Technopolis - 8

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NUMERO 8 | APRILE 2014

STORIE DI ECCELLENZA E INNOVAZIONE

TORNA A PULSARE IL CUORE HI-TECH DELLA CATTOLICA

L'Università riporta l'IT dentro le mura storiche dell'Ateneo. Per creare valore e recuperare efficienza. IL FUTURO È MOBILE

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"Mobility" è il nuovo paradigma della tecnologia aziendale. Spinto dalle esigenze degli utenti ma anche dall'Internet delle cose.

SPECIALE UCC

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La Unified Communication and Collaboration si fa strada tra le imprese, iniziando dalle grandi organizzazioni.

CARTUCCE GRIFFATE

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Prove di laboratorio mostrano come le ricariche originali delle stampanti diano maggiori garanzie di qualità e durata.

Distribuito gratuitamente con “Il Sole 24 ORE”



SOMMARIO STORIE DI ECCELLENZA E INNOVAZIONE

N° 8 - Aprile 2014 Periodico bimestrale registrato presso il Tribunale di Milano al n° 378 del 09/10/2012. Direttore responsabile: Emilio Mango Coordinamento: Gianni Rusconi Hanno collaborato: Piero Aprile, Valentina Bernocco, Carlo Fontana, Paolo Galvani, Maria Luisa Romiti, Laura Tore Progetto grafico: Inventium Srl Sales and marketing: Marco Fregonara, Francesco Proietto Foto e illustrazioni: Istockphoto, Martina Santimone.

4 STORIE DI COPERTINA Torna a pulsare il cuore hi-tech: Università Cattolica

09 IN EVIDENZA L’analisi: la spending review al digitale

I nuovi processori Intel Xeon

Windows Xp va in pensione

Netapp parte all’attacco sul Software Defined Storage

L’opinione: Il monito del Clusit

16 SCENARI

Il delicato passaggio da mobile a mobility

Pmi e innovazione: a quando la svolta?

La sanità diventa smart e vuole essere virtuosa

La flessibilità è soft

27 SPECIALE

Comunicare di più per lavorare meglio

A ognuno la sua Ucc

Un nuovo modo di produrre e collaborare

Editore, redazione, pubblicità: Indigo Communication Srl Via Faruffini, 13 - 20149 Milano tel: 02 36505844 info@indigocom.it www.indigocom.com Stampa: RDS Webprinting - Arcore © Copyright 2012 Indigo Communication Srl Tutti i diritti di proprietà letteraria e artistica riservati. Il Sole 24 Ore non ha partecipato alla realizzazione di questo periodico e non ha responsabilità per il suo contenuto. Pubblicazione ceduta gratuitamente.

36 ECCELLENZE.IT Grandi Navi Veloci - Retarus Penny Market Italia - Check Point Eni - Ibm 39 ITALIA DIGITALE

Startup, via alla fase due con le promesse del Mise

Nuove imprese, il vademecum degli imprenditori

42 OBBIETTIVO SU

Consumabili Hp

47 VETRINA HI TECH Smartphone: salto di qualità e di velocità Pillole digitali


Servizio fotografico Martina Santimone

STORIA DI COPERTINA | Università Cattolica del Sacro Cuore

TORNA A PULSARE IL CUORE HI-TECH Cercando efficienza e ottimizzazione, l'Università Cattolica ha ottenuto anche una maggiore affidabilità dell'infrastruttura e livelli di servizio più alti. Rinunciando al full outsourcing per riportare all'interno apparati e competenze. Alcuni totem per i servizi agli studenti

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ul fronte dell’infrastruttura informatica, l’Università Cattolica viene da anni di full outsourcing, a cui l’Ateneo aveva fatto ricorso per riuscire a tenersi al passo con i tempi in un momento di grande sviluppo tecnologico. Negli ultimi anni, però, i processi di gestione e sviluppo dei tanti servizi erogati a studenti e docenti necessitavano di una maggiore efficienza, per poter affrontare le nuove sfide competitive del mercato dell’Education. Così, il management dell’Ateneo ha deciso di riportare all’interno dei confini dell’organizzazione il know-how e le capacità di generare valore, delegando a un partner solido ma allo stesso tempo flessibile tutta la gestione operativa dell’infrastruttura degli utenti e delle applicazioni It.

“Quella di Università Cattolica”, dice Lorenzo Cecchi, Cio di Università Cattolica del Sacro Cuore, “è una macchina molto complessa ed eterogenea, che deve girare come un orologio svizzero. Ci sono i portali, utilizzati da decine di migliaia di studenti, ci sono i servizi erogati ai docenti (che sono a tutti gli effetti degli stakeholder dell’Ateneo) e poi c’è da garantire l’operatività degli oltre mille addetti tecnico-amministrativi. Il tutto in un contesto geografico certamente non facile: cinque campus (Milano, Roma, Brescia, Piacenza e Cremona) che contengono un totale di 12 facoltà, più i collegi dove alloggiano oltre 1.500 studenti”. Il delicato compito di Cecchi è, quindi, quello di ricostruire un ponte tra utenti e It, aumentando la soddisfazione dei “clienti” (studenti, docenti, personale) e


CINQUE SEDI: UNA PICCOLA CITTÀ Cinque campus, 12 facoltà, oltre 40mila studenti e 4mila docenti. Questi, in sintesi, i numeri di Università Cattolica del Sacro Cuore, l’ateneo non statale più grande d’Europa. Fondata nel 1921 da padre Agostino Gemelli, Università Cattolica viene scelta tutti gli anni da circa 10mila studenti, che possono contare su un approccio interdisciplinare garantito anche dalle numerose attività di ricerca (51 istituti e 72 centri di ricerca, oltre al Policlinico Gemelli di Roma). Negli oltre 600mila metri quadrati complessivi delle varie sedi si muove, studia e lavora quotidianamente una popolazione equivalente a quella di una piccola città.

Il nuovo data center presso la sede milanese dell’Università Cattolica. Sotto, una delle aule dell’Ateneo, connubio perfetto tra antico e moderno

riportando la capacità progettuale all’interno delle solide mura della sede centrale, ovviamente senza costi aggiuntivi. La soluzione

“L’idea di base”, racconta Lorenzo Cecchi, “è stata di cambiare paradigma: da full a selective outsourcing, una formula che ci avrebbe permesso, e per certi versi costretto, di recuperare il controllo e il know-how della componente a più alto valore aggiunto, e allo stesso tempo di rispondere in maniera più rapida ed efficace alle nuove sfide di mercato”. Vengono così fissati gli Sla (livelli di servizio), decisamente severi, e vengono analizzate, nell’ambito di una gara, diverse proposte. Al termine del confronto, Università Cattolica sceglie di affidarsi a Fujitsu Italia che, in collaborazione con il partner Beta 80, ha presentato il progetto più aderente alle esigenze dell’Ateneo e di minor impatto in termini di costi. “Lo scopo della nuova partnership con Fujitsu”, spiega Cecchi, “è di affidare

all’esterno la gestione dell’infrastruttura, degli endpoint e del software, mantenendo all’interno le capacità di sviluppo applicativo e la programmazione dell’evoluzione dell’It in linea con le esigenze strategiche dell’alta direzione”. Per arrivare a questo obiettivo, Fujitsu ha dapprima stabilizzato e messo in sicurezza l’infrastruttura e di conseguenza i servizi, realizzando la migrazione delle piattaforme legacy su macchine Intel, in particolare server Primequest 1800, e coordinando la presenza di nuove tecnologie e partner tecnologici terzi, come NetApp e Oracle. Poi ha proseguito nel processo di virtualizzazione, costruendo insieme a Università Cattolica solide fondamenta per la fase

di transformation prevista per il triennio successivo (il contratto di outsourcing ha una durata di quattro anni). I benefici

Mantenendo ben dritta la barra del timone in direzione degli utenti, il management It di Università Cattolica è riuscito quindi a cambiare modalità di outsourcing senza pagare nessuno scotto in termini di continuità operativa, anzi, mantenendo l’efficienza attraverso Sla severi a costi più contenuti. “Abbiamo fissato il valore della availability a 99,6%”, spiega Cecchi, “e il tempo di ripristino a meno di due ore. Sono Sla cumulabili tra loro e sicuramente molto severi, viste anche la complessità

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STORIA DI COPERTINA | Università Cattolica del Sacro Cuore

della nostra infrastruttura e l’eterogeneità del parco macchine e applicativi. Ora che sui circa 5mila endpoint e sugli oltre cento server virtuali viene esercitato un monitoraggio continuo, l’It può pensare ai prossimi passi, uno dei quali riguarda la sicurezza e in particolare l’implementazione di una soluzione di disaster recovery, prevista per il 2014”. La migliore gestione delle risorse It non è stata però l’unico obiettivo di Cecchi, che ha puntato anche, traguardando un arco temporale un po’ più ampio, a restituire all’Università quelle capacità di visione e di progettazione essenziali per offrire ai propri utenti servizi sempre più efficaci, e per attirare studenti e docenti alla ricerca di un ambiente dove coltivare i propri desideri e le proprie ambizioni. “Per questo”, dice Cecchi, “abbiamo dato vita a un piano dell’innovazione che prevede in tre anni oltre 15 progetti strategici, per i quali è indispensabile coniugare il disegno di soluzioni applicative con l’implementazione di nuove infrastrutture tecnologiche. La gestione integrata dei diversi ambiti It (server, endpoint, applicazioni e rete dati) consente a Fujitsu di avere un ruolo centrale nella pianificazione e nell’implementazione dei progetti, garantendo un tempo di risposta in linea con le esigenze del mercato. La nuova organizzazione dell’infrastruttura, ottimizzata e dimensionata ora sul numero di studenti e docenti e non più in base al numero di dispositivi, viene gestita da Fujitsu in totale autonomia, anche sul fronte delle altre partnership necessarie al corretto funzionamento della macchina It, come quelle instaurate con Vmware, Oracle o Netapp”. Al termine di un anno di lavori (il progetto è stato avviato il primo gennaio del 2013, dopo soli tre mesi di transizione), la maggior parte dei processi sono a regime e l’It di Università Cattolica si è già riappropriato della progettualità e dell’entusiasmo necessari per prevedere una roadmap di nuove attività, oltre che per assicurare un funzionamento efficiente di tutti i servizi e i portali. Affidata a Fujitsu 6

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Lorenzo Cecchi, Cio dell’Università Cattolica del Sacro Cuore

TUTTO L’ATENEO IN MOBILITÀ Se l’infrastruttura è il cuore tecnologico di Università Cattolica, il front end dovrebbe “scaricare a terra” tutta la potenza erogata dai sistemi. Molto spesso, come mostrano gli ultimi trend, le applicazioni in mobilità rappresentano il modo migliore per consegnare agli utenti finali i servizi più evoluti. L’app iCatt, a disposizione degli studenti dell’Ateneo e sviluppata dalla Direzione dei Sistemi Informativi dell’Università, è un chiaro esempio di questa evoluzione: con un qualsiasi smartphone lo studente è in grado di gestire tutti gli aspetti della vita accademica: esami, voti, appuntamenti coi docenti, e perfino la prenotazione degli alloggi.

la gestione dell’infrastruttura, l’Ateneo può infatti dedicarsi alla definizione di progetti innovativi, alla creazione dei relativi gruppi di lavoro e ad avere su tutto questo un controllo e un’integrazione per gestire il cambiamento e il miglioramento continuo dei servizi. “Siamo un Ateneo agile e competitivo”, chiosa il dottor Cecchi, “per questo chiediamo sempre il massimo ai nostri partner, in nome di una cultura del servizio votata a soddisfare completamente gli utenti e i clienti. Devo dire che le aziende che abbiamo coinvolto hanno risposto in modo ottimale a questa richiesta, già dal primo anno, mostrando da subito un approccio fortemente orientato alle esigenze degli utenti, oltre a soddisfare i livelli di servizio dovuti. Per arrivare a questo importante risultato, ha pesato molto la capacità di Fujitsu di proiettare sulla nostra realtà le metodologie e le best practice sviluppate a livello internazionale. Ora che siamo a regime possiamo cominciare a lavorare per costruire qualcosa che duri nel tempo, a tutto beneficio dell’Università e del suo patrimonio”. E. M.


La ricerca rende più smart le città Gli investimenti in tecnologia della Cattolica permettono di recuperare efficienza, ma creano anche valore sul territorio. Federico Rajola

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lasse 1969, Federico Rajola è professore di Project Management e Organizzazione alla Facoltà di Management dell’Università Cattolica. Delegato del Rettore per l’innovazione e i sistemi informativi, è anche Direttore Scientifico del Cetif (il centro di ricerca su tecnologie, innovazione e servizi finanziari dell’Ateneo). Professore, quanto è importante la tecnologia per un’organizzazione dalle radici così solidamente ancorate a valori tradizionali?

È determinante, direi, e lo sta diventando sempre di più. In questi giorni stiamo lavorando al piano strategico dell’Università, e molte delle linee guida si basano proprio sull’innovazione. Nel concreto, questo significa servizi ancora più efficienti per gli studenti, i laureati (il progetto Alumni ha una grande importanza in questo ambito) e i docenti. Svilupperemo soluzioni ad alto valore aggiunto per tutti coloro che entrano in contatto con

la Cattolica, ma non trascureremo neanche il miglioramento e l’automazione dei processi interni. Quanto incide la tecnologia dell’Università sull’intelligenza delle città dove opera?

La Cattolica contribuisce sicuramente a rendere più “smart” le città, anche in virtù del fatto che è una delle poche università, se non l’unica, ad avere una distribuzione così ampia sul territorio: ben cinque diverse sedi, ciascuna delle quali è focalizzata su un settore differente. A Roma si concentrano, ad esempio, le tematiche legate alla sanità, mentre a Piacenza si studia l’innovazione in ambito agrario e soprattutto Agribusiness. A Brescia la ricerca verte sulla fisica. Milano, invece, è il punto di riferimento per il tessuto finanziario, economico e industriale italiano ma è anche un ponte verso l’Europa, grazie all’attività internazionale di molti docenti. Un esempio di innovazione in ambito economico e finanziario è il Cetif, che è un punto di riferimento

per le aziende del settore bancario e assicurativo. Riuscite a sfruttare la spinta propulsiva dei giovani?

Certo, a questo proposito stiamo per lanciare un incubatore per i giovani laureati dell’Università, ma anche per i docenti, che avrà la funzione di aiutare la ricerca di fondi e progetti per il non-profit,- e allo stesso tempo di stimolare la creatività e l’imprenditorialità dei giovani: metteremo a disposizione spazi, tecnologie e banda, ma soprattutto il know-how dei professori, che saranno i “business angel” delle attività di startup. Più in generale, abbiamo sempre investito molto anche nelle infrastrutture, per offrire ai giovani gli strumenti adatti alla loro cultura digitale. Abbiamo da anni integrato, con i sistemi informativi di Ateneo, la piattaforma leader mondiale di e-learning (Blackboard), che copre circa il 90% dei corsi attualmente previsti nelle cinque sedi: in pratica, gli studenti non usano più materiale didattico cartaceo ma, attraverso i tablet, interagiscono e apprendono con le logiche tipiche del digitale e dei social network. La soluzione adottata stravolge i canoni della didattica ma rappresenta una formidabile occasione per automatizzare processi e servizi per gli studenti. La tecnologia è anche business per voi?

Sì, la tecnologia è pervasiva. Fa parte della vita universitaria ma è anche un potente strumento di efficientamento. Permette di razionalizzare i costi e allo stesso tempo di elevare i livelli di servizio. Non è un caso se in questi anni gli investimenti in tecnologia sono aumentati costantemente, e rappresentano circa il 20% dei costi. Uno sforzo importante che però è stato ripagato: pensi che abbiamo calcolato che un nostro laureato costa al Ministero dell’Istruzione molto meno rispetto a un suo coetaneo dell’università pubblica. E gran parte di questa efficienza passa attraverso l’It. Emilio Mango 7


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IN EVIDENZA

l’analisi

LA SPENDING REVIEW AL DIGITALE CHE NESSUNO SEMBRA VOLER FARE

Il punto è, da mesi, sempre lo stesso: il ritardo nell’attuazione dei piani previsti dall’Agenda digitale. Poche le scadenze rispettate, e di iniziative per accelerare i tempi non se ne vedono ancora all’orizzonte. Intanto c’è stato, a fine marzo, l’incontro di commiato fra il premier Matteo Renzi e il commissario uscente Francesco Caio: un’occasione per fare il punto soprattutto sulle cose non fatte, più che su quelle già portate a termine o almeno avviate. Secondo il servizio studi della Camera, il bilancio aggiornato al 24 febbraio 2014 del provvedimento per la digitalizzazione del Paese (nato sotto il governo Monti e incensato da quello di Enrico Letta) è in sintesi il seguente: dei 55 adempimenti necessari ad attuarla, solo 17 hanno visto la luce mentre per molti dei mancanti, 21 su 38, sono ormai scaduti i termini. Al momento in cui scriviamo non sappiamo come verrà riorganizzata la governance dell’Agenda, anche se è molto probabile che a tirarne le fila, sotto la regia diretta di Palazzo Chigi, ci sarà una figura di coordinamento di matrice politica. Il ministro dello Sviluppo Economico, Federica Guidi, questa invece è cronaca, nel corso di una recente audizione alla Camera ha assicurato che “l’impegno sarà massimo per sbloccare il processo di digitalizzazione a vantaggio dei cittadini e delle imprese”. Nella sua agenda, lo ricordiamo, c’è soprattutto la questione strategica della banda ultralarga, per cui occorrerà utilizzare i fondi Ue 2014-2020: l’Italia deve, però, inviare entro il 22 aprile a Bruxelles l’ultima e definitiva versione dell’Accordo di partenariato, tenendo conto dei rilievi (molto critici) eviden-

Dal Governo ci si aspetta un segnale forte sul tema dell’Agenda Digitale, italiana ed europea. Le priorità sono la banda ultralarga e la razionalizzazione della Pubblica Amministrazione. ziati dalla Commissione europea per ciò che concerne i piani sul digitale. Tornando all’Agenda, è stato lo stesso Renzi a riportarla sotto la luce dei riflettori in chiave europea in relazione all’ormai vicino semestre di presidenza italiana – “un’occasione per rimetterci in regola” – e all’incontro di luglio a Venezia concordato con Angela Merkel e Francois Hollande. Ma come e quanto si impegnerà il governo per avviare un

piano il cui impatto sull’economia del Paese è paragonabile a quello di una piccola manovra finanziaria? L’elemento nuovo è arrivato dal commissario straordinario per la spending review, Carlo Cottarelli, che ha quantificato in circa 2,6 miliardi di euro annui il saving ottenibile complessivamente, a partire dal 2016, da tre misure previste dall’Agenda: fatturazione elettronica, pagamenti elettronici e razionalizzazione dei Ced (Centri elaborazione dati) della PA nazionale. Sommando a tale cifra i 200 milioni derivanti dall’obbligo di pubblicazione telematica di tutti i bandi e gli appalti pubblici si sfiorerebbero i 2,8 miliardi. Sono solo numeri sulla carta, ma se ci fosse un’entità in grado di farli digerire ai ministeri coinvolti, e renderli iniziative concrete, sarebbe già un passo avanti. Gianni Rusconi APRILE 2014 |

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IN EVIDENZA

VELOCI ED ECONOMICI, ARRIVANO I NUOVI PROCESSORI INTEL XEON Big Data e in-memory computing sono le due macro tendenze dell’It moderno che hanno indotto Intel a progettare e rendere disponibile la nuova famiglia di processori Xeon E7 v2, “l’annuncio più importante degli ultimi tre anni”, come lo ha definito Carmine Stragapede, direttore generale di Intel Italia. Per il mondo delle imprese, la novità è veramente significativa, se è vero come è vero che le prestazioni di questi chip pensati per i server sono doppie rispetto alla generazione precedente, e che la

“Cloud e device mobili sono la stessa cosa. Un device che non è connesso al cloud non è completo, ma un cloud senza device non serve a niente”. Satya Nadella, Ceo di Microsoft

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La famiglia Intel Xeon E7 offre prestazioni doppie rispetto alla serie precedente. continuità di funzionamento è garantita quasi al 100% grazie all’adozione della tecnologia Run Sure di Intel. Senza entrare troppo nei dettagli tecnici, la nuova gamma di Cpu si pone in

LA STAMPA 3D CHE PIACE A HP La società californiana lancerà nel corso dell’estate le sue prime stampanti tridimensionali destinate al mercato commercial.

diretta concorrenza con le architetture di tipo Risc, promettendo prestazioni comparabili ma con un costo totale di possesso (Tco) abbattuto fino all’80%. Tra i partner di Intel che hanno sposato da subito la nuova famiglia di processori ci sono ovviamente Dell, Fujitsu e Hp, che ora possono offrire ad aziende e provider sistemi con un massimo di 8 Cpu e 12 Megabyte di memoria incorporata. Nel corso della presentazione ufficiale, Intel ha portato la testimonianza di alcuni grandi clienti (tra cui Telecom Italia e Unipol Sai) che hanno già provato con successo le versioni di test delle nuove macchine, registrando miglioramenti in termini di prestazioni compresi tra il 25 e il 40% rispetto ai server dotati dei processori di precedente generazione. Luigi Bellani, infrastructure architecture & engineering director di Telecom Italia Information Technology, ha addirittura espresso l’intenzione di migrare sulle piattaforme X86, nell’arco di due anni, più dell’80% delle applicazioni attualmente in ambiente Unix. Un percorso reso oggi possibile anche dal più favorevole rapporto costo/prestazioni dei nuovi processor Xeon E7 v2. Lo ha confermato il Ceo di Hp, Meg Whitman, secondo cui i problemi tecnici che finora hanno afflitto questi sistemi (lentezza e qualità di stampa) sono stati risolti. A detta della manager, il mercato d’elezione del printing 3D sarà in primis quello delle imprese, per le fasi di prototipazione e produzione di parti e componenti. In gioco c’è un mercato potenziale destinato a raggiungere gli 11 miliardi di dollari entro il 2021.


WINDOWS XP VA IN PENSIONE: BANCOMAT, PA E PMI A RISCHIO

Una data che epocale forse non è, ma che nella storia di Microsoft sarà sicuramente ricordata. L’8 aprile 2014 è infatti terminato ufficialmente il supporto tecnico a Windows Xp, e questo significa che i computer con a bordo il vecchio sistema operativo non godranno più degli aggiornamenti di sicurezza (le cosiddette “patch”) rilasciati periodicamente dal gigante di Redmond a partire dal 2001, anno del lancio di Xp. Il software, che nel mondo vanta ancora oggi una diffusione pari al 30% del totale dei Pc in attività, diventa di fatto vulnerabile, e di conseguenza molto più facilmente esposto agli attacchi malware. Ci saranno, quindi, problemi? Sì, anche se Microsoft ha deciso di prolungare fino al luglio 2015 il supporto del programma antivirus Security Essentials. E sono gli stessi portavoce della società a confermarlo. Carlo Mauceli,

Il vecchio sistema operativo è andato in pensione. Le aziende italiane? Non si sono preparate. per esempio, digital officer in Microsoft Italia, ha detto chiaramente che molte aziende dell’amministrazione pubblica centrale e locale non si sono messe ancora al passo migrando alle nuove versioni del software, cioè Windows 7 e Windows 8. Il problema non interessa ovviamente solo la PA ma anche le Pmi, le banche e gli utenti privati. Nel complesso parliamo di circa sei milioni di macchine che in Italia girano ancora su Windows Xp, di una piccola impresa su quattro che utilizza l’obsoleta piattaforma su oltre l’80% del proprio parco installato (indagine di Idc su 850 realtà) e di un 16% di consumatori che a tutto febbraio non aveva voluto saperne di cambiare computer o di aggiornare il

sistema operativo (sondaggio del portale Msn su 13mila utenti). Si diceva delle banche, e in questo caso il rischio aleggia sui circa tre milioni gli sportelli bancomat operativi nel mondo, la maggior parte dei quali ha un’età superiore ai vent’anni e il 95% (dati di Ncr) sfrutta Windows Xp. Secondo la rivista americana Businessweek l’avvenuta migrazione a Windows 7 prima del 9 aprile ha interessato solo il 15% degli Atm installati negli Usa. A detta degli esperti, ancora più vulnerabili, perché più esposti, sono e saranno (se non aggiornati) i Pc in esercizio nelle banche, e cioè le “macchine” che gestiscono le movimentazioni di denaro. I correntisti sono avvisati. Gianni Rusconi

VODAFONE ACCOGLIE LE AZIENDE NEL LABORATORIO CREATIVO Inaugurato l’11 marzo e costato tre milioni di euro, si chiama Vodafone Experience Center e si tratta di un laboratorio interattivo di 700 metri quadri il cui fine è quello di sviluppare soluzioni e servizi “su misura” capaci di accrescere la produttività delle imprese clienti dell’operatore. Le aziende saranno accompagnate in un percorso che va dall’analisi delle priorità strategiche fino al disegno di soluzioni (reti dati, cloud, app mobili, machine to machine) costruite sulle loro specifiche esigenze. 11


IN EVIDENZA

MAINFRAME, MA QUANTO MI COSTI? Le aziende non lo abbandoneranno, ma dovranno sempre più mettere mano al portafoglio per sostenere spese di aggiornamento crescenti. Pur rappresentando per certi versi il “passato” rispetto alle innovazioni del cloud, il mainframe – cioè il sistema centrale a cui vengono affidate le applicazioni critiche – è destinato a rimanere indispensabile per le organizzazioni almeno per un altro decennio. Lo afferma un’indagine commissionata da Micro Focus a Vanson Bourne, nella quale sono stati intervistati quasi 600 professionisti It. Dov’è il problema? Secondo le stime degli intervistati, aggiornare le applicazioni mainframe (per esempio in ottica di accesso mobile) costerà in media 11 milioni di dollari ad azienda. Solo un anno prima, un analogo studio stimava questa previsione intorno agli 8,5 milioni di dollari. C’è poi la questione del gap di competenze: il 14% del-

LA PASTA BARILLA? SI ORDINA ALLA STAMPANTE 3D

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L’indagine ha interpellato in nove Paesi 590 fra chief information manager e responsabili It di aziende con oltre 500 dipendenti. Un terzo di loro è convinto che il mainframe rimarrà una tecnologia missioncritical anche dopo l’anno 2023.

lo staff attualmente responsabile della manutenzione di queste applicazioni andrà in pensione entro cinque anni, e le Università non fanno abbastanza per formare le nuove leve (sottovalutando, per esempio, l’insegnamento della programmazione Cobol). Valentina Bernocco La società emiliana, riferisce il sito specializzato 3dprinterplans, ha avviato una sperimentazione finalizzata all’utilizzo di stampanti tridimensionali in alcuni, selezionati ristoranti. L’idea è quella di offrire ai clienti la possibilità di degustare pasta di qualsiasi forma, prodotta sul momento. I test vanno avanti da due anni, in collaborazione con l’olandese Tno, e qualche stampante 3D è già in esercizio in alcuni ristoranti di Eindhoven. I dispositivi sono ancora un po’ lenti, ma la strada del “printing food” e della personalizzazione esasperata è aperta.

Office per iPad, il jolly di Microsoft La suite per ufficio più famosa e redditizia della casa di Redmond è disponibile dal 27 marzo anche per il tablet di Apple. Chi possiede un abbonamento a Office 365 può scaricare l’applicazione dall’App Store e utilizzare senza ulteriori costi Word, Excel e PowerPoint. Per chi non è già utente della suite, la versione per iPad (con iOs 7.0 e superiori) sarà accessibile gratuitamente ma solo per leggere e consultare i documenti online. Microsoft ha rilasciato anche gli aggiornamenti di Office Mobile per iPhone e di Office Mobile per Android, completamente gratuiti per uso privato, e l’Enterprise Mobility Suite, che riunisce le soluzioni Intune e Azure Active Directory in un’unica offerta.


l’opinione IL MONITO DEL CLUSIT: NESSUNO È IMMUNE DAL RISCHIO IT Le aziende italiane spendono abbastanza per proteggersi da attacchi e incidenti informatici? La risposta è sì e no. A margine dell’annuale rapporto stilato, in quest’ultima edizione, analizzando 1.152 attacchi noti e per la prima volta anche dati rilevati dal Security Operations Center di Fastweb, il Clusit (l’Associazione italiana per la sicurezza informatica) ha anche interpellato 438 organizzazioni, 81 delle quali fornitrici di tecnologia. Sulle questioni di budget, il responso è in parte confortante: il 53% delle aziende quest’anno confermerà i livelli di spesa del 2013, mentre il 47% prevede di spendere qualcosa in più. Nessuno dunque – almeno fra coloro che hanno risposto al sondaggio – intende spendere di meno. Ma il dato va preso con le pinze. “Le aziende che hanno partecipato a questa edizione del report”, precisa Alessio Pennasilico, membro del comitato direttivo del Clusit, “sono tendenzialmente medio-grandi e non affrontano il problema sicurezza solo con un firewall, ma si preoccupano anche della compliance. Come sappiamo, il panorama italiano è composto di tante piccole e piccolissime aziende che non prevedono lo stanziamento di un

Le 438 aziende interpellate dal Clusit nel 2014 confermeranno, nella metà dei casi, oppure aumenteranno il budget destinato alla sicurezza. Ma il rischio che le realtà più piccole sottovalutino il problema è reale. budget per la sicurezza. E oggi, in ogni caso, molti responsabili It devono lottare con il management per ottenere di volta in volta una conferma del budget dell’anno precedente”. La possibilità di spesa è, dunque, uno degli elementi in gioco per determinare i livelli di esposizione al rischio It. Ma non è l’unico: oggi si assiste a un graduale cambiamento “culturale” all’interno delle imprese. “Quello che comincia a mutare è la visione aziendale sulla sicurezza”, riflette Pennasilico, “e su quanto impatti, anche dal punto di vista economico, non solo sull’It ma su tutto il business”. Fra le preoccupa-

zioni di manager e professionisti It, in cima alla lista c’è sicuramente il cloud, un tema che divide le aziende in due filoni: c’è chi lo vede come la fonte e chi come la panacea di tutti i mali, mentre la questione è certamente più complessa. “Oggi qualsiasi azienda è un potenziale bersaglio di attacchi informatici”, conclude Pennasilico, “perché questi fenomeni si riversano su ogni tipo di device e di piattaforma operativa. Non esiste soggetto che non debba iniziare a proteggersi meglio. Insomma, per dirlo con uno slogan: non importa chi sei, non importa che cosa fai e quali tecnologie usi. Nessuno è al sicuro”.

IL BOOM DELLE MINACCE SOFISTICATE Secondo i dati raccolti e i casi analizzati dal Clusit in Italia, nel 2013 sono diminuiti del 3,8% gli episodi di cybercrime e del 41,9% i casi di cyber warfare, mentre al contrario sono aumentati gli attacchi causati dall’attivismo (+22,5%) e quelli di spionaggio

non governativo (+131%). Continuano a crescere, inoltre, gli assalti ai danni del settore pubblico (+7,5%) e soprattutto quelli contro il settore finanziario (+83%). Dal punto di vista delle tecniche di assalto, crescono sicuramente quelle tradizionali, che passano dalle

vulnerabilità conosciute o da configurazione errate (+80%), ma il vero boom riguarda gli attacchi complessi e sofisticati delle Advanced Persistent Threat, più che quadruplicati. Calano, invece, gli episodi attestati di phishing (-85,7%) e i cosiddetti “zero-day” (-62,5%). V. B. 13


IN EVIDENZA

NETAPP PARTE ALL’ATTACCO PER VINCERE LA BATTAGLIA DEL SOFTWARE DEFINED STORAGE Nove mesi, al massimo, per recuperare l’investimento. È questa la promessa commerciale che Netapp fa ai suoi vecchi e potenziali clienti per l’acquisto dei nuovi storage della serie Fas8000 e del software Flexarray. La multinazionale, che di recente ha premuto sull’acceleratore per correre nella direzione dello “unified storage” (cioè l’integrazione di dispositivi di tipo e marca diversi), delle architetture di cloud ibrido e della partnership con i service provider, ha così sfidato imprenditori e Cio a seguire la propria visione dell’It aziendale. Una visione dettata da quello che viene chiamato “software defined storage”, vale a dire sistemi che vengono configurati in modo flessibile ricorrendo ad appositi programmi di gestione. “Per molti versi”, ha dichiarato Roberto Patano, technical manager di Netapp Italia, “la nostra può essere definita una società di software e non un hardware vendor, perché la componente a più alto valore aggiunto,

PIRATERIA E MALWARE: IL CONTO È SALATISSIMO

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Arrivano i nuovi sistemi Fas8000, ma soprattutto un nuovo ambiente per l'integrazione di dispositivi di marche diverse.

Uno studio condotto da Idc in collaborazione con la National University of Singapore evidenzia come gli attacchi informatici legati all’utilizzo di software contraffatto costino alle imprese fino a 500 miliardi di dollari l’anno solo per risolvere i problemi di malfunzionamento di siti, reti e computer. Poco meno di due terzi delle perdite, e quindi 315 miliardi, sono imputabili alla mano dei criminali organizzati mentre circa il 20% dei programmi pirata presenti nelle aziende viene installato direttamente dai dipendenti.

nonostante la percezione del mercato, è proprio il sistema operativo”. L’ambiente Clustered Data Ontap, che nel frattempo è giunto alla versione 8.2.1, è in effetti il vero patrimonio della multinazionale, lo strumento che oggi permette alle aziende di realizzare incrementi dei sistemi di storage in modo indolore, integrando anche “pezzi” di altri brand, e di garantire la continuità operativa. In questo contesto si posizionano i nuovi prodotti appena annunciati. Flexarray è proprio lo strumento pensato per realizzare il software defined storage (è già integrato nell’ultima versione di Data Ontap), mentre la famiglia Fas8000 incarna appieno la filosofia di Netapp: scalabilità verticale, utilizzo più efficace della memoria flash, grandi prestazioni (fino a 2,6 milioni di operazioni di input/ output al secondo), grande capacità (fino a 4 Petabyte) e soprattutto un drastico taglio del 50% ai consumi energetici.

“La sicurezza dei pagamenti mobili va gestita a livello di architettura It della banca, e non a livello di singolo device”. Eva Chen, founder e Ceo di Trend Micro


LUXOTTICA E LA SCOMMESSA DEGLI OCCHIALI INTELLIGENTI

Rendere più belli i Google Glass: questo l’obiettivo primario alla base dell’accordo ufficializzato a fine marzo da Luxottica con la società di Mountain View, accordo che vedrà l’azienda italiana mettere a disposizione del colosso californiano tutte le competenze necessarie per sviluppare la nuova generazione di occhialini intelligenti a marchio Ray-Ban e Oakley. Sodalizio di prestigio, che va inquadrato nell’ottica di una collaborazione strategica di ampia portata, finalizzata alla creazione di dispositivi indossabili innovativi e iconici. In una parola, rivoluzionari. Al di là delle dichiarazioni d’intenti, si tratta di un matrimonio importante per almeno due motivi. Il primo: la casa di Agordo si butta su uno dei fenomeni del momento, il “wearable computing” per l’appunto, e lo fa a braccetto con l’azienda che più di tutte sta spingendo su questa frontiera delle tecnologie digitali. Un’azienda che vuole – per dirla con le parole di Astro Teller, responsabile del progetto Google Glass – “convincere le persone a indossare un computer sul viso”. Il secondo: coniugare moda, lifestyle e tecnologia, dando vita a un gruppo di lavoro

LA CARTA D’IMBARCO ORA SI INDOSSA Porta le firme della compagnia aerea spagnola Vueling e di Sony la prima applicazione che consentirà ai passeggeri di avere al polso la propria carta di imbarco e tutte le informazioni inerenti il volo. Progettata in esclusiva per lo SmartWatch 2 della casa nipponica, l’app opera tramite un codice a barre 2D ed è disponibile in download nel Play Store di Google. Fra l’altro Vueling offre, già da qualche settimana, la possibilità di utilizzare i propri dispositivi mobili durante tutte le fasi del volo, compresi il decollo e l’atterraggio.

Il gruppo di Agordo si lancia nelle tecnologie indossabili alleandosi con Google. E pensa anche all'e-commerce 3D. fatto di esperti in materia di design, strumentazione e ingegneria, apre nuovi orizzonti a un’industria (quella degli accessori sportivi e di lusso) che ha regalato molte soddisfazioni al made in Italy. Luxottica esempio virtuoso da seguire, quindi? Sì, in veste di azienda che, come ha ricordato il Ceo del Gruppo, Andrea Guerra, “negli ultimi anni ha significativamente investito in innovazione per strutturare piattaforme tecnologiche e soluzioni digitali da combinare all’eccellenza dei suoi prodotti”. Tradizione (artigiana) e innovazione (digitale) si possono incontrare, e Luxottica può essere un autorevole testimonial di questo matrimonio. La recente acquisizione di Glasses.com, portale americano di e-commerce che permette di provare virtualmente gli occhiali in modalità 3D, del resto va in questa direzione.

Telecom Italia a tutto seed Un investimento di 4,5 milioni di euro nei prossimi tre anni (1,5 milioni all’anno fino al 2016) in opzioni o nel capitale sociale delle startup più innovative in campo digital e Internet, mobile e green Ict. Questi i termini del debutto nel “seed investment” dell’ex operatore incumbent, che punta a quote di minoranza di nuove imprese attraverso finanziamenti compresi tra i 100 e i 500mila euro. Prosegue, intanto, l’attività di Working Capital, che dal 2009 a oggi ha incubato e finanziato 19 startup.

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SCENARI | Enterprise mobility

IL DELICATO PASSAGGIO DA MOBILE A MOBILITY Entro il 2015 in Europa oltre 4 milioni di persone si occuperanno di applicazioni per smartphone e tablet. È solo uno degli indicatori di una transizione, sottile ma dirompente, fra il semplice utilizzo dei device portatili e la definizione di una vera strategia aziendale, che consideri i problemi di sicurezza e di privacy.

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l successo di un segmento di mercato si vede anche dal fiorire di nuovi acronimi che ne identificano le soluzioni. Quello della mobilità aziendale, termine ormai desueto e sostituito dai nuovi Mobile Device Management (Mdm) ed Enterprise Mobility Management (Emm), è quindi in piena salute. Lo conferma anche Gartner, che assegna alla mobility la palma della piattaforma tecnologica del futuro (le “ere” precedenti erano state dominate, nell’ordine, da mainframe, architetture client-server, Pc e Web). Si spiegano quindi le grandi 16

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manovre del mercato, che ha visto l’ingresso di big come Ibm, Citrix, Sap e Ca Technologies e la nascita di outsider come Mobileiron e Airwatch, quest’ultima recentemente acquisita da Vmware (ma tutte nel “quadrante magico” di Gartner per l’Mdm). Ma quali sono i trend che negli ultimi mesi hanno fatto esplodere un segmento, soprattutto sul fronte del mercato delle imprese, che per la verità era già in forte crescita? “Sicuramente l’Internet of Things, la connessione di miliardi di oggetti alla Rete”, spiega Luca Rossetti, senior business technology architect di

Ca Technologies, “ma anche l’utilizzo sempre più pervasivo dei device mobili in un’ottica che va anche oltre il Bring your own device (Byod). Non è un caso se oggi solo in Europa ci sono almeno 800mila persone che si occupano di applicazioni in mobilità, un numero destinato a quintuplicare entro il 2015”. I numeri non si esauriscono qui: secondo una ricerca di Vanson Bourne realizzata per Ca Technologies, nei prossimi tre anni, gli investimenti delle aziende italiane in soluzioni di mobilità cresceranno del 50%, mentre oltre il 76% dei Cio del Belpaese ha già pianificato lo


Sopra, una schermata dell’ambiente Mobile Device Management di Ca. In basso, Luca Rossetti, senior business technology architect di Ca Technologies

sviluppo di una o più app. Cifre impressionanti, che però fanno subito pensare a tre temi altrettanto impattanti sull’operatività e sul business delle aziende: la sicurezza dei dati e dei sistemi informativi, la privacy degli utenti e la gestione sia dei dispositivi sia delle relative applicazioni. La sicurezza e la privacy, in particolare, sono viste da Vanson Bourne come

il principale ostacolo, sempre in relazione alle imprese italiane, alla crescita del settore: il 39% degli intervistati cita infatti questo tipo di problemi (insieme alla necessità di riprogettare le strategie e le policy) come la sfida più importante all’adozione di una vera ed estesa enterprise mobility. “Uno dei punti chiave di questo passaggio da mobile a mobility”, dice Rossetti, “è offrire agli utenti un’esperienza trasparente e personalizzata, coinvolgendoli in modo emozionale ma riuscendo a mantenere il business al centro dell’utilizzo dei device. Fattore ancora più importante per il definitivo successo di una strategia di mobility aziendale è la federazione sia dei contenuti sia delle identità, in modo da rendere il più fluido possibile l’utilizzo quotidiano e quindi l’efficacia delle soluzioni”. Secondo Ca Technologies, i pilastri di un ambiente di enterprise mobility sono sostanzialmente quattro: solide fondamenta tecnologiche (un’architettura performante e pronta per gli sviluppi futuri), focus sulle soluzioni cloud, semplificazione della gestione (ad esempio integrazione di più ambienti e di più device) e una suite a livello enterprise che abbracci tutte le fasi dello sviluppo di applicazioni mobili e che sia perfettamente integrata nei processi aziendali. Per rispondere a queste esigenze, Ca ha introdotto a febbraio la soluzione Ca Management Cloud for Mobility, che è in realtà un insieme di tre suite: un modulo Emm (Enterprise Mobility Management) che permette di gestire applicazioni, contenuti e dispositivi, l’ambiente Mobile Devops per la cura di tutto il ciclo di vita delle App e il framework Enterprise Internet of Things, che consente di occuparsi in totale sicurezza delle connessioni machine-to-machine. La suite Emm è già disponibile, così come Mobile DevOps (anche se a giugno arriveranno nuove componenti). Per Enterprise Internet of Things, invece, bisognerà aspettare ancora qualche mese. Emilio Mango

BLACKBERRY NON SI ARRENDE Attaccata su più fronti, molte volte data per acquisita, Blackberry non molla, forte di una tradizione ineguagliabile nel segmento, ora caldissimo, della mobility. A febbraio la multinazionale ha annunciato nuovi device, in particolare lo Z3, un full touch destinato ai mercati emergenti, e il Q20, detto anche “Classic” per via del ritorno della tastiera fisica e del tanto amato (in passato) trackpad. Ma gli annunci più importanti in un’ottica di mobilità aziendale sono stati quelli relativi alla piattaforma Blackberry Enterprise Service (Bes) 12, che arriverà sul mercato alla fine di quest’anno. Su Bes12 dovrebbero convergere tutte le piattaforme precedenti, che infatti saranno oggetto di una strategia di migrazione piuttosto aggressiva dal punto di vista commerciale. “La vera sfida della mobility”, ha dichiarato Diego Ghidini, director business sales di Blackberry Italia, “non è tanto la scelta dei device, ma la loro gestione con criteri enterprise. La piattaforma Bes12, grazie anche al supporto dei dispositivi Windows Phone (che si vanno quindi ad aggiungere a quelli Android e iOS) è ora l’unica che permette ai clienti di scegliere un solo fornitore per tutto l’Enterprise Mobility Management.

Diego Ghidini

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SCENARI | Enterprise mobility

BYOD: UN OSTACOLO CHIAMATO SICUREZZA Il 44% delle imprese europee è ancora contrario all’uso dei device personali in chiave business, o lo consente solo in circostanze eccezionali. L’Italia è fra i Paesi con maggiori resistenze.

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l Bring your own device è un fenomeno maturo? Sì, dal lato della propensione dei dipendenti, e in parte delle stesse aziende, a utilizzare smartphone, tablet e computer portatili personali a fini lavorativi. Meno, molto meno, lo è dal punto di vista pratico, e non certo per l’acerbità “tout court” delle tecnologie mobili. L’adozione dei modelli Byod in molte aree dell’Europa è ancora faticosa per via di altri fattori: da un lato, la difficoltà di integrare più piattaforme operative in seno ai sistemi informativi esistenti, e dall’altro la sicurezza dei dati e delle applicazioni aziendali che risiedono e girano sui dispositivi. Lo studio European Byod Index, condotto, per conto di Oracle, dalla società di ricerca Quocirca su un campione di 700 aziende, si è concentrato proprio su quest’ultimo aspetto, evidenziando risultati tutt’altro che incoraggianti. Il 44% delle imprese censite si è dichiarato ancora contrario all’uso dei device personali in chiave business o lo consente solo in circostanze eccezionali, mentre più della metà “confessa” di non gestire gli smartphone nell’ambito del proprio programma Byod. E ancora: poco meno di un terzo delle imprese (il 29%) ne restringe l’utilizzo ai soli dipendenti senior, il 22% vieta tassativamente la possibilità che i dati o le informazioni aziendali risiedano sui dispositivi di addetti e manager e il 20% non ha definito, per il momento, alcuna regola o policy in merito. Perché c’è ancora una generalizzata diffidenza verso l’uso dei dispositivi di 18

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computing personali, nonostante diversi studi confermano ritorni tangibili, sul piano della riduzione dei costi informatici e dell’aumento della produttività degli utenti, per chi investe nel Byod? Il perché si spiega, sembrerà banale, con la questione sicurezza. Le aziende nutrono timori per i loro dispositivi (nel 45% dei casi), per le loro applicazioni (53%) e per i loro dati (63%). Non bastassero questi numeri a gettare ombre sul fenomeno, ecco che l’indagine evidenzia come molte di queste preoccupazioni siano collegate a una scarsa consapevolezza delle funzionalità offerte dalle soluzioni di security. Un esempio? Il 37% del campione monitorato non ha mai sentito parlare di “containerizzazione”, e cioè dei tool che permettono di separare i dati aziendali da quelli personali; il 22% è totalmente all’oscuro in fatto di strumenti per la gestione delle applicazioni mobili. Aziende italiane dietro alla lavagna

Come si comportano le nostre imprese in quest’ottica? Il Belpaese, con Spagna e Portogallo, registra la maggiore diffusione di aziende catalogate come “oppositori” ed è, purtroppo, alle spalle di tutte le altre nazioni quanto a maturità della visione sul fenomeno Byod, scontando una limitata consapevolezza del fatto che la sicurezza dei dispositivi personali in azienda (e dei dati critici) possa essere concretamente gestita. Byod sì, dunque, ma occorre fare un passo in avanti a livello culturale. Come spesso capita in tema di nuove tecnologie. Gianni Rusconi

MOBILE WORKER ALL’ATTACCO La nuova generazione di dipendenti “mobile” sta modificando i modelli di lavoro tradizionali, sollecitando le aziende ad adeguarsi: lo dice una ricerca condotta su scala mondiale, su oltre 5mila intervistati, da Aruba Networks. La maggior parte dei nuovi mobile worker, il 62%, possiede tre o più dispositivi collegati, mentre il 57% si sente più efficace quando lavora da casa (con Usa e Regno Unito in testa ai Paesi in cui l’home office è ritenuto il modello più produttivo professionalmente) e in due casi su tre preferisce il WiFi alle connessioni su rete mobile e cablate. Gli esponenti della cosiddetta “GenMobile 2” si aspettano, inoltre, che i datori di lavoro adottino le policy strutturali necessarie per garantire loro la modalità di lavorare che preferiscono. Un terzo degli intervistati, addirittura, preferirebbe vedersi pagato dall’azienda lo smartphone preferito piuttosto che avere uno stipendio più alto del 5% o la mensa aziendale gratuita. La rivoluzione Byod passa anche da qui.


MOBILITÀ IN AZIENDA FRA APP E BYOD: ECCO COME AFFRONTARLA La consumerizzazione dell’It, le policy di gestione dei device personali, i costi per lo sviluppo e il mantenimento delle applicazioni: il lavoro dei Cio si complica. Ma le soluzioni tecnologiche non mancano.

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l Byod, nelle aziende italiane, è diffuso oppure no? La domanda apre il campo a una discussione certo non priva di contraddizioni. E una survey condotta nel 2013 da The Innovation Group, come ci conferma Elena Vaciago, research manager della società di consulenza milanese, lo dimostra. Dei 70 Cio intervistati, appartenenti a medie e grandi imprese di diversi settori verticali, l’82% permette o prevede il Bring your own device, ma l’utilizzo del dispositivo mobile personale è concesso, in media, solo al 7% della forza lavoro complessiva. Che cosa si desume da queste percentuali? Che l’impatto del Byod non è ancora significativo e che attività specifiche per questa “tecnologia” sono svolte solo in una minoranza dei casi. La mobility è considerata una tecnologia innovativa dalla maggior parte dei manager di linea. Anche dai Cio?

L’area It è profondamente consapevole dell’importanza del nuovo paradigma mobile, anche perché è partita molto prima del business sul tema della mobility, quando ancora venivano usati terminali ad hoc da fornire alla forza vendita e agli addetti attivi sul territorio. Quello che è cambiato negli ultimi anni è l’effetto della disponibilità di app su smartphone e tablet molto più efficaci e semplici da utilizzare. È la cosiddetta consumerizzazione dell’It, una tendenza che può essere di vantaggio anche per i Cio, se utilizzata per sollevare lo staff informatico da una serie di incombenze legate all’assistenza degli utenti.

CON DEVICE MOBILE FORNITO DALL’AZIENDA

39 40%

CON DEVICE MOBILE DI PROPRIETA’ DELL’UTENTE, PERMESSO DALL’AZIENDA (BYOD)

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Didascalia

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41-60% 61-80% 81-100%

Quota dei mobile workers rispetto al totale della forza lavoro

LA DIFFUSIONE DEL BYOD - Fonte: The Innovation Group, 2013 Una strategia di enterprise mobility paga solo se...?

Sulla base delle indicazioni che riceviamo dai Cio italiani emerge come la soddisfazione degli utenti sia fondamentale per il successo di una strategia di questo tipo. Dal punto di vista aziendale, la soluzione si ripaga velocemente grazie alla maggiore efficienza e produttività dei processi di lavoro. Diverso è il caso di una strategia mobile indirizzata a clienti e consumatori, dove una user experience semplice e coinvolgente diventa preponderante. Un’applicazione di servizio deve essere un lavoro congiunto degli esperti di marketing, dei sistemi informativi, dei designer di app: non si deve costruire semplicemente riportando sul mobile l’operatività che si può avere su un sito Web. Quali i passi da compiere per implementare un progetto Byod?

Il Byod, quando si estenderà, potrà determinare impatti positivi e aumentare di vari ordini di grandezza la produttività

sul lavoro, ma deve essere inserito in una strategia di mobility e di security. Si parte da un’approfondita conoscenza di che cosa fanno i dipendenti, di quali terminali utilizzano, di quali sono le loro preferenze anche in termini di utilizzo personale, e si arriva ad allineare le misure di sicurezza per il Byod con le procedure interne, variabili da settore a settore. La spesa per lo sviluppo delle app è spesso vista come un ostacolo alla mobility. Che cosa significa?

Il costo delle app, non solo in fase di sviluppo ma anche di successivo mantenimento, è spesso rilevante e obbliga le aziende a fare delle scelte, per esempio concentrarsi su un minor numero di sistemi operativi. La situazione di mercato costringe a valutare più alternative, non ultima quella che si è affermata in Italia per il sistema Windows Phone, legata al successo dei Lumia di Nokia, a discapito dei più costosi iPhone di Apple. Gianni Rusconi 19


SCENARI | Pmi

IMPRESE E INNOVAZIONE, A QUANDO LA SVOLTA? Aziende sprovviste di It manager e addirittura di una strategia Web, scarsa propensione a investire. Sono alcuni degli ostacoli all'adozione di tecnologie che gioverebbero al business.

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intesa siglata a metà marzo tra Piccola Industria e Smau è un buon segno. Sperando che si tratti per davvero di un sodalizio capace di sviluppare un ecosistema in cui far convergere, all’insegna del digitale, le startup e le Pmi imprese italiane. Il monito lanciato da Alberto Baban, presidente dell’organismo che fa capo a Confindustria, è di quelli da segnarsi in rosso: “Una nuova occasione per accelerare il passaggio verso quel neomanifatturiero che può dare all’Italia un futuro vincente. Grazie alle tecnologie digitali, infatti, è possibile raggiungere un mercato vastissimo in tempi rapidissimi, migliorando e accelerando l’internazionalizzazione e l’innovazione delle imprese”. Ricetta, sulla carta, perfetta. E il ragionameno non vale solo per le Pmi nostrane. Jean-Philippe Courtois, presidente di Microsoft International, ha ricordato a un recente incontro organizzato da Assolombarda i dati di uno studio condotto da Boston Consulting Group: ebbene, se più imprese utilizzassero le soluzioni Ict si genererebbe una crescita aggregata di ricavi pari a 770 miliardi di dollari e 6,2 milioni di nuovi posti lavoro in soli cinque Paesi, ovvero Stati Uniti, Germania, Cina, India e Brasile. Tale effetto sarebbe replicabile in tutte le altre economie del mondo, compresa la nostra, e questo perché esiste una stretta correlazione tra investimenti in innovazione e crescita. Le piccole e medie imprese italiane che hanno abbracciato il digitale e le nuove tecnologie (cloud, mobile, business intelligence e social) hanno registrato nel periodo 2010-2013 una 20

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crescita del 12% sui ricavi e del 9% in termini di occupazione rispetto a quelle che le utilizzano poco. I limiti (tecnologici e non) delle imprese italiane

Il punto, tristemente noto, è che il tessuto delle Pmi italiane non è uniformemente sensibile a certi richiami. Nel 42% dei casi, per esempio, e lo dice un’indagine Ipsos Mori, sono sprovviste di un It manager mentre solo il 56%, stando a a una rilevazione a campione di Doxa, è sul Web per fare business. C’è quindi ancora una buona metà di piccole imprese del Belpaese che non si avvale internamente di competenze specifiche in materia tecnologica e che non crede

nell’efficacia degli strumenti di marketing ed advertising digitale. Il rapporto fra Pmi e nuove tecnologie è, per certi versi, lo specchio della contraddizione tutta italiana fra la semplice propensione all’uso e l’utilizzo concreto di tool, prodotti e servizi digitali. Forse la fotografia più realistica della situazione arriva da uno studio dell’istituto Oxford Economics, secondo cui l’innovazione è vista dal 46% delle imprese come strumento per il raggiungimento dell’efficienza e per il contenimento dei costi. Ma il 47% delle realtà censite afferma di investire in innovazione tecnologica solo quando esiste un chiaro ritorno sugli investimenti. Piero Aprile


UNA NUOVA RIVOLUZIONE INDUSTRIALE GUIDATA DALLE TECNOLOGIE DIGITALI Anche le Pmi, e non solo le grandi aziende, possono “democratizzare” le attività manifatturiere sfruttando tecnologie come la stampa 3D, la realtà virtuale o l’Internet delle cose. Ecco come.

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ebbene diversi segnali suggeriscano che la crisi del sistema produttivo italiano è ormai alle spalle, è altresì evidente che lo scenario competitivo in cui le aziende superstiti si trovano a operare è radicalmente differente rispetto al contesto pre-crisi. E questo per almeno due motivi principali: la modifica degli equilibri geografici dei mercati mondiali, in cui la Cina è divenuto il primo Paese di sbocco per molti comparti industriali (automobilistico e tecnologico in primis), e i diversi comportamenti di acquisto del cliente finale, sempre più orientato a richiedere prodotti personalizzati e, molto spesso, da progettare e realizzare ad hoc. Alla luce di questo mutato scenario, fonti autorevoli quali The Economist e McKinsey Global Institute hanno acceso i riflettori su un insieme di tecnologie digitali, viste come leve “disruptive” e con impatti potenziali così grandi da poter realmente rivoluzionare il modo di produrre e quindi di fare impresa. Di che cosa si tratta? Stampa 3D, Internet delle cose, social manufacturing, realtà virtuale, realtà aumentata, intelligenza artificiale e nanotecnologie. È davvero possibile che questi filoni tecnologici (in particolare i primi due) stiano innescando una nuova rivoluzione industriale? Forse sì, e ci sono vari indizi a supporto di tale tesi. La stampa 3D rappresenta di per sé una rivoluzione, che permette di passare direttamente dalla fase di design a quella di produzione, eliminando i passaggi intermedi di realizzazione di utensili e stampi e garantendo all’azienda la convenienza economica associata a mani-

Andrea Bacchetti

Massimo Zanardini

fatture in piccoli volumi e in sintonia con le richieste di personalizzazione del mercato. Alcune applicazioni industriali di successo mostrano come la tecnologia sia addirittura pronta anche per produzioni di media serie di componenti e prodotti finiti. L’americana Ge Aviation, per esempio, realizza e utilizza in esercizio circa 100mila pezzi all’anno tramite stampa 3D, mentre l’Italia, quasi a sorpresa, detiene circa il 4% delle macchine professionali per la stampa tridimensionale (con prezzo superiore a 5mila dollari) globalmente installate, superando Francia, Spagna, Svezia e Canada.

Grazie all’Internet delle cose, invece, tutti gli oggetti possono diventare intelligenti, e quindi in grado di raccogliere informazioni dall’ambiente circostante, modificare il proprio stato e agire su quello di altri oggetti interconnessi. A oggi solo l’1% degli oggetti è connesso, ma entro il 2020 si stima che saranno 50 miliardi. Con quali applicazioni e benefici per l’industria? Maggiore controllo sui processi di produzione, completa tracciabilità dei materiali lungo la filiera, raccolta di informazioni sulle prestazioni dei prodotti durante il loro esercizio. Il caso del produttore di turbine Rolls Royce è eclatante, nella misura in cui mostra come sia possibile passare da un modello di business orientato al prodotto a uno rivolto, invece, al servizio: i clienti non acquistano più la turbina in quanto oggetto fisico, bensì pagano le ore di volo della stessa, i cui parametri di utilizzo sono monitorati grazie alla sensoristica di cui sono dotate. I casi citati sono relativi a esperienze progettuali di grandi o grandissime aziende. La convinzione di fondo, però, è che la rivoluzione associata a queste tecnologie possa davvero venire (anche) dal basso e possa essere utilizzata dalle Pmi come leva competitiva. A patto che ci sia reattività nell’agire. Tutti gli analisti, infatti, sono concordi nell’affermare che questa nuova rivoluzione industriale sarà più rapida delle precedenti. Chi non saprà muoversi, e in fretta, verrà inesorabilmente spazzato via. Andrea Bacchetti e Massimo Zanardini, Università di Brescia 21


SCENARI | Telemedicina

LA SANITÀ DIVENTA SMART E VUOLE ESSERE VIRTUOSA La digitalizzazione della cartella clinica e la telemedicina migliorano i processi di cura e il servizio ai pazienti. Ma c’è ancora una sfida da vincere: quella dell'efficienza.

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ccedere a esami, prescrizioni, radiografie, referti e quant’altro. Online. Anche via smartphone o tablet. Questa è la telemedicina, queste sono le possibilità offerte dalla digitalizzazione della cartella clinica, dal processo di informatizzazione e dematerializzazione che ha coinvolto la sanità pubblica e privata, promettendo (e in vari casi anche portando) maggiore efficienza nei servizi di cura. Ci sono però diverse ombre che rallentano lo sviluppo del progetto telemedicina in Italia, “ostaggio” di un pericoloso vuoto normativo. L’intesa fra Stato e Regioni sulle linee guida per armonizzare i modelli di erogazione e fruizione dei servizi a distanza (dalle prenotazioni online alla cartella clinica elettronica) è stata finalmente raggiunta e si spera possa segnare la fine dell’era delle tante sperimentazioni mai messe a sistema. Digitalizzare la sanità nazionale, utilizzando in modo diffuso le tecnologie 22

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Ict, genererebbe risparmi più che consistenti, ovvero (secondo l’Osservatorio del Politecnico di Milano edizione 2013) di circa 7 miliardi di euro l’anno. Un servizio sostenibile

La valenza “produttiva” della telemedicina verte sostanzialmente sulla capacità di mantenere a casa il paziente affetto da malattia cronica, facilitando il rapporto fra territorio e struttura ospedaliera e, soprattutto, riducendo gli spostamenti. Per soddisfare tali obiettivi entrano in gioco sistemi più o meno complessi come la telecardiologia, la telediabetologia, la teleassistenza domiciliare per gli anziani o i teleconsulti clinici tra gli operatori sanitari. Di aziende specializzate che hanno fatto dell’erogazione di servizi direttamente al paziente (o a istituzioni sanitarie private o pubbliche) la loro attività primaria ce ne sono ancora poche. La strada però, secondo gli esperti, è tracciata. Anche perché la sanità

deve essere un servizio sostenibile per le finanze pubbliche: l’incidenza della spesa sanitaria sul Pil, negli Usa, ha superato il 15% mentre in Europa è tra l’8 e il 10%. E continua a crescere. Trovare una risposta tecnologica, nonché a livello di processo, alla problematica è vitale. In Italia, se si utilizzasse in modo esteso la cartella clinica elettronica, si potrebbe evitare di spendere oltre un miliardo di euro l’anno, 860 milioni grazie alla dematerializzazione di esami e radiografie e 370 milioni tramite la distribuzione dei referti via Web. Ben tre miliardi di euro verrebbero, invece, risparmiati grazie alla deospedalizzazione dei pazienti cronici. Numeri che però si scontrano con altri numeri, quelli – in calo – della spesa in Ict per la sanità, scesa nel 2012 a 1,23 miliardi di euro. La strada della telemedicina è appena iniziata; i servizi cloud, gli open data e gli strumenti di analisi predittiva ne tracciano il futuro. Ma vanno adottati. P. A.


LA TELEMEDICINA CHE C’È MA CHE (ANCORA) NON PIACE In Europa, nell’arco dei prossimi tre anni, il settore sanitario potrebbe risparmiare 99 miliardi di euro grazie alle nuove tecnologie. Ma serve un passo avanti. Dei pazienti.

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gli italiani la medicina a distanza non piace. A prima vista parrebbe una pessima notizia per chi progetta e vende tecnologie capaci di aiutare i pazienti a guarire e a curarsi più in fretta, e con un’efficienza maggiore. Miliardi di euro investiti sembrerebbero pronti a finire in una bolla di sapone e la telemedicina, soprattutto nei suoi sviluppi più recenti, destinata a rimanere lontana da una diffusione reale sul territorio. Ma sono migliaia i ricercatori che lavorano quotidianamente in questo settore. Così come migliaia sono gli esperimenti, i progetti pilota e le soluzioni già operative. E si tratta di meccanismi che funzionano davvero, che davvero sono in grado di curare non un paziente ma decine, migliaia, potenzialmente milioni, con un incremento di efficienza che secondo Price Waterhouse Cooper consentirebbe all’Europa di risparmiare nei prossimi tre anni 99 miliardi di euro. Se oggi gli emiri arabi volano negli Stati Uniti per farsi curare nei migliori ospedali newyorkesi, domani la telemedicina

I BIG DATA PER L’HEALTHCARE Lo studio, condotto da MeriTalk, un’associazione americana pubblicoprivata specializzata in tema di e-government, guarda solo agli Usa ma è indicativo di una nuova tendenza in atto. Quella che vede i Big Data avere un impatto crescente nel settore della sanità. Ad alimentare il fenomeno contribuiranno, in particolare, tecnologie quali il “mobile health”

Enrico Tantussi

consentirà a milioni di loro concittadini di fare lo stesso senza spostarsi, contribuendo a ridurre l’impatto ambientale dei voli a lungo raggio. Se oggi siamo costretti a sopportare lunghe code in ospedale per conoscere l’esito di una banale radiografia, domani la riceveremo in modo semplice via email sul nostro account personale. Se oggi dobbiamo spendere 50 euro per fare una visita di controllo dal dentista, domani li risparmieremo del tutto collegandoci con il medico tramite un’app fornita gratuitae il machine to machine. Per il 63% dei dirigenti sanitari intervistati, i grandi dati aiuteranno a monitorare e gestire più efficacemente la salute della popolazione, mentre il 60% è dell’idea che aumenterà la capacità di fornire cure preventive. Più della metà degli intervistati, il 59%, ritiene che il raggiungimento dei propri obiettivi nei prossimi cinque anni dipenderà dal saper trarre valore dai Big Data. E ancora, un’agenzia federale su tre afferma di aver lan-

mente dal Servizio Sanitario Nazionale. Tutto questo potrebbe già accadere oggi. Ma non accade. E il perché, al di là delle problematiche (non certo trascurabili, ma risolvibili) legate agli investimenti in tecnologia, dipende in gran parte proprio da quel pregiudizio naturale con cui ci avviciniamo alle novità, alla tecnologia che non conosciamo, all’innovazione. Ci sono voluti decenni, ma oggi la telemedicina è una realtà. Qualunque ospedale, qualunque Asl, qualunque centro di cura privato può acquistarla e iniziare a farne uso. Da subito. Sono i pazienti a non essere ancora pronti. Gli stessi che hanno in tasca almeno un telefono cellulare, lo stesso telefono cellulare verso cui si era tanto diffidenti non più di un decennio fa. È per questo motivo che, oggi più che mai, investire nella telemedicina è fondamentale, tanto per chi la produce quanto per chi, presto o tardi, la userà. Enrico Tantussi, country manager di Econocom Italia ciato almeno un’iniziativa in tal senso per migliorare la cura dei pazienti, ridurre i costi di assistenza e aumentare le diagnosi precoci. Per contro, solo una su cinque si dice già pronta a lavorare con le tecnologie abilitanti per i Big Data e poche (meno di un terzo) hanno investito in soluzioni per ottimizzare il data processing, preparato il personale It a gestire e analizzare i Big Data e sensibilizzato il management rispetto a queste tematiche. 23


SCENARI | Software defined enterprise

LA FLESSIBILITÀ È SOFT Trasferire l'intelligenza dall'hardware al software. È il segreto delle nuove architetture flessibili che permettono di riallocare le risorse in tempi brevissimi. La visione di VMware.

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er capire quale potrebbe essere il prossimo paradigma vincente del mondo It bisogna concentrarsi sul software. Questa, in sintesi, la ricetta di Alberto Bullani, country manager di VMware Italia, alla guida della filiale di una delle aziende che meglio hanno saputo interpretare (e indirizzare) i cambiamenti delle infrastrutture tecnologiche negli ultimi dieci anni. Naturale, quindi, chiedere a lui di spiegare più in dettaglio che cosa ci aspetta, a livello di It in azienda, nel prossimo futuro. Qual è il segnale più importante fra i tanti che arrivano in questi mesi dai fornitori di tecnologia?

L’intelligenza dei sistemi si sta spostando dai chip, e quindi dal firmware, al software. È questo, sicuramente, il passaggio più importante per capire che cosa ci aspetta. Sono quei fenomeni che ricadono sotto il nome di “software defined datacenter” o di “software defined network”, ma che noi preferiamo etichettare più in generale con la formula “software defined enterprise”, che dà più l’idea del cambiamento in atto anche nei processi aziendali e nel timeto-market. Quindi l’hardware cambierà di conseguenza?

Certo, si va nella direzione di un hardware il più standard possibile, con architetture x86 e storage opportunamente suddiviso tra memoria flash, molto performante, e dischi a basso costo. Ma l’importante, ripeto, è che l’intelligenza non sia più “cablata” nei circuiti bensì inserita nel software, in modo da poter rendere più flessibili i sistemi. 24

| APRILE 2014

Alberto Bullani

ultimamente sono molto spinti da alcuni big dell’informatica?

Naturalmente i sistemi ingegnerizzati, che fanno benissimo un singolo compito (ad esempio la gestione dei database), possono coesistere con le nuove architetture. Il nostro software, peraltro, funziona anche su quei dispositivi, ma il loro utilizzo penso sarà limitato ad alcuni ambiti verticali: il nuovo paradigma della “software defined enterprise” è pervasivo. In Italia a che punto siamo con questo tipo di architetture? E quali sono i vantaggi di queste architetture?

Se pensiamo alle reti, vediamo che gli apparati specializzati e complessi, i bridge e i router, fanno benissimo un solo mestiere. Se invece posso contare su macchine su cui riprogrammare le Cpu via software, riesco a usarle in modo flessibile, destinandole di volta in volta a compiti diversi dove c’è più necessità di potenza. Per fare un esempio, se ho a disposizione mille di questi dispositivi “general purpose”, un giorno ne posso utilizzare 500 per governare storage e reti e 500 come server. Il giorno dopo, se dovessi avere necessità di maggiore potenza di calcolo, potrei riprogrammare una parte delle macchine per destinarne 600 alla funzione di server. È un concetto molto semplice ma estremamente dirompente, perché tocca il core business di tanti fornitori di sistemi. D’altronde, le grandi organizzazioni di successo, come Google, eBay e Facebook stanno già operando in questo modo. In questo contesto, che fine faranno secondo lei i “sistemi ingegnerizzati”, che

Siamo indietro, anche se sul fronte della virtualizzazione il nostro Paese non ha nulla da invidiare agli altri. Ci sono molti bei progetti di software defined datacenter, sia per la Pubblica Amministrazione sia per imprese private, ma al momento c’è ancora un po’ di inerzia nel passare dalla carta all’attuazione. I più interessati a queste formule flessibili di gestione dei sistemi sono quelli che hanno picchi irregolari di lavoro: pensiamo allo streaming audio e video o agli editori di testate, giornalistiche che il lunedì hanno più accessi che in tutto il resto della settimana. La formula del cloud ibrido sembra si adatti meglio delle altre alla software defined enterpise. È d’accordo?

Certamente, il cloud ibrido è l’evoluzione più naturale in un’ottica “software defined”. La nostra idea è che i nuovi strumenti come quelli presentati da VMware costruiscano un ponte fra il data center aziendale e i provider esterni. Il risultato è una gestione senza soluzione di continuità, estremamente fluida, nello spostamento dei carichi di lavoro tra un ambiente e l’altro. Una sorta di data center elastico.


TECHNOPOLIS PER COMMVAULT ITALIA

I BIG DATA DIVENTANO INTELLIGENCE pide recuperare 5 TB di dati richiederebbe tempi troppo lunghi. Inoltre, i costi del cloud sono in crescita, mentre le ancora più economiche opzioni di backup su nastro in outsourcing comportano comunque un aumento nelle spese di energia e gestione. Infine, l’impatto dei dati inutilizzati archiviati su storage primario va ben oltre i più elevati costi di backup, e l’accesso difficoltoso degli utenti porta a inefficienze operative ed eleva il rischio di non-conformità. Rodolfo Falcone I Big Data sono ormai una realtà. Ma non la stessa per tutte le aziende o tutti gli utenti. L’esplosione dei dati si traduce infatti in problemi e opportunità. Secondo un recente sondaggio Gartner condotto su 720 aziende, relativo ai piani di investimento in raccolta e analisi dei Big Data, quasi due terzi hanno intenzione di partire quest’anno, con le imprese di comunicazione e finanza in pole position. La società di ricerche indica che il 2013 è stato l’anno delle sperimentazioni e delle prime implementazioni: meno dell’8% degli intervistati conferma di aver adottato soluzioni Big Data, il 20% le sta sperimentando, il 18% sta sviluppando una strategia, il 19% sta raccogliendo informazioni e il restante 35% non ha ancora fatto nulla. Si tratta, quindi, di una fase critica nell’evoluzione dei Big Data. La questione non riguarda solo la scelta di quali dati conservare e dove, ma come estrarne valore. E poi come proteggere, organizzare e accedere a queste informazioni, diversificate ma critiche, che sempre più includono email e documenti, ma anche file rich media ed enormi repository di dati a livello transazionale? Al centro di una strategia Big Data di successo vi è la capacità di gestire i diversi requisiti di conservazione e accesso, abbinati a diverse fonti e gruppi di utenti. Molte organizzazioni stanno adottando una politica di “collect everything” sulla base del fatto che lo storage cloud-based è economico e che i dati avranno un valore a lungo termine. Ma la realtà è che, sebbene si possa pensare di archiviare tutti i dati nel cloud, anche con connessioni ra-

Per conservare le informazioni ed evitare l’esplosione dei volumi di dati, le aziende devono impiegare un approccio strategico per archivio e backup. Cancellando la sorgente locale del dato e spostandola su un repository virtuale, un’organizzazione è in grado di evitare duplicati e incoerenza, pur garantendo che le informazioni possano essere recuperate in modo tempestivo e semplice. Il modello di conservazione intelligente deve essere supportato da un efficace recupero dei dati. Il cuore di questo processo è l’indicizzazione del contenuto, che permette agli utenti di applicare semplici ricerche in base a parole chiave per accedere ai dati. Associare policy di storage intelligenti all’indicizzazione riduce i volumi di dati, permette alle aziende di utilizzare i media storage più appropriati per ogni oggetto e facilita l’accesso a informazioni business critical. Le chiavi per trasformare i Big Data in intelligence sono contenuto e contesto. Gestendo la conservazione dei Big Data e lo storage sulla base del contenuto e del suo valore intrinseco per il business, le imprese potranno sfruttare tali dati non solo per problemi contingenti ma per migliorare la conoscenza strategica. Dalla previsione di domanda di nuovi prodotti e servizi alla trasformazione della velocità con la quale ciascun utente può recuperare i documenti aziendali, le imprese che pensano dal primo giorno alle strategie di conservazione dei dati saranno quelle meglio posizionate per cogliere le opportunità della vision Big Data. Rodolfo Falcone, country manager di CommVault Italia 25


TECHNOPOLIS PER BT E CISCO

I MANAGER VOGLIONO LA VIDEOCOLLABORATION

Sempre più, oggi è di fondamentale importanza per gli imprenditori riuscire prendere le decisioni migliori nel modo più tempestivo. Non sempre è possibile farlo attraverso incontri di persona, e quindi sta diventando molto chiaro che chi saprà sfruttare al meglio l’intera gamma dei canali di comunicazione e collaborazione godrà di un innegabile vantaggio competitivo. Una recente ricerca condotta da BT (British Telecom), che ha coinvolto in tutto il mondo mille executive di grandi aziende nei principali settori, mostra un crescente interesse per l’Unified Communication, e una tendenza per cui le conference call, audio e video, stanno diventando frequenti quasi quanto le riunioni tradizionali. Il 58% degli amministratori delegati e dei direttori generali, per esempio, fa in media più di una telepresence a settimana. L’indagine BT mostra anche che l’84% dei manager stanno chiedendo soluzioni di Unified Communication sempre più integrate con i sistemi esistenti di instant messaging, email, telefono, videoconferenza, soluzioni che li aiutino a essere più efficienti e allo stesso tempo più flessibili. Oggi più che mai non si tratta solo di acquistare un dispositivo o un pezzo di software, ma si tratta di fare in modo che gli investimenti esistenti siano intercorrelati e di far confluire in un unico ambito, efficace e sicuro, tutti gli strumenti e i canali così da consentire di risparmiare tempo e denaro, migliorando il benessere dell’individuo nel “business as usual”. Il nuovo portfolio BT One offre un unico sistema per tutti i dispositivi, un’unica soluzione per tutte le piattaforme legacy e una sola rete globale per gli utenti in tutto il mondo. 26

BT è anche leader nella fornitura e gestione (24x7) di servizi di videoconferenza in telepresenza immersiva (Full HD), supportando attraverso la sua piattaforma di Global Video Exchange (GVE) l’impressionante numero di 25mila endpoint registrati. Al di là di una rete affidabile e potente, la forza della proposizione di Unified Communication di BT risiede nella solida esperienza di lavoro con partner quali Cisco. “Cisco Jabber, alla base della piattaforma di comunicazione unificata BT One Cisco”, dichiara Michele Dalmazzoni, collaboration architecture leader di Cisco Italia,“è ora disponibile anche quando non si è connessi alla Vpn aziendale, per garantire, con la massima semplicità d’uso un’eccezionale esperienza ovunque ci si trovi. Oggi, infatti, è essenziale assecondare la necessità di mobilità e collaboration, perché i vantaggi di business sono evidenti: dalla possibilità di lavorare conciliando vita privata e professionale, alla capacità di accedere e condividere informazioni senza limiti e preclusioni o vincoli temporali. A tale proposito abbiamo integrato l’innovativa funzionalità beta Intelligent Proximity nei nuovi sistemi di TelePresence recentemente annunciati. Grazie a essa il sistema video di Cisco è in grado di rilevare qualsiasi smartphone e tablet portato in riunione, e consente all’utente di aggiungerli come parte dell’esperienza. Una volta abbinati, l’utente può facilmente visualizzare i materiali condivisi, salvare le slide desiderate e rivedere i contenuti precedentemente condivisi senza chiedere al presentatore di tornare indietro – tutto direttamente dallo schermo del dispositivo mobile. Si tratta di un modo completamente nuovo di rendere disponibile l’esperienza video collaborativa anche ai dispositivi mobile”. “Oltre a un portfolio in continua evoluzione sulla parte video,”, sottolinea Enrico Baricchi, conferencing sales specialist Emea di BT Global Services, “dove BT certifica i nuovi prodotti Cisco, tra cui Jabber e WebEX, per inserirli in un ambiente gestito e sinergico alle installazioni e tecnologie esistenti, l’alta qualità è diventata un concetto finalmente applicabile anche alle audio conferenze. Sono finiti i tempi in cui queste erano un’esperienza acustica a volte frustrante dove, con fatica si riusciva ad ascoltare gli interlocutori. BT ha stretto una partnership in esclusiva con Dolby, da cui abbiamo ereditato una serie di caratteristiche uniche: soppressione dei rumori di fondo, virtualizzazione degli speaker, qualità audio in alta definizione, il tutto calato su una piattaforma BT MeetMe già scelta delle più grandi multinazionali fino alle aziende di professionisti per la completezza e flessibilità dei suoi servizi”.

www.bt.com/italia www.cisco.com/IT


SPECIALE | Unified communication and collaboration

COMUNICARE DI PIÙ PER LAVORARE MEGLIO Videoconferenza, telefonia Voip, instant messaging, applicazioni per la condivisione di contenuti e progetti: sempre più le aziende di ogni dimensione stanno adottando le tecnologie che annullano le distanze. Incrementando la produttività.

I

dc definisce la Unified communication & collaboration, o Ucc, come l’integrazione di diverse tecnologie che comprendono le connessioni voce aziendali e le applicazioni per la collaborazione. Al primo gruppo appartengono i “customer premise equipment” (dotazioni e sistemi presenti in azienda) e i servizi voce su IP, come il VoIP, la Unified communication in hosting e la Unified communication-as-a-service, o Ucaas; del secondo fanno invece parte i servizi di messaging, email, telepresence, videoconferenza e i social network aziendali. Si tratta, in pratica, di “una piattaforma dove le funzioni di comunicazione one to one si fondono, perdono la loro ca-

ratteristica in termini di accessibilità e di apparati diversi, e devono essere inglobate in un sistema unico senza confini o limitazioni legate al tipo di device, ai costi e al luogo in cui i soggetti si trovano”, afferma Daniela Rao, Tlc research & consulting director di Idc Italia. “Le aziende medio-grandi stanno affrontando una trasformazione nelle loro comunicazioni. Dapprima, voce, video e dati erano appoggiati su piattaforme, device e sistemi operativi diversi. La mobilità è il driver di questa evoluzione, ma centrale è il ruolo della voce. Su questo nessuno è disposto a fare sconti in merito al livello del servizio, tanto che il 40% della spesa è dedicato alla qualità e alla gestione dei servizi voce fissi e mobili, con una forte

richiesta di efficienza”. Secondo l’Hype Cycle di Gartner, che prende in esame le tecnologie chiave della Unified communication & collaboration e stila previsioni circa l’effetto che avranno sulle prestazioni in ambito consumer e business nei prossimi dieci anni, il 70% di queste maturerà entro cinque anni e il 60% avrà un elevato impatto se la loro implementazione sarà guidata da vere esigenze di business. Ma quali sono? Da uno studio commissionato da Ricoh a Forrester Consulting emerge come le nuove generazioni di professionisti abbiano la necessità di strumenti per la collaborazione, quali l’instant messaging e la videoconferenza, per gestire le comunicazioni in maniera integrata e in APRILE 2014 |

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SPECIALE | Unified communication and collaboration

CRESCITA 2013

8,8 %

SOLUZIONI UCC

CRESCITA 2013

5,4 %

SERVIZI UCC

CAGR 2013-2017

10 %

SOLUZIONI E SERVIZI UCC

IL MERCATO DELLA UNIFIED COMMUNICATION AND COLLABORATION SECONDO IDC

tempo reale. “Parallelamente a questa esigenza, le imprese si stanno rendendo conto delle potenzialità insite in un ripensamento delle comunicazioni viste in quest’ottica”, sottolinea Davide Oriani, Ceo di Ricoh Italia, “Nelle aziende italiane la diffusione delle soluzioni di Unified communication & collaboration è in forte crescita, anche grazie a un’offerta tecnologica che è ormai completa”. Previsioni di crescita

Idc stima che a livello globale il mercato delle soluzioni Ucc (apparati, software middleware e applicativo) abbia generato nel 2013 ricavi in crescita dell’8,8%, superando i 19 miliardi di dollari, mentre i ricavi sui servizi professionali Ucc

hanno segnato un incremento del 5,4%, arrivando a 6,7 miliardi di dollari. Nel periodo 2013-2017, sempre a livello mondiale, è prevista una crescita media annua dei ricavi pari al 10%. Parlando di dimensioni del mercato più ampio delle tecnologie Ucc (comprese le soluzioni, le applicazioni e i servizi business), le stime Idc parlano di oltre 21,5 miliardi di dollari di fatturato nel 2014. E nei prossimi due anni i responsabili dei dipartimenti It delle grandi aziende spenderanno 53 milioni di dollari per servizi di supporto al piano di comunicazione e collaborazione unificata, visto come opportunità strategica di crescita aziendale: questo in base alle previsioni riportate nello Studio Globale Ucc 2013 che Dimension Data

L’Italia: un mercato maturo Dai dati emersi dall’indagine di Dimension Data-Ovum, l’Italia può essere considerata un mercato Ucc maturo, in particolar modo se rapportata allo scenario globale, in merito all’adozione di soluzioni Ucc come Lync telephony, team workspace, content tool ed enterprise social software. La telefonia IP tra le aziende italiane ha una penetrazione pari al 78%, 28

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contro una media globale del 75%. I decision maker nostrani si dimostrano interessati all’implementazione di standard Ucc (unified messaging, presenza, soft phone), ma ancor più al mobile Ucc, con un quarto di tutti gli intervistati che sostiene di avere piani per connettere i dispositivi mobili a una piattaforma corporate Ucc via mobile client nei prossimi due anni.

ha commissionato alla società di ricerche Ovum. Notevoli opportunità anche in Italia, dove nelle grandi aziende i servizi base hanno raggiunto una buona penetrazione (circa 6-7% del totale della spesa in servizi Tlc), sono aumentati i volumi e si sono ridotti i prezzi. Secondo Marco Pennarola, responsabile marketing enterprise di Fastweb, “Per i servizi di Unified communication evoluti c’è ancora ampio potenziale di crescita. In futuro, infatti, è attesa una risalita della spesa, dovuta sia al ricambio tecnologico delle centraline telefoniche Pbx, sia all’utilizzo della Ucc nel cloud. La quota di mercato di Fastweb su questo segmento è di circa il 25%. Anche le previsioni per il segmento delle piccole e medie imprese sono di una crescita significativa”. Opportunità strategica

A detta dell’indagine Dimension DataOvum, oltre il 78% dei responsabili del settore It dispone di un piano strategico e di un budget per implementare “parti selezionate” del sistema Ucc, mentre il 42% ha risorse sufficienti a portare avanti investimenti in “tutto o la maggior parte” del sistema. Fino a poco tempo fa l’idea di formulare e implementare una strategia Ucc, anche presso le grandi aziende, non era


minimante presa in considerazione. A dirlo è Craig Levieux, direttore generale del gruppo Dimension Data per le Comunicazioni Unificate. “Questo è un cambiamento sorprendente,” afferma, “specialmente in un momento in cui le condizioni economiche e i vincoli operativi frenano gli investimenti nel settore delle comunicazioni aziendali”. Un punto di forza per le aziende che adottano le tecnologie di Unified communication è sicuramente la possibilità di contenere i costi ottimizzando la produttività, oltre alla capacità di raggiungere gli utenti sempre, ovunque e praticamente su qualunque dispositivo scelgano di usare. E Microsoft ne è consapevole, come spiega Tamara Zancan, product manager unified communications and collaboration: “Consolidando i sistemi di messaggistica, conferencing e telefonia in una piattaforma è possibile

ridurre i costi di gestione di infrastruttura e quelli di telefonia”. Tant’è che i clienti dell’azienda affermano che Microsoft Unified Communications consente di ridurre drasticamente i costi: si risparmiano cinque milioni di dollari ogni mille dipendenti, in poco meno di sei mesi (fonte: white paper Total Economic Impact of Microsoft Unified Communications pubblicato da Forrester Research). Dominio delle grandi e medie aziende

“La domanda di soluzioni è espressa prevalentemente da aziende medio-grandi”, afferma Daniela Rao di Idc, “perché quelle piccole e piccolissime hanno un approccio più destrutturato e mirano ad avere molta mobilità risparmiando sui costi”. Semplificando al massimo, la riduzione dei costi e l’aumento delle

performance, grazie alla disponibilità di strumenti più efficaci per comunicare e collaborare, sono fattori comuni dei quali potrebbe beneficiare qualsiasi organizzazione. “Ci sono, però, aziende che si trovano in una posizione più avanzata nella roadmap di adozione”, precisa Alberto Lugetti, head of portfolio Italia di BT Global Services. “Per esempio, quelle a vocazione internazionale con sedi sparse a livello globale, oppure aziende con molti dipendenti che si trovano a lavorare in mobilità, imprese molto dinamiche che hanno necessità di condividere contenuti e informazioni per poter prendere decisioni in tempo reale, ma anche aziende che hanno ormai raggiunto il limite nello sfruttamento delle soluzioni di comunicazione più tradizionali, legacy, e che quindi si trovano in un’interessante finestra di opportunità”. Maria Luisa Romiti

TECHNOPOLIS PER FASTWEB

I SERVIZI FASTWEB PER COMUNICARE SEMPRE E OVUNQUE UniFAST Communication è la soluzione FASTWEB ideale per le imprese di medie e grandi dimensioni che richiedono strumenti semplici e flessibili per rendere più efficienti i sistemi di comunicazione aziendali. L’offerta, progettata interamente da FASTWEB, consente di utilizzare allo stesso modo servizi e terminali di rete fissa e mobile nell’ottica della completa convergenza. UniFAST Communication permette infatti di integrare servizi tradizionalmente verticali (telefonia, posta, applicazioni Web, fax, videocomunicazione) con nuovi servizi evoluti di comunicazione, come Presence, Instant Messaging, Conferencing&Collaboration e Videocommunication, rendendoli disponibili su qualsiasi tipo di terminale (telefono fisso, mobile, web, softphone, portale, client, fax, apparati video, ecc.). Attraverso un unico applicativo software il cliente può, così, gestire tutti gli strumenti di comunicazione in modo facile e veloce, adeguandoli ai propri bisogni. Oltre a garantire notevoli risparmi in termini di tempo e di risorse relativi all’infrastrutttura e ai servizi per l’ultente finale, UniFAST Communication è basata su piattaforme aperte ed è, quindi, in grado di integrarsi perfettamente con i sistemi It aziendali esistenti. Ai clienti che scelgono UniFAST Communication FASTWEB offre consulenza professionale per l’implementazione e la gestione del servizio e la qualità di comunicazioni digitali e integrate di ultima generazione grazie a una infrastruttura a banda ultra larga, sicura e ad altissime prestazioni. Per offrire ai propri clienti

soluzioni di Unified communication sempre più innovative e al passo con l’evoluzione dei servizi Ict, FASTWEB sta lavorando, inoltre, all’integrazione dei servizi UC con la tecnologia cloud computing, e sta investendo in un’infrastruttura centrale e integrata tra le più avanzate in Italia. 29


TECHNOPOLIS PER MICROSOFT

MICROSOFT PUNTA SULLA COMUNICAZIONE UNIVERSALE Vieri Chiti

Una Unified Communication and collaboration che punta a distinguersi dalla concorrenza poiché totalmente libera da legami e vincoli di hardware. Microsoft richiama i concetti di “libertà dall’hardware” e di “comunicazione universale” per descrivere la sua offerta, incentrata su un prodotto trasversale e ubiquo come Lync. “Siamo entrati nel mercato dell’Ucc scegliendo un approccio distintivo rispetto ad altri vendor”, spiega Vieri Chiti, direttore della divisione Office di Microsoft Italia, “ovvero tutto incentrato sul software, utilizzabile su qualsiasi computer e indipendentemente dalle scelte compiute dal cliente in fatto di hardware”. La piattaforma Lync è dunque fruibi-

Un solo prodotto, tanti scenari di adozione

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le su qualsiasi device e sistema operativo, abbracciando i prodotti Windows ma anche iOS e Android. “Il secondo valore che ci contraddistingue”, prosegue Chiti, “è quello che chiamiamo ‘comunicazione universale’: grazie all’integrazione di Lync con Skype abbiamo creato un sistema di comunicazione, di messaggistica e di videoconferenza utilizzabile sia dal mondo business sia da quello consumer”. Le due piattaforme di proprietà di Microsoft (Skype è stata acquisita circa tre anni fa) sono federate, ovvero possono “vedersi” l’una con l’altra creando un sistema di comunicazione che è trasparente al prodotto. Lync, inoltre, è interoperabile con altri software utilizzati nei contesti aziendali, come i sistemi di Crm o le piattaforme di customer service: questo significa, per esempio, il poter contattare un collega o un cliente senza dover uscire dal programma o dalla pagina Web in cui si sta lavorando. La logica dell’integrazione si applica, a maggior ragione, fra Lync e gli altri prodotti Microsoft dedicati alla collaborazione e alla produttività, come Office e SharePoint. “Quello che offriamo”, sottolinea il direttore della divisione Office, “è un sistema a tutto tondo”. “Lync non si lega a nessun settore merceologico preciso ma è un abilitatore di comunicazione che vale indipendentemente dal tipo di organizzazione”, aggiunge Tamara Zancan, product marketing manager Ucc di Microsoft Italia. Per portare al maggior numero di aziende la sua offerta di Ucc, in Italia Microsoft sfrutta in modo strategico sia le partnership strette a livello internazionale (come quelle con Hp, Plantronics e Polycom), sia gli accordi con i system integrator operativi sul territorio, per esempio Italtel.

Non ci sono confini o barriere di applicazione per l’offerta di Unified communication di Microsoft. “I nostri clienti spaziano dal settore pubblico a quello bancario, al manifatturiero, alle università”, spiega Tamara Zancan, product marketing manager Ucc di Microsoft. “In questi contesti Lync viene utilizzato sia per incrementare la produttività e l’efficienza delle comunicazioni interne, sia per risparmiare sui costi di viaggi e trasferte, sia per meglio comunicare con l’esterno”. Gli ambiti di adozione sono disparati: dall’Education (recente è il caso del Politecnico di Milano), al settore bancario (Unicredit), al manifatturiero (Azimut Benedetti, Caprari), alla Pubblica Amministrazione (Regione Emilia Romagna, Ministero degli Affari Esteri), ai servizi (Deloitte), al mondo previdenziale (Inail). Una case history recente è quella di Scavolini: l’azienda marchigiana, titolare del più noto marchio italiano di cucine e arredamento, ha fatto convergere la propria piattaforma telefonica legacy con il mondo di Office e di Lync. Scavolini ha ottenuto con Lync un’integrazione nativa nell’infrastruttura esistente e una completa interoperabilità con le tecnologie di collaborazione e di messaggistica già presenti in azienda.


Le tecnologie non mancano: l'offerta di Unified communication & collaboration oggi è ampia e articolata. La vera sfida, per le aziende, è quella di identificare le funzionalità e le soluzioni che davvero rispondono alle proprie necessità di business.

A OGNUNO LA SUA UCC

L

o scenario complessivo della Ucc è sicuramente molto affollato da vendor, telco, Ott (over the top content) che si “contendono” soprattutto le grandi aziende messe a dura prova dalla crisi. Le stesse che oggi hanno imparato a destreggiarsi e a fare confronti su soluzioni diverse, che implicano a volte scelte di discontinuità rispetto al passato. L’offerta è certamente ampia e variegata proprio per andare incontro a esigenze e a budget diversi. Quella di Microsoft, per esempio, fa leva su Exchange per la gestione di mail, calendario e contatti su Pc, telefono o browser, e su Lync per i servizi di audio-video e Web conferencing, messaggistica istantanea e telefonia integrati in un’unica piattaforma e utilizzabili da un unico client. “Microsoft, grazie anche alla federazione Lync-Skype, sta portando la comunicazione a un livello ancora più alto”, spiega Tamara Zancan, product marketing manager Unified Communications and Collaboration. “La possibilità di utilizzare Lync per contattare su Skype clienti, partner e il proprio network permette a un’azienda di essere più efficace ed efficiente nei rapporti con clienti e fornitori,

e di estendere la comunicazione a nuovi scenari di business”. Il posizionamento di Fastweb è basato sulla scelta di piattaforme multivendor e su un approccio fortemente consulenziale. “Le soluzioni sono tagliate su misura, scalabili, integrate alle infrastrutture pre-esistenti dell’azienda (VoIP e VdC), con garanzia di servizio end to end e con modelli di governance flessibile, dalle soluzioni on premise a quelle hostedmanaged, fino al cloud”, afferma Marco Pennarola, responsabile marketing enterprise. “Per le medie aziende abbiamo offerte a pacchetto, con alcune possibilità di personalizzazione e funzionalità complete ed evolute (VoIP, servizi presence, C2C, video, contact management tool, collaboration) su tecnologie selezionate. Per le piccole aziende integriamo la soluzione Uc di base come un’opzione di offerta aggiuntiva rispetto ai servizi Tlc”. British Telecom propone soluzioni per incrementare la produttività dei team e migliorare la qualità delle conversazioni (per esempio, la nuova piattaforma di conferencing in HD sviluppata con Dolby Laboratories) non solo in azienda, ma anche con clienti, partner e fornitori. E

non perde di vista aspetti come la facilità di utilizzo degli strumenti e altre caratteristiche da non sottovalutare, come “la compatibilità con i dispositivi, la sicurezza degli accessi e dei dati, un’adeguata copertura WiFi, le prestazioni della rete e delle applicazioni”, puntualizza Alberto Lugetti, head of Portfolio Italia, BT Global Services. L’offerta di Cisco spazia dalla Web conferencing di Webex alle soluzioni Unified communication di Jabber, alla videocollaboration, con un’ampia serie di terminali che vanno dai sistemi personali da scrivania a quelli da sala riunione. “Realizziamo la promessa della collaboration di abbattere i silos”, precisa Michele Dalmazzoni, collaboration sales leader di Cisco Italia, “ovvero di riunire il mondo video, voce, unified communication e Web conferencing per dare all’utente e alle aziende un’esperienza pervasiva e unificata”. Videoconferenza avanzata

Ricoh propone una gamma di videoproiettori, soluzioni per la videoconferenza in cloud e lavagne interattive che consentono di condividere i contenuti scritti 31


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Unified communication in mobilità

ALBERTO LUGETTI - BRITISH TELECOM

MARCO PENNAROLA - FASTWEB

Le soluzioni di punta Avaya sono Aura Collaboration Environment, Ip Office 9.0 e Messaging Service. Secondo il direttore commerciale Patrizio Di Carlo, “offrono affidabilità, sicurezza e apertura all’integrazione con l’esistente infrastruttura It. Ulteriore elemento distintivo è la semplicità di utilizzo ottenuta anche grazie all’armonizzazione delle interfacce utente tra i diversi dispositivi quali Pc, tablet, smartphone e telefoni fissi”. A dare corpo alla visione di Unify è Project Ansible, una piattaforma di ultima generazione disponibile da ottobre 2014. Sviluppata in collaborazione con Frog Design, è compatibile con tutti i de-

MARCO PASCULLI - ALCATEL LUCENT

FABIO TESSERA - VIDYO

JOHN CAMPITELLI - IBM

FABIO ALBANINI - SNOM

connessioni, unisce l’utilizzo da mobile e da dispositivi personali, la chat, il VoIP e la condivisione di materiale. Attraverso le soluzioni VidyoMobile e VidyoDesktop, la videoconferenza si slega dagli ambienti dedicati e diventa pienamente accessibile per abbattere le distanze fisiche e i costi e per migliorare la qualità delle comunicazioni”.

PATRIZIO DI CARLO - AVAYA

CESARE BRACCHI - MITEL

CLAUDIO MIGNONE - POLYCOM

su altre lavagne, su Pc o tablet. Questi prodotti e servizi (consulenza, supporto) sono integrati nella soluzione “Room-ina-Box”, come spiega Davide Oriani, Ceo di Ricoh Italia: “Basata sulla semplicità di utilizzo, è in grado di garantire sicurezza nella trasmissione dei dati ed è interoperabile con strumenti di altri brand. Per rendere fruibile il servizio anche a chi lavora da remoto, Ricoh integra l’offerta con app installabili su Pc, tablet e smartphone”. Le soluzioni Polycom si basano sulla RealPresence Platform, un’infrastruttura software completa, e su Api complesse che interagiscono con la più ampia gamma di applicazioni e device. Da una recente ricerca effettuata con Wainhouse è emerso che la videoconferenza “on the road” è quella che cresce più velocemente. “Ecco perché la disponibilità della RealPresence Platform come soluzione di mobile app è un elemento chiave del nostro futuro”, commenta Claudio Mignone, country manager di Polycom Italia. “Ciò insieme alla suite software RealPresence CloudAxis, che permette collegamenti in videoconferenza indipendentemente dalle applicazioni, sistemi e device utilizzati. Web-Rtc è un altro importante driver, che dà la possibilità di aggiungere audio e video in un’applicazione Web”. Gli ultimi aggiornamenti Vidyo hanno permesso di portare la videoconferenza al “livello 3.0”. Che cosa significhi lo spiega Fabio Tessera, vice presidente Semea: “Un sistema completo che, oltre a fornire una qualità video in Hd multipoint e a ottimizzare le prestazioni delle

GIANFRANCO ULIAN - UNIFY

SPECIALE | Unified communication and collaboration

vice e può aggregare informazioni e dati da ogni canale, inclusi social network, applicazioni aziendali (come Sap o Salesforce), video, testi, statistiche, e la tradizionale comunicazione telefonica. “La nostra offerta Uc vanta alcune peculiarità”, puntualizza Gianfranco Ulian, direttore business development di Unify Italia (già nota come Siemens Enterprise Communications), “flessibilità nell’adozione, semplicità d’uso e gestione, open standard e quindi integrazione con prodotti e applicazioni anche di nostri concorrenti, velocità di adattamento ai mutevoli modelli di mobile consumption”. La vera sfida per la Unified communication è rappresentata dall’enterprise mobility. Lo sostiene Alessandro Cozzi, head of indirect sales e deputy enterprise business group director di Huawei Italia. “Saranno, inoltre, centrali la semplicità di utilizzo e installazione, potenzialmente plug & play, e i costi di accesso idealmente assimilabili a soluzioni di tipo consumer”. Ne è un esempio TE30, un sistema di videoconferenza HD multifunzione, con connettività WiFi e funzione Voice Dial, che rende possibile attivare o prendere parte a una videoconferenza semplicemente pronunciando il nome dell’utente da raggiungere. Compatibilità universale

Snom è focalizzata sulla produzione di terminali Sip universalmente compatibili. “Questa caratteristica dei nostri terminali consente alle aziende, per esempio, di avvalersi contemporaneamente delle soluzioni Uc di Microsoft Lync, inclu-


Connettività e sicurezza

MICHELE DALMAZZONI - CISCO

“L’elemento distintivo della nostra proposta è l’architettura di servizio che nasce integrata alla connettività a larga banda di Telecom Italia, e che beneficia in termini di elevata disponibilità e sicurezza delle caratteristiche del nostro servizio di data center”, afferma Enrico Trovati, responsabile marketing business di Telecom Italia. “Le nostre proposte, Nuvola It Comunicazione Integrata per clienti enterprise/large enterprise/top customer ed Evoluzione Ufficio per small enterprise, hanno un portafoglio di soluzioni innovativo, che include tutte le sfaccettature della Ucc”. Secondo il manager, l’offerta di Nuvola Italiana si muoverà verso l’integrazione di un numero sempre maggiore di partner tecnologici e verso nuove feature di servizio. “Abbiamo puntato con decisione su soluzioni di Unified communication grazie ai nostri servizi Rete Unica e Rete Unica Dati, che consentono di integrare agevolmente telefonia mobile e fissa e di implementare strumenti come il centralino virtuale”, spiega Sabrina Baggioni, responsabile marketing corporate di Vodafone Italia. “Tutti i servizi per le aziende sono offerti in cloud, dalla voce fissa alle applicazioni e soluzioni aziendali, alla sicurezza gestita, per consentire maggiore efficienza, modularità e flessibilità. In aggiunta, con Cable & Wireless anche l’hosting, l’Infrastructure-as-a-Service e i servizi correlati sono entrati a far parte del nostro portafoglio per le aziende a livello internazionale”. Maria Luisa Romiti

STEFANO OSLER - WILDIX

ENRICO TROVATI - TELECOM ITALIA

Ibm ha attuato negli ultimi anni una strategia basata su quattro direttive: le comunicazioni “estese”, che prevedono la condivisione in modalità social di diversi tipi di contenuto; il mobile per accedere ai servizi da qualsiasi dispositivo e da ogni luogo; gli analytics, per comprendere meglio i dati ed essere propositivi verso gli utenti; e infine il cloud, per dare

DAVIDE ORIANI - RICOH

Focus sul cloud

flessibilità nelle modalità di fruizione dei servizi. Come spiega John Campitelli, responsabile collaboration solutions e Ucc, Software Group di Ibm Italia, “Ibm SmartCloud comprende tutte le soluzioni di social communication, sia per la parte di comunicazione unificata sia per la parte social. Le soluzioni sono modulari e disponibili on premise, in ambienti cloud o ibridi”. Per Marco Pasculli, regional director Central Mediterranean countries di Alcatel-Lucent Enterprise, “la novità più interessante è la disponibilità delle piattaforme OpenTouch Office e OpenTouch Enterprise in modalità cloud, alle quali si aggiunge una terza, indipendente dalla tecnologia e dal fornitore di comunicazione installata. L’offerta comprende OpenTouch Office Cloud per Pmi, OpenTouch Enterprise Cloud per aziende medio-grandi e una basata solo su applicazioni di collaborazione multimediale (OpenTouch Personal Cloud) per fornire soluzioni Uc in modalità as-a-service”. Anche secondo Cesare Bracchi, country business development manager di Mitel Networks, la nuvola ha un ruolo fondamentale: “Da un sondaggio commissionato da Mitel, per l’89% degli It manager italiani il futuro della telefonia e della Uc risiede nel cloud. La nostra azienda si è mossa da tempo in questo ambito, arrivando a portare le applicazioni di Uc anche al desktop virtuale, quindi a livello utente e non solo centralizzato”. La suite di moduli software di Mitel è disponibile in modalità standard oppure SaaS, essendo virtualizzabile in ambiente Vmware.

TAMARA ZANCAN - MICROSOFT

so Skype, e di centralini e piattaforme Uc basati su Sip”, dice Fabio Albanini, managing director di Snom Technology Italia, ”una facoltà attualmente non riscontrabile in alcun terminale qualificato od ottimizzato per Lync al mondo. Allo stesso modo, non vi sono limitazioni per l’uso di applicazioni Uc basate su standard aperti: piattaforme installate on premise, autoprodotte o pacchettizzate, o soluzioni fornite in modalità SaaS”. La compatibilità è un tema importante anche per LifeSize, come spiega il country manager Marco Lupi: “Tra i focus di LifeSize c’è quello della compatibilità e collaborazione con tutta una serie di strumenti che compongono la soluzione di Unified communication. Per esempio, la nostra stretta collaborazione con Microsoft non fa che sottolineare questo aspetto, ma senza sottovalutare la volontà di utilizzare sempre quei protocolli di comunicazione standard che ci permettono la piena compatibilità con il mondo che ci circonda. Inoltre crediamo, ormai da tempo, che le soluzioni di videoconferenza debbano essere di facile utilizzo e fruibili da tutti quei dispositivi oggi molto diffusi: Pc, Mac, iOs, Android”. Secondo Stefano Osler, Ceo di Wildix, “I vendor hanno una certa difficoltà a integrare i nuovi protocolli con le proprie soluzioni. Noi riusciamo a farlo e Kite, la soluzione basata su protocollo Web-Rtc e Web-based, ne è la dimostrazione. Nella nostra offerta sono compresi anche servizi in cloud, che consentiranno un’accelerazione dei processi di vendita della Unified communication e un’ulteriore semplificazione di installazione e utilizzo”.

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SPECIALE | Unified communication and collaboration

Un numero sempre maggiore di organizzazioni valuta positivamente e ritiene strategica la Unified communication & collaboration per migliorare i processi aziendali e aumentare la produttività. Il tutto con una visione più ampia che contempla il fenomeno Byod, il mobile, la social collaboration e il cloud.

UN NUOVO MODO DI PRODURRE E COLLABORARE

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l mondo delle comunicazioni e dell’information technology sta attraversando una fase di profondo cambiamento, spinta dalla personalizzazione dei prodotti It, dal lavoro in modalità Byod (Bring your own device), dal ruolo dei lavoratori più giovani (la generazione “Millennial”) e dalla sempre maggiore ubiquità del lavoro: si sta definendo, essenzialmente, un nuovo modo di operare. Questi molteplici sviluppi e cambiamenti del mercato hanno spinto i decision maker a formulare, spesso per la prima volta, strategie complete di Unified communication and collaboration e a investire significativamente in quest’area. In Italia, così come nel resto del mondo, la diffusione massiccia di smartphone e tablet ha reso l’attenzione nei confronti di questi dispositivi mobili un aspetto centrale nelle dinamiche aziendali: la ten34

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denza, quindi, è che questi device diventino parte anche dell’ambiente di Unified communication, integrandosi in maniera sicura all’interno delle reti. Secondo una ricerca Dimension Data-Ovum, il 41% delle aziende italiane sta già supportando gli smartphone e i tablet di proprietà dei dipendenti e il 27 % anche quelli introdotti non ufficialmente, mentre un ulteriore 33% prevede di farlo entro i prossimi 12 mesi, concedendo almeno l’accesso alla corporate email: in pratica, entro un anno sarà supportato il 60% dei device Byod. “Bt sta lavorando sia al modello di delivery – rimuovere le barriere sfruttando le competenze consulenziali di Bt Advise per progettare le soluzioni e il modello cloud più adatto – sia all’aumento delle funzionalità e degli strumenti disponibili”, spiega Alberto Lugetti, head of portfolio Italia di Bt Global Services. “I de-

vice mobili di ultima generazione stanno cambiando il modo di lavorare. È quindi fondamentale per le aziende far confluire in un ambiente efficace e sicuro questi strumenti così da mantenere il controllo dei dati aziendali e risparmiare tempo e denaro. Dal punto di vista applicativo, nell’ambito nel nuovo portfolio Bt One, il vendor ha di recente presentato le nuove app per smartphone e Web client capaci di ridurre significativamente le spese del cellulare (taglio fino al 45% dei costi di roaming) di quelle aziende con dipendenti che viaggiano frequentemente all’estero o che fanno telefonate internazionali”. Servizi gestiti: un modello diffuso di delivery

In base ai dati emersi dall’Hype Cycle di Gartner, sebbene più del 95% delle soluzioni Uc sia on premise, l’utilizzo


dell’hosting e dei servizi gestiti da grandi data center virtualizzati è in aumento. Guardando al futuro, la presenza e l’evoluzione di soluzioni alternative come la Unified communication-as-aservice spinge le grandi aziende a creare piattaforme ibride, ovvero un compromesso tra on premise e soluzioni cloud. Anche nel nostro Paese si evidenzia una preferenza per i servizi gestiti. Infatti dalla ricerca Dimension Data-Ovum emerge che attualmente in Italia solo un terzo delle implementazioni Ipt sono premise-based e gestite internamente, con una tendenza ad affidare alla gestione esterna alcune applicazioni, quali quelle team workspace, Lync telephony e standard Uc. Sul fronte del metodo di delivery preferito, in linea con la media riscontrata a livello globale, gli intervistati italiani hanno affermato di essere ancora fortemente interessati alle soluzioni premise-based con gestione tramite una terza parte (managed service). Le aziende nostrane sembrano nutrire una preferenza per un approccio cloud, sia esso pubblico o privato. La disponibilità a valutare la nuvola per alcune applicazioni ha raggiunto il 42% per il modello private e il 30% per il public (contro

MOBILITÀ E CLOUD, I NUOVI MUST Supportare l’attività dei dipendenti non basta: la tecnologia oggi deve anche favorire lo scambio di informazioni con l’esterno, con un “ecosistema” fatto di partner, fornitori e clienti. E poiché la forza lavoro è sempre più distribuita e virtuale, migliorare l’efficienza nei processi di collaborazione non è più un’opzione, come spiega Daniela Rao, Tlc research & consulting director di Idc Italia: “Molte aziende stanno guardando con crescente interesse a soluzioni di comunicazione che permettano di accelerare il passaggio verso una più intensa collaborazione. Grazie alla

il 14% riscontrato a livello globale). È chiaro, quindi, che in molti prenderebbero in considerazione Ucc provider, in grado di fornire una solida offerta di private e public cloud, oltre ai normali servizi gestiti. Il cloud facilita l’adozione

Cloud computing e social networking diventano sempre più importanti per le aziende e sono fattori chiave nel guidare le trasformazioni di business, come spiega Tamara Zancan, product manager Unified communications and collaboration di Microsoft: “Il cloud facilita la diffusione degli strumenti di Unified communication perché sempre di più le aziende chiedono di poterne sfruttarne i benefici senza dover gestire l’infrastruttura all’interno dell’organizzazione. Non a caso la nostra offerta è anche fruibile in modalità cloud grazie a Microsoft Office 365, che integra Office, SharePoint Online, Exchange Online e Lync Online. La proposta di Unified communication di Microsoft intende proprio inaugurare una nuova produttività e un nuovo modo di lavorare per restare sempre connessi, ovunque e in qualunque momento, attraverso tool di maggiore flessibilità, sicurezza e scalabilità dei servizi di comunicazione e collaborazione basati sul cloud, le aziende possono affrontare questo percorso di evoluzione contenendo i costi operativi e di proprietà, abbattendo le barriere tecnologiche e cogliendo tutti i vantaggi di una più completa esperienza mobile per gli utenti”. In pratica le aziende stanno passando – soprattutto negli Stati Uniti e in buona parte dell’Europa – da piattaforme on premise, ovvero ubicate dentro la propria sede, a forme di hosting dedicato (infrastrutture ospitate presso un fornitore esterno) fino alla Unified communication-as-a-service. “A seconda dei casi saranno il vendor, il fornitore di servizi oppure il provider a ge-

comunicazione e condivisione, e l’integrazione con applicazioni di business che migliorano l’efficienza dei processi”. È in crescita la proposizione di Ucc-as aservice multitecnologia, con bassi investimenti iniziali per le aziende, massima flessibilità in termini di profili d’utenza (anche su device personali) ed elevata scalabilità. A dirlo è Marco Pennarola, responsabile marketing enterprise di Fastweb, che aggiunge: ”Fastweb integra le soluzioni Ucc nella propria strategia più ampia di evoluzione dei servizi Ict - e in particolare di quelli cloud - e investendo in un’infrastruttura centrale e integrata, a partire da un nuovo datacenter che è stato certificato Tier4. La nostra offerta permette l’integrazione dei diversi strumenti di comunicazione utilizzati all’interno e all’esterno delle aziende, garantisce una soluzione completa endto-end e strumenti di vantaggio competitivo per i clienti in un mercato sempre più globale. Fastweb ha anche investito molto nel know-how delle risorse: il Competence Center supporta infatti le aziende nella scelta e implementazione della soluzione Ucc più efficiente e adeguata alle reali esigenze”. Maria Luisa Romiti stire la piattaforma”, commenta Rao, “erogando un servizio all’azienda (una sorta di ‘shared hosting’) e garantendo un Service level agreement calibrato sulle esigenze del cliente”. In base ai dati Idc (Idc Survey Emea, 2013) il 49% delle aziende europee mantiene soluzioni Ucc on premise, il 38% ha adottato la modalità in hosting, mentre il 25% si è orientato verso piattaforme Uc basate sul cloud. Daniela Rao

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ECCELLENZE.IT | Grandi Navi Veloci

FIN DALLA PARTENZA, NAVIGAZIONE SERENA CON RETARUS LA SOLUZIONE Il servizio Webexpress di Retarus è stato adattato alle specifiche esigenze di Grandi Navi Veloci, che lo utilizza principalmente per inviare Sms ai propri clienti attraverso liste di distribuzione. L’azienda sfrutta, inoltre, il servizio Sms4 Application via Xml per l’invio di Sms da ambienti applicativi. Oltre che per la messaggistica, Webexpress può anche essere utilizzato per le comunicazioni via email e via fax.

La compagnia di navigazione ha adottato il servizio Webexpress per inviare ai propri clienti Sms di avviso in caso di modifiche del viaggio in programma. Risparmiando sui costi di call center e migliorando la tempestività delle comunicazioni.

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artire con animo sereno, senza stress né contrattempi, è un buon modo per iniziare un viaggio. Per i suoi clienti Grandi Navi Veloci, una fra le principali compagnie di navigazione italiane oggi nel suo ventiduesimo anno di attività, ha scelto un metodo di comunicazione e di servizio molto tempestivo, elementare, efficace: l’Sms. Oggi i messaggi di testo raggiungono i telefoni di chi ha effettuato prenotazioni (o è in procinto di partire o fa parte della clientela) per segnalare cambi di orario, di location, annullamenti, modifiche alle condizioni di viaggio e altre informazioni. Semplice a dirsi (così come è semplice, per l’utente, usufruire di questo servizio), ma si tratta del punto di arrivo di un progetto che partiva da necessità complesse: sostenere la crescita del business – negli ultimi anni Gnv ha ampliato su scala internazionale le proprie rotte, introducendo nuove destinazioni – e sgravare il call center da un carico di lavoro che stava diventando insostenibile. Tutte le attività sopra citate erano gestite attraverso comunicazioni telefoniche dirette, che comportavano tempi lunghi, esiti incerti e costi ecces-

sivi. L’obiettivo della compagnia di navigazione era anche quello di migliorare il servizio clienti senza dover aumentare il numero degli addetti al call center. Sotto la guida del suo It system manager, Bruno Ceradelli, l’azienda ha selezionato una serie di potenziali fornitori a cui ha sottoposto il proprio business case, per poi far ricadere la scelta finale su Retarus e sul suo servizio Webexpress: una decisione che si è basata sulla capacità del vendor di proporre una soluzione estremamente flessibile, e dunque in grado di adattarsi alle esigenze peculiari di Grandi Navi Veloci. Attraverso Webexpress l’azienda ha sostituito le chiamate telefoniche con messaggi Sms che hanno il triplo vantaggio di essere tempestivi, di poter essere inviati in blocco a determinati gruppi di destinatari e di rappresentare una forma di comunicazione tracciabile. In questo processo la “componente umana” del supporto clienti non è scomparsa, ma è meglio sfruttata: gli addetti al call center vengono impiegati per le prenotazioni e per le attività di supporto, per esempio quando i clienti chiamano per chiedere informazioni aggiuntive.


ECCELLENZE.IT | Penny Market Italia

LA SICUREZZA IT, MERCE PREZIOSA SUGLI SCAFFALI DEL SUPERMERCATO Check Point garantisce una protezione a tutto tondo, flessibile e modulare, all’azienda parte del gruppo Rewe e presente in italia con una sede principale e sette centri di distribuzione. Dalle appliance, ai prodotti di rete, fino alle soluzioni contro il data loss.

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LA SOLUZIONE La lista delle soluzioni Check Point utilizzate include le Software Blade relative a Firewall, Mobile Access, Intrusion Prevention System e Data Loss Prevention, accanto alle appliance Utm (Unified Threat Management) e quelle delle serie 4200 e 4800. I gateway Check Point, inoltre, grazie alla loro impostazione e alla gestione unificata permettono di sfruttare al meglio le risorse, mettendo in sicurezza sia le connessioni in modalità “site-to-site” (da una sede aziendale all’altra, tramite Virtual Private Network) sia quelle “site-to-client”.

a vent’anni è uno dei nomi affermati della Grande Distribuzione Organizzata nostrana. Dal suo sbarco in Italia, nel 1994, Penny Market ha costruito gradualmente una rete che oggi conta 315 punti vendita distribuiti in 17 Regioni e serviti da sette centri di distribuzione, e una serie di piattaforme logistiche ubicate tra Piemonte, Lombardia, Toscana Puglia e Sicilia. Per proteggere questo sistema, Penny Market Italia (azienda da tremila dipendenti, appartenente al gruppo Rewe) ha scelto di affidarsi a Check Point Software Technologies, adottando l’approccio “multi-strato” che caratterizza l’offerta del vendor. “Con Check Point”, commenta il responsabile sicurezza e telecomunicazioni di Penny Market, Mirko De Dominicis, “abbiamo sempre avuto piattaforme stabili e performanti al tempo stesso, con prodotti che si sono evoluti nel tempo, sempre al passo con le nostre esigenze di business”. Prima affidata ad altri fornitori, l’architettura di sicurezza perimetrale di Penny Market Italia è stata riprogettata nel

2007 attraverso la tecnologia Check Point. Con la crescita dell’infrastruttura, il passo successivo è stata l’adozione delle diverse Software Blade Check Point. “Abbiamo adottato le nuove appliance Utm Check Point nei siti dell’headquarter e in quelli di disaster recovery”, specifica De Dominicis.” I security gateway integrati nel nuovo network a 10 Gb sono oggi il fulcro della rete aziendale, con nuove funzionalità di Application Control, Identity Awareness e Data Loss Prevention”. Agli strumenti in uso si aggiungono le appliance 4800, che non solo bloccano le minacce operando come firewall, ma sono anche in grado di rilevare attacchi sofisticati. L’azienda, inoltre, sta valutando l’adozione di soluzioni di Data Loss Prevention e Threat Emulation. “Con Check Point abbiamo a disposizione un’infrastruttura stabile ed evoluta, e possiamo gestire in maniera semplice e centralizzata la sicurezza a tutto tondo. Non da meno, possiamo contare sulla presenza e sul supporto effettivo dell’azienda che ci segue a livello locale”, conclude De Dominicis. APRILE 2014 |

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ECCELLENZE.IT | Eni

COME GESTIRE I BIG DATA? CON IL COMPUTING COGNITIVO Rendere le informazioni una risorsa a supporto di attività core quali l’esplorazione di nuovi giacimenti petroliferi e la manutenzione degli impianti. Per farlo Eni ha abbracciato le capacità di calcolo del supercomputer di Ibm, Watson. che nasce dopo un certosino lavoro di razionalizzazione e consolidamento degli asset informatici (il portafoglio applicativo è stato ridotto da 575 a circa 400 applicazioni ed è stato migrato su nuove piattaforme blade in ambienti operativi Linux) e la creazione di un nuovo modello di gestione operativa di tipo IaaS (Infrastructure as a Service). Il motore del supercomputer vince la sfida dei grandi dati

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grandi dati sono una materia che i Chief information officer delle grandi aziende devono metabolizzare, e in fretta, per generare benefici in molti campi dell’organizzazione. In Eni la questione dei Big Data ruota intorno ad attività “core” con elevato quoziente di complessità gestionale: esplorazione petrolifera, sistemi di Crm, risk management integrato al trading, manutenzione predittiva degli impianti, sensoristica integrata al controllo delle campagne. Come non farsi travolgere dalle informazioni e renderle una risorsa? La risposta che si è data la multinazionale italiana è in due parole: cognitive computing. O meglio, in una: Watson, il supercomputer di Ibm, il cervellone che ha già portato le sue doti di calcolo nel campo della diagnostica medica e in quello finanziario, e che si appresta a farlo anche in altri settori, fra cui quello energetico. Ed è qui che entra in gioco Eni. “Lo scopo di lavorare su enormi quantità di dati “, spiega Gianluigi Castelli, executive vice president Ict della società del cane a sei zampe, “è quello di costruire informazio38

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ni che arrivino a migliorare la conoscenza di ciò che si fa in azienda. Il problema è gestirne la complessità e creare modelli di analisi adeguati: per questo ci viene in soccorso il cognitive computing, che rappresenta un salto quantico e stabilisce una nuova santa alleanza tra uomo e macchina, in cui il computer agisce come un advisor in uno schema di interazione continua nel quale il dialogo avviene in linguaggio naturale”. Per massimizzare il valore dei Big Data, Eni ha quindi puntato sulle capacità di Watson, dando vita a un team di lavoro cross-funzionale ad hoc, denominato W@eni, volto a sperimentare le possibili applicazioni della tecnologia di Big Blue in diversi ambiti, comprese l’esplorazione e la ricerca di nuove riserve di idrocarburi e la diagnostica e la manutenzione degli impianti. Un progetto ambizioso, che si specchia in un patrimonio di infrastrutture e sistemi di calcolo fatto di oltre 7mila server per l’informatica “general purpose” e 3 petaflop (milioni di miliardi di operazioni aritmetiche al secondo) di High performance computing per l’analisi dei dati sismici. Un progetto

Parlando di Big Data, Castelli fa notare come in realtà le applicazioni aziendali siano ancora “molto convenzionali e utilizzino tecniche algoritmiche, anche nel caso delle soluzioni di analytics. Poiché è la natura dei dati stessi a essere radicalmente cambiata negli ultimi anni, il dilemma di chi si trova, nelle aziende, a dover fare il salto di qualità nella generazione di informazioni sempre più raffinate è però proprio questo: come penetrare la complessità e generare vera conoscenza di dominio. Oggi la strada più promettente è il ricorso a sistemi cognitivi, in grado cioè di imparare, di applicare regole inferenziali, di collocare le risposte nel corretto contesto”. Eni, operativamente, non abbandonerà gli schemi consolidati di analisi dei dati, ma li affiancherà sempre più a un motore cognitivo, soprattutto negli ambiti più complessi. Se allo stato attuale, afferma Castelli, “il cognitive computing non può essere la soluzione per qualsiasi necessità, man mano che i processi di apprendimento automatico si raffineranno sono certo che, a ragion veduta, lo applicheremo in modo sempre più pervasivo. E non solo per trattare i Big Data”.


ITALIA DIGITALE

STARTUP, VIA ALLA FASE DUE CON LE PROMESSE DEL MISE Le giovani imprese innovative sapranno ridare valore al marchio Italia? I titolari del Ministero dello Sviluppo Economico ne sono convinti. Ma alcune delle misure già tradotte in realtà sono ancora poco conosciute, molte agevolazioni ancora non sfruttate.

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ederica Guidi, nuova titolare del Ministero dello Sviluppo Economico, non è intervenuta di persona agli “Stati Generali dell’Ecosistema Startup Italiano”, evento tenutosi nel mese marzo nella nuova sede di Regione Lombardia. Il Ministro, però, non ha mancato di inviare un articolato messaggio di sostegno al “movimento”, definendo le neoimprese “un tessuto imprenditoriale che può rappresentare il nuovo made in Italy”. Le potenzialità delle startup,

ha scritto ancora la Guidi, sono ancora tutte da sfruttare e tale assunto va registrato a un anno dall’approvazione del decreto “Crescita 2.0” e dei successivi provvedimenti attuativi, in primis la norma che consente importanti sgravi fiscali per chi investe nelle giovani imprese innovative. Per quanto frastagliato e ancora in fase embrionale, lo scenario italiano delle startup è fatto anche di incubatori, investitori, parchi scientifici e tecnologici: l’Osservatorio curato dal Politecnico di

Milano e dall’Associazione Italia Startup ha calcolato che sono oggi disponibili oltre 200 milioni di euro di capitali di rischio per le nuove imprese tecnologiche (da investor istituzionali) e che esistono aziende di medie e grandi dimensioni pronte ad allocare fondi. Ma al mosaico, per dirsi completo, mancano ancora molti tasselli. Agevolazioni ancora poco sfruttate

Da Stefano Firpo, a capo della Segreteria Tecnica del Ministero per lo SvilupAPRILE 2014 |

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ITALIA DIGITALE |

po Economico, è arrivata una precisa e dettagliata analisi sullo stato di avanzamento del progetto startup in seno alle istituzioni. Dove siamo? “La prima fase del quadro normativo", ha detto Firpo, “è conclusa, manca solo l’ultimo passaggio per rendere esecutiva la legge sugli incentivi fiscali”. Ma c’è un problema di fondo: “Le decine di strumenti messi a disposizione dal decreto Crescita 2.0 non sono conosciuti e utilizzati a sufficienza. Non è noto quanto sia stato fatto per rendere più flessibile la corporate governance di una startup innovativa e i contratti di lavoro, per garantire l’accesso al credito bancario e per utilizzare le stock option come sgravio fiscale”. C’è una evidente voglia di fare, e di fare meglio, da parte del segretario del Mise, una voglia di numeri più consistenti e su più fronti, dall’internalizzazione (per cui sta lavorando un gruppo ad hoc) alle piattaforme di ethical funding ed equity crowdfunding, per cui la Consob auspica una riduzione dei vincoli. Il dogma che Firpo desidera condividere con gli altri attori dell’universo startup è, in sintesi, il seguente: “Scaricare a terra tutto il potenziale delle agevolazioni della fase uno è il punto di partenza della fase due. L’azione del Ministero non è per una nicchia ma è politica industriale volta a espandere la domanda di innovazione del Paese”. Fissando dei paletti alla voce selettività, perché “si deve valorizzare il meglio”. Dove lavorare facendo squadra

E le prospettive future? Intanto dovrebbe essere incoraggiante, secondo Firpo, il fatto che il nuovo Ministro dello Sviluppo Economico a breve si appresti, per la prima volta, a fare una relazione in Parlamento sulle startup innovative. Fuori dall’aula di Montecitorio, gli obiettivi dichiarati sono quelli “di rendere questo ecosistema il più aperto possibile, anche nell’ottica dei visti (a breve partiranno i lavori di costruzione di una piattaforma informatica direttamente 40

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STARTUP INNOVATIVE, SIAMO A QUOTA 2000 La crisi non è finita ma la voglia di fare (nuova) impresa sembra non esserne contaminata, forse anche grazie alle agevolazioni fiscali e alle misure di semplificazione previste dal Decreto Crescita 2.0 approvato alla fine del 2012. Stando infatti agli ultimi dati resi noti da Infocamere, nella sezione “startup innovative” del registro delle imprese tenuto dalle Camere di Commercio, a un anno esatto dalla sua istituzione, avvenuta il 17 marzo 2013, figuravano 1.792 realtà. Sono quindi cinque, in media, le nuove aziende che hanno preso vita ogni giorno con l’obiettivo di sviluppare, produrre o commercializzare “prodotti o servizi innovativi ad alto valore tecnologico”. La Lombardia guida in valore assoluto la classifica delle Regioni con 355 startup, seguita dall’Emilia Romagna con 202 e dal Lazio con 187. Fra le Regioni meridionali è la Campania quella più virtuosa, con 83 aziende registrate, davanti a Puglia (76) e Sicilia (63). La metà delle imprese innovative italiane, 896 per la precisione, sono concentrate in quattro Regioni

gestita dal Mise, ndr) per chi dall’estero vuole dare vita a una startup innovativa in Italia, di promuovere la cultura dell’imprenditorialità nelle scuole, frontiera a oggi completamente inesplorata, e di fare più sistema a livello di relazione fra enti pubblici locali e nazionali e associazioni di categoria”. Nel presente c’è dunque molta carne al fuoco, mentre all’orizzonte ci sono appuntamenti fondamentali per il sistema-Paese, per recuperare credibilità e riprendere a crescere. Come il semestre di presidenza italiano della Commissione europea e l’Expo 2015, per cui il ministro Guidi auspica per l’Italia un ruolo di “hub dell’innovazione”, e ancora,

e tutte al Centro-Nord (oltre alle tre già citate c’è il Veneto). La Provincia più attiva è quella di Milano, grazie alle 236 startup registrate nell’albo gestito da Infocamere, ma bene si comportano anche Roma (con 167 nuove imprese), Torino e Trento, rispettivamente con 115 e 73 unità attive. Nel complesso, 99 Province su 105 vedono la presenza di almeno una startup innovativa nata nel loro territorio. In termini di forma giuridica, nella quasi totalità dei casi, il 96%, gli startupper hanno scelto la formula della società a responsabilità a limitata (Srl), mentre modesto è il numero delle società per azioni (Spa) e delle cooperative, rispettivamente di 33 e 27 unità. Quanto all’attività intrapresa dalle nuove startup, oltre il 30% di quelle nate negli ultimi dodici mesi è impegnata nella produzione di software e nella consulenza informatica, per un totale di 546 imprese. Molto ben rappresentato è anche il comparto della “ricerca & sviluppo”, che vede all’attivo 312 aziende, il 17,4% del totale.

eventi di grande portata come il Global Entrepreneurship Congress. “Abbiamo l’importante opportunità, ha concluso Firpo, “di mettere in vetrina la grande vena di imprenditorialità innovativa italiana. Siamo molto visibili in Europa, abbiamo una buona reputazione per ciò che riguarda le policy di incentivazione per le nuove imprese, ma siamo indietro nell’uso dei fondi e nell’assegnazione dei bandi. Bisogna fare più squadra, collaborare di più e meglio. Lasciando da parte gli individualismi. Abbiamo fatto un esercizio di politica economica seria. L’impegno del Ministero, in tal senso, è assicurato”. Gianni Rusconi


NUOVE IMPRESE, IL VADEMECUM DEGLI IMPRENDITORI L'energia innovativa delle startup va inserita nel tessuto imprenditoriale esistente. Varare nuovi progetti, inoltre, non basta: bisogna anche pianificarne lo sbocco sul mercato.

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iù del 50% delle nuove imprese in Lombardia non supera i primi cinque anni di vita. L’allarme, se tale si può definire, lo ha lanciato pubblicamente Roberto Albonetti, Direttore Generale Assessorato Attività Produttive di Regione Lombardia, che alle startup ha rivolto un bando di 30 milioni di euro (di cui sette milioni a fondo perduto) premiandone la componente innovativa e la sostenibilità del business plan. La precaria stabilità delle nuove iniziative imprenditoriali è bilanciata, fortunatamente, dai quattro milioni di posti di lavoro che ogni anno vengono generati dalle nuove aziende in Europa, e dai finanziamenti in materia previsti dai programmi Horizon 2020 (80 miliardi di euro in sette anni per la ricerca e l’innovazione)e dai fondi strutturali Ue (70 miliardi, una parte di questi già spesi per le nuove Pmi). A Bruxelles sono convinti che ci sia bisogno di nuova imprenditorialità. E in Italia, come la pensano in materia i diretti interessati, e quindi gli imprenditori? La visione di Riccardo Donadon, fondatore di H-Farm, è improntata all’ottimismo perché, a suo dire, “è cresciuta nei giovani la consapevolezza di poter fare impresa, e ciò si è tradotto in piccole aziende innovative. Potremmo avere in Italia anche un milione di startup, ma dobbiamo far crescere la convinzione di poter innovare nel sistema e nelle grandi imprese”. La ricetta per farlo? Eccola servita: “L’energia delle startup”, sostiene Donadon, “va incanalata dentro il tessuto imprenditoriale esistente e in questa direzione vanno

orientate le eccellenze territoriali. L’exit delle nuove imprese deve essere di natura industriale e non solo finanziaria”. Sul tema del come legare nuove e vecchie imprese si è espresso anche Alberto Baban, presidente di Piccola Industria di Confindustria, secondo cui il mercato di destinazione delle startup in Italia “va inventato e strutturato. Non basta solo incubare le nuove imprese, ma bisogna trovare per queste lo sbocco finale. In Italia ci sono 240mila imprenditori al timone di medie e pic-

cole imprese pronte ad accoglierle, ma vanno create le condizioni per sfruttare tale tessuto esistente, con un modello tutto italiano”. Da dove partire? Secondo Baban “si deve puntare alla coabitazione fra imprese neonate e adulte ricalcando, in chiave ecosistema, il successo degli spin-off dei distretti. Il sistema-Italia, però, oggi non offre condizioni favorevoli per la nascita e la crescita delle imprese”. Il sasso nello stagno, l’ennesimo, è lanciato. G. R. 41


OBBIETTIVO SU | HP

L'INCHIOSTRO GRIFFATO VA ANCORA DI MODA I laboratori di ricerca di Hp aprono (parzialmente) le porte per dimostrare come le cartucce originali delle stampanti ink jet e laser valgano effettivamente di più dei cloni.

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na cartuccia di toner contiene il 70% della tecnologia complessiva di un sistema di stampa, mentre una di inchiostro dura mediamente il 50% in più dell’equivalente prodotto compatibile, oltre a realizzare immagini più longeve. Sono solo alcuni dei dati snocciolati da Hp in un recente “mini-tour” condotto da Thom Brown, personaggio affascinante ed eclettico, nonché responsabile dell’analisi competitiva nel settore ink-jet dei laboratori Hp. Lo scopo, ovviamente, è quello di dimostrare che ogni euro speso in più per acquistare un prodotto consumabile originale vale l’investimento. Ma non è finita qui, perché ai cosiddetti “refill” o “ricondizionati” e ai prodotti non originali, legalmente venduti sul mercato, si affianca oggi un fenomeno sempre più preoccupante legato alla contraffazione delle cartucce, una seria minaccia per il business della multinazionale, che proprio dai ricambi ottiene una buona fetta dei suoi utili. “Abbiamo calcolato che circa il 7% delle cartucce vendute sono contraffatte”, dice Tino Canegrati, vice presidente e general manager di Hp Pps Italia, “e che solo il 6% dei clienti è consapevole di comprare prodotti realizzati e commercializzati illegalmente”. 42

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Alcune immagini dei laboratori Hp e dei reparti di produzione e stoccaggio. I ricercatori eseguno test e studiano formulazioni sempre nuove e più efficaci per i pigmenti. Il primo a sinistra, sfocato dietro alla boccetta d’inchiostro, è Thom Brown, uno dei maggiori esperti della tecnologia ink-jet nonché testimonial della campagna itinerante di Hp contro i prodotti compatibili e la contraffazione.

PER STAMPARE UNA LETTERA "A" DEL TESTO CHE STATE LEGGENDO SONO NECESSARIE PIÙ DI 1.500 GOCCE DI INCHIOSTRO.

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OBBIETTIVO SU | Hp

LE CARTUCCE PRODOTTE USANDO PLASTICA RICICLATA GENERANO IL 33% IN MENO DI EMISSIONI DI ANIDRIDE CARBONICA, RISPETTO AI RICAMBI REALIZZATI CON MATERIALI NUOVI.

RICICLO ORGANIZZATO Finito l'inchiostro, la plastica delle cartucce può essere efficacemente riutilizzata. Per questo motivo i produttori di stampanti come Hp hanno da tempo organizzato la raccolta degli articoli esausti, gestita dalla stessa catena distributiva che si occupa della commercializzazione di quelli nuovi. Fino a oggi, con il programma Hp Planet Partners, la multinazionale ha generato più di un miliardo di cartucce usando plastica riciclata.

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UNA FOTOGRAFIA IN FORMATO STANDARD È COMPOSTA DA CIRCA 35 MILIONI DI MICROSCOPICHE GOCCE D'INCHIOSTRO.

Gli ultimi modelli di stampanti e multifunzione Hp utilizzano la tecnologia Page Wide Array, che prevede una testina di stampa larga tanto quanto la pagina. In questo modo è possibile fare scorrere il foglio, con un solo passaggio, lungo il sistema di stampa invece di muovere la testina. Risparmiando così molte parti meccaniche e velocizzando il processo.

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INTELLIGENCE INSIGHTS RESULTS ANALYTICS INING ✔ DATA M STING ✔ FORECA

BUSINESS INTELLIGENCE

GEOMARKETING

RETAIL PERFORMA NCE MANAGEM ENT ✔ SALE S FORCE EFFECTIVE NESS ✔

✔ DATA INTEG

RATION ✔ DATA QUA LITY LTY CRM & LOYA MER ✔ CUSTO E INTELLIGENC

MARKETING N AUTOMATIO

Value Lab è un’innovativa società di consulenza di Management e Information Technology che opera a livello nazionale e internazionale, specializzata sui temi di marketing, vendite e retailing. Aiutiamo aziende di produzione, distribuzione e servizi ad aumentare i ricavi, ridurre i rischi e ottimizzare i costi migliorando le scelte strategiche e la gestione operativa di mercati, clienti, punti vendita e reti di vendita.

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I telefonini sono ormai dei piccoli computer tascabili. O forse di più. Oggetti che diventano veri e propri assistenti personali. Capaci, grazie alla tecnologia Lte Advanced, di viaggiare in Rete in banda ultralarga.

SMARTPHONE: SALTO DI QUALITÀ E DI VELOCITÀ

I

n soli sette anni, dal 2007 (anno di lancio dell’iPhone) a oggi, il mondo mobile è cambiato moltissimo. Per certi versi anche troppo. Apple è salita sull’Olimpo degli smartphone; Google ne ha seguito la strada e ha “imposto” Android al mercato, catturando attualmente l’80% delle vendite di telefonini intelligenti; Samsung ha spodestato Nokia dal trono e marchi storici come Motorola e BlackBerry hanno subito la concorrenza di marchi asiatici come Lg, Htc, Sony, Huawei, Zte e Lenovo. Di “made in Europe”, nei cellulari, è rimasta la sola Nokia, finita come ben sappiamo nella pancia di Microsoft. Porta la firma di Nokia, però, una delle novità più interessanti del 2014, la famiglia X. Si tratta di smartphone “low cost” destinati ai mercati emergenti, con prezzi dagli 89 ai 109 euro (il modello XL da 5 pollici) e progettati intorno a una versione profondamente adattata del sistema operativo Android. La loro

peculiarità? Combinare la possibilità di installare circa il 75% delle app dell’ecosistema di Google (escluse quelle “proprietarie” come Gmail, Maps o il motore di ricerca di BigG) con quella di accedere ai principali servizi online di Microsoft (Skype, OneDrive e outlook. com). Il tutto attraverso un’interfaccia utente che richiama le “tile” animate di Windows Phone. Scommessa vincente o mossa azzardata? Gli analisti, in proposito, sono divisi. Ma quanto sono diversi gli smartphone di oggi dal primo Melafonino uscito dal cappello di Steve Jobs? L’ultima edizione del Mobile World Congress ha risposto, almeno in parte, a questa domanda. Innanzitutto dicendoci che sotto il profilo delle caratteristiche hardware (schermi, processore, memoria, ecc.) i prodotti top di gamma sono fra loro equivalenti o quasi. Per questo, la sfida per primeggiare si gioca su altri attributi, per esempio sulla dotazione di sensori e

sulle capacità di interazione tra utente e dispositivo. Sensori, app e comandi vocali

Il Galaxy S5 di Samsung ha un sensore per rilevare il battito cardiaco e fa pendant con il nuovo bracciale digitale della casa coreana, il Gear Fit, per offrire diverse applicazioni per il fitness. L’Xperia Z2 di Sony, sia in versione smartphone che tablet, si combina a un altro device indossabile, il braccialetto Smartband, e rende disponibile un app (LifeLog) che permette di ripercorrere visivamente le attività svolte nel corso della giornata. Quanti passi abbiamo fatto, quando abbiamo scattato una foto (e quale), quante ore abbiamo dormito. Il telefonino registra tutto ciò che facciamo per renderci utenti e consumatori più consapevoli, meglio preparati ad affrontare le attività future. Il fenomeno del computing indossabile è quindi reale e tangibile, anche se la prima generazione di dispositivi APRILE 2014 |

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non ha convinto gli utenti e neppure gli addetti ai lavori. Ora siamo alla seconda, e su questo treno ci sono saliti un po’ tutti i big dell’industria mobile (Huawei ha lanciato il Talk Smart Band B1, braccialetto con schermo a tecnologia Oled flessibile e connettività wireless Bluetooth e Nfc) e anche veri e propri specialisti come la vicentina I’m Spa con il suo smartwatch dotato di Gps. Se fra gli ambiti di innovazione più importanti in campo smartphone c’è la capacità di interagire con il dispositivo, i comandi vocali sono un attributo ormai dato per assodato nei modelli di fascia alta, e i sensori per riconoscere le impronte digitali la nuova frontiera per la sicurezza del device. L’iPhone 5S di Apple ha aperto la strada con il “touch ID” posto sul tasto home, che permette di sbloccare il telefono senza password e di effettuare pagamenti su iTunes. Il Galaxy S5 di Samsung, oltre alla soluzione Knox 2.0 in chiave Byod, offre un sistema simile per quanto riguarda l’identità e la sicurezza e si appoggia alla piattaforma di PayPal per i pagamenti mobili: in oltre 20 Paesi si potrà, cioè, usare l’impronta digitale per fare shopping online su tutti i siti (e in alcuni negozi fisici) dei venditori partner. Lg, infine, ha introdotto sui propri nuovi smartphone la

tecnologia “Knock Code”: al posto della password si può accedere al dispositivo componendo un quadrato sullo schermo, in qualsiasi punto (oltre 80mila le possibili combinazioni utilizzabili). Lte Advanced e chip a 64 bit

Reti e device più veloci, potenti e intelligenti: questa è la strada maestra dell’industria mobile e questa è la sfida cui sono chiamate le aziende che lavorano nel campo del silicio. Al Mobile World Congress gli annunci di peso non sono mancati, soprattutto in direzione della nuova frontiera delle reti 4G, e cioè la tecnologia Lte Advanced categoria 6, che promette velocità in download pari a 300 Megabit al secondo. Hanno presentato novità in tal senso sia Intel, con la piattaforma Xmm 7260, sia Qualcomm. La casa californiana ha messo in campo una demo del primo terminale, un Galaxy Note 3, capace di sfruttare le prestazioni del nuovo modem Gobi 9x35 su infrastruttura di rete Ericsson. Non bastasse la banda larghissima, per gli utenti di smartphone e dei tablet sono in arrivo le capacità computazionali delle Cpu a 64 bit, e cioè gli “octa core” Snapdragon 615 e gli Intel Atom “Merrifield” e “Moorefield” (per Android). Gianni Rusconi

IL FUTURO MOBILE IN CINQUE PASSI Dagli smartphone low cost ai dispositivi indossabili passando per BlackBerry e Windows Phone: con Carolina Milanesi, chief of research and head of US business di Kantar Worldpanel ComTech, proviamo a fare luce sui possibili scenari futuri dell’universo mobile. Telefonini e phablet hi-end potranno scendere sotto i 400 dollari?

Per i marchi più importanti, ne dubito. Avremo invece più funzionalità allo stesso prezzo, e il Galaxy S5, se paragonato con l’S4, ne è un esempio. Per i vendor di seconda fascia, come Huawei, senza dubbio: i loro prezzi sono già più bassi e rimarranno costanti. Ogni brand avrà comunque a portafoglio un modello o due a costi sopra la media. Si può ipotizzare un trend simile anche per i tablet?

Sul mercato si trovano già molti prodotti sotto marca a 99 dollari,

SAMSUNG Galaxy S5

HTC One (M8)

SONY Xperia Z2

Punta sulla qualità fotografica del sensore da 16 megapixel e sulle capacità di videoregistrazione in 4K. Il valore aggiunto è il sensore biometrico per il riconoscimento dell’impronta digitale. Il difetto, la cover in plastica.

Chassis in alluminio, doppio sensore fotografico, schermo ancora più grande (5 pollici) del modello precedente e la primizia di comandi “gesture”, per interagire con lo smartphone anche a schermo spento.

Display e capacità di registrazione video in formato 4K sono i suoi punti di forza. Sfoggia un pannello Trilumonos Full HD da 5,2 pollici, con tecnologia Live Colour Led, e una fotocamera da 20,7 megapixel.

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sia nei Paesi emergenti sia in Europa e Asia, ed è indubbio che i tablet siano arrivati a prezzi ben più aggressivi molto più velocemente dei telefonini. La fascia alta delle tavolette da 10 pollici e oltre rimarrà costosa fino a quando i vendor li posizioneranno come un pc facendo pagare ai consumatori un extra costo per il formato ibrido.

garantiti incentivi per focalizzarsi su Windows Phone. Blackberry è destinata a soccombere anche in campo aziendale?

Io non vedo un futuro. Il Byod è dappertutto e se Microsoft gioca bene le sue carte il mercato del mobile enterprise sarà suo semplicemente perché le aziende vedono l’opportunità di usare Windows su più device.

Windows Phone ha oggi tutti i requisiti per emergere? Come si spiega il lancio

Capitolo wereable device: diventeran-

dei Nokia X con Android?

no un prodotto di massa, anche

Il problema di Windows Phone è duplice: non ha abbastanza applicazioni e per i Paesi emergenti i prezzi dei suoi prodotti non sono ancora sufficientemente bassi. I Nokia X non rappresentano tanto l’adozione di Android da parte di Microsoft, quanto la decisione di Nokia di creare una piattaforma che possa supportare le applicazioni Android. Per Microsoft è un’opportunità di portare utenti al suo ecosistema piuttosto che lasciarli a Google. L’importante è che il lancio dei prodotti sia mirato e che agli sviluppatori continuino ad essere

nella logica di oggetti “compa-

Per gli utenti mass market questi oggetti non sono oggi essenziali e per tanti non sono nemmeno un prodotto “nice to have”. I vendor si stanno muovendo in fretta più per la necessità di trovare una novità da proporre al mercato che non per soddisfare un bisogno reale da parte dei consumatori. Se i prezzi scendono, il design migliora e l’utilità diventa più evidente, allora i dispositivi indossabili riscuoteranno sicuramente maggior interesse. G.R.

nion” per uso professionale?

Tutto il 2014 sarà a mio avviso un “trial and error year”.

LG G2 Mini

HUAWEI MediaPad X1

ASUS FonePad 7 Lte

Versione in formato ridotto del top di gamma della casa coreana, costa 300 euro e si “limita” a uno schermo da 4,7 pollici. Del fratello maggiore conserva il design, i pratici tasti posteriori e il sistema di sblocco “Knock”.

Ha il pregio di essere leggero (240 grammi) e sottile (7,2 millimetri) nonostante lo schermo da 7 pollici Full HD. Permette di effettuare lo “swipe” anche quando si tiene più di un dito appoggiato sullo schermo.

Più tablet che telefonini per ovvie ragioni dimensionali (schermo da 7 pollici), i FonePad sono prodotti votati all’intrattenimento e allo streaming online di musica e video. Nel motore hanno i nuovi chip Atom di Intel.

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pillole digitali

EPSON WorkForce-5110DW

Epson porta su nuove inkjet pensate per l’ufficio la tecnologia delle testine di stampa PrecisionCore, che potenzia la qualità, la durata e la velocità delle stampanti. Diciotto le nuove WorkForce, distribuite su due diverse serie per il formato A3+ (WorkForce Pro WF-8000, con i modelli 8590DWF, 8090DW, 8510DWF e 8010DW) e per l’A4 (WorkForce Pro WF-5600, con i modelli 5690DWF, 5190DW, 5620DWF e 5110DW). Tutti promettono un consumo energetico ridotto fino all’80% rispetto ai dispositivi laser a colori della concorrenza, e un costo per pagina inferiore fino al 50%. Il modello entry-level WF-5110DW è completo di funzioni per il mobile printing e di tecnologia WiFi-Direct, per stampare in wireless senza doversi collegare a un router. Prezzo: da 218 euro ................................. ...... ...... ...... ..

D-LINK Dir-510L

Il nuovo gadget presentato da DLink permette di cogliere due piccioni con una fava: collegare al Web un dispositivo dotato di connettività WiFi o Ethernet e, allo stesso tempo, mettere in ricarica uno smartphone o un tablet. DIR-510L è un router e

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insieme un caricatore portatile, che trasforma una qualsiasi connessione in un hotspot WiFi wireless AC per condividere file, trasmettere video in streaming e navigare sulla rete. La sua batteria integrata da 4000 mAh può essere sfruttata per ricaricare un dispositivo mobile senza doverlo collegare a una presa di corrente. Due porte Usb integrate permettono, inoltre, di condividere file o connessioni 3G/4G/Lte tra più dispositivi. La tecnologia Dual Band consente di evitare problemi dovuti a interferenze o alla congestione del segnale radio e, grazie all’utilizzo combinato delle bande 2,4 GHz e 5 GHz, di raggiungere una velocità di 750 Mbps. Prezzo: da 119 euro

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KODAK i4200 Plus

Una nuova fotocamera a due sensori, un’elettronica rinnovata e la capacità di acquisire velocemente immagini a 300 dpi fanno dello scanner i4200 Plus di Kodak Alaris la soluzione ottimale non solo per le classiche attività di trasferimento, digitalizzazione e archiviazione delle immagini, ma anche – nello specifico – per il riconoscimento ottico. La maggior parte delle applicazioni di Optical Character Recognition (quelle che estraggono e traducono in un formato leggibile i testi salvati come immagine) sono progettate per ottenere risultati ottimali a partire dai 300 dpi. Lo scanner i4200 Plus arriva ad acquisire cento pagine al minuto a 200 e 300 dpi a colori e in bianco e nero, per un volume consigliato di 30mila

pagine; il modello più grande, l’i4600 Plus, arriva a elaborare 120 pagine al minuto, con una media consigliata di 50mila pagine giornaliere. Prezzo: 10.495 euro

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BUFFALO LinkStation 200

LinkStation 200 è la prima serie di sistemi Network Attached Storage espressamente progettata per i dispositivi mobili, mai presentata sul mercato. Al pari di altri modelli di Buffalo, la promessa è quella di combinare sicurezza, semplicità di gestione ed elevate capacità di archiviazione, ma con la peculiarità di un’interfaccia utente ottimizzata per smartphone e tablet. Il Nas può essere attivato in pochi minuti, anche eseguendo il processo di configurazione con uno smartphone, e diventa da quel momento completamente gestibile tramite app su tutti i terminali iOS e Android. Due le tipologie di Nas proposte, a singolo drive (LinkStation LS210) e a doppio drive (LS220), con capacità che vanno dai 2 agli 8 TB. I prezzi partono da 134,90 euro per arrivare a 524,90 euro. Prezzo: 134,90 euro


Make IT Dynamic

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