Technopolis - 5

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NUMERO 5 | GIUGNO 2013

Storie di eccellenza e innovazione

da capua agli states esploratori dell’hi tech Raffaele Petrone guida Pierrel, multinazionale partenopea del settore medico e farmaceutico, alla conquista dei mercati mondiali grazie a innovazione di processo e informatica.

big data

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Non ci sono dubbi sui vantaggi competitivi assicurati dall'analisi dei dati. Ma i progetti ancora non decollano: perché?

pc: ultima chance

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Il personal computer tradizionale è morto? L'ascesa dei nuovi dispositivi e le possibilità di sopravvivenza dei vecchi formati.

hello china

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SOMMARIO Storie di eccellenza e innovazione

N° 5 - Giugno 2013 Periodico bimestrale registrato presso il Tribunale di Milano al n° 378 del 09/10/2012. Direttore responsabile: Emilio Mango Coordinamento: Gianni Rusconi Hanno collaborato: Piero Aprile, Luca Bastia, Valentina Bernocco, Federico Cociancich, Carlo Fontana, Seann Gardiner, Laura Tore Progetto grafico: Inventium Srl Sales and marketing: Francesco Proietto Iniziative speciali: Salvatore Losco Business development: Anselmo Barbieri Foto e illustrazioni: Istockphoto. Copertina e storie di copertina: Roberto Pierucci - ag. Agrelli&basta

Editore, redazione, pubblicità: Indigo Communication Srl Via Faruffini, 13 - 20149 Milano tel: 02 36505844 info@indigocom.it www.indigocom.com Stampa: RDS Webprinting - Arcore © Copyright 2012 Indigo Communication Srl Tutti i diritti di proprietà letteraria e artistica riservati. Il Sole 24 Ore non ha partecipato alla realizzazione di questo periodico e non ha responsabilità per il suo contenuto. Pubblicazione ceduta gratuitamente.

04 storie di copertina L’innovazione traccia la rotta: Pierrel

11 IN EVIDENZA Microsoft aggiorna Windows 8

Che Intel sarà con il nuovo Ceo?

Cedacri cresce e punta a nuovi mercati

Google rilancia sui servizi Tecnologia touch e nuovi tablet per Acer

Una nuvola senza rischi: la promessa di Hitachi DS

L’opinione: Perché non ridurre i consumi dei Pc?

18 SCENARI Big Data: un’occasione o un azzardo?

Oltre la BI con i Visual Analytics Byod in Italia, un paradigma incompiuto

Il Pc tradizionale non si vende più?

Ma in Italia il “vecchio” desktop tira ancora

31 ECCELLENZE.IT Marcopolo Expert - Hybris Seat Pagine Gialle - Dell La Feltrinelli - Microstrategy

Università di Pordenone - Citrix

Beretta - Oracle

36 italia digitale

Dove si è persa l’agenda magica?

Cloud, Open Source, e-Procurement: la PA cambia marcia

40 OBBIETTIVO SU Huawei

47 VETRINa HI TECH I protagonisti dell’era post-Pc Pillole digitali


STORIA DI COPERTINA | Pierrel

l'innovazione traccia la rotta per i mercati globali Anche nel settore medico e farmaceutico la ricerca ha costi sempre piÚ alti. Multinazionali e governi ricorrono, cosÏ, a servizi esterni. Pierrel, grazie alle ultime acquisizioni e ai suoi processi produttivi all'avanguardia, è in pole position per giocare un ruolo di primo piano a livello mondiale. Con l'orgoglio di essere l'unica impresa non statunitense a operare sul territorio Usa nel segmento degli anestetici locali per l'odontoiatria. 4

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Servizio fotografico Roberto Pierucci - ag. Agrelli&basta

gruppo tascabile

M

ilioni di tubofiale che, partendo da Capua, attraversano l’Atlantico e invadono il mercato degli Stati Uniti. Non è la trama di un film di fantascienza ma uno dei tanti miracoli italiani che, se si osserva con attenzione il panorama delle eccellenze nostrane, si possono ammirare tutti i giorni. Questa volta la storia di successo ha come protagonista Pierrel. E la tecnologia è, guarda caso, il fil rouge che unisce le tante anime del gruppo, una tipica

“multinazionale tascabile” che opera nel settore medico e farmaceutico. Ma torniamo alla “invasione” degli Usa: le tubofiale non sono altro che piccoli contenitori di vetro e plastica che, nel caso specifico, racchiudono una preparazione, nostro malgrado, conosciuta: il liquido anestetico usato dai dentisti (una formulazione a base di Articaina). Raffaele Petrone, amministratore delegato di Pierrel nonché maggior azionista attraverso la finanziaria di famiglia Fin Posillipo, spiega in poche parole come

Provider globale dell’industria farmaceutica e del life science, Pierrel opera sul mercato da oltre 60 anni. Quotata al Mercato Telematico Azionario di Borsa Italiana, è uno dei principali produttori europei di anestetici locali, nonché l’unico ad avere l’autorizzazione della Fda (Food & Drug Administration) per la commercializzazione sul territorio Usa di anestetici per interventi odontoiatrici. Il piccolo gruppo multinazionale italiano, il cui azionista di maggioranza relativa è la Fin Posillipo della famiglia Petrone, è formato da Pierrel Research International, che controlla a sua volta oltre 20 società e che opera nel settore dei servizi integrati per la ricerca di molecole e medicinali, da Contract Manufacturing, che gravita attorno allo stabilimento di Capua e che produce sia a marchio Pierrel sia per conto terzi, e infine da Pierrel Pharma, che si occupa di gestire e sviluppare i brand del gruppo. Di recente, Pierrel ha firmato un accordo per l’integrazione industriale della sua divisione ricerca con Mondobiotech, quotata alla Borsa di Zurigo.

è riuscito a entrare in un mercato praticamente impossibile da conquistare: “Abbiamo ottenuto il benestare della Food and Drug Administration (Fda) perché la nostra formulazione e il nostro processo produttivo sono stati giudicati idonei. Siamo gli unici fornitori di anestetici dentali in tubofiale al mondo ad aver ottenuto questo riconoscimento: al momento, quindi, a poter operare nel mercato Usa ci siamo solo noi e le aziende statunitensi”. Per centrare l’obiettivo dell’autorizzazio5


STORIA DI COPERTINA | Pierrel

ne Fda, che Petrone ha caparbiamente voluto anche per aggiudicarsi un premio tangibile e spendibile dell’eccellenza di Pierrel, ci sono voluti importanti investimenti e un pizzico di genio italico. “La differenza tra il nostro processo produttivo e quello di tutti gli altri”, spiega Toni Valente, il direttore dello stabilimento di Capua (provincia di Caserta) dove vengono prodotte le tubofiale, “è che noi operiamo sempre in regime di asepsi, mentre tutti gli altri sterilizzano il prodotto solo alla fine, sottoponendo la sostanza ad alte temperature che provocano un degrado di alcuni componenti. Potendo sfruttare questo metodo innovativo, siamo anche stati in grado di realizzare una formulazione che si adattasse meglio ai componenti della fiala, specialmente le parti in plastica e in gomma”. Il risultato è un anestetico particolarmente puro ed efficace, che nel caso del prodotto commercializzato direttamente da Pierrel prende il nome di Orabloc, e offre migliori prestazioni agli odontoiatri e più sicurezza ai pazienti. Orabloc sarà ora distribuito anche in Europa (a partire dalla Polonia, dove è arrivato in maggio, e poi in Germania, Austria, Regno Unito e Francia), avendo ottenuto l’ok dell’agenzia del farmaco tedesca BfArM.

Il cuore produttivo di Pierrel è a Capua, in provincia di Caserta. Lo stabilimento è in grado di”sfornare”, in condizioni di asepsi, 150 milioni di tubofiale l’anno.

La tecnologia è il cuore pulsante

Se la creazione di anestetici locali e regionali, attraverso un metodo produttivo all’avanguardia, è una branca importante di Pierrel, l’innovazione tecnologica la fa da padrona anche quando si toccano i nuovi business nei settori medicali e delle biotecnologie, sviluppi più recenti dell’attività della multinazionale. Il passo più deciso la famiglia Petrone lo ha fatto entrando nel capitale di Mondobiotech, società svizzera specializzata nella ricerca medica attraverso i sistemi informatici (si veda la pagina a fianco), ma in arrivo ci sono almeno altre due soluzioni hi-tech che potrebbero aprire nuovi mercati e prospettive. La prima si chiama Goccles ed è già 6

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molto più di un prototipo. Sviluppato insieme all’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, consente la diagnosi precoce dei tumori del cavo orale (che se individuati subito possono essere curati nel 95% dei casi) tramite l’illuminazione dei tessuti e l’osservazione attraverso un particolare filtro. “Si tratta di un sistema rivoluzionario”, racconta Fabio Velotti, amministratore di Pierrel Pharma, “perché invece di puntare su una fonte luminosa sofisticata (e quindi costosa anche per gli odontoiatri), utilizza una lampada fotopolimerizzante, già presente in tutti gli studi dentistici, e sfrutta un filtro innovativo montato su

particolari occhiali, che sono alla portata di tutti i professionisti e che aiuteranno a diagnosticare in tempo moltissimi tumori del cavo orale. Goccles è già una realtà: a giugno partirà la sperimentazione in sei centri ospedalieri e subito dopo potrà iniziare la commercializzazione”. L’altra soluzione, chiamata per il momento “Smile”, è ancora in fase di sviluppo. Si tratta di un kit per la rilevazione precoce e non invasiva delle carie: identificando la presenza di una particolare proteina, Smile è in grado di aiutare i dentisti a curare meglio i pazienti, che sono poi gli utenti finali di Pierrel. Emilio Mango


i big data per cercare nuove molecole Dopo aver fondato Fastweb insieme a Silvio Scaglia, Ruggero Gramatica, una laurea in ingegneria e un master in finanza all’Università di Chicago, sceglie di trasferirsi armi e bagagli a Londra, dove riesce a dare seguito a una serie di idee maturate anni prima, durante le ricerche in matematica applicata realizzate presso il King’s College. Il suo pallino è la “Econofisica”, una disciplina che mutua i modelli matematici dalla fisica e li applica all’economia e alla finanza per descriverne i cicli. Tre anni fa l’incontro “fatale” con Mondobiotech e l’intuizione che i modelli potevano essere adattati anche alla ricerca medica. “Volevo ampliare il raggio d’azione dei miei algoritmi”, dice Gramatica. “Entrando in contatto con la svizzera Mondobiotech capii che potevano essere usati per scoprire nuove connessioni tra molecole e malattie, ed elaborai la soluzione Search&Match. Contestualmente, gli azionisti della società mi chiesero di prenderne la guida per risanarla e rilanciarla”. Il nuovo capitolo di Mondobiotech viene scritto insieme a Pierrel, in un’operazione di fusione che porterà le attività di ricerca del gruppo italiano a confluire nella società svizzera, di cui la multinazionale avrà la maggioranza. Search&Match è oggi una delle armi più promettenti di Pierrel: un algoritmo che, girando su semplici computer basati su Unix, può esaminare milioni di documenti scientifici, alla ricerca di legami utili tra concetti relativi a processi biochimici. Si tratta, in fondo, di un’applicazione pratica dei tanto decantati Big Data. “L’algoritmo costruisce un grafico complesso”, spiega Gramatica, “una nuvola di occorrenze

Ruggero Gramatica

Un grafo generato da Search&Match

e relazioni tra entità biologiche, chimiche e mediche. È qui che entrano in gioco la teoria dei grafi e la meccanica, per trovare percorsi che l’occhio e la mente umana da soli non potrebbero rilevare.” Analizzando documenti scientifici e medici di tutto il mondo, l’algoritmo rileva i “Mechanism of Action” nascosti, cioè la modalità di azione delle molecole. Centrando due obiettivi: il drug rescue, il salvataggio di piccole molecole e farmaci biologici il cui sviluppo è stato abbandonato prima che fossero approvati; e il drug repurposing, lo studio di molecole e farmaci approvati, finalizzato a reindirizzarli verso il trattamento di altre indicazioni.

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STORIA DI COPERTINA | Pierrel

Attenzione per le risorse umane, passione e tecnologia. Questa la ricetta alla base della strategia di Pierrel, che ora copre tutta la filiera dei servizi per la ricerca medica e farmaceutica. Senza dimenticare l'obiettivo finale: la salute e il benessere dell'individuo.

Tradizione e hi tech, ma il paziente è in primo piano

E

ra il 1898 quando Raffaele Petrone (nonno dell’omonimo attuale amministratore delegato) aprì la prima farmacia in provincia di Avellino. Probabilmente trasmise ai suoi figli la passione per la medicina ma anche per il business, visto che oggi Carmine (il figlio) e i tre nipoti controllano una delle poche aziende farmaceutiche italiane quotate. Dopo 60 anni di attività ed esperienza, il gruppo, oggi maggior azionista di Pier8

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rel, ha assunto una sua fisionomia ancora più precisa in seguito all’accordo per la fusione con la svizzera Mondobiotech. Ora, le tre anime della multinazionale campana sono distinte e sinergiche: la ricerca condotta in campo internazionale, la produzione (per i propri brand e per terzi) e la strategia commerciale e marketing. Ma il primo successo Pierrel lo deve all’innovazione dei processi. “Quando abbiamo rilevato lo stabilimento di Capua”, racconta Raffaele

Petrone, amministratore delegato di Pierrel, “la linea di produzione e la formulazione degli anestetici locali erano di tipo tradizionale. Noi, però, volevamo dare all’attività una marcia in più, e abbiamo cercato di innovare sia l’una che l’altra”. Petrone tiene con sé Bob Verrengia, il “vecchio” ed esperto tecnico formulatore dello stabilimento e, insieme, volano a Chicago per trattare l’acquisto di macchinari innovativi, che però non aveva-


no consentito all’azienda proprietaria di ricevere l’autorizzazione della “temibile” Food & Drug Administration (Fda) americana, che pretende altissimi e rigidi standard qualitativi. Pierrel non solo ottiene il benestare per il processo, ma viene anche premiata per la particolare formulazione dell’anestetico, che risulta avere caratteristiche di eccezionale purezza e sicurezza. “Siamo gli unici produttori non statunitensi di tubofiale di articaina (questo il nome del principio attivo, ndr) al mondo ad avere l’autorizzazione per la distribuzione in Nord America”, ribadisce con orgoglio Fulvio Citaredo, direttore generale di Pierrel, “ma l’eccellenza dell’azienda non si ferma alla produzione. La nostra frontiera al momento è rappresentata dalla ricerca clinica, portata avanti da Pierrel Research International, una società che pur non potendo annoverarsi tra i big mondiali è sicuramente la più solida e attiva tra le realtà di dimensioni contenute”. Grazie al recente accordo con la svizzera Mondobiotech (vedere articolo nelle pagine precedenti), il gruppo Pierrel ha poi completato la filiera che va dalla “caccia”

di molecole e principi attivi potenzialmente utili a sconfiggere malattie, fino alla gestione della ricerca clinica vera e propria, che Pierrel realizza per se stessa ma anche per conto terzi. “Di solito il nostro contributo inizia dopo che una grande multinazionale ha individuato una molecola interessante e, per contenere i costi, delega a noi le fasi successive della ricerca”, spiega Citaredo. “Mission cui assolviamo grazie a Search&Match, un algoritmo matematico importantissimo nella gestione dell’imponente patrimonio di dati che la ricerca genera, dati oscuri all’umana comprensione”. L’informatica per vincere

Nelle fasi successive agli studi pre-clinici le aziende del settore medico e farmaceutico hanno bisogno di poter gestire con efficienza le informazioni e i documenti relativi alla ricerca. Qui si innesta un ulteriore tassello dell’offerta, ad alta tecnologia, di Pierrel: una piattaforma basata su Web, sviluppata prima a uso interno e poi resa disponibile sul mercato. Si tratta di Hypersuite, una soluzione per la raccolta, l’archiviazione e lo scambio dei

documenti per la gestione, l’analisi e il reporting dei test clinici. Già utilizzato in oltre 400 studi, Hypersuite permette una più ampia visibilità dei risultati, una gestione centralizzata (quindi più sicura) dei dati e una maggiore efficienza dei ricercatori, i quali possono usare un’interfaccia semplice e intuitiva, che non richiede particolari competenze tecniche. “Il risultato finale”, dice a Technopolis Maxime Stevens, global business development di Pierrel, “è un risparmio sensibile di tempi e costi della fase di ricerca dei farmaci che, come è noto, incide per il 50-70% sulle spese sostenute dalle aziende farmaceutiche per portare un nuovo prodotto sul mercato. Una migliore comunicazione e collaborazione tra i gruppi di lavoro e l’eliminazione di gran parte della carta, due dei tanti vantaggi offerti da HyperSuite, rappresentano già da soli importanti voci di risparmio e recupero di efficienza”. “Tutti vantaggi”, come Petrone ama sottolineare, “di cui beneficiano in ultima analisi i pazienti, che avranno disponibili farmaci in tempi più brevi”. E.M.

Nella pagina a fianco, in senso orario, Maria Teresa Ciccone, Fulvio Citaredo, Raffaele Petrone, Fabio Velotti e Toni Valente. A destra, davanti allo stabilimento Pierrel di Capua, tutto lo staff dell’azienda.

Pierrel produce e commercializza il proprio anestetico a base di articaina, denominato Orabloc. Una parte dell’attività del gruppo è però dedicata alla ricerca e alla produzione per conto terzi. 9



IN EVIDENZA

Microsoft aggiorna Windows 8 con Blue. Il mercato e gli utenti impongono il passo indietro Circa 100 milioni di licenze vendute in sei mesi non bastano per stilare un bilancio positivo del nuovo sistema operativo. Il cambiamento è in rampa di lancio: Windows 8.1, nome ufficiale del primo grande aggiornamento, gratuito e scaricabile dal Windows Store, del nuovo sistema operativo di Microsoft verrà battezzato ufficialmente in occasione della Build Conference in programma a San Francisco dal 26 al 28 giugno. Si tratta del primo passo di un programma di upgrade, finora conosciuto con il nome in codice di Blue, previsto dal gigante di Redmond. Di fatto è anche la risposta che la società indirizza alle critiche avanzate da alcuni produttori di Pc e da una discreta fetta di utenti. Tami Reller, chief financial e chief marketing officer della divisione Windows, lo ha del resto ammesso pubblicamente: Windows 8 va modificato perché i feedback dal campo lo chiedono apertamente. Diversi analisti hanno usato in queste settimane toni ben più critici, bollando come insufficienti i numeri prodotti dal sistema operativo nel suo primo semestre di vita: 100 milioni di licenze vendute da fine ottobre a tutto aprile (a fine gennaio erano 60 milioni) e di queste solo 59 milioni realmente attivate a bordo di un Pc (rilevazioni Net Application); circa 900mila esemplari di Surface spediti nel primo trimestre; altrettanti i device a tavoletta basati su Windows 8 e Windows Rt distribuiti da altri vendor, per una quota di mercato complessiva inferiore al 2% nel segmento tablet. Vero è che, come rimarcano da Microsoft, i dispositivi certificati per le varie versioni del software sono oltre 2.400 e che le app nel Windows Store hanno superato quota 50mila, ma è altrettanto evidente che la decantata rivoluzione touch nel segno di un Windows

universale per Pc, tablet e smartphone (con Windows Phone 8) non si è ancora compiuta. Al punto che si è optato per il re-design di alcuni elementi chiave della piattaforma, per ovviare alle difficoltà incontrate dagli utenti nell’utilizzarla. Che cosa cambierà con Blue?

Al centro del dibattito inerente Windows 8.1 ci sono soprattutto due elementi, e cioè il tasto Start e il vecchio menu Start. Il primo, funzione cardine della interfaccia di Windows classica, dovrebbe essere ripristinato con il primo aggiornamento del software; il secondo, invece, potrebbe essere sacrificato per invogliare gli utenti a prendere domestichezza con le “live tile” di Otto. Microsoft, questo è certo, sta valutando l’ipotesi di aggiungere un’opzione di avvio rapido dal desktop, che permetterebbe di bypassare la schermata iniziale con le mattonelle animate (fra queste anche quella del Windows Store) che appare di default all’avvio del computer. I dettagli si conosceranno a breve, ma in ogni caso questa scelta è una sorta di passo indietro. Il tempo e queste modifiche diranno se per Windows 8 si potrà parlare di successo o di clamoroso flop.

Otto in ufficio? Non diventerà uno standard Il nuovo sistema operativo non si diffonderà in campo enterprise tanto da diventare uno standard. L’assunto è firmato da Forrester Research, secondo cui Windows 8 è destinato a essere installato in meno del 50% dei computer aziendali. Gli analisti giustificano la proiezione di cui sopra, convinti del fatto che la maggior parte delle grandi e medie organizzazioni ripeterà solo con la prossima edizione di Windows, e non con quella attuale, il passaggio diretto, sul modello di quello compiuto in questi anni transitando da Xp a Seven. La riprova di questa teoria è in una percentuale: solo il 26% delle aziende americane ed europee campione ha già contemplato la migrazione a Windows 8, e tra i fattori che ne stanno condizionando l’adozione c’è la sensazione che non offra un netto miglioramento rispetto al precedente Windows 7. GIUGNO 2013 |

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IN EVIDENZA

Che Intel sarà con il nuovo Ceo? La prima sfida è quella del mobile Il colosso di Santa Clara è chiamato a cambiare pelle per rispondere alla crisi del mercato dei Pc e alla forza dei produttori di chip per smartphone e tablet con piattaforma Arm. Sul taccuino di Brian Krzanich ci sono gli accordi con Google e Apple? In Intel dal 1982 e chief operating officer dal gennaio 2012, Brian Krzanich è divenuto a partire dal 16 maggio il sesto chief executive officer nella quasi cinquantennale storia della compagnia di Santa Clara. Il 52enne manager raccoglie l’eredità di Paul Otellini in una fase in cui il modello di computing tradizionale basato su Pc sta lasciando il testimone a quello imperniato su tablet e smartphone. Il curriculum di Krzanich, responsabile di un’organizzazione di oltre 50mila addetti fra area Manufacturing e Custom Foundry, Nand Solutions Group e Information Technology, sulla carta non si discute. Gli investitori, e non è un mistero, speravano però in un nome diverso, in una figura proveniente da fuori (eventualità mai accaduta finora) e capace di imprimere un’accelerata decisiva in direzione mobile. Sintomatico, in tal senso, come Krzanich nel suo primo giorno

da Ceo abbia ammesso la lentezza con cui Intel ha finora approcciato questo settore, nonostante investimenti a nove zeri (vedi il miliardo di dollari speso per acquisire le tecnologie radiomobili di Infineon). Un accordo con Google ed Apple?

L’affermazione dei processori Atom di nuova generazione “Clover Trail” nel comparto delle tavolette e dei telefonini intelligenti è, forse, la sfida più importante per il nuovo Ceo. Suggestiva, in proposito, l’ipotesi che porrebbe Intel al fianco di Google per realizzare un notebook a piattaforma Android, ipotesi che presupporrebbe un cambiamento importante per un’azienda che ha fatto del binomio “Wintel” (Windows e Intel) l’elemento cardine per monopolizzare o quasi la domanda di chip per Pc e server. Per mantenere marginalità nell’ordine del 60% (su un giro d’affari

Un cuore di nuova generazione Performance accresciute, consumi estremamente limitati, funzioni touch e riconoscimento vocale, queste le credenziali con cui si presenta la quarta generazione dei processori Core. “Prodotti che nascono”, dice Andrea Toigo, enterprise technology specialist, Intel Italia e Svizzera, “con l’idea di sviluppare il cuore dell’ultrabook. Non si tratta di una nuova microarchitettura a 22 nanometri (i prossimi chip verranno realizzati a 14 nanometri, ndr), ma porta dei cambiamenti importanti a livello tecnologico: un sottosistema grafico 12

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completamente nuovo e una serie di accorgimenti pensati principalmente per migliorare le prestazioni senza incidere sull’efficienza energetica”. Sono quattro le nuove famiglie di system on chip destinati ai computer ultraportatili, e di questi il top di gamma è la serie H quad-core con grafica Intel Iris Pro. Secondo Intel, l’avvento dei Core di quarta generazione si accompagnerà a un maggior numero di dispositivi due-in-uno e convertibili (tablet e all’occorrenza ultrabook con tastiera) e a prodotti con schermo touch.

Brian Krzanich chief executive officer di Intel

che nel 2012 è arrivato a 53,3 miliardi di dollari), questo non basterà comunque a Intel per consolidare la posizione dominante oggi detenuta nei notebook e nei desktop, causa la forte regressione di domanda di Pc tradizionali. Nel mobile, però, a dividersi la quasi totalità del mercato sono oggi i produttori fedeli alla tecnologia Arm, come Qualcomm, Nvidia e Samsung. Motorola, Zte e Lenovo sono al momento i soli “top brand” che hanno scelto i chip di Santa Clara per i propri smartphone Android; diverse indiscrezioni riportano da tempo la possibilità di un’alleanza con Apple che sarebbe vitale, visti i volumi mossi dalla casa della Mela, per le sorti di Intel nell’universo dei telefonini. Sarà Krzanich a firmare questo accordo? Saprà il nuovo Ceo mettere a frutto la potenza manifatturiera della società anche nell’ottica di produrre processori per conto terzi, Apple in primis? Quest’ultima è una strada che, secondo J.P. Morgan, potrebbe generare ricavi di 4,2 miliardi di dollari l’anno entro il 2017. Dalla vendita di 50 milioni di chip Atom per tablet, secondo Morgan Stanley, la compagnia potrebbe invece ottenere nel 2015 entrate per un miliardo di dollari, catturando il 75% del venduto a piattaforma Windows 8 e l’8% di quello Android. Gianni Rusconi


Cedacri cresce e punta a nuovi mercati Nonostante lo scenario non sia stato dei migliori, tra la crisi economica e le tante fusioni che hanno contraddistinto il mercato di riferimento, Cedacri ha fatto registrare risultati in linea con i propri piani di sviluppo e in lieve crescita rispetto all’anno precedente. Conosciuta per le soluzioni in outsourcing rivolte al settore bancario, Cedacri ha realizzato nel 2012 una parte degli obiettivi fissati nel piano di sviluppo triennale reso noto lo scorso anno, iniziando in particolare la penetrazione nel segmento delle aziende industriali e di servizi (il che ha significato anche l’espansione dell’offerta nell’ambito del facility management) e alzando il tiro anche su istituti di credito di medie dimensioni, in questo caso puntando sulle formule di fulloutsourcing e sulla vendita di software sviluppato in proprio. “Abbiamo investito più di 100 milioni di euro per adeguare l’infrastruttura tecnologica e quindi l’offerta alle mutate condizioni del mercato”, spiega Salvatore Stefanelli, direttore generale di Cedacri, “e altrettanti ne

Salvatore Stefanelli direttore generale di Cedacri

spenderemo nei prossimi anni. I risultati non si sono fatti attendere: siamo riusciti a compensare la perdita di alcuni importanti clienti, a seguito di acquisizioni da parte di grandi gruppi bancari, con nuovi partner, che hanno creduto nei nostri servizi e ci hanno permesso di mettere a segno una

crescita dell’1% del fatturato rispetto all’anno precedente”. Si sviluppa, quindi, su più fronti la strategia di Cedacri per trovare risorse e quote di mercato in un settore che da molti anni ormai punta al contenimento dei costi e alla razionalizzazione; da una parte i servizi “storici” di outsourcing, spinti oggi fino al facility management, dall’altra soluzioni innovative per i nuovi mercati, quali per esempio il nuovo sistema di mobile payment, basato sull’esperienza accumulata con l’home banking e progettato per offrire una soluzione sicura e chiavi in mano a tutti i vendor che vogliano sfruttare rapidamente questa nuova opportunità. Più lenta del previsto, invece, la pianificata espansione sui mercati esteri, anch’essa volta ad assicurare a Cedacri lo spazio vitale per la crescita. “La strategia in questo caso”, spiega Stefanelli, “non è agire da soli, ma operare in partnership. In questo senso abbiamo già parecchi contatti in Paesi potenzialmente interessanti per la nostra offerta di facility management”.

Google rilancia sui servizi e rimanda Android Si è conclusa con il keynote di Larry Page – pronunciato a fatica per un problema alle corde vocali, ma arrivato con forza a una platea di 1 milione di utenti collegati in streaming su YouTube – l’annuale conferenza Google I/O, dedicata agli sviluppatori. Non pochi gli annunci di questa edizione, sebbene più focalizzati sui servizi che non sull’hardware: qui, il piatto forte è stata la “Google edition”, spogliata del contributo (interfaccia e widget) di Samsung ma identica dell’hardware, del Galaxy S4, che da fine mese sarà venduta su Google Play per 649 dollari. Accanto a modifiche di interfaccia e

funzioni per le Maps e per il social network G+, la compagnia di Mountain View ha poi presentato due novità per il mondo consumer. La prima è Play Game Services, un servizio dedicato ai videogiocatori, che permette di salvare e sincronizzare nel cloud i dati delle partite; l’altra è una piattaforma per lo streaming musicale, che segue le orme di casi di successo come Spotify e Pandora, e anticipa sul filo del rasoio il lancio della iRadio di Apple. Grande assente, sul palco degli annunci, è stato Android: nessuna parola ufficiale, infatti, è stata spesa per il successore di Jelly Bean, cioè la versione 5.0 con

Larry Page

nome in codice Lime Pie, che era attesa per maggio. Il perché del ritardo? Forse, dicono i rumors, per lasciare ai produttori hardware il tempo di aggiornare i propri modelli di punta. 13



Tecnologia touch e nuovi tablet nella strategia di Acer Acer punta sul touch e su una ridefinizione dell’esperienza utente che mira ad “annullare le barriere fra persone e tecnologie”, come nelle parole del presidente, Jim Wong. Da New York, qualche settimana fa l’azienda taiwanese ha presentato una tripletta di nuovi dispositivi con schermo tattile, diversi tra loro per dimensioni, design, sistema operativo e destinazioni d’uso. Ma con un elemento in comune: l’evoluzione dell’esperienza utente, appunto, un’evoluzione che deve portare verso prodotti più “umani”, come sottolineato da Wong. Acer Aspire R7, Aspire P3 e Iconia A1 i nomi dei nuovi modelli. Si tratta, rispettivamente, di un notebook touch da 15,6 pollici con tastiera rego-

labile in altezza e inclinazione, di un convertibile da 11,6 pollici e di un tablet concepito per il mercato consumer; i primi due si basano su Windows 8, il terzo su Android. “Negli ultimi due anni, ha spiegato Wong, “abbiamo lavorato per rompe-

Jim Wong presidente Acer

re le barriere fra utenti e tecnologie, e per ripensare l’esperienza di computing migliorando il design dei prodotti e l’interazione. Parlando di prodotti, non vogliamo solo potenziare l’hardware, ma anche l’esperienza utente e arrivare a esplorare i nostri stessi limiti”. Parole ambiziose, e che si legano all’evoluzione touch dei prodotti mobili e in particolare ai tablet. “Per l’Europa”, ha dichiarato Luca Rossi, vice presidente di Acer per l’area Emea, “il nostro target fissato per quest’anno era di vendere dai 5 ai 6 milioni di tablet, ma in base all’andamento attuale crediamo che potremmo raggiungere i 10 milioni. Nei primi quattro mesi del 2013 ne abbiamo già spediti più che in tutto il 2012”.

Una nuvola senza rischi: la promessa di Hitachi Data Systems Un cloud sicuro, che non spezzi le gambe alla mobilità ma anzi la supporti, e che possa dirsi semplice ed enterprise-ready. Non sono poche le ambizioni di Hitachi Content Platform Anywhere, una nuova piattaforma per l’archiviazione, sincronizzazione e condivisione di file presentata in anteprima a Londra dal chief technology officer della multinazionale, Peter Sjoberg. Concepita sia per funzionare su reti aziendali, sia via Internet, si tratta della prima soluzione “sync&share” completamente progettata, venduta e supportata da un singolo vendor. “Crediamo che il mercato abbia bisogno di soluzioni semplici, smart e sicure”, ha dichiarato Sjoberg, sottolineando come la piattaforma riassuma tutte e tre queste caratteristiche. È semplice poiché configurabile dall’end user e utilizzabile in modo intuitivo; è smart perché permette la sincronizzazione dei contenuti fra Pc, smartpho-

ne e tablet (per ora soltanto quelli iOS, ma è già previsto lo sviluppo delle relative app per Android e Windows Phone); ed è sicura, perché consente agli amministratori It di verificare la compliance dei dati e di cancellarli da remoto in caso di furto o smarrimento di un dispositivo. “Il Bring your own device è una sfida per tutte le aziende, e in questo modo è possibile controllare i dati e sapere dove si trovano”, ha sottolineato Sjoberg. “Questa soluzione è rivolta alle realtà piccole, medie e grandi, poiché crediamo che, indipendentemente dalle dimensioni del business, tutte abbiano bisogno di poter garantire una protezione dei dati con uno standard di livello enterprise. Vero è che oggi, purtroppo, le aziende più piccole tendono ad accettare un livello di rischio maggiore, e più in generale anche se gli amministratori It tentano di impedire ai dipendenti di usare soluzioni di file sharing, queste vengono

Peter Sjoberg Cto di Hitachi Data Systems

utilizzate comunque”. Il secondo annuncio londinese riguarda una nuova versione della Hitachi Content Platform, piattaforma di cloud storage a oggetti ad alta scalabilità. Quattro, sostanzialmente, i potenziamenti introdotti: il supporto alle applicazioni cloud realizzate per Amazon S3; il miglioramento del tagging con i metadati; il supporto alla virtualizzazione VMware; infine, con la nuova versione si può effettuare il tiering ad archivi storage esterni, cioè i clienti possono fare uso dell’intelligenza della Hcp mentre utilizzano altri media per l’archiviazione. GIUGNO 2013 |

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IN EVIDENZA

l’opinione Perché non ridurre i consumi dei Pc? Nel settore It c’è una scadenza che le aziende di tutte le dimensioni devono rispettare. Secondo dati resi noti da Net Applications nel febbraio 2013, Windows Xp è ancora installato su circa il 40% dei Pc, e il supporto per questo sistema operativo cesserà ad aprile del 2014. L’esigenza di abbandonare Windows Xp obbliga, quindi, le aziende a valutare quale sarà il loro approccio al desktop del futuro. Si tratta di progetti su larga scala che le imprese devono implementare in modo ottimale per minimizzare l’impatto sulle attività quotidiane dei propri utenti. Tuttavia, non dovrebbe essere tralasciata l’opportunità che questa operazione offre in termini di miglioramento dell’efficienza energetica e controllo sui consumi a livello di computer fissi. Il desktop power management può assicurare alle aziende un risparmio reale, molto più elevato rispetto a quanto si possa ottenere con lo spegnimento delle macchine nelle ore notturne. Secondo un report di Dimensional Research, il 56% delle aziende non gestisce i consumi a livello di desktop, quindi il potenziale di risparmio è elevato. In termini di overhead dei costi di

migrazione, una sostituzione like-forlike delle macchine è l’approccio che impatta meno sulla configurazione It esistente. Dal punto di vista del power management, i nuovi Pc possono essere più efficienti nei consumi rispetto a quelli esistenti, assicurando al tempo stesso maggiore potenza di calcolo. Il principale vantaggio di questo metodo è lo scarso impatto sull’It. La sfida principale consiste nella necessità di ricorrere a spese di capitale per i desktop: in molti casi, sostituire tutte le macchine potrebbe risultare troppo costoso. L’approccio alternativo richiede un maggiore impegno da parte del team It, poiché quest’ultimo deve valutare che i device siano adatti a un nuovo sistema operativo e poi trasformarli in “nuove” macchine ancora supportate. È possibile ridurre tempi e costi dell’attività di re-image e installazione delle applicazioni attraverso l’automazione dei processi di system management, che semplifica il supporto sul lungo termine e quindi permette di risparmiare tempo. Qualunque approccio si decida di adottare, la gestione energetica del desktop può assicurare risparmi interessanti, nell’ordine del 40%. Secondo una ri-

Seann Gardiner

cerca Ovum del gennaio 2012, si parla di un taglio annuale di 380kWh e 265 Kg di CO2 per ogni macchina, pari a 30 euro per Pc all’anno. Ipotizzando un incremento dei costi dell’energia del 10% nei prossimi dodici mesi, il risparmio può essere addirittura superiore. Queste riduzioni energetiche non devono necessariamente avvenire a spese di altre attività It. Uno dei motivi principali della mancata implementazione di una gestione energetica del desktop è stata, finora, la necessità di lasciare le macchine all’It per eseguire gli aggiornamenti, ma questo adesso non è più vero. La possibilità di ridurre i costi e migliorare il livello di servizio, quindi, è concreta. Seann Gardiner Emea sales director di Dell Software Group

Social business, un’opportunità di cambiamento Restare arroccati al concetto tradizionale di azienda, alle sue regole e processi, oppure aprirsi alla rivoluzione social? Una terza via, che prenda il buono da entrambi gli approcci, è possibile e necessaria per restare competitivi in un mondo sempre più condizionato dai cambiamenti tecnologici. Se ne parlerà, fra presentazioni di case history, ricerche di mercato, interventi di analisti e dirigenti di aziende come Ibm, Sap e Cisco, il 12 e 13 giugno a Milano (hotel Marriott di via Washington), nella sesta edizione del 16

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Social Business Forum organizzato da OpenKnowledge. In programma anche workshop sui “temi caldi” del momento, come social Crm, marketing digitale, socializzazione dei processi di business, Big Data, gamification, community di dipendenti, collaborative innovation. Una delle sfida di fondo per le organizzazioni, secondo il fondatore di OpenKnowledge Rosario Sica, è quella di investire maggiormente in ricerca e non solo in sviluppo, mirando quindi a creare nuove tipologie di prodotto e nuovi bisogni.

Un’altra è quella di puntare sul capitale sociale e sulle potenzialità di innovazione legate ai dipendenti più giovani, al loro modo di conoscere, interagire e collaborare attraverso il Web 2.0 e le piattaforme social. “Questi strumenti”, dichiara Sica, “invece di essere visti come una minaccia dovrebbero essere visti come un’opportunità”. Ma è possibile conciliare vecchi e nuovi modelli di lavoro? “Lo è, se siamo in grado di creare la giusta motivazione e il giusto contesto”, spiega Sica. “La risposta non è solo nella tecnologia”.


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SCENARI | Big Data

un’occasione o un GRANDE azzardo? L’esplosione delle informazioni in azienda è un dibattito aperto: in molti sono convinti dei possibili vantaggi in termini di predispozione agli investimenti It e all’adozione di nuove tecnologie, ma non mancano i problemi. Che vanno oltre la sicurezza e la mancanza di risorse.

C’

è chi li considera il paradigma per eccellenza della “nuova” It. Chi li vede come strumento vitale di un cambiamento che abbraccia l’adozione del cloud, la ripresa degli investimenti in tecnologie e l’inserimento negli organici aziendali di nuove figure dedicate. C’è però anche chi, sui Big Data, avanza leciti dubbi, per lo meno inerenti le modalità attraverso le quali questo fenomeno è attualmente compreso e trasformato in progetti operativi in seno alle imprese. Il quadro che ruota intorno ai grandi dati è frastagliato, foriero di luci ma non povero di ombre. E a dirlo sono due diverse ricerche di mercato. Solo un’azienda su tre ha una strategia ad hoc

Il Connected World Technology Report, studio condotto per Cisco da InsightExpress intervistando professionisti It di 18 diversi Paesi (l’Italia non c’è), evidenzia come il 60% delle aziende interpellate sia dell’idea che i Big Data contribuiranno a migliorare il processo decisionale e la competitività. Per contro, solo una minoranza di queste, e precisamente il 28%, si dice già in grado di generare valore strategico dai propri 18

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dati. Indicativo come le maggiori convinzioni sui vantaggi derivanti da un “progetto Big Data” siano state evidenziate dalla maggioranza dei Cio cinesi e di quelli attivi nei mercati emergenti (India e Brasile fra questi). In generale, sussiste un’evidente contraddizione fra le potenzialità attese e presunte e le policy mirate a concretizzarle. Oltre i due terzi del campione ritiene infatti i Big Data una priorità per le aziende nel corso del 2013 e pure nei prossimi cinque anni; il 38%, tuttavia, ammette la mancanza di un piano strategico per poterne beneficiare appieno, pur avendo adottato soluzioni in tal senso. Cosa frena, dunque, le aziende? Fra gli ostacoli messi in evidenza dall’indagine spiccano innanzitutto la sicurezza (che preoccupa il 27% degli intervistati) e la mancanza di risorse economiche e di tempo per studiare i Big Data. Non meno rilevante è il desiderio che accomuna un’azienda su quattro, e cioè la presenza di uno staff It adeguato e di personale esperto. Di problemi, come è facile intuire, non ne mancano. Eppure – altra contraddizione – la metà dei responsabili It fa notare come i Big Data interesseranno l’aumento dei budget It della propria organizzazione, sia nel 2013, sia in futuro.

Un volano per crescere?

L’adozione di progetti Big Data, questa una delle tendenze positive rivelate dallo studio, farà da acceleratore per la diffusione di altre tecnologie. L’81% dei responsabili It dichiara che tutte o alcune delle iniziative in questo campo richiederanno funzionalità di cloud computing; circa la metà stima invece che la capacità di rete potrebbe raddoppiare nel corso dei prossimi due anni. Per contro, solo un intervistato su cinque si dice pronto per affrontare un aumento del traffico sul network aziendale e anticipa il bisogno di maggior disponibilità di banda. Non manca inoltre l’apertura


davvero l’affermazione su larga scala di nuovi profili professionali come i cosiddetti “data scientist”, i massimi esperti in fatto di analisi e utilizzo delle informazioni? Per il momento c’è da registrare il fatto che un responsabile It su cinque (il 22%, per la precisione) prevede un’incidenza positiva del fenomeno sul personale informatico. In Europa c’è ancora confusione

al machine to machine: ben tre intervistati su quattro prevedono in futuro per i propri progetti Big Data informazioni provenienti da sensori digitali, contatori intelligenti, video e altri dispositivi “smart”. Una virtù intrinseca ai Big Data sarebbe quindi quella di poter aggiungere valore al business e alimentare la collaborazione con altre aree dell’organizzazione: il 73% degli intervistati si dice, infatti, convinto che all’It si affiancheranno anche altri dipartimenti aziendali, a cominciare dal finance per proseguire con R&D, operations e marketing & vendite. I Big Data, infine, segneranno

Le percezioni e la capacità di comprensione in tema di Big Data sono state oggetto anche di un recente studio condotto da Quocirca per conto di Oracle, studio per il quale sono state interpellate circa mille aziende dell’area Emea. Dall’analisi emerge, un po’ a sorpresa, che non c’è unità di vedute sulle caratteristiche principali di un fenomeno non ancora pienamente compreso, e di cui conseguentemente è difficile iniziare a cogliere i benefici. Viene, cioè, messo in luce il clima di confusione che avvolge le dinamiche di cambiamento necessarie per implementare le soluzioni dedicate ai grandi dati. Alcune aziende, nello specifico, ritengono che si verificherà un mutamento radicale, mentre altre pensano che sarà sufficiente intervenire con progetti di integrazione con le tecnologie già esistenti. Nel dettaglio, tre quarti delle aziende intervistate non attribuiscono grande importanza ai Big Data , mentre un quarto di esse riconosce “un’importanza alquanto limitata” a tale risorsa negli ultimi due anni. C’è, all’opposto, un altro quarto di imprese (fra cui in particolare quelle inglesi) che la considera un elemento differenziante o un aspetto della massima priorità per i prossimi due anni. A livello di settori, infine, si nota un’ampia discrepanza di pesi attribuiti ai Big Data: le telecomunicazioni e le utility sono di gran lunga i comparti che ritengono più importanti i grandi dati, mentre sanità e retail capeggiano la lista di quelli che al contrario considerano tale tecnologia e tale approccio poco rilevanti. Gianni Rusconi

Il difficile compito dei Cio Razionalizzazione della spesa e ottimizzazione restano le priorità in uno scenario in grande trasformazione che vede cloud, virtualizzazione, consumerizzazione, business analytics e Big Data assumere sempre più importanza. Questi elementi, dicono gli analisti di Idc, evolveranno sia in maniera autonoma sia in convergenza tra loro. E i dati, in tale processo, ricoprono un ruolo determinante in considerazione del fatto che, nell’arco del quinquennio 2010-2015, questi si moltiplicheranno per sei volte (fino ad arrivare su scala globale al tetto degli 8 miliardi di terabyte). Dominare questa mole impressionante di informazioni obbliga le aziende a gestire i propri dati strutturati (un decimo del totale) ma anche la componente non strutturata che proviene da fonti eterogeneee, come transazioni di business, social network, Web, email, Internet delle cose. La difficoltà per i Cio è dunque quella di comprendere quali siano i dati rilevanti e come valorizzarli ai fini aziendali. In loro soccorso ci sono i tool di Business Analytics e le soluzioni Big Data, che comportano però un aumento della complessità delle pratiche gestionali a supporto dei processi decisionali. Con impatti a livello infrastrutturale, middleware e di sistema. Prendere le decisioni più velocemente rispetto a prima e analizzando più informazioni è l’obiettivo. Il tema dei dati, avvertono però gli esperti, era già complesso prima e lo sta diventando ancora di più, con il rischio di generare caos in assenza di governance e azioni sostenibili finalizzate a ritorni concreti di business.

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SCENARI | Big Data

più sono i dati, maggiori i vantaggi competitivi Che cosa sono, a che cosa servono e come implementarli. I Big Data spiegati dai fornitori di tecnologia più attivi sul mercato. Per scoprire se è già il momento di attivarsi.

D

Marco Fanizzi, amministratore delegato e direttore generale per l’Italia di Emc

Enrico Galimberti, director professional services di Teradata

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a Ibm a Oracle, da Microsoft a Sap, passando per Cisco, Sas e molti altri. I vendor tecnologici coinvolti a vario titolo sul fronte dei Big Data sono praticamente tutti. Fra questi ci sono anche due specialisti nel campo della gestione delle informazioni come Emc e Teradata. Marco Fanizzi, amministratore delegato e direttore generale per l’Italia della prima, ed Enrico Galimberti, director professional services della seconda, spiegano a Technopolis come inquadrare un fenomeno che sempre più sta interessando anche le imprese del Belpaese. Inquadriamo, in termini di vision strategica, i Big Data

Fanizzi: Sono lo strumento che permette di reagire prontamente alle mutevoli condizioni di mercato, offrendo supporto alle decisioni importanti, ma anche elemento chiave su cui basare futuri ripensamenti del modello di business. Galimberti: Lo sviluppo di queste applicazioni sarà una sfida per i Cio, perché le competenze necessarie per creare applicazioni sui Big Data sono diverse, e più sofisticate, rispetto a quelle necessarie per sviluppare applicazioni tradizionali. In futuro, infatti, saranno di uso quotidiano per coloro che lavorano con le informazioni, e questa prossima generazione di applicazioni Web e mobile porterà un enorme vantaggio competitivo, perché permetterà di scoprire nuove opportunità per comunicare con i clienti.

Quali sono i vantaggi ottenibili per l’azienda in termini operativi e di business?

Fanizzi: Per comprendere quanto i Big Data siano rilevanti per ogni azienda, bisogna analizzare tre fonti di informazioni importanti: i social media, la tecnologia e i dati di terze parti. Per un’azienda che si interfaccia direttamente con il cliente finale, per esempio, è necessario conoscere in maniera approfondita la potenzialità del proprio bacino di utenti. I social media e l’opinione dei consumatori stanno diventando sempre più l’elemento principale in grado di determinare la percezione di un marchio. In molti casi, governi e organizzazioni, spesso no profit e di beneficenza, consentono a figure esterne di accedere ai propri dati: se si combinano informazioni pubbliche con i dati personali si aprono nuove prospettive al processo decisionale di un’organizzazione. Galimberti: Il futuro appartiene alle imprese che utilizzeranno i Big Data analytics e sapranno usarli a proprio vantaggio per prendere decisioni. I business e It manager che saranno più veloci ad adottare grandi soluzioni analitiche in un’architettura unificata renderanno le loro aziende più competitive sul mercato. Le criticità da superare e i rischi da evitare?

Galimberti: La varietà di nuove tecnologie per la gestione dei dati e di piattaforme tra cui scegliere può essere considerata positivamente, ma può anche creare dei problemi. Inizialmente ci sarà chi installerà le nuove piattaforme Big Data


in un ambiente It che non integra dati, metadati, sicurezza e amministrazione; il ricorso a soluzioni analitiche in un ambiente frammentato può, però, vanificare la promessa che i grandi dati sono in grado di offrire con una gestione più approfondita di tutte le informazioni. E questo tipo di implementazioni aumenterà il rischio di fallimento di alcuni progetti. L’approccio ideale per gestire i Big Data: quali passi occorre fare?

Fanizzi: Essendo in presenza di dati strutturati e non, provenienti dalle fonti

più disparate, bisogna mantenere e gestire tutte queste informazioni in tempo reale. Le aziende che avranno la capacità di innovare mantenendo questa visibilità avranno a disposizione una fonte di intelligence praticamente inesauribile, dalla quale attingere per innovare i propri processi e guadagnare quote di mercato. Per fare questo, però, alcuni elementi sono imprescindibili: tecnologie adeguate per consolidare e analizzare in tempo reale grandi volumi di dati, persone dotate delle giuste competenze e, soprattutto, un approccio ampio e strutturato,

che consideri i Big Data un elemento aziendale portante, a livello strategico ben prima che tecnologico. Galimberti: Per essere competitive, le aziende devono possedere sia le capacità di analisi dei Big Data sia di quelli tradizionali, entrambe operanti in un sistema di gestione di database relazionali. I Cio dovranno guardare oltre il semplice hardware per l’archiviazione di grandi quantità di dati, e concentrarsi sullo sviluppo di un processo analitico che abbia la caratteristica di essere ripetibile e di generare valore. L.B.

Oltre la Bi con la visual analytics

L

e tecnologie per l’analisi dei dati sono da tempo una delle priorità sul tavolo di chief information officer e responsabili It. Gartner, nell’affrontare l’argomento, ha coniato il concetto di “analytics everywhere”, stimando da oggi al 2020 una crescita del 9% anno su anno della spesa per queste soluzioni, con un giro d’affari globale che passerà da 70 a 136 miliardi di dollari, e un incremento dei volumi dei dati in-memory del 30%. A concorrere per spartirsi questa torta ci sono le grandi firme dell’It, ognuna delle quali con una ricetta per gestire i Big Data che, almeno sulla carta, si presenta unica. Quella di Sas, per esempio, risponde a un ben definita offerta tecnologica, visual analytics. Il che significa, in concreto, soluzioni ad elevato coefficiente prestazionale per esplorare enormi quantità di informazioni (strutturate e non) più facilmente accessibili da parte di aziende private ed enti pubblici. Soluzioni di cui l’amministratore delegato della società in Italia, Marco Icardi, sottolinea la prerogativa “di rendere accessibili strumenti avanzati a molti più utenti anche privi di competenze tecniche”. La business intelligence e i tool di analisi ‒ nella visione di Sas ‒ sono i cardini,

la visual analytics li unisce in un’unica soluzione che permette di rappresentare la realtà in modalità “data driven”. Vengono, cioè, interrogati milioni di dati in pochi secondi e visualizzati in formato grafico, logicamente e non in modalità precostituita, sui device (tablet, ovviamente, inclusi) dei manager deputati a prendere decisioni. Aiutare le aziende, anche quelle di medie dimensioni, a definire strategie in base a tutto il patrimonio di informazioni disponibili e in tempi rapidissimi, az-

zerando il margine di errore è, in estrema sintesi, il compito che si prefigge la visual analytucs. Per farlo sfrutta nuovi algoritmi per la modellazione predittiva, analisi in-database e componenti avanzate di risk management e analisi delle frodi, ma anche un’interfaccia che rende più facilmente “visibili” i dati anche dallo schermo di una tavoletta. I classici strumenti di business intelligence e di reporting, assicura Sas, non sono in grado di garantire tale funzionalità con la stessa efficacia.

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SCENARI | Byod

Byod in Italia, un paradigma incompiuto Uno studio mette in evidenza come il Bring your own device nel nostro Paese sia già un processo avviato ma solo parzialmente diffuso. I Cio lamentano problemi di sicurezza, di costi e la mancanza di app di tipo enterprise.

S

pinte dalla necessità di una strategia a supporto della mobility, le aziende imprimono una nuova direzione alle proprie scelte relative all’innovazione tecnologica: non più un fenomeno “topdown”, avviato da Cio e specialisti It, ma un processo che si sviluppa per infiltrazione costante, sotto la spinta di coloro che operano in azienda e sono al tempo stesso consumatori di servizi, strumenti e soluzioni (mobili) nel privato. Il quadro è descritto da Alfredo Gatti, managing partner di Nextvalue e managing director di Cionet Italia, che frena però subito i facili entusiasmi in tema di Byod: “Una larga parte della forza lavoro italiana, abituata a sfruttare i vantaggi della mobility in ottica personale, trova ancora ostacoli e difficoltà quando in azienda vorrebbe accedere a sistemi e a informazioni, poiché non tutte le applicazioni business sono aggiornate e lo consentono”.

Un’attitudine consumer-oriented

Uno scenario a luci e ombre, quindi. Da una parte la disponibilità a utilizzare i 22

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propri strumenti mobili in azienda sollecita molte organizzazioni a prendere in seria considerazione questa “practice” per le proprie strategie di enterprise mobility. Dall’altra, nel nostro Paese si tende ad andare più cauti nelle pratiche di Bring your own device perché esistono tuttora barriere di costo e controindicazioni di carattere fiscale e sindacale che scoraggiano questa scelta. “Il rovescio della medaglia”, osserva in merito Gatti “è costituito da costi più impegnativi e da rischi di governance e di scarsa gestione della sicurezza dell’informazione. Con miriadi di device connessi di vario tipo è inevitabile che si possano innescare vulnerabilità a diversi livelli della infrastruttura It aziendale. Smartphone e app sono strumenti intrinsecamente complessi e potenzialmente insicuri. Per di più gli utilizzatori assumono comportamenti

da consumatori anche in azienda, ovvero privilegiano la convenienza, spesso ignorando i rischi e soprattutto non abbandonando mai le loro abitudini. Le app di classe enterprise, che secondo diverse fonti aumenterebbero al ritmo di oltre il 30% su base triennale, dovrebbero invece sottostare a requisiti più stringenti rispetto a quelle di tipo consumer, e chi ne ha il controllo della messa in opera dovrebbe far riferimento a precise policy aziendali di sicurezza mobile”. I principali ostacoli all’adozione

La survey condotta da Nextvalue su un panel di 160 chief information officer e direttori It italiani durante il mese di aprile 2013 ha, innanzitutto, evidenziato che ben l’80% dei rispondenti conferma per la propria azienda una strategia di enterprise mobility in essere o in fase di


messa a punto nei prossimi 12 mesi. Il rimanente 20% ammette di non averne o di non sentirne il bisogno. I dati però mostrano in maniera inequivocabile che gli orizzonti sono a breve o a brevissimo termine, in quanto solo il 22% del campione indica l’adozione di una strategia di due anni e oltre. Fra gli ostacoli alla scelta del Byod non c’è solo la componente sicurezza di apparecchi e informazioni; l’elemento “costo” è citato esplicitamente dal 61% dei Cio ed è correlato ad altre voci, vedi la disomogeneità o mancanza di gestione del device mobile, l’inadeguata introduzione o la totale assenza di policy. Altri limiti alla sviluppo organico del fenomeno sono infine la carenza di applicazioni verticali (24% dei rispondenti) e soprattutto la poca chiarezza del piano di investimenti e dei relativi ritorni (voce citata nel 20% dei casi). Preoccupa, secondo NextValue, il fatto che oltre il 71% delle imprese del panel non abbia individuato dei Key performance indicator specifici per misurare le iniziative di enterprise mobility. Anche se, come rileva Gatti, “le imprese stanno facendo del proprio meglio in fatto di mobile device management e il

A tutti piace, pochi lo fanno Oltre 70 imprese italiane di dimensione medio grande, attive in diversi settori verticali, sono finite sotto l’obiettivo per comprenderne le strategie finalizzate all’uso di device mobili personali a fini aziendali. L’ultima indagine di The Innovation Group in tema di Bring your own device ha confermato una tendenza nota: le aziende vedono di buon occhio questo nuovo paradigma tecnologico, ma poche sono quelle che l’hanno adottato attraverso progetti strutturati. Nel dettaglio: l’82% delle organizzazioni intervistate permette (o è propenso a farlo) ai propri dipendenti di impiegare smartphone e tablet

72% del panel dichiara di aver già scelto e adottato una piattaforma di questo tipo o di essere in procinto di farlo nel breve periodo.

FIGURA 1 La sua azienda ha una strategia di Enterprise Mobility? (% sul totale delle aziende del panel)

20%

Aziende ancora prudenti

Quanto, realmente, sono utilizzati smartphone o tablet personali in azienda? La ricerca ha stabilito che nel 43% delle organizzazioni non è previsto uno specifico programma Byod. Negli altri casi, in linea di massima, vigono situazioni miste: in un’impresa su due il Byod coinvolge meno di un quarto degli addetti e non è la principale policy dell’azienda. “Solo nel 4% dei casi”, specifica Gatti, “si può considerarla una scelta strategica, che coinvolge più della metà dei collaboratori, e solo nel 2% dei casi è una vera policy obbligatoria”. L’atteggiamento rispetto al fenomeno, lo dicono i numeri, è quindi ancora molto prudente. L’86% delle imprese dichiara di essere proprietaria dei device in uso ai dipendenti per lavoro e di farsi carico dei costi di servizio, e il 25% non si è ancora cimentato nello sviluppo e nella messa in produzione di app dedicate. Luca Bastia per svolgere il proprio lavoro; solo il 7% degli addetti complessivi, per lo più figure manageriali, fruisce effettivamente di progetti Byod. La ricerca fa notare, in generale, come l’atteggiamento ostile della componente It verso il fenomeno sia progressivamente venuto meno, in relazione al fatto che in molti casi i benefici sono considerati nel complesso superiori alle problematiche (sicurezza dei dati sensibili, integrazione con il sistema informativo esistente, gestione dei dispositivi) a esso legate. Per il 70% del campione, inoltre, l’uso di apparecchi personali comporterà in futuro una crescita del numero dei “mobile worker” dell’azienda. E in aumento sono previsti anche gli investimenti per

37% 21% 22% 37% SI, limitatamente a un periodo inferiore a 12 mesi 22% SI, prevista per i prossimi 24-36 mesi 21% NO, ma prevista entro i prossimi 12 mesi 20% NO, non è prevista

FIGURA 2 Quali sono i principali ostacoli nell’adozione di iniziative Enterprise Mobility? (% sul totale delle aziende del panel - risposte multiple)

68% 61% 43% 32%

Disomogeneità e mancanza di gestione dei device Costi di comunicazione e per i device Sicurezza dei dispositivi e dell’informazione Carenza di policy aziendali

24% Carenza di applicazioni orizzontali e industry 20% Non chiarezza sugli investimenti e i ritorni 10% Carenza di competenze interne Fonte Nextvalue, maggio 2013

la mobility e l’adozione di soluzioni specifiche per abilitarla, come controllo degli accessi via sistemi Vpn, reti WiFi interne. Interessante, infine, evidenziare come il 40% delle aziende abbia realizzato applicazioni “in house” per i dispositivi mobili personali e come, invece, solo un terzo consideri il Byod una reale opportunità per ridurre i costi della mobility, costi che tendono a crescere in seno a tutte le imprese oggetto di indagine. Le ombre sulla presunta maturità del fenomeno, in definitiva, rimangono: alle aziende italiane piace, molte se ne stanno occupando, ma sono ancora lontane dall’aver trovato la soluzione a tutti i problemi che lo riguardano. G.R. 23


SCENARI | Byod

istruzioni per l’uso, dalla rete al software Alberto Degradi di Cisco e Moreno Ciboldi di Alcatel-Lucent Enterprise spiegano come affrontare il fenomeno Byod e come introdurlo progressivamente in azienda per ridurre i rischi che lo accompagnano.

“I

l Byod è uno dei trend tecnologici per il quale gli It manager debbono realizzare una strategia oppure subire il fenomeno”: l’opinione di Alberto Degradi, infrastructure architecture leader borderless network e data center di Cisco Italia, è netta. “È difficile dire di no al Byod”, osserva il manager, “e non perché il fenomeno sia di moda ma perché il business richiede sempre più agilità, capacità di accedere alle applicazioni aziendali in qualunque momento e con qualsiasi dispositivo”. Moreno Ciboldi, senior vice president for sales South Europe & Mea di Alcatel-Lucent Enterprise, è convinto che il Byod porti vantaggi “perché da una parte migliora l’efficienza e dall’altra aumenta la soddisfazione dell’utente, in quanto costui utilizza uno strumento che conosce e che gli piace usare. Alla fine ne beneficia il business”. Al centro della questione c’è però anche l’It manager, figura che secondo Degradi è “sicuramente spaventata dalle problematiche di sicurezza. Prima l’azienda testava diversi device e applicazioni per definire quale impiegare: oggi chi vende il software illustra quali sono le app 24

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utilizzabili su tablet e smartphone e le uniche accortezze che deve avere il manager It sono quelle di definire le policy e dotarsi eventualmente di una soluzione di mobile device management per gestire il dispositivo, determinare cosa può fare e se venga utilizzato in maniera impropria sulla rete aziendale”. Quali i rischi e come evitarli

Aumento esponenziale del numero di device da governare, più applicazioni da gestire per garantire il riconoscimento dei dispositivi, crescita dei problemi di security: “I rischi legati al Byod”, spiega ancora l’esperto di Cisco, “possono essere principalmente riconducibili al fatto di subire questo fenomeno. Per evitarli, serve darsi una strategia che consenta all’It di razionalizzare sia la rete di accesso, sia i relativi software di policy e device management”. Aspetti, questi, su cui mette l’accento anche Ciboldi: “La sicurezza delle rete è un aspetto fondamentale e per questo è importante poter mappa-

re l’utente con i dispositivi che intende utilizzare, mantenendo lo stesso livello di sicurezza cui l’azienda è abituata. L’altro aspetto, ovviamente, riguarda le prestazioni e la capacità di banda, poiché ampliando il numero di dispositivi che vi accedono questa deve essere adeguata. Ed è vitale, in ottica mobility, che in azienda vi sia una rete wireless”. Se non si soddisfano questi punti, secondo il manager di Alcatel, “l’introduzione del Byod diventa controproducente, perché se non si riesce a utilizzare i device mobili in maniera adeguata si scoraggia l’utente”. Come iniziare

“Meglio partire con un’installazione pilota o solo con il management, se c’è una paura atavica o culturale relativa all’uso di questi strumenti”. Il suggerimento di Degradi si allarga all’opportunità di te-


UN’AZIENDA SU DUE CAMBIERÀ FACCIA. ma NEL 2017 Fra quattro anni, secondo Gartner, la metà delle organizzazioni eliminerà la fornitura di device mobili ai dipendenti, lasciati liberi di usare i propri. Un cambio radicale che cela diverse insidie.

L’

Alberto Degradi, infrastructure architecture leader borderless network e data center di Cisco Italia, e Moreno Ciboldi, senior vice president for sales South Europe & Mea di Alcatel-Lucent Enterprise

stare un progetto Byod su un team che abbia la necessità e l’abitudine di interagire operativamente (il venditore o il responsabile delle spedizioni che deve vedere la merce presente in magazzino) e di puntare su fornitori “in grado di implementare i software di gestione e, soprattutto, garantire la sicurezza dei dati”. Per Ciboldi, invece, la ricetta perfetta per adottare il Bring your own device è “iniziare con un gruppo o una categoria di utenti, normalmente il management o gli agenti commerciali, per crearsi un’esperienza interna ed estendere successivamente il progetto ad altre figure”. Luca Bastia

anno della definitiva consacrazione del Bring your own device? Il 2017. Lo dice Gartner, secondo cui fra quattro anni circa la metà delle imprese del pianeta attiverà programmi e strategie in questa direzione, stoppando gli acquisti di apparecchi di Pc portatili, tablet e smartphone per i propri addetti. La consumerizzazione dell’It conoscerà presto, quindi, un’ulteriore fase di sviluppo, aprendo le porte a cambiamenti di natura organizzativa e gestionale anche radicali. Oggi sono una minoranza, il 15%, le aziende che confermano di non voler sposare neanche in futuro il modello basato sull’uso in chiave business dei device di proprietà dei dipendenti. Il 40% sta considerando, invece, l’idea di offrire alla propria forza lavoro una doppia possibilità, conservando perciò l’opzione del dispositivo aziendale. Al vaglio di Cio e Cfo ci sono diverse variabili, e fra queste i costi: causa la crescita costante delle attività condotte in mobilità, fornire Pc e tavolette ai propri addetti può costare mediamente oltre 600 dollari l’anno per dipendente, cifra difficilmente sopportabile per i budget di spesa di molte imprese. Non a caso, secondo Gartner l’adozione del Byod è più marcata nelle compagnie con un giro d’affari compreso fra i 500 milioni e i 5 miliardi di dollari (quindi aziende medie e medio grandi ma non grandissime), registra

una diffusione doppia negli Stati Uniti rispetto all’Europa e gradimenti molto elevati da parte degli utenti soprattutto in Paesi come l’India, la Cina e il Brasile. Pochi progetti concreti e il rischio dei costi nascosti

Il rovescio della medaglia di un fenomeno che sulla carta sembra privo di ostacoli è la carenza di vere e proprie “case history”: solo il 22% dei responsabili It campionati da Gartner ha detto di averne realizzate in seno alla propria azienda. In molti casi ‒ questa la spiegazione data dagli analisti ‒ i progetti di mobility sono esplorativi, dunque privi di obiettivi chiari e di ritorni quantificabili. E questo sebbene il mercato offra un’ampia disponibilità di applicazioni mobili con parametri di Return of investment ben determinati. La proliferazione di dispositivi personali e delle app mobili in azienda comporta dei benefici, ma richiede maggiori misure per la sicurezza delle informazioni sensibili e la privacy, più licenze applicative da gestire e attività di assistenza tecnica. Il rischio di una maggiore confusione è tutt’altro che remoto. E c’è anche un potenziale problema legato alle spese extra, necessarie per “mantenere” un addetto attivo in un progetto Byod: spese che potrebbero triplicare dai 100 dollari l’anno attuali ai circa 300 previsti entro il 2016. G.R. 25


SCENARI | Personal Computer

Il Pc tradizionale non si vende più? i numeri e i trend della crisi Primo trimestre in profondo rosso per notebook e desktop, che perdono a volumi circa il 13% anno su anno. E la domanda scenderà ancora nel 2013, anche nei mercati emergenti. Per contro, è boom per i computer a tavoletta: in Europa se ne conteranno 147 milioni entro il 2017.

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L’

era del personal computer, così come l’abbiamo inteso per circa 30 anni, è finita? Forse no, ma sicuramente questo settore è a un crocevia mai incontrato prima: il Pc è cambiato, è sempre più mobile e l’evoluzione della domanda sta impattando fortemente sulle dinamiche di sviluppo dei nuovi prodotti. Quanto alle vendite, lo stato di crisi che attanaglia il comparto – tablet esclusi – è ormai conclamato (quattro, in attesa del responso del secondo periodo, i trimestri consecutivi chiusi in rosso) e incide sulle strategie future dei vendor. Nel primo trimestre del 2013 la domanda su scala mondiale di desktop e notebook ha evidenziato, secondo i calcoli di Gartner e Idc, una flessione record: il crollo delle vendite è stato infatti tra

l’11,2 e il 13,9% rispetto allo stesso periodo del 2012. Le unità spedite sono scese sotto quota 80 milioni. Per Idc il calo del 13,9% a fine marzo è il peggior risultato mai registrato in questo settore da quando (circa 20 anni fa) la società di ricerca ha iniziato a tracciarne l’andamento. Per Gartner la flessione del 20,5% in Europa Occidentale (12 milioni di unità spedite) è la più vistosa mai rilevata. A livello globale Lenovo è l’unico vendor che sia riuscito a chiudere i primi tre mesi in attivo in termini di volumi spediti, registrando comunque una battuta d’arresto e iscrivendo a consuntivo esattamente gli stessi numeri del primo trimestre 2012. Hewlett Packard, che di questo mercato è ancora l’azienda regina, ha perso oltre il 23%. E l’Italia? Segue la tendenza. Sirmi ha


confermato per il settore dei Pc client un incremento complessivo del 10% (oltre 1,8 milioni di pezzi) generato però solo grazie al boom dei tablet, le cui consegne nel trimestre sono salite del 146% a quota 884mila unità. Desktop e notebook sono crollati invece del 18,2 e del 29,1% rispettivamente. La cause del crollo di domanda

Il succo delle varie ricerche è chiaro: il mercato dei Pc vive una prolungata fase di passaggio a vuoto. La forte frenata di domanda, questo uno degli aspetti forse più preoccupanti, è stata significativa in tutte le regioni del mondo rispetto ai dati dei dodici mesi precedenti, nonostante i timidi segnali di ripresa dell’economia globale e dell’avvento sul mercato dei computer Windows 8. Idc fa a notare – ed è per i vendor un parziale motivo di ottimismo – che il crollo delle vendite ha riguardato in modo particolare l’ambito consumer; gli acquisti aziendali sono, infatti, lievemente in crescita, per quanto relativi all’aggiornamento del parco macchine programmato da tempo. Ma quali sono i motivi alla base del flop? La risposta, sempre secondo Idc, è in una

parola: tablet. Di riflesso c’è un’altra ragione (conosciuta) che spiega la caduta irreversibile di notebook e desktop. E cioè l’ancora scarso effetto sulla domanda generato dal nuovo sistema operativo di Microsoft, che paradossalmente sembra aver ulteriormente rallentato gli acquisti. La nuova interfaccia touch, i nuovi form factor incarnati dai modelli ibridi e convertibili e dai modelli ultrasottili (gli ultrabook) e i costi dei prodotti a listino hanno reso i Pc molto meno attraenti rispetto ai computer a tavoletta o agli smartphone di ultima generazione. Ed anche Gartner punta il dito sul maggiore interesse da parte dei consumatori per i dispositivi mobili, con ecosistemi sempre più ricchi di app. Da una parte la crisi economica ha contratto il budget di spesa delle famiglie, che dovendo scegliere hanno puntato sui prodotti touch ultra mobili e a basso costo; dall’altra la maggior parte di chi già possiede un Pc da due o tre anni non sente l’esigenza di cambiarlo con un modello più nuovo e resta ferma alla praticità d’uso dei tradizionali computer privi di interfaccia tattile. E lo stallo della domanda si è prolungato.

Stime in ribasso anche per il 2013

A raffreddare i già scarsi entusiasmi dei produttori ci hanno pensato ancora una volta gli analisti, anticipando come il venduto su scala mondiale scenderà quest’anno nell’ordine del 2% (ma si ventila anche un’ipotesi peggiorativa, superiore al 3%) rispetto all’anno precedente. La tendenza al ribasso dei volumi è quindi confermata, anche se al momento meno negativa di quanto consuntivato nel 2012, chiuso con una flessione delle vendite del 3,7%. A rallentare la corsa dei computer concorrerà anche la frenata di consumi nei mercati emergenti, che lo scorso dicembre hanno mostrato per la prima volta un rallentamento. Secondo Idc, la crescita di domanda prevista per i Paesi in via di sviluppo non supererà nel 2013 la soglia dell’1% e rimarrà a singola cifra fino al 2017. Per i mercati maturi (Usa, Canada, Europa Occidentale e Giappone), invece, l’anno appena iniziato sarà il terzo consecutivo in flessione e solo a partire dal 2014 il consuntivo dello spedito di notebook e desktop dovrebbe tornare lievemente in attivo. Gianni Rusconi

Tutti vogliono i tablet: ecco perché Viaggia di corsa il mercato dei tablet. E si tratta di una corsa accelerata, che non conoscerà rallentamenti di sorta anche negli anni a venire. Anzi. Secondo le proiezioni di Forrester, la penetrazione dei device a tavoletta in Europa andrà a quadruplicarsi in soli cinque anni. Se a fine 2012 un cittadino su sette del Vecchio Continente (33 milioni di persone) disponeva di un iPad o simili, entro la fine del 2017 gli adepti dei mini computer touch saranno 147 milioni, con una diffusione che passerà dal 14 al 55%. Paesi Bassi, Spagna e Italia, spiegano gli analisti, sono stati l’anno passato i primi tre bacini di sbocco delle tavolette (con

una penetrazione del 20, 18 e 16% rispettivamente) mentre la Francia si è piazzata in fondo alla graduatoria (con il 9%). A incentivare la migrazione da Pc a tablet concorre sicuramente, e l’assunto è a firma di Gartner, la proliferazione di dispositivi a prezzi più contenuti e con funzionalità più ampie, capaci di soddisfare le esigenze degli utenti. Passando sempre più tempo su tavolette e smartphone, osservano gli esperti, i consumatori non sentiranno più il bisogno di sostituire con frequenza il loro Pc. Detto che la nuova generazione di portatili ultralleggeri renderà meno evidente la nuova frenata di doman-

da per i laptop tradizionali, i numeri relativi ai tablet si commentano da soli. Nel primo trimestre (dati Idc) le tavolette vendute a livello mondiale sono state oltre 49 milioni. La stima di Gartner per l’intero anno è di 197 milioni di unità, il che significa un balzo in avanti del 69,8% rispetto al 2012. Nel 2017 si sfiorerà quota 470 milioni. 27


SCENARI | Big Personal data Computer

ma in italia il ”Vecchio” pc tira ancora Dall‘unione di Business Intelligence e sistemi informativi geografici nasce la GeoIntelligence.

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l personal computer tradizionale non morirà. Contro tutti i trend e le mode, i big del settore rispondono in modo unanime alla domanda che tanti nostalgici non posso fare a meno di porsi osservando l’ascesa inesorabile dei dispositivi mobili come tablet e smartphone e lo stallo dei computer “vecchio stile”. Per il desktop (inteso come unità centrale separata dal monitor) e per il notebook (quello potente ma con dimensioni e peso ragguardevoli) non è ancora il momento della pensione, quindi, anche se i nuovi fattori di forma riscuotono sicuramente più interesse. “Nell’area geografica di mia competenza”, dice Filippo Praticò, vice president e direttore della regione Sud Europa di Lenovo, “vediamo ancora una forte domanda di personal computer tradizionali, sia da parte delle grandi aziende sia della Pubblica Amministrazione. Al netto dell’ottimo andamento del business, che per Lenovo è in continua crescita (i risultati finanziari appena annunciati fanno effettivamente segnare una serie

Hp Elitebook 9470m 28

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di record positivi per la multinazionale, in controtendenza rispetto al mercato, ndr), le vendite dei formati tradizionali di personal computer non sono affatto rallentate”. La richiesta di personal computer, rallentata a causa dell’allungamento del ciclo di vita richiesto dalle aziende per poter contenere i costi, d’altra parte è sostenuta dall’imminente cessazione del supporto per le vecchie architetture di microprocessori e sistemi operativi. Cessazione che Intel e Microsoft presto annunceranno, al fine di spingere le soluzioni più moderne ed efficienti. “Le aziende che non l’hanno ancora fatto”, dice Praticò, “dovranno per forza mettere a budget la sostituzione delle vecchie macchine, per evitare di trovarsi scoperte sul fronte dell’assistenza e quindi della continuità del business. Che poi la scelta ricada sui nuovi form factor è probabile, già tanti clienti stanno acquistando in parallelo sia notebook tradizionali, sia dispositivi come i nostri Yoga ed Helix, potenti ma leggeri e flessibili. Un discorso a parte meritano i desktop: la nostra percezione è che stiano crescendo molto gli all-in-one, un segmento in cui noi abbiamo sperimentato un incremento del 35%. Il vecchio Pc sta diventando quindi più piccolo e touch”. Qualche distinguo invece arriva da Tino Canegrati, vice president e general manager di Hp Printing and Personal Systems Group, che rileva come “La crisi dei formati tradizionali è stato più evidente sui notebook che sui desktop, e più sensibile sul mercato consumer rispetto a quello business. Sulle famiglie,

In alto, Filippo Praticò, vice president e direttore della regione Sud Europa di Lenovo. Al centro, Tino Canegrati, Vice President e General Manager di Hp Printing and Personal Systems Group. Sotto, Livio Pisciotta, client maketing manager di Dell Italia.


Dell Xps 13

pesa infatti in misura maggiore il calo dei consumi e la riduzione del potere d’acquisto, oltre che la maggiore attrattività di altri dispositivi come tablet e smartphone”. Dal punto di vista di Hp, quindi, il mercato aziendale non ha subito grandi stravolgimenti, anche perché l’incremento della produttività personale è ancora tra le priorità dei Cio. “Contrariamente alla tendenza generale”, spiega Canegrati, “le imprese non hanno smesso di investire, soprattutto perché cercano di rendere più efficiente il personale in mobilità. Sul fronte delle grandi aziende, inoltre, il prezzo medio dei modelli acquistati è in aumento, perché i clienti si rivolgono a macchine più performanti, con dischi a stato solido invece

Per Acer il touch è questione di tempo Nella ormai famigerata “era post-Pc” Acer ha già messo piede e intende procedere a passo spedito. L’azienda taiwanese ha obiettivi ambiziosi nel mercato dei tablet, puntando per il 2013 alla soglia di 10 milioni di unità, e coltiva il filone dei modelli low cost con Android e schermi fra i 7 e gli 8 pollici (Iconia B1 e A1). Il mondo dei notebook non interessa più? Niente affatto, o meglio non se si considera nella definizione anche la nuova generazione di Pc con display tattile e tastiera mobile, generazione in cui rientrano anche i nuovi Aspire R7 e Aspire P3. “Nei prossimi sei mesi lanceremo ulteriori nuovi modelli”, annuncia Luca Rossi, vice presidente

dei tradizionali hard disk”. Nessun aspetto negativo nemmeno per l’avvento del Byod e per la proliferazione degli smartphone, che talvolta rendono meno indispensabile l’utilizzo di un Pc: “C’è stata la moda dei tablet”, dice Canegrati, “spinta dal top management, che trovava semplice ed efficace rivolgersi a questi strumenti e ha pensato quindi di farla adottare anche ad altre figure in azienda. Presto, i responsabili aziendali si sono però resi conto che i tablet sono perfetti per chi deve consultare le informazioni, ma non per chi deve produrle, così i notebook hanno ripreso terreno”. Vendite ibride, quindi, tanto è vero che tra i best seller di Hp ci sono sì i tablet, ma anche l’Elitebook 9470m, un prodotto di fascia alta che riscuote parecchio successo sul mercato delle imprese. Anche Dell è allineata con i competitor sul fronte di chi non pensa al prepensionamento dei personal computer tradizionali, anche se l’interpretazione di Livio Pisciotta, client maketing manager di Dell Italia si discosta da quella dei colleghi: “A mio parere si va verso una riduzione delle prestazioni favore di una

maggiore portabilità (nel caso dei notebook) o di form factor più accattivanti, come gli all-in-one, nel caso dei desktop. I nuovi sistemi operativi, infatti, sono meno assetati di risorse rispetto ai precedenti, e consentono di utilizzare macchine più leggere, in tutti i sensi”. Pisciotta mette in evidenza come in Italia l’abitudine di acquistare i “vecchi” formati sia ancora radicata. “In fondo”, spiega il manager, “i desktop tradizionali sono più facili da gestire e più economici da manutenere; hanno parti sostituibili, al contrario di molti modelli integrati, e hanno cicli di vita più lunghi dei portatili”. Emilio Mango

della regione Emea, “e quasi sempre contempleranno il touch almeno come opzione, ovvero si potrà scegliere se averlo o no con diverse configurazioni possibili”. A detta di Rossi, l’affermarsi del touch non è materia di discussione, ma semmai potrebbero esserlo le tempistiche. “Sicuramente lo scenario consumer va separato da quello professionale: nel primo l’adozione del touch in tutte le sue forme sarà rapida, e dall’attuale quota del 10% si arriverà già alla fine di quest’anno ad avere un 30% di notebook e tablet touch sul totale dei modelli consumer. Nel mondo aziendale non vedo, nell’immediato, un passaggio di questo tipo. L’Europa va verso il touch più lentamente rispetto al Nord America, mentre le imprese italiane sono ancora più indietro, con

una quota di Pc tattili che è intorno al 3% o 4% del totale”. Windows 8 aiuterà? “Sicuramente”, ammette Rossi, “finora ha dato meno stimolo alle vendite di Pc di quanto l’industria non si attendesse. Ma per vedere dei frutti ci vuole tempo, come per tutti i nuovi sistemi operativi”.

Lenovo Helix

Luca Rossi, vice presidente della regione Emea di Acer 29


DA OGGI TECHNOPOLIS è ANCHE ONLINE www.technopolismagazine.it

Uno spazio dedicato alla tecnologia per il business, caratterizzato dalla filosofia editoriale che ha decretato il successo della testata ma, in piĂš, dinamico e interattivo. Technopolis non poteva non avere anche una versione Web, dove troverete i numeri (sfogliabili) della rivista cartacea e tanti altri contenuti realizzati ad hoc. Uno spazio che da oggi aspetta anche il vostro contributo: inviateci commenti e suggerimenti; insieme proveremo a tradurre la tecnologia in casi di successo e a trasformarla nel vero motore della ripresa.

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ECCELLENZE.IT | Marcopolo Expert

un nuovo sito per GESTIRE la multicanalità Per sfruttare meglio il cross-selling e l'interazione con i social network, la catena dell'elettronica di consumo rinnova totalmente il proprio sito. Per trasformare il Web nel negozio più grande d'Italia.

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l Web ha cicli di vita rapidi, si sa. È per questo che nell’autunno del 2011 Marcopolo Expert ha deciso di fare una verifica delle prestazioni del proprio sito, lanciato pochi mesi prima, in aprile. “La conclusione fu che il sito non era già più adeguato alle nostre esigenze”, racconta Massimo Cova, Cio di Marcopolo Expert, “perché non ci permetteva di fare cose ormai indispensabili, come gestire il cross-selling, l’upselling e i canali social. In più, l’immagine non era per nulla allineata con quella della catena di negozi”. Siccome la multicanalità per Marcopolo era già allora una fede, venne subito stabilito di procedere a un “replatform” del sito. “Volevamo che il Web diventasse il nostro primo negozio”, prosegue Cova, “che ci permettesse di fare analisi dei dati. Insomma, la nostra non fu una decisione dettata da esigenze tecniche, ma di business. Per questo realizzammo una ricerca molto approfondita degli ope-

ratori del retail statunitensi, per capire quali fossero le strategie vincenti”. Lavorando a braccetto con il marketing (un evento sempre più frequente ma ancora raro in assoluto nel mondo dell’It), il Cio di Marcopolo ha eseguito una software selection molto accurata, esaminando a fondo le soluzioni e le piattaforme di tutti i principali vendor. “Abbiamo realizzato un documento di

600 punti”, dice Cova, “articolato tra requisiti per il business, per il consumer e per l’utente in mobilità. Alla fine, dopo uno slittamento dei tempi dovuto proprio all’estrema severità della selezione, abbiamo scelto la piattaforma Hybris, forse la più nuova sul mercato ma anche una delle poche a offrire tutte le funzionalità in un unico ambiente. Nonostante la soluzione fosse di livello enterprise, quindi tutt’altro che semplice da implementare, grazie ai partner Techedge e Frog siamo riusciti a terminare il progetto e andare online il 26 di novembre, in tempo per la campagna di Natale”. Con molti meno giorni-uomo di quelli che sarebbero stati necessari con altre piattaforme, oggi Marcopolo Expert può vantare un sito che da una parte offre all’utente una customer experience ricca e attraente, identica con qualunque device e omogenea con gli altri canali della catena, ma in grado soprattutto di aumentare il tasso di conversione delle visite in acquisti. GIUGNO 2013 |

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ECCELLENZE.IT | Seat Pagine Gialle

lontano da occhi indiscreti con l'autenticazione sicura La società di servizi Internet e Web marketing ha esteso il Single Sign-On a tutto il suo ambiente informatico, incluso Sap, grazie alle soluzioni di Dell Quest. Risultato: una maggiore sicurezza dei dati e un risparmio di tempo per gli amministratori It.

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roteggere informazioni riservate da occhi indiscreti, garantendo sicurezza e insieme semplicità in un ambiente It eterogeneo, composto da sistemi e tipi di dati diversi fra loro: questo lo scopo del processo di rinnovamento di Seat Pagine Gialle. Fondata nel 1925 come società di stampa degli elenchi telefonici, è oggi un’azienda che fornisce servizi Internet – dal Web marketing alla gestione di siti di e-commerce, dal couponing alle strategie sui social network – e che vanta una rete commerciale di 2mila dipendenti e 500mila clienti. La sua struttura It si articola in un datacenter contenente circa 900 immagini del sistema operativo, divise tra ambienti enterprise Windows e Linux. Già da tempo Seat Pg ha adottato il Single Sign-On (Sso), sistema che permette all’utente di sfruttare un’unica password per accedere a più aree protette e risorse: sulla base di Active Directory 2003 (versione dei servizi di rete di Microsoft che abilitano, fra le altre cose, il Single SignOn) era stata implementata la soluzione Dell Authentication Services. Soluzione che, oltre a semplificare le operazioni di accesso a dati e applicazioni, ha consentito all’azienda di gestire l’in32

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tegrazione tra sistemi operativi Linux e Windows. Il passo successivo è stato estendere il Sso anche alla piattaforma Sap. “La nostra area si avvaleva già della tecnologia Single Sign-On grazie a uno sviluppo personalizzato che coinvolgeva Active Directory 2003”, spiega Roberta LA SOLUZIONE Single Sign-on for Sap consente ai sistemi Unix e Linux di “unirsi” al dominio Active Directory, estendendo ai server Unix le conformità e la sicurezza dell’autenticazione per Sap basata su Ad: questo riduce drasticamente il tempo speso dall’It nella gestione delle password e relativi problemi, e allo stesso tempo offre una migliore user experience all’utente finale. Tecnologie di crittografia avanzata garantiscono la sicurezza e la riservatezza dei dati Sap inviati dal client al server. Inoltre, la soluzione si integra facilmente con altri prodotti Quest One Identity, che forniscono funzionalità complementari come governance degli accessi, gestione degli account privilegiati, identity intelligence, provisioning e automazione.

Politano, responsabile dell’area progetti, architetture e sicurezza tecnologica di Seat Pg. “Successivamente, abbiamo fatto partire un piano di rinnovo tecnologico che prevedeva il passaggio da Ad 2003 ad Ad 2008, e che richiedeva un prodotto all’avanguardia che ci garantisse un supporto adeguato insieme alla possibilità di sostenere un’evoluzione nel tempo”. Con l’aggiornamento ad Ad 2008, infatti, erano sorti problemi con il codice personalizzato in uso fino a quel momento. Si è dunque deciso di valutare prodotti di terze parti e la scelta è ricaduta ancora una volta su Dell, che offre un modulo nativo “Single Sign-on for Sap”; la soluzione è stata implementata da Quest Software, oggi parte della stessa Dell. “Durante il periodo di trial il nostro staff It non ha riscontrato la necessità di rivolgersi al supporto tecnico, né si sono verificate difficoltà nel corso dell’implementazione vera e propria, che ha richiesto l’acquisizione di circa mille licenze” ha dichiarato Politano. Seat Pg ha dunque raggiunto l’obiettivo di estendere il sistema di autenticazione unica a Sap, e allo stesso tempo ha ottenuto un ambiente omogeneo unificando i sistemi Unix e Linux.


ECCELLENZE.IT | La Feltrinelli

Retail senza segreti grazie alla business intelligence Il percorso di revisione del sistema It del gruppo, iniziato all’alba del nuovo millennio, ha uniformato il data warehousing e la reportistica di quasi tutte le aree di business. L’ambiente MicroStrategy analizza i dati di vendite, clienti, attività di marketing e acquisti. LA SOLUZIONE L’ambiente MicroStrategy è stato inizialmente implementato per le funzioni di marketing e poi per le vendite, e attualmente è in fase di estensione al comparto acquisti. La soluzione rivolta al settore retail include funzioni di business analytics sui dati dei clienti (anagrafica e comportamenti d’acquisto), sul contesto in cui è inserito il negozio, sulle vendite e sull’inventario, sull’efficacia delle attività di marketing, sulle performance dei singoli punti vendita e altro ancora.

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n assortimento medio di 35mila libri, ma si arriva a 65mila nei negozi più grandi, senza contare Cd, Dvd, videogame, strumenti musicali, articoli di cartoleria e giochi. Un catalogo che tocca i 200mila titoli librari, con 50mila nuovi inserimenti annui. E poi i clienti, cioè i 46 milioni di visitatori annui e due milioni e mezzo di fedelissimi del programma Carta Più. Sono alcuni dei numeri che descrivono le attività retail del gruppo La Feltrinelli, numeri che da soli suggeriscono l’importanza di poter disporre di un sistema It capace di analizzare questa mole di dati. “Prima del 2000”, racconta Giovanni Tedesco, responsabile sistemi informativi di La Feltrinelli, “non esisteva un vero sistema It in azienda. Perfino le casse non erano computerizzate e quindi non alimentavano nessun data warehouse”. È con il nuovo millennio che il gruppo cominciò a definire una vera e propria architettura It, preoccupandosi di evitare che la gestione dei dati venisse lasciata

all’iniziativa individuale. “L’azienda stava cambiando e soprattutto stava integrando altre organizzazioni”, prosegue Tedesco, “e il rischio concreto era quello di portare avanti più sistemi informativi diversi, con più fonti di dati e differenti versioni della verità”. Il primo passo fu quello di rivolgersi a Fujitsu per uniformare il sistema di casse, e su questa base costruire report e funzioni statistiche per monitorare le vendite. Secondo step fu la semplificazione del data warehouse e degli strumenti di reporting, ottenuta mappando i sistemi e i processi fino ad allora in uso ed eliminandone le inefficienze, mentre il problema dell’uniformità venne risolto adottando la soluzione di reporting Retail Business Analyst di Fujitsu. Il salto di qualità verso la business intelligence lo segnò MicroStrategy: l’ambiente fu adottato prima dal personale del marketing, seguito a ruota dall’ufficio vendite. “A parte la prima reazione di disorientamento”, racconta Tedesco, “la soddisfazione fu totale perché

gli utenti potevano godere di una grande flessibilità ed efficienza nell’uso dei report, ma soprattutto potevano contare su un’unica fonte. Da allora non ho più sentito nessuno lamentarsi”. Fu poi la volta, di nuovo, di un’altra soluzione di Fujitsu, Loss Prevention, specifica per le aziende del settore retail. E il presente? Oggi La Feltrinelli sta automatizzando la reportistica relativa agli acquisti, destinata per il momento ai dipendenti della sede centrale. “Oggi i report sono schedulati in modo automatico e tutti i lunedì mattina sono già disponibili sul portale creato in ambiente MicroStrategy”, spiega Tedesco. “Nel prossimo futuro anche i report destinati ai singoli negozi, che oggi dopo una prima rielaborazione vengono inviati via email ai responsabili dei punti vendita intasando le caselle di posta, saranno pubblicati nella Intranet aziendale o caricati sul portale”. Nei prossimi mesi l’ambiente unificato di BI sarà ulteriormente esteso alle attività di e-commerce e al mondo social. GIUGNO 2013 |

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ECCELLENZE.IT | Università di Pordenone

anche l'ateneo si virtualizza Per le 150 postazioni dei laboratori, il Consorzio Universitario di Pordenone sceglie la virtualizzazione di Citrix. Perché le esigenze di un'organizzazione educativa sono molto diverse da quelle del business.

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l Consorzio Universitario di Pordenone, nato nel 1992, è l’ente che coordina i corsi di laurea triennali e magistrali, quelli di perfezionamento e i master attivati presso il Polo Universitario di Pordenone dalle Università di Udine e di Trieste, da Isia Roma Design e dal Politecnico di Milano. Un’offerta formativa ad alto contenuto informatico, che richiede un utilizzo considerevole di laboratori dotati di svariati software, tra cui programmi per elaborazioni matematiche, grafica computerizzata, progettazione assistita ed elaborazione del suono. L’elevato numero di postazioni (più di 150) con configurazioni hardware e software completamente diverse, unito alla complessità dell’erogazione didattica (ogni docente richiede un software specifico per la sua materia) rende l’infrastruttura It molto complessa e, soprattutto, la sua gestione e manutenzione estremamente onerose. Infine, l’ambito accademico esige un approccio al problema completamente diverso dal settore business, un approccio dettato dal ritmo dell’erogazione didattica. Ogni anno accademico, il medesimo corso può essere condotto da docenti diversi, e questo significa l’utilizzo di software differenti, con le conseguenti ripercussioni a livello sistemistico. Tutto ciò comporta la necessità di procedere spesso alla modifica delle configurazioni software delle postazioni, di gestire continuamente nuovi rilasci, nonché di reinstallare frequentemente i sistemi operativi per garantirne la stabilità. Fin da subito è stato chiaro che le nuove frontiere della virtualizzazione potevano essere la soluzione ideale per gestire la dinamicità dei laboratori e per permettere ai 1.300 studenti di utilizzare anche i propri Pc. Ed è parso evidente che le 34

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soluzioni implementate con successo in ambito aziendale potevano non essere altrettanto efficienti in questo contesto. Era quindi importante provare le alternative in commercio per capirne le potenzialità: sono stati, perciò, realizzati vari laboratori sperimentali per lo screening e la valutazione dei prodotti. “La soluzione XenDesktop e l’esperienza di Citrix nel settore della virtualizzazione desktop ci hanno favorevolmente impressionato” afferma Andrea Zanni, responsabile information technology del Consorzio di Pordenone per la formazione superiore, gli studi universitari e la ricerca, “così abbiamo realizzato un progetto pilota, con un periodo di valutazioni di tre mesi, che ha coinvolto in prima battuta gli studenti del corso di comunicazione multimediale e tecnologie dell’informazione. Questo è stato un valido test per la futura implementazione del progetto e per la virtualizzazione di tutti i laboratori informatici con la soluzione Citrix, su un totale di oltre 150 postazioni”.

LA SOLUZIONE La soluzione implementata si è rivelata molto scalabile, offrendo la possibilità di utilizzare i software di proprietà del Polo Universitario anche agli studenti che si collegano da remoto e seguono le lezioni in videoconferenza, senza bisogno di hardware dedicato o installazioni software specifiche. Il Consorzio ha registrato una considerevole diminuzione del carico di lavoro per la gestione e manutenzione delle macchine e, sia pur con il progetto pilota, è stato calcolato un risparmio di circa il 60% di termini di tempo di manutenzione. Degno di nota anche l’evidente risparmio economico, circa il 15%, conseguito grazie alla soluzione XenDesktop, dato che le licenze dell’hypervisor XenServer in versione Enterprise sono gratuite, assicurando tutte le funzionalità di alta affidabilità che con altri vendor sarebbero state a pagamento.


ECCELLENZE.IT | Beretta

le inefficienze it nel mirino del leader della caccia Le soluzioni di Oracle sono il cuore del rinnovamento tecnologico portato avanti da Fabbrica d’Armi Pietro Beretta: dai sistemi gestionali che coprono tutte le attività aziendali al data warehouse, dalla business intelligence ai server.

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on sono molte le aziende italiane che possono vantare sulla carta d’identità quindici generazioni di gestione familiare: la Fabbrica d’Armi Pietro Beretta è una di queste, e a dispetto dell’età (la più antica fattura di vendita è datata 3 ottobre 1526) oggi è in linea con la tecnologia più moderna. La società, che oggi produce armi sportive, ottiche e abbigliamento, ha scelto le applicazioni, la tecnologia e i sistemi server di Oracle per rinnovare le proprie risorse It. Il settore di riferimento è certo delicato, specie per la necessità di essere conformi con il vasto corpo di leggi che regola il commercio di armi nei diversi Paesi: per questo motivo il processo di revisione It dell’azienda, iniziato nel 2011, è stato da un lato orientato al recupero di efficienza, e dall’altro allo sviluppo di funzionalità verticalizzate, in grado di garantire la conformità normativa. “Maggiore efficienza e soddisfazione del cliente sono i principali obiettivi che ci stanno guidando lungo questo articolato progetto”, ha dichiarato Daniele

Bertoni, direttore organizzazione e sistemi di Fabbrica d’Armi Pietro Beretta. “Siamo fiduciosi di poter raggiungere risultati molto importanti in questo senso, contando anche sul supporto che saprà darci il nostro nuovo sistema informativo”. LA SOLUZIONE L’azienda ha adottato tutti i moduli di Oracle JD Edwards EnterpriseOne, una suite di Enterprise Resource Planning per la gestione finanziaria, della produzione, dei progetti, del ciclo di vita degli asset, degli ordini, delle relazioni con i clienti e di altre attività. Per migliorare l’automatizzazione delle operazioni, le applicazioni sono state ottimizzate con il sostegno della società di consulenza GN. Sul fronte del data warehouse, i nuovi sistemi applicativi e di Business Intelligence poggiano su Oracle Database, mentre per quanto riguarda l’hardware l’azienda è migrata su due server Oracle Sparc T4.

Lo scorso anno il sistema Erp di Oracle ha definitivamente sostituito le applicazioni legacy prima utilizzate per governare i processi amministrativi delle tre business unit Armi, Abbigliamento e Servizi, il controllo di gestione, i cespiti e gli acquisti non-stock. Altre innovazioni sono state l’apertura di un portale per i fornitori di componenti, l’implementazione di applicativi per la gestione del magazzino avanzato (in cui armi e componenti sono conservati con l’ausilio di avanzate tecnologie di tracciamento), di imballaggi e trasporti, produzione, ordini e fatturazione. Inoltre è stato introdotto un nuovo sistema basato su Oracle Business Intelligence a sostegno delle attività di analisi dati e reportistica. “La strategia di Oracle”, ha sottolineato Sauro Romani, alliances & channels country leader di Oracle Italia, “è di mettere a disposizione uno stack completo di risorse hardware e software che consentano alle imprese di eliminare le complessità dall’It, per focalizzare la propria attenzione sull’innovazione del business”. GIUGNO 2013 |

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ITALIA DIGITALE

DOVE SI È PERSA L’AGENDA MAGICA?

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anti punti in sospeso. Decreti attuativi ancora nel limbo. Assenza di risorse per finanziare voci di spesa a suo tempo previste. Il cammino dell’Agenda Digitale, a sei mesi dalla sua investitura come legge dello Stato all’interno del Decreto Crescita 2.0, è tortuoso e soggetto a rallentamenti forzati, spesso poco comprensibili. Con il contorno del solito rimpallo di responsabilità e titolarità decisionale. Un’altra, l’ennesima, occasione persa per cambiare faccia al Paese? Vedremo. Certo, smarrire il filo dell’iter dei provvedimenti pensati per innovare Pubblica Amministrazione e altri processi è molto facile. Possibile che la rivoluzione digitale osannata da più parti sia stata mestamente dimenticata in un angolo o in qualche cassetto? Il richiamo all’Agenda, nel suo discorso di insediamento alla Camera (il 29 aprile), il premier Enrico Letta l’aveva anche fatto, ma senza specificare le modalità attraverso le quali trattare l’argomento. Di ministri o sottosegretari ad hoc, per il momento, neppure l’ombra e l’operatività dell’Agenzia per l’Italia digitale (si veda l’articolo nell’altra pagina) è tutt’altro che a pieno regime. Come agire? Fare in fretta

Solo una parte dei provvedimenti previsti dal documento divenuto legge lo scorso dicembre è già in vigore. Per molti altri si attendono i decreti attuativi e le risorse. Che oggi non ci sono. I tempi si allungano e la promessa di innovazione digitale del Paese vive, per ora, solo sulla carta.

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Un consiglio sul da farsi per sbloccare la nuova empasse è arrivato nelle scorse settimane dal presidente di Confindustria Digitale, Stefano Parisi, già molto prodigo di suggerimenti lo scorso autunno per i “padrini” del documento digitale, Mario Monti e Corrado Passera. Snellire e strutturare la governance, portando sotto l’unica responsabilità del premier il programma dell’Agenda e affidando-


ne l’esecuzione (con delega mirata) a un sottosegretario alla Presidenza del Consiglio. Questo il da farsi secondo Parisi, che ha ricordato come il 38% delle risorse professionali oggi ricercate dal settore Ict non sia reperibile nel mercato del lavoro italiano. Non meno esplicito è stato il monito del numero uno di Confindustria, Giorgio Squinzi, che poche settimane fa ha chiesto al premier di rendere subito operativa l’Agenzia etichettando tale azione come “vitale per tutto il Paese”. Se l’Agenda Digitale si blocca, questo lo scenario, il necessario processo di innovazione della macchina pubblica rischia di arenarsi e con esso le speranze che questo faccia da volano alla ripresa dell’economia del settore Ict, in forte sofferenza ormai da un biennio e con limitate prospettive di uscire dalla crisi almeno per l’anno in corso. Per non parlare del mancato contributo al Pil, che solo con l’attuazione di tutte le misure dell’Agenda (la stima è della Commissione europea) potrebbe invece crescere fino al 5%. Le azioni in sospeso, dall’anagrafe unica alle start up

Per avere un’idea di quanto resta da fare per mettere in atto l’Agenda si può ri-

Il paradosso dell’Agenzia Doveva essere il braccio operativo per realizzare i provvedimenti dell’Agenda. Rischia di essere l’ostacolo più grande alla sua attuazione. L’Agenzia per l’Italia Digitale è l’emblema (non l’unico) delle difficoltà tutte italiane nel portare avanti progetti di rinnovamento già approvati a livello istituzionale. Dopo le infinite discussioni per arrivare alla nomina del suo direttore generale, ecco il problema dello statuto. Il nuovo governo ha deciso di riprenderlo in mano, si pensa per apportare

correre ad alcuni numeri. Otto sono le misure ancora nel limbo, mentre solo cinque quelle già in vigore senza necessità di ulteriori passaggi formali. I rimanenti sei provvedimenti, dei 19 introdotti complessivamente dal Decreto, dovrebbero entrare in vigore fra quest’anno e il biennio 2014-15. Nella zona d’ombra, causa mancanza dei decreti attuativi, si trovano progetti che avrebbero dovuto impattare da subito sull’efficienza e sulla qualità dei servizi amministrativi: documento digitale unificato (carta di identità, codice fiscale e carta sanitaria riunite in un’unica tessera a microchip), anagrafe unica (c’è da mettere a fattor comune le decine di applicazioni software che oggi gestiscono le oltre 8mila anagrafi comunali), i certificati di nascita e morte e il domicilio in forma digitale, oltre al fascicolo sanitario elettronico (pratica ferma sul tavolo della Conferenza Stato-Regioni). Non meno importante, all’insegna della massima trasparenza dell’apparato pubblico, era considerata la questione open data, le cui modalità di attuazione sono ancora (al momento in cui scriviamo) al vaglio dell’Agenzia. Nel dimenticatoio, per chiudere, sono finiti i “pacchetti” per la riduzione dei costi per gli ope-

ratori telco relativamente alle opere di cablaggio per la fibra ottica, per cui si attende il piano attuativo da parte del Ministero dello Sviluppo Economico, e gli incentivi fiscali alle start up, che aspettano la copertura del Ministero delle Finanze. I bene informati sulla materia ipotizzano, in linea generale, slittamenti fra i sei mesi e l’anno per la messa in opera dei provvedimenti rispetto ai temi annunciati in sede di emanazione del decreto. Per il momento occorre accontentarsi dei due bandi di gara lanciati nei mesi scorsi per le smart city (quello più importante da 665 milioni di euro) e dei circa 900 milioni stanziati nel complesso per eliminare entro il 2014 il digital divide nelle aree depresse. E mentre la nostra Pa aspetta alla finestra gli eventi, il gap in fatto di innovazione con gli altri Paesi aumenta. Assintel ha ricordato come in Europa siamo al 15esimo posto nel gruppo dei “moderate innovator” e come il World Economic Forum classifichi l’Italia al 51esimo posto quanto a capacità di usare le tecnologie per sviluppare competitività e benessere per i cittadini. Numeri che dicono molto, se non tutto. Gianni Rusconi

modifiche rispetto a quanto stabilito dal precedente esecutivo. Il punto è che senza statuto l’Agenzia non può operare, e senza un comitato di indirizzo non può espletare le funzioni assegnatele dal decreto Crescita 2.0. I rilievi organizzativo-procedurali avanzati dalla Corte dei Conti hanno bloccato l’iter di ratifica dello statuto, ma certo non possono essere la causa prima e unica del suo perdurante stallo. Anche la mancata nomina del rappresentante delle Regioni nel Comitato direttivo, che a fino a tutto maggio era pendente, non può essere ritenuta una barriera insormontabile, per quanto burocraticamente rilevante.

A minare il ruolo dell’ente c’è qualcosa di più profondo. C’è il mancato accordo sulla governance della stessa (divisa fra quattro ministeri), c’è la guerra sulle deleghe, c’è il problema del reperimento dei fondi, problema che solo il ripristino del Dipartimento per la Digitalizzazione e l’Innovazione sotto la guida della Presidenza del consiglio potrebbe risolvere. L’attuale direttore, Agostino Ragosa, ha ribadito a più riprese una sorta di mantra: “L’Agenzia va avanti lo stesso”. Già, ma come? Ne sapremo di più il 30 giugno, data fissata per la discussione della relazione sullo stato di avanzamento dei lavori per la digitalizzazione dell’Italia? Improbabile. 37


ITALIA DIGITALE | Pubblica Amministrazione

Cloud, open source, e-procurement: il settore pubblico cambia marcia Il cambio di pelle della macchina pubblica passa per l’utilizzo più strutturato delle risorse informatiche. L’Agenzia per l’Italia Digitale e il Consip sono i principali attori di un’opera di razionalizzazione necessaria. Ma i vincoli normativi, organizzativi e burocratici non mancano.

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l Direttore generale dell’Agenzia per l’Italia Digitale, Agostino Ragosa, ha un preciso piano in testa ed è quello di realizzare, parole sue, la “prima grande opera di centralizzazione e razionalizzazione dell’informatica pubblica”. Un progetto ambizioso, che nemmeno l’inoperatività formale dell’ente da lui guidato sembra, almeno sulla carta, poter ridimensionare. Tanto che lo stesso Ragosa ha reso di pubblico dominio la natura di alcune misure che, come si spera, faranno capo all’Agenzia, a cominciare da quelle (attese per fine giugno) relative alle linee guida per la Pa in tema di cloud computing e ai sistemi per gestire i dati dell’Anagrafe unica nazionale. La sfida da vincere nel medio periodo è quella di dare vita a 40 data center certificati da cui erogare a cittadini e imprese tutti i servizi degli enti locali e centrali. Un grande progetto di cloud pubblico, l’ha definito Ragosa, che inizierà a materializzarsi con l’assegnazione alla Consip del bando da 2,7 miliardi di euro destinati al nuovo Sistema pubblico di connettività. Che occorra mettere mano al cuore informativo della macchina 38

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pubblica è chiaro, perché una struttura con circa 5mila centri di elaborazione dati non è sostenibile economicamente e neppure sicura. Per questo la Pa deve rivoluzionare il suo scheletro tecnologico e adeguarlo alle normative vigenti, deve riorganizzare le sale macchina per soddisfare i requisiti di affidabilità Tier 4, e deve dotarsi di una rete capace di assecondare i carichi di un’infrastruttura data centric che integrerà anche la fonia e gestirà alcuni servizi in remoto. L’obiettivo di Ragosa, in estrema sintesi, è quello di costruire una “enterprise public infrastructure” fortemente orientata al cloud e che sia anche un vero e proprio asset dello Stato e non una sorta di buco nero dove finiscono qualcosa come 10 miliardi di euro l’anno (tanta è la spesa per le risorse Ict della macchina pubblica). Per arrivarci, secondo il direttore dell’Agenzia, serviranno innanzitutto norme ad hoc per ordinare come bene strategico l’infrastruttura tecnologica della Pa, visto che oggi non è considerata tale. Software libero per le infrastrutture server

La gara telematica per la stipula di un

accordo quadro annuale dal valore di otto milioni di euro avviata qualche settimana dal Consip (e chiusasi il 23 maggio) va registrata come importante, e non solo per il valore economico della gara. La gara in questione, infatti, è stata la prima in assoluto nell’ambito dei sistemi operativi e delle infrastrutture server open source e vuole rappresentare il primo gradino di un percorso “virtuoso” di adozione di soluzioni basate su codice sorgente di tipo aperto da parte degli enti pubblici. Un percorso che interessa, e questa è l’altra sottolineatura da fare, diversi ambiti di applicazione del software libero, dalla mobility al middleware, dalle infrastrutture It critiche allo storage. La peculiarità del pro-


alcuni degli esperti incaricati sono per una linea interpretativa delle norme in materia poco favorevole alle tecnologie stesse. Eppure la legge (art. 68 del Codice dell’Amministrazione Digitale) dice chiaramente che le pubbliche amministrazioni sono invitate in sede di acquisizione di programmi informatici a tenere in debita considerazione ‒ rispetto a vari parametri, costi ovviamente compresi ‒ anche il software libero o a sorgente aperto. A questo, oltretutto, in uno specifico comma viene attribuita la preferenzialità rispetto ai programmi informatici di tipo proprietario accessibili con licenza d’uso. Acquisti online, un passo avanti

getto risiede, infine, nella possibilità che le pubbliche amministrazioni realizzino appalti specifici e personalizzabili su misura che prevedano la fornitura di servizi legati ai sistemi operativi open in ambito server (formazione, supporto alla migrazione infrastrutturale da sistemi Unix), con l’obiettivo finale di facilitare l’adozione di questo strumento per differenti casistiche di applicazione. Il rovescio della medaglia però non manca, ed è legato ai dubbi emersi nei confronti del software libero e del suo utilizzo in seno agli enti della Pa. Il tavolo di lavoro costituito dall’Agenzia per l’Italia Digitale non ha, infatti, partorito al momento le linee guida per l’adozione delle tecnologie open source: perché, sembra,

Su Consip, l’organismo che centralizza una parte degli acquisti per la pubblica amministrazione, si sono scritte spesso parole critiche, tese a evidenziare i limiti di una struttura che grazie alle tecnologie potrebbe contribuire in modo sostanziale al processo di efficientamento della macchina pubblica. C’è, però, un dato che premia l’operato dell’ente controllato dal Ministero dell’Economia e delle Finanze, ed è quello della media degli acquisti effettuati online per conto degli enti pubblici, pari al 5% del totale e superiore alla media nazionale del 3%. Un elemento da cui partire, perché sicuramente migliorabile e perché gli strumenti tecnologici e normativi per farlo esistono. Latitano ancora, invece, specifiche procedure operative e di controllo (sono circa 100mila i buyer per la categoria beni e servizi) per poter svoltare con decisione verso l’e-procurement. L’auspicio è che dalle gare telematiche gestite dal Consip possano transitare più degli attuali 29 miliardi di euro che l’ente presidia direttamente sui circa 140 miliardi che costituiscono la spesa per beni e servizi della Pa, e che la percentuale di acquisti effettivamente gestita online possa crescere sensibilmente rispetto al 10% registrato a fine 2011. Piero Aprile

le Società in-house sono privilegiate Un emendamento proposto dalla Camera in sede di conversione del decreto sui pagamenti dei debiti della Pa ha inserito in cima alla lista dei beneficiari le società regionali, che a loro volta dovranno usare le risorse ricevute per azzerare i crediti dei rispettivi fornitori. L’esecutivo ha quindi accolto l’appello avanzato da Assinform per includere nel provvedimento di cui sopra le oltre 30 aziende Ict in-house italiane (di proprietà degli enti locali o aziende partecipate dalle Pubbliche Amministrazioni) partendo dal presupposto che i crediti del settore tecnologico ammontino a una cifra stimata tra 1,7 e 2 miliardi di euro. Un enorme fardello, così l’ha definito l’organismo associativo di Confindustria, che si raffronta a una spesa pubblica annua in informatica nell’ordine dei 3,7 miliardi di euro. Risolta la questione dei ritardati pagamenti, per le società in-house di Regioni e Province Autonome si profila ora una nuova sfida, e cioè quella di agire sul territorio come braccio operativo dell’Agenzia per l’Italia Digitale, con l’obiettivo di lavorare in equilibrio con l’offerta e gli ecosistemi Ict locali. Forte autonomia sull’uso delle risorse economiche, umane e tecnologiche a disposizione, e altrettanto forte relazione con l’Agenzia: questi i due cardini che dovranno ispirare il nuovo corso delle Ict in-house, fra i cui compiti c’è naturalmente anche quello di contribuire alla riduzione dell’attuale frammentazione del sistema Ict pubblico. A cominciare dalla razionalizzazione delle infrastrutture hardware, riducendo il numero dei data center. 39


OBBIETTIVO SU | Huawei

smartphone in salsa di soia Relativamente giovane, fondata nel 1987, Huawei è diventata uno dei maggiori fornitori globali di reti di telecomunicazioni. Oggi compete anche nel mercato dei telefoni cellulari, grazie al favorevole rapporto prezzo/qualità dei suoi modelli.

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prodotti e le soluzioni di Huawei sono utilizzati da 45 dei primi 50 operatori globali e sono impiegati da oltre 100 nazioni, che rappresentano circa un terzo della popolazione mondiale. Grandi numeri per quella che è una società privata, detenuta al 100% dai suoi dipendenti e costantemente impegnata nello sviluppo della propria gestione in accordo con le best practice internazionali. La mission dichiarata della multinazionale è quella di garantire agli utenti finali un’esperienza ottimale nelle comunicazioni convergenti, attraverso qualsiasi dispositivo. Huawei ha registrato una crescita sostenuta nel 2012, con un fatturato di

35,35 miliardi di dollari e un profitto netto di 2,47 miliardi. Grazie all’esperienza sviluppata nelle reti fisse, mobili e nella comunicazione dati su Ip, una società relativamente giovane (fondata nel 1987) è diventata un player di rilievo nell’era della convergenza. Per far fronte alle sfide imposte dai cambiamenti climatici, Huawei ha, inoltre, lanciato una serie di soluzioni ecosostenibili per aiutare i propri clienti a ridurre i consumi energetici e le emissioni di anidride carbonica. La compagnia è strutturata in tre divisioni (Carrier, Enterprise e Consumer) per offrire servizi diversificati e per rispondere a esigenze specifiche.


huawei occupa 150mila dipendenti, che sono anche azionisti della societĂ . un modello che guarda sia alla cultura imprenditoriale occidentale sia alla partecipazione popolare tipica della cina.

SHENZHEN, nel Sud della Cina, è il quartier generale della multinazionale. Nel campus appena fuori dalla città sono sorti palazzi di grande impatto visivo, progettati da architetti di fama mondiale. Nella foto a fianco, il magazzino centrale, che contiene oltre 3.000 diverse referenze. A sinistra in alto il call center globale.

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OBBIETTIVO SU | Huawei

Huawei dedica molte risorse alla ricerca e al test dei prodotti. Il centro destinato a queste attivitĂ occupa uno degli edifici piĂš grandi e architettonicamente significativi dell'intero quartiere.

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LA CRESCITA Nel 2012 le tre divisioni di Huawei sono cresciute con percentuali comprese tra il 6 e il 25%. Il fatturato ha raggiunto i 35,35 miliardi di dollari.

vita sociale Molti dipendenti alloggiano nel condominio all'interno dell'area del quartier generale a Shenzhen, conosciuto anche come Bai Cao Garden. Il complesso è costituito da 10 edifici in stile europeo e gli appartamenti sono gestiti da una società immobiliare. Dentro il perimetro dell'headquarter c'è anche la Huawei University.

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OBBIETTIVO SU | Huawei

NEL DICEMBRE 2008 BUSINESS WEEK AVEVA NOMINATO HUAWEI COME UNA DELLE AZIENDE PIù INFLUENTI AL MONDO. NEGLI ANNI SUCCESSIVI, LA QUOTA DI MERCATO DELLA MULTINAZIONALE è CRESCIUTA A RITMI VERTIGINOSI.

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LA SOSTENIBILITà è uno dei valori fondanti della multinazionale cinese, che ha realizzato presso la sede centrale uno showroom interamente dedicato alle tematiche green (pagina a fianco in alto).

LA RICERCA è sicuramente una delle attività strategiche per Huawei, in queste pagine, le immagini di tecnici e ingegneri impegnati nella manutenzione dei sistemi e nel test dei prodotti.

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SOCIALYTICS CONFERENCE SOCIAL MEDIA ANALYTICS: STRATEGIE E STRUMENTI PER VALORIZZARE LA CUSTOMER EXPERIENCE

L’universo digitale sta crescendo, stima IDC, a un ritmo del 50% all’anno: nel 2015 il volume dei contenuti digitali sfiorerà gli 8 ZB. Il 90% di questo volume è prodotto da dati non strutturati, per lo più generati attraverso i social media. Si tratta di dati carichi di informazioni importanti, ma più difficili da analizzare e comprendere. Ciò comporta non solo l’adozione di specifici strumenti di analisi, ma anche un ripensamento a livello infrastrutturale e applicativo per rispondere alla necessità di raccogliere ed elaborare tutto questo universo destrutturato, integrandolo con sistemi aziendali di CRM, collaborazione ed ERM e con soluzioni di Business Analytics. PERCHÉ PARTECIPARE • Comprendere l’effettiva valenza di una strategia mirata all’utilizzo di strumenti di Socialytics: a cosa servono e perché non se ne può più fare a meno • Come portare la Social Media Analytics in azienda: i principali ostacoli all’adozione • Conoscere metriche e KPI per i social media • Comprendere l’effettivo livello di integrazione tra soluzioni di Social Media Analytics e IT • Come coordinare competenze, sforzi e obiettivi delle funzioni IT, marketing e business • Come definire obiettivi social e allinearli con quelli di business

KEYNOTE SPEAKER Misurare l’efficacia di un progetto di social media marketing Andrea Andreutti, Head of Interactive Marketing, Samsung

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VETRINA HI-TECH

Il futuro È legato al fattore display L’alto tasso di innovazione di questa nuova categoria di prodotto basterà a far soccombere i Pc tradizionali, affermando in modo stabile l’era del touch anche al di fuori del mondo consumer? Molto dipenderà dalla propensione delle aziende al rinnovo del parco macchine e, parallelamente, dalla loro apertura verso il modello del Bring your own device, per il quale i dipendenti tenderanno a utilizzare dentro e fuori dall’ufficio strumenti con un Dna di portabilità molto forte e definito. Inoltre, un elemento cruciale sarà il prezzo dei display: attualmente è soprattutto l’acquisto dei pannelli tattili a incidere sui costi sostenuti dai produttori, ma questo handicap andrà via via assottigliandosi. Per citare qualche numero, secondo la società di ricerca DisplaySearch entro il 2017 le spedizioni di Pc portatili arriveranno a quota 762 milioni di unità, delle quali solo 183,3 milioni saranno notebook privi di tecnologia tattile, con un calo del 10% rispetto ai livelli attuali. E in tempi ancora più brevi, cioè fra quest’anno e il 2014, le consegne di notebook touch subiranno già un’impennata del 48%.

IL TOUCH, NUOVO VOLTO DEI PC

Form factor innovativi, ma anche strumenti di produttività legati a Windows 8. Ecco i protagonisti dell’era post-Pc.

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a supporto per la fruizione passiva, per la navigazione e la riproduzione audio e video, a strumento per la creazione di contenuti. Da dispositivo squisitamente leisure, a un’identità sempre più orientata (anche) al lavoro e alla produttività. Il mondo dei tablet sta cambiando, e non con un’evoluzione unidirezionale ma frammentandosi in più categorie di prodotto e, dunque, pubblici di riferimento. È colmando lo spazio intermedio fra puro intrattenimento e pura operatività che sono nati – su input, fra gli altri, di Asus con la sua gamma Transformer – i tablet ibridi, capaci di trasformarsi in notebook sottili o ultrabook che dir si voglia, grazie a una tastiera removibile e agganciabile allo schermo secondo meccanismi vari. Il passo successivo è arrivato con Windows, o meglio con Windows 8: un sistema operativo nato, a differenza di Android, pensando da subito anche all’utenza di professionisti e studenti, quella che non può rinunciare agli applicativi di Office e alle garanzie di sicurezza legate alla piat-

taforma di Microsoft. E dunque, con il lancio di Windows 8 e l’abbinamento ai processori Intel di nuova generazione, è arrivato anche il touch su dispositivi che chiamare tablet è riduttivo e definire notebook rischia di essere fuorviante: nella ormai famigerata “era post-Pc”, come la etichettano gli addetti ai lavori, non solo i form factor ma anche l’esperienza utente sono ormai cambiati. Le principali differenze fra i nuovi ibridi e i laptop tradizionali sono, sostanzialmente, una maggiore portabilità dovuta a spessore e peso ridotti, l’utilizzo di memorie flash Ssd in luogo degli hard disk e talvolta l’assenza di lettori ottici (che andrebbero a incidere sul volume). Sul fronte della user experience, come si diceva, la vera innovazione è il touch, un elemento che si combina all’interfaccia di Windows 8 e ad applicazioni progettate per l’interazione tattile. Fatta salva, ovviamente, la possibilità di utilizzare una tastiera per le operazioni di scrittura, tastiera che va intesa non come un accessorio di saltuaria utilità, ma come una componente hardware a tutti gli effetti. GIUGNO 2013 |

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VETRINA HI-TECH

C’è un touch per tutti i gusti (e le tasche) Equipaggiati con Windows 8 o Rt, i Pc convertibili in tablet sperimentano nuovi design, spaziando tra diverse dimensioni e meccanismi di integrazione fra schermo e tastiera. Ma anche, e notevolmente, fra i range di prezzo.

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arallela alla carica dei tanti nuovi tablet da 7 a 10 pollici presentati negli ultimi mesi, chiaramente destinati a un pubblico consumer, c’e un’altra ondata che si infrange, sempre più impetuosa, sullo scenario del computing. È quella dei notebook touch, o ultrabook touch che dir si voglia, o ancora dei convertibili o “ibridi”, un po’ tablet e un po’ Pc tradizionale. Per tutti questi modelli la presenza di Windows 8 o Windows Rt e gli schermi più grandi sono chia-

ri indizi di vocazione (anche) business, mentre le differenze fra l’uno e l’altro si giocano sulle specifiche hardware e sul design, in particolare per quanto riguarda l’integrazione fra display e tastiera: su questo fronte, una soluzione inedita è quella brevettata da Acer per il suo nuovo Aspire R7 e battezzata “Ezel Hinge”, che consente di muovere in altezza e angolazione il display da 15,6 pollici, fino a ruotarlo su se stesso di 180 gradi, con l’obiettivo di adattarsi a diverse occasioni d’uso e di evitare affaticamenti da po-

MICROSOFT Surface Pro Prezzo: da 889 Euro Dopo il lancio della versione con a bordo Windows Rt, più chiaramente rivolta a un’utenza consumer, è arrivato in Italia anche il “fratello maggiore” Surface Pro, le cui buone carte a favore del mondo professionale sono innanzitutto la presenza di Windows 8 Pro e quella di chip Intel Core i5. Il formato di schermo, 10,6 pollici, fa propendere per la definizione di tablet (la stessa utilizzata da Microsoft, d’altra parte), ma va detto che le sue caratteristiche business lo

sizioni scomode. La dotazione include processori Intel Core i5, memoria che arriva fino a 12 GB e per l’archiviazione fino a 1 TB oppure 156 GB di Ssd, oltre a un’uscita Hdmi, lettore Sd, tre porte Usb, WiFi, Bluetooth e un convertitore Vga. Un prodotto che probabilmente non conquisterà un successo mainstream, dato anche il prezzo di quasi mille

ACER R7

HP PAVILION TOUCHSMART SLEEKBOOK

TOSHIBA WT310

Display: 15,6” (1920x1080) Processore: Intel Core i5 Peso: 2,5 Kg Spessore: 2,85 cm

Display: 15,6” (1366x768) Processore: Intel Core i5 Peso: 2,1 Kg Spessore: 2,1 cm

Display: 11,6” (1920x1080) Processore: Intel Core Peso: da 0,825 Kg Spessore: 1,24 cm

Prezzo: 999 euro

Prezzo: 499 EURO

Prezzo: da 949 euro

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rendono ben distante dalle alternative Android di pari dimensioni, e più simile a un mini-ultrabook. Quali caratteristiche business? La presenza della suite di Office, per esempio, e poi l’interfaccia Usb 3.0 per trasferimenti di file più veloci, una Cpu che arriva a 1,7 GHz di frequenza e una Ram da 4 GB. La richiesta è di 889 euro, Iva inclusa, per la configurazione da 64 GB e di 999 euro per quella da 128 GB.

euro, ma che rappresenta un’interessante sperimentazione. Fra i modelli che rinunciano alla tastiera estraibile in favore di un meccanismo che permette di ruotarla di 360 gradi, ma non di staccarla e lasciarla a casa quando non serve, c’è anche Lenovo con il nuovo ultrabook tattile IdeaPad Yoga 11. Un’alternativa più maneggevole, da 11,6 pollici, allo Yoga 13 (che di pollici ne misura 13,3), rispetto al quale lo schermo rinuncia a un po’ di risoluzione ma non alla tecnologia Ips, quella

che migliora i colori e allarga l’angolo di visualizzazione. Il peso è contenuto, 1,2 chili, e sulla carta la batteria promette fino a 13 ore di autonomia. Il sistema operativo, in questo caso, è Windows Rt, abbinato a processori Nivida Tegra quad-core. Decisamente di fascia alta (circa 1.600 euro) è il nuovo cavallo di battaglia di Asus, Taichi: un ultrabook che riesce a conciliare un peso di 1,25 chili e uno spessore di appena 3 millimetri con una caratteristica sui generis, ovvero la presenza di due schermi da 11,6 pollici. Entrambi dotati di risoluzione Full HD, possono essere utilizzati alternativamente o in contemporanea, per riprodurre gli stessi contenuti a favore di più utenti; non mancano una tastiera, che scompare alla vista quando il Pc è chiuso, e un pennino stilo. Diversa la strategia del nuovo Pavillon Touchsmart Sleekbook di Hp, un modello che punta su un prezzo appetibile (meno di 500 euro) e su una natura meno da tablet e più da Pc utile alla produttività, dato lo schermo da 15,6 pollici e la presenza di processori Intel i5. Le interfacce comprendono Usb 3.0, 2.0 e Hdmi, e un dettaglio intelligente è il fatto che la batteria sia estraibile, come nei “vecchi” notebook.

Asus Taichi 21

Lenovo IdeaPad Yoga 11

Samsung Ativ Serie 5

Display: doppio, 11,6” (1920x1080) Processore: Intel Core i7 o i5 Peso: 1,25 Kg Spessore: 1,65 cm

Display: 11,6” (1366x768) Processore: Nvidia Tegra 3 Peso: 1,27 Kg Spessore: 1,56 cm

Display: 11,6” (1366 x 768) Processore: Intel Atom Z2760 Peso: 0,74 Kg

Prezzo: 1.599 euro

Prezzo: 799 DOLLARI

Prezzo: DA 669 EURO

Spessore: 0,99 cm

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VETRINA HI-TECH

pillole digitali

LEXMARK MX6500e

Acquisizione, copia e finitura di stampa dei documenti, oltre a funzioni più particolari come la scansione di codici a barre e quella verso Microsoft SharePoint: sono alcune delle capacità di MX6500e, un nuovo dispositivo per la gestione documentale rivolto alle aziende, che possono posizionarlo in prossimità di una stampante all-in-one (per gestire anche email e fax) oppure su una scrivania. Le sue caratteristiche sono potenza e flessibilità: è infatti in grado di acquisire in fronte/retro fino a 88 immagini al minuto e di supportare un’ampia varietà d formati di carta, inclusi documenti di identità. Con schermo touch a colori da 10,2 pollici, è compatibile con la gamma di stampanti MS810, MS811 e MS812. Prezzo: 2.529 euro

Verbatim V3 Max Usb 3.0

Grande capacità di archiviazione e velocità di trasferimento lampo distinguono la nuova serie di flash drive di Verbatim dalle “normali” chiavette Usb. La gamma parte, infatti, dal mo50

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dello basic con 16 GB di spazio (in vendita a 26,99 euro) per arrivare a quello da 128 GB (128,99 euro), passando per i tagli intermedi da 32 GB (44,49 euro) e da 64 GB (67,99 euro). Quanto alla velocità di trasferimento dati, in caso di utilizzo con porta Usb 3.0 si può arrivare a un massimo di 175 MB/sec per la lettura dei file e di 80 MB/sec per la scrittura. Tutti i modelli dispongono di meccanismo retrattile “slide & lock”, che protegge il connettore Usb da possibili danni quando non è in uso. Prezzo: da 26,99 euro

50 fogli, può acquisire fino a 15 pagine al minuto. Il software Ocr Readiris Corporate 14, in dotazione, permette di convertire documenti cartacei, Pdf o immagini in file digitali modificabili, indicizzabili e condivisibili. Prezzo: 299 euro

NOKIA Lumia 925

IriScan Pro 3 Cloud

Piccole e piccolissime aziende, ma anche studi e professionali e lavoratori autonomi sono il target ideale di IriScan Pro 3 Cloud: uno scanner multifunzione portatile che è in grado di inviare i documenti acquisiti direttamente nella “nuvola”, ovvero verso servizi come SharePoint, SkyDrive Google Drive, Evernote, Box, Dropbox e ownCloud. Compatto e facile da spostare da una stanza all’altra, questo modello consente di digitalizzare molti tipi di documenti, inclusi contratti, fatture e ricevute, nonché – con una funzione specifica del suo software integrato – i biglietti da visita. Dotato di un contenitore da

Il nuovo top di gamma tra i Windows Phone di Nokia è arrivato. Lumia 925, evoluzione del 920, è molto simile al predecessore nell’estetica e nelle caratteristiche tecniche: design a tavoletta con schermo da 4,5 pollici, processore Qualcomm Snapdragon S4 dual-core da 1,5 GHz, fotocamera da 8,7 megapixel con doppio flash Led e anteriore da 1,2 megapixel, e poi un corredo di connettività che include WiFi, Lte, microUsb, Bluetooth e chip Nfc. Migliorano, invece, la maneggevolezza e le prestazioni della batteria: rispetto al modello precedente, il peso scende da 185 a 139 grammi, anche grazie alla combinazione di policarbonato e alluminio nella scocca; lo spessore passa da 10,7 a 8,5 millimetri; l’autonomia sale da 10,8 a un massimo dichiarato di 12,8 ore di conversazione. Disponibile in tre varianti di colore, cioè bianco, nero o grigio, e con memoria integrata da 16 GB o da 32 GB (quest’ultima è venduta in esclusiva da Vodafone). Prezzo: da 469 euro, Iva esclusa


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Come potete controllare quello che non vedete? Scoprite che cosa state gestendo realmente con Panda Cloud Systems Management.

La sfida: Non puoi gestire se non sai che esiste. Avete una visibilità permanente al 100% su tutte le risorse hardware e software che avete bisogno di gestire? Con i clienti distribuiti, un numero sempre più crescente di postazioni esterne e di home workers, diventa veramente difficile mantenere sotto controllo tutte le risorse IT.

INVENTARIO SISTEMI IT

Che cosa include?

La soluzione: Avere consapevolezza di ciò che hai. L’inventario di Panda Cloud Systems Management ti permetterà di ottenere informazioni complete e visibilità in tempo reale delle risorse IT e dei dispositivi.

INVENTARIO HARDWARE E SOFTWARE LOG DEI CAMBIAMENTI

Per ulteriori informazioni o per una demo gratuita di Panda Cloud Systems Management: IT-systemsmanagement.pandasecurity.com

Inventario

Monitoraggio

CONTROLLO DELLE LICENZE

Gestione

Supporto remoto

Reportistica

IT-systemsmanagement.pandasecurity.com


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