GEROLAMO GIOVENONE - Un Capolavoro ritrovato

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Nella sala dei cartoni cinquecenteschi

dell’Accademia Albertina curata da Giovanni Romano nel 1982, questo testo vuole fornire al pubblico alcune chiavi di lettura per presentarsi al cospetto di una così ricca e particolare collezione di disegni. Come descritto da Enrica Pagella negli apparati didattici da lei curati per il sopracitato catalogo, il cartone è un disegno su carta con una connotazione ben precisa. Innanzitutto è definito in questo modo per la sua grande dimensione, data dall’accostamento di più fogli di carta incollati insieme. Il disegno che prende forma sopra una superficie così estesa non è quindi un primo bozzetto, disegnato velocemente sul quaderno dell’artista. Sul cartone è tracciato uno studio preparatorio molto vicino alla realizzazione dell’opera. Come scrisse Giovan Battista Armenini nei De’ veri precetti della pittura del 1587, “si può dire che quello sia l’istessa opera, fuorché le tinte”, perché in genere il cartone ha le stesse misure che avrà il dipinto sul suo definitivo supporto, che sarà costituito da una tavola in legno, da una tela o da una parete nel caso di un affresco. Il disegno era tracciato sulla carta con differenti strumenti e materiali: alla matita e al carboncino spesso si aggiungevano gesso, acquerello o biacca, distribuita col pennello per evidenziare, con il suo colore bianco, le parti del disegno alle quali dare luminosità. Ma come avveniva il trasferimento del disegno dal cartone al suo supporto definitivo? Nel Cinquecento uno dei metodi più comuni era lo spolvero, che, per quanto riguarda gli affreschi, segnò il graduale abbandono della sinopia, ovvero del primo disegno che il pittore tracciava sulla parete prima della stesura dei colori. Per arrivare allo spolvero, dopo aver disegnato sul cartone, l’artista ne traforava i contorni con un ago. Da quei fori passava della polvere di carbone, in grado di segnare i contorni delle figure sulla parete o sulla tavola da dipingere. Il già citato Giovan Battista Armenini consigliava di forare il cartone insieme a un altro foglio non disegnato, che sarebbe poi servito per lo spolvero con la polvere di carbone. Questo accorgimento consentiva di mantenere pulito il primo cartone,

E N R I C O Z A N E L L AT I

La prima presentazione torinese dell’Adorazione del Bambino con i santi Francesco d’Assisi e Antonio da Padova, dipinta su tavola da Gerolamo Giovenone, avviene significativamente nella sala dei cartoni cinquecenteschi della Pinacoteca Albertina che, grazie al sostegno di Banca Patrimoni Sella & C., è stata il set di una nuova campagna fotografica. Il professor Fabio Amerio, docente di Fotografia dell’Accademia Albertina di Belle Arti, ha avuto la possibilità di mettersi al lavoro di fronte a ciascun disegno con i suoi allievi, usando nuove strumentazioni donate alla Scuola di Fotografia. Sono così presentate in questo volume inedite immagini ad alta risoluzione che vengono offerte al tavolo della ricerca e della valorizzazione di questo straordinario patrimonio. Particolarmente efficace è stato il coinvolgimento degli studenti dell’Albertina in questo progetto, esplicitando anche in questo caso la vocazione didattica della Pinacoteca. L’Accademia torinese, già fondata da Maria Giovanna Battista di Savoia nel 1678, ottenne in dono l’attuale edificio da Carlo Alberto di Savoia nel 1833. Da allora denominata “Albertina”, l’istituzione si arricchì di una Regia Galleria che fu inizialmente costituita grazie all’incontro di due collezioni: la quadreria dell’arcivescovo Vincenzo Maria Mossi di Morano, già consegnata per lascito testamentario nel 1828 e ricca di più di duecento dipinti, e la collezione dei cinquantanove cartoni cinquecenteschi, precedentemente conservati nei Regi Archivi e donati dallo stesso re Carlo Alberto nel 1832. Riassumendo i contenuti di precedenti volumi, innanzitutto del catalogo della mostra Gaudenzio Ferrari e la sua scuola. I cartoni cinquecenteschi

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