Dal Piano territoriale, all’Abaco Progetti al Piano Strategico. dr. Ippolito Ostellino Un caso illustrativo delle modalità che l'approccio di Roberto Gambino ha recentemente illustrato nella sua Letio magistralis dell'ottobre 2009 al Politecnico di Torino e che è oggetto della presentazione fatta nell'ambito del corso nel quale questa lezione è inclusa, può essere rappresentato dall'area protetta del Po piemontese, ed in particolare del tratto torinese di questa, uno dei segmenti nei quali proprio il prof. Gambino ha svolto una delle sue sperienze più significative legate alla pianificazione del territorio, quella appunto del Fiume Po e del progetto Territoriale Operativo del Po della fine degli anni 80, poi divenuto sistema di aree protette della Regione Piemonte nel 1990. In questa esperienza emerge con una certa chiarezza come il processo di gestione del territorio con forti elementi naturali non può essere limitato all'approccio parziale della “tutela ambientale”, ma deve misurarsi con una serie articolata di elementi e di culture, muovendosi inoltre verso le aree disciplinari del progetto e dell'integrazione dello strumento di tutela con le politiche di sviluppo locale, legandosi fortemente ai contesti molteplici nei quali l'area protetta sorge. Lo stesso team che lavorò al piano del Po era composto da una ricca e differenziata serie di competenze, percorrendo una importante esperienza di multidisciplinarietà. Dal Piano territoriale, all’Abaco Progetti al Piano socioeconomico, un percorso a ritroso dal Piano territoriale urbanistico al Piano socioeconomico è il dunque percorso di riflessione che propongo, cercando di seguire l'idea che parte spesso dall'imposizione di norme regolamentari e di vincoli d'uso del suolo (il piano), ma che successivamente divengono, appunto a ritroso, elementi che possono davvero giungfere ad una piena efficacia se accompagnate da un “abaco di progettualità” e da un modello di sviluppo, alle quali rinviare gli stessi progetti e norme del piano. D'altro canto già questa gerarchia fra piano e sviluppo locale era vista ed interpretata da Valerio Giacomini in Uomini e Parchi come qui di seguito ripreso:"Dovrebbe infine sancire l’identità fra pianificazione territoriale, economica e urbanistica dell’area e attuazione del parco. A questo proposito è bene però specificare che tale principio non deve semplicisticamente esaurirsi nell’obbligo di redigere un piano territoriale del parco il quale preveda nei dettagli ogni destinazione e ogni funzione territoriale. Intanto occorre osservare che un simile strumento necessiterebbe, per la sua definizione, di molto tempo e di molti sforzi politici per una composizione costruttiva (si pensi alle difficoltà che incontrano i piani urbanistici comprensoriali), ma soprattutto si deve tener presente quanto sottolineato in precedenza e cioè che la pianificazione, e quindi lo stesso parco, deve intendersi come processo, sia conoscitivo che normativo. Pertanto il piano di un parco, così come estratto da una eventuale legge istitutiva, dovrà consistere più che altro in un convincente avvio di processi pianificativi ed eventualmente essere preceduto da un piano di sviluppo socioeconomico che contenga significativi riferimenti alla protezione dell’ambiente. Inoltre, a fianco se non a monte di un intervento di pianificazione urbanistica, potrebbe utilmente prevedersi la redazione di un piano paesistico, redatto ai sensi della legge del 1939, che contempli però tutte le valenze che attualmente si conferiscono al termine “paesaggio” ed alle sue implicazioni territoriali e culturali......”. E' questa una lettura del problema di dove si collochi lo strumento del Piano e quale sia la sua efficacia complessiva che genera nel contempo la diretta conseguenza che vede le tematiche dell'area protetta misurarsi fortemente con il contesto esterno a quello nella quale essa sorge, rendendo indispensabile muoversi verso un approccio che elimina i recinti diretti del parco, per lavorare negli spazi aperti e contigui a questo. In questo percorso la prima tappa spetta al tema del Piano ed alla sua efficacia nell'esperienza del Parco del Po torinese, una esperienza di gestione del Piano d’Area che ha fornito numerosi elementi di lavoro di particolare valore, fra i quali emergono: 1. Il ruolo e l’importanza delle indicazioni progettuali (le schede progettuali o ambiti), 2. L’importanza del peso delle trasformazioni esterne e quindi la parallela crescita di attenzione sul valore dei progetti di iniziativa pubblica, 3. L’utilità di avere a disposizione un progetto di riferimento generale. L’Esempio del PISL. Infatti è certamente singificativa la capacità che il piano ha avuto di regolare le previsoni dell'esterno, indirizzandole o regolandone anche reprimendole, ma tuttavia è anche vero che 1