua natura, iuxta propria principia (…). Ma se l’educazione è lo sviluppo dello spirito, la pedagogia, in quanto scienza, non è se non la filosofia dello spirito» Giovanni Gentile1

1 G. Gentile, Del concetto scientifico della pedagogia, Roma, Tipografia della Regia Accademica dei Lincei, 1901, cit.,p. 35.


Ippolita Gallo

Storia dell’Attivismo

INDICE

PREMESSA: Uno sguardo storico tra Ottocento e Novecento

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1. Per una definizione di Novecento

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2. Svolte pedagogiche nel Novecento

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3. Il rinnovamento della scuola e la pedagogia dell’Attivismo

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CONCLUSIONI

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BIBLIOGRAFIA / SITOGRAFIA

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PREMESSA Uno sguardo storico tra Ottocento e Novecento Questo lavoro si inserisce nel quadro di quelle riflessioni della storia della pedagogia atte ad interpretare e ricercare strumenti di decodifica delle nuove realtà educative che sono scaturite dall’affermarsi della civiltà moderna tra Ottocento e Novecento, in cui la pedagogia non è stata estranea al grande e positivo processo di cambiamento e di modernizzazione che ha caratterizzato la cultura europea della seconda metà del XIX secolo, in cui la razionalità scientifica che governava il secolo moderno era segnato dall’idea positivistica e di sviluppo illimitato 2. Già i termini positivismo, scienza positiva o positivista circolarono in seguito alla pubblicazione del filosofo sociologo Auguste Comte con il suo Cours de philosophie positive3. Comte sosteneva che lo stadio positivo dell’umanità doveva basarsi sui fatti e sul presupposto che non vi può essere libertà dove non c’è verifica scientifica4. Da ciò ebbe inizio quella che fu chiamata cultura e civiltà moderna o semplicemente modernità, che tendeva a contrapporsi ai fondamenti cardine che avevano fortemente segnato la cultura tradizionale per lasciare spazio ad altri tipi di valori, tipici della borghesia liberale di quegli anni, quali: la superiorità della civiltà industriale, la fiducia nel progresso, il principio della libera concorrenza, la visione laica dell’esistenza, il valore della razionalità e della scienza. Il periodo della modernità poggiava sulla convinzione che si possedeva, ormai, le chiavi per spalancare le porte della conoscenza e la formula per assicurare all’umanità una convivenza pacifica; l’ottimismo divenne un carattere proprio della civiltà moderna. Il metodo razionale che le scienze matematiche e naturali applicavano si era diffuso anche ai fenomeni umani e sociali: nel teologico la spiegazione degli eventi umani, naturali e sociali era legata all’intervento di agenti soprannaturali, nello stadio metafisico legato a forze astratte, nello stadio positivo l’uomo smette di chiedersi il perché dell’evento concentrandosi sul suo 2 G. Chiosso, Novecento Pedagogico, Brescia, Editrice LA SCUOLA, 2012, p. 7. 3 A. Comte (1798-1857) http://digilander.libero.it/syntmentis/Filosofia/Comte.html#1. 4 Comte e il Positivismo (1798-1857), http://www.homolaicus.com/teorici/comte/comte.htm.

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effetto scoprendo le leggi che lo regolano e, che nella ripetizione si somigliano. Modernità e scienza divennero categorie intrecciate tra loro in modo simbiotico, in quanto la scienza doveva trovare il modo per superare le difficoltà oggettive per permettere il progresso della modernità e quest’ultima doveva promuovere una sempre più ampia applicazione della razionalità scientifica. La modernità portò in Europa un miglioramento nelle condizioni di vita aumentando, grazie allo sviluppo industriale, benessere, qualità e quantità di beni alimentari e di prima necessità. La medicina e l’igiene progredirono in forme positive di miglioramento come anche la scuola, inizialmente prerogativa dei ceti benestanti, fu aperta anche a classi sociali di minor peso sociale. Il mondo cattolico ed il marxismo erano in posizioni di opposizione rispetto alla modernità per motivi diversi, colpevolizzandola di essere incapace di risolvere problemi di ingiustizia sociale ed essere espressione dell’interesse economico dei capitalisti. Infatti Marx ed Engels ipotizzavano che la sempre più crescita della società borghese e capitalistica avrebbe dato maggiore forza e consapevolezza rivoluzionaria al proletariato, al fine di rovesciare i rapporti di classe e condotto alla creazione di un nuovo modello culturale e sociale. In contrapposizione a quest’ultimo i teorici del liberalismo, così come i sociologi borghesi sostenevano la loro convinzione che mediante una attenta e puntuale riflessione sui fenomeni sociali, lo sviluppo dell’educazione e l’incremento del sapere si sarebbero potuti risolvere i potenziali conflitti tra ceti dirigenti e masse sulbaterne, ed anche mediante una visione altruistica si sarebbero potuto individuare e risolvere le miserie e le difficoltà del popolo5. La visione razionalistica e scientista che aveva animato gran parte della cultura positivista non fu condivisa, infatti il mondo cattolico vide nella modernità l’azione diabolica e negativa, che aveva caratterizzato l’Illuminismo, di sradicamento dalla fede religiosa.

5 G. Chiosso, Op. cit., p.10.

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Il secolo XX, secondo Mariuccia Salvati6, è compreso tra due crisi di fine secolo: l’Ottocento e il Novecento, due crisi che denotano sfiducia ed inquietudine con il declino della speranza e apertura alla crisi delle certezze, connotate da forme diverse.

1. Per una definizione di Novecento

Volgendo lo sguardo al corso degli anni ’90 si è assistito alla costituzione di una consistente letteratura storica dedicata al suo significato, alla sua struttura e al grande peso storico da attribuire al secolo XX. Quest’ultimo è stato un secolo pieno di contraddizioni: il secolo dei totalitarismi e della democrazia, del capitale monopolistico e del welfare state, delle masse e delle èlites, degli integralismi e della globalizzazione. E’ un secolo carico di contrasti, difforme, irrisolto e irrequieto, ma è anche un secolo in cui si sono avuti nuovi problemi politici, economici, culturali, difatti la scienza e la tecnica hanno stabilito una rivoluzione nelle forme di vita, di mentalità, nelle capacità intellettive. I nuovi processi di evoluzione sociale hanno dato un volto nuovo alle società attuali, come la scolarizzazione, l’alfabetizzazione, l’emancipazione delle donne, la diffusione della cultura di massa legata all’industria culturale, all’avvento della stampa, del cinema, della radio, della televisione. Il Novecento è un secolo complesso e torbido, soprattutto da un punto di vista socio-culturale: l’accelerarsi della modernizzazione; l’ascesa della tecnologia; il mito del soggetto-individuo, il capitalismo; l’orrore dell’Olocausto, lo sterminio di ebrei e minoranze che ha ridotto l’uomo a pura cosa, spogliandolo di ogni dignità, valore, identità spirituale. L’olocausto è il buco nero del ‘900, un punto da non farne più ritorno, se si pensa a come l’uomo è stato considerato un semplice mezzo sottoponendolo ad un sistema di controllo, di dominio, di sterminio7. 6 F. Cambi, Le pedagogie del Novecento, Roma-Bari, Gius. Laterza & Figli Spa, 2005, p. 3. 7 La domanda che molti intellettuali hanno posto è Dopo Auschwitz come si deve pensare, come si deve agire, come si può sperare? L’Olocausto deve continuamente essere presente in noi, alimentato dalla testimonianza, dalla memoria,

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Il Novecento appare un secolo non molto lineare e, la lettura che fa Hobsbawm 8 di esso è una lettura en structure del secolo in corso, definendolo il secolo breve, dominato in toto dal mito comunista, intorno al quale si sono delineati un insieme di fenomeni a rete dal 1917 al 1989, che dal volto del fallimento emergevano nuovi scenari di democrazia e anche, se pur lenta emersione di una politica basata sulle regole internazionali9. Tuttavia il ‘900 è anche il secolo americano10, difatti gli USA hanno avuto un ruolo decisivo nelle congiunture belliche, sui sistemi politici, sul way of life, sulla cultura di massa, sulla mentalità consumistica. Le oscurità del ‘900 di certo non sono terminate, esse persistono nel corso del terzo millennio, con nuovi eventi drammatici: attacco agli USA l’11 settembre 2001, le guerre contro il terrorismo, lo scontro tra la civiltà occidentale e quella islamica. Proprio per tutti questi motivi dobbiamo continuare a riflettere sul ‘900 dato che noi siamo i figli di questo secolo; la sua identità continua a condizionarci, e questa identità del ‘900 è un modo per capire da dove veniamo e dove andiamo, in ogni settore dell’esperienza, sociale, politica, culturale. Dobbiamo analizzare e approfondire i suoi valori: valore-individuo; valore-libertà; valore-democrazia; valorecomunicazione; valore-solidarietà, tutti valori che oltre ad essere politici e culturali sono in primis antropologici e pedagogici. Il XX secolo è dunque un secolo di rotture, di capolinea e di svolta; un secolo carico di fascino e d’angoscia. Continui eventi-struttura, tra politica, vita sociale e cultura hanno fortemente segnato e dato forma all’identità del complesso Novecento. Eventi-struttura che costituiscono i punti fermi per riconsiderare il costituirsi del XX secolo: 1. La fine della tradizione e/o l’accelerarsi della modernizzazione; 2. L’ascesa della tecnologia; 3. dalla riflessione su come tutto ciò è stato possibile, al fine di ripensare l’uomo, la ragione, la stessa convivenza sociale, oltre che l’organizzazione politica. Olocausto come buco nero del Novecento come ombra del riscatto della storia umana, F. Cambi, Op. cit, p. 8.

8 Ivi, p. 4. 9 L'interpretazione di Eric Hobsbawm , al quale si deve l'idea di un «secolo breve» che si apre con la «grande guerra» per chiudersi nel 1989-91. Per lui il conflitto del 1914-18 ha un valore periodizzante sia perché marca uno stacco netto rispetto al periodo precedente, sia perché segna gli sviluppi successivi del Novecento: il secolo si apre con una guerra tra gli Stati-nazione che fa precipitare la crisi del mondo liberale ottocentesco, generando il comunismo e il fascismo. Tali esiti, attraverso la guerra del 1939-45, condizionano in larga misura anche la seconda metà del secolo, quando sconfitto il fascismo - emerge il dualismo tra le superpotenze sovietica e statunitense. http://www.treccani.it/enciclopedia/eric-john-ernest-hobsbawm/.

10 Del Ventesimo come possibile secolo americano si cominciò a parlare già in un saggio del 1902, e poi in un libro di H.G. Wells del 1906.

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L’irruzione delle masse11, dei giovani, delle donne nella storia; 4. L’orrore dell’Olocausto; 5. L’avvento della mondializzazione. Nell’ambito del sociale il Novecento ha comportato l’affermazione di nuovi soggetti, nuovi agenti e/o attori: le masse insieme di individui etero diretti o omologati, ma anche soggetti ritenuti consapevoli di diritti e funzioni; i ceti subalterni che rompendo i circuiti della loro emarginazione mediante la politicizzazione e l’ascesa culturale hanno dato accesso ad una cultura più ricca, consapevole e più critica; le donne, con il loro ingresso nell’agire storico e con azioni attuate nella direzione dell’uguaglianza di diritti e nell’autonomia di principi e valori, hanno orientato una nuova organizzazione stessa della società: dalla famiglia allo Stato e alla scuola. Sull’ultimo scorcio del ‘900 un altro evento di rottura radicale rispetto al passato che si è venuto a delineare è la mondializzazione, la quale è cresciuta nella matrice del colonialismo e poi della decolonizzazione, per sfociare nell’avvento della globalizzazione economica, comunicativa e informatica. Quel mondo così articolato in etnie, culture, lingue e tradizioni si è venuto via via uniformando, si è sempre più omologato; la terra si è fatta patria unica per tutti gli uomini del pianeta, e quindi è nato l’uomo planetario, un uomo capace di vivere nel pluralismo delle fedi (religiose e politiche), di vivere in democrazia, in solidarietà. L’Ottocento ha vissuto l’affermazione e lo scontro tra liberalismo e socialismo, mentre il Novecento politico ha posto a confronto democrazia e totalitarismo12. Nelle società avanzate nello sviluppo economico e sociale la democrazia è stata un prerequisito della vita collettiva, un traguardo da realizzare, da salvaguardare e valorizzare, invece il totalitarismo è stato un rischio e una soluzione alle situazioni di crisi che emergevano, al punto di risolverle e sopprimerle con l’esercizio del controllo e della repressione, si pensi allo sterminio sociale e alla conformazione coatta nelle scuole per imporre e riprodurre l’ideologia totalitaria13. 11 Molti autori organizzano infatti il concetto di masse sostanzialmente attorno a cinque fattori fondamentali: i) la crescita sorprendente della popolazione; ii) il fenomeno dell’urbanizzazione; iii) l’affermazione del taylorismo e del fordismo nell’economia e nella produzione; iv) la diffusione dei consumi e un indubbio, anche se conflittuale, aumento del tenore di vita; v) l’alfabetizzazione di massa. 12 F. Cambi, Manuale di storia della pedagogia, Roma-Bari, Gius. Laterza & Figli Spa, 2003, p. 272.

13 Ibidem, p. 272. Si pensi ai casi della Germania dopo Weimar, dell’Italia fascista dal ’22 al ’43, dell’URSS di Stalin, ma anche della Spagna di Franco, dell’Argentina di Peron, della Grecia dei colonnelli negli anni Sessanta-Settanta.

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Pierluigi Albini14 ha chiaramente affermato che la memoria storica dà spessore alla cittadinanza, ma risulta difficile far passare per grandi novità ciò che effettivamente ha comportato riedizioni di politiche e di atteggiamenti sociali che sono stati la concausa di una storia tormentata quale era quella del Novecento. Per cui in vista di tale dilemma non chiarificatore ci si pone ancora oggi la domanda se il Novecento è davvero storia conclusa, come sembrano ritenere le generazioni più giovani. Nel suo saggio storico Albini ci prospetta una variegata e fiorita serie di definizioni, da quelle che vogliono mettere in evidenza il senso complessivo del secolo, a quelle che ne sottolineano un aspetto ritenuto preminente, a quelle di stampo giornalistico e politico 15. Il Novecento nonostante le sue luci e le sue ombre, è stato un secolo che impone alla storia un ripensare, riflettere e un cambiare di rotta, con cui il XXI secolo deve confrontarsi per misurarsi con questa eredità difficile e porre ancora in analisi i compiti lasciati in sospeso.

2. Svolte pedagogiche nel Novecento

Nel corso del ‘900 la pedagogia si è radicalmente rinnovata come sapere, e tale rinnovamento è avvenuto sotto la spinta della nuova società di massa, che nel ‘900 si è affermata sia nella sua versione democratica sia in quella totalitaria. La società industriale e quella postindustriale organizzata intorno al terziario, ovvero alla produzione di servizi, ha posto l’educazione come fattore di sviluppo della società nel suo complesso e come risorsa per il suo funzionamento organico. Nell’ambito pedagogico tre sono le innovazioni più significative: 1. L’affermarsi delle scienze dell’educazione e lo sviluppo dell’epistemologia pedagogica; 2. Il costituirsi di un modello di pedagogia critica, impostato come un neoparadigma nel pensiero pedagogico; 3. Lo sviluppo della pedagogia sociale, che riguardava tutti i processi formativi della vita umana e molti Tutti questi sono stati veramente esemplari del totalitarismo.

14 P. Albini, Prospettive del Novecento. Il nodo della grande guerra, Presentato dalla Biblioteca: www.steppa.net, 2005, http://www.steppa.net/ebook/900.pdf, p. 5.

15 Ivi, p. 6.

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percorsi della vita sociale. L’educazione e la pedagogia da un punto di vista di pratiche sociali si sono occupate dell’alfabetizzazione, della cultura di massa e dell’educazione per tutta la vita. L’educazione per tutta la vita è uno degli studi attuali della pedagogia, dato che la vita media si è allungata di molto, gli studiosi tendono ad analizzare la vita privata e pubblica di un soggetto, cioè tendono ad approfondire il processo formativo di un uomo sia nella sua sfera familiare, intima e privata, e sia nella sua sfera lavorativa, professionale, nella sua fase di pensionamento, ecc. La pedagogia nel corso del ‘900 ha subito delle trasformazioni, ha acquistato un nuovo volto, si è emancipata dalla filosofia come metafisica, si è fatta scienza empirica, ha posto il suo focus nel ruolo sociale, ha stabilito un nesso con la politica. Il passaggio dalla pedagogia (intesa come disciplina unica, generale di impianto ancora filosofico) alle scienze dell’educazione è stato decisivo per il sapere pedagogico. Si è venuta così a delineare anche una pedagogia critica, sociale, la quale verte intorno alle emergenze, ai bisogni educativi delle società attuali, attorno all’educazione degli adulti, ecc. Se il Novecento è stato il secolo della scuola, come lo definisce Benedetto Vertecchi16, allora il primo secolo del terzo millennio sarà quello della formazione per tutta la vita. La riflessione da fare sul Novecento deve partire anche da un’interpretazione del ruolo che la scuola ha esercitato sulle trasformazioni negli atteggiamenti, nei modi di vita e nelle concezioni dell’infanzia e dell’adolescenza. I valori positivi inerenti alla scuola, che ritroviamo nell’Ottocento, rimangono invariati nel Novecento, almeno nella maggior parte del secolo. Tali valori facevano riferimento ad una certa idea di progresso, sul piano sociale erano collegati sia alle aspirazioni soggettive che ad un miglioramento delle condizioni di vita. Le prime spinte verso l’alfabetismo vanno collocate nell’età delle riforme religiose, ma nel corso dell’Ottocento queste spinte si concretizzano solo nel corso del Novecento, diventando così chiari segni di progresso. I riformatori religiosi sostenevano un alfabetismo animato da intenzioni esoteriche, mentre solo in seguito si è cominciato a dare importanza al possesso di competenze culturali per sottrarre ingenti masse di popolazione a una condizione di subalternità. La scuola per i lavoratori 16 B. Vertecchi, (a cura di), Il secolo della scuola. L’educazione nel Novecento, Firenze, La Nuova Italia, luglio 1997, pp.1-2.

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consapevoli rappresentava un simbolo di progresso, d’altra parte lo sviluppo della tecnica richiedeva lavoratori in grado di offrire prestazioni più complesse di quelle da affidare alla sola forza fisica o ad una manualità imitativa e ripetitiva17. All’interno di questo mutamento politico, sociale ed economico del Novecento, l’educazione, come la pedagogia ha risentito della massificazione della vita sociale, dell’evoluzione di ceti sociali tradizionalmente subalterni, della creazione di un nuovo stile di vita, della crescita della democrazia e della partecipazione ed anche della conformazione o del gregarismo. L’iter di maturazione è stato abbastanza complesso, assegnando all’ambito pedagogico un volto più ricco, incisivo e più sofisticato in molti ambiti e con mezzi diversi. Il rinnovamento educativo e pedagogico è stato costante ed intrecciato in tutto il corso del secolo XX, secolo caratterizzato da una pratica educativa che si è rivolta a un soggetto umano nuovo: uomo-individuo e uomo-massa insieme, ponendo l’attenzione a nuovi soggetti: il bambino, la donna, l’handicappato e ha rinnovato le istituzioni formative dalla famiglia alla scuola, alla fabbrica etc., dando così vita ad un processo di socializzazione di nuove pratiche e di articolazione/sofisticazione. La teoria ha chiarito riguardo a fini e mezzi dell’educazione, applicando procedure epistemiche varie e complesse, dando un ruolo centrale alle scienze umane per sviluppare e guidare i saperi dell’educazione dando organicità al pluralismo pedagogico18.

3. Il rinnovamento della scuola e la pedagogia dell’Attivismo

Tra la fine dell’Ottocento e i primi del Novecento si avverte una crescente attenzione verso la scuola e l’educazione, che si esprime con una enorme fioritura di proposte e di esperienze istruttive-educative. La coscienza educativa innovatrice che andava delineandosi era basata sulle scoperte della psicologia, che aveva affermato la radicale diversità della psiche infantile rispetto a quella adulta e, anche al movimento di emancipazione di molte masse popolari nelle società occidentali, che comportava ad 17 Ivi, p. 4. 18 F. Cambi, Manuale di storia della pedagogia, Op. cit., pp. 273-274.

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innovare profondamente il ruolo della scuola ed il suo profilo educativo ed escludendo così il suo precedente aspetto elitario.

E’ un movimento di riforma educativa e

pedagogica non solo europeo, che partendo da una critica alla scuola “tradizionale” e da un “un nuovo atteggiamento verso il fanciullo” propone delle scuole “nuove”, chiamate in diversi modi: scuola attiva, scuola funzionale, scuola progressiva, scuola del lavoro19. Il cambiamento culturale a cui si assisteva nel primo Novecento va rintracciato nella riflessione pedagogica precedente, a cominciare da Rousseau, intrisa su concetti base di cui si appropria l’attivismo: puerocentrismo, contatto con la natura, spontaneità dell’educando, da Tolstoj con la Scuola di Jasnaja Poljana 20 e da altri pedagogisti fra cui Comenio, Locke, Froebel, Pestalozzi. Nel XX secolo la scuola subisce processi di profonda e radicale trasformazione, aprendosi alle masse ed affermandosi sempre più come centrale nella società. Questa nuova visione si ebbe quando la scuola si impose come istituzione-chiave della società democratica e si alimentò di un forte ideale libertario, dando vita a sperimentazioni scolastiche e didattiche fondate sul primato del “fare” e dell’attivismo, il quale almeno fino agli anni ’50 ha lasciato il segno nella scuola contemporanea e nella pedagogia attuale. L’attivismo possiamo considerarlo come una voce della pedagogia novecentesca: un movimento internazionale (europeo e nordamericano in primis), e ha avuto larghissimo influsso nelle pratiche quotidiane dell’educazione ponendo la sua attenzione sui bisogni del bambino/ragazzo e sulle sue capacità, sul fare che deve precedere il conoscere e sull’apprendimento che pone al centro l’ambiente e non il sapere codificato e reso sistematico. Tra l’ultimo decennio dell’800 e il terzo decennio del nuovo secolo si affermano alcune esperienze educative di avanguardia, ispirate a nuovi principi formativi che tengono conto della scoperta della psicologia e dei movimenti di emancipazione di larghe masse popolari nelle società occidentali. 19 M. Mencarelli, Il movimento dell’attivismo, in Nuove questioni di storia della pedagogia, Vol. III, Dal positivismo all’età contemporanea, Brescia, La Scuola, 1977, pp. 381-465.

20 Le prime scuole nuove http://www.socialismolibertario.it/tolstoj3.pdf Si segnala anche il testo in pdf: U. Zandrino, (a cura di ), L.N. Tolstoj, La Scuola di Jasnaja Poljana e altri scritti pedagogici, Bergamo, MINERVA ITALICA, Settembre 1970 http://www.socialismolibertario.it/tolstoj3.pdf.

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Le Scuole Nuove traggono origine nei loro ideatori, dal bisogno di rivedere l’organizzazione, i contenuti e i metodi di una scuola che non appare più rispondente ai bisogni sociali emergenti da un mondo in rapida trasformazione. R. Cousinet, nella sua riflessione sulle scuole nuove, pone Rousseau e Tolstoj fra i precursori e i fondatori di una corrente “mistica”, per il loro accento posto sulla scoperta dell’infanzia e sulla bontà del metodo naturale. Con Tolstoj, la “mistica dell’educazione nuova è ormai solidamente costituita” ed ha come principio primo “il rispetto dell’infanzia considerata come avente un valore in sé e la possibilità di svilupparsi sino al suo compimento”21. Queste nuove scuole ebbero diffusione specialmente in Europa occidentale e negli Stati Uniti e diedero fondamentale importanza all’attività del fanciullo22. Storicamente si possono dividere le diverse esperienze scolastico-educative secondo gli ambiti culturali e linguistici (inglese, francese, spagnolo, italiano, tedesco), o per tipologia (collegi, scuole elementari, movimenti) o per livello di scuola (materna, elementare, superiore), ma certamente le prime realizzazioni, dopo quello del precursore Tolstoj (1859) nella scuola di Jasnaja Poljana, si fanno risalire a Dewey (scuola elementare presso l’università di Chicago, 1896) e di C. Reddie ad Abbotsholme (1889) e di H. Badley a Bedales (1892) nel Regno Unito. Successivamente si sono propagate nel continente, in Francia (E. Demolins, 1899; C. Freinet, 1920), in Germania (H. Lietz 1898, G. Wyneken 1906, K.G. M. Kerschensteiner 1908, P. Geheeb 1910), in Italia (M. Montessori 1907, Rosa e Carolina Agazzi 1896, G. Pizzigoni 1911, don Milani), in Belgio (J. Decroly, 1907), in Spagna (A. Manjon, 1889) ed hanno interessato anche alcuni noti movimenti giovanili come quello tedesco dei Wanderwogel di K. Fisher e dei boys scouts di B. Powell. Il movimento delle scuole attive è stato oggetto di studi soprattutto da parte di Adolphe Ferrière, che con altri studiosi ha dato vita ad istituti, noto quello a Ginevra intitolato a Rousseau nel 1912, volti allo studio del bambino e del suo sviluppo. 21 R. Cousinet, L’educazione nuova, Firenze, La Nuova Italia, 1974, p. 38. 22 F. Cambi, Le pedagogie del Novecento, Op. cit., p. 15.

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Alla corrente pedagogica dell’attivismo, secondo Cousinet, un grande contributo viene fornito dalla scienza sotto il duplice aspetto di filosofia e di psicologia. La prima è rappresentata soprattutto da Stanley Hall e John Dewey. L’infanzia è utile secondo Hall perché permette all’individuo di ricapitolare nel suo sviluppo quello della specie umana; i bambini debbono quindi vivere “più a lungo possibile in campagna e soddisfare i loro bisogni di giuoco, di caccia, di pesca, di avventura e di vita in comune” 23. Dewey afferma che “la scuola non è preparazione alla vita, ma una vita”, per cui occorre che il ragazzo sia posto nelle condizioni della vita, cioè nelle condizioni naturali nelle quali l’attività è determinata dall’interesse. Alle correnti mistica e filosofica si affiancano, negli ultimi anni del XIX secolo, la pedagogia sperimentale (Alfred Binet, Théodore Simon) e la psicologia infantile (Jean Piaget ed altri), che portano significative conquiste nello studio dello sviluppo del fanciullo. La pedagogia “tradizionale” aveva una sua concezione del fanciullo, seppur sommaria e a base empirica: l’educazione era concepita come trasmissione del patrimonio spirituale delle generazioni precedenti ad un fanciullo considerato con i caratteri della malleabilità e docilità (cera molle, piantina da coltivare). All’infanzia era attribuita poca importanza ed era ritenuta un periodo che doveva condurre più in fretta possibile alla fase adulta, vero metro di misura del valore dell’uomo. Il nuovo atteggiamento verso l’infanzia di fine ‘800, fatto proprio dalle scuole attive, è intriso di comprensione, d’amore, di rispetto, di attesa, di pazienza, di accettazione dell’infanzia come di un periodo necessario e distinto dello sviluppo dell’uomo. Vanno per questo soddisfatti i “veri” bisogni del ragazzo: di svilupparsi, di crescere, di sicurezza, di libertà, di fare esperienze, di fiducia, di un ambiente “pedagogico” ricco, di socializzazione, di contatto con la natura. La scuola nuova o attiva si presenta nella sua multiforme struttura come istituzionechiave di una società democratica, alimentata da un forte ideale di libertà, con sperimentazioni scolastiche e didattiche sul piano del ‘fare’ e teorizzazioni pedagogiche

23 R. Cousinet, L’educazione nuova, Op. cit., p. 54.

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rivolte a fondare pratiche innovative partendo da filosofie o da approcci scientifici nuovi rispetto al passato. Nel quadro del concetto di realtà, intesa come processo evolutivo, aspetto caratteristico del pensiero moderno, la funzione del pensiero acquista “un nuovo rilievo e una sua particolare funzione” e consegue la conoscenza di questa realtà “rifacendo i modi del suo generarsi e del suo divenire attraverso l’esperimento. La conoscenza naturale assume quindi un carattere operativo e si lega intimamente alla pratica. Conoscere per ricostruire la genesi dei fenomeni” ci permette di “ulteriormente agire sulla realtà e di dominarne le energie”24. Viene abbandonata, ricorda Lamberto Borghi, la tradizionale concezione che conoscere sia un adeguamento della mente alle cose; da Vico a Kant la conoscenza è concepita “come costruzione del dato e non come riproduzione mentale”25. Anche l’attualismo idealistico italiano accentua la visione della conoscenza “come una produzione continua, un fare incessante, una prassi originaria” 26. Ma nell’idealismo, come nel materialismo, afferma Borghi, la libertà medesima ha assunto le caratteristiche dell’autorità e la pedagogia “nonostante il linguaggio nuovo e l’adozione di tecnicismi attivistici, ha rafforzato i tradizionali motivi della subordinazione dell’eteronomia”27. La conoscenza del fanciullo quindi non poteva più essere scissa dall’esperienza, dall’attività pratica e l’uomo non poteva ridursi a prodotto passivo dell’ambiente, ma presentarsi all’interno di un rapporto “attivo” e “reciproco” di influenze. Da qui l’esperienza, secondo il pensiero di Dewey, intesa come sforzo di cambiare il dato, un insieme di passione e di azione, di un modo di subire l’ambiente e di un modo di reagire ad esso, per cui la vita non è un puro sviluppo regolare e naturale di interiorità, ma è condizionata anche dall’ambiente28. Le caratteristiche educative principali della scuola attiva si possono così sintetizzare: 24 L. Borghi, Il fondamento della scuola attiva, Firenze, La Nuova Italia, 1970 (1952), pp. 3-4. 25 Ivi, p. 5. 26 Ivi, p. 11. 27 Ivi, p. 37. 28 Ivi, p. 90.

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1) la rilevanza assegnata alla psicologia del fanciullo, senza partire da concezioni prestabilite, quindi l’autoeducazione e il puerocentrismo; 2) lo sviluppo personalizzato, quindi scuola su misura, individuazione dell’insegnamento; 3) la motivazione secondo la quale ogni apprendimento deve essere collegato ad un interesse “non fittizio” da parte del bambino; 4) lo stretto rapporto scuola e vita; la socializzazione come bisogno primario; la centralità dello studio dell’ambiente; 5) lo sviluppo dell’intelligenza sul piano operativo-pratico, con la valorizzazione del fare; il contatto con la natura. Ne consegue l’importanza del lavoro manuale, dell’esperienza concreta, del gioco. Il pedagogista Ferrière sottolinea come “in tutti i paesi d’Europa la scuola si è adoperata con ogni mezzo per abituare il fanciullo all’obbedienza passiva; nulla ha fatto per sviluppare lo spirito critico, né si è curata mai di favorire l’aiuto reciproco”. La scuola ha conservato sin dal medioevo, il principio che il suo compito consista nel formare, plasmare, domare giovani individualità, più o meno selvagge e mentre “ieri si domandava ai ragazzi di obbedire e perciò essi non sognavano altro se non di comandare a loro volta. Domani si domanderà loro di persuadersi reciprocamente e di agire in comunità”. Per ‘scuola attiva’ bisogna intendere la messa in opera degli istinti e interessi effettivi ed attuali dei fanciulli in senso costruttivo. “Perché vivere significa costruire: costruire il proprio organismo; costruire la propria mente; costruire la società in seno alla quale si vive”29. Alcune fra le tematiche di fondo, che hanno caratterizzato il dibattito sulla scuola dell’attivismo e che si presentano con interpretazioni e realizzazioni diverse, sono il nuovo ruolo del maestro, il difficile rapporto fra la libertà dell’alunno e l’autorità del maestro, il valore dell’esperienza, del fare e quindi il rapporto fra metodi, tecniche e contenuti. Edmond Demolins, fondatore della scuola Des Roches, elenca le caratteristiche del professore “antico” della scuola tradizionale: non abita nella scuola, viene solo quando ha lezione; sale sulla cattedra, parla dall’alto e finita la lezione si affretta a tornare 29 A. Ferrière, L’autonomia degli scolari, (1950), Firenze, La Nuova Italia, 1973, p. VII, 24, 189, XVIII. STORIA DELLA PEDAGOGIA

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a casa. Durante la lezione tiene a rispettosa distanza i ragazzi. La disciplina è tenuta col timore, con la paura, con le punizioni corporali, con le valutazioni. Diverso è il tipo nuovo di professore nella sua scuola di tipo collegiale. Non esiste il sorvegliante e il professore vive con i ragazzi, condividendo i momenti della giornata anche dopo la scuola. Prende parte a tutti gli esercizi degli scolari, anche ai giochi in ricreazione. Cecil Reddie e Haden Badley30 avviarono l’esperimento delle “scuole nuove” a partire dal 1889, il primo nei pressi di Derbyshire e il secondo nel Sussex, in Inghilterra, ed entrambi teorizzarono e misero in pratica in scuole per ragazzi dagli 11 ai 18 anni un’educazione armonica e integrata, adeguata ai cambiamenti della società, protesa alla formazione di uomini “capaci di assolvere a tutti gli scopi della vita” e organizzata, in particolare nell’esperienza di Badley, secondo principi di autogoverno e coeducazione. Nel 1889 Edmond Demolins31, nell’Ecole des Roches predispose ambienti domestici accoglienti che richiamassero la vita familiare, e agli stessi principi si richiamò Georges Bertier nell’ottica di una formazione globale del bambino. In Germania, importanti contributi all’attivismo furono portati da Gustav Wyneken32, fautore di un modello educativo d’impronta libertaria in cui l’autorganizzazione e l’autonomia sono tratti peculiari di un sistema pedagogico dal carattere essenzialmente anarchico e dall’estetica romantica, e da Georg Kerschensteiner33, che propose un’educazione fondata su un lavoro che non deve mai essere fine a sé stesso, bensì consapevole delle proprie finalità e che porti ad una formazione professionale, ad un’educazione sociale e ad una formazione morale del bambino. In Italia l’esperienza delle scuole nuove venne declinata nella “scuola serena”, ispirata alla continuità tra scuole e famiglia e fondata sul principio del bambino come “artista spontaneo”; ecco che Maria Boschetti Alberti34, come testimoniato nei suoi scritti “Il 30 F. Cambi, Manuale di storia della pedagogia, Op. cit., p. 276. 31 Ibidem, p. 276. 32 Ivi, p. 277. 33 Ibidem, p. 277. 34 Ivi, p. 278.

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diario di Muzzano” e “La scuola serena di Agno”, si impegnò nel superamento della scuola tradizionale attraverso un’attività educativa che comprendeva l’attività “accademica”, comprendente lettura, recitazione e poesia, attraverso un ordinamento programmato dai ragazzi stessi; il “controllo”, esercitato dall’insegnante seguendo una materia diversa ogni giorno, e il “lavoro libero” autogestito dai ragazzi; il tutto in un’ottica assai più intuitiva che scientifica, e simile nella centralità del maestro e nell’impostazione spiritualistica all’idealismo pedagogico italiano. Rosa Agazzi35, nel suo tentativo di superare il Froebelismo e l’Aportismo, riprese i motivi di fondo, già presenti nella Boschetti Alberti, della “scuola serena”, fondati sull’atteggiamento materno dell’educatrice e sull’attività libera e partecipata dai bambini, introducendo lo sviluppo di un forte senso di collaborazione e, soprattutto, il tratto anti-montessoriano del “materiale non preordinato” e di un ambiente anch’esso non preordinato, basato sul principio che l’ordine debba pervenire dai ragazzi stessi. Nella celebre “Rinnovata” di Giuseppina Pizzigoni36, vi fu un rinnovamento interno ad un modello di scuola essenzialmente tradizionale, con al centro l’esperienza diretta dei bambini, il collegamento diretto con il lavoro e una vocazione molto marcata nei confronti delle attività sociali, in quello che la Pizzigoni stessa nel 1914 definì “metodo sperimentale”. Nel 1945 largo eco ebbe, grazie ad Ernesto e Anna Maria Codignola37, la “Scuola-Città Pestalozzi”, organizzata come una vera e propria città nell’ottica di un approccio realistico al “mondo degli adulti”, attraverso una prassi democratica che integra attività intellettuale e manuale, nell’accezione democratico-borghese di Dewey. Il movimento attivistico negli Stati Uniti38 si è articolato attraverso diversi autori, tra cui William H. Kilpatrick, ideatore del “metodo dei progetti”, in cui il progetto è un’attività intenzionale rivolta ad un fine e che si sviluppa nelle forme del “produttore”, del “consumatore”, del “problema” e dell’ “addestramento”; ognuna di queste forme è sempre connessa al fine dell’attività, che cognitivamente sollecita l’esercizio, anche 35 F. Cambi, Le pedagogie del Novecento, Op. cit., p. 20. 36 Ibidem, p. 20. 37 Ivi, p. 21. 38 Ivi, pp. 22-23.

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creativo, delle scelte. Nel “Dalton Plan” di Helen Parkhurst vi è una spiccata sensibilità montessoriana sull’individualizzazione dell’insegnamento, in cui i programmi vengono suddivisi in unità minime che lo studente dovrà acquisire con tempi e ritmi propri, all’interno di un’university-school privata di New York. Ancora, Carleton W.Washburne teorizzò una scuola ospitale per studenti che debbano vivere felici al suo interno, attraverso una strutturazione da un lato comune, e dall’altro lasciata alla libera attività creativa di ciascuno, in cui i programmi fossero liberi e le classi venissero sostituite da liberi raggruppamenti di alunni. Le scuole di Winnetka in cui operò Washburne ebbero, inoltre, un importante ruolo di laboratorio didattico, attentamente seguito e studiato. Ritornando in Europa39, una sintesi equilibrata delle istanze attivistiche espresse nelle scuole nuove si ebbe nel lavoro di Roger Cousinet e Celestin Freinet. Il lavoro didattico di Cousinet si imperniava su una scuola capace di stimolare la curiosità infantile e di promuovere i processi di socializzazione, tramite gruppi liberi di ragazzi che operano nell’ambito della conoscenza, in quello della creazione (prevalentemente artistica) e in particolare tramite l’indagine storica che, nella ricerca del collegamento tra il bambino e la storia delle civiltà, muove dalla storia personale, dalla “storia delle cose”. Nel testo “L’educazione nuova” del 1950, Cousinet contrappone il proprio modello di educazione attiva a quella tradizionale, e individua alla base del modello di “scuola attiva” la psicologia infantile, capace di disvelare le caratteristiche peculiari dell’infanzia, in particolare attraverso i tratti ludici, creativi, tesi alla conoscenza tramite l’azione; ancora, la pedagogia nuova derivante dalla psicologia infantile, che trae tuttavia linfa vitale dalla filosofia di Rousseau e dall’antropologia dai tratti educativi di Tolstoj; infine, dalla pedagogia sperimentale di Dewey, attiva e inserita nel tessuto dell’industrializzazione e della democrazia borghese. Il principio che muove invece la teoria e le prassi educative in Freinet è il concetto di tatonnement, letteralmente “andare a tentoni”, ovvero la centralità dell’esperienza esplorativa del bambino; compito dell’educatore è quindi orientare tale esperienza attraverso il lavoro in comune, cooperativo, che in età infantile avrà necessariamente il carattere di un lavoro-gioco. La scuola diviene cantiere in cui il 39 Ivi, pp. 23-36.

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bambino ha come fulcro del lavoro scolastico il “testo libero”, scritto in armonia con i tempi del bambino stesso, e grazie a strumenti quali la “stamperia” che coniugano espressività individuale e lavoro collettivo, oltre che la comunicazione all’esterno della scuola. Vi è una sintesi tra le linee didattico-educative dell’autore e le sue posizioni politiche di stampo socialista, mentre l’influenza della sua “pedagogia popolare” è stata determinante anche in Italia durante lo sviluppo del MCE (movimento di cooperazione educativa). Nell’ambito della ricerca teorica, tra i vari esponenti dell’attivismo Ovide Decroly40 iniziò la propria attività nel campo della pedagogia differenziale dal 1901, muovendo quindi dalle ricerche sulla psiche infantile dei bambini “anormali” per poi procedere a quelli “normali”, nell’ottica non solo del recupero ma della conoscenza più globale del fanciullo. La psicologia infantile si orienta verso forme di conoscenza “globali”, per cui gli elementi della conoscenza e dell’esperienza vengono esperiti globalmente, sotto l’impulso di un interesse vitale, nell’ottica evoluzionistica e bio-fisiologica per cui l’attenzione del bambino nei confronti del reale è motivato dai bisogni fondamentali dell’uomo. Pur con queste premesse, l’approccio alle materie di studi è in Decroly spesso intellettualistico ed oggettivistico, ma nonostante questo la centralità è posta sul carattere psicologicamente attivo del bambino, mosso appunto dall’interesse e dalla motivazione. L’apprendimento si articola nel momento osservativo (collegato al motto “poche parole, molti fatti”), quello associativo (organizzazione dell’ambiente in termini spaziotemporali), e quello espressivo, concreto o astratto. Proprio nell’ambito del momento espressivo astratto, in accordo con il metodo globale si deve partire dalla frase nel suo complesso, per poi scendere alle parti che la compongono, e nell’apprendimento del linguaggio è importante l’uso di giochi educativi. Edouard Claparede41, autore dei due testi “Educazione funzionale” del 1920 e “Scuola su misura” del 1931, partecipò alla fondazione della Scuola di Ginevra presso l’istituto Rousseau fondato nel 1912, insieme a Ferriere, Piaget, Bovet e Wallon. Le proprie linee 40 Ivi, p. 28. 41 Ivi, p. 30.

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educative seguirono le linee puerocentriche della scuola a misura di bambino, in grado di comprenderne la natura e soddisfarne i bisogni, attraverso una libera scelta del bambino tra le diverse opzioni fornite. Proprio Adolphe Ferriere42 fu figura preminente della scuola di Ginevra; di formazione spenceriana prima, e pedagogico-filosofica in seguito, mutuò da Bergson il concetto di elan vital (slancio vitale) nell’ottica attivistico/creativa dei processi vitali, e fece della difesa intransigente dei diritti e dei bisogni del bambino un cardine del proprio pensiero; solo infatti se la scuola attiva fa propri tali principi, potrà avere una funzione emancipatrice, educando alla libertà attraverso la libertà. La tensione alla sintesi delle varie esperienze attivistiche, pur con qualche cedimento metafisico e teosofico

nell’ultimo

periodo,

diede

un’accezione

bio-psicologico-spiritualistica

all’educazione nuova, con un richiamo all’uomo e ai suoi valori e a un rinnovamento sociale in chiave democratica. Maria Montessori43 scrisse altre importanti pagine della ricerca attivistica, partendo da una formazione medica e dedicandosi alla cura dei bambini subnormali, per poi approdare tra il 1906 e il 1907 all’attività negli asili presso le case popolari romane e alla fondazione della prima “Casa dei Bambini”. Gli scritti pedagogici della Montessori muovono dal positivismo di “Il metodo della pedagogia scientifica” e “Antropologia pedagogica”, del 1909 e 1910 rispettivamente, per arrivare alla strenua difesa dei diritti del fanciullo, dai caratteri intrinsecamente attivi e religiosi, in “Il segreto dell’infanzia” (’38), “La formazione dell’uomo” (’49) e “La mente assorbente” (’52). L’accento è posto sulle attività senso-motorie del bambino, sia attraverso attività pratiche ispirate alla vita quotidiana, che tramite materiale didattico scientificamente organizzato; la liberazione del bambino passa attraverso le attività svolte liberamente, che non si traducono in spontaneismo perché sono comunque eseguite sotto la guida attenta, anche se mai coercitiva, dell’adulto; resta il fatto che gli stimoli pervengono anzitutto dall’ambiente, e quindi il materiale preordinato deve essere accompagnato da un’organizzazione dell’ambiente stesso “su misura”, attraverso una progettazione che tenga in considerazione le possibilità e i bisogni del bambino, in modo tale che vi siano i margini 42 Ibidem, p. 30. 43 Ivi, pp. 31-34

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per un processo autoeducativo, con un’attività di sorveglianza attenta ma non opprimente da parte dell’adulto. Accanto a questo, la concezione della mente infantile come “assorbente”, capace di assimilare spesso in modo inconscio e di straordinarie capacità di partecipazione-comunicazione come si manifestano nell’immaginazione creativa, nel gioco e nell’attaccamento alle persone. A livello sociopolitico, la Montessori si distinse nel saldare il momento dell’indagine scientifica con quello della liberazione del bambino e dell’uomo, nell’ottica dell’educazione alla pace e della solidarietà tra gli uomini. Sempre in Italia, attorno alla rivista “Scuola e società” fondata nel 1950 da Ernesto Codignola si sviluppò una riflessione in senso deweyano tra educazione e democrazia ed una in senso epistemologico nell’ambito dell’educazione: in particolare Lamberto Borghi44, insieme ad altri autori che svilupparono tali linee in modo tutt’altro che omogeneo, contribuì ad innestare entro i limiti della pedagogia italiana una vena rinnovatrice in senso scientifico e sociale, con una trasformazione dei metodi didattici. Importante, in particolare, è la sua opera “Educazione e autorità nell’Italia moderna”, di stampo salveminiano nel metodo, intenta a ricostruire la pedagogia italiana pre e postunitaria contrassegnata dall’autoritarismo, e che ha visto una radicale trasformazione nei valori della resistenza.

CONCLUSIONI L’attivismo ha avuto una sua evoluzione, come si è detto, dalle prime esperienze a cavallo fra l’800 e il ‘900 al secondo dopoguerra e questo fatto rende difficile una valutazione univoca; lo stesso ruolo del maestro è cambiato ed è stato interpretato in modo contrastante nelle diverse realizzazioni, soprattutto iniziali. Il movimento 44 Ivi, pp. 34-36

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dell’attivismo non è stato e non è interpretato e valutato in modo univoco, oltre che per la sua complessità, anche per le diverse prospettive, ideologiche e culturali, sottese e per il periodo di tempo, con due guerre mondiali e i totalitarismi, che ne ha segnato il cammino. L’attivismo, scriveva nel 1966 Metelli De Lallo, è un termine che “fa parte ormai di una pedagogia eclettica, di scarsa portata euristica e teorica, strumentalizzabile ai più diversi scopi ideologici e pragmatici”45. Nel tracciarne una valutazione va superata la posizione non scientifica, che classifica il prima dell’attivismo come oscurantismo e passività, contrapponendolo al nuovo, come attività e progresso. La tradizione in se stessa non è mai da rigettare in toto, è “la costitutiva dimensione storica del presente, fa parte della sua vita organica, è condizione della sua stessa esistenza”46. L’avventura educativa dell’attivismo è carica di molti e diversi contributi teorici, che ha dato un forte ed innovativo impulso allo sviluppo della pedagogia, in quanto ha saputo mettere al centro il bambino, con i propri bisogni e le proprie capacità, valorizzandone il carattere attivo e sociale, e arrivando a delineare prospettive democratiche e libertarie. L’esperienza attivistica si è differenziata, frammentandosi in mille rivoli, senza però mai riuscire, in modo convincente, a fornire una prospettiva concreta di superamento dello stato di cose presente, in particolare modo causato della radicalità delle pratiche educative tradizionali che gli stessi attivisti osteggiavano ma, essenzialmente, per due motivi: uno dovuto a causa dell’isolamento delle varie esperienze all’interno delle varie “scuole nuove”, esperimenti isolati che, nel loro carattere innovativo, ebbero il merito di evidenziare quelle contraddizioni che, insite nella società retta da un determinato sistema socioeconomico, si riverberano dialetticamente in tutti gli ambiti della sovrastruttura, compresa la formazione, ma non seppero fornire i mezzi, teorici e pratici, per il superamento di tali contraddizioni; questo proprio perché mancò una visione realmente integrata di scuola e società, ovvero un’analisi adeguata di una società divisa in classi sociali dagli interessi contrastanti, che sapesse correttamente inserire la scuola all’interno di un sistema regolato da forze e tensioni specifiche, non superabili solo in virtù della riflessione-azione pedagogica, cioè non superabili mediante una mera azione 45 C. Metelli Di Lallo, Analisi del discorso pedagogico, Padova, Marsilio, 1966 46 F. De Bartolomeis, Cos’è la scuola attiva, Torino, Loescher, 1967 (I edizione 1958)

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sovrastrutturale, ma attraverso l’azione politica rivoluzionaria che, dialetticamente, sappia nutrirsi della teoria e della prassi pedagogica. Giovanni Genovesi parla di “fallimento del movimento attivistico, poiché i realizzatori o comunque i propugnatori della scuola attiva finiscono con il pensare che la scuola sia il nucleo della dimensione politica, il mezzo principe da cui dipende la vera trasformazione sociale. Una pietosa illusione che ha portato la scuola ad una perniciosa ideologizzazione e quindi ad un più stretto servaggio nei confronti della politica”47. L’impatto dell’attivismo con i regimi totalitari ha dimostrato che la pedagogia può essere ridotta a tecnica educativa, se non si fosse recuperato una più solida coerenza pedagogica, in nome della quale fosse almeno possibile contestare le aberranti strumentalizzazioni. “I paesi totalitari hanno attaccato l’educazione nuova, conservando delle sue iniziative solo quelle che favorivano la loro concezione dell’esistenza socializzata, ma respingendo lo spirito di libertà, di lavoro personale e di larga solidarietà umana che le anima”48. Il movimento dell’attivismo non è e non può essere un fenomeno neutro e non sono i metodi e le tecniche didattiche che hanno reso attive le varie iniziative. La scuola nuova, afferma R. Cousinet, non si risolve in una certa organizzazione, in un insieme di regole, di procedimenti, non è un elenco di metodi, ma “uno spirito per l’educatore, un modo di vita per i ragazzi e un ben preciso concetto del bambino e della sua educazione”49. Ben si precisa che il patrimonio lasciato dall’esperienza attivistica è assai prezioso, e moltissime esperienze e riflessioni scaturite da tale “avventura” sono, ancora oggi, di grande attualità.

BIBLIOGRAFIA / SITOGRAFIA

47 G. Genovesi, (a cura di), Introduzione a Attivismo e Pedagogia. Ripensando l’Educazione nuova, Parma, “Ricerche Pedagogiche”, 2004, p. 9.

48 M. Mencarelli, Op. cit., p. 429. 49 R. Cousinet, Op. cit., p. 82

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Nativi digitali e Scuola 2.0 Pagina 27


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