COME TI UCCIDO LA FILIERA

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Periodico edito dal "Centro Studi Officina Volturno"

ANNO XIX - NUMERO 221 - SETTEMBRE 2021

Ph. Ottavio Celestino | Copertina di Antonello Dell'Omo ©

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SCANSIONAMI Settembre 2021

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Editoriale

di Antonio Casaccio

COME TI UCCIDO LA FILIERA

C’è una dovuta premessa da fare. Nel mezzo del marasma, di cui presto leggerete, c’è la disperazione degli allevatori e la consapevolezza che, seguendo questa strada, non ci sarà altro epilogo se non il crollo della filiera della mozzarella di bufala campana DOP. Occorre l’impegno di tutte le forze politiche, sanitarie ed economiche in campo per evitare una vera e propria tragedia, ma per farlo bisogna fare i conti con i tanti interrogativi ancora irrisolti e posti in questo speciale giornalistico. Partiamo da un dato rilasciatoci dall’Istituto Zooprofilattico Sperimentale del Mezzogiorno: nel 2020 sono stati abbattuti ben 14.109 capi bufalini, 3.709 di questi nella sola Castel Volturno; nel 2021 si prevede che il dato potrebbe pareggiare, o addirittura superare, quello dello scorso anno. Un trend in costante salita dettato dalla diffusione della brucellosi e della tubercolosi negli allevamenti bufalini, un’emergenza che sta uccidendo la filiera della mozzarella di bufala campana di area DOP. Ma perché, in tanti anni, malattie infettive come la brucellosi non sono ancora state eradicate? L’Italia continua a essere multata in Europa per gli scarsi livelli di efficienza dei suoi piani di eradicazione e in questo rimbalzo di responsabilità sull’asse Regione Campania-Europa, a farci le spese sono gli allevatori… ma qualcuno ci starà pur guadagnando. Il Consiglio di Stato ha già decretato l’interesse crescente della criminalità organizzata nel settore, attratte dalle ingenti somme di indennizzo per gli abbattimenti. Le testimonianze raccolte in questo speciale ci parlano di un business nel quale entrerebbero anche i commercianti di carne e i macelli poco onesti, che acquistano capi bufalini all’estero e li contaminano volon-

SPECIALE ELEZIONI

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Le interviste esclusive ai candidati alle comunali di Napoli e Caserta

tariamente per ottenere gli indennizzi. Il documento del Consiglio di Stato, che cito, riferisce anche l’esigenza di ricorrere all’abbattimento come extrema ratio, cosa che a quanto pare ribadisce l’Europa nel Regolamento Europeo 625/2017. Proprio il 625/2017 vede come ultima opzione l’abbattimento dell’animale che ha contratto la malattia, anche se l’IZSM afferma che tale Regolamento non riguarda malattie come la brucellosi e la tubercolosi. Ma allora perché lo stesso Istituto richiama il 625/2017 per tanti provvedimenti di abbattimento? Il 625/2017 riguarda o no la brucellosi? Insomma: il gap e i dubbi normativi tra Unione Europea e Regione Campania sono di certo un dato di fatto. A questo si aggiunge il dramma ambientale che vivono alcuni territori del casertano che, come denunciato da Adriano Noviello, presidente dell’associazione di tutela della bufala mediterranea, vanno a creare gravi dinamiche per un’azienda colpita dalla brucellosi. Qual è il rischio di non riuscire nell’eradicazione della malattia? Per la d.ssa Ester De Carlo, direttrice sanitaria dell’IZSM, rischiamo di poter mangiare mozzarella di bufala solo in Campania, il che costituirebbe un danno inimmaginabile per la vita di migliaia di allevatori. Eppure dei risultati si erano raggiunti con la vaccinazione, fino al 2014 i dati mostravano un trend in discesa per la diffusione della brucellosi…certo, si tratta di prevenzione e non di eradicazione, ma perché buttare al vento i grandi passi fatti con l’ausilio del vaccino? Ancora tante domande senza risposta. L’avv. Mariella Fiorentino, nel corso dell’intervista, ci ha anche spiegato che la Regione Campania sul lato “politico” si professa contro gli abbattimenti e la reintroduzione del vaccino, ma in sede di giudizio opererebbe differentemente, spingendo per gli abbattimenti. Davanti a questo scenario non c’è colore politico o business che tenga, la posta in gioco è troppo alta. Ora più che mai c’è bisogno della cooperazione di tutte le forze per evitare una tragedia economica e lavorativa che pare davvero imminente.

AMBIENTE L'acqua non si vende. Il bicchiere d’acqua sarà la prossima moneta di scambio?

ATTUALITÀ

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S.O.S. artigianato napoletano. Puntare su qualità e originalità

TEATRO

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“Napucalisse”: l’essenza della città di Napoli. Intervista a Mimmo Borrelli

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SPORT Zonderwater, Robben Island, Terezin. Quando il calcio ha significato sopravvivere

Periodico mensile fondato nel 2002 Registrato al Tribunale di Santa Maria Capua Vetere n° 678 Edito dal Centro Studi Officina Volturno Presidente Tommaso Morlando

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Antonio Casaccio Vicedirettore

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SOCIALE #SonoSalvo. Quando la fantasia contrasta il buio quotidiano

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di Antonio Casaccio

ABBATTIMENTI «LA REGIONE NON SEGUE L’EUROPA!» Sulla questione il parere esperto dell’avv. Mariella Fiorentino

L’organo legislativo della Regione, all’unanimità, dice di fermare gli abbattimenti, mentre in giudizio affermano l’esatto opposto

M

ariella Fiorentino, avvocato amministrativista, è impegnata professionalmente da mesi nello scandalo riguardante gli abbattimenti dei capi bufalini affetti da brucellosi o tubercolosi. Insieme a colleghi ed ai clienti allevatori, porta avanti questa battaglia di giustizia evidenziando le enormi incongruenze normative che ci sono tra le norme europee, quelle nazionali e quelle regionali. Un caos senza fine a cui si aggiunge la disperazione degli allevatori che si scontrano con provvedimenti di abbattimento totale, oltre che la completa devastazione di una filiera di eccellenza internazionale. Abbiamo deciso di intervistarla per spulciare i gap normativi ed evidenziare le incredibili incongruenze sui test. Che idea si è fatta sulla trasmissione della brucellosi dalla bufala all’uomo e su gli eventuali gravi rischi connessi? «Ad oggi non vengono prodotti documenti scientifici che attestano questa gravità. Nel caso della brucellosi addirittura basterebbe pastorizzare il latte, un procedimento che viene già effettuato per la produzione della mozzarella; di conseguenza questo enorme allarme della Regione Campania non trova motivazioni così fondate. 4

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Mariella Fiorentino

Sulla questione ho trovato un documento molto interessante scritto dall’allora Commissario straordinario della brucellosi Campania e dal Commissario dell’Istituto Zooprofilattico, i quali affermano che la brucellosi convive con l’uomo da millenni. Nei miei giudizi, quindi, ho portato all’attenzione una semplice domanda: se questa patologia convive da millenni con l’uomo, solo ora vi ricordate di uccidere migliaia di capi bufalini? Il documento è pubblico ed è facilmente reperibile su internet, non ho faticato ad ottenerlo». Sui test diagnostici per la brucellosi qual è la vera realtà? I test fatti in Italia sono affidabili? «Per la brucellosi, l’Istituto Zooprofilattico (IZ) adotta delle metodiche che sono quelle stabilite da un decreto e da un’ordinanza ministeriale italiana, le quali sono superate da tre Decisioni europee che prevedono test completamente differenti. Addirittura la normativa europea prevede un test ulteriore denominato Elysa, proprio perché ci sono elevatissimi margini di incertezza rispetto ai risultati dei test; tengo a sottolineare che il Consiglio di Stato ha preso atto del fatto che post mortem molti capi bufalini risultavano essere falsi positivi, quindi le bufale erano state abbattute seppur sane». Il nostro Paese non ha mai preso consapevolezza della fallacità dei test?

«Durante il Congresso internazionale degli Istituti Zooprofilattici, quelli italiani hanno affermato che i test per la brucellosi non sono attendibili. Esiste, addirittura, un rapporto dell’istituto Superiore di Sanità che per i test prevede tutta una serie di crossreattività (correlazioni antigeniche con patogeni affini) che rendono inattendibili tali accertamenti». Riguardo i test diagnostici per la tubercolosi? «La questione è ancora più grave. L’IZ del Mezzogiorno ha condotto una ricerca, finanziata dal Ministero della Salute e col supporto di due Università americane, proprio sui test diagnostici effettuati sulle bufale mediterranee. Ebbene, è emerso che tali test non sono quelli idonei per la bufala mediterranea, ma sono efficaci per i bovini; ovviamente la bufala mediterranea ha caratteristiche differenti da un comune bovino. Quindi i test non sono idonei, ma è proprio sulla base di questi ultimi che si effettuano gli abbattimenti». Qual è la risposta dell’ASL a fronte di queste accuse? «In giudizio l’ASL ha portato avanti la tesi dell’eclissi immunologica, ovvero che dopo venti giorni il virus va via. Oltre questo hanno affermato l’esistenza di capi bufalini che sono “falsi negativi”, casi che si verificano per diverse condizioni (es. post parto dell’animale), ma questo fa sorgere una

domanda: quanti capi “falsi negativi”, e quindi affetti da brucellosi, sono ancora liberi di pascolare e produrre latte? Personalmente trovo molto più preoccupante questo aspetto che quello dei falsi positivi». Torniamo all’Unione Europea. Come affronta il problema il legislatore europeo? «L’art. 138 del Regolamento Europeo 625/2017 afferma che l’autorità decide quale misura adottare in caso di non conformità accertata (quest’ultima già in discussione come abbiamo visto). Tra le ipotesi messe a disposizione all’autorità solo l’ultima (la lettera k) prevede l’abbattimento. Da qui si desume che non è previsto l’abbattimento di animali sani mentre in Italia la Delibera regionale della Campania 207/2019 prevede che, quando sussistono determinate circostanze, si debbano abbattere tutti gli animali presenti in allevamento, quindi anche i capi sani. Questo non è assolutamente previsto in Europa». Quanti abbattimenti ci sono stati quest’anno? «Tutti gli abbattimenti devono essere tracciati, ma nonostante ciò non riusciamo a conoscere il numero preciso degli abbattimenti di quest’anno. La Regione dà numeri differenti rispetto al Ministero, che a sua volta dà numeri diversi da quelli che il nostro Paese fornisce alla Commissione europea. Nel 2019 il nostro referente in Commissione europea ha chiesto finanziamenti per l’abbattimento causa brucellosi di circa 14mila bufale in tutta Italia, meno della metà di quelle realmente abbattute». L’Unione europea riconosce, però, risorse di compensazione al nostro paese per gli abbattimenti effettuati… «Nel 2019 la Commissione europea su 14mila capi bufali abbattuti, riconosce il finanziamento per circa 3mila di questi (1/4 del totale quindi), facendo anche una distinzione tra bufale mediterranee ed altri bovini. Questo appura un fatto chiarissimo: mentre


l’Italia chiede finanziamenti per gli abbattimenti senza fare alcune distinzione tra i capi, la CE distingue il valore di una bufala mediterranea rispetto ad altri generi di bovino. La bufala mediterranea è una razza protetta per normativa nazionale e regionale, di questo l’Unione Europea è a piena conoscenza». Questi finanziamenti europei a chi sono diretti? «I contributi arrivano alla Regione Campania che a sua volta affida la gestione di tali finanziamenti all’ASL». Le risorse compensative riescono a sostenere un allevatore che ha subìto, ad esempio, un abbattimento totale? «L’indennizzo non è tempestivo rispetto all’abbattimento ed è a discrezione dell’autorità, come sancito dal Consiglio di Stato. Esiste una commissione che valuta se concedere l’indennizzo o meno. Tra le altre cose, la legge dice che l’indennizzo non è concesso se l’abbattimento dev’essere coattivo, ovvero se l’allevatore si rifiuta di abbattere l’animale. Quindi il finanziamento non è né automatico né obbligatorio, quindi l’allevatore deve faticare per vedersi riconosciuto questo diritto. Non solo, ma l’indennizzo non copre assolutamente l’acquisto di un nuovo capo bufalino di razza altrettanto pura… è questo il motivo per cui diversi allevatori hanno comprato bufale nei Paesi dell’Est, specialmente in Romania, favorendo in passato il business dei clan camorristici». Ci sono soluzioni alternative all’abbattimento dei capi bufalini? «Fino al 2014 c’era la vaccinazione, che di certo non è eradicazione, ma costituisce un’arma di prevenzione che limiterebbe di gran lunga il problema. Dico di più: è lo stesso ministero ad aver acclarato che, fino al 2014, grazie alle vaccinazioni il livello di brucellosi e tubercolosi era notevolmente calato. D’altronde, l’Italia è stata sanzionata dalla Commissione Europea da ultimo nel 2019 proprio per il fallimento dei piani di eradicazione oggi previsti». Qual è la posizione della Regione Campania sul tema? «Credo che la Regione Campania si stia dirigendo nuovamente verso la soluzione delle

vaccinazioni, anche se vi è un fenomeno strano. A febbraio 2020 il presidente del Consiglio regionale dà un’indicazione sulla base di una risoluzione del Consiglio regionale, approvata all’unanimità dalle commissioni regionali “Ambiente” e “Agricoltura”, nella quale viene ribadita la necessità di un ritorno alle vaccinazioni e la sospensione della Delibera regionale 207/2019, che è quella che ad oggi viene adoperata per gli abbattimenti. A questa risoluzione però non segue l’azione in giudizio, in quella sede la Regione Campania spinge per gli abbattimenti. Quindi: l’organo legislativo della Regione, all’unanimità, dice di fermare gli abbattimenti mentre in giudizio affermano l’esatto opposto. E, ad ogni modo, alla precisa indicazione dell’organo legislativo regionale poi non segue l’azione della Giunta regionale». Da amministrativista come valuta la normativa regionale rispetto a quella europea? «La normativa regionale non rispetta i regolamenti europei, anzi è esattamente contraria a questi ultimi, dai test all’abbattimento». C’è il rischio di vedere la filiera della mozzarella spostarsi dalla Campania ad altre regioni? «Il Regolamento europeo n.429 stabilisce la valutazione dei Piani di eradicazione di ciascun

Paese membro per garantire l’uniformità commerciale. La bufala mediterranea non è presente solo in Campania, già nel nostro Paese possiamo trovare tanti capi in Piemonte; se ammazziamo la filiera della mozzarella di bufala campana, c’è il rischio che siano altre regioni, o addirittura Stati, a prendere possesso di una tradizione di fama internazionale. Parliamo, inoltre, di un indotto economico davvero imponente per i nostri territori». Un rischio molto serio che sta mettendo in ginocchio tanti allevatori. Come valuta la condotta della Regione Campania? «Se la Regione Campania facesse gli interessi dei suoi amministrati (degli allevatori), portando in alto la bandiera della bufala campana e facendo pressione al ministero per il recepimento della normativa europea, magari non ci troveremmo nella grave situazione di oggi». Come sta adoperando nell’assistenza legale ai clienti-allevatori? «Personalmente sto portando avanti azioni giudiziali per far riconoscere la contrarietà della normativa italiana e regionale per Brucellosi e TBC rispetto alle normative ed alle precise indicazioni europee, chiedendo al TAR Lazio ed al Consiglio di Stato un rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia Europea per definire la questione normativa senza margini di dubbio. Purtroppo tale richiesta non è

mai stata presa in considerazione, perché la magistratura ha ritenuto di decidere semplicemente sulla base di precedenti giurisprudenziali regionali (del TAR Napoli), bypassando completamente la questione del contrasto con le norme europee. Eppure questo è il caso da manuale per una richiesta addirittura d’ufficio da parte della magistratura all’Organo di Giustizia europea deputato a verificare eventuali contrasti di questo tipo. Pertanto, proprio per l’omesso rinvio pregiudiziale e per la contrarietà delle norme italiane e regionali a quelle europee, attualmente pende reclamo davanti alla Commissione Europea per la procedura d’infrazione dell’Italia, presentato da me e dall’Avv. Amedeo Barletta, soprattutto grazie alla determinazione ed al coraggio del sig. Luciano Simone; perché è stato necessario coraggio nel proseguire azioni giudiziarie nonostante azioni dell’ASL che hanno portato ad un esposto alla Procura della Repubblica, nonostante l’abbattimento di tutti i capi di un allevamento tramandato da generazioni e le conseguenze economiche devastanti che questo ha comportato. Rimaniamo fiduciosi, dunque, ed in attesa degli sviluppi della Commissione europea al riguardo».

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«negati i test di conferma agli allevatori casertani»

L’intervento di Adriano Noviello, presidente dell’associazione di tutela della bufala mediterranea di Antonio Casaccio

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driano Noviello è, prima di tutto, un allevatore. Un professionista in questo campo che ha sentito sulla sua pelle il dramma di tanti allevatori del casertano incastonati tra abbattimenti totali, diffusione della brucellosi e una situazione ambientale tragica. Oggi ricopre il ruolo di presidente dell’Associazione di tutela della bufala mediterranea, un’organizzazione a difesa degli allevatori e della filiera della mozzarella di bufala campana DOP. Come nasce l’associazione di tutela? «L’associazione di tutela nasce cinque anni fa, quando iniziammo a raccogliere denunce di allevatori che trovavano in vendita mozzarella con marchio di bufala 100% DOP a 6.50 euro, quando solo il latte costa 1.65 euro. Ci vogliono quattro litri di latte per fare un kg di mozzarella, noi raggiungiamo la cifra di 6.50 euro solo per le spese riguardanti il latte, immaginiamo che a quel prezzo vanno aggiunte le spese del caseificio etc. Di conseguenza in quella mozzarella c’era per forza qualcosa che non andava. Da lì sono partite le denunce e l’associazione inizia a prendere forza quando affida incarichi ad avvocati col fine di formarci in materia di sanità animale. Oggi contiamo ben 240 aziende tra gli associati. Questo movimento di allevatori è mosso principalmente da un sentimento: la disperazione. Tale sentimento di abbandono è dettato dal fatto che non c’è stata alcuna associazione di categoria che ha sposato la causa degli allevatori: siamo stati lasciati soli». Qual è il dato più grave che emerge sulla diffusione della brucellosi nei nostri territori? «Ci sono 120 aziende della zona del basso Volturno dove la brucellosi è tornata e non per le metodiche di movimentazione sbagliate. Abbiamo 120/140 aziende che si sono reinfettate per la seconda volta, una quarantina per la terza volta, una ventina per la quarta e otto che si sono reinfettate per la quinta volta!. Ciò significa che il ritorno della malattia ha creato un dato sostanziale: abbiamo focolai continui ed in aumento dall’anno scorso, ne abbiamo ancora 31 che non siamo riusciti a risolvere, e siamo solo a Settembre 2021». Qual è il reale problema delle reinfezioni? «Il problema non è la bio-sicurezza né la condotta dell’allevatore: il dramma è ambientale. Proprio per tale ragione Castel Volturno ha subìto una strage ed è uno dei territori più colpiti dagli abbattimenti. I continui allagamenti, dovuti ai cambiamenti climatici e al cattivo funzionamento dei canali di bonifica, hanno creato ulteriori danni, così diventa davvero difficile uscirne». In termini economici cosa ricevono le aziende 6

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bufaline dopo gli abbattimenti? «L’associazione ha iniziato una guerra contro i ristori tre anni fa, con la sottoscrizione di un ricorso firmato da quaranta allevatori. Durante l’iter del ricorso venimmo a sapere che il dato di aggiornamento per il ristoro degli animali era fermo alla conversione euro-lira del 2002. Dopo quella battaglia il prezzo di mercato è stato finalmente aggiornato. Un’azienda colpita da un provvedimento di abbattimento totale percepisce intorno al 50% del valore del capo bufalino. Il valore dell’animale è legato alla sua produttività, quindi è in relazione anche con il costo del latte, il prezzo relazionato alla produttività minima di un capo è di almeno 2.800 euro. I ristori sono insufficienti perché non prevedono nulla per il mancato guadagno nella produzione, si tratta solo del valore intrinseco dell’animale». Parliamo del fenomeno della “contaminazione volontaria” di bufale acquistate all’estero al solo fine di abbatterle per acquisire indennizzi superiori al valore dell’acquisto di ciascuna bufala. Un giochetto imputabile agli allevatori? «Partiamo da un presupposto: la bufala dei nostri territori è definita “River” ed ha un patrimonio genetico differente dal bufalo asiatico e da quello allevato nel Nord Europa; il nostro bufalo ci arriva dai romani ed è cresciuto nel “pantano”. Dato il blocco delle movimentazioni gli allevatori sono costretti ad acquistare fuori dalla provincia di Caserta, addirittura adesso si sta pensando di acquistarle fuori regione. La normativa che regolamenta la questione è molto generale e prevede che gli animali provenienti dall’estero, quindi non certificati “river buffalo”, vadano nella stalla di sosta di un commerciante nella quale possono essere certificate “bufale mediterranee”. Il problema è che alcune aziende, che non avevano più produzione, sono state vittime di commercianti-speculatori che acquistano a prezzi estremamente inferiori degli animali dall’estero. Questo problema non riguarda gli

allevatori, perché il nostro guadagno proviene dalla produzione di latte e per averla c’è bisogno di acquistare capi bufalini garantiti da certificazioni di qualità». Qual è la vostra posizione sui test diagnostici per la brucellosi? «Sulla brucellosi abbiamo i test di SAR e FdC che riscontrano la positività da quattro malattie (yersinia, clamidia, salmonellosi e brucellosi). È accaduto che, andando a confrontarci con alcuni allevatori di Salerno, abbiamo rilevato che a loro erano concessi i test di conferma a seguito di una positività mentre per gli allevatori casertani questa possibilità è stata negata. Questo crea una discriminazione intraregionale negli esami di conferma della malattia, cosa che ho segnalato sia al Ministro della Salute Roberto Speranza che al Ministro dello sviluppo economico Stefano Patuanelli. Il giorno dopo questa segnalazione il Dr. Paolo Sarnelli, Responsabile Unità Operativa Dirigenziale Regione Campania “Prevenzione e Sanità Pubblica Veterinaria”, ha diramato un documento ufficiale in cui invita l’ASL ad attivare gli esami di controperizia. Alla luce di tutto ciò resta una domanda: perché non è stato possibile richiedere un esame di controperizia all’IZS di Napoli?». Sulla tubercolosi? «Per la tubercolosi abbiamo un enorme problema. La prova intradermica ufficiale è una grande stupidaggine perché il numero di falsi positivi è veramente impressionante. L’Idt va ad identificare una risposta immunitaria, ma ci sono almeno 200 ceppi batterici che sono cross-reagenti del batterio tubercolare, che è identificato nelle zoonosi. Ciò significa che tu hai bisogno di un esame di conferma a seguito di questo test. L’altro elemento è che l’Idt non è specifico per la nostra bufala, occorreva un altro kit di conferma che hanno identificato nel Bovigam. Sulla tubercolosi dev’esserci un aiuto concreto della scienza nell’individuazione di test specifici per la nostra bufala, perché andare avanti così è impossibile». Quali sono i numeri degli abbattimenti in questi anni? «Negli ultimi cinque anni sono stati abbattuti 30mila capi bufalini per tubercolosi, 140mila se a questi aggiungiamo anche quelli per brucellosi». Qual è la cosa più grave di tutta questa vicenda? «Nel momento in cui c’è una positività in stalla, ancora non notificata all’allevatore, arrivano chiamate da parte di commercianti e macelli per contrattare già il prezzo dell’animale. Questo è estremamente grave».


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«SENZA UN PIANO CONDIVISO RISCHI GRAVISSIMI» Ester De Carlo, direttore sanitario IZSM, risponde alle accuse mosse all’Istituto di Antonio Casaccio

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li abbattimenti di capi bufalini, a causa della diffusione di malattie quali brucellosi e tubercolosi, sta rischiando di uccidere l’intera filiera della Mozzarella di bufala in area DOP. Un profondo abisso in cui i primi a farne le spese sono gli allevatori, che vedono vacillare un indotto di estrema rilevanza anche per la Regione Campania. Come vediamo dagli interventi del Consorzio di tutela della bufala mediterranea, ad essere nel mirino sarebbero alcune pratiche dell’Istituto Zooprofilattico Sperimentale del Mezzogiorno

(IZSM). Dal caos inerente i test alle controperizie negate: abbiamo affrontato ogni accusa mossa all’IZSM con la d.ssa Ester De Carlo, direttore sanitario dell’istituto e medico veterinario. Secondo alcuni esperti la

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brucellosi convivrebbe con l’uomo da millenni. Qual è la verità scientifica su questa malattia infettiva? «L’Italia è sottoposta a un programma obbligatorio di eradicazione della malattia brucellare, non per suo volere, ma poiché si attiene alle indicazioni della Comunità Europea. L’Europa, quindi, cofinanzia i programmi di eradicazione di tutti gli Stati membri con un unico obiettivo: eradicare la malattia. Confer-

mo assolutamente la sua pericolosità sull’uomo, trattandosi comunque di una zoonosi. Tra l’altro, se non raggiungiamo determinati livelli del processo di eradicazione, come chiesto dall’Europa, il nostro Paese

verrà multato, come già accaduto in Regione Sicilia. In Campania siamo a forte rischio di subire una multa comunitaria, di conseguenza arrivare all’eradicazione della malattia è un obiettivo davvero importante. Il nostro Paese, a differenza di molti altri, non ha ancora raggiunto un buon livello di eradicazione». L’Europa però prevede l’abbattimento dell’animale come ultima soluzione...

infetto attraverso la macellazione dello stesso. Non è l’ultima scelta, per norme nazionali ed europee è la prima scelta. Il problema è che non ci sono modalità alternative». Anche se il Regolamento Europeo 625/2017 è chiaro e voi avete anche fatto riferimento a questo Regolamento per degli ordini di abbattimento. Proprio l’art. 138 prevede alla lettera “k” (ultima soluzione), l’abbattimento dell’animale.

«No, per l’Europa è la prima soluzione. L’unico modo, previsto dalle norme nazionali e regionali, è l’eliminazione del capo

«Tu parli di malattie di sorveglianza, non parli della brucellosi che invece è una malattia sottoposta a piano di eradicazione. Le normative europee sono molto ampie e includono tutta una serie di malattie, queste sono distinte in diverse categorie, la brucellosi è una di quelle malattie che devono essere sottoposte ad eradicazione con piani obbligatori. Nello specifico, per brucellosi e tubercolosi, non è prevista alcuna soluzione se non l’abbattimento. La normativa va inquadrata a


alle Regioni ufficialmente indenni. La Regione Campania ha dato agli allevatori la possibilità di fare lo screening Elysa sul latte per altre 4 volte aggiuntive (oltre i test che regolarmente svolge l’ASL). Questo campione aggiuntivo può essere conferito direttamente dagli allevatori attraverso il veterinario aziendale. Devo dire, con grande amarezza, che a meno che non sia andata l’ASL a raccogliere la mattina tali campioni, al nostro Istituto non

seconda delle diverse malattie, per la brucellosi bisogna far riferimento al Regolamento delegato 2020/689». Sulla tubercolosi, voi avete condotto una ricerca finanziata dal Ministero della Salute con diverse università americane. La ricerca evidenzia come l’intradermotubercolinizzazione unica (IDT), ovvero il test diagnostico corrente, abbia bassa sensibilità e specificità per la specie bufalina. Queste cose, ripeto, le ha scritte il suo istituto. La ricerca si conclude con l’opportunità di utilizzare il test interferon-gamma (IFN – Y) come aggiuntivo per la diagnosi della tubercolosi. Come lo spiega? «La prova intradermica è quella ufficiale per il bovino così come per la bufala, questo in tutto il mondo, ancor di più negli Stati che hanno dei piani obbligatori. In queste nazioni la scelta delle prove viene fatta dal legislatore, nelle norme c’è scritto chiaramente quale prove puoi utilizzare». Però la vostra ricerca afferma una scarsa sensibilità di quel test… «Quella ricerca è stata voluta fortemente dall’istituto Zooprofilattico del Mezzogiorno in virtù del fatto che non c’erano dati sui livelli di accuratezza del metodo intradermica. Quello che vedevamo era un’alta sensibilità del test, ma eravamo sospettosi sulla sua specificità. Al fine di ridurre gli abbattimenti di capi non positivi, abbiamo studiato l’efficacia dell’IFN – Y. Lo abbiamo fatto per dare alla Regione Campania una ricerca utile per ridurre gli abbattimenti ai soli capi certamente positivi. Il risultato è stato straordinario, a tal punto che la Regione, già con l’emissione della Delibera regionale 207/2019, decide di introdurlo nei piani di eradicazione della tubercolosi. Grazie a questa scelta della Regione Campania io

ritengo che per tubercolosi sono stati abbattuti circa 1/10 dei capi rilevatisi positivi all’intradermoreazione». Quindi lo state utilizzando? «Sì quotidianamente, lo stiamo utilizzando ogni volta che l’ASL e la Regione Campania lo ritengono opportuno, compatibilmente con la disponibilità dei laboratori. Ma, in ottica d’adeguamento della normativa regionale ai regolamenti 429/2016 e 689/2020, la Regione Campania sta prendendo in seria considerazione un’implementazione dell’utilizzo di questa prova a maggior tutela degli allevatori. Quindi non verrà utilizzata solo per confermare la presenza della brucella in un allevamento, ma in prima entrata nelle aziende. Auspico si utilizzi il più possibile». Per la brucellosi tre Decisioni europee prevedono test differenti da quelli utilizzati in Campania. La normativa europea prevede Elysa come test ulteriore di conferma per la burcellosi. Nella nostra Regione viene attuato questo test? «L’Elysa è prevista in Europa da più di vent’anni come test ufficiale. Ogni prova ha un livello di sensibilità e specificità, posto che non esiste nessun test che sia sensibile e specifico al 100%, la Comunità Europea ha da sempre adottato questo test come aiuto. Ma in Italia la normativa europea decide che nelle Regioni non ufficialmente indenni vanno utilizzati solo altri test, l’Elysa viene riservata ai controlli saltuari destinati

sono mai pervenuti dai veterinari aziendali campioni di latte su test Elysa. Senza questi campioni non possiamo svolgere esami». Cosa occorre per fare passi avanti verso il contrasto di tali malattie? «È necessario un piano di eradicazione che sia condiviso da tutti gli attori territoriali, senza perdere di riferimento i parametri sanitari che devono essere obbligatoriamente rispettati. Non c’è più tempo per ritardare una condivisione dei piani: la nostra Regione è una delle poche a non essere ufficialmente indenni, se continuiamo ne vedremo delle belle…». Quali potrebbero essere i rischi? «Non sono nemmeno immaginabili dal settore. Se in tempi brevi non riusciamo a dare risultati sull’eradicazione, corriamo il forte rischio che il Ministero della Salute possa dire che la mozzarella di bufala potrà essere mangiata solo in Campania. Questo sarebbe un colpo letale per l’economia dei nostri allevatori e, più in generale, di tutta la Regione Campania. È arrivato il momento di comprendere per bene quali siano gli strumenti necessari per arrivare all’eradicazione della brucellosi». In questo discorso emergono le responsabilità di più parti? «Ognuno poteva fare di più. Personalmente ritengo che nel processo di eradicazione non tutti stanno facendo la propria parte. Gli allevatori devono segnalarci gli

aborti poiché sono il primo segnale della diffusione della brucellosi, non indicarli per paura di attestare la presenza della malattia negli allevamenti non significa affrontare il problema. È arrivato il momento di rimboccarsi le maniche e fare tutto ciò che è dovuto per raggiungere l’eradicazione della malattia; ammettendo ognuno le proprie colpe. Addossare le colpe a chiunque, fa parte di una politica improduttiva: è il momento di essere uniti». Ci sono vostre responsabilità nel rifiutare le controperizie richieste dagli allevatori? «Noi siamo un ente strumentale del Ministero della Salute e della Regione Campania, rispondiamo alle loro indicazioni. Non possiamo decidere se accettare un campione in controperizia piuttosto che rifiutarlo, tutto questo si rifà alle norme nazionali e alle indicazioni del Ministero. Quest’ultimo si è già espresso, in modo molto chiaro, affermando che i campioni di profilassi non rientrano nel Regolamento europeo 625/2017; quindi non è prevista controperizia specificamente per la brucellosi e la tubercolosi perché rientrano nei piani di profilassi obbligatoria. Immaginiamo che queste due malattie rientrino nel 625/2017, così l’allevatore, per ogni capo infetto, dovrebbe pagare una multa esattamente come avverrebbe per allevatori che vendono prodotti con all’interno la salmonella. Sarebbe una pazzia perché gli allevatori non avrebbero più nemmeno il rimborso dei capi infetti che oggi, invece, percepiscono. Fossi in loro farei un’azione molto forte per aggiornare il valore stabilito per i capi bufalini a quello reale, perché il rimborso, nel caso della bufala, non corrisponde al reale valore di questo animale». Quali sono i numeri degli abbattimenti in riferimento alla provincia di Caserta e specificamente al comune di Castel Volturno? «Nel 2020, riguardo la brucellosi nell’intera provincia di Caserta, sono stati abbattuti 14.109 capi bufalini. Nello stesso anno a Castel Volturno sono stati abbattuti 3.709 capi. Da Gennaio fino alla fine di Agosto 2021, sono stati abbattuti 2.667 capi bufalini nel solo comune di Castel Volturno. Gli abbattimenti hanno riguardato i capi positivi e negativi, questi ultimi sarebbero i capi bufalini che, seppur negativi alla diagnosi per brucellosi, sono interessati dall’abbattimento totale utile all’eradicazione della malattia». Settembre 2021

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ELEZIONI NAPOLI

«PARTIRE DALLA CULTURA DELLA LEGALITÀ» Catello Maresca, candidato per Napoli, illustra le sue idee La Redazione

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atello Maresca, ha lavorato presso la Direzione distrettuale antimafia (DDA) e come sostituto procuratore presso la Procura Generale di Napoli. Oggi è candidato sindaco di Napoli per il centrodestra, con un programma incentrato maggiormente sul recupero delle periferie ed il rispetto delle regole, centrale per dare a Napoli una prospettiva europea. Lo abbiamo intervistato per comprendere meglio le sue idee. La città di Napoli ha molteplici difficoltà con diversi temi da affrontare (prevenzione, ordine pubblico, sicurezza, salute, etc.). Come mai hai deciso di affrontare questa sfida? «Il discorso è molto complesso, ma mi dà la possibilità di affrontare tanti argomenti. Partiamo da un primo concetto: non è vero che in maniera assoluta il sindaco di una città non ha poteri di ordine pubblico e mi spiego. Creare le condizioni per il lavoro passa attraverso le istituzioni. Sto incontrando molti imprenditori che mi ripetono che non possono investire, perché non ci sono le condizioni. Ma quali sono le condizioni? Vengono chieste sicurezza e infrastrutture. Cosa può fare il sindaco? Per la sicurezza si possono creare le condizioni di ordine attraverso il rispetto delle regole che non hanno colore partitico, per me sono regole di valore universale. Ci vuole la cultura della legalità e chi meglio delle istituzioni deve dare l’esempio? La polizia municipale ha molte competenze e può intervenire sicuramente sul rispetto delle regole. Recuperare il perimetro delle libertà altrui, non solo delle proprie, è un primo passo per non fare danni alla vita della comunità. Per me, quindi, prima di tutto vi deve essere un rispetto rigoroso delle regole. Non è affatto strano che questa richiesta di rispetto delle regole venga proprio dai quartieri più difficili». Quali sono i princìpi della tua iniziativa? «Voi conoscete bene la realtà di un territorio che è stata liberata dalle mafie attraverso le attività della magistratura e delle forze dell’ordine, ma poi il vuoto che si crea deve essere riempito dalle istituzioni, altrimenti, prima o poi sarà rioccupato dai delinquenti. L’organo deputato alla prevenzione del fenomeno è l’istituzione, anche locale; l’attività repressiva è deputata alla magistratura. Il Comune deve avere il controllo del territorio, ad esempio, con la videosorveglianza. Nel tempo risolvi le difficoltà migliorando la mentalità, ma nell’immediato le risolvi con proposte concrete e in merito ho le idee molto chiare e riuscirò a far capire che il rispetto delle regole e l’autorevolezza delle mie proposte siano molto cre-

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Catello Maresca

dibili». Alcune tue dichiarazioni hanno suscitato molte polemiche. «Il mio programma, il mio progetto e le mie liste hanno princìpi chiari, cioè quella di non portarsi dietro zavorre ideologiche e sostanziali legate al passato che ti possono condizionare nelle scelte future. Ho fatto delle scelte chiare che hanno attirato inutili polemiche sui simboli, ma non è assolutamente una questione di simboli, per me è una questione di sostanza, cioè di merito, di autonomia e di capacità operativa». Come ritieni di portare avanti la campagna elettorale nelle prossime settimane? «Io credo ad un modello: bisogna saper ascoltare prima di intervenire. Nel caso della città di Napoli i problemi sono complessi e diversificati: ascoltare ti consente di entrare nel merito e anche di valutare ipotesi di soluzioni. Sono certo di aver fatto per oltre venti annI il magistrato con spirito di servizio. Insieme alle associazioni, tra cui anche la vostra, abbiamo portato avanti tante iniziative, sempre con la schiena diritta ed essendo coscienti che abbiamo preso un impegno con tutta la collettività. A costo di sacrifici, a volte sacrifici molto grandi, ma che pesano molto di meno quando ci credi fermamente. E noi ci abbiamo sempre creduto fermamente». Hai già delle idee sulla prossima squadra che ti affiancherà? «Anche in questo caso ho le idee chiare. Gli assessori dovranno essere competenti e riconoscibili. Il sindaco non può essere tuttologo, pertanto deve cercare di organizzare e far dialogare tra di loro tutti i soggetti coinvolti. Gli assessori non devono essere per forza solo tecnici, ma devono sicuramente avere una pro-

iezione tecnica. Uno degli obiettivi è mettere al centro dell’attività amministrativa la tutela della salute pubblica che, come tutti sanno, è la prima autorità a dover prevenire e intervenire. Non temo assolutamente la paventata ipotesi di futuro isolamento rispetto alle autorità regionali e nazionali, ripeto il concetto: io sono un uomo delle istituzioni e credo fermamente nelle istituzioni. Non posso minimamente accettare future ipotetiche preclusioni. Ritengo di essere stato una persona che ha sempre saputo fare rete ed essere sempre riuscito a far collaborare le persone tra loro. Ci riuscirò anche con le altre istituzioni sovracomunali». Il dissesto finanziario potrà limitare le attività di programmazione amministrativa? «Il dissesto finanziario si affronta con grande serietà e onestà. Se non si hanno i numeri certi si parla del nulla. Non posso sopportare che la gente sia presa in giro. Bisogna essere precisi e non fare proclami. C’è un’enorme problema di spesa corrente che è fortemente limitato dalle leggi, soprattutto quando c’è stata un’evidente cattiva gestione, ovvero, pensare di poter scaricare sempre tutto sulle generazioni futuro. In merito voglio essere ancora più chiaro: la prima operazione sarà di verità, dobbiamo esporre i numeri certi in merito alla stratificazione dei debiti. Poi bisogna intervenire sulla spesa corrente, soprattutto con la digitalizzazione e la gestione ottimizzata delle risorse disponibili che sono circa 4.600 unità. È indispensabile, inoltre, razionalizzare la riscossione dei tributi. È un lavoro lungo e scrupoloso, ma che sono certo di poterlo affrontare con serietà, competenza e trasparenza». Un messaggio finale per i tuoi elettori? «Mi rivolgo ai tanti giovani presenti oggi nella redazione di Informare. Ho le idee molto chiare su un futuro piano di programmazione sulla formazione, anche in sinergia con la Regione Campania. Ad oggi, le istituzioni locali spesso non hanno un piano strategico a 10 e 20 anni per capire quali siano le figure professionali che veramente servono. Come si fa a programmare gli investimenti se non conosci le necessità? Propongo, invece, una strada chiara: partire dalla conoscenza chiara delle figure professionali che il mercato richiede nel prossimo futuro e, di pari passo, organizzare gli investimenti formativi. Deve essere un vero e proprio percorso culturale. Sono certo che possiamo migliorare la mentalità e la voglia di ascoltare anche da parte dei cittadini, i quali meritano delle opportunità concrete e fruibili».


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ELEZIONI NAPOLI

«Un sindaco presente per questa città» Parla la candidata sindaco di Napoli Alessandra Clemente La Redazione

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lessandra Clemente, già assessore dall’anno 2013, è una delle candidate sindaco al Comune di Napoli. Con idee forti e uno sguardo avanti nel futuro e prospero per la città, la Clemente presenta il suo programma elettorale, analizzando le criticità di Napoli e le risorse che ha da offrire. Perché la scelta di candidarti? Cosa ti ha spinto a lanciare questa candidatura? «Ho sempre portato avanti la scelta con molta determinazione, non ho mai tentennato. Mi spingono soprattutto i miei valori: forti e che hanno caratterizzato il mio impegno. Il pensiero è diventato più concreto e mi sono sentita pronta, grazie alla gavetta amministrativa fatta in questi anni: inizialmente con la delega ai giovani e poi deleghe alla polizia locale e al patrimonio. Quindi, da un punto di vista personale e politico sono i miei valori che mi spingono a questa candidatura e lo fanno in modo trainante. Le mie paure si sono sciolte man mano grazie all’esperienza di otto anni e alla conoscenza della macchina amministrativa, delle potenzialità della città e delle criticità che ci sono. Oggi il nostro programma elettorale è presentare ai napoletani le proposte per risolvere in modo credibile quei problemi e farli diventare dei progetti e quindi dei prossimi anni di lavoro insieme». Come ti approcceresti, se fossi sindaco, ad un miglioramento di un Comune che vive un dissesto finanziario importante? «Rivendico di rappresentare una generazione che si nutre profondamente di una nuova consapevolezza della cultura e della sostenibilità sia rispetto alla spesa pubblica che rispetto alle tematiche ambientali. Siamo una generazione che ha sulle spalle un grosso debito perché negli anni ‘80/’90 mancava la cultura di una sostenibilità della spesa pubblica. E questo anche sulle temati14

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Alessandra Clemente

che ambientali: pensiamo all’Ilva di Bagnoli, i territori inquinati di via Argine, il nostro litorale Domizio. I bilanci e l’ambiente sono stati trattati come dei pozzi senza fondo. Gli elettori e i nostri concittadini devono essere consapevoli che ci sono coalizioni che affermano di voler amministrare i fondi del PNR, mentre invece ci sono coalizioni, come la nostra, che vogliono amministrare una città. Recuperare questi fondi ed amministrarli per non aggravare, nel 2048, la situazione con un ulteriore debito, ma dare alle generazioni future una stabilità ed un miglioramento sempre in crescita. E questa è la strada maestra che mi vede candidata come sindaco». Quali sono i punti chiave del tuo programma elettorale? «Le mie priorità sono la rete e, con il tema dell’ambiente, anche la qualità della vita quindi restituire il mare ai quartieri della città in chiave di sviluppo economico. Voglio potenziare fortemente la pulizia della città perché su questo percepisco personalmente delle criticità. Il piano dei trasporti, dal momento che deve diventare una città europea potenziando il piano attraverso il tram del mare, ma anche attraverso il potenziamento dei nostri treni metro e dei tempi di attesa, con

la consapevolezza che dobbiamo liberare la città dall’auto privata. Dobbiamo fortificare il trasporto pubblico, ma anche avvalerci dei forti alleati che abbiamo nella città come il trasporto scolastico e i tassisti. Anche attraverso la sosta pubblica che deve essere accessibile e non onerosa come quella che c’è attualmente in città e che pregiudica molte cose. Oltre ciò, la creazione di grandi hub di interscambio alle porte della città che liberino e permettano alla città di respirare economicamente anche attraverso delle grandi aree pedonali. E diventi così Napoli un punto di riferimento per tutti. Inoltre, un forte impegno per le donne e per i giovani. Che sia Napoli una città dei diritti perché spesso, donne e giovani, sono l’avanguardia della negazione di molti diritti sia dal punto di vista lavorativo che dal punto di vista dell’inclusione. Una città più giusta che possa fare della buona amministrazione». L’impatto della criminalità organizzata nella manovalanza giovanile, soprattutto a Napoli Nord: come affrontare questa problematica? «I nostri valori si fondano su questo: non far sospettare neanche per un secondo al cittadino che

una porzione dei nostri fondi può finire nelle mani sbagliate. Noi siamo un’amministrazione che ha gestito i grandi finanziamenti delle Universiadi e delle metropolitane e a via Marina quando c’è stato il sentore di infiltrazioni tramite prestanomi, noi siamo stati l’amministrazione che ha rescisso i contratti; questo ha portato ad un allungamento dei tempi e sicuramente un disagio, ma siamo certi che quella spesa pubblica non è andata nelle mani sbagliate, nelle mani di chi calpesta il nostro futuro. Io, inoltre, porto anche un forte ricordo ed è questo il mio obiettivo: fare memoria nel presente delle ingiustizie del passato. Io in prima persona ricordo mia madre, Silvia Ruotolo, e con lei tutte le vittime innocenti di camorra. Un progetto di presente che non deve più accadere ad altri, e non è retorica». Rispetto agli altri candidati, cos’ha il tuo programma di diverso e, soprattutto, quali criticità hai analizzato nei programmi di Manfredi e Maresca? «Credibilità: io parlo ciò che vivo perché ho vissuto, in questi anni, la città. Dall’altra, critico fortemente la coalizione che sostiene Manfredi: persone unite per un’idea di potere e non per un programma di cose da fare. Persone unite a tutti i costi per amministrare i fondi del PNR, come dichiarano anche loro. Dall’altro lato, per Maresca, credo che un sindaco debba fare ciò che dice e debba essere coerente. Ha dichiarato, inizialmente, di essere una lista civica e poi ha portato il carroccio della Lega. Credo che tutti questi siano i grandi elementi di debolezza di queste proposte politiche: sono elementi di distanza dalle persone. Invece la coerenza, ma anche l’entusiasmo che c’è in chi ha aderito alla mia candidatura saranno non soltanto l’arma vincente, ma soprattutto una delle pagine più belle che vivrà Napoli. Un sindaco presente per questa città».


ELEZIONI NAPOLI

«UN NUOVO WELFARE PER NAPOLI»

Il programma elettorale e gli obiettivi del candidato Gaetano Manfredi La Redazione

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aetano Manfredi, già rettore dell’Università degli Studi di Napoli Federico II ed ex Ministro dell’università e della ricerca nel Conte II. Candidato per la conquista di Palazzo San Giacomo, la sua discesa in campo è frutto di un accordo tra M5S e centrosinistra culminato con la garanzia di un “Patto per Napoli” per implementare la valorizzazione della città. Quando ha maturato la scelta di scendere in campo per Napoli? «Ci ho riflettuto per un lungo periodo, ma non perché non volessi impegnarmi per la mia terra da cui ho avuto tantissimo quanto perché ritenevo e ritengo tuttora che vi sia la necessità di ridare centralità nazionale alla nostra città. Dopo aver coinvolto e responsabilizzato le forze politiche del centrosinistra e del Movimento Cinquestelle al fine di delineare un Patto per Napoli allora ho deciso di scendere in campo. La soluzione per la tenuta finanziaria del Comune è una condizione imprescindibile per chi voglia amministrare erogando i servizi essenziali e non voglia limitarsi a fare promesse». Quali sono i principali punti programmatici su cui si struttura il suo programma? «Nell’elaborare il nostro ampio ed articolato programma per il governo della città, presentato pubblicamente ma ancora aperto ai contributi esterni di chi voglia sottoporci la sua idea, siamo partiti dalla fotografia del contesto in cui ci troviamo. Crisi sociale e del lavoro, vivibilità, efficienza dei trasporti, manutenzione del verde e delle strade, fuga dei cervelli e dei giovani: sono questi i temi a cui dobbiamo dare risposte. Da questa consapevolezza, abbiamo immaginato un nuovo welfare incentrato sul partenariato tra pubblico e privato in modo da valorizzare le mi-

Gaetano Manfredi

gliori esperienze del territorio; un hub culturale che renda Napoli la capitale europea della musica mettendo in rete i tantissimi talenti che esprimiamo; sulla scuola, dobbiamo raggiungere entro cinque anni 33 posti per 100 bambini come da target europeo; poi riqualificare le aree urbane pubbliche, soprattutto nelle aree a maggiore criticità; aumentare i presidi di polizia municipale e i sistemi di videosorveglianza; promuovere percorsi di emersione del lavoro nero, dell’imprenditoria informale o abusiva; promuovere una rete di sostegno ai giovani per il contrasto alla povertà educativa, alla cultura dell’illegalità, alla criminalità, lavorando con le scuole, con le associazioni culturali e con il terzo settore». Quale soluzione per amministrare una città che soffre il peso di un imponente dissesto finanziario? «Evitare il dissesto c’è bisogno di un concreto sostegno da parte dello Stato con interventi normativi ad hoc, ci stiamo già lavorando. Poi la mia priorità è riorganizzare la macchina amministrativa con potenziamento della pianta organica, ridefinizione delle modalità di dialogo

istituzionale e amministrativo tra Città Metropolitana, Comune, Municipalità e digitalizzazione dei processi e dematerializzazione delle procedure». L’area Nord di Napoli (e non solo), ha visto crescere la manovalanza giovanile a sostegno della camorra. Come combattere questo fenomeno? «Su questo ogni Istituzione deve recitare la sua parte. Si deve partire dalla riqualificazione delle aree urbane pubbliche, soprattutto nelle aree a maggiore criticità. Poi serve promuovere percorsi di emersione del lavoro nero, dell’imprenditoria informale o abusiva, ma anche una rete di sostegno ai giovani per il contrasto alla povertà educativa, alla cultura dell’illegalità, alla criminalità, lavorando con le scuole, con le associazioni culturali e con il terzo settore. Insomma, dobbiamo creare le condizioni per sottrarre terreno alle varie forme di illegalità. Generare lavoro, welfare e cultura sono le precondizioni per la legalità e la sicurezza». Quest’estate Napoli ha avuto un aumento di turisti, dovuta anche alla possibilità del green pass. Come implementare la visione di Napoli quale città europea? «Il turismo mordi e fuggi non serve a nulla. Occorre rafforzare l’identità del brand Napoli, promuovere un turismo esperienziale e di qualità, migliorando la vivibilità e la fruizione dei siti turistici della città, valorizzare e costruire attrattori turistici in tutte le aree della città, valorizzare le reti degli operatori turistici e istituire la DMO (Destination Management Organization), istituire un patto con le altre grandi città della cultura italiane a partire da Roma e Firenze, per la promozione di un’offerta turistica integrata, valorizzare la rete turistica regionale».

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ELEZIONI CASERTA

«NON DOBBIAMO LASCIARE LA STRADA MAESTRA»

Carlo Marino, sindaco uscente, punta sulla continuità della sua azione amministrativa La Redazione

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arlo Marino, sindaco uscente della Città di Caserta e avvocato, conclude i suoi cinque anni alla guida del comune con la volontà di ripetere quest’esperienza, per dare continuità a quanto già fatto. A sostegno del candidato Marino: Partito democratico, ‘Moderati-Insieme’, Avanti-Psi, Noi Campani, Italia Viva (che però potrebbe presentarsi senza simbolo e sotto altro nome), Radici Casertane. Riuscirà il sindaco uscente a confermare il grande risultato derivante dal passato ballottaggio (vinto con il 62%)? Dott. Marino, da cosa è dettata la scelta di scendere in campo per Caserta? «Considero la mia candidatura, personalmente e politicamente, un dovere nei confronti dei casertani che cinque anni fa mi hanno concesso la loro fiducia. Abbiamo intrapreso, tra mille difficoltà, un percorso di rinnovamento che è stato apprezzato. Lo dimostra il fatto che il centrosinistra si presenta unito e più largo di quanto non fosse nel 2016, segnale che il buon lavoro fatto in Comune ci ha permesso di essere più attrattivi verso i casertani». Quali sono le priorità sulle quali intervenire per valorizzare questo comune? «La vera priorità è quella di non lasciare la "strada maestra". Siamo riusciti a fronteggiare le difficoltà di bilancio con una progettualità di eccellenza che ci ha permesso di intercettare ogni finanziamento strategico possibile. In questi mesi si sono moltiplicati i cantieri, sono partiti nuovi progetti, si è aperta, dopo decenni, una interlocuzione strategica con Università e Regione per integrare il Macrico verde nella città, aprendo uno scenario di sviluppo completamente nuovo grazie ai fondi stanziati nel PNRR. Abbiamo una occasione unica e fondamenta solide costruite in cinque anni di duro lavoro. È questo quello che dobbiamo far capire ai casertani». Quali soluzioni per implemen-

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Carlo Marino

tare investimenti sul territorio? Scongiurando scene indecorose come le tante attività chiuse nelle principali strade della città. «Gli investimenti non arrivano con la bacchetta magica e dobbiamo distinguere tra l'investimento pubblico e quello privato. Al Comune compete il primo e abbiamo fatto la nostra parte con la progettualità di eccellenza di cui parlavamo. Faccio un esempio concreto: ho citato il Macrico. Se il progetto venisse finanziato avremmo un investimento di 170 milioni di euro nel centro della città. Una cifra che renderà concreta quella visione di Caserta che avevamo proposto ai cittadini cinque anni fa: allargare il centro e connetterlo a quella che oggi viene considerata periferia. Si rivitalizza il centro storico, si implementa la ‹città turistica› e, di conseguenza, ripartiranno anche gli investimenti privati. È una scommessa forte che sappiamo di poter vincere». Quali sono stati i principali ostacoli che hanno intralciato il cammino dell’amministrazione? «Le difficoltà di bilancio e la carenza di personale. Quella del dissesto è una criticità ormai "storica" del nostro Ente. Fortunatamente siamo stati in grado, con la professionalità del professore Pica e della dottoressa Martino che hanno lavorato con i tecnici del comune, di far quadrare i conti. Quello che dico è dimostrato dalla tenuta dell’am-

ministrazione e dai bilanci approvati dalla maggioranza in questi anni. Quello della carenza di personale è un problema degli ultimi anni, ma strettamente legato al problema del dissesto che ci ha impedito, finora, di procedere con nuove assunzioni per rinforzare l’organico. In ultimo non ci ha certo favorito l’imprevedibile pandemia da Covid. Tutto, soprattutto i primi mesi di emergenza, è stato rallentato, comprese procedure burocratiche e il lavoro degli uffici comunali e questo ha certamente influito sui tempi dei lavori pubblici e della gestione ordinaria». Spazi verdi e valorizzazione delle eccellenze culturali presenti. Come intervenire per rilanciare le ricchezze di Caserta? «Questo Comune si è dotato di regole precise e chiare per la condivisione delle aree verdi e delle piazze cittadine con la comunità casertana e con gli agenti del terzo settore. Questo ci ha permesso non solo di rispondere all'esigenza della collettività di contribuire alla gestione dei "beni comuni", ma anche di alleggerire gli sforzi di investimento nella manutenzione del verde che ha risentito delle difficoltà di bilancio. Poi c’è il grande tema della cultura, strettamente connesso a quello del turismo, che vive un periodo di forte ‘compressione’ a causa della pandemia da Coronavirus. Siamo di fronte ad un autunno che rappresenta ancora un’incognita e mal-

grado questo, siamo stati in grado di assicurare gli investimenti necessari per mantenere vivi i tradizionali eventi di Settembre al Borgo e di San Leucio. Abbiamo investito nella biblioteca comunale, per dare ai nostri giovani un luogo dignitoso dove poter studiare, finanziato il sistema museale cittadino e sostenuto tutte le iniziative culturali promosse da associazioni e comitati. Anche qui la strada è tracciata e occorre solo continuare a lavorare». Caserta occupa da anni gli ultimi posti nella classifica basta sulla “vivibilità” dei comuni. Quali servizi vanno implementati e/o creati? Come finanziarli? «Quello della vivibilità è un problema complesso. È un problema di ordine sociale, con famiglie e scuole che non riescono più a garantire, da sole, l'educazione dei giovani. È un problema di ordine economico, con gli investimenti pubblici che devono servire a "migliorare" la città. È un problema, infine, anche di sicurezza e di ordine pubblico che compete alle forze dell'ordine. L'amministrazione ha lavorato tanto su questo aspetto e cito uno degli ultimi provvedimenti varati dalla Giunta, un piano per l'abbattimento delle barriere architettoniche nei punti strategici della città. Parto da questo argomento perché ritengo quello della disabilità e dell'accesso alla città, uno dei temi fondamentali. Ci siamo dotati di tutte le regole necessarie a mantenere l'ordine pubblico, dobbiamo solo rispettarle. Caserta dovrà investire nei prossimi anni nel decoro urbano e nella sicurezza. Le risorse ci sono, sono quelle del PNRR che ci mette a disposizione milioni di euro per realizzare la "Smart City", una Caserta intelligente. Con quei fondi potremmo strutturare una rete capillare di videosorveglianza e garantire interventi in termini di mobilità, decoro e infrastrutture le risorse necessarie alla nostra città».


ELEZIONI CASERTA

«METTIAMO IN MOTO GLI UFFICI COMUNALI!» Gianpiero Zinzi illustra i principali punti per cambiare Caserta La Redazione

La prima vera sfida da sindaco sarà quella di rilanciare l'immagine di Caserta a livello nazionale ed internazionale

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ianpiero Zinzi, Avvocato e già consigliere regionale, è il candidato sindaco di Caserta per il centrodestra. Proviene già da diverse esperienze politiche ed istituzionali, come la presidenza della III Commissione speciale “Terra dei Fuochi, bonifiche, ecomafie” del Consiglio regionale della Campania. Con lui abbiamo fatto il punto sul programma elettorale partendo dalle urgenti necessità del comune casertano. Da cosa è dettata la scelta di scendere in campo per Caserta? «È stato un atto di amore nei confronti della mia Città, che mi ha dato tanto. A un anno esatto dalle ultime elezioni regionali se ho deciso di impegnarmi in una nuova campagna elettorale è solo perché vedere Caserta abbandonata a sé stessa mi fa male. Questa non è più la Città in cui sono nato e ho deciso di vivere. Vorrei che anche le future generazioni possano conoscerla come un posto vivibile, sano e ricco di valori». Quali sono le priorità sulle quali intervenire per valorizzare questo comune? «Le priorità, per una Città che da tempo è senza un’adeguata guida politica e amministrativa, sono tantissime. È complicato elencarle tutte. Senz’altro partirei da una nuova riorganizzazione degli uffici comunali. Attualmente i servizi erogati sono rallentati anche a causa della decisione della Giunta Marino di pre-pensionare 100 di-

Gianpiero Zinzi

pendenti. Una decisione motivata da ragioni finanziarie, ma che, dopo il ricorso dei dipendenti e la sentenza del Tribunale, si è rivelata doppiamente dannosa per il Comune. Occorrerà riorganizzare gli uffici, affiancando a questa attività l’informatizzazione completa dei servizi erogati dall’Ente e, in particolare, di quelli dell’ufficio anagrafe. La prima vera sfida da sindaco poi sarà quella di rilanciare il brand Caserta a livello nazionale ed internazionale. Promuoveremo percorsi di eccellenza qualificati per le produzioni artigianali ed enogastronomiche per tutelare e promuovere l’imprenditorialità casertana». Quali soluzioni per implementare investimenti sul territorio? Scongiurando scene indecorose come le tante attività chiuse nelle principali strade della città «Sicurezza e regole certe, valutando anche la possibilità di immaginare sostegno a chi vuole investire sul territorio, aiutando l’economia casertana. Il commercio e le attività produttive vanno incentivate e non penalizzate

con regole assurde e stringenti. Per fare un esempio le diverse ordinanze anti – movida, l’ultima emanata dopo la tragica morte di Gennaro Leone, hanno il solo scopo di colpire chi su questo territorio ha investito. Il problema delle aggressioni e della violenza non si risolve vietando ai bar e ai locali di lavorare». Quali sono state le principali inefficienze dell’amministrazione Marino e come interverrebbe se fosse sindaco di Caserta? «Il degrado urbano è lampante ed è anche quello che si nota appena arrivati a Caserta. Un triste biglietto da visita: una città con buche, erba alta ed incolta non è una bella presentazione. All’attuale amministrazione è mancata l’idea stessa di città. Il Puc, l’eterno incompiuto, ha permesso insediamenti commerciali senza controllo. Tutto è stato fatto alla rinfusa. E questo si nota. Senza dimenticare le famiglie: a loro purtroppo questa città offre poco o quasi nulla. Abbiamo vissuto anni di palpitazioni con le scuole – i lavori per alcuni edifici

stanno cominciando solo ora - e con le aree verdi inesistenti. E questa è solo una parte delle cose su cui intervenire subito». Spazi verdi e valorizzazione delle eccellenze culturali presenti. Come intervenire per rilanciare le ricchezze di Caserta? «Gli spazi verdi devono essere curati, anche per non rischiare di essere poi costretti ad abbattere gli alberi – che restano una risorsa - come è già purtroppo accaduto. Anche piazza Carlo di Borbone andrebbe sfruttata più volte durante l’anno: è la seconda piazza d’Europa per dimensioni, con uno sfondo bellissimo come la Reggia. Perché non sfruttarla?» Caserta occupa da anni gli ultimi posti nella classifica basata sulla “vivibilità” dei comuni. Quali servizi vanno implementati e/o creati? Come finanziarli? «Qui dobbiamo tornare all’efficienza degli uffici, che oggi non è garantita per l’affanno in cui sono costretti i dipendenti. In particolare quelli dell’Anagrafe. Come dicevo la forza lavoro oggi è ridotta, ma dovremo intervenire per gestire meglio i settori più delicati. Oltre all’Anagrafe penso ai Servizi sociali, che sono il punto centrale per dare risposte concrete alle persone in difficoltà. Per le risorse ci sono due strade: prima di tutto evitare gli sprechi. Faccio un esempio: il Comune continua a spendere oltre 230mila euro l’anno per il fitto del comando della polizia locale quando ci sono degli immobili di proprietà che potrebbero essere adattati. A me sembra una follia per un Ente che rischia il terzo dissesto consecutivo. E poi cercheremo sostegno nel “Salva Caserta”. L’impegno che ho chiesto al centrodestra nazionale, prima di accettare la candidatura a sindaco, era legato proprio alla conoscenza dello stato comatoso delle finanze dell’Ente. Appena rimessi gli uffici in cammino, sarà più facile anche riuscire ad attrarre nuovi finanziamenti». Settembre 2021

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ELEZIONI CASERTA

«INTERNALIZZEREMO TUTTI I SERVIZI»

Pio Del Gaudio interviene sui punti programmatici e le falle dell’amministrazione Marino La Redazione

Creeremo, in tutti i settori, società in house ed a maggioranza pubblica di almeno il 51%. Così gli incassi saranno gestiti direttamente dall’ente che verificherà le attività delle stesse

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io Del Gaudio interviene sui punti programmatici e le falle dell’amministrazione Marino Pio Del Gaudio, Dott. Commercialista, Revisore dei Conti e Giornalista Pubblicista, è stato sindaco della Città di Caserta dal 2011 al 2015. Protagonista di una contorta vicenda giudiziaria, che è arrivata alla ribalta nazionale, è sostenuto dalle liste “Città Futura”, “CaserTiamo”, “Rinascimento Sgarbi Caserta”, “Caserta nel Verde”, “Caserta Tu”, “Pio Del Gaudio Sindaco”, “Autonomi e partite Iva”, “Partito repubblicano Italiano”. Da cosa è dettata la scelta di scendere in campo per Caserta? «Mi candido per dare voce alle migliaia di persone che in questi anni, nonostante tutto, mi hanno seguito sui social ed invogliato, anche in giro per la città, a continuare il percorso intrapreso durante il mio mandato elettorale. Chiaramente oggi sono una persona diversa, matura, e soprattutto consapevole». Quali sono le priorità sulle quali intervenire per valorizzare questo comune? «Io ed i miei concittadini vogliamo, anzi pretendiamo, una città normale, e quindi sicura, vivibile, accogliente e solidale. Una città degna delle splendide bellezze che i nostri avi ci hanno regalato e che in passato non abbiamo sfruttato come dovuto. 18

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Pio Del Gaudio

La normalità è il punto di partenza per progettare e, con le nostre competenze, lavorare al meglio sui fondi europei in arrivo dal Pnrr ecc. Punteremo chiaramente su turismo e cultura, con l’obiettivo naturale di attrarre turisti in città e valorizzare le piccole botteghe artigiane cittadine, il piccolo commercio ecc. Le frazioni e le colline tifatine, con la chiusura delle cave, dovranno essere il fiore all’occhiello da offrire ai turisti che decideranno di venire a visitare la Reggia ed il Belvedere. Offriremo occasioni di permanenza in città valorizzando i contenitori turistici esistenti, sviluppando un programma unico e coordinato di eventi. Lavoreremo in sintesi affinché Caserta sia percepita come “città bella” ed accogliente. Chiaramente non trascureremo le emergenze di sempre, in particolare quelle ambientali, e le occasioni di sviluppo anche per i nostri giovani quali Macrico, Policlinico e Università». Quali soluzioni per implementare investimenti sul territorio? Scongiurando scene indecorose come le tante attività chiuse nelle principali strade della città. «Gli investimenti si attirano solo presentando agli imprenditori, investitori, una città bella ed accogliente, per quanto detto, e con una macchina amministrativa

trasparente e completamente riorganizzata. In tal senso utilizzeremo i percettori di reddito di inserimento, per quanto previsto dalla legge, ed il personale ausiliario delle forze con qualifiche idonee. Oggi la legge lo consente. In prospettiva ci attiveremo per predisporre le procedure per bandire nuovi concorsi». Quali sono state le principali inefficienze dell’amministrazione Marino e come interverrebbe se fosse sindaco di Caserta? «La città ha perso la propria dignità ed orgoglio. La casertanità non esiste più e la bella gente di Caserta è stufa e stanca, quasi disincantata. Le tante associazioni culturali del territorio tacciono quasi sconfitte. Il disastro finanziario è sotto gli occhi di tutti. Strade rotte, verde non curato, servizi alla persona inesistenti, assistenza sociale pari a zero. Caserta è la città del disagio e della disorganizzazione. Lontanissimi gli anni ‘70, nei quali era definita “la Brianza del Sud». Spazi verdi e valorizzazione delle eccellenze culturali presenti. Come intervenire per rilanciare le ricchezze di Caserta? «Presentando il piano urbanistico comunale inspiegabilmente fermo dal 2015. Era stato predisposto dalla mia amministrazione. È stato bloccato da quella Marino

al fine di non consegnare regole certe di sviluppo sostenibile ma, al contrario, consentire agli amministratori in carica di avere le mani libere e quindi discrezionalità operandi in tema di autorizzazioni ecc. Il “mio puc” prevedeva e prevederà una citta verde con stop alle cave, senza l’assurdo biodigestore in progettazione, con un sistema di Ztl da rivedere, ma efficace, e quindi con una mobilità sostenibile e degna di una città che dovrà candidare ad essere la capitale italiana della cultura nei prossimi anni. Non una promessa, ma un obiettivo possibile». Caserta occupa da anni gli ultimi posti nella classifica basta sulla “vivibilità” dei comuni. Quali servizi vanno implementati e/o creati? Come finanziarli? «I servizi al cittadino soprattutto. Servizi sociali e di assistenza, le mense, i servizi anagrafici sono a “zero”. In tutta Italia oramai sono famose le file o le attese per avere una carta d’identità. Ci vogliono almeno 5 mesi se si prenota tale servizio sui portali dedicati del ministero. Un controsenso. Una macchina amministrativa efficiente e soprattutto nuove risorse. In tal senso, non chiederemo interventi miracolosi al governo nazionale, che mai metterà in campo. Ce la faremo da soli. Internalizzeremo tutti i servizi. Stop a concessionari esterni con incassi da capogiro e che in minima parte, su base purtroppo contrattuale, riversano quasi nulla al comune. Al contrario creeremo, in tutti i settori, società in house ed a maggioranza pubblica di almeno il 51%. In questo modo gli incassi saranno gestiti direttamente dall’ente che verificherà le attività delle stesse, dando certezze in termini di stabilità occupazionale anche ai lavoratori. Infatti gli stessi, ad oggi, sono “in eterno precariato”. Mi riferisco in particolare ai lavoratori assunti, per modo di dire, nelle concessionarie che gestiscono i tributi, la raccolta rifiuti ecc.».


ELEZIONI CASERTA

«URGE RISCOSSIONE TRIBUTI TRASPARENTE»

Il programma e le idee di Romolo Vignola, candidato per Caserta La Redazione

Dobbiamo promuovere i nostri siti tradizionali (Reggia, San Leucio, Borgo medievale etc.) unitamente ai nostri borghi in un circuito virtuoso

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omolo Vignola, avvocato penalista e Già presidente della Camera Penale di Santa Maria Capua Vetere, è candidato sindaco al comune di Caserta. A suo sostegno le liste: “Speranza per Caserta”, “Io firmo per Caserta” e “Per le persone e la comunità”. Un progetto civico con vocazione di sinistra che raccoglie (ovviamente in parte) la passata esperienza elettorale di Francesco Apperti, volto del civismo casertano. Da cosa è dettata la scelta di scendere in campo per Caserta? «Ho accettato la sfida di presentare la candidatura spinto da un forte sentimento che mi lega alla mia città. Anche la mia formazione socialista è stata determinante poiché avverto l'esigenza di riaffermare tali princìpi particolarmente attuali in un contesto che necessita di un’efficace ed immediata azione riformatrice». Quali sono le priorità sulle quali intervenire per valorizzare questo comune? «L'agenda del recovery found ci indica le priorità che debbono orientare l’attività amministrativa: digitalizzazione, ambiente, transizione ecologica, già inserite nel nostro programma di coalizione e coerenti con le esigenze della città». Quali soluzioni per implementare investimenti sul territorio? Scongiurando scene indecoro-

Romolo Vignola

se come le tante attività chiuse nelle principali strade della città. «La rinascita economicoproduttiva della città passa attraverso una virtuosa sinergia con la Regione, le associazioni imprenditoriali e le organizzazioni sindacali che valorizzi le eccellenze del territorio coinvolgendo soprattutto i giovani nelle attività commerciali, artigianali e culturali che caratterizzano la nostra città». Quali sono state le principali inefficienze dell’amministrazione Marino e come interverrebbe se fosse sindaco di Caserta? «È difficile e forse ingeneroso operare una gerarchia tra le inefficienze dell’attuale amministrazione, caratterizzata dall’assenza di una visione razionale e sistematica degli obiettivi primari e fondamentali da perseguire nell’interesse dei cittadini, certamente causata dai continui mutamenti dei componenti della Giunta che, tranne casi piuttosto rari, non si sono segnalati per competenza e professionalità. Per quanto mi riguarda, al fine di migliorare sensibilmente la qualità dell’azione amministrativa è

indispensabile avvalersi della collaborazione di persone qualificate professionalmente, intellettualmente oneste, in grado di gestire nell’esclusivo interesse dei cittadini, le risorse provenienti dal recovery found». Spazi verdi e valorizzazione delle eccellenze culturali presenti. Come intervenire per rilanciare le ricchezze di Caserta? «La transizione ecologica sarà l'occasione per riqualificare, e anche creare, aree verdi in città. Bisogna entrare nell’ordine di idee che la digitalizzazione, la valorizzazione urbanistica e il tema dell’ambiente siano rese organiche ed interconnesse attraverso un progetto globale e razionale. Noi dobbiamo entrare nell'ordine di idee che nessuna azione è a sé stante». Caserta occupa da anni gli ultimi posti nella classifica basta sulla “vivibilità” dei comuni. Quali servizi vanno implementati e/o creati? Come finanziarli? «La risposta a tale domanda è già stata parzialmente fornita nei passaggi precedenti. A tal proposito è indispensabile

rivedere completamente, rendendola trasparente, l’attività di riscossione dei tributi, allo stato a dir poco inefficiente. Il tema della sicurezza, drammaticamente attuale, impone un forte impulso ad un coordinamento della polizia municipale con la prefettura al fine di predisporre, soprattutto nei giorni e nei luoghi “rossi”, un efficace controllo del territorio. La manutenzione e la pulizia delle strade urbane deve essere necessariamente migliorata per restituire alla città un minimo di vivibilità. Anche l’attività sportiva, sia professionistica che giovanile e dilettantistica, va ripensata coinvolgendo imprenditori corretti, il cui interesse dovrebbe essere stimolato da un contesto socio-ambientale completamente rinnovato. La cultura ed il turismo debbono essere implementati affidando l’organizzazione di eventi e manifestazioni a persone competenti e qualificate e promuovendo i nostri siti tradizionali (Reggia, San Leucio, Borgo medievale etc.) unitamente ai nostri borghi in un circuito virtuoso che consenta, grazie ad una visione moderna del trasporto pubblico, di valorizzare le nostre bellezze. È infine irrinunciabile una riorganizzazione dei Servizi Sociali la cui funzionalità non può dipendere esclusivamente dalla lodevole buona volontà di singoli impiegati e funzionari, ma deve essere promossa e controllata quotidianamente dall’amministrazione comunale. Non è un libro dei sogni ma un progetto concreto che attraverso una gestione corretta e razionale delle risorse finanziarie che arriveranno a rimpinguare le casse comunali, può essere realizzato». Settembre 2021

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ELEZIONI CASERTA

«RIPORTIAMO LE ISTITUZIONI VICINO AI CITTADINI»

Raffaele Giovine illustra il suo programma partendo da un rapporto diretto Sindaco-cittadini La Redazione

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affaele Giovine, candidato del movimento civico “Caserta Decide”, è il più giovane tra gli aspiranti “sindaco”, ma non per questo meno conscio degli interventi da attuare nel suo territorio. Il movimento civico ha una forte vocazione popolare e il programma è frutto di webinair e passeggiate per la città di cui lo stesso Giovine era ovviamente protagonista. Quest’ultimo è forte anche dell’esperienza maturata come presidente del Comitato per Villa Giaquinto. Da cosa è dettata la scelta di scendere in campo per Caserta? «Il percorso di Caserta Decide nasce dal mondo dell’associazionismo, dell’impegno sociale e civile, dell’imprenditoria e delle professioni, ma soprattutto da tantissime persone che si danno da fare per la propria città: chi prendendosi cura di un parco, chi organizzando una rassegna di cinema all’aperto, chi battagliando per il reddito di cittadinanza e per la rigenerazione delle case popolari. L’attivismo da solo non era sufficiente per rendere Caserta una città accogliente, solidale, verde e quindi è stato il passaggio naturale candidarci alle elezioni amministrative». Quali sono le priorità sulle quali intervenire per valorizzare questo comune? «Vanno valorizzate le persone e i luoghi vissuti dai cittadini: bisogna ripartire dalla cura delle piccole cose. È prioritario per noi approvare un Piano Urbanistico Comunale che blocchi le cementificazioni, il consumo di suolo e la costruzione di ulteriori centri commerciali. Bisogna stabilire immediatamente la destinazione d’uso dell’area Macrico: per noi è F2 per evitare ogni speculazione edilizia. Bisogna costruire un piano di contrasto ai cambiamenti climatici: implementare le aree verdi, piantumare 10mila alberi, promuovere l’efficientamento energetico degli edifici, ridisegnare la mobilità sostenibile a partire dalle esperienze virtuose come il piedibus. Bisogna mettere al

Raffaele Giovine

centro le persone: migliorare l’edilizia popolare, implementare le politiche sociali di assistenza agli anziani, far partire i progetti di utilità collettiva, ridisegnare il sistema della tassazione prevedendo esenzioni e sgravi per le persone più fragili. Anche per quanto riguarda il turismo, non si può lasciare che l’unico attrattore sia la Reggia. Sono da valorizzare i percorsi alternativi e complementari alla Reggia. Infine, un capoluogo di provincia non può avere la biblioteca comunale chiusa da più di un anno lasciando una intera città senza spazio dove permettere uno scambio culturale». Quali soluzioni per implementare investimenti sul territorio? Scongiurando scene indecorose come le tante attività chiuse nelle principali strade della città «Dobbiamo immaginare un piano strategico per incentivare l’imprenditoria, soprattutto quella giovanile ed innovativa. Costituiremo un ufficio bandi che supporti le imprese nell’ottenimento dei finanziamenti pubblici e privati. Avremo bisogno di coinvolgere tutti: gli ordini professionali, le organizzazioni di categoria, l’università. Inoltre, va aperto un dialogo con i proprietari degli immobili inutilizzati, che possono diventare un volano di sviluppo. Su questo il Comune farà la sua parte, affideremo gratuitamente a cooperative di giovani i beni con-

fiscati alla camorra ed immaginiamo sgravi specifici sull’occupazione di suolo pubblico e sulle altre tasse comunali per chi investe». Quali sono state le principali inefficienze dell’amministrazione Marino e come interverrebbe se fosse sindaco di Caserta? «L’Amministrazione Marino è stata un’Amministrazione lontana dalla città e dai suoi bisogni. La città è una comunità di persone, di interessi e di necessità: per capirla, occorre un dialogo continuo con i cittadini. Il Sindaco attuale è percepito come assente e lontano e, quindi, incapace di gestire i problemi. Per questo motivo il mio obiettivo sarà creare delle consulte di quartiere, per avere sempre un contatto diretto con la città, anche attraverso i consiglieri». Spazi verdi e valorizzazione delle eccellenze culturali presenti. Come intervenire per rilanciare le ricchezze di Caserta? «Ci siamo battuti affinché venisse approvato il Regolamento per l’Amministrazione Condivisa dei beni comuni. Riteniamo che la partecipazione dei cittadini nella gestione delle aree verdi sia un elemento innovativo e dirompente: basti pensare a Villa Giaquinto e alle Ville di Via Arno e Parco degli Aranci, che rappresentano una maniera virtuosa di vivere lo spazio pubblico. Bisogna fare di

più, non si possono lasciare soli i cittadini: costituiremo un Ufficio per i Beni Comuni per supportare le esperienze di gestione civica. Ai cittadini va affiancata la presenza delle istituzioni. Invece, rispetto alle eccellenze culturali, abbiamo un piano specifico di coinvolgimento: Caserta è densa di compagini artistiche creative che danno pregio alla città in tutto il mondo. Vanno coinvolte con un tavolo permanente che riscriva insieme le politiche culturali della città e supportate con provvedimenti specifici, ad esempio detassando di IMU e TARI gli spazi culturali, stilando un inventario degli immobili abbandonati da rivitalizzare con usi culturali e facilitando la comunicazione delle iniziative». Caserta occupa da anni gli ultimi posti nella classifica basata sulla “vivibilità” dei comuni. Quali servizi vanno implementati e/o creati? Come finanziarli? «Asili nido, trasporto pubblico locale e servizi ai cittadini danno immediatamente alle persone il senso di efficienza amministrativa e di vivibilità di una città. Per quanto riguarda i fondi necessari ricordiamo che sono in arrivo i fondi del PNRR, da utilizzare per implementare immediatamente questi servizi. Lavoreremo per internalizzare molti servizi, come quello della nettezza urbana o quello delle soste a pagamento, possibilità che comporterebbe un grande risparmio sulle casse comunali e un innalzamento del livello di qualità. Una politica virtuosa per la nostra città dovrebbe provvedere a finanziare, grazie alle entrate dei parcheggi, piste ciclabili e servizi di bike sharing in un’ottica di ciclo virtuoso su ogni servizio, non a garantire la continuità nella gestione degli appalti. La nostra amministrazione sarà in campo per realizzare la città pubblica, la città di tutti». Settembre 2021

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E ESTERI

di Giorgia Scognamiglio

Afghanistan L’ipocrisia dell’occidente capitalista

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il 15 agosto 2021. A distogliere l’attenzione dal luccichio delle stelle cadenti la notizia dell’arrivo dei talebani a Kabul. L’accordo bilaterale avviato da Trump nel 2019 e l’inizio dei negoziati inter-afghani avevano fatto sperare nella fine dell’incubo di una guerra durata vent’anni. Sotto pressione dell’opinione pubblica e consapevoli di pagare un prezzo ancora altissimo in termini di risorse e vite umane, gli USA hanno scelto la via del ritiro strategico, lasciandosi alle spalle le responsabilità e gli errori commessi in passato. Ma lo strapotere dei talebani nei negoziati, l’instabilità interna e la debolezza istituzionale e militare del governo fantoccio di Ashraf Ghani rendevano più che prevedibile il ripristino dell’emirato talebano. Del resto, nel 2018, mentre guardavamo altrove, i talebani già controllavano diversi distretti e si contendevano con le forze regolari afghane il controllo di poco meno della metà del territorio. La stretta di mano tra gli USA e quelli che poco prima consideravano “terroristi” ha legittimato il controllo talebano e implicitamente un regime irrispettoso dei diritti umani, abbandonando il popolo afghano al suo destino. A confermarlo, anche il “Non mi pento” di Joe Biden rispetto alla scelta di mettere fine al tentativo di democratizzazione, che è sempre stato solo di facciata in un’Afghanistan divisa e straziata dalla guerra. Infatti, nonostante centinaia di miliardi di dollari spesi, la ricchezza del sottosuolo, il commercio dell’oppio e l’economia sommersa, resta uno dei venti Paesi più poveri del pianeta, con oltre la metà della popolazione sotto la soglia di povertà. E nonostante qualche progresso compiuto nelle città, è uno dei Paesi che più vìola i diritti delle donne. La missione dell’Occidente, infatti, ha lasciato un fortissimo dislivello sociale tra le zone urbanizzate e quelle rurali, dove non hanno smesso mai di regnare il patriarcato, il conservatorismo e l’integralismo religioso. Con o senza i talebani nella capitale. Con o senza le truppe straniere, impegnate fin dall’inizio in una guerra di aggressione più che nella ricostruzione del Paese. Gino Strada lo sapeva bene, adesso osannato ma in passato più volte denigrato e accusato di essere traditore dell’Occidente, amico dei terroristi. Eppure, nel giro di pochi giorni tutta l’attenzione mediatica è piombata su Kabul. Non ha tardato ad affermarsi un’accesa campagna di comunicazione a sostegno delle donne e dei bambini afghani, né le immagini propagandisti-

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che di eroici soldati americani che afferrano i neonati al di là del filo spinato. Non sono mancate neppure le affermazioni confuse di giornalisti ed esponenti politici che credono che talebani, ISIS e Al Qaeda siano sinonimi. Né i titoloni sul ritorno del terrorismo in Afghanistan e sugli attacchi anti-occidente dell’ISIS, dopo l’attentato all’aeroporto della capitale che tanto ha scosso gli animi nonostante solo tra il 2018 e il 2019 nel Paese ce ne siano stati ben 356. Un’attenzione e un’indignazione sacrosante, che risuonerebbero più credibili se fossero state presenti sempre e in ogni caso. Ma la convenienza, i giochi di potere, l’ipocrisia, sono il pez-

zo forte del capitalismo. Soprattutto quando da additare ci sono uomini in ciabatte, kalashnikov e barba incolta invece che illustri principi sullo yacht. Mi riferisco alle monarchie del Golfo e in particolare all’Arabia Saudita di Mohammed Bin Salman, definito da qualcuno come “il principe del Rinascimento”, a cui nessuno chiede conto dei diritti umani di donne, bambini, minoranze e oppositori. Nemmeno dopo le prove schiaccianti dell’assassinio del giornalista Khashoggi e le immagini della strage di bambini nella guerra civile yemenita. Nessuno chiede conto dell’atteggiamento di Israele, nel silenzio politico che ha lo stesso rumore delle bombe che esplodono su Gaza o delle violazioni dei diritti umani in Egitto, alleato strategico degli USA e dell’Italia, nonostante i suoi vertici siano responsabili dell’omicidio Regeni e dell’arresto arbitrario di Patrick Zaki. Il capitalismo si ricorda di avere un’etica solo quando non ci sono in ballo interessi economici e geopolitici. Ci fa piangere, indignare e odiare chi vuole e quando vuole. Ci persuade di essere sempre dalla parte del bene, ricordandoci di tanto in tanto che dall’altra parte del mondo c’è qualcuno che soffre, per colpa di nessuno e per colpa di tutti. Mentre qui non arriva nemmeno l’eco delle bombe e delle grida disperate, solo qualche immagine accuratamente selezionata. Per il resto basta cambiare canale o attendere che passi l’attenzione mediatica.


A TTUALITÀ

di Giuseppe Spada

genitori “orfani” della Terra dei fuochi

“Noi genitori di tutti”, l’associazione che lotta per il bene di tutti i bambini

Consiglio ai ragazzi di informarsi per non commettere gli stessi errori del passato. La vita è unica, perché privarsi della possibilità di viverla?

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on esiste sofferenza peggiore della perdita di un figlio, non esiste forza più impressionante di quella che ci vuole per trovare il coraggio di lottare dopo che questo è avvenuto. È esattamente ciò che hanno fatto i membri dell’associazione “Noi genitori di tutti”, in particolare la presidentessa: Marzia Caccioppoli, che dopo la prematura scomparsa del suo bimbo non ha mai smesso di lottare. Perché nasce questa associazione? «L’associazione nasce per volontà di giovani madri orfane nella terra dei fuochi. Grazie a un appello di padre Maurizio ci siamo conosciute. Noi iniziamo come madri cartolina, realizzammo insieme a Mauro Pagnano, il fotoreporter che collabora con noi, 150.000 cartoline che furono inviate da varie parti d’Italia al Papa e al Presidente della Repubblica e ci ritraevano nelle camerette dei nostri figli. Camerette ormai vuote. Fu una denuncia molto forte. Dopo un po’ di tempo e sotto nostra pressione mediatica, ci chiamò l’allora Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano. All’epoca non era ancora uscita la notizia che riguardava la conoscenza di quest’ultimo degli atti secretati riguardanti Carmine Schiavone. Dopo questo evento nacque la realtà associativa insieme alla volontà di aiutare gli ospedali e le altre famiglie che subivano il nostro stesso calvario». Oggi, quindi, di cosa vi occupate? «Oggi ci occupiamo di oncologia pediatrica e povertà. Io sono stata al Gaslini di Genova, quindi collaboro anche con loro qual ora le nostre famiglie volessero un confronto diagnostico altrove, io li colloco nei centri d’accoglienza con l’associazione e li seguiamo. Noi, come associazione, non garantiamo solo supporto alle famiglie, ma anche un aiuto economico laddove ce ne fosse bisogno». Noi spesso ci sentiamo impotenti di fronte a questi criminali, come possiamo difenderci? «Innanzitutto, noi abbiamo la legge regionale

20 del 2013. Proprio in virtù di quella legge noi dobbiamo pretendere che le amministrazioni comunali locali, essendo il sindaco il primo cittadino responsabile della salute, istituiscano dei fondi con la finalità del controllo sul territorio. Se ogni sindaco attivasse questo servizio cominceremmo sicuramente ad avvicinarci all’abolizione degli sversamenti illeciti. Noi abbiamo tanto lottato per ottenere questa legge, una lotta che ci è costata insulti e varie vessazioni. Inoltre, esiste la legge sugli ecoreati che io, le altre madri, Padre Maurizio e i nostri legali abbiamo combattuto per fare applicare. Ce la siamo vista con Confindustria per questo. Ciò vuol dire che, a livello personale, potrei anche fermarmi e avere la consapevolezza di aver fatto qualcosa per cambiare questo paese, ma non mi arresto». Che consiglio si sente di dare ai genitori che purtroppo affrontano quello che ha affrontato anche lei? «Principalmente consiglio di stare quanto più possibile calmi e sereni e soprattutto di farsi seguire durante la patologia da un sostenitore psicologico, come l’ho avuto io. È bene poi discernere l’aiuto psichiatrico da quello psicologico, purtroppo dilaga ancora tanta ignoranza su questo argomento e spesso si tende a non cercare aiuto per vergogna. Durante tutto il periodo della malattia di mio figlio la psicologa mi ha camminato accanto. Se non fosse stato per lei, forse, a quest’ora io non starei facendo quest’intervista».

Secondo lei il fenomeno dei roghi è l’unico motivo d’inquinamento in questo territorio? «Il fenomeno più grave oggi è sicuramente il rogo, dal momento che esso rappresenta a tutti gli effetti possibilità di lavoro. Le istituzioni, lavorativamente parlando, ci hanno abbandonati e questo non fa che aumentare il fenomeno. Tutti coloro che fanno questo “lavoro” sono più che consapevoli del rischio che corrono ma hanno comunque la necessità di mettere il piatto in tavola. Coloro che sversano, smaltiscono tutto il regime di evasione fiscale delle aziende e attenzione, non parlo solo di piccole aziende ma anche e soprattutto di industria tessile e materiale delle grandi griffe. Quando queste società danno lavoro alle piccole realtà per farsi aiutare nella produzione, pagano anche lo smaltimento degli scarti, quando i piccoli poi si trovano all’atto pratico scaricano il lavoro su persone che sversano i rifiuti in maniera illecita per risparmiare». Oggi un giovane si sente scoraggiato a mettere su famiglia in questo territorio? «Se il giovane è consapevole di ciò che lo circonda sicuramente sì. Non deve certo farsi privare del futuro e deve quindi affiancare gli anziani e imparare. La missione principale sarà ereditata da loro (tristemente). Consiglio innanzitutto ai ragazzi di informarsi per non commettere gli stessi errori del passato. La vita è unica, perché privarsi della possibilità di viverla». Settembre 2021

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A TTUALITÀ

di Fabio De Rienzo

S.O.S. artigianato napoletano

Puntare sulla qualità, l’originalità, la creatività ed i giovani

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Napoli la storia è scritta sulle mura antiche (e più carnali, come cantava Pino Daniele), sul basolato, nel tufo, sui volti e le mani, quelle consumate dalla fatica e callose della gente, di quelle persone operose, laboriose e creative perché come spiega Achille Capone, Segretario Generale CLAAI Napoli: «L’artigianato napoletano e campano, complesso e variegato nelle produzioni, vanta origini antiche che hanno influenzato stile e carattere rendendolo una risorsa preziosa per l’economia e la cultura». «Esso - prosegue Capone - pur affondando le proprie radici nella tradizione delle arti e dei mestieri, oggi, è proiettato nel futuro attraverso l’utilizzo di sistemi innovativi e tecnologicamente avanzati. Le imprese artigiane, in Campania sono circa 70 mila con 250 mila addetti e a Napoli più di 30 mila con circa 100 mila addetti, spaziano dal settore artistico (l’oreficeria, la lavorazione dei coralli, la ceramica, il ferro battuto, l’intarsio, il restauro dei beni architettonici, ecc.), alla moda (abbigliamento, calzature, pelletteria, seterie, ecc.), dall’edilizia, al complesso mondo dei servizi alle persone (parrucchieri, estetiste, ecc.), servizi alle cose (trasporti, ecc.) e all’auto, dall’impiantistica al para sanitario (odontotecnici, ottici, ecc.) e all’agroalimentare, etc... ». Eppure nonostante le radici antiche e l’importanza socio-economiche e la questione identitaria, l‘artigianato partenopeo sta affrontando un periodo di crisi, che è anche antecedente all’emergenza covid. Le enormi difficoltà e la mancanza di agevolazioni e di sostegno da parte delle istituzioni, però non hanno ostacolato del tutto l’affermarsi di alcune, superstiti, eccellenze che grazie alla creatività e all’originalità hanno saputo ricrearsi un proprio spazio in questo mondo che sembra aver chiuso le porte all’identità culturale e alla qualità. È la storia, ad esempio, di Luca Lopez che gestisce il laboratorio creativo Koine in Via S. Anna dei 24

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Lombardi 26, Napoli. Il suo negozio/laboratorio sin dal primo sguardo dall’esterno manifesta quelle espressioni di creatività e rottura degli schemi: strane forme serpeggianti con le loro luci come occhi di cobra ti incantano e ammaliandoti ti costringono ad entrare in quel luogo dove Luca realizza ed espone le sue creazioni, oggetti di arredo, mobilio e gioielli dai materiali e dalle forme più sorprendenti. Da ragazzo decide di trasferirsi al Nord Italia, a Padova, per cercar fortuna, come tantissimi giovani, e lì comincia a lavorare per un mobilificio, occupandosi della vendita. È bravo nel suo lavoro che lo appassiona sempre più tant’è che comincia a disegnare e progettare. Quello sarà il primo segnale di avvicinamento al mon-

Luca Lopez

do della creatività. Dopo l’esperienza al settentrione decide di far ritorno a Napoli e lavora per lo più come addetto alle vendite o agente assicurativo. In seguito, assieme ad un gruppo di amici, mette su una casa famiglia, Il Piccolo Principe, a Materdei e li, attraverso i laboratori con i ragazzi, si riaccende la scintilla della creatività che, unendosi ad un’innata abilità manuale, lo porta a realizzare i suoi oggetti di arredo. Realizza dell’abat-jour in tubi di rame e carta di riso, vanno tutte a ruba. Quello è il segnale definito che spinge Luca ad inoltrarsi in modo deciso nel mondo dell’artigiano

realizzando arredo, facendolo sempre in modo non convenzionale. Ad un certo punto una gioielleria gli commissiona la realizzazione del proprio arredamento e guardando il modo di lavorare e di creare di Luca gli propone anche di disegnare una linea di gioielli. È la seconda svolta, il suo mondo sono l’arredo ed i gioielli fuori dagli schemi. Così nel 2009 apre il suo negozio a Via S. Anna dei Lombardi dove tutt’ora si trova. Il successo di Luca è dovuto al fatto che, citando le parole di Capone: «Le realtà produttive di eccellenza della Campania, specialmente, nei settori dell’oreficeria, del corallo, della sartoria e del sistema moda, della ceramica, dell’intarsio ligneo, arte presepiale, etc - spiega ancora Capone si sono affermate per gli altissimi livelli di qualità di prodotto e di processo e soddisfano, in Italia e all’estero, nicchie di mercato sofisticate particolarmente attente al valore estetico ed artistico del prodotto, mentre nei settori della meccanica, della carpenteria, delle costruzioni, dell’aerospazio esplicano il proprio ruolo produttivo, anche, come fornitore di produzioni e di servizi all’impresa di grandi dimensioni». Come si possono risolvere le sorti dell’artigianato proiettandolo al futuro? Semplicemente non facendo disperdere la sua storia e le sue tracce, avvicinando i giovani a questo mondo. «L’artigianato e le piccole imprese possono offrire ai giovani possibilità significative di realizzazione personale e professionale, utilizzando, anche, alcune misure che incentivano la creazione di nuove imprese come ‘Resto al Sud’, riscoprendo la cultura della “bottega d’arte”, che con le sue sperimentazioni e innovazioni è alla base del successo del Made in Italy» - conclude il Segretario Generale CLAAI Napoli.


G IUSTIZIA

di Fabio Di Nunno

UNA PROCURA EUROPEA Diventa operativa la Procura europea, competente a indagare e perseguire le frodi ai danni delle finanze dell’Unione Europea

G

li Stati membri dell’Unione Europea (UE) accusano ogni anno perdite di gettito IVA pari ad almeno 50 miliardi di € a causa delle frodi transnazionali, mentre hanno inoltre segnalato che nel 2015 circa 638 milioni di € provenienti dai fondi strutturali dell’UE sono stati usati impropriamente. La proposta presentata dalla Commissione europea per istituire una Procura europea risale al 2013. Per essere adottata, doveva essere approvata all’unanimità dal Consiglio e ottenere l’approvazione del Parlamento europeo. Dopo oltre tre anni di negoziati, il Consiglio non è riuscito a raggiungere un accordo unanime sulla proposta. Il Consiglio ha preso atto dell’assenza di unanimità nel febbraio 2017, confermata dal Consiglio europeo il mese successivo. Così, nell’aprile del 2017, 16 Stati membri hanno deciso di cooperare in modo più stretto per combattere più efficacemente le frodi e di istituire una Procura europea (European Public Prosecutor’s Office - EPPO). Successivamente, altri paesi dell’UE hanno deciso di aderire agli sforzi per tutelare il bilancio dell’UE contro le frodi, arrivando a 22 Stati membri partecipanti (Austria, Belgio, Bulgaria, Cipro, Croazia, Estonia, Finlandia, Francia, Germania, Grecia, Italia, Lettonia, Lituania, Lussemburgo, Malta, Paesi Bassi, Portogallo, Repubblica ceca, Romania, Slovacchia, Slovenia, Spagna), avvalendosi di quella che tecnicamente si chiama procedura di cooperazione rafforzata, nella quale un gruppo di almeno nove Stati membri dell’UE decidono di attivare forme di integrazione in settori specifici, come previsto dai trattati dell’UE. La Procura europea è divenuta operativa il 1° giugno 2021 ed ha competenza nell’indagare e perseguire i reati a danno del bilancio dell’UE, quali frodi, corruzione, riciclaggio e frodi dell’IVA transfrontaliere. Infatti, finora solo le autorità nazionali potevano indagare su questi reati. Tuttavia, poiché la loro competenza giurisdizionale termina al confine nazionale, le pro-

cure nazionali hanno a disposizione strumenti limitati per combattere la grande criminalità finanziaria transfrontaliera. Analogamente gli organismi dell’UE esistenti, quali l’Ufficio europeo per la lotta antifrode (OLAF) o l’Unità europea di cooperazione giudiziaria (Eurojust), non possono avviare indagini o azioni penali negli Stati membri. Dunque, la Procura europea contribuisce a ovviare a tali carenze e contrasta i reati che ledono gli interessi finanziari dell’UE. L’EPPO svolge indagini transfrontaliere sulle frodi d’importo superiore a 10 000 di € riguardanti fondi dell’UE o sui casi di frodi IVA a livello transfrontaliero che comportano un danno superiore ai 10 milioni di €. La Procura europea opera di concerto con le autorità di contrasto nazionali e in stretto contatto con altri organismi quali Eurojust ed Europol. La Procura europea, con sede a Lussemburgo, ha una struttura a due livelli. Il livello strategico è costituito da un procuratore capo europeo responsabile della gestione dell’EPPO e

dell’organizzazione dei lavori e un collegio dei procuratori responsabile del processo decisionale su questioni strategiche. Il livello operativo si articola nei procuratori europei delegati responsabili dello svolgimento di indagini penali e dell’azione penale e nelle camere permanenti che monitorano e indirizzano le indagini e adottano decisioni operative. I procuratori, nominati dal Consiglio dell’UE il 27 luglio 2020, supervisionano le indagini e le azioni penali e formano il collegio dell’EPPO, insieme alla procuratrice capo, la rumena Laura Codruţa Kövesi, per un mandato di sei anni non rinnovabile. Nell’ambito delle disposizioni transitorie applicabili al primo mandato, i procuratori europei di Grecia, Spagna, Italia, Cipro, Lituania, Paesi Bassi, Austria e Portogallo, designati mediante estrazione a sorte, deterranno un mandato triennale non rinnovabile. Per l’Italia è stato nominato Danilo Ciccarelli.

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A TTUALITÀ

THE LOST CLASS

di Angelo Morlando

QUANTE SEDIE VUOTE VOGLIAMO ANCORA?

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ervirebbe il divieto assoluto di essere armati a chi non è opportunamente addestrato. L’immagine iniziale non ti cattura immediatamente, poi è un cazzottone allo stomaco. Tutte quelle sedie bianche, ordinatamente in fila, distese su un campo da calcio. Alla data attuale sono circa 3.044… 3.044 ragazzi delle “high school” americane, uccisi durante attentati con armi all’interno delle stesse scuole. Migliaia di ragazzi che non si diplomeranno mai, centinaia di classi ormai cancellate. “The Lost Class”, così si chiama il sito che ricorda ogni giorno le drammatiche statistiche che sono veramente devastanti per un paese simbolo di Libertà. È giusto riportare la frase anche in lingua originale: “Graduation day is meant to symbolize potential and achievement. But for this group of students, it’s become a day to wonder what the rest of their lives would have looked like. Although the futures of those in The Lost Class may have been taken away, they can still make a difference in the future of America by urging the government to require universal background checks on gun sales”. Traduzione: “Il giorno della laurea ha lo scopo di simboleggiare il potenziale e il successo. Per questo gruppo di studenti, invece, è diventato un giorno per chiedersi come sarebbe stato il resto della loro vita. Anche se il futuro di coloro che vivono nella “classe perduta” potrebbe essere stato portato via, possono comunque fare la differenza nel futuro dell'America esortando il governo a richiedere controlli sulla vendita di armi”. Alcuni numeri sono veramente impressionanti:

CERTIFICAZIONE AMBIENTALE UNI EN ISO 14001

1 (uno): - negli Stati Uniti d’America le armi da fuoco sono la principale causa di morte per bambini e adolescenti 15.000 (quindicimila): - è il numero ogni anno di bambini e ragazzi che sono uccisi o feriti. 3.000.000 (tre milioni): - è il numero di bambini e ragazzi che sono

esposti alla violenza armata. 635 (seicentotrentacinque): - è il numero, dal 2013, degli incidenti con armi da fuoco avvenuti nelle scuole Per saperne di più: www.changetheref.org www.thelostclass.com

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A RTE

il sindaco del rione sanità

di Roberto Nicolucci

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on vi è luogo ombelicale, in un certo senso centripeto di una città, o meglio della sua realtà e delle infinite immagini stereotipate o prospetticamente interpretate pari al Rione Sanità di Napoli. La città riflette le sue contraddizioni e il suo profilo in questo specchio di vita. A volte uno specchio ustorio. È questo il senso dell’opera e della mostra ad essa dedicata al Real Museo di Capodimonte di Paolo La Motta, Capodimonte incontra la Sanità, che è possibile visitare fino al 19 settembre. La mostra è stata curata da Sylvain Bellenger e da Maria Tamajo Contarini. È uno sguardo sul celeberrimo quartiere attraverso gli occhi, gli sguardi, i volti soprattutto dei suoi giovani, di quei “ragazzi di vita” vera che troppo spesso sono solo icone commercializzate di facili discorsi mediatici. Proprio per oltrepassare, smontare le narrazioni usuali, tra l’oleografico

Rist

e il criminogeno morboso, ecco che la Sanità sale a Capodimonte. E sì! Perché è proprio ai piedi della collina di Capodimonte su cui si erge la Reggia con il suo parco che, grazie al direttore Bellenger, stanno vivendo una splendida stagione di cura e interazione alta con la città e con l’Europa (ricordiamo a tal proposito le mostre su Giordano e Gemito tra Napoli e Parigi). Dalla Sanità, su per il Moiariello o per le rampe dei Cristallini si sale a Capodimonte, quasi un viaggio verso la luce, l’aria aperta. E lo sguardo allora può distendersi verso il quartiere con più serenità, portando con sé i volti e le pietre ma senza le parole, spesso inutili e fuorvianti. È quello che fa Paolo La Motta, che ha fatto della sua arte incontro con il quartiere, organizzando laboratori per i ragazzi presso l’istituto Papa Giovanni XXIII. È una realtà figurata e una figurazione reale, volti che sono dell’oggi e anche di ieri, perché la lezione

di La Motta è personale, fuori da mode mediatiche e circuiti ben finanziati, ma anche memoria che viene da lontano, dai volti giovanili di Ribera, del Mancini per non dire di Gemito a cui alcune sculture sono facilmente, o forse no, accostabili. Ma la profonda matrice è sicuramente la lezione di Augusto Perez che fu suo maestro all’Accademia di Belle Arti, cioè un movimento di autoriflessione della scultura su sé stessa, la sua resilienza alla obsolescenza a cui i frenetici mutamenti sembrano condannare i suoi linguaggi. Questa resilienza si può vedere nel Polittico di Genny, cinque ritratti, quasi una tomografia assiale dello sguardo sorridente e ironico della giovane vittima innocente della violenza camorristica, Genny Cesarano, che culmina in un busto bronzeo quasi a fissarne nel tempo la giovinezza spezzata. Il vero sindaco del Rione Sanità!

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C ULTURA

“Troisi poeta Massimo”

di Teresa Coscia

Napoli da amare, Napoli che sa amare

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i Napoli spesso si racconta che è una città che fa innamorare, con tutte le luci e ombre dei suoi vicoli e delle sue mille sfaccettature, con i suoi secoli di storia, tutti i suoi sprazzi di vita. La verità, però, è che Napoli sa anche amare dal profondo i suoi figli e i suoi eroi, restando a loro indissolubilmente legata in un mix di ricordi e racconti capaci di impreziosire la molteplicità delle sue vite. È accaduto con tutti i grandi che hanno avuto modo di respirarla, di viverla, di amarla e odiarla allo stesso tempo: Totò, Eduardo, Pino Daniele, Maradona, Massimo. “Troisi poeta Massimo”. Un titolo, una mostra, un uomo, un artista con una carriera brillante e fulminea, uno dei volti più belli, puliti e veri della città.

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“Troisi poeta Massimo” è il meraviglioso omaggio a Troisi della città di Napoli, in una mostra che ne ripercorre tutte le tappe della vita e della carriera, soffermandosi su uno degli aspetti più intimi e teneri di un artista capace di raccontare l’ingenuità, la meraviglia, la disillusione di una generazione cresciuta in uno dei periodi più aurei e, in fondo, ingannatori della nostra storia: il suo indissolubile legame con la poesia: origine, culmine e filo conduttore – seppur in maniera estremamente variegata – di tutta la sua carriera. Fra le strade e i vicoli di San Giorgio a Cremano, culla dell’infanzia e dell’adolescenza di uno dei più grandi attori partenopei, si sviluppa e acuisce giorno dopo giorno la prorompente teatralità e la profonda sensibilità del Pulcinella senza maschera che, fin dall’ado-

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lescenza, sceglie di esprimere fra le righe di qualche pagina i suoi sentimenti più profondi, non immaginando neanche lontanamente che anni dopo sarebbero stati i protagonisti di una sorta di sacrario laico ammirato con un sorriso da tutte le persone che nel corso degli anni hanno imparato ad amarlo. Una teatralità e una profonda sensibilità portate in scena in ogni suo film e sketch con una semplicità e una naturalezza disarmanti, capaci di contagiare di volta in volta i suoi innumerevoli compagni di viaggio, gli amici di una vita, cuore e fulcro di tutta la mostra. Da Pino Daniele a Roberto Benigni, da Lello Arena a Enzo Decaro, artisti così differenti ma allo stesso modo capaci di fondersi con le mille sfaccettature della sua poliedricità, per farne conoscere al pubblico di nuove e inedite. Del Troisi poeta Massimo è inevitabile ricordare l’apice e il culmine con “Il postino”, uno dei suoi film più teneri e struggenti, capaci di consegnarlo al mondo in tutta la sua unicità e immortalità, lirico e poetico al tempo stesso, intriso di poesia e incentrato su quest’arte così magica e sublime in ogni parola e inquadratura, così profondamente sentita da questo immenso artista. Eppure Troisi, in tutta la sua grandezza, non è stato un poeta Massimo solo all’alba e al culmine della sua carriera. La delicatezza e la classe dell’arte poetica lo hanno accompagnato in tutto il suo percorso artistico e umano, permettendogli di mettere in scena sentimenti ed emozioni comuni a tutti gli uomini e le donne, a tutti i ragazzi e le ragazze, con una profondità e una malinconia impossibili da descrivere eppure così veri, così universali, così semplici e reali, con la maestria e l’arte di un vero poeta. “La poesia non è di chi la scrive, è di chi gli serve”, diceva. E aveva ragione. È stato proprio il bisogno di una poesia viscerale, limpida e sentimentale come la sua a renderlo unico, immenso, eterno.

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Bambusa


A RTE

di Mina Grasso

Diego Cibelli: l’Arte del Danzare assieme Il Museo e Real Bosco di Capodimonte apre all’artista

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ncontro, relazione, dialogo. Sono questi i tre elementi della ricerca artistica di Diego Cibelli (classe 1987) che emergono nell’esposizione Diego Cibelli - L’Arte del Danzare assieme presentata al Museo e Real Bosco di Capodimonte lo scorso maggio e in corso fino al 19 settembre 2021. La mostra vede la curatela di Angela Tecce con il Direttore del Museo Sylvain Bellenger, ed è inserita nel ciclo di mostre-focus “Incontri sensibili”. Incontriamo nelle sale del Museo di Capodimonte Diego Cibelli, che ci spiega come i suoli lavori siano appunto dei focus che nascono, non da una commissione, bensì da studi sempre nuovi, come una libera ispirazione che muove dal materiale antico, materiale organico nella sua sostanza, per spingersi verso le varie declinazioni offerte dall’utilizzo dei materiali, come in un mix che spinge ad individuare la modalità attraverso la quale il prodotto accompagna la relazione tra uomo e paesaggio. A Capodimonte, l’artista si muove dallo studio di stampe antiche e le mescola con l’arte della ceramica. La sostanza delle stampe viene riprodotta sui vasi, passando dalla bidimensionalità della superficie del foglio alla tridimensionalità della ceramica, prodotto unico della creazione artistica. Nelle sale, la carta da parati precede ed ospita la mostra. «Ambientare la produzione in un luogo è un momento fondamentale della mostra» – spiega Cibelli - e in questo aspetto l’artista ha ricevuto il supporto, sensibile e attento dell’architetto Rosa Romano. Il lavoro è chiaramente site-specific e si sviluppa anche oltre la sala degli Incontri sensibili, per giungere alla dimensione del laboratorio nella sala Mudi – Museo Didattico della Ceramica e delle Porcellane dove, con l’esposizione Gates, 130 pietre vengono mostrate al pubblico non cotte, ma secche proprio per restituire il senso del cantiere. Ecco che, con questo progetto, le collezioni ceramiche del Museo e Real Bosco di Capodimonte, spesso giunte a Napoli come

getti da parte dell’artista che attraverso questi rilegge la storia». Diego Cibelli ha esposto in questi mesi alcuni lavori anche al Made in Cloister LAB.Oratorio, nella personale Feed me with domestic stuff una collezione di oggetti unici in porcellana, realizzati dall’artista partendo da 64 diversi calchi in ges-

doni diplomatici dalle varie dinastie (porcellane della Manifattura di Wedgwood, della Manifattura Poulard-Prad, della Manifattura di Meissen e i biscuit della Real Fabbrica della Porcellana di Napoli) dialogano con una doppia tipologia di vasi realizzati dall’artista: la serie ispirata alle stampe Firmian, 20mila incisioni dall’enorme valore storico-artistico riunite in 227 volumi conservate nel Gabinetto Disegni e Stampe di Capodimonte, insieme al volume Le Antichità di Ercolano Esposte del 1757 della Biblioteca nazionale di Napoli “Vittorio Emanuele III”; e la serie ispirata al volume Anatomiae Universae del 1823 di Paolo Mascagni (1755-1815) composto da 44 carte di tavole anatomiche a colori esposto in sala grazie alla gentile concessione del MUSA

Museo Anatomico dell’Università degli Studi della Campania “Luigi Vanvitelli”. «La bellezza non è mai fugace, ma è un elemento forte, capace di catturare l’energia». Diego Cibelli, parte dai suoi studi di geografia umanistica, e arriva a parlarci di entropia. Ci ricorda, inoltre, che l’artista ha una grande responsabilità poiché con la sua cultura progettuale si muove intorno ad una continua narrazione che porta agli occhi dello spettatore. «Gli Incontri Sensibili – racconta – sono stati un lavoro molto interessante, per l’autorevole confronto con il Museo. Vi è connessione tra passato e futuro, vi è il flusso della storia che racconta l’interazione dell’uomo con il territorio. E vi è la lettura degli og-

so di epoche diverse, provenienti dall’archivio delle Real fabbriche. Inoltre, in Galleria Morra Greco, nell’ambito della collettiva There is No Time to Enjoy the Sun, nella quale ha presentato al pubblico due troni, in ceramica e tessuto, realizzati in fase di lockdown, ma “sciolti nello spazio” espositivo: i tessuti infatti, in questo caso, riprendono gli affreschi della sala che accoglie l’installazione. In mostra a Capodimonte si potranno ammirare anche i sei dipinti di Carlo Saraceni (Venezia 1578/83 – 1620) della Collezione Farnese, ispirati alle “Metamorfosi di Ovidio” da cui sono tratti i miti rappresentati: Volo di Icaro, Caduta di Icaro, Seppellimento di Icaro, Ratto di Ganimede, Salmace ed Ermafrodito e Arianna abbandonata da Teseo sull’isola di Nasso (1605-1608 circa). E un video di 7 minuti che documenta la ricerca di Cibelli nel Gabinetto Disegni e Stampe del Museo e Real Bosco di Capodimonte per studiare le stampe Firmian da cui ha tratto ispirazione. La mostra è accompagnata da un catalogo edito da Iemme Edizioni e MUDI Edizioni. Settembre 2021

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Speciale

Teatro San Carlo

OMAGGIO A ENRICO CARUSO

Il 19 settembre un gala concerto per celebrare il grande tenore La Redazione

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noto ormai a tutti che stiamo percorrendo l’anno delle celebrazioni per il centenario della scomparsa dello straordinario tenore napoletano Enrico Caruso, una figura leggendaria che ci rappresenta e identifica in qualsiasi parte del mondo. L’insieme di tutte le iniziative vede proprio il Teatro San Carlo al centro di molteplici attività tra le quali si ricorda la presentazione dell’intero programma avvenuto proprio al San Carlo alla presenza del ministro della Cultura Dario Franceschini (riferimento della foto). È giusto ricordare che già dal 2015, proprio col con il sostegno del Ministero della Cultura, è stato costituito il Comitato nazionale per le celebrazioni del Centenario della scomparsa di Enrico Caruso, presieduto da Franco Iacono. Il prossimo 19 settembre, nel filone delle celebrazioni, al Teatro San

Carlo sarà presentato un evento, fortemente voluto dalla Fondazione Teatro di San Carlo, Ente di prioritario interesse nazionale che si prefigge come scopo, attribuito dalla legge e dallo Statuto, la diffusione dell’arte musicale e l’educazione musicale della collettività, che dopo aver preso visione della proposta del Comitato in

occasione delle Celebrazioni del Centenario dalla morte del Maestro Enrico Caruso, ha deciso di fornire un importante contributo. Enrico Caruso, figlio illustre della nostra Regione, ha saputo essere eccellente testimone della cultura partenopea nel mondo; Caruso approdò al San Carlo nell’inverno del 1901 con L’Elisir d’amore di

La visita al San Carlo del Ministro Franceschini

Gaetano Donizetti. Dalle pagine del quotidiano “Pungolo” le parole dell’autorevole critico Saverio Procida ci riportano “applausi amabili […] bis del duetto finale e […] intenzioni favorevolissime del pubblico”. La Fondazione ha ritenuto opportuno trovare le giuste interazioni al fine di rendere al meglio l’omaggio della città al Maestro Caruso e ricostruire i legami tra l’artista e il Lirico napoletano avvolti, ancora oggi, tra storia e leggenda. Tra le attività già programmate dalla Fondazione Teatro di San Carlo per celebrare la memoria del Maestro, quindi, il 19 settembre 2021 è previsto un Gala Concerto in Omaggio a Enrico Caruso diretto da Marco Armiliato con gli interpreti i tenori Francesco Meli, Freddie De Tommaso, Francesco Demuro. L’Orchestra sarà del Teatro di San Carlo

Da sx i tenori Francesco Meli, Freddie De Tommaso e Francesco Demuro 30

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T EATRO

di Luisa Del Prete

“Napucalisse”: l’essenza DELLA CITTà DI NAPOLI Intervista al drammaturgo Mimmo Borrelli

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immo Borrelli è considerato, dai massimi esperti di drammaturgia e teatro, tra i migliori drammaturghi e attori del teatro contemporaneo. Napoletano d’origine e fortemente legato alla sua terra, vincitore di numerosi premi, tra cui il celebre “Premio Riccione”, abbiamo colto l’occasione di intervistarlo grazie alla presenza di un suo spettacolo alla Prima edizione della rassegna di spettacoli “Antro 2021” nei luoghi del Parco Archeologico dei Campi Flegrei. Torna in scena al Castello Aragonese di Baia con lo spettacolo “Napucalisse”, accompagnato dalle musiche dal vivo di Antonio Della Ragione. In scena solamente lui, la sua voce e le sue movenze che danno vita alla vera essenza del testo ovvero: il Vesuvio creatore e distruttore ed il napoletano così simile al suo territorio. Dopo questo periodo di pausa e questa difficoltà di ripresa, perché proprio ora portare in scena uno spettacolo come Napucalisse? «Il teatro risponde sempre con qualcosa di presente, legata alla contingenza degli avvenimenti. “Napucalisse” è uno spettacolo che io porto in scena ormai da otto anni, con una facilità di respiro rispetto agli altri testi. Le mie opere sono “enormi” per tutta una serie di presenze, di attori: questa è la versione di un’opera che scrissi per il San Carlo di cui feci una rivisitazione che poi portai in tutta Europa per il semplice motivo che era sia efficace, ma anche facilmente riproducibile. Dunque, in questo momento storico, nella quale è difficile provare e programmare altre cose, ho deciso di riprendere qualcosa dal mio repertorio. Anche perché queste opere, nel corso del tempo, hanno raccolto un’infinità di consensi e di premi, seppur la visibilità sia stata minima poiché in pochi hanno realmente visto. Per questo motivo sto riprendendo questo spettacolo: per la facilità di impatto immediata

Mimmo Borrelli

e per la facile fruizione. Per altre mie opere ci vuole anche una determinata atmosfera e particolari scenografie, mentre “Napucalisse” può andare dappertutto». Il titolo dell’opera rimanda ad una visione apocalittica della città di Napoli: anche le cose positive che vengono citate è come se fossero un’arma a doppio taglio. Perché questa dualità? È la caratterizzazione della città partenopea? «Quando ebbi questa commissione del San Carlo nel 2010, volevano farmi scrivere un’oratoria. Venne in mente, a me e a Battistelli, di far sì che fosse il coro protagonista di quest’opera in tutto e per tutto, per la prima volta nella storia. Pensando al coro, dunque a qualcosa di grande come il mare, mi venne incontro una leggenda che mi spiegò un contadino di Somma Vesuviana. La leggenda narra che il Vesuvio altro non fosse che un’opera di Lucifero che, cacciato via dal Paradiso, mentre cadeva, incastrata la coda nella terra, formò il Vesuvio. Questo tipo di leggenda, mi ha fatto poi riflettere su cos’è il Vulcano in generale e quindi andai a riprendere nozioni di geologia nella quale si spiega che è il “creatore della vita sulla

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Terra” poiché dopo l’eruzione vulcanica e le conseguenti piogge torrenziali, i primi batteri prendono vita. Quindi c’è una vitalità enorme dovuta però ad un’eruzione continua: in questa bivalenza per me c’è il napoletano per eccellenza». “Napule je nun me ne fuje, Napule je stong cca”. L’intensità delle parole e la loro profondità: quanto è importante scindere l’emotività da questo testo come, in generale, in tutte le tue opere? «L’attore ha un compito: interpretare e far rivivere le declinazioni dell’animo umano. Se noi andiamo in scena e fingiamo, il teatro non ha senso e non ha senso che sia finanziato dallo Stato perché non si va a compiere il giusto mestiere. Bisogna prendere la realtà, andarla ad analizzare ed imitarla. Ad esempio: “come piangeva mio nonno quando è morta mia nonna?”, io lo so; e se vado ad estrapolare quelle emozioni e mi faccio prendere, lo ripeto nel tempo e ad un certo punto vivo il lutto, lo prendo sulle spalle e lo porto in scena. Questo è il compito dell’attore. Perché si dice che i napoletani siano così espressivi? Perché sono un popolo talmente addolorato, violentato dalla realtà così folle che deve per forza formalizzarla in modo grottesco per sfuggirne. Anche se, poi, nella realtà dei fatti non è proprio così perché c’è una cura del lavoro davvero assurda. Io in scena cerco di diventare il Vesuvio, anche se in quel momento io non penso di diventarlo, anzi: in alcune sere meno penso a quello che sto facendo, meglio riesco nell’interpretazione e puntualmente piango sempre nello stesso punto. Questo accade perché ho così formalizzato la cosa che l’organicità mi ha portato all’emozione: e qui si chiude il cerchio».

OFFICINA AUTORIZZATA

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M USICA

di Giovanni Iodice

una dichiarazione d’amore al Teatro Al “Napoli Teatro Festival” la musica di Alessandro Quarta

Alessandro Quarta

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lessio Boni e Alessandro Quarta, protagonisti dello spettacolo “L’uomo che oscurò il Re Sole”, andato in scena al Belvedere di San Leucio nell’ambito della kermesse “Napoli Teatro Festival”. Un debutto campano per la rappresentazione, applaudita da un pubblico caloroso. Una dichiarazione d’amore al teatro, un racconto per voce e musica, una doppia narrazione intrecciata tra vita, disavventure e morte di Molière. Nel corso dell’intervista, il musicista Alessandro Quarta ci ha raccontato dello spettacolo, del rapporto con la Campania, con Caserta in particolare, del ritorno alle attività live.

Che pubblico ha accolto lo spettacolo “L’uomo che oscurò il Re Sole”? «Un pubblico meraviglioso, a Caserta si è calorosi: c’è un sole negli occhi, nei cuori, che noi sul palco abbiamo percepito e ridonato. C’è calore, un amore immenso, che è un continuus tra pubblico e palco». In che modo sei stato coinvolto in questo progetto teatrale? «Con Alessio mi sono conosciuto lo scorso anno e, da subito, è nata una grande empatia tra noi: mi ha chiamato, proponendomi di fare questo progetto che ho accettato perché è il top, in ambito attoriale, che abbiamo in Italia. È un attore d’altri tempi, che porta il teatro in

tv. Lo abbiamo creato in due giorni anche se, in realtà, lo spettacolo si realizza giorno dopo giorno sul palco». Quanto è importante il luogo di esibizione per la riuscita dello spettacolo? «Il luogo non va a contribuire positivamente o negativamente: non deve contribuire alla riuscita. Bisogna essere sempre se stessi, suonare al top. Bisogna avere un’attenzione maniacale ai dettagli, che ti porta al successo. Non bisogna anteporre il talento allo studio». Che rapporto hai con la Campania e con Caserta in particolare? «Qui è nata l’arte, la musica, la solidarietà. Il rapporto con la Campania è fortissimo, quando arrivi è come essere a casa non soltanto dal punto di vista musicale, quanto umano. Io sono orgoglioso che la Campania faccia parte dell’Italia». I giovani si stanno avvicinando allo studio del violino e della musica in generale. Qual è la tua opinione a riguardo? «È una riscoperta lenta, perché non c’è un grande aiuto da parte dei mass media: oggi c’è attenzione verso il successo. Artista ci si nasce, ci si diventa con un percorso fatto di studio e sacrifici, di perfezionamento. Sono felice che i ragazzi si avvicinino alla musica, ma non basta. Bisogna portare nelle case la cultura, fin da bambini». Quanto la tua produzione ha risentito dell’emergenza sanitaria da Covid19? «È stata dura restare fermi per due anni non soltanto dal punto di vista economico, quanto emotivo perché per me, così come per tanti altri, il palco è vita, ossigeno. Dal punto di vista emotivo è vita, da quello economico è lavoro. Rivedere il pubblico per noi è stato ossigeno».

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C INEMA

Maschile singolare

La normalità (banalità?) arcobaleno di Lorenzo La Bella

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oglio fare una provocazione per aprire questo articolo. Il cinema nazionalpopolare italiano non-comico, è banale. Parlo di quelle decine di film che, a meno di non avere un gimmick, che permettono di esplorare un tema più ampio (esempio: Non odiare di Mauro Mancini presenta un medico ebreo che sceglie di non salvare la vita a un neofascista, per esplorare le profonde ferite dell’odio nel nostro paese) sono un semplice dramma familiare/romantico/tra amici, un po’ alla Muccino. Non lo dico in tono negativo: questi film - anche quelli di Muccino - sono spesso molto ben scritti, hanno performance degne di essere riviste, presentano esplorazioni dei legami e rapporti interpersonali che non hanno nulla da invidiare a dei classici del cinema. È, tuttavia, il banale: quello che ognuno di noi quasi di sicuro vivrà nella propria vita, a prescindere dal proprio lavoro, traumi, incidenti, militanze, successi. È difficile renderlo perciò interessante senza attoroni, grandi copioni o, appunto, gimmick. La genialità di “Maschile singolare” sta perciò nel fatto che ha sì un gimmick, ma il suo gimmick è proprio la solita banalità sopramenzionata… ma in chiave gay. Inizia con il divorzio del protagonista Antonio dal suo compagno, e racconta la difficile ricerca di una propria indipendenza che il giovane compie una volta privato del guscio della relazione. Cerca lavoro, si iscrive a un’app di dating (quale? Ovvio), cerca una stanza, si

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potuto fare una riflessione. Forse i film dovrebbero lanciare un messaggio, essere polemici, coinvolgere le masse, quando si tratta di minoranze. Però sappiamo tutti quanto l’asticella sia bassa in Italia, riguardo al discorso LGBT fatto da persone etero e cisgender. Se da essi veniamo presentati come gente normale e banale quanto tutti gli altri, anziché essere oggetto di voyeurismo o morbosità, è qualcosa. Può quindi la banalità essere rivoluzionaria? No, se volete un film che si spinga in qualche posto un minimo meno piatto guardatevi un qualunque film di Ferzan Ozpetek. Però se volete un film che vi faccia da comfort food fatto bene e che sia qualcosa di nuovo, guardatevi “Maschile Singolare”. A me è piaciuto.

butta nel sesso occasionale, si fa dei nuovi amici, si butta nel sesso occasionale con degli amici, cerca di nuovo l’amore, cerca insomma di fare il giocoliere con le mille palle che la vita ci impone. Ed è quasi sorprendente, per un film italiano, vedere la naturalezza con cui tutto ciò avviene. Antonio e gli uomini con cui interagisce sono tutti gay, ma la cosa non è trattata in modo scandalistico demonizzante-feticizzante come era stato persino in film ‘benintenzionati’ nel passato, anzi. Nessuno fa particolari commenti (tranne le famiglie) sulla cosa, la sessuali-

tà è trattata come una caratteristica banale al pari del colore di capelli, come dovrebbe essere. L’unica pecca è un incidente traumatico e il cliché del personaggio anticonformista che fa una brutta fine, ma Rent! ha fatto di peggio. Anche l’esplorazione del mondo gay di Roma è trattata in modo estremamente naturale, e rivedendo quelle situazioni familiari come profondamente banali, ho

Avv. Fabio Russo Penalista - Foro di S. Maria C. V.

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R ICERCA

di Manuela De Rosa Ph Giuseppe Moggia

Le scoperte della chimica delle fibre tessili nel mondo

Intervista al Professor Giuseppe Scala, ex docente universitario di chimica del restauro e dei tessili

In occasione dello scavo di Villa Polibio a Pompei ed in alcune città vesuviane, distrutte dall’eruzione del Vesuvio del 79 D.C., sono stati rinvenuti alcuni frammenti di stoffa carbonizzata dei quali ne ho studiato i reperti

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ocente di chimica delle fibre tessili e materie tintorie, è il professor Giuseppe Scala a rivelare, da chimico analista di reperti archeologici, le sue scoperte che sono la sintesi delle sue ricerche scientifiche. Attualmente in pensione, il docente collabora con il Real Orto Botanico di Napoli e nel museo di Paleobotanica ed Etnobotanica dove espone dei ritrovamenti provenienti dai suoi viaggi al seguito di missioni archeologiche, in collaborazione con il CNR, svolte in Italia ed all’estero. La sua personalità si colloca in ambito scientifico-accademico come un valido punto di riferimento per studiosi e ricercatori, ai quali trasferisce il suo sapere acquisito in circa cinquanta lunghi anni di carriera, di studi dedicati alla ricerca scientifica. Ha insegnato chimica delle fibre tessili e materie tintorie specialmente in Egitto, India e Turchia. Particolari e dettagli inerenti i suoi studi a rivelarli è proprio il professor Giuseppe Scala nella seguente intervista. Le sue appurate scoperte da chimico analista di reperti archeologici che cosa hanno evidenziato? «Nel mio ruolo di esperto di tessili e materie tintorie in occasione dello scavo di Villa Polibio a Pompei ed in alcune città vesuviane, distrutte dall’eruzione del Vesuvio del 79 D.C., sono stati rinvenuti alcuni frammenti di stoffa carbonizzata dei quali ne ho studiato i reperti di Pompei e di altri trovati

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a Scafati e Boscoreale. Ho identificato molte fibre comuni quali: lana, cotone e lino, canapa, ginestra ed ortica, ma anche alcune molto significative e rare come la lana d’angora, calotropis, ibisco e soprattutto la seta dei tortrici che, sono dei lepidotteri volanti i

cui bruchi si avvolgono nelle foglie con fili di seta da loro emessi. La seta dei tortrici viene prodotta dalle farfalle Saturnia Pyri ed Otus nelle isole greche (Coo, la vicina Rodi, ma anche Cipro)». Tra i suoi reperti di ritrovamenti quali tinture è riuscito ad iden-

tificare? «Ho identificato tre varie tinture: la robbia, il guado e la ginestra ed altre ancora in altri reperti vari». Con chi lei ha collaborato insegnando all’estero? «Presso l’Istituto Italiano per l’archeologia ed il restauro situato nel quartiere di Elmeia Ghedida ho insegnato in Egitto con la direzione dei professori Giuseppe Fanfoni e Luisa Bongrami. Mentre in India presso il Politecnico Agrario dello Stato Federato dell’Uttar Pradesh». Qualche dettaglio in particolare dalle sue ricerche? «Una missione in Sudan dell’Università La Sapienza mi ha dato modo di scoprire la sepoltura di epoca meroitica (circa dal 500A.C). Ho ritrovato sui corpi dei tessuti confezionati con lana di capra, lana di ammotrago (una specie di capra dal pelo lungo). Immergendo alcuni reperti ritrovati in Egitto ed in Nubia, l’attuale Sudan, in una soluzione di metilcellulosa (un grammo per litro d’acqua) ed asciugati all’ombra, sono stati consolidati». Le sue ricerche in Africa cosa le hanno dato la possibilità di esaminare? «Con le mie ricerche in Africa ho esaminato la seta del Madagascar, chiamata localmente boracera, ed anche la seta del ragno Nephila, ottenuta pigiando con una leggera pressione sul dorso dei singoli ragni, così indotti ad emettere la seta che altrimenti avrebbe formato la ragnatela che a sua volta veniva poi raccolta su rudimentali arcolai. La seta del Senegal di colore giallo oro viene prodotta dalle farfalle Attacus Faiderbi, ma altre sete sono ricavate in centro Africa dal Bombix Spini, Bombix Aractide e Venata. Dalla Eperia Diadema si ottengono sette filamenti diversi». Le sue ricerche in Italia? «Anche in Italia a Firenze si otteneva la seta detta setale, cioè esercitando una leggera pressione sui bruchi, i quali pressati erano indotti ad emettere la seta con un diametro maggiore di quella ottenuta dai bozzoli».


M ODA

di Chiara Del Prete

SEE NOW, BUY NOW PER I CANALI DI ACQUISTO DELLE GRIFFE

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freccia veloce la moda, sempre impegnata a ideare nuove ed appetibili proposte per un pubblico ormai assuefatto dal suo essere frenetico. Risulta così scattante che anche la fase d’acquisto è impulsiva e frettolosa. Le tempistiche del momento d’acquisto si sono notevolmente ridotte, non importa se l’oggetto del desiderio sia indispensabile ma è quanto basta ad appagare l’utente con effimera felicità. Rincara la dose l’introduzione del “see now, buy now” spesso utilizzato per le runway di marchi prestigiosi. Letteralmente significa “vedi ora, compra ora” ed asseconda il concetto del “lo voglio ora e subito”. Molto semplicemente è possibile acquistare quanto visto in passerella subito dopo il defilé. Pensato ovviamente per il settore del lusso, aiuta ad incrementare l’interesse del consumatore perché potrà possedere nelle proprie mani proprio quel capo da sfilata in poche ore a distanza da essa e non dovrà attendere mesi. Un bene di lusso è tale proprio perché frutto

di un elevato studio stilistico e progettuale, costituito di materiali elevati e un’estetica onirica. In alcuni casi si parla di pezzi unici, basti pensare alla borsa Birkin di Hermès che, come insegna Sex & the City, vale il tempo di una lista d’attesa. Nonostante il see now buy now realizzi un aumento delle vendite esaudendo i desideri della clientela, è additato come smorzatore di magia. I fashion show anticipano le tendenze delle stagioni che seguiranno, c’è un calendario ben preciso e questa opzione d’acquisto ne stravolge i piani. Non si fa in tempo a comprare un costume da bagno che i negozi propongono gli ultimi modelli di capispalla autunnali. Inoltre, l’utente non è improntato ad acquistare un capo invernale se ancora si trova nel bel mezzo della stagione estiva. Ciò a cui

si punta maggiormente, quindi, è l’esclusività che deve essere altrettanto istantanea e per i pochi che ne possiedono le capacità finanziarie. Astuta è la scelta di apporre l’etichetta di disponibilità limitata ad una serie di prodotti se marchio e stilista sono rinomati, garantisce il tutto esaurito nel giro di poche ore. Il fattore limited edition sembra quasi indurre al bisogno, alla necessità di ottenere quell’oggetto prezioso e di cui ne esistono pochi esemplari. Non viene lasciato spazio al consumatore di pensare se effettivamente quel prodotto valga i suoi soldi e l’investimento. Oltre ai marchi stessi ne giovano anche i rivenditori che possono rendere disponibile presso i propri negozi le collezioni caratterizzate dal see now buy now a partire dal giorno successivo alla collezione. Innovativo e accattivante, il see now buy now è una tendenza ancora poco diffusa che lascia perplessità ad alcune domande. La perplessità principale vede protagonista il calendario della moda, poi bisognerebbe determinare tramite quali fattori sia più indicata la sua applicazione ad un marchio rispetto ad un altro. Tom Ford, per esempio, ha dovuto rinunciare a tale modalità d’acquisto non riscontrando un effettivo vantaggio. A quanto pare il modello see now buy now è maggiormente indicato per le collezioni esclusive che vantano una disponibilità limitata, ma bisognerebbe valutare se ha successo con stilisti e brand con fasce di prezzo vendita inferiore. Nonostante le nuove metodologie nei canali d’acquisto delle griffe progrediscono all’espansione, Dolce&Gabbana hanno osato con un digital show ospitato su piattaforma web e social del marchio per mostrare la collezione P/E 2021 uomo e donna, disponibile in contemporanea all’uscita in passerella. Il duo di stilisti ha apportato un’innovazione del see now buy now portandola ad uno step successivo di elevato interesse. L’attesa non è più essa stessa l’essenza del piacere, ma un impedimento labile che frena l’impulsività e la voglia di avere tutto e subito.

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M USICA

di Giuseppe Spada

'A67: IL GRUPPO DI SCAMPIA NON È RIMASTO IN SILENZIO 17 anni di storia per il gruppo che dà musica all'area nord di Napoli

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e si nasce nel fango ci sono solo due possibilità: o ci si amalgama fino a scomparire nella massa putrida o si lotta. Si lotta per emergere, per poter dire a tutti quelli che sono apparentemente fuori dal fango cosa si prova, quanto dà fastidio quel senso di soffocamento, quell’umido e viscido buio che ti circonda. È questo il caso degli ‘A67, un gruppo napoletano con 17 anni di storia alle spalle, che ha vissuto sulla propria pelle il peggio dell’area nord di Napoli e ne ha fatto musica. Quando nasce ‘A67 e con quale scopo? «Il gruppo nasce a cavallo tra il 2004 e il 2005, nel bel mezzo della faida di Scampia. Come tutti i gruppi nasce dall’esigenza e dalla volontà di fare musica. Poi venendo da un contesto particolare, Scampia appunto, abbiamo risentito molto dell’influenza del luogo, tanto da chiamare il nostro gruppo proprio come il quartiere dal quale provenivamo. C’era anche la volontà di far emergere tutte le problematiche che vivevamo all’epoca. Una mission vera e propria, forse, non l’abbiamo mai avuta, ma era impossibile non esprimere con la nostra musica le difficoltà dei nostri luoghi». In 17 anni di attività, per i temi che avete trattato, vi è mai capitato qualche “inconveniente”? «Gli episodi sono tanti. Ce n’è uno che ricordo molto bene, che è stato poi ciò che mi ha spinto a scrivere il nostro primo album: “ ‘A camorra song’ io ”. All’epoca ero uno studente di filosofia. Tra una lezione e l’altra, con i miei amici, prendevamo il sole su un portico della facoltà, discutendo e citando i filosofi. A un certo punto passa un ragazzo che mi guarda. A quel punto, scatto inveendo contro quest’ultimo perché, nella mia concezione delle cose, non doveva guardarmi. Questo perché, come ben sai, a Napoli due sguardi che si incrociano sono un segno di sfida e una gara a chi lo abbassa prima.

siamo?”». Oggi, rispetto a quando avete cominciato, la musica di stampo più “sociale” interessa ancora alla gente? «È una domanda molto complessa. La musica è il riflesso condizionato della società in cui viviamo. Durante la mia adolescenza, la musica napoletana era rappresentata dagli Almamegretta, dai 99 posse, in Italia dai Sangue Misto e da Frankie hi-nrg. Insomma, tutto un movimento pop legato ai centri sociali e con forti connotazioni politiche. Ma tutto si muoveva in un underground di concerti live, centri sociali e trasmissioni dove questi artisti si potevano rappresentare. Oggi tutto questo è scomparso, sono arrivati i social e tutto ciò ha modificato per sempre contenuti e fruizione della musica. Oggi le classifiche sono cambiate, è cambiato soprattutto il livello di impegno mentale che la musica ti mette a disposizione. Oggi quel tipo di musica esiste ancora, semplicemente, fa più difficoltà ad emergere».

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Il giorno dopo accade la medesima cosa, stavo per picchiarlo ma mi trattennero. Il terzo giorno io non c’ero, ma una mia amica che era lì, mi raccontò che il ragazzo passò di nuovo, mi disse che lo aveva conosciuto e che aveva scoperto che quel ragazzo era strabico. Questa cosa fa ridere, ma mi fece riflettere su quanto io fossi un portatore sano di “camorra”. Mio padre era un pittore e mia madre una casalinga, ma essendo cresciuto in quel contesto sociale ero talmente intriso di quella mentalità al punto da guardare il mondo con quegli occhi. La domanda che mi posi era, se è successo a me, studente di filosofia, figurarsi a chi non è mai andato a scuola. Il secondo aneddoto è collegato proprio alla nascita del primo album. Un nostro conoscente ci raccontò che un esponente di un noto clan, parlando con lui, espresse la volontà di incontrarci per spiegarci che la camorra faceva solo del bene alla comunità, e chiuse la conversazione con la frase: “Ma poi non ho capito, se loro sono la camorra, noi chi

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M USICA

di Fernanda Esposito

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Daria Huber: il giovane talento campano che ha conquistato X-Factor

aria Huber l’abbiamo conosciuta guardando X-Factor edizione 2020, quando è salita sul palco con la cover “John My Beloved” di Sufjan Stevens e i giudici non hanno esitato nemmeno un attimo a darle i meritatissimi quattro Sì. Dolcissima, eppure così determinata, Daria ha conquistato larghi consensi di pubblico e di critica grazie alla sua eleganza e maturità. Non è arrivata ai live della scorsa edizione ma viste le premesse, siamo certi che conquisterà ben altro alla luce della sua passione e del suo talento. A proposito, Huber non è un nome

d’arte, ma un cognome che arriva dalle lontane origini d'oltralpe della famiglia paterna. Daria raccontaci di te e come nasce la tua passione per la musica? «Ho diciotto anni, sono nata a Napoli e vivo da circa dieci anni a Vitulazio in provincia di Caserta. Concluderò il mio percorso l’anno prossimo da privatista, poiché lavorare nel mondo della musica non consente una frequenza scolastica costante. La passione per la musica l’ho ereditata dal nonno e sin da piccola ho, da autodidatta, suonato la chitarra per poi iniziare a cantare e imparare a suonare il pianoforte, l’ukulele e la batteria». Dove e quale scuola hai frequentato? «Il liceo linguistico all’Istituto “Pizzi” di Capua, una bellissima scuola molto organizzata e ricca di opportunità». Perché hai deciso di partecipare ad X-Factor? «Eravamo durante il lock-down e sentivo il bisogno di uscire e comunicare attraverso la mia musica e così ho fatto il provino ed è andata benissimo direi». Sei rimasta in contatto con i tuoi colleghi? «Sì, soprattutto con alcuni di loro, penso sia bello condividere insieme sogni e progetti». Qual è il tuo ricordo più bello di XFactor? «Tanti ricordi unici legati ad un’esperienza

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indimenticabile, piena di emozioni, che mi ha fatto crescere molto come persona e come musicista». Si intitola “Viaggi della Mente” il tuo nuovo singolo interamente composto da Daria Huber, testo e musica (Trident Music/Polydor). Come nasce il brano e dove ti porta questo viaggio? «Il brano è nato a inizio maggio, volevo fuggire dalla noia di stare in casa e anche fuggire dalla situazione che stavamo vivendo. Questo brano mi ha fatto fare l’unico viaggio possibile, quello della mente. È positivo proprio come speranza per il futuro e ho trovato felicità dove vedevo solo cose brutte. Il video di “Viaggi della Mente”, che è stato diretto da Alice Bulloni, con animazioni di Roberta Tufigno, parte proprio dall’idea di rappresentare il distacco dalla realtà grazie al potere dell’immaginazione, proprio inserendo l’immaginario nel reale». Un invito a guardare le cose da nuove prospettive. Ma qual è il tuo viaggio ideale? «Non ne ho uno in particolare, per mia fortuna ho viaggiato molto in camper con la mia famiglia e adesso che possiamo tornare a viaggiare, lo rifarei in giro per l’Europa, facendo musica». Passi dall’inglese all’italiano con disinvoltura, ma anche in altre lingue. Canti la tua visione del mondo, scrivi di amore ma e di amicizia. Come definiresti la tua musica? «Faccio pop che però non è musica leggera. Sono giovane e mi piace sperimentare e fare tante cose. Ci sto lavorando». Il tuo desiderio più grande? «Scrivere canzoni e girare in tour per comunicare con la gente e trasmettere le mie stesse emozioni». Prossimo progetto? «Non voglio anticipare nulla per non rovinare la sorpresa, ma uscirà, ben presto, un nuovo ed entusiasmante lavoro. Rimanete collegati».

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E NOLOGIA

di Maddalena Sorbino

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a Falanghina è uno dei vini maggiormente apprezzati e acquistati non solo in Campania, dove è il vitigno a bacca bianca più conosciuto, ma anche nel resto della penisolaEssa, infatti, è coltivata anche in Puglia e in Molise e il suo nome deriva da “falangae”, sostantivo che si riferisce, come vedremo di seguito, ai pali che sostenevano la vite. C’è da dire, però, che nella nostra regione vi sono due differenti tipi: la Falanghina del Beneventano e quella dei Campi Flegrei. Spesso vengono confuse e non tutti sanno che in realtà sono due tipologie di uve completamente differenti che si differenziano, pensate un po’, per 34 caratteri ampelografici su 40 e che, proprio per questo, non sono nemmeno parenti tra loro! Ma come è arrivata qui da noi questa prelibatezza? Ebbene la storia della Falanghina inizia nel VII secolo a.C. e risale all’arrivo dei coloni greci a Cuma. Essi erano soliti allevare la vite in un modo molto particolare che prevedeva farla strisciare al suolo, ma con questo metodo gli acini ammuffivano. Fu per questa ragione che si convinsero ad utilizzare un palo che sostenesse il tutto, chiamato “phalanx”, da cui deriva il nome dell’uva. Grazie a questo palo che fungeva da sostegno, si evitavano grandi problemi, come la botrite. Da allora, questo sistema di allevamento fu chiamato “puteolano”. Forse da ciò alcuni sono soliti

Falanghina del Beneventano e Falanghina dei Campi Flegrei, quali sono le differenze? confermare l’originalità della Falanghina dei Campi Flegrei rispetto a quella del Sannio. Di fondamentale importanza è ricordare che le due uve crescono su terreni completamente diversi e questo carattere conferma an-

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cora di più la differenza netta che vi è tra le due. I Campi Flegrei rispecchiano un terreno tipicamente sabbioso e vulcanico dove queste sono allevate “a piede franco” cioè senza il supporto della vite americana

(importante per evitare la filossera). Grazie a questo metodo le uve conservano intatte le caratteristiche genetiche del vitigno e si presentano con chicchi sferici e gialli. La Falanghina del Sannio nasce intorno al comune di Bonea, in zona caudina. Il Beneventano è un’area collinare e pedemontana, vicinissima alla catena degli Appennini dove il clima è più fresco e il terreno è argilloso. Per questa ragione i vini sono più corposi rispetto a quelli della costa. Certamente entrambe le tipologie sono davvero eccellenti ed ottime per accompagnare molte tra le bontà culinarie della Campania, essendo anche vini molto versatili. Per un esame attento, potremmo dire che alla vista si presenta di colore giallo paglierino con riflessi dorati e qualche sfumatura di verde. All’olfatto è meravigliosa: concede profumi floreali e fruttati davvero incredibili. Al gusto è fresca, acida e secca, molto gradevole. È grazie alla sua spiccata acidità che molti produttori decidono di elaborarla anche in versione spumante. Inoltre, è possibile accompagnarla con tantissimi abbinamenti, ma sicuramente quello che più le si addice sono i secondi di pesce o i crudi di mare. Allora, proprio per questi caratteri così particolari, non è proprio il vino giusto per rappresentare una terra come la Campania?


F OOD

di Simone Cerciello

Lo Street Food siede al tavolo della Campania I ragazzi di “Sciuè il panino vesuviano” nominati “Miglior Street Food della Campania” per Gambero Rosso

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iviamo in un mondo che si evolve alla velocità della luce: nuove tecnologie, nuove mode, nuovi ideali si alternano e sovrappongono con un ritmo incalzante, quasi insostenibile. Tutto va ottimizzato, ogni minuto o secondo va ponderato e valorizzato. Ma in una realtà che progredisce così velocemente, cosa possiamo mangiare in quegli spiragli di “libertà”? Nessun problema, c’è lo “Street food”. Questa tipologia di ristorazione rappresenta probabilmente la condensazione perfetta di ciò che abbiamo citato precedentemente. Paradossalmente però essa non è nata di recente, ma arriva da molto lontano, per la precisione ha circa diecimila anni e fu introdotta dagli egizi, i quali adottarono l’usanza di friggere il pesce e venderlo poi per strada, un pasto rapido e genuino. Tale tradizione si è poi diffusa nel mondo romano, sino ad assumere, in epoca moderna, diverse denominazioni e fisionomie in base alla localizzazione, come il “Fish and chips” inglese o i “pâstés” francesi. Fermiamo un secondo questo tour mondiale e torniamo qui, in Campania, dove lo street food, negli ultimi anni, ha trovato un ottimo alleato nella grande vastità e varietà di prodotti che la nostra terra riesce ad offrire. Quello che in principio era un fenomeno di origine europea, con

gli anni è entrato in punta di piedi nella nostra cultura, sino a diventare tappa “inevitabile” per gli amanti del cibo. La guida Street Food del Gambero Rosso è arrivata alla sua settima edizione, e anche la Campania può vantare delle eccellenze di tutto rispetto. Per l’edizione 2022 facciamo tappa a Pomigliano d’Arco, e più precisamente da “Sciuè il panino vesuviano”, nominato “Miglior Street Food della Campania”. Un locale di nuova concezione, nel quale tradizione e modernità si fondono in un mix armonioso e veloce, in pieno stile “Street food”. Abbiamo deciso quindi di entrare nella loro cucina e farci raccontare come si può arrivare a creare queste golose “opere d’arte”. Come è nata l'idea "Sciuè il panino vesuviano"? «Il progetto è nato dall’idea di nostro padre di creare un format nuovo. Non il classico pub o la solita paninoteca in stile americano,

ma un luogo dove si potessero valorizzare le peculiarità del panino nonché i prodotti della nostra terra e la cucina campana». Cosa vi contraddistingue dalle altre paninoteche? «Produciamo da soli il nostro pane, quindi abbiamo una identità non replicabile rispetto ai competitor del settore. Non produciamo panini “americanizzati”, ma cerchiamo di riproporre quelle che sono le caratteristiche della cucina nostrana, seguendo anche la stagionalità che la caratterizza».

Spesso si associa l'etichetta dello "Street food" ad un prodotto da consumare rapidamente ma dalla scarsa ricercatezza, cosa ne pensate a riguardo? «In passato era effettivamente così, ma oggi finalmente qualcosa sta cambiando, livello e ricercatezza, soprattutto nel mondo delle paninoteche si sta alzando sempre di più». Qual è l'iter che porta alla nascita di un nuovo prodotto? «Si parta dalla selezione delle materie prime rispettando la stagionalità, cercando dì riproporre la cucina campana dov’è è possibile. Altrimenti si procede con abbinamenti nuovi e inediti». Recentemente avete vinto il premio come "Miglior Street food in Campania 2022" per Gambero Rosso, come si struttura questo contest? «Ci sono dei segnalatori del Gambero Rosso che girano per le diverse attività tutto l’anno in anonimato, per poi a fine anno inserire i “migliori” nella propria guida». La pandemia ha purtroppo lasciato il segno sotto diversi punti di vista, può questo riconoscimento rappresentare un segnale di ripartenza? «Si sicuramente, questo riconoscimento così importante ci stimola e ci dà forza per fare sempre meglio e soprattutto non fermarci mai».

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STRUZIONE

di Ludovica Palumbo

La nostra Città della Scienza

una fenice che rinasce dalle sue ceneri

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ittà della Scienza, nota come Fondazione IDIS-Città della Scienza, è un museo scientifico situato a Bagnoli che si occupa di promozione e divulgazione scientifica. Nasce nel 1987 da un’iniziativa nota come “Futuro Remoto” di Vittorio Silvestrini, il cui successo portò alla creazione della Fondazione. Questo polo scientifico rappresentava per i suoi fondatori un simbolo, il simbolo della riconversione della zona di Bagnoli durante la forte crisi industriale degli stabilimenti dell’Italsider (demolita poi nel 1992). Città della Scienza però non ha avuto vita semplice, da simbolo di riconversione a simbolo di vera e propria rinascita. Il 4 marzo del 2013, Città della Scienza brucia. Un incendio doloso distrugge quattro capannoni costringendo l’edificio a chiudere per mesi. Mesi di lavori e processi legali porteranno poi alla riapertura, nel novembre dello stesso anno, con l’inaugurazione di un nuovo progetto di riqualificazione di “Bagnoli Futura”. Nonostante i buoni propositi però, a causa di vari problemi quali l’ingresso di Invitalia nel progetto che prevedeva un arretramento della ricostruzione in un’area non ancora bonificata ed altre controversie decisionali, il progetto di ricostruzione ha subìto un arresto ed è tutt’ora sospeso. Nel 2019, viene nominato dalla giunta del presidente Vincenzo De Luca un nuovo presidente, l’ex deputato Riccardo Villari che ha gentilmente accettato di rispondere a qualche domanda sul futuro della fondazione. Sono trascorsi quasi due anni dalla sua nomina a presidente della Fondazione, cosa crede che rappresenti Città della Scienza per Bagnoli e per tutte le persone che vi fanno visita? «Sono presidente della Fondazione da quasi due anni, ma almeno un anno e mezzo l’abbiamo trascorso in piena pandemia dunque ne ho apprezzato le potenzialità purtroppo solo dall’interno. Per Bagnoli, Città della Scienza rappresenta una luce accesa, l’unica luce accesa in questo quartiere, in quest’area che attende ancora di essere riconvertita dopo il crollo dell’industria pesante dell’Italsider. Rappresentiamo per tutti quelli che hanno a che fare con la nostra realtà una visione, quella stessa visione che ha portato Vittorio Silvestrini ad immaginare questo luogo capace di divulgare e diffondere la conoscenza in maniera comprensibile ed a disposizione di tutti». Città della Scienza, come ha anche ribadito lei, è un simbolo di speranza. È abituata or42

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mai a cadere e rialzarsi, questo marzo sono trascorsi 8 anni dall’incendio. Ed in questa occasione si è svolto un importante evento online con la partecipazione, tra gli altri, del presidente De Luca. «Ci tengo ad iniziare dicendo che noi abbiamo tutte le potenzialità per rialzarci in seguito all’incendio doloso di otto anni fa, che ci ha privato del grande museo a mare che rappresentava un luogo di forte attrazione, un luogo dove poter tenere grandi mostre. Come ha detto, lo scorso marzo sono trascorsi otto anni da quel terribile accaduto e c’è stato un incontro a cui hanno partecipato il Ministro Carfagna, il presidente De Luca, il sindaco De Magistris, il Ministro Franceschini, tutti i soggetti attivi della Fondazione riunitisi per dire “Noi siamo qui, pronti a ripartire” ». Dunque il progetto bonifica e ricostruzione è ancora in vita. «Certo, tempi e costi permettendo. Ma sembra che posizioni (del Comune tra tutte) che non condividiamo, spingano la ricostruzione in un’area per noi non idonea. Stiamo lottando per ottenere un’area funzionale senza perdere i fondi che abbiamo a nostra disposizione per la ripartenza, obiettivo primario della nuova governance». A distanza di anni, ironia della sorte sempre nel mese di marzo, lockdown nazionale, la pandemia scoppia in Italia e nel mondo. I

musei chiudono così come città della scienza. Cosa ha comportato questa ennesima chiusura? «La chiusura imposta dal lockdown è stata per noi un’altra batosta, come per tutti. Basti pensare che prima che accadesse tutto ciò contavamo 200.000 visitatori al giorno. Ma paradossalmente, ci ha dato l’opportunità di pensare e lavorare su noi stessi. Abbiamo pensato a nuovi modi per arrivare alle persone, ad ampliare la nostra offerta. Abbiamo messo online una serie di iniziative “in pillole” per cercare di fare chiarezza proprio sulla pandemia, abbiamo creato una campagna pro-vaccinazione con testimonials che hanno stimolato i cittadini a vincere questa inspiegabile resistenza nei confronti del vaccino». E cosa avete in mente per il futuro? «Il nostro obiettivo principale per il futuro è creare un polo sostenibile, un polo che sia efficiente dal punto di vista energetico, digitale. Ne abbiamo approfittato per riconvertire e riposizionare il personale attraverso corsi di formazione che possano prepararli per il futuro che verrà. Abbiamo in mente una serie di progetti che ripartiranno dopo la pausa estiva il 14 settembre, progetti sostenuti, ci tengo a dirlo, dalla Regione, che rappresenta il partner istituzionale da sempre sostenitore finanziario, e non, delle nostre iniziative».


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STRUZIONE

di Fernanda Esposito

Disoccupazione intellettuale e povertà educativa Il Prof. Paolo Russo interviene sul valore e i disagi della cultura odierna

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uesta volta ci confrontiamo con un ex docente universitario di Pedagogia generale e sociale e Pedagogia dei fenomeni sociali e interculturali. Inutile dire che ha al suo attivo numerosissime pubblicazioni e ha svolto una costante attività di ricerca. Dal 1993 dirige una Collana di Scienze dell’educazione presso la Casa Editrice Garigliano di Cassino, e dal 1997 la Collana intitolata Scienza e Società presso la Casa Editrice Franco Angeli di Milano. È direttore dell’Ufficio Socialità e Lavoro della Diocesi di Sessa Aurunca e dal 2015 è presidente del Centro Studi Sociali Tommaso Moro. Il prof. Russo non si è mai fermato. Prof. Russo, Lei si è sempre occupato di educazione, partiamo da questo importantissimo concetto, ci spieghi a che punto di sviluppo è la ricerca sull’educazione? «L’educazione rappresenta l’attività umana più complessa, più diffusa, più continua che ci sia: essa ci riguarda tutti, in tutte le fasi della vita; altrettanto ricca e complessa è la realtà delle scienze che studiano l’educazione per comprenderne i meccanismi e per promuoverne la migliore realizzazione possibile, nei vari contesti in cui l’uomo nasce e si sviluppa, si educa e si forma. Quindi, la ricerca sull’educazione ha raggiunto livelli molto avanzati, ma che mai si possono considerare definitivi o conclusi, poiché l’educazione è per sua natura un processo sempre in divenire. Allo stato attuale, il punto di arrivo della ricerca sull’educazione possiamo identificarlo nel concetto di inclusione, per cui, dalla scuola aperta a tutti, la nostra società scommette sulla scuola inclusiva, impegnata ad assicurare a ciascun alunno il successo formativo: un grande traguardo, ma difficile!». La qualità dell’istruzione nella scuola per tutti, è il titolo di un suo testo, cosa intende per qualità dell’istruzione, soprattutto oggi? «La qualità è un’esigenza costante di ogni azione umana e, come possiamo constatare anche

Prof. Paolo Russo

attraverso la storia dell’educazione e dell’istruzione, essa è sempre alla base della ricerca scientifica sull’educazione e dell’attività del Legislatore del sistema di istruzione. Il libro curato da me, che lei ricorda, raccoglie gli Atti di un importante convegno che si tenne a Cassino nei giorni 28-30 gennaio 1999 e che ebbe come tema, appunto, “La qualità dell’istruzione nella scuola per tutti” con la finalità di elaborare un consuntivo del dibattito sul problema della qualità dell’istruzione nella scuola per tutti. Secondo me, c’è piena continuità tra il modo in cui si concepiva allora il requisito della qualità ed il modo in cui ancora dev’essere concepito ora: la qualità riguarda sempre l’efficacia del processo educativo rispetto agli obiettivi che sono ad esso assegnati dal Legislatore e il raggiungimento dei risultati formativi attesi. Se la scuola non riesce ad assicurare a tutti ed a ciascun alunno una istruzione di qualità, significa che essa viene meno alla missione che la Costituzione ed il Legislatore ordinario le assegnano, che è, sostanzialmente, quella di dare fondamento e realizzazione ai princìpi di eguaglianza e di equità sociale».

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La sua riflessione teorico-pedagogica ha riguardato soprattutto la natura, la funzione ed il ruolo della scuola nella società contemporanea. Che ruolo occupa, dunque, la scuola nella nostra società? «Nella società della conoscenza, della tecnica, della scienza, della globalizzazione il ruolo della scuola è, ovviamente, centrale e decisivo. Dobbiamo anche riconoscere che il sistema scolastico e formativo italiano ha raggiunto livelli di grande rilievo, certamente in grado di competere con i grandi paesi del mondo. Tuttavia, dobbiamo registrare almeno due punti deboli molto gravi: la disoccupazione intellettuale, che il sistema ancora produce in grande quantità, e la dispersione e povertà educativa, che non solo non arretrano, ma anzi aumentano di anno in anno, contraddicendo proprio la prospettiva dell’inclusione, che il Legislatore degli ultimi decenni ha posto come finalità fondamentale del sistema formativo». Lei è il Presidente del Centro Studi Tommaso Moro, una Sua creatura, quali sono le finalità? «In verità, il Centro Studi Tommaso Moro è una creatura di Mons. Orazio Francesco Piazza, il nostro Vescovo, ed è stato ideato come struttura organizzativa per promuovere e diffondere la cultura di ispirazione cristiana. Il Centro risponde alle finalità generali della pastorale sociale della Chiesa, che ci proponiamo di raggiungere non con attività didattiche sistematiche (come se fosse una scuola), ma con cicli di conferenze affidate ad alte e riconosciute competenze accademiche o delle istituzioni economiche e sociali e progettate di anno in anno, sempre con riferimenti immediati con le tematiche di interesse generale. Questo metodo ci consente di interpretare gli interessi di molti cittadini, anche a prescindere della loro posizione religiosa, ma soprattutto (e questo è quello che ci gratifica maggiormente) i giovani che frequentano le scuole secondarie del territorio diocesano o l’università».

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S OCIALE

di Silvia De Martino

“Giocare aiuta a guarire”, la mission di ABIO Napoli Intervista al Presidente Nicola Giuliano e alla responsabile della formazione Maria Rosaria Barone

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roppo spesso accade che i bambini si trovino costretti a vivere il grande trauma dell’ospedalizzazione, che stravolge le loro vite e li porta a dover fronteggiare una complessa condizione fisica e psicologica. Bambini coraggiosi ai quali vengono imposte delle sfide da adulti e ai quali è richiesta una forza oltre misura. Vengono proiettati in questo mondo grigio, che prova a portare loro via la spensieratezza degli anni giovanili. Per fortuna c’è chi in questo buio cerca di far entrare un po’ di luce, regalando sorrisi, giochi e divertimento. ABIO – Associazione per il Bambino in Ospedale – nasce nel 1978 proprio con lo scopo di rendere il meno traumatico possibile l’ingresso dei bambini in ospedale, promuovendo attività ludiche che colorino le loro giornate, allontanandoli dalla situazione difficile che sono chiamati ad affrontare. «La nostra mission è giocare in ospedale. – ci racconta il Presidente di ABIO Napoli Nicola Giuliano – Facciamo divertire i bambini e siamo di sostegno anche ai genitori, che vivono il momento negativo dell’ospedalizzazione dei figli. Diamo un supporto sempre molto giocoso, perché il nostro motto è “giocare aiuta a guarire”: siamo con loro sempre con il sorriso». La Fondazione ABIO Italia Onlus, con sede a Milano, promuove la nascita delle varie Associazioni ABIO in tutta Italia per sensibilizzare l’opinione pubblica e le istituzioni sulla questione. A Napoli è stata fondata nel febbraio del 2000 e ad oggi conta circa 300 volontari che offrono il loro sostegno in undici ospedali, anche in provincia (Frattamaggiore, Nola, Pozzuoli). Data la particolarità e la difficoltà dell’operato dell’associazione, i volontari vengono sottoposti ad un corso di formazione altamente selettivo che mira a creare un personale qualificato, che sappia relazionarsi al meglio con i ragazzi e con i genitori. «Sono previste quattro giornate, sia teoriche che pratiche – ci spiega Maria Rosaria Barone, responsabile della formazione – e un

incontro con lo psicologo, che è fondamentale data la difficoltà dell’entrare in reparto e interfacciarsi con situazioni complesse. I volontari devono essere pronti a gestire qualsiasi circostanza ed essere dotati di tanta creatività per poter inventare diversi giochi e saperli modulare in base alle fasce d’età». Di norma, l’associazione organizza due corsi formativi l’anno, uno a novembre e uno ad aprile, al quale deve seguire un tirocinio di sei mesi con un numero di presenze da conseguire. Ai volontari è richiesto un turno settimanale da coprire dalla durata di tre ore, al di là delle occasioni di ritrovo esterne al reparto, quali feste, manifestazioni in piazza e progetti in collaborazione con altri enti locali. Negli ultimi due anni, causa Covid, le attività consuete di ABIO Napoli hanno vissuto una fase di stallo. Nonostante ciò, l’associazione si è reinventata cercando di non far mancare mai la propria presenza ai bambini, chiamati a vivere

nel corso della pandemia una condizione ancora più gravosa. «Siamo tutt’ora fermi e lontani dall’ospedale, ma abbiamo continuato con la distribuzione di giocattoli e gadget. – prosegue il presidente – Abbiamo messo in atto una sorta di ABIO a distanza con tutorial, video, dirette Instagram e Facebook, grazie all’aiuto del personale sanitario che girava il link ai bambini per farli assistere. L’ultimo progetto andato in porto è stato al Santobono. Abbiamo organizzato una festa all’esterno con musica, trampolieri, striscioni, palloncini e i bambini che assistevano dal balcone: è stato davvero un bel momento. Nonostante il periodo, le richieste per diventare volontari sono state numerose, ma non è stato possibile effettuare i corsi di formazione, che sono rimandati a data da definire». L’attività di ABIO Napoli si esplica anche al di là dell’intrattenimento in ospedale, infatti, grazie all’associazione, sono state costruite oltre una ventina di ludoteche, sale gioco e sale di attesa. «Portiamo avanti anche un progetto molto importante nelle scuole, che si chiama “Conoscere per non avere paura”, con il quale prepariamo i bambini della prima, seconda e terza elementare ad un’eventuale ospedalizzazione, con spiegazioni da parte dei nostri ragazzi e sempre attraverso il gioco». La forza del personale di ABIO parte dai bambini a cui danno assistenza, come chiarisce Maria Rosaria Barone. «Ti danno molto più coraggio loro di quanto gliene dai tu. Emotivamente è una cosa meravigliosa, anche se ci sono situazioni complesse, come bambini che non hanno mai lasciato l’ospedale. Ti aiutano a vedere il mondo con altri occhi, lo rivaluti e ti rendi conto dell’inutilità del fissarsi sulle piccole cose. Impari ad affrontare i problemi con la loro forza». Una realtà ostile, all’interno della quale viene portata un po’ di magia grazie all’umanità di queste persone, che con gioia e tanto cuore continuano a infondere il loro messaggio: “giocare aiuta a guarire”.

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V OLONTARIATO

di Ludovica Palumbo

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L’Oipa e la sua missione: la protezione dei nostri amici a quattro zampe

Oipa (Organizzazione internazionale per la protezione degli animali) è una ODV riconosciuta dal Ministero dell’Ambiente il cui scopo fondamentale è la tutela e la valorizzazione dell’ambiente e del mondo animale. Si batte contro la vivisezione e qualsiasi forma di maltrattamento animale. L’Oipa ha sedi in tutt’Italia: abbiamo incontrato Enza Buono, responsabile Oipa Napoli, per saperne qualcosa in più e soprattutto per sostenere questo tipo di iniziativa. Innanzitutto, come nasce Oipa? «L’Oipa è un’organizzazione internazionale di volontariato volta alla protezione e alla tutela degli animali. Nasce nel 1981 a Lugano da un’idea della Dr.ssa Milly Schar Manzoli spinta dal forte desiderio di proteggere gli animali. Attualmente conta sedi in 5 contenenti diversi, più di 150 in Italia». Qual è il suo obiettivo principale ed in che modo cercate ogni giorno di raggiungerlo? «L’obiettivo principale è porsi a protezione di creature indifese che non hanno voce. Combatte qualsiasi forma di maltrattamento e cerca tramite banchetti informativi ed interventi diretti di diffondere una corretta cultura di rispetto per tutte le specie animali. Ogni singola battaglia viene portata avanti con l’impegno, la dedizione e la passione incondizionata di tanti volontari». L’aiuto dei volontari è dunque fondamentale, una parte integrante di questa macchina. In che modo viene gestito il tutto? «Abbiamo una sede legale ubicata a Varcaturo, utilizzata perlopiù per le riunioni di gruppo. Il resto della nostra attività si svolge direttamente sull’intero territorio di Napoli. Abbiamo una settantina di volontari che partecipano attivamente ai recuperi, ai banchetti informativi ed alle raccolte pappa. Ci sono alcuni rifugi o pensioni private con cui collaboriamo attivamente per poter tenere in stallo i nostri animali e permettergli di avere

maggior visibilità. Nell’ultimo periodo, fortunatamente, anche la collaborazione con i canili è aumentata e questo ci permette di occuparci di un numero di cuccioli sempre maggiore». Dalle vostre pagine social spesso si vedono recuperi di cani o gatti salvati da situazioni disastrose… «Spesso ci capita di recuperare cani in condizioni decisamente non ottimali. A dicembre abbiamo recuperato una cucciolata randagia che era intrappolata sotto una struttura crollata a

causa del mal tempo, abbiamo alzato le lamiere di ferro con la sola forza fisica e ci siamo calate in un buco nel terreno per recuperarli. Nella cucciolata c’era una cagnolina con una zampa ferita ed un taglio sul collo, probabilmente le avevano strappato via il microchip per poterla abbandonare liberamente. Abbiamo poi salvato un gattino di pochi giorni con una forte infezione agli occhi: una nostra volontaria l’ha allattato notte e giorno per potergli salvare la vita». Come aiutate concretamente questi cuccioli? «Il nostro aiuto si divide in più parti: il primo riguarda l’intervento sul territorio, cerchiamo di fare quanti più recuperi possibili dei “cani di quartiere”, li reimmettiamo sul territorio dopo averli sterilizzati, così da prevenire cucciolate randagie, e facciamo sì che abbiano sempre cibo, acqua ed eventuali cure mediche. La seconda parte riguarda la possibilità di trovare loro una casa. Con il nostro progetto “svuota canile” cerchiamo di tirarne fuori il più possibile; funziona così: innanzitutto li spostiamo in stalli privati dove possono conoscere l’amore di una casa, li seguiamo quando necessario con dei percorsi rieducativi e poi cerchiamo la famiglia giusta per loro. Molti di loro in questo momento si stanno godendo finalmente un bel divano grazie al nostro progetto. Quali sono i vostri piani per il futuro? «I nostri piani per il futuro sono abbastanza vasti, il più ambizioso è quello di raggiungere l'obiettivo di zero cani in canile, obiettivo che in una provincia come quella di Napoli è davvero duro. Innanzitutto dobbiamo educare le persone alla giusta cura dei cani, mettere il microchip o sterilizzare sono piccoli passi che possono prevenire gli abbandoni. E poi educare all'adozione dei cani adulti. È un lungo percorso ma siamo soddisfatte nel dire che in almeno uno dei canili di Napoli, quello di Procida, siamo riuscite a raggiungere l'obiettivo».

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S OCIALE

di Teresa Coscia

NewHope: tessitrici di nuove speranze Una Cooperativa sociale nel cuore di Caserta per restituire dignità alle donne migranti

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enere insieme i fili di una vita spezzata, sofferta, dolorosa, non è una cosa semplice, soprattutto se si approda dall’altro lato del mare, in un Paese straniero, a tratti ostile, nel quale comunicare è difficile, sopravvivere quasi impossibile. Soprattutto per una donna. Eppure, nonostante tutto, ci sono storie di solidarietà che riempiono il cuore a sentirle, storie di amore, di sostegno puro e incondizionato, capaci di donare una Nuova Speranza. È proprio questa la storia della cooperativa NewHope. Un nome, una promessa: quella di un futuro migliore per tantissime donne, migranti e non, vittime di violenze, spesso reduci di atroci sistemi di schiavitù e di una spietata tratta di esseri umani che si consuma proprio sotto il naso dell’opulento occidente, appena al di là del mare. Nata nel lontano 1995 da un’idea di tre suore Orsoline di Vicenza, che scelgono di fondare nel cuore di Caserta il centro di accoglienza “Casa Rut”, con l’obiettivo di prendersi cura di donne vittime di violenza e dei loro bambini, NewHope è una sartoria etnica nata con l’intento di garantire a qualsiasi donna ne senta l’esigenza una possibilità concreta di riscatto, un vero e proprio emblema di “economia solidale” finalizzata all’affrancamento delle donne da forme di assistenzialismo che, pur aiutandole, non consentono loro di riprendere in mano la propria vita e la propria indipedenza. «L'attività della quale principalmente ci occupiamo – raccontano le ragazze della cooperativa - è la sartoria: siamo delle tessitrici. Cucire, tuttavia, non è soltanto un’attività concreta per noi, ma un vero e proprio percorso di vita, frutto dell’esigenza di ritessere le nostre vite». È proprio tramite il lavoro che la cooperativa si impegna a superare e accan-

tonare tutte le forme lesive della dignità personale. «In questo modo, le donne hanno l'opportunità di esprimere la propria originalità e creatività, diventando protagoniste non solo del proprio futuro, ma anche di quello della società. È uno dei pilastri fondanti della nostra cooperativa, come recita uno degli articoli più importanti del nostro statuto, stilato dalla nostra prima Presidente, Radegonde Nizigiyimana: “Il lavoro è l'unico strumento per recuperare pienamente la dignità e la speranza che troppo spesso le donne migranti perdono nei loro difficili cammini”». Gestita da un team di splendide donne, le stesse che hanno trovato in questo cuore pulsante di solidarietà una concreta speranza di riscatto, ad oggi la cooperativa NewHope è un vero e proprio punto di riferimento per tutte le donne di Caserta e dintorni, apprezzata da tutti i cittadini. «Grazie al nostro lavoro attento e costante, la cooperativa è supportata da tutta la comunità cittadina, sempre pronta a donarci qualche ora del suo prezioso tempo.

La stessa Diocesi di Caserta è, per noi, un riferimento fondamentale. Ci ha supportate, fra le altre cose, nell’impresa di aprire un punto vendita al centro della città: lo "Store NewHope”». Centinaia di storie diverse, lo stesso sferzante dolore, che ciascuna donna con una straordinaria forza affronta a modo proprio: c’è chi sceglie di non parlarne – forse il modo migliore per lasciarsi il passato alle spalle – e chi sceglie di raccontarsi in un libro: «la nostra amica e collega Joy, per esempio, ha trovato la forza e il coraggio di raccontare la sua rinascita nel libro "Io sono Joy. Un grido di libertà dalla schiavitù della tratta", scritto grazie a Mariapia Bonanate, con la prefazione di Papa Francesco che lo ha definito “Patrimonio dell'Umanità”». E di umanità ce n’è tantissima in queste storie. Un’umanità crudele, messa a dura prova dalla vita, ma comunque capace del coraggio di porgere l’altra guancia. E una mano di aiuto a chiunque ne abbia bisogno. L’umanità di cui il mondo avrebbe bisogno, l’unica che potrebbe renderlo un posto migliore. Una vera e propria “Nuova Speranza”.

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A MBIENTE

di Angelo Morlando

Il bicchiere d’acqua sarà la prossima

moneta di scambio

L’acqua potabile non si può e non si deve vendere. L’acqua potabile è vita.

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a dichiarazione universale dei diritti umani, già dal 1948, ha stabilito che l’accesso all’acqua potabile fa parte dei diritti umani, ma è un po' come l’accesso alla battigia: è un diritto, di fatto, negato, da mura e cancelli. L’ONU, dopo appena una settantina d’anni, cioè nel 2010, ha dichiarato il diritto all'acqua potabile (clean drinking water) "un diritto umano" (as human right) e l’anno prossimo l’UNEP (United Nations Environment Programme - Programma delle Nazioni Unite per l'ambiente) compirà 50 anni. Le dichiarazioni dell’ONU però sono indicazioni e non assunzione di obblighi. Il WHO (World Health Organization – Organizzazione Mondiale della Sanità) ha stabilito, da alcune decine di anni, che il quantitativo minimo di acqua vitale necessario al soddisfacimento dei bisogni essenziali è fissato in 50 litri ad abitante al giorno. In Italia, si è provato a inserirlo come obbligo, ma ne è venuto fuori un vero caos già dal titolo del “D.P.C.M. 26 agosto 2016: Disposizioni in materia di contenimento della morosità nel servizio idrico integrato”. Tenendo conto che tutta la confusione trae origine dal “Decreto Legislativo 18 agosto 2000, n. 267 - Testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali", perché ha trasformato un servizio pubblico essenziale in un equilibrio economico-finanziario. Siamo passati attraverso un referendum sull’acqua (2011) che ha abrogato un articolo del Codice dell’Ambiente e l’ha sostituito con il nulla, mentre il Parlamento Europeo ha partorito la Direttiva (UE) 2020/2184, riguardante la qualità dell'acqua per il consumo umano, in

cui nulla si dice sul quantitativo minimo di acqua vitale… Sembrerebbe che dal 1° gennaio 2022, dopo una serie di ritardi di un paio d’anni, l’Autorità di Regolazione per Energia Reti e Ambiente (Arera) saprà districarsi tra morosità, tariffe, ISEE e similari, affinché i 50 litri al giorno siano effettivamente garantiti a tutti; non come regalia, ma come diritto. Oltre 2000 anni fa, Publio/Gaio Cornelio Tacito ci ha lasciato una memorabile citazione inerente alle conseguenze dell’inutile molteplicità di leggi; non la riporto per lasciare al lettore una piacevole ricerca storica/citazionale. Per quanto riguarda la situazione campana, la Legge Regionale inerente al “riordino del servizio idrico integrato” tra poco compirà 6 anni. Novità importanti non emergono e restano le criticità già evidenziate più volte: quando la politica prova a mettere le mani sull’acqua

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PORT

Esport e Università

di Marco Polli

ecco la University League

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ra giugno e luglio gli studenti delle Università Roma Tre, Federico II e Parthenope di Napoli si sono sfidati nella University League, una competizione giocata su FIFA 21 e Fortnite con in palio due borse di studio per i vincitori. L’iniziativa, unica nel suo genere in Italia, ha riscosso grande successo. Prima una serie di sfide tra gli studenti appartenenti allo stesso ateneo, poi lo scontro finale tra i campioni dei tre tornei nella cornice di Villa Doria d’Angri a Napoli. Ad organizzarla è stata 2Watch, startup che opera in ambito esport e gaming con sede a Napoli. Abbiamo parlato della competizione e del rapporto università/esport con Gianpiero Miele, co-fondatore di 2Watch. Già da tempo negli Stati Uniti le Università sono coinvolte nel mondo dei videogiochi competitivi, in Italia invece si tratta di un’assoluta novità. Come è stato rapportarsi con queste realtà? «Le Università coinvolte hanno compreso sin da subito la bontà del progetto. In primis per l’im-

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portanza del rendimento accademico all’interno della competizione, visto che la media universitaria influiva sulla classifica del torneo. Avere delle capacità nei videogiochi, dunque, non è stato l’unico fattore determinante per arrivare alla vittoria e questo ha entusiasmato le Università. Molto spesso i videogiochi vengono visti come una distrazione e parlarne all’interno delle università è quasi un tabù, ma per nostra

fortuna i tre atenei coinvolti si sono dimostrati attenti agli interessi degli studenti e si sono fatte promotrici del format». C’è stato grande entusiasmo anche da parte degli studenti, esaltati dalla possibilità di ottenere una borsa di studio e dall’adesione della propria Università ad un’iniziativa così innovativa. Vi aspettavate questo riscontro? «Ci aspettavamo una buona risposta, ma siamo rimasti piace-

volmente colpiti dalla loro intraprendenza. A stimolarli è stata la possibilità di fare qualcosa che non avevano mai fatto e la voglia di mettersi in gioco con i propri colleghi: diversi studenti, seppur non amanti dei videogiochi, hanno deciso di partecipare lo stesso per divertirsi con i propri compagni e tentare di ottenere la borsa di studio. Dietro questi due mesi di torneo c’è stato tanto lavoro, con circa sei mesi di preparazione nei quali ci siamo impegnati a far capire le potenzialità del progetto». Credi che questo tipo di iniziative possano contribuire a far cambiare la percezione che si ha dei videogiochi e degli esports? «Quello videoludico è un settore molto sottovalutato dalle istituzioni: si tratta di un mercato da oltre 175 miliardi a livello globale, che cresce giorno dopo giorno e che non ha risentito di flessioni negative durante la pandemia. È qualcosa che può essere messo a disposizione degli studenti, anche per la propria carriera lavorativa futura. Dal legale, al commerciale, al marketing, sono tutte figure professionali che si formano all’interno delle università. Spesso rettori, professori e studenti stessi vedono i videogiochi solo come un divertimento, quando in realtà c’è la possibilità di trovare un impiego all’interno di questa industria. E cosa c’è di meglio di fare di ciò che si ama un lavoro?».


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PORT

di Alessandra Criscuolo

Zonderwater, Robben Island, Terezin Quando il calcio ha significato sopravvivere

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hi dice che il calcio sia solo calcio, non capisce nulla di calcio». Con queste parole Josè Mourinho ha provato a sintetizzare una vera e propria filosofia di vita. La storia ci racconta che spesso lo sport, questo in particolare, è servito a sopravvivere laddove le condizioni di vita erano tali da spegnere ogni volontà. Nel dicembre del 1942, venne completato a Zonderwater un campo di prigionia che avrebbe potuto accogliere circa 120.000 uomini. A circa 43 Km da Pretoria, il campo accolse fino a 70.000 italiani catturati dagli inglesi nel Nordafrica e nell’allora Africa orientale italiana. Il Colonnello Prinsloo era convinto che la dignità di una vita valesse più di ogni forma di controllo e a tale scopo creò una cittadella dello sport ed un teatro che permise di dare spazio alle arti. In un luogo dove i lavori venivano pagati in sigarette, poter ottenere del pane o una ciotola di minestra in più spinse molti prigionieri a partecipare. Tra di essi anche tanti atleti professionisti che semplicemente continuarono a fare ciò che nella vita normale avevano sempre fatto. Fu così che vennero organizzati dei veri e propri campionati tra le squadre del campo, con tanto di calciomercato e ritocchi di contratto. Dopo l’8 settembre, molti si ritrovarono a scegliere e non furono pochi quelli che restarono in Sudafrica: una seconda patria dove avevano ritrovato la dignità di uomo. Merita di essere raccontata la storia di Terezin, una città fortezza a 60 miglia al nord di Praga. Dopo aver espulso i Cechi residenti con la scusa di farne un ghetto di transito, nel 1942 i nazisti vi internarono cinquantamila ebrei. Guidati da Fredy Hirsch, i prigionieri crearono una Lega di calcio dove le squadre avevano i nomi delle categorie dei lavoratori del Campo. Cuochi, macellai, sarti, elettricisti si aggrapparono al gioco più bello del mondo per sfuggire anche solo pochi minuti

dagli orrori del nazismo. Anche se settimanalmente le formazioni cambiavano per l’avvicendarsi dei prigionieri che venivano trasferiti o uccisi. Il Campo venne utilizzato anche come luogo di propaganda, nel 1944 il regista Kurt Gerron fu obbligato a dirigere un documentario su quanto accadeva.

Una partita di calcio con migliaia di persone ad assistere festanti mentre a pochi metri i forni crematori incenerivano fino a 190 cadaveri al giorno. “Terezin: Un documentario sul reinsediamento degli ebrei”, noto anche come “Il Führer regala una città agli ebrei”. Alla fine, tutti coloro che avevano partecipato al film-documentario

vennero uccisi. Oggi il Ghetto di Terezin è diventato un museo per far comprendere gli orrori che gli ebrei dovettero sopportare, uno dei reperti è la classifica della Lega di Terezin del 1943 scritta a mano. Una Lega che recentemente ha avuto riconoscimento ufficiale nella storia del calcio Ceco. «Il calcio salvò molti di noi. Quando eravamo fuori, a giocare, ci sentivamo liberi, come se fossimo a casa». Queste sono le parole di Lizo Sitoto, prigioniero a Robben Island dal 1963 al 1978. Robbeneiland, la città delle foche, è un’isoletta a 12 km dalla costa nella baia di Città del Capo. Utilizzata fin dal 1600 dagli esploratori olandesi per confinarci i dissidenti politici, nel 1961 fu trasformata in un carcere di massima sicurezza per prigionieri politici e leader dei movimenti di emancipazione dei neri: uno fra tutti, Nelson Mandela. La vita era durissima, i prigionieri lavoravano 8 ore al giorno nella cava dell’isola, eppure per quanto tornassero stanchi cercavano di combattere la noia tirando dei calci ad un pallone di stracci nei corridoi delle celle. Politicamente divisi, si unirono nelle richieste di poter giocare a calcio anche se questo significava perdere il rancio per due giorni. Con l’aiuto di istituzioni umanitarie riuscirono a strappare l’autorizzazione e nel 1967 venne disputata la prima partita ufficiale. Grazie allo studio del Regolamento ufficiale della FIFA, i detenuti fondarono una vera e propria Federazione: la Makana Football Association, che in breve tempo organizzò un vero e proprio campionato con tanto di divisioni in leghe: dalla A per gli esperti alla C per chi non sapeva giocare. Dopo l’abolizione dell’Apartheid, il braccio politico della prigione venne chiuso e la MFA non ebbe più ragione di esistere. Nel 2007 la FIFA la nominò membro onorario, unica federazione non rappresentante uno Stato ad essere ammessa. Settembre 2021

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T ERRITORIO

di Francesco Cimmino

Va’ Sentiero, l’Italia a piedi

Camminare sia un gesto rivoluzionario. Le nostre avventure saranno raccontate in TV

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i siete mai chiesti se fosse possibile percorrere lo stivale a piedi, seguendo le dorsali montuose di tutto il Paese? Sicuramente se lo sono chiesto un gruppo di giovani, i Va’ Sentiero, che hanno mollato tutto per incamminarsi alla scoperta del Sentiero Italia, il sentiero più lungo del mondo, convinti che – in un mondo che corre e scorre – camminare sia una gesto rivoluzionario. Iniziano così nel 2019 un cammino di 7000 km, che attraversa le 20 regioni italiane con un dislivello positivo di 350˙000 mt. A leggere questi numeri ci gira la testa, per questo abbiamo deciso di chiedere direttamente ad uno dei componenti del gruppo di raccontarci un po’ questa esperienza. E lo abbiamo chiesto a Francesco Sabatini, il cuoco filosofo. Come nasce il progetto? «Il progetto è nato da un’idea di Yuri, Giacomo e Sara, che avendo sentito parlare di questo sentiero da due escursionisti svedesi, fanno una ricerca ma scoprono pochissime informazioni. Il gruppo pian piano si allarga, includendo anche me e Andrea, il videomaker; e così il 1° maggio 2019 partiamo da Trieste per fare l’arco alpino e terminare dopo 7 mesi nelle Marche. Durante la spedizione il team si allarga con Giovanni (il driver 70enne e ragazzo dentro), Martina (social media manager) e Diego (grafico). Avremmo dovuto finire il viaggio nel 2020, ma per l’emergenza Covid i tempi si solo allun50

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gati e siamo riusciti a fare solo il tratto Marche-Puglia. Adesso siamo ancora in cammino e stiamo per concluderlo, facendo dapprima le isole Sicilia e Sardegna, e poi la parte finale dello stivale dalla Campania alla Calabria». Puoi dirci delle novità in arrivo? «Abbiamo pubblicato un libro fotografico nel 2019 e ne abbiamo

un altro in serbo; a breve uscirà un docufilm ed inoltre per la prima volta la nostra avventura sarà raccontata in TV da “Va’ Sentiero – L’Italia a piedi”, una produzione originale laF, realizzata da Ascent Film. Le prime quattro puntate sono già andate in onda a luglio e sono disponibili on demand su Sky e SkyGo e in streaming su NOW. Il

programma proseguirà in autunno con altri 4 episodi, dove ognuno dei componenti del gruppo ha avuto l’opportunità di raccontarsi e spiegare la sua sui motivi che lo hanno spinto ad affrontare questa cosa folle». Cosa vuol dire cuoco filosofo? «Ho studiato filosofia e successivamente ho lavorato in una cucina, fino a diventarne head chef. Prima di partire, alla ciurma serviva un cambusiere, ovvero di qualcuno che si occupasse di preparare i pasti. Inizialmente, siccome non mi piaceva camminare, guidavo il van di supporto con le provviste; ma piano piano ho iniziato ad appassionarmi e così ho cominciato a camminare. Camminare mi ha permesso di conoscere tante realtà culinarie di cui scrivo nel blog di Va’ Sentiero». Cosa avete immaginato per il futuro di Va’ Sentiero? «L’obiettivo iniziale era quello di far conoscere il Sentiero Italia, tracciandolo per intero e rendendo disponibile, attraverso il nostro sito internet vasentiero.org ed in forma gratuita le tracce e le informazioni culturali e logistiche, dove dormire o come raggiungere i luoghi. Una guida per chi volesse mettersi in cammino. In futuro, tutto da costruire, vorremmo ritornare nei territori per fare un approfondimento verticale. La parte del tracciamento è passata relativamente veloce, dunque sarebbe giusto ora lavorare con le comunità locali con le quali siamo entrati in contatto, rendendo disponibili quei servizi che ora noi siamo in grado di fornire. Stiamo trasformando questa esperienza in un vero e proprio lavoro perché ora è questo ciò che vogliamo fare». Insomma, un’esperienza meravigliosa per chi la sta affrontando, ma anche per noi che li seguiamo, attraverso le pagine Facebook e Instagram (@vasentiero) oppure il già citato sito web, dove tengono anche un interessante diario. Siamo sicuri che la passione di questo gruppo stia coinvolgendo tantissime persone e dunque… ci vediamo là, sulle vette del Sentiero Italia!


T ERRITORIO

di Marilù Musto

Il confine labile fra la Campania e il Molise che (non) esiste

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l confine fra le due regioni è labile, ma ciò che colpisce come un colpo al cuore appena si entra in Molise dalla Campania è la basilica dell’Addolorata, la sua cupola, le guglie che fiottano verso l’alto con un accenno gotico di fasci e vetrate. Chi insiste sull’incapacità di associare al Molise qualcosa che lo renda riconoscibile dice una banalità. La basilica ne è una prova: è stata una scoperta vederla lì, fra le montagne. Partendo da Caserta non è facile trovare paragoni di chiese incastonate in quel modo sui monti. Il “wow” pronunciato dalla mia amica di viaggio è stata solo conseguenza naturale della volontà di visitare anche le valli di Bojano e Carpinone, per poi accedere alle cascate. Avrei voluta farla in bicicletta quella strada verso il santuario, ma non ho trovato le tracce di cicloturismo che forse pure ci sono, ma che non conosco, non ho trovato segnato su Komoot o su altri canali. Subito dopo, mi sono fermata a Santa Maria del Molise con i suoi mulini. E poi, ancora, a Macchiagodena dove le panchine parlano: come quella installata davanti al Municipio con sopra impresso l’articolo 1 della Costituzione, oppure quelle dedicate a Dante con i versi del V canto dell’Inferno, che per una come me che ha scelto la tesi di laurea sull’Alighieri significa brividi lungo la schiena e pelle d’oca. Macchiagodena è anche il paese di Nadia Verdile, scrittrice e giornalista, ma soprattutto mia amica. Non potevo certo non fermarmi lì. E così, ho scoperto Morgia Quadra, colle dell’Orso, Torella, Castropignano. I luoghi non solo città, ma storie. Nella savana di vicoli di Torella c’è la dimora di Elena Ciamarra, nata nel 1894, tra le pochissime donne a conseguire nel 1916, al Conservatorio di Napoli, il diploma di piano e violino, quello di composizione e direzione d’orchestra. Ma era anche una fine pittrice. Bellissima, eclettica, schiva e colta, Elena sposò un chirurgo napoletano. Di lei si diceva che portasse a casa pezzi di cadavere per studiarne gli arti per poi poterli dipingere. E dipingeva ovunque, Elena. Anche sui fogli di giornale, proprio come ama fare mio figlio. Le sue opere richiamano Matisse e i colori impressionisti. Il racconto di questa pioniera della parità di genere è affidato alla buona volontà di Angela Piscitelli, la seconda moglie del figlio di Elena Ciamarra, ma non c’è un piano turistico e politico che faccia conoscere le meraviglie di questa storia, come non c’è un’anima - oltre ai pochi turisti - a cui chiedere in paese una informazione su qualsiasi cosa. Un posto dormiente,

quasi abituato a tanta bellezza. Ma perché ho deciso di visitare il Molise? La risposta è Molly Lilli, pseudonimo utilizzato sui social da una mia collega, Roberta Muzio, scrittrice pure lei, che nella stagione in cui ha preso il via la pagina Facebook “Il Molise non esiste” con 13 mila “mi piace” (quasi più dei siti web turistici della zona), ha deciso di ospitarmi per confutare la tesi secondo cui in Italia pare ci sia una regione che non ha carattere. E infatti, la saga della sua famiglia scritta in due libri (il primo è Occhi a candela) testimonia l’e-

sistenza di una cultura molisana fatta non solo di provolone impiccato e di tratturi, ma di tanto altro. A Frosolone ho scoperto coltelli affilati come punto di forza di un territorio, fra i colori gialli e verdi delle montagne e i falchi che attraversano le valli. E poi, c’è il museo di Occhi a candela di Roberta Muzio a Frosolone che è un tuffo nella storia. Bisogna navigare nel Molise, sempre, lasciando dietro tutti i luoghi comuni e gli spauracchi di questa regione. Davanti, gli itinerari nascituri e nessuna paura del vuoto, solo cultura!

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M EDICINA

di Patrizia Maiorano

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L’approccio al paziente con lombalgia

uando il paziente arriva in ambulatorio lamentando una forte lombalgia che ne limita i movimenti e le normali attività di vita quotidiana, generalmente la sua prima domanda è: “Dottore, ma sarà un ernia?”. Nell’immaginario collettivo, infatti, un “colpo della strega” dev’essere provocato necessariamente dalla presenza di ernie. Ciò a cui non si pensa, invece, è che la colonna vertebrale, oltre che da vertebre e da dischi intervertebrali, è formata da muscoli che vi si inseriscono e che sono responsabili della funzionalità del rachide insieme alla struttura stessa. E quello che comunemente si ignora è che la maggior parte dei problemi di dolore al rachide è legata proprio al malfunzionamento dei muscoli, che danno una rigidità alla colonna e, quindi, una suscettibilità a contratture a mo’ di difesa, con successivo dolore e limitazione funzionale. Partendo da questo presupposto, si evince che un mal di schiena può avere diverse cause che si denotano anche per una diversa sintomatologia. Proprio per questo, spesso basta un esame clinico (una visita) per poter definire la causa del problema e il programma riabilitativo. Invece, spesso capita che il paziente, venuto inizialmente a visita con la convinzione che si tratti di un’ernia, chiede che lo specialista prescriva anche un esame diagnostico (nel 99% dei casi una risonanza magnetica). Molti pensano che senza immagini radiologiche non si possa arrivare a diagnosi (trascurando l’importanza della semeiotica clinica) trascurando il fatto che, se lo specialista ha il dubbio che si tratti di una patologia erniaria o di una stenosi del canale, sarà egli stesso a richiedere un esame di approfondimento. La differenza tra una lombalgia muscolare e

“Dottore, ma sarà un ernia?”. Nell’immaginario collettivo un “colpo della strega” dev’essere provocato necessariamente dalla presenza di ernie. Ciò a cui non si pensa, invece, è la colonna vertebrale

un’ernia del disco la si troverà essenzialmente nel tipo di sintomi (solo motori o anche sensitivi), nella presenza o assenza dei riflessi osteo-tendinei (ROT), nella irradiazione del dolore e nella possibilità che questo peggiori o resti uguale col movimento. Ma perché si innescano queste problematiche muscolari? Il muscolo (di solito un gruppo muscolare) può andare incontro ad un sovraccarico funzionale a causa di una retrazione/accorciamento e successiva rigidità, portando la struttura osteoarticolare dalla quale nasce o nella quale si inserisce (in questo caso, la struttura vertebrale) ad articolarsi con più difficoltà. Nella stragrande maggioranza di lombalgie di natura muscolare, la causa va ricercata in: scompensi tra i due emilati del corpo, dismetrie a monte o a valle del rachide lombare, squilibri posturali, sovraccarichi muscolari segmentari e/o retrazione delle catene muscolari. Quando è presente uno di questi fattori, infatti, vi è una naturale propensione dell’organismo a bilanciare lo squilibrio con continui compensi, ma quando questi si protraggono per troppo tempo, il nostro corpo ad un certo punto ne risente e comincia a dare segnali (mal di schiena, crampi muscolari, dolori articolari come anca e ginocchio, tendiniti – come cuffia dei rotatori e tendine di Achille – o talalgie). In questo tipo di pazienti, il lavoro riabilitativo sarà improntato sì al trattamento antalgico dei sintomi, ma di fondamentale importanza sarà la rimozione del problema alla base effettuando lo scarico, l’allungamento e il recupero funzionale dei muscoli, un riequilibrio posturale, il recupero dell’elasticità articolare e un potenziamento dei gruppi muscolari deficitari. Stesso approccio può essere applicato anche in una lombalgia da ernia del disco, previa valutazione diagnostica e, se necessaria, neurochirurgica.

Laboratorio Analitico Domizio S.a.s. CHIMICA CLINICA - IMMUNOMETRIA - ALLERGOLOGIA - MICROBIOLOGIA - MEDICINA DEL LAVORO

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S OCIALE

di Nicola Iannotta

#SonoSalvo Quando la fantasia contrasta il buio quotidiano

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avanti a sé il bianco, il nulla, il nonnulla che può trasformarsi in tutto, in creato, frutto di puro atto creativo. L’artista è sempre un fanciullo che davanti all’abisso del vuoto sa creare un nuovo mondo. L’artista è sempre fanciullo perché solo il fanciullo è in grado di creare liberamente, con leggerezza, senza essere inviluppato nelle radici di un passato gravoso di esperienze e di ricordi, e dunque, è l’unico in grado di creare una realtà vergine che sia davvero nuova e avulsa da qualsiasi legame, traccia, con ciò che prima era. Una realtà altra e in divenire. Il fanciullo è insieme oblio e creazione. Proprio per questo il filosofo e poeta tedesco Friedrich Nietzsche usò il fanciullo come metafora del più alto grado di elevazione dello spirito umano “Ma ditemi, fratelli, che cosa sa fare il fanciullo, che neppure il leone era in grado di fare? Perché il leone rapace deve anche diventare un fanciullo? Innocenza è il fanciullo e oblio, un nuovo inizio, un giuoco, una ruota ruotante da sola, un primo moto un sacro dire di sì”. Fanciullo e artista è Salvo Magi, il quale davanti a sé vede il bianco (di un foglio o di una parete) e nel bianco rintraccia colori, figure, mondi. Salvo Magi è un bambino di 9 anni, originario di Caserta, affetto da un disturbo dello spettro autistico (medio funzionamento), che da sempre coltiva la sua passione per le arti grafiche e la pittura. La sua casa è costellata di suoi disegni, lui stesso dice di aver cominciato

da piccolo a disegnare “consumando pagine e pagine di quaderni” e quando i fogli non bastavano, dice di essersi divertito “nel dipingere fantasiosi graffiti sui muri bianchi di casa, troppo noiosi per me”. Il fascicolo del neuropsichiatra dell’Asl di Caserta che lo segue è pieno di personaggi che disegna dall’età di due anni, personaggi sempre diversi ma in ogni caso colorati, ognuno portatore di una sua storia. Durante il primo lockdown Salvo comincia a disegnare clown, forse

perché sentiva il bisogno di proiettare sul foglio la necessità interiore di sorrisi, allegria e spensieratezza, in un periodo di chiusura e soffocamento. Proprio da questi disegni, nasce l’idea di produrre maglie e gadget con il marchio dei pagliacci del lockdown. La produzione delle maglie, firmata con l’hashtag #SonoSalvo, che indica appunto l’augurio di un’uscita dal tunnel della pandemia da salvi, è affidata alla Coop La Forza del silenzio. Questa insieme al laboratorio Everytink produce ma-

glie e gadget a Casal di Principe. Il laboratorio si trova in un bene confiscato alla famiglia Schiavone (ad Antonio Schiavone, fratello di Sandokan) in via Bologna; qui lavorano ragazzi con disturbo dello spettro autistico, medio e alto funzionamento, proprio come Salvo. L’aspirazione di chi cura il progetto è quella di estendere la commercializzazione dei prodotti anche nel territorio di Caserta. Intanto, le iniziative non mancano: a settembre sarà allestito un banchetto a Caserta, grazie al supporto di un’associazione del territorio, dove potranno essere venduti i prodotti del marchio #SonoSalvo, e grazie al ricavato sarà possibile poi contribuire all’acquisto di strumenti per le terapie Aba. Allora, un grande in bocca al lupo a questo giovane artista il quale si presenta così: “io sono un disegnatore, autodidatta, non perfetto, anzi il contrario: unico nella sua imperfezione. Non ho tecnica, non ho studio alle spalle, ho solo tanta ispirazione, fantasia e voglia di esprimere chi sono attraverso una delle tante cose che ho avuto a disposizione fin da piccolo: qualche colore e uno spazio bianco. Io sono Salvo, ho 9 anni, sono alto per la mia età, sono un po’ biondo, sono solare. Mi piacciono gli spazi aperti, mi piace la nutella. Sono sportivo, sono spensierato, sono riflessivo, sono autistico. Il disegno è qualcosa che faccio per me stesso. Questa è la mia arte: racconta chi sono”.

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di Luisa Del Prete

«grandi risultati con il progetto demetra»

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l 13 agosto 2021 è venuto a mancare Gino Strada, il fondatore dell’ONG italiana Emergency. Emergency fu fondata il 15 maggio 1994 da Gino Strada e dalla moglie Teresa Sarti con Carlo Garbagnati e Giulio Cristofannini. L’obiettivo di quest’organizzazione e quello di offrire cure mediche e chirurgiche gratuite e di alta qualità alle vittime della guerra, delle mine antiuomo e della povertà. Dal 2005 Emergency opera anche in Italia, per garantire a tutti il rispetto del diritto a essere curati sancito anche dalla Costituzione. Una delle sedi è proprio a Castel Volturno ed abbiamo intervistato il Responsabile della Sede Dottor Sergio Serraino, in ricordo di Gino Strada e per un aggiornamento sulle attività svolte nel territorio. L’attività che Emergency svolge su Castel Volturno è sempre molto forte, attiva e continua, con un impatto sul territorio molto grande. Tra le varie criticità, si è dovuta affrontare l’emergenza Covid-19 ed Emergency, per dare una grande spinta, ha aperto la campagna vaccinale anche ai migranti. Come vi state organizzando? «Dall’inizio dell’emergenza da Covid-19, quindi dal 2020, il nostro centro si occupa principalmente di assistenza ai bambini in quanto abbiamo chiuso l’ambulatorio per adulti che sono assistiti dall’ASL che sta facendo un lavoro dignitoso. Nonostante la grande affluenza, c’è stato un supporto maggiore con l’inserimento di nuovi medici e con il progetto “Demetra” che sta dando un grande apporto a tutto l’apparato. Siamo molto contenti di questa collaborazione con l’ASL di Caserta in quanto hanno risposto bene ed hanno potenziato i servizi. In particolare, con il progetto Demetra, che purtroppo è in fase di chiusura, ma speriamo che il territorio riesca a mantenere la continuità di questo tipo di attività». Di che cosa si occupa il progetto

Sergio Serraino

Demetra? «Il progetto Demetra prevedeva il potenziamento delle attività di assistenza sanitaria e di orientamento sociosanitario delle fasce più vulnerabili del litorale Domizio. Dunque ha visto il potenziamento dei servizi presso i distretti sanitari di Castel Volturno e Mondragone: con il rafforzamento dell’ambulatorio dedicato agli stranieri senza permesso di soggiorno a Castel Volturno, con l’apertura di un ambulatorio su Mondragone, con la presenza di mediatori culturali nelle giornate di apertura, con infermieri dedicati a questo tipo di progettualità e con un’unità di strada attiva sulla sensibilizzazione che girava un po’ dappertutto per informazione e kit di prevenzione». Come ha risposto la popolazione migrante alla campagna vaccinale? «È stato un grande risultato che abbiamo raggiunto noi, insieme alle altre associazioni di Castel Volturno, in quello che noi chiamiamo la rete di “Castel Volturno solidale” ovvero: Emergency, il centro Fernandes, la Caritas di Caserta, il Movimento migranti e rifugiati, i Padri comboniani e il Centro sociale ex canapificio. Noi abbiamo iniziato a discutere della questione vaccini da dicembre 2020 e l’abbiamo portato in regione da aprile 2021 con l’assessore Morcone, sollecitandolo ad aggiornare anche la piattaforma dell’adesione ai vaccini non solo

con la tessera sanitaria, ma anche con il permesso di soggiorno, con il codice STP (Straniero Temporaneamente Presente) per gli extracomunitari ed il codice ENI (Europeo Non Iscritto) per i comunitari. La Campania è stata la seconda in Italia a adeguarsi alla piattaforma dopo l’Emilia-Romagna e la prima in Italia a dare il Green Pass a chi non ha il permesso di soggiorno, ma ha completato il ciclo vaccinale. A livello numerico abbiamo supportato circa 2000 persone e molti si sono mossi da soli. Una cosa di cui siamo contenti è il fatto che si è attivata una sede vaccinale in Castel Volturno poiché molte persone avevano difficoltà a raggiungere la sede di Francolise». In ricordo di Gino Strada: quanto è importante questa figura e il mantenere questi ideali giorno per giorno? «Lui era sicuramente una grande figura di spessore sia morale che intellettuale. Una grande perdita per il nostro Paese perché era un punto di riferimento molto importante: è stato lui a volere fortemente l’ambulatorio fisso a Castel Volturno. Noi abbiamo iniziato nel 2013 con una clinica mobile e poi c’è stata un’accelerata voluta dal Dottor Strada per attivare l’ambulatorio fisso nel 2015. Ricordo che nel 2014 c’è stata una partita del cuore tra Nazionale Cantanti ed Emergency ed una parte del rica-

vato andò per la costruzione del nostro ambulatorio. Quella volta in cui il Dottor Strada fece l’incontro con noi, ricordo che si riallacciò ad una frase di Albert Einstein nella quale diceva: “La guerra non si può umanizzare, ma si può solo abolire”. E lui credeva fermamente in questo. Per lui non era un’utopia e, non a caso, uno degli ultimi suoi interventi è stato sulla situazione afghana che, ad oggi, è completamente esplosa». Emergency fu fondata per le vittime di guerra. Anche se siete un piccolo ambulatorio, come vi siete mobilitati per la questione Afghanistan? Avete in atto qualche opera di sensibilizzazione? «Già in tempi non sospetti, Emergency aveva in atto delle campagne contro le mine antiuomo e per l’abolizione della guerra. Non so se in sede hanno intenzione di portare avanti iniziative specifiche, ma in generale Emergency sulla questione “guerra” ha sempre avuto le idee molto chiare. Purtroppo, sto seguendo la questione tramite la rassegna che ci inviano da Milano e l’informazione per via TV, ma non ho informazioni più dettagliate. So per certo che Emergency è un osservatore privilegiato della situazione a Kabul, dove operiamo in Afghanistan, nella quale non si fa solo chirurgia di guerra, ma ci sono centinaia di donne all’anno che partoriscono nei nostri ambulatori. Oltre ciò Emergency in Afghanistan fa formazione sanitaria, essendo riconosciuto dallo Stato, dando istruzione per futuri specialisti nel campo ospedaliero. I n Italia non c’è nessuna situazione di emergenza di questo tipo, ma ovunque si vedrà Emergency, si vedrà anche scritto l’articolo 32 della Costituzione che è il faro degli ideali di quest’organizzazione e che si basa sull’accesso gratuito alle cure per tutti senza distinzione di passaporto, razza, sesso, classe sociale. Si curano tutti senza stare a guardare se esistono buoni o cattivi». Settembre 2021

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SPECIALE CASTEL VOLTURNO

La campagna vaccinale di Emergency Castel Volturno aperta ai migranti


Il piano industriale OPERATIVO DI GESTIONE DEL SERVIZIO DI RACCOLTA DIFFERENZIATA L’ingegnere Ambientale Francesco Girardi spiega il piano industriale La Redazione

Il piano è pronto e consegnato ufficialmente al comune di Castel Volturno già dall’estate scorsa

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SPECIALE CASTEL VOLTURNO

bbiamo potuto studiare il “Piano Industriale Operativo di Gestione del Servizio di Raccolta Differenziata RSU e assimilabili e Spazzamento Integrato” del Comune di Castel Volturno, redatto dallo Studio Girardi. Da quanto potuto leggere e in funzione delle nostre competenze, sembra un documento completo e utile per porre delle utili basi per il futuro del nostro territorio. Sull’argomento abbiamo offerto negli ultimi mesi numerosi contributi e dati tra cui quelli del dott. Filippo Romano, viceprefetto con delega per la Terra dei Fuo-

Francesco Girardi

chi, ed è chiaro a tutti che senza impianti a livello regionale, le discariche continueranno ad essere il luogo principale di scarico di tutti i rifiuti, anche quelli differenziati. Di seguito un’intervista/ approfondimento all’autore principale del Piano Industriale, ing. Francesco Girardi. Un vero piano industriale di gestione dei rifiuti per Castel

Volturno: finalmente ci siamo? Quanto manca all’attivazione del suo piano? «Negli ultimi anni, ogni estate, i castellani residenti e i vacanzieri, compresi visitatori e turisti, sono stati accolti dalle consuete devastanti notizie quotidiane: rifiuti discariche - roditori - roghi. Non certo frutto delle alte temperature o del cambiamento clima-

tico, seppur galoppante, i nostri roghi di rifiuti urbani sono figli di una chiara e pluriennale malagestione e dell’assenza completa di pianificazione e relativi controlli. Dell’anarchia totale si nutre poi la profonda sfiducia della cittadinanza, dei commercianti e utenti tutti che si trovano beffati pure dalla tassazione estremamente gravosa (TARI) a fronte di servizi tra i peggiori di Europa. Per me è un grande piacere poter rispondere alla vostra testata giornalistica e ai tantissimi cittadini e lettori che vi seguono. Il piano è pronto e consegnato ufficialmente al comune di Castel Volturno già dall’estate scorsa. Il covid ha certamente rallentato molto l’iter di presentazione agli stakeholder locali (portatori di interesse, cioè gli utenti) nel rispetto delle leggi e dei regolamenti. Per quanto mi riguarda, sono felice che all’atto della presentazione al Sindaco, in giunta, in maggioranza nonché in una prima commissione anche con membri della minoranza consiliare, molti sono stati gli apprezzamenti. Servirà certamente qualche altro passaggio di condivisione, quindi, posso dire che i problemi am-

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gressiva del Piano e i primi a beneficiarne non saranno più i privati che gestiscono servizi straordinari di bonifiche, trasporti e smaltimenti emergenziali, ma i cittadini tutti a partire dalle fasce più deboli che oggi nei cassonetti addirittura già mettono le mani per reperire oggetti usati e cibo avanzato in alcuni casi più gravi. Tantissime altre iniziative hanno trovato spazio nel Piano e attendono di essere attuate come quella del composto di domestico e di comunità, l’autogestione da parte degli stabilimenti balneari, la distribuzione gratuita di sacchi tramite distributori di quartiere, campagne di sensibilizzazione ben condotte, eccetera». E i costi? Continuerebbe ad aumentare la TARI si abbasserà? «Assolutamente si abbasserà! Il costo attualmente sostenuto è di gran lunga più alto rispetto a quello atteso e che il Piano garantirà a regime. La cosa più bella è che tali risparmi saranno garantiti proprio dal progressivo miglioramento dei servizi e dal sempre più elevato livello di pulizia e decoro urbano dal centro fino alla costa». Il suo Curriculum sembra essere una garanzia per la buona riuscita del piano, per esperienze da Lei seguite e dirette anche fuori regione. Può raccontarcele? «Si sono i numeri e i fatti a raccontarlo e questo serva ai pochi anche tra amministratori pubblici, che ancora ritengono di dover sempre dare colpe ai cittadini del Sud per inciviltà: posso smentire chiaramente ogni convinzione in tal senso! L’inciviltà non esiste se i comuni conducono adeguati servizi e rispondono alle esigen-

Integrato. «Credo che siano valutazioni importanti e la scelta da effettuare avrà risvolti non solo politici, ma anche amministrativi ed erariali, per dismettere una Azienda privata ma ancor di più pubblica, bisogna ben motivare la scelta soprattutto se l’Azienda gestisce servizi a rilevanza industriale ed economica che se ben condotti, possono ripianare perdite pregresse ed essere un sostegno serio e valido anche alle politiche di bilancio Comunale. Analogamente aprire in seno a una Multiservizi un ramo di azienda dedicato ai rifiuti è una possibilità già sperimentata ampiamente altrove, in quanto pienamente compatibile con le possibilità sancite dal d.lgs 175/2016, ma che non deve in alcun modo rappresentare un trasferimento di funzioni e impieghi tra i servizi erogabili e conducibili con la TARI e servizi legati a un settore diverso quale è quello idrico. Un punto di incontro comune però lo vedrei chiaramente nella gestione dei servizi fognari e la possibilità di avviare a recupero la FORSU unitamente ai reflui in impianti pubblici come i depuratori comunali o consortili. Diverse economie di scala derivanti da un trattamento combinato di forsu e reflui a fini di recupero di materia (produzione di compost di qualità ai sensi del d.lgs 75/2010) potrebbero rappresentare una scelta saggia per poter servire anche altri Enti pubblici e privati così potendo ripianare anche debiti portando in attivo in modo strutturale i bilanci futuri anche del ramo idrico. Una cosa è certa e vale la pena ribadirla come più volte chiarito anche al Sindaco e nelle varie riunioni avute in Comune con gli uffici e la parte politica di maggioranza e minoranza: il Piano Industriale proposto dal mio studio può servire per montare dei capitolati di gara degni di questo nome a cui poter far seguire un controllo rigoroso dei servizi da continuare ad appaltare all’esterno ma anche per montare un capitolato prestazionale per avviare un nuovo ramo di azienda tutto pubblico della multiservizi». Ringraziamo l’ing. F. Girardi per la disponibilità, confermando che il suo lavoro possa essere una buona base per il futuro. Ci permettiamo di aggiungere che, come detto più volte, per alcune attività si potrebbero impiegare anche i 50 operatori dislocati dalla Regione Campania sul nostro territorio e a costo zero per il nostro comune. Continueremo a seguire la tematica e aggiornarvi. Settembre 2021

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bientali di cui si parla anche quest’anno a Castel Volturno non sono minimamente cagionati dalla mancata applicazione del mio piano per il quale la ditta, unitamente all’assessore Marrandino, hanno preferito attendere, seppur da me indirizzati almeno all’applicazione dei nuovi calendari che hanno garantito comunque la risoluzione di notevoli problematiche dovute ai servizi passati. Ho potuto anche fare assistenza al settore Ecologia in seno al nuovo affidamento a nuova ditta essendo in proroga il servizio. A quanto ho potuto vedere e sentire dalle registrazioni dei consiglieri comunali, anche l’Assessore al ramo in consiglio comunale ha dichiarato che l’utilità del mio Piano come strumento pianificatore è legata alla nuova gara e dunque finalizzata alla stesura dei nuovi capitolati di gara quando finirà l’affidamento attuale». Nel piano, sono previste delle Postazioni di Conferimento Presidiate, distribuite su una buona parte del territorio. Potremmo approfondire l’argomento? «Le PCP (Postazioni di Conferimento Presidiate) saranno realizzate con cassonetti e campane attualmente presenti alla rinfusa e senza criterio alcuno sul territorio e saranno presidiate h 24 da volontari incaricati con leggi dello Stato pur specificate nel Piano, e addetti del cantiere meno abili alle mansioni di spazzamento e raccolta porta a porta. Si tratta di voler e dover accompagnare quel grande quartiere popolato anche nella stagione invernale (frazioni di Pescopagano/ Bagnara/Destra Volturno, ndr) verso una transizione ecologica reale e condotta in quel caso, anche simbolicamente e non solo di fatto, dalle comunità africane residenti. Tante economie di scala sono generabili dall’ applicazione pro-

ze che, come quelle legate ai rifiuti, hanno un impatto sanitario elevatissimo. È solo dove non si pianifica e controlla l’esecuzione dei servizi come pianificato, che i rifiuti, da grande opportunità collettiva diventano un serio problema». Insomma lei afferma che i disservizi generano le tantissime discariche diffuse da dx Volturno fino a Ischitella passando per la Domiziana? «Pochi e inadeguati servizi riscontrabili nell’attuale contratto, la precaria presenza e disponibilità di infrastrutture e ogni mancato controllo in assenza di qualunque pianificazione di base, generano lo stato di degrado diffuso a Castel Volturno come altrove. L’Amministrazione attuale sembra abbia finalmente imboccato una nuova strada. Attendo ora di sapere i prossimi passi di presentazione del lavoro anche alle associazioni ambientali che in diverse occasioni mi hanno scritto e che sono parte attiva e centrale del mio piano comprese quelle in rappresentanza delle comunità africane stanziali». Sarebbe davvero una rivoluzione: dalla emergenza all’eccellenza con l’impiego anche di disoccupati, di volontari e di rappresentanti della comunità africana? «Sì. Il piano parte con una analisi demografica attenta e mirata alla distribuzione della popolazione stanziale residente e fluttuante, nei singoli quartieri cittadini. I servizi sono così pensati e calibrati in modo ottimale e calato nelle singole realtà di quartiere soggette a forte incremento estivo, ad esclusione del centro storico. Per Destra Volturno in particolare, così come richiesto dal Sindaco, ho optato per una raccolta differenziata presidiata tramite l’istituzione di 19 PCP, delle vere e proprie palestre per la differenziata, che dopo 2/3 anni diventano eco-stazioni con raccolta puntuale a riconoscimento della utenza». Con le difficoltà che si riscontrano nelle aziende idonee a gestire un servizio in un territorio tanto difficile, molte con problemi di trasparenza e gare andate deserte o annullate per problematiche con l’antimafia, non sarebbe preferibile creare una società di gestione in house? Nel caso particolare già esiste una Multiutility che gestisce il servizio Idrico


di Antonio Casaccio

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A volte ci copiano, ma ne siamo solo orgogliosi Una delle più importanti testate “on-line” ha deciso di passare al “cartaceo”

ean-Baptiste Poquelin una volta ha detto: “Non è solo per quello che facciamo che siamo ritenuti responsabili, ma anche per quello che non facciamo”. Io aggiungerei che dovremmo essere particolarmente responsabili soprattutto per ciò che non facciamo e noi di Informare, fortunatamente da oltre 20 anni, non ci siamo mai girati dall’altra parte. Possiamo e dobbiamo fare di più, questo è certo, visto che un giornale online tra i più conosciuti e seguiti, cioè The Post Internazionale (TPI) ha deciso che a breve passerà al cartaceo. Cito una parte della mail inviata agli iscritti alla newsletter da Giulio Gambino, direttore di TPI: “Il web è dove siamo nati e dove sempre rimarremo ancorati. Ma oggi internet, da solo, non è più sufficiente. Da qui la necessità di offrire a tutti voi qualcosa in più: una rivista di approfondimento settimanale chiamata The Post Internazionale (TPI) che sia in grado di decifrare il presente e interpretare il futuro. Se c’è qualcosa che questi due anni di pandemia

ci hanno insegnato è la necessità di tornare a dare importanza alla lentezza, non solamente rincorrere la vita perseguendo un modello che alla fine ci ha reso più fragili. (…) utilizzeremo i fondi che abbiamo raccolto e messo da parte, grazie alle vostre donazioni, per finanziare la nostra nuova rivista settimanale. Senza attingere da finanziatori esterni. E meno che mai da fondi pubblici. La società editoriale è la stessa e appartiene ancora interamente a noi. Per questo possiamo dirci liberi, davvero. Questa nostra nuova impresa è il frutto di una sperimentazione senza precedenti: perché nasce dal basso e perché di fatto ci assicura di essere liberi ancor prima di partire”. Direte voi: “Ma chi ve lo fa fare alle soglie del 2022 di uscire con una rivista in un mondo digitale?”. Potrebbe sembrare un’iniziativa contro i tempi. Ma non lo è. Nel caos di questa epoca avvertiamo la necessità di alcuni punti di riferimento in grado di fare chiarezza e fornire a ciascuno gli strumenti per

farsi un’idea. La propria. Sul nostro nuovo settimanale tenteremo di fare giornalismo nell’interesse pubblico. Mai sottomessi al potere. Sempre nel segno della libertà. Così come abbiamo fatto sul nostro sito per 10 anni. Nell’appiattimento editoriale di oggi vogliamo essere una voce alternativa per milioni di italiani che non hanno voce e rappresentanza”. Ovviamente in maniera scherzosa, verrebbe voglia di citarlo per evidente copia e incolla dalla pagina web di Informare. Apprezziamo e siamo felicissimi che ci sia un’altra lodevole iniziativa editoriale che, con un pizzico di presunzione, si aggiunge alla nostra e si mette decisamente in coda con circa 20 anni di ritardo. Dobbiamo gongolare? Assolutamente no, sarebbe un disastro, pertanto il mio invito alla sempre più numerosa Redazione di Informare è di continuare sul giornalismo locale di approfondimento, perché è la vera notizia che ci permette di non essere scribacchini da poltrona.

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di Nicola Iannotta

Un settembre tutto da raccontare

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itorna il più atteso evento di Caserta, che anima, come al solito, il monile più bello della provincia, ovvero il borgo medievale di Casertavecchia. Ritorna Settembre al Borgo! Il festival è alla sua quarantanovesima edizione, a cura di Enzo Avitabile, e quest’anno vede salire sul palco personaggi di alto livello come Arisa, Colapesce e Dimartino, Gianluca Petrella e Simona Molinari. Non soltanto musica o musica leggerissima, ma la novità di quest’edizione prende il nome di Calici al Borgo – Wine Talk Experience: sarà possibile degustare i prodotti dei vitigni casertani, ascoltando le storie e i consigli dei degustatori ufficiali dell’AIS e i produttori vitivinicoli del consorzio Vitica, i quali racconteranno il loro lavoro e spiegheranno come accostarsi alla corretta degustazione del vino. Un viaggio alla scoperta della cultura secolare del vino, da non perdere. Con Settembre al Borgo ritorna anche la sezione del festival tanto amata dagli amici della lettura, ovvero Un Borgo di Libri. La rassegna culturale e letteraria a cura dell’infaticabile Luigi Ferraiuolo, da quest’anno è gestita direttamente dall’Assessorato alla Cultura; ciò a conferma del grande successo e della forte identità, sempre più incisiva, che essa ha assunto negli anni sul territorio di Caserta. «La manifestazione rafforza il rapporto dei cittadini con la lettura e con i libri. Caserta è città che legge» ha commentato l’Assessora alla Cultura, Lucia Monaco. Altra novità, quest’anno la manifestazione è stata dedicata a Gennaro Leone, il giovane ragazzo ucciso a coltellate da un coetaneo. Di fronte ad un simile evento infausto, l’impronta della cultura, rappresentata da un Borgo di Libri, dovrà essere ancora più forte, poiché

solo la cultura è in grado di insegnare cos’è la pietas, ovvero quel sentimento che induce all’ amore, alla compassione e al rispetto verso le altre persone. Queste le parole che rappresentano l’anima della rassegna: «Noi ci auguriamo che tutti capiscano che la sola salvezza da questa follia è la cultura: raccontata come storie, emozioni, sapere, viaggi, poesia, immagini e cinema e tutto ciò che ci rende belli dentro; e la fede: in Dio o nel prossimo. Perciò, la prossima volta che ne avrete l’occasione, portate vostro figlio in libreria e non a bere al bar; fate una passeggiata con lui, non lasciatelo andare solo o solo con gli amici; raccontategli i vostri sogni da ragazzo e fategli amare ciò che voi avete amato. Se avete tempo, venite con lui o con lei, a Casertavecchia: Spacciamo libri. Permettono di sognare e viaggiare». La prima serata è stata dedicata a due servitori dello Stato, prematuramente scomparsi: Luca Attanasio e Giuseppe Salvia. Durante il primo appuntamento, tenutosi nella splendida e sobria Chiesa di San Michele Arcangelo, si è discusso sull’omicidio di Luca Attanasio attraverso la presentazione del libro

di Matteo Giusti “L’omicidio Attanasio. Morte di un ambasciatore”. A moderare, il nostro direttore Antonio Casaccio che ha dialogato con Giuseppe Mistretta, ambasciatore direttore generale Farnesina con delega per l’Africa; Francesco Eriberto d’Ippolito, direttore del Dipartimento di Scienze Politiche Università Luigi Vanvitelli; Michele Lanna, docente di comunicazione politica e sociale Università Luigi Vanvitelli; e infine l’autore del libro Matteo Giusti. Il Congo è un paese ricchissimo di risorse naturali, ma nel Congo la realtà e tutt’altro che florida. Qui le bande armate proliferano. Esse uccidono, violentano e distruggono la società nella più completa impunità. In Congo la popolazione è abbandonata a sé stessa sia dai governanti, sia dalla comunità internazionale; la regione sprofonda nel caos. Molti dei crimini qui commessi sono descritti come crimini contro l’umanità. Ma, in Congo c’è molto da fare e tanto per sperare. L’ambasciatore Luca Attanasio avrebbe voluto fare quel tanto. Chi lo conosceva lo descrive come un uomo di grande umanità, umile e amico del popolo congolese. Chi lo conosceva riferisce che amava il Congo e i congolesi. Ma la violenza lo ha strappato a noi e a quel popolo che lui stesso avrebbe voluto aiutare nel percorso che conduce alla pace. Chi ama Luca Attanasio non può rassegnarsi all’impunità: nel Congo è necessario un tribunale penale internazionale. È questo ciò che reclamano i sostenitori di Luca. È In questa richiesta di giustizia che si comprende il senso di manifestazioni culturali come Un Borgo di Libri: diffondere informazione, conoscere le storie, chiedere giustizia quando è necessario.

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SPECIALE CASTEL VOLTURNO

Anche Informare presente a Casertavecchia con un Borgo di Libri


di Iolanda Caserta

Il monitoraggio degli Uccelli all’Oasi de “Le Soglitelle”

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SPECIALE CASTEL VOLTURNO

a Stazione di Monitoraggio della Fauna “I Variconi” e “Le Soglitelle” rappresenta una realtà molto interessante da esplorare, anche per chi non conosce a pieno questo mondo. La tutela dell’Avifauna selvatica è ormai diventata primaria in questi ultimi anni. Infatti, il ciclo vitale degli Uccelli va a scontrarsi con molti aspetti della nostra realtà, come il cambiamento climatico. Abbiamo avuto modo di discuterne con il responsabile scientifico dell’area protetta, Alessio Usai, il quale ha risposto in maniera molto esaustiva a tutte le nostre curiosità. L’attività di monitoraggio è essenziale oggi, come e con quali mezzi ve ne occupate? «Il Monitoraggio della Biodiversità all'interno della Zona Umida di “Le Soglitelle” è attuato dall’Istituto di Gestione della Fauna ed è un’azione del più ampio progetto denominato “Volo Libero”. La protezione della zona umida di “Le Soglitelle” nasce per la tutela e conservazione degli Uccelli e per mettere la parola “fine” alla drammatica storia che ha caratterizzato questo luogo. Il monitoraggio è condotto attraverso due linee metodologiche principali: i censimenti visivi, che prevedono conteggi periodici e sono rivolti alle specie facilmente osservabili, e l’inanellamento, con cui si controllano le specie più piccole. I dati raccolti sono utilizzati al massimo, pubblicati e condivisi attraverso la nostra social page». Avete osservato dei cambiamenti nelle abitudini naturali degli uccelli che passano per la nostra zona? «Assolutamente sì! A causa dell'intensa azione illecita di bracconaggio e del continuo disturbo antropico, quest'area era una trappola mortale. Dopo la chiusura ed una gestione orientata a riserva integrale, osserviamo una realtà ben diversa. Tutto ciò ha ricadute positive ben più ampie. Studi hanno già dimostrato la rilevanza di quest›area per il gruppo dei Limicoli, oggi la stiamo dimostrando anche per altri. Inoltre, la sorveglianza attuata grazie all'Arma dei

Carabinieri ed alla LIPU è un deterrente per i piccoli illeciti ambientali. Quindi si instaura quella tranquillità di cui gli Uccelli hanno bisogno durante il loro ciclo vitale. Tuttavia, la strada da percorrere è ancora lunga e il rischio di un ritorno al passato ancora concreto». Quante sono le specie che osservate di più circolare per l’Oasi? «La checklist degli Uccelli della Campania è composta da 361 specie. Ne “Le Soglitelle” ne abbiamo censite 183. Significa che in questi 100 ettari è stato rilevato il 50% delle specie note per l’intero territorio della Regione. Alcune una sola volta, altre regolarmente, ma ne mancano davvero poche all’appello. Questo dato ci fa comprendere quanto sia rilevante la protezione di questa porzione di territorio e la responsabilità che l’intera comunità ha nel tutelarlo. Tra i tanti risultati raggiunti vi è la presenza stabile dei Fenicotteri e la recente nidificazione delle Avocette, primo caso in Campania». Il cambiamento climatico sta sconvolgendo la nostra realtà, in che modo influisce sulle abitudini degli Uccelli? «È grazie agli studi sull'avifauna selvatica ed

in particolare sulle tempistiche di arrivo degli uccelli migratori, che si è avuto uno dei primi segnali sui cambiamenti climatici. Per questo è necessario continuare a studiare e fare ricerca sugli Uccelli con stazioni fisse che lavorino tutto l’anno. L'arrivo sempre più precoce, la permanenza sempre più lunga o la non partenza di determinate specie sono la diretta conseguenza dei cambiamenti climatici. Sta poi a noi l'interpretazione delle variazioni e il cercare di comprendere cosa stia accadendo». Quali progetti e obiettivi avete per il futuro dell’Oasi de “Le Soglitelle”? «Lasciare l'area al suo naturale processo evolutivo ambientale è già il progetto e l›obiettivo. Si tratta di un'area naturale protetta, pertanto gli interventi umani devono essere studiati e minimi, cercando di non alterare i naturali cicli biologici. C'è, comunque, molto da fare sia sul piano gestionale che sul piano educativo ambientale. Bisogna intervenire sulle aree perimetrali, che sono ancora discariche a cielo aperto. Occorre far comprendere l'importanza di quest'area così com'è e farla accettare dalla comunità. Non è facile ma non è impossibile».

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di Clara Gesmundo

INSIEME AL GREEN PASS SI RITORNA IN CAMPO!

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estate volge al termine, e il nostro appuntamento con il Tam Tam Basket torna puntuale! Il coach Massimo Antonelli ci spiega quello che sarà l’inizio degli allenamenti, e le rispettive misure di sicurezza anticovid. Il Tam Tam Basket in queste settimane è stato menzionato dalla società nike, qual è stata la reazione dei ragazzi e dei coach in merito a questo piacevole avvenimento? «Ultimamente abbiamo vissuto “momenti di gloria” perché la Nike ha dedicato a Tam Tam spazio importante sul proprio sito, con tanto di testo, foto e video. I ragazzi non stavano nella pelle, attendevano da tanto tempo questo momento. Tutto è cominciato nel novembre del 2019 quando una loro troupe scese a Castel Volturno a girare un video su di noi che sarebbe dovuto uscire nella primavera successiva ma poi causa COVID hanno pensato di rimandare fino a metterlo online proprio adesso». I ragazzi si preparano per l’inizio del campionato, gli allenamenti sono accessibili a tutti o solamente a coloro che posseggono il green pass? Quali sono i nuovi regolamenti per lo sport, in

particolare, in questo caso, per il basket? «Lunedì 30 agosto riprendiamo gli allenamenti attenendoci al rigido protocollo anti COVID previsto, potranno entrare in campo ad allenarsi e a giocare solo quelli che hanno il Green pass. Sotto questo aspetto ho buone notizie, sembra che lo abbiano già tutti grazie ad una campagna promozionale interna fatta in questi ultimi due mesi volta favorire la vaccinazione». Gli spettatori sugli spalti probabilmente man-

cheranno anche quest’anno ma il coach ci rassicura affermando che “per i ragazzi giocare è tutto, non importa se non c’è pubblico, quando inizia la partita vedono solo il campo di gioco!” La società ha vinto di recente un premio, grazie al video-reportage “In buone mani”, da chi nasce l’idea per quel che mi è parsa un’iniziativa originale, ma soprattutto un video girato brillantemente? «Il mese scorso siamo stati premiati per aver vinto un concorso “Oltre il Ghetto” promosso dal Ministero del Lavoro, gareggiavamo con altre 4 storie di riscatto italiane tutte molto belle e suggestive. Le storie venivano raccontate da 5 video. Il nostro: “In buone mani” è risultato il più originale ed il più votato sui social. È stata per noi una bella soddisfazione che ci riempie di orgoglio. Il premio ci è stato consegnato personalmente sul nostro campo all’aperto dal DG del Ministero del Lavoro dott.ssa Tatiana Esposito e dall’Assessore regionale alla legalità sicurezza ed immigrazione Mario Morcone, che con i loro interventi ci hanno motivato a continuare questa nostra azione societaria a favore dei nostri ragazzi».

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orsa in spalla, completino pronto e si ritorna sul campo da gioco per dare inizio ad un nuovo campionato. Il 30 agosto gli azzurri, guidati da Mister Bernardo, saluteranno l’estate e daranno il via agli allenamenti. Christian Fedele, calcettista della Junior Domitia, nello scorso campionato ha portato alla squadra grosse soddisfazioni. Approfittiamo della fine della pausa estiva per porgli qualche domanda: Con quale spirito si prepara Fedele, e in generale la squadra nei confronti dell’imminente Campionato? «Nella prossima stagione spero di migliorare ulteriormente il percorso iniziato lo scorso campionato: sono carico, ho tanta voglia di allenarmi insieme ai miei compagni. Non vedo l’ora di scendere in campo e gioire, finalmente, insieme ai nostri tifosi. Saremo sicuramente una squadra competitiva e daremo del filo da torcere a tutti. Come ho già detto in passato, mi aspetto un grande Junior Domitia». Fedele è un giocatore della Junior Domitia che nello scorso campionato, nonostante la sua giovane età, ha dimostrato grande talento e ostinazione. Quali sono i suoi punti di forza e perché la junior dovrebbe continuare a sce-

gliere lui? «Non ho mai mollato e ho ripagato subito la fiducia di mister Bernardo. Giocare così giovane

in un campionato così competitivo, non è stato semplice, ma allo stesso tempo ha accelerato il mio percorso di crescita». Gli allenamenti sono iniziati? Quale sarà la prima squadra con cui si confronterà la junior? «Lo Junior Domitia è stato inserito nuovamente nel girone F di serie B insieme ad altre cinque campane: Ap calcio a 5, Alma Salerno, Leoni Acerra, Spartak Caserta e Trilem Casavatore. I calendari, però, saranno varati il 3 settembre, lo start del campionato, invece, è previsto per sabato 9 ottobre. Gli allenamenti partiranno lunedì 30 agosto agli ordini di mister Luigi Bernardo». Inoltre sappiamo, come ci spiega la società, quali saranno le nuove misure di sicurezza valide per quest’anno, in particolare: in zona bianca sarà possibile l’accesso per guardare il match al 35% degli spettatori, in zona arancione sarà garantito l’accesso al 25% degli spettatori e, infine, in zona rossa la partita si giocherà a porte chiuse. Ovviamente i calcettisti avranno bisogno del green pass per potersi allenare. Un imbocca al lupo alla squadra che al meglio rappresenta il nostro territorio! Settembre 2021

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SPECIALE CASTEL VOLTURNO

A SETTEMBRE LA JUNIOR TORNA IN CAMPO!


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