INSEGNAREDUCANDO. N ° 31 - dicembre 2013

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per educare un bambino

ci vuole un villaggio

N° 31 - dicembre 2013

Natale, finalmente! Prima era buio. Cari colleghi, questo ultimo numero 2013 è centrato sulla luce. Quando cammini al buio e fai fatica, non è una questione di oggetti. Quello che cambia è la tua percezione di essi che diventa incerta proprio perché non c’è luce a sufficienza per distinguerne le forme. Se qualcuno accendesse una lampadina, sarebbe tutto più semplice, gli oggetti non ingombrerebbero più anzi, ne apprezzeremmo la presenza. Da tanto tempo si sono spente le luci sul pensiero educativo e noi, insegnanti ed educatori, ci troviamo a lavorare al buio, a testa bassa, cercando di non inciampare, concentrati sul cosa fare qui e ora, come alla catena di montaggio, senza alzare lo sguardo a cogliere l’orizzonte per capire se ciò in cui siamo immersi è una bella prospettiva oppure una grande illusione collettiva. Fermiamoci un momento a guardarci. Siamo diventati esperti di carte, compiliamo profili, scriviamo progetti, stabiliamo programmi, emettiamo giudizi, compiliamo tabelle, definiamo traguardi (come fossimo Dio) e poi... nessun dubbio? Oh si, quanti, sussurrati sottovoce, mentre si compila l’ennesima scartoffia. Sarà forse questo l’educare? In questo nostro buio, nel quale tutto sembra essere diventato più complesso (e i problemi aumentano) ecco appare un lumino, un pensiero diverso che ci illumina una breccia. E le cose che erano d’ostacolo vengono viste diversamente... Qualcuno, che per anni ha lavorato al margine, sul confine, nello spazio dell’impossibile, riflettendo,

creando nuovi approcci, sperimentando, re-inventandosi in base alla provocazione e al contesto, qualcuno è riuscito a recuperare significati da gesti senza senso, provando ad ogni costo a trovare strade per offrire nuove chanche … Ecco. Piccole luci, alimentate dalla riflessione quotidiana sull’ agire educativo in contesti difficili. Questo numero dà ampio spazio a queste “comete” maturate in gruppi adulti (insegnanti, educatori, genitori...) che non hanno smesso di interrogarsi insieme, andando al di là dei dibattiti ideologici di totale insignificanza, ma cercando di comprendere davvero cosa fare nella complessità. Dallo spazio della riflessione condivisa, in un clima di ascolto profondo e non giudicante, continuano a nascere le idee, quelle alle quali non avevamo pensato, troppo presi dal fare e dal tempo: quell’idea diversa per accompagnare chi è affetto da ADHD, quella creativa per navigare con classi di giovani generazioni annoiate o provocatrici, oltre sé stessi, alla scoperta del filo rosso del proprio viaggio esistenziale che permette di ritrovare l’interesse e la voglia di imparare. Non tutto è come sembra, anche le situazioni più drammatiche possono rivelarsi grandi occasioni di apprendimento... per noi, innanzitutto. Con questi lumini di Natale vi auguriamo di illuminare le vostre feste, la vostra pausa vacanziera e ritrovare forza e serenità per ripartire nell’anno nuovo. G.L.

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Metodologie Educative Territoriali

per Inclusione

Sociale

Aprire spazi mentali per ... de L’adulto è il custo iero ns pe di dello spazio lo) jel .A .M (A e svolge tale il ruolo fondamen zzo ga ra il e ar di aiut zione, a mentalizzare l'a to sotteso ica nif a ricercarne il sig are inu nt co di per evitare ente am lsiv pu im ire ad ag mente. e spesso violente di Poli Roberta -

Orizzonte scuola

Chi ha seguito, in una delle otto città d’Italia, il seminario METIS (Metodologie Educative Territoriale per l’Inclusione Sociale), ha respirato aria pulita. In quell’atmosfera da “Barbiana”, è emerso un altro modo di fare scuola, nel quale l’interesse dei ragazzi è il fulcro del progetto educativo che viene messo in gioco da equipe di adulti (insegnanti, educatori, psicologi, genitori) che co-progettano insieme. La significatività della scuola ha bisogno di spazi mentali, non tanto di spazi fisici. L'insegnante sta accanto ai ragazzini che stanno in quel luogo, aiutandoli a ri-significare quel luogo in modo che diventi il luogo della relazione significativa che arricchisce. La significatività inizia dalla ri-significazione dell’esperienza e in molti casi del dolore. Il mestiere dell'insegnante implica un tale coinvolgimento nella relazione che ci “prende” tantissimo come prende una relazione d'amore. Allora l'insegnante deve saper lavorare su di sé ed imparare a stare nel dolore. Quando si conclude un corso, una lezione, un percorso scolastico, chiediamoci e chiediamo ai nostri allievi: abbiamo appreso o siamo cresciuti? C'è una bella differenza tra apprendere e crescere. Crescere significa soprattutto diventare padroni dei propri processi psichici: - consapevolezza - padronanza - senso Qualcuno lo chiama empowerment. Noi lo chiamiamo consapevolezza. Si apprende solo ciò che è significativo. Allora la domanda: come si produce senso?

E' un processo sociale. E' un processo di produzione collettiva. E non è pensabile che il senso (delle discipline per esempio) sia dato con la ragione. Possiamo farlo invece attraverso la narrazione. Raccontiamo. Narriamo cosa è successo nel tempo e nello spazio. Come è accaduto, come si è giunti a una scoperta... Nella narrazione accade che la parola diventi commozione, perché tocca dentro; può accadere che il dolore e la parola di avvicinano. Attraverso la narrazione è possibile portare alla coscienza ciò che non è ancora consapevole. Prendere la parola, restituire spazio alla parola come narrazione. Non è compito dell’insegnante di Italiano! Usciamo da questa idea limitante che solo all’insegnante di lettere sia concesso lo spazio della narrazione. Non è così. Creare contesti per far circolare la parola è compito di ogni insegnante che non ha abdicato al suo ruolo educativo. Anzi, quello spazio è un dovere della scuola e un diritto per i ragazzi che vi accedono e tutti gli insegnanti devono farsene carico. Ma che cosa significa “prendere la parola”?

Appunti dalla relazione di Cesare Moreno a METIS - Genova

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... far luce e modificarsi.

Appunti dall’intervento di Cesare Moreno a METIS - GE

Come ci ricorda va nella news pr ecedente M.La zzaretto, LA VEGLIA. Ecco il punto. Essere presenti ne lla traversata, ne lla notte, nel bu dedicare lo sgua io, rdo e l’ascolto a vigilare sull’altro, su colui che mi è stato affidato. Osservare, essere accanto... non sostituirsi, im porre, manipolar e, programmare Genitori, educat tutto ... ori, insegnanti... gli adulti che ac compagnano le nuove generazio ni, sono chiamati a questo: IMPARARE A VE GLIARE INSIEME

Sociale

Il pensiero e la parola condivisi sono allora uno spazio di contenimento, quello spazio in cui è possibile tollerare l'intollerabile, dire l'indicibile. Anche gli adulti, che si strovano ad educare insieme un gruppo di ragazzi, necessitano di quello spazio. Un esempio: il viaggio in auto tra colleghi che vanno al lavoro può diventare spazio di condivisione. Se io so che tu accogli le mie debolezze, ne possiamo parlare. Se io sento che c'è competizione, voglia di affermazione, non ti dirò nulla.

Nel caos in cui viviamo è possibile mantenere integri noi stessi? Che fare quando le variabili di un contesto sono complesse e ci sfuggono? Non di tratta di controllare le variabili. Si tratta invece di stare dentro il caos, attraversarlo, restando integri, attivando il pensiero. Non dimentichiamo che l'insegnante è un professionista riflessivo. Se lavora in equipe può fermarsi a chiedersi: Cosa e' successo? Parliamone! Cosa ci sembra giusto fare? Cose "ce ne facciamo” di questo episodio? Il gruppo e' in grado di gestire una cosa del genere? Il gruppo può crescere intorno alla narrazione di una situazione? E cosa accade? Accade che le giovani persone che incontriamo, i nostri allievi, colgano una comunità adulta che li ha a cuore e veglia sulla loro crescita. E questo fa un’enorme differenza.

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Lo spazio di pensiero è: - uno spazio sociale di scambio di significati attraverso la parola; - un garante sociale; il gruppo ti garantisce ciò che è giusto fare non perché ha delle ricette, ma perché può discutere e rielaborare tutto; - un luogo di coesistenza degli opposti nel quale è possibile tollerare e promuovere la mediazione, stare nella propria posizione, accettando che altri stiamo nelle loro. La regola nasce dalla mediazione. Quando è sbattuta in faccia, congela la relazione; - uno spazio di contenimento.

Metodologie Educative Territoriali

Cambiando paradigma nell’insegnare, si scopre che esistono modi semplici, capaci di giungere al cuore dell’apprendimento, senza troppo forzare, senza pretendere inutilmente di trasmettere. E’ la magia della narrazione, quella parola che si mette in circolo in classe ( come anche nelle equipe di adulti) che tocca il ragazzo e lo fa sentire vicino alla materia dell’apprendere, che chiarisce processi, agiti o visti, che permette di “digerire” l’oggetto in questione (qualunque esso sia, la disciplina come il vissuto) attraverso un processo di confronto con gli altri che aiuta acomprendere ciò che accade. In questo modo tutto il vivere diventa materia di apprendimento: la matematica come l’intervallo, il pianto come l’Odissea, la conquista geografica come il lavoro di gruppo. Ecco l’approccio dei Maestri di Strada di Napoli che per decenni hanno riportato la scuola in contesti “impossibili”, restituendo parola a chi pareva non avere nessuna chance.

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Sociale

Empatia, attrezzo professionale...

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... per mestieri impossibil i E' possibile mettersi nei panni di un altro? Mai se non si sta nei propri. Per riconoscere qualcosa di comune con gli altri bisogna riconoscerlo innanzi tutto in se stessi. E' questo il difficile, e' questo il motivo per cui chi vuole fare l'educatore deve necessariamente fare un lavoro su di sé. Come si fa a riconoscere in sé l'aggressività, l'etnocentrismo, la violenza fascistoide di un quindicenne emarginato delle nostre periferie? Come si fa a riconoscersi nel mafioso assassino? Come si fa a riconoscersi nel pedofilo omicida? E' possibile quando riusciamo ad andare oltre le barriere dell'aggressività, oltre la giusta distanza che è necessario mantenere da ogni compromissione o simpatia per il crimine o il criminale. Alla radice di ogni comportamento violento c'è un dolore profondo, non detto ed indicibile, una paura paralizzante di guardare dentro di sé, una fuga dall'orrore che genera nuovi orrori. E' in questa zona della coscienza, in questa periferia dimenticata e non vista, che c'è il punto di contatto con l'altro e al tempo stesso la differenza, il punto in cui l'uno riconoscendosi fragile si è incivilito, l'altro negandolo si è avvolto nel suo stesso dolore. Noi abbiamo in comune la fragilità e la paura, lo smarrimento rispetto alla nostra casuale presenza nel cosmo. Siamo profondamente diversi per come abbiamo elaborato questo smarrimento. Carla Melazzini che alcuni commenti hanno evocato, scrisse a proposito di un evento geologico sconvolgente questo commento: “Da che l’uomo - unico tra gli animali - ha acquisito la capacità di pensare la propria morte, non molte sono le possibilità di affrontare saggiamente il problema: tra le quali, il religioso timore dell’uomo antico di fronte alla potenza dell’aria, dell’acqua, della terra e del fuoco non è la più primitiva.

Un moderno saggio ha osservato come, di fronte alla morte di una persona amata, immaginare di esserne in qualche modo colpevoli ci è più facile che accettarne la crudele casualità. E’ lo stesso procedimento psichico che rende preferibile all’essere umano addossarsi tutta la colpa della catastrofe naturale perché il riconoscerne la autonoma sovranità lo angoscia e lo offende. Immaginare di essere noi colpevoli della totale distruzione della natura è l’ultima difesa dall’idea che, oggi come sempre, la natura nel suo imperscrutabile cammino può distruggere noi, senza autorizzazione e senza preavviso. (...) Il crimine, la violenza, il ritiro sociale sono catastrofi dell'umano di fronte alle quali prevale il desiderio di prendere le distanze, il desiderio di scoprire 'le cause' , flagellarsi per colpe collettive ed individuali, ma mai mettersi in gioco per riconoscere ciò che ci accomuna. Per fare questo occorre essere poeti o professionisti o entrambe le cose possibilmente. Occorre ritornare nei luoghi della paura e dell'orrore, posare lo sguardo sulle fragilità dimenticate ed occorre farlo senza farsi attrarre da quello stato di confusione che in quelle zone regna tra un io forte ed un io debole sballottato dalle sue paure. L'empatia dunque si può costruire, è un attrezzo professionale per mestieri impossibili quali lo psicologo e l'educatore, che sono impossibili proprio perché pretendono di curare l'altro curando se stessi. Ma non sono impossibili se si riescono a creare dei luoghi in cui è possibile ripartire dalle nostre fragilità in un contesto 'protetto'. Questi sono i nostri - dei Maestri di Strada - gruppi riflessivi, quelli in cui riusciamo a fare visita all'inferno proteggendoci a vicenda; questo ci consente di sviluppare una profonda empatia per i nostri sgangherati giovani e la possibilità di accompagnarli in un percorso educativo. Cesare Moreno


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La FIABA da regalare a Natale ! «La sua favola è fatta della materia celeste con cui sono impastate le profezie. E le profezie sono ordini dati al futuro. Le Vele salperanno» Dalla prefazione di Erri De Luca. Ci sono Maestri di Strada... ...anzi, di VELA! Capitani coragg iosi che hanno la capacità em patica di “sentire ” la sofferenza de i bambini e la forza di acc ompagnarli in un viaggio di liberazione. Davide Cerullo, che in una delle “difficili” Vele di Scampia ha aperto il CEN TR O IN SI EM E, uno spazio di gio co-studio-allegria -serietà per i bambini, ha scritto questa fiaba. Il ricavato della vendita del libro sostiene questo bellissimo proge tto.

LA CIURMA DEI BAMBINI E LA SFIDA AL PIRATA OZI “C’era una volta il progetto di costruire una nave magnifica. Questo progetto fu dato ad un Mago (...) Ma quando tutti furono imbarcati, le vele spiegate, i marinai ai posti assegnati e i fazzoletti bianchi pronti a essere sventolati nel gesto di saluto, ecco che la nave non accennò al minimo movimento(...) -Che succede?- Esclamarono i passeggeri dal ponte? - Perchè non partiamo?- Non ci fu risposta... Un giorno il piccolo Ciccio, mentre stava curiosando qua e là nonostante la mamma gli avesse proibito di passegggiare senza di lei, notò in fondo a uno dei tanti corridoi una porticina...” La deliziosa storia "La ciurma dei bambini e la sfida al pirata Ozi" di Davide Cerullo, pubblicato da Libreria Dante & Descartes, è una straordinaria favola, una squisita metafora sul nobile lavoro che Davide Cerullo sta portando avanti alle Vele di Scampia. È un libro dolce e colorato che cattura e risveglia negli adulti la giusta dose di fantasia attraverso la quale tutti noi dovremmo riuscire a guardare le scene che la vita ci offre.

È un volume pieno di speranza e di desideri, che parla al cuore e contribuisce - con parte del ricavato - ad un sogno che nell’ultimo anno è diventato reale: il Centro Insieme di Scampia, doposcuola nonché punto focale del progetto “Vela: rendere consapevoli”. Perché a tutti noi sta a cuore il destino dei bambini di Scampia. Questo libro parla proprio di loro, di quei bambini che Davide ed i volontari del Centro abbracciano ogni giorno “quelli che, tra scheletri di amianto, ti sorridono da lontano quando incontrano il tuo sguardo (...). È proprio da lui e da altre persone ed organizzazioni che credono in questo cambiamento che nasce l’idea del progetto “Vela: rendere consapevoli” il cui obiettivo principale è restituire diritti fondamentali e dignità alle persone più deboli, come i bambini e i ragazzi che abitano uno dei quartieri più difficili di Napoli, ossia Scampia, e “far ripartire col vento in poppa ed a vele spiegate una nave di sogni e desideri” La leggerezza e la concretezza di questa favola hanno la capacità di far emozionare anche i grandi perché, in fondo, non si può non sentirsi accarezzati da quel respiro di speranza che questa storia ti lascia addosso. Per ricevere una copia del libro e contribuire così alle attività portate avanti dal CentroInsieme e dal progetto, potete scrivere direttamente a Davide Cerullo davide.vele@libero.it

http://www.unraggiodiluce.org/?contenuto=comunicati&id_comunicatosel=102

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Giù le mani da Pierino Un’idea che funziona! L’accompagnamento empatico dei bambini affetti da ADHD

S.O.S. ADHD

Davvero in teressantiss imo il libro “Giù le ma n i d a Pierino”, Emilia Cost Ed. Amrita a e Daniela . Muggia ci propongon un approc cio rivoluzio o per accom nario pagnare i bambini co n ADHD C

’è una stra da diversa della “cam forza chim icia di ica” per aiu tare i più p gestire le proprie inte iccoli a mperanze e difficoltà ?

Di risposte, in realtà ce ne sono pa E passano recchie. tutte per l’ o l’arricchim e d u c a zi one ento della formazione con cui i p d egli adulti iccoli intera giscono.

Cambiare paradigma. Ecco il suggerimento che ci offrono Emilia Costa, docente di psichiatria e psicoterapia della Sapienza di Roma insieme a Daniela Muggia, tanatologa, ideatrice, da oltre 20 anni, del Metodo di Accompagnamento Empatico della fine della vita. Cambiare paradigma significa modificare quel complesso sistema di regole metodologiche, modelli e criteri di soluzione di problemi che utilizziamo solitamente. Ma soprattutto significa cambiare la prospettiva dello sguardo da cui si analizza e si interviene sul problema. Nel caso dell’ADHD il paradigma attuale mette la lente d’ingrandimento sul bambino “malato” e avvia prassi e protocolli definiti che ne modifichino il suo comportamento. In questo libro il focus, invece, è sull’adulto che viene accompagnato nel divenire “traduttore” del disagio del bambino, attraverso un lavoro sul proprio sé adulto. Un lavoro di riscoperta della propria parte sana, capace di empatia, che sa accogliere e trasformare la sofferenza di quel disagio. Un punto di vista davvero rivoluzionario. Ecco alcuni passaggi del loro prezioso libro. “La società degli adulti (…) NON sa gestire né le proprie intemperanze né le proprie difficoltà e risponde all’intemperanza del bambino con altrettante intemperanti reazioni. Ci si ferma al comportamento del bambino perché non si è coltivata abbastanza l’empatia per sentire quale sofferenza si manifesta nel suo modo di fare(...) La fisica quantistica è venuta a darci la sveglia: ogni apparente parte del Tutto è insieme parte e Tutto: è insieme individuo e campo quantico; la goccia è insieme goccia e oceano. C’è un’influenza dell’osservatore su ciò che si osserva(...) Quanti sanno come si formano le coscienze e le personalità, l’importanza dell’habitat di crescita, e quanto vasta sia la rete di informazioni e influenze di cui una coscienza è parte, consapevole o non? Oggi è ormai ben noto che il modello causa-effetto della causalità lineare, fino agli anni ’50 sotteso ad ogni metodo di ricerca, va necessariamente integrato con quello della causalità circolare. L’esperienza clinico-terapeutica racconta che la maggior parte del disagio e della sofferenza psichica degli educatori e dei terapeuti è inerente alla loro in

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terpretazione soggettiva del comportamento del bambino, condizionata da esperienze individuali che alle volte non permettono di vederne i reali e naturali bisogni o desideri (...) Si affaccia alla nostra cultura un’inusuale ispirazione che prende spunto dall’estremo della vita. L’accompagnamento empatico della sofferenza(...), quella che si manifesta alla fine dell’esistenza(…), ha diversi punti in comune con la sofferenza intorno all’ADHD: il morente e il bambino sono entrambi, per una serie di ragioni, eminentemente empatici, e le persone a loro care sono estremamente coinvolte nella loro sofferenza. Questo tipo di accompagnamento (…) richiede che si coltivi uno stato di ascolto empatico, da cui si percepiscono i bisogni dell’altro anche quando l’altro non può più esprimerli nel modo convenzionale, ossia parlando. Anche il bambino irrequieto ed ossessivo ha un disagio e non lo verbalizza; la stessa tecnica di ascolto empatico sarà utile…per percepirne i bisogni reali, evitando di proiettare sulla sua sofferenza ciò che “crediamo” possa essere d’aiuto invece di ciò che egli vorrebbe davvero”.


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3 regole d’oro per incontrare Pierino

“Il bimbo di 9 anni aveva tentato sette volte il suicidio. Lo chiameremo Vincenzo. Io lo incontrai dopo il ricovero, con i genitori presenti nel mio studio. I genitori erano in via di separazione, ma vennero insieme, pieni di sensi di colpa che dichiararono subito, in presenza del piccolo: la loro sofferenza era al centro del problema. Vincenzo era stato imbottito di psicofarmaci in ospedale, ma da bravo iperattivo sgambettava per lo studio, non rispondeva alle domande, l’attenzione dopo un secondo era già rivolta ad altro. Nel mio studio ci sono un divano e una bella poltrona rilassante, che cercai di lasciare al bambino. Gli piaceva molto, la poltrona: piace a tutti… La prima manovra, insomma è accogliere e ascoltare. I genitori raccontavano i loro problema, ma io avevo voglia di sentire Vincenzo, che si comportava nei loro confronti da ostruzionista. Loro, imperterriti, continuavano a parlare… Mi domandai se avessero mai chiesto a Vincenzo che tipo di terapia volesse: era ormai anche lui un esperto! (...) E qui viene la seconda regola d’oro: rimettere al centro il malato (se di malattia si tratta) o comunque la sua sofferenza, che ha bisogno di essere riconosciuta(...) La terza regola d’oro è riconoscere che questo sofferente ha una sua innata saggezza che può guidare lui stesso il percorso di cura (…)

Gli chiesi semplicemente se gli andava di “fare una cosa tutta per lui o una cosa coi i genitori”. Vincenzo non ebbe esitazioni: voleva una cosa “solo per lui”, non con i genitori. La comunicazione non poteva essere più chiara: la SUA sofferenza chiedeva di essere presa in considerazione… Pierino dunque soffre. La sofferenza va accolta, ascoltata e la saggezza interiore di ognuno riconosciuta: anche Pierino può essere depositario di una soluzione”.

“Giù le mani da Pierino” di Emilia Costa e Daniela Muggia Ed. Amrita

“Matteo approda alle elementari sapendo leggere, scrivere e far di conto. Non glielo ha insegnato nessuno, gli è bastato dare un’occhiata ai compiti della sorella, di tre anni più grande (…) Vive in un piccolo paese di montagna, e si ritrova in una pluriclasse (…) Naturalmente dopo un po’ Matteo diventa distratto e allora incomincia a girovagare per la classe, distraendo anche i compagni. La maestra si accorge che il piccolo è aperto, e ha un gran cuore, oltre che un gran cervello. Se ne accorge soprattutto il giorno in cui lei sta spiegando una regola di aritmetica e diversi bimbi fanno fatica a capire. Matteo si alza, va alla cattedra e le dice: “ Senti maestra, se gliela spieghi così non la capiranno mai”. Non lo dice con arroganza, è davvero preoccupato per i compagni. La maestra coglie la sua compassione, non si inalbera e gli dice: “Ok, se hai un’idea creativa tirala fuori!” Matteo sorride e incomincia a spiegare con esempi originalissimi, che subito i bimbi comprendono. Da allora si prenderà ufficialmente cura di tutti i bimbi con difficoltà di studio della sua pluriclasse. Troverà modi originali per sostenere l’apprendimento individualmente, moltiplicando l’attenzione per ascoltare contemporaneamente l’insegnante e le eventuali difficoltà dei compagni”. Continua a pag. 8

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erattivo, il famoso Il nostro Pierino ip chi è? delle barzellette, le bi rri te no bi m ba mba disturbata, Un bimbo o una bi educata, superdotata, mal ccio? con un carattera o” o “stupido”? È un bimbo “cattiv ? Soffre? Cosa lo rende tale noi… Di certo fa soffrire storie presentano varie ci ro lib l de ci tri Le au rsi che mettono in reali di Pierini dive dulto. scacco matto l’a e, ascoltare col cuor sa lto du l’a se a M ... ... qualcosa accade

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Primo: accogliere e ascoltare

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“Se facciamo del vivere nella compassione e nell’amore incondizionato lo scopo della nostra vita, il mondo diventerà davvero un giardino in cui sbocceranno e cresceranno fiori d’ogni tipo” Elisabeth Kubler-Ross

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Riportiamo qui di seguito una storia bellissima: una maestra ci racconta lo stare accanto ad un ragazzino molto sofferente affetto da ADHD. La sua storia ci fa comprendere la differenza tra “fare qualcosa” o “essere presente” accompagnando. “Nella ‘mia’ prima elementare arrivò ‘il pezzo da novanta’, l’alunno che maggiormente mi avrebbe introdotta a mettere in discussione le mie certezze, ma anche ad accendere spiragli di luce e di speranza… (Durante) le periodiche crisi diventava fortemente oppositivo, rovesciava banchi, lanciava oggetti, graffiava chiunque gli capitasse a tiro, mordeva, lasciava andare gli sfinteri e si sporcava, talvolta imbrattandosi di feci per sporcare chi gli stava intorno. Gli erano stati prescritti pesanti farmaci e calmanti che la famiglia si rifiutava di continuare a somministrare, avendo notato effetti di sonnolenza e assenza nel bambino. In quel primo anno di scuola elementare (…) l’inclusione di Walter da parte dei suoi piccoli compagni finì per contagiare la maggior parte delle famiglie. In seconda elementare, l’unica famiglia a non aver accettato Walter rimaneva la sua, perché…dal punto di vista emotivo non riuscivano a capire quelle sue difficoltà nell’avere comportamenti socialmente accettabili. I compagni erano di solito la molla che faceva scattare in lui atteggiamenti pro-sociali, laddove

fallivano gli adulti. Walter aveva un sorriso dolcissimo e una grande passione per i suoi amici, per alcuni più che per altri, e sprizzava amore quando era tranquillo e riusciva per tempi più o meno lunghi a rimanere nel qui e ora: brevi ma profondi sprazzi di presenza. I compagni si attivavano empaticamente per prevenire le situazioni a rischio per lui, ovvero quelle che potenzialmente gli avrebbero provocato una perdita di controllo; per esempio non alzavano mai la voce, nemmeno in palestra per fare il tifo durante i giochi. Quando Walter diventava oppositivo, la prima strategia che metteva in atto era buttarsi sul pavimento dove si trovava e non schiodarsi più di lì… 30, 90 minuti. Se ti spazientivi e tentavi di farlo alzare di forza iniziavano calci e gli sputi, i graffi e le urla. Di solito lo si trascinava in un’apposita aula dove poteva sfogare la sua crisi senza i compagni e lontano dallo sguardo di tutti. Davanti alle sue esplosioni di sofferenza mi ero fin lì sentita disarmata(…): il non poter far nulla, se non aspettare che si esaurisse la sua sofferenza...” Continua a pag.9


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Secondo: rimettere Pierino al centro Continua da pag. 8 Un anno dopo la mastra incontra lo strumento della meditazione e comincia a praticare Samatha (la meditazione del Calmo dimorare o della tranquillità) con grande regolarità.

TTe e rz o no r z o : r i cco n o sc s c ere la sag g ez ezzza a innata inna ta Abbiamo riportato tto qualche stralcio tra dal libro erino” “Giù le mani da Pi Un assaggio della imenti quantità di sugger chi che emergono da nto ha lavorato acca a questo tipo di sofferenza. Vi consigliamo di leggerlo da cima a fondo o perchè c’è davver ! tanto da imparare

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“Malgrado fossi una neofita, mi accorsi (…) di avere in mano un nuovo strumento per entrare in contatto con le crisi di Walter (…) Nelle lunghe ore passate in isolamento nell’apposita stanzetta, mentre Walter ancora smaniava e sfarfallava con le mani o a terra gridava parolacce e bestemmie, io mi sedevo in un cantuccio e silenziosamente cercavo di acquietare la mente, come meglio potevo, osservando il mio respiro (…) Mi resi conto, così, che l’uscita dalla crisi non dipendeva da ciò che facevo o dicevo, ma dalla qualità della mia presenza. E un giorno Walter, invece di ripetere all’infinito la

frase: “Sei arrabbiata?” che era uno dei suoi comportamenti stereotipati (…) mi chiese: “cosa stai facendo?” e da come mi guardava negli occhi capii che questa volta stava aspettando risposta. “Respiro, Walter, respiro e sto attenta a come lo faccio, così divento calma e tranquilla” Da quel momento mi accorsi che era in grado di seguire ciò che facevo, era chiaro che percepiva lo stato di quiete che raggiungevo, e contemporaneamente si calmava anche lui, e poco dopo mi chiedeva di poter tornare in classe, dai suoi adorati compagni” Incominciai a coinvolgerlo nell’esercizio: per brevi istanti lo invitavo ad ascoltare in prima persona il suo respiro, ma non era ancora in grado di mantenere l’attenzione a lungo, e mi chiedeva di farlo per lui. Talvolta, all’inizio della crisi, ancora nel corridoio, mi guardava e mi chiedeva: RESPIRI?”

“Giù le mani da Pierino” - Emilia Costa, Daniela Muggia - Ed AMRITA - pag 68/72

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stuzzicadenti Lettera a unaLoprofessoressa

Quando il background non conta nulla. A Timişoara Romina andava bene a scuola. Le superiori con un indirizzo ambientale le piacevano molto. I risultati erano molto buoni e il rapporto con i professori era ottimo. Ma i genitori decidono di emigrare. E Romina si ritrova a Torino dove il suo PORTFOLIO non vale nulla.

Il mio nome è Romina e ho 23 anni. Sono nata in una città molto somigliante a Torino, Timişoara nella zona ovest della Romania. Anche la mia città è attraversata da un fiume, la Bega, che è un po’ come il Po a Torino. Sono due città costruite dai romani e ogni giorno trovo varie similitudini, per questo un po’ mi sento a casa. Quando mi sono trasferita a Torino per raggiungere i miei genitori e il mio fratellino avevo già 17 anni. Un’età difficile e con tante responsabilità. Tutto il tempo trascorso a scuola in Romania, mi portava delle soddisfazioni. Dopo la fine delle medie ho iniziato le superiori con un indirizzo ambientale e mi piaceva molto. I risultati erano molto buoni e il rapporto con i professori era ottimo. Nella scuola in Romania c’era tanto rispetto e meno confidenza tra allievi e l’insegnante.

Se avevo bisogno di un consiglio anche nella sfera personale alcuni di loro c’erano sempre e mi aiutavano a concentrarmi sullo studio. Mi ricordo un momento difficile quando i miei avevano l’intenzione di separarsi e c’è stato un insegnante di tecnologia che mi ha aiutato a superare la tristezza e la preoccupazione per i litigi dei miei genitori. Lui ha provato a conoscermi al di là dell’immagine che davo di me, ed è una cosa che io considero particolarmente importante. Ero a volte scontrosa e altri professori vedevano il mio atteggiamento come un’arroganza, invece lui mi vedeva come una ragazza ambiziosa, diciamo che passava al di là delle apparenze. Purtroppo devo dire che non ho deciso io di lasciare Timişoara per arrivare a Torino. Questi erano i piani dei miei genitori, che ho dovuto seguire. Se fossi stata io a scegliere sarei stata adesso all’università in Romania. Continua a pag. 11

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Lettera a una professoressa ... Lo stuzzicadenti

Sono arrivata qui, piangendo... Nel mese di settembre del 2008, ci siamo . 10 imbarcati nella macchina di famiglia per fare il a pag d a u grande passo. A 17 anni lasciare gli amici e la Contin per scuola e in più tutti i miei progetti è molto complial CTP a t it r c cato. Potrei dire che sono arrivata a Torino piano is mi son za media. e r gendo. La prima impressione è stata molto brutta: b m del e er livello il “A nov rendere la t , siamo arrivati di sera con tanto traffico e un caldo o s p noio .. infernale. Avevo la sensazione di non poter respimolto o t t basso. critta ad u t o o lt v o a m rare. All’inizio non parlavo una parola d’italiano, Trov no is era . i mi so corso o p non uscivo quasi di casa. Naturalmente, andando , diurno e o m n r a u s t nel o l’e nei giardini vicino a casa ho incontrato altri conpassat la superiore, ro shock. o h nazionali più o meno della mia età. alt uo una sc c’è stato un uasi 19 anni A novembre mi sono iscritta al CTP per prendere E lì oq la terza media. Trovavo tutto molto noioso, il livello a avev itto in prima. c o p e ’ All sse del corso era molto basso, mi interessava solo il no iscr n a o in cla h i v a m d e n a corso d’italiano e altre attività extra (informatica, mente zini. inglese, formazione anti-droga). Era una classe Pratica on dei ragaz mente che c cca molto strana mi trovavo a studiare accanto a siato se ri in Romania g ie p s gnore del Nord Africa ultra quarantenni, diverse sirio ato di supe nulla” Mi è st i n gnore di colore senegalesi e qualche cinese, n a ue no i miei d on contava ognuna con un livello di italiano diverso. In questo n contesto, pure l’italiano mi sembrava molto facile perché, essendo il rumeno una lingua neolatina, io riuscivo a fare subito il paragone e capivo il senso. A fine anno ho passato l’esame con un voto molto buono e con l’aiuto del mio tutor mi sono iscritta ad un Istituto superiore, al corso diurno. E lì c’è stato un altro shock. All’epoca avevo quasi 19 anni e mi hanno iscritto in prima. Praticamente andavo in classe con dei ragazzini. Mi è stato spiegato seccamente che i miei due anni di superiori in Romania non contavano nulla e che non potevo avere dei crediti per iscrivermi in una classe superiore. Peccato che se mi avessero detto che c’era la possibilità di frequentare il serale io lo avrei scelto, così non perdevo altri due anni di scuola. Purtroppo nessuno mi ha orientato verso una scuola serale e quindi ho iniziato la mia odiseea in una classe non adatta alla mia età. Adesso posso dire che non è una bella esperienza: mi è capitato di essere presa in giro o di essere vittima di scherzi poco gradevoli e infantili. Un episodio spiacevole è successo nella seconda quando uno dei miei compagni ha scritto una frase e l’ha letta davanti alla classe, una frase offensiva verso tutti noi rumeni. Io ho reagito in un modo brusco, però la reazione della professoressa presente in classe mi ha deluso. Ha solo ripreso il mio compagno con una frase del tipo “così non si fa”. La mancata reazione della professoressa mi ha offesa ancor di più, perché la battuta del mio compagno è stata esplicitamente razzista. Continua a pag. 12

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stuzzicadenti Lettera a unaLoprofessoressa

Cambiare 1000 scuole... per ritrovarsi Quello che accade ai ragazzi che migrano nelle nostre scuole è un dolore sordo e inascoltato: il loro percorso scolastico non viene considerato per niente. Un colpo di spugna che cancella e disorienta. E così inizia la via crucis, da una scuola all’altra, in classi inferiori, spesso ripetenti... il gap coi coetanei aumenta fino a diventare insopportabile. E il ragazzo “molla la scuola”. Il racconto di Romina è a lieto fine, ma lacscia trasparire una fatica esagerata che pochi migranti riescono a reggere.

Continua da pag. 11 Ho invece un bel ricordo del mio prof. di biologia che, anche se non gli competeva, ha preso a cuore i ragazzi stranieri che avevano dei problemi con l’italiano. Praticamente si inventava dei giochetti di logica, indovinelli che ci aiutavano a capire meglio il senso delle parole italiane. Ho apprezzato molto il suo modo di coinvolgerci: erano giochi di matematica che richiedevano che noi capissimo il senso di ogni parola. Era al di là della matematica e dell’italiano: semplicemente ci aiutava a pensare e questa è una cosa fantastica. Riusciva a presentare in un modo interessante e divertente la sua materia, non ci annoiavamo mai, le sue lezioni erano diventate un piacere. Era una sfida seguire la logica per arrivare alle risposte in un modo leggero e divertente. La mia storia scolastica è continuata tra alti e bassi nel senso che continuavo a fare dei paragoni con la mia esperienza nella scuola rumena. Mi dispiace dirlo ma da noi a Timişoara le scuole vengono ristrutturate o comunque ridecorate tutti gli anni, invece qui mi sono trovata con delle soffitte aperte, i bagni senza cartongesso dove si vedevano tutti i tubi...e in classe c’era un buco di un metro quadrato nella parete.

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In seconda non sono riuscita a integrarmi con i compagni e allora ho deciso di proseguire con il corso serale in un altro Istituto, stesso indirizzo, in modo da poter anche trovare qualche lavoretto da fare di giorno. Al corso serale mi sono trovata bene, la terza e la quarta sono passate benissimo: i compagni erano ora degli adulti con cui mi veniva più semplice discorrere. Coi prof, che cambiavano ogni anno scolastico, tutto ok, a parte uno, di chimica organica, che ammetteva esplicitamente che non gli stavano simpatici gli stranieri. Ovviamente premetteva a queste affermazioni: “Io non sono razzista…”. In quarta, però, mi sono resa conto che la chimica non faceva per me: non mi vedo a lavorare in una stanza chiusa a fare sempre le stesse operazioni… Quindi, ho fatto l’ennesimo cambiamento di scuola! Ora frequento di nuovo la quarta di economia aziendale (non avevo le basi per poter essere iscritta subito in quinta), sempre al corso serale. Spero di prendere presto il diploma e di iscrivermi poi all’Università, alla Facoltà di Economia e Commercio. Romina Aparaschive


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stuzzicadenti... Lettera a unaLo professoressa

i bambini non sono scatole vuote Sul web abbiamo trovato questa riflessione breve e incisiva che pone il focus su una cosa interessante: conosciamo davvero i nostri allievi? Chi scrive è un’amica, insegnante con tanti anni di esperienza nella scuola.

I bambini non sono scatole vuote, essi entrano nella scuola con un loro bagaglio di conoscenze, di sentimenti, di ricordi e di emozioni, di vissuti insomma di cui non si può non tener conto quando ci si accosta a loro. È da qui che dobbiamo partire. Noi insegnanti dobbiamo imparare a conoscerli. La conoscenza non è però semplicemente quella raccolta di dati anamnestici, quell’accumulo di notizie che ci dà l’illusione di sapere già tutto quello che si deve sapere e che soprattutto ci permette di catalogare fin dal primo approccio il bambino in una casella piuttosto che in un’altra. Un accumulo di notizie questo che, invece di tenerci lontano dal pregiudizio, può rafforzarlo. La conoscenza avviene nella relazione quotidiana, in un colloquio costante e attento, direi instancabile quello, che si contrappone al giudizio precostituito che oggettivando il sapere del bambino, rischia di oggettivare il bambino stesso.

Emilia de Rienzo

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Lo Agorà stuzzicadenti LIBERA

La Cittadinanza si forma... a Scuola Un elemento imprescindibile dei percorsi educativi di apprendimento è l’educazione alla cittadinanza, fondamento di ogni disciplina. Ma spesso, troppo spesso, la scuola non presidia questa MATERIA. Dal convegno ABITARE I MARGINI organizzato da LIBERA a Roma ci giungono importanti riflessioni

Come una proposta culturale molto forte, il lavoro educativo, può diventare anche una proposta politica che si fa realtà. Lo capiamo subito arrivando a Villa Vecchia a Monte Porzio Catone, bellissimo albergo con grande parco e piscina, che paga lo scotto di essere stato dichiarato bene confiscato perché, subito dopo aver saputo che era stato sottratto alla ‘ndrangheta, i suoi clienti hanno disdetto le prenotazioni. Ora lo fa rivivere l’impegno quotidiano dei dipendenti che vorrebbero costituirsi in cooperativa. In questo luogo, dal 22 al 24 Novembre, Libera ha accolto una cinquantina di docenti del centro Italia per proporre l’edizione 2013 di Abitare i Margini. È così che Libera abita i territori, proponendo una riflessione sul senso del nostro lavoro tra condivisione e concretezza, tra antimafia sociale e proposta educativa. Con Enrico Fontana e Nando dalla Chiesa ci interroghiamo su cosa bisogna fare e viene fuori l’esigenza imprescindibile di riaffermare le infrastrutture culturali: 1) la capacità di ASCOLTO che va formata; 2) il RISPETTO – filo silenzioso che unisce tutti gli articoli

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della Costituzione – architrave delle relazioni umane e sociali; 3) la LINGUA, quella ricca e precisa, altrimenti non si può fare l’antimafia, non si possono descrivere le mille sfumature della “zona grigia”; 4) il senso della STORIA che ti fa sentire che ci sono battaglie giuste perché ristabiliscono la verità. Quella verità che emerge dall’intenso documentario “GENERALE” che la nipote Dora, figlia di Nando, ci ha presentato con la timidezza dei suoi giovani anni. Un ritratto familiare che ha al centro suo nonno, Carlo Alberto Dalla Chiesa, con la sua tenacia e la sua solitudine, quella dei giusti che vanno a morire in questo paese solo perché fanno bene e fino in fondo il loro lavoro. La stessa verità incompiuta, emerge dalle parole sommesse e tenere di Alessandro Antiochia che ci parla di suo fratello Roberto e di sua madre, la grandissima Saveria Antiochia che insieme a Don Ciotti ha fondato Libera. Stare in un corso per insegnanti di Libera significa sempre fare i conti con la memoria di questo paese e con i volti e le storie di tutti quelli che hanno pagato con la vita il loro impegno. Continua a pag.15


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Agorà LIBERA Lo stuzzicadenti

Sistemi Territoriali Inclusivi Memoria ed educazione in tempi di crisi della scuola. (Continua da pag.14) Raffaele Mantegazza, pedagogista dal tocco lieve ed allegro, ci stimola partendo da una provocazione: può darsi che la scuola sia finita, è una invenzione umana come la macchina da scrivere… E allora per descrivere questa fine perché non partire dall’ inferno dantesco (azzeccate le diapositive con le immagini di Doré) e tornare ad esprimere il nostro essere contro: - Contro la scuola degli AVARI, per dire che è in atto una privatizzazione delle questioni educative e sociali, che significa dare ma anche pretendere solo risposte individuali (es. mio figlio non può stare in classe con troppi extra-comunitari, altrimenti non impara niente). Risposta: insegnare la socializzazione. Come affermava già Comenio nel 1600 “la scuola è il luogo dove si insegna tutto a tutti”. - Contro la scuola degli IGNAVI, occorre insegnare la responsabilità personale. - Contro la scuola degli INDOVINI, quella dell’ “è stato sempre così” , la scuola deve saper insegnare la profezia radicale e reale guardando avanti. E quindi uscimmo a riveder le stelle… ma il viaggio con Mantegazza è stato entusiasmante facendoci sentire davvero in-segna-nti, ovvero coloro che lasciano il segno! Abitare i Margini è proseguito con tanto lavoro di gruppo, sulla scia degli stimoli ricevuti che abbiamo saputo interpretare, sotto la guida intelligente e sicura di Michele Gagliardo, per dar vita all’individuazione di metodi ed esperienze tra scuola e territorio. Sono venute fuori le bellissime attività che stiamo portando avanti, spesso in solitudine, nelle scuole di ogni ordine e grado. Ci siamo mescolati, conosciuti e riconosciuti nei percorsi differenti di ciascuna. Abbiamo dato vita ad una lettura collettiva dei bisogni dei territori, specialmente quelli più marginali dell’ emarginazione, dell’integrazione, della multiculturalità per arrivare ad individuare dei nodi fondamentali dell’educazione: - La condivisione, ovvero il sentirsi parte di un sistema di relazioni; - La consapevolezza che il nostro lavoro deve aiutare a far crescere i giovani educandoli alla relazione con se stessi, con gli altri, con il territorio. Farli sentire parte di una realtà, aiutarli a trovare il senso; - La pratica di didattiche inclusive e partecipative, tra il locale ed il globale. È così che la scuola può creare SISTEMI TERRITORIALI INCLUSIVI.

Ultima, ma non meno importante informazione: abbiamo scoperto che ci sono altre reti di insegnanti che si confrontano sulla scuola viva che, ancora, ogni giorno, viene attivata da noi con passione. E Libera ci aiuta: a primavera del prossimo anno avremo forse il nostro primo appuntamento importante a livello nazionale. Faremo il punto, ma soprattutto, ancora una volta ci conosceremo e riconosceremo per iniziare a fare un cammino insieme! Antonella Guerrini Presidio Scuola “G. Rechichi” Perugia

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L’isola che c’è lo stuzzicadenti

Felice...Mente Ci lamentiamo spesso dell’agitazione e della distrazione che gli allievi manifestano in classe. Ecco uno strumento efficacissimo per iniziare a spiegare ai bambini come funziona la mente e attrezzarli a riconoscere gli stati mentali e le emozioni per prendersene cura. Un percorso di educazione alla consapevolezza che sviluppa l’attenzione e facilita l’apprendimento, aumenta l’autostima, la resilienza e la capacità di apprezzare pienamente la vita. gnante caglia, inse parlare ai Grazia Ron ene come b sa , re ta elemen erso lo fa attrav rmettono bambini e te che pe re c n o c i immagin quindi aginare e grandi”. loro di imm ncetti “da o c re e d n compre NTE FELICE...ME Il suo libro quario) Età dell'Ac iaggio (Edizioni L' bini in un v m a b i e c condu rso 4 isole, so attrave avventuro iaggiatori no di vecchi v , che han narrando del cuore ri er to p ra e lo p ap ed esp portanti m im i o n i. a rc e lasciato nza perd ella vita, se navigare n llissimo, Un libro be nti, zioni invita ondalle illustra ere un viaggio alla c d n rra re te p la a : tr rata per in rra inesplo te a n u i d quista cuore. del nostro

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a regalarlo sciamo, m Dovremmo i che cono in a b m o a rl b la i i a reg a tutt ovremmo d o n o a n tt u g tt a sopra ccomp a li e h c i ult tutti gli ad ita. sc re c nella ro è questo lib in to a rr a n he Il percorso da qualc to ta n e m ri ria di stato spe alla perife e ss la c a un tempo in . o Torin ontato iamo racc mero Ve lo abb ws, nel nu e n a st e u q o link: attraverso re a quest lia g o sf te te 27 che po redu/insegna m o c . u u s andohttp://is gnareduc se in 7 2 s/ c cando/do -giu2013 news-mag audio le tracce te a v o tr e Su youtub i e adulti o bambin n a i: id u g e ch tro se stess iaggio den v o st e u q in h?v=v .com/watc e b tu u o .y http://www 2Y jw5tDhMc

Cari colleg hi, termina qu i l’ultima n e ws del 201 A tutti voi 3. un caro au gurio di BUON N ATALE E FELICE A NNO NUO VO! Che le fest e natalizie siano FELICE...M ENTE seren e! Arrivederc i al 2014!!!


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