Nino D'Angelo - Trianon Viviani

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S OCIALE

FEDELE FINO ALL’ULTIMO Intervista al Capitano dei Carabinieri che arrestò Riina di Antonio Casaccio | foto Alessandro Gaglione

È

il 15 gennaio del 1993, 8:55 del mattino, una macchina esce da un complesso di villette di Via Bernini a Palermo, alla guida dell’autovettura c’è Salvatore Biondino, accanto a lui “il capo dei capi” Totò Riina. Non sanno che ad attenderli ci sono gli uomini del Reparto Operativo Speciale dei Carabinieri, con capofila il Capitano Ultimo al tempo capo del CRIMOR- Unità Militare Combattente. Un giorno particolarmente emozionante per l’Italia e per Sergio De Caprio (nome del capitano Ultimo .ndr), il quale vede la coronazione del massiccio lavoro investigativo svolto con la sua squadra. Siamo andati a trovarlo in un’immensa distesa verde dove negli ultimi tempi Ultimo, insieme a molti collaboratori, si dedica all’aiuto del prossimo. Alle sofferenze degli “ultimi” dimenticati dallo Stato, molto spesso ragazzi, De Caprio mette a disposizione una dimora sicura con servizio mensa e attività che spaziano dalla falconeria a lavoretti manifatturieri. Risulta ancora difficile ed estenuante provare capire come sia possibile mettere da parte una memoria storica ed imponente come quella di Ultimo, uno dei pochi rimasto fedele alla strategia del generale Carlo Alberto Dalla Chiesa. La risposta a questa nostra domanda risiede, oggi, nello sguardo del

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INFORMARE

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Dicembre 2018

po’ di rabbia. Crede che anche riguardo al suo lavoro si sia fatta disinformazione? «Dicevo questo perché vi apprezzo, non per parlare di me. Sono molto disinteressato alle mie vicende. Però sulla tematica possiamo par-

Capitano, simile ad un leone in gabbia, lontano dal Mondo per cui ha dato buona parte della sua vita; la sua battaglia continua a combatterla offrendo servizio a ragazzi immigrati che imparano a lavorare una particolarissima oggettistica, lo offre ai giovani, aiutato dal parroco della struttura. Immersi nel profondo verde romano ci presentiamo descrivendo l’essenza del nostro giornale e prontamente Ultimo afferma: «Per me è un onore avervi qua e combattere insieme a voi per costruire un’informazione onesta, pulita e che non vincola l’opinione pubblica. Questo è stato il male che contesto alla disinformazione: formare opinioni di un certo tipo. Indirizzare le opinioni, precostituirle, questo è uno dei crimini più grandi dei meccanismi di disinformazione a servizio delle lobby, le quali lucrano sul popolo e lo sfruttano». Capitano, da questa sua affermazione si nota un

lare di com’è stata presentata la mafia, di come si è cambiato dalla voglia di fare azione comune contro la criminalità organizzata a creare visioni e filosofie contrapposte. Il dibattito sulla mafia oggi è creare misteri, fare ricostruzioni storiche, minimizzare il ruolo di Cosa Nostra nelle stragi. Questa è un’azione che realizza la vittoria di quella mafia. Chi ha combattuto in quegli anni era un’avanguardia del popolo, ma non si possono stigmatizzare le attività svolte per creare movimenti d’opinione e potere. Questa è una cosa folle e ridicola». Si è fatto un’idea del cambiamento avuto dalle organizzazioni criminali rispetto alla fine degli anni ottanta? C’è ancora una mano espressivamente debole dello Stato? «C’è stato un momento in cui vi è stata la spiralizzazione dello scontro con Cosa Nostra. I vertici corleonesi per esistere hanno dovuto far sempre un passo più elevato, perché per tener coeso un intero mondo carcerario, per contrapporsi a cen-


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