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Il volto normale del cambiamento

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IL VOLTO NORMALE DEL CAMBIAMENTO

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APPARTIENE AL MINISTRO DELLE INFRASTRUTTURE E DELLA MOBILITÀ SOSTENIBILI ENRICO GIOVANNINI. L’ABBIAMO SCELTO COME SIMBOLO DI UNA PERSONALITÀ LONTANA DALLE APPARENZE, DOVE L’UNICA STRATEGIA DI IMMAGINE È QUELLA DEI RISULTATI. TANGIBILI E AUTENTICI, SUI FRONTI DELLA SICUREZZA DI STRADE, PONTI E FERROVIE. SOLO COSÌ L’ITALIA SARÀ SOSTENIBILE. E PRONTA A RINASCERE

In copertina potete vederne finalmente il volto, ma siamo sicuri che molti di voi non saprebbero, ad un primo sguardo, identificarne l’identità con tutta l’importanza che merita. Enrico Giovannini è l’attuale ministro delle Infrastrutture e della Mobilità Sostenibili nel governo Draghi. Un uomo che oggi assume la valenza di un cambio di passo nella gestione delle grandi opere che servono al Paese. Discrezione e laboriosità, decisioni e svolte definitive indicate a chi ha il dovere inderogabile di attuarle, a partire dai dirigenti della pubblica amministrazione per finire con il sistema di imprese che queste opere deve realizzarle rispettando tempi e modalità, senza alibi e con quell’urgenza che solo l’orgoglio delle cose fatte bene può far rispettare senza indugio. L’ultima risoluzione del ministro risale a pochi giorni fa e riguarda l’istituzione di una Commissione di alto profilo tecnico che dovrà definire i criteri per le verifiche e gli interventi di manutenzione da effettuare sulle strutture dei ponti in calcestruzzo armato precompresso e ordinario. Un gancio straordinario alla sicurezza di strade e autostrade che prevede l’attento monitoraggio su ponti e viadotti che in molti casi hanno più di cinquanta anni. Una problematica questa che per lungo tempo non è stata affrontata dalle istituzioni e che è diventata ormai di pubblico dominio, soprattutto dopo la tragedia del Ponte Morandi di Genova, anticipata nel 2016 dal drammatico crollo del cavalcavia di Annone Brianza, in provincia di Lecco. L’Istituto di Tecnologia delle Costruzioni (ITC) del CNR ha lanciato da tempo un allarme senza tema di smentita. “La sequenza di crolli che riguardano le infrastrutture stradali italiane sta assumendo, da alcuni anni, un carattere di preoccupante regolarità - recita un documento di analisi che risale addirittura a tre anni fa, l’indomani del crollo del ponte sul Polcevera - L’elemento in comune è l’età media delle opere: gran parte delle infrastrutture viarie italiane, in particolare i ponti stradali, ha superato i 50 anni di età, che corrispondono alla vita utile associabile alle opere in calcestruzzo armato realizzate con le tecnologie disponibili nel secondo dopoguerra, tra gli anni Cinquanta e Sessanta. In pratica, decine di migliaia di ponti in Italia hanno superato la durata di vita per la quale sono stati progettati e costruiti”. La disamina dell’ITC è impietosa e rileva che “In moltissimi casi i costi prevedibili per la manutenzione straordinaria necessaria a questi ponti superano quelli associabili alla loro demolizione e ricostruzione. Le cifre necessarie per l’ammodernamento dei ponti stradali in Italia sarebbero espresse in decine di miliardi di euro. Per evitare tragedie come quella accaduta con il viadotto di Genova sarebbe indispensabile una sorta di ‘piano Marshall’ per le infrastrutture stradali italiane, basato sulla sostituzione di gran parte dei ponti con nuove opere caratterizzate da una vita utile di 100 anni”. Oggi, i tecnici sono ormai del tutto consapevoli che i materiali utilizzati per le costruzioni hanno una vita utile limitata e che questa può variare notevolmente in funzione della qualità degli stessi materiali, delle condizioni ambientali in cui la struttura è immersa ma soprattutto, in funzione delle attività di monitoraggio e manutenzione. La rapida crescita delle attività socio-economiche in molte aree urbane moderne è stata spesso accompagnata da un parallelo sviluppo delle rete di trasporto. In Italia, strade, autostrade, ferrovie, aeroporti e strutture portuali rappresentano ormai una componente critica di questi sistemi infrastrutturali, proprio a causa di inadeguatezze e vetustà comprovate.

Cambio di passo

Ma a chi spetta il compito di monitorare e gestire le attività di manutenzione del patrimonio infrastrutturale del nostro Paese che, come tutti sappiamo, ha una spiccata vulnerabilità del territorio sia dal punto di vista idrogeologico che sismico? Per quanto sembri incredibile, al momento non è ancora disponibile un dettagliato censimento di tutte le strade, ponti, viadotti e gallerie esistenti nel nostro Paese. Per questo e per altre finalità necessarie all’analisi delle infrastrutture, il 30 novembre dello scorso anno, è stata costituita l’Ansfisa (Agenzia Nazionale per la sicurezza delle Ferrovie e delle Infrastrutture Stradali e Autostradali), un organismo che ha incorporato la precedente Ansf (Agenzia Nazionale per la Sicurezza delle Ferrovie), facendo proprio il know-how sviluppato in ambito ferroviario, con l’obiettivo di trasferirlo al settore delle infrastrutture stradali, autostradali e dei trasporti rapidi di massa. Il compito di Ansfisa è tra i più difficili tra quelli che un organismo di controllo delle opere

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presenti sul territorio nazionale possa intraprendere. L’Agenzia ha praticamente il compito “di promuovere la sicurezza e assicurare la vigilanza per un raggio d’azione molto ampio, che comprende circa 840.000 chilometri di rete viaria, 18.900 chilometri di binari, 65.000 veicoli ferroviari e più di 8.000 imprese, tra gestori, aziende e centri di formazione”, secondo le parole dell’attuale direttore Fabio Croccolo. Come riportato dalla prima relazione annuale della stessa Ansfisa, la stratificazione normativa, i frequenti passaggi di gestione e la già citata vetustà delle opere, rendono attualmente molto difficile avere dati certi sul perimetro della rete e delle sue caratteristiche. Le ultime informazioni utili per il sistema viario comunale (il più cospicuo a livello nazionale) risalgono al 1999 e si riferiscono a una rete di circa 66.800 km di strade locali, mentre più di 135.000 km appartengono a Province e Regioni. Mancano tuttora le informazioni qualitative fondamentali per la definizione di moderni sistemi per la sicurezza da parte di gestori e proprietari e Ansfisa ha già avviato una prima grande ricognizione, chiedendo il coinvolgimento da parte degli enti locali nella rilevazione dei dati per la conoscenza della propria rete di competenza. Il prossimo passo, dovrebbe essere la costituzione di un moderno sistema di monitoraggio della rete delle infrastrutture. Oggi dobbiamo colmare un ritardo insostenibile. Eppure, nel lontano 1967, un’altra tragedia - quella del cedimento del ponte monumentale di Ariccia, nel Lazio – produsse d’impeto una normativa all’avanguardia, con l’emanazione di una delle prime norme, in ambito internazionale, sul controllo e l’ispezione delle opere stradali. Si trattava della circolare 19.07.1967 n. 6736/61 A 1, dal dettato molto impegnativo per gli enti gestori, con l’obbligo di ispezioni visive ogni tre mesi per tutti i ponti della rete stradale e con un’ispezione più approfondita ogni anno. In caso di allarmi che evidenzino potenziali problematiche, la stessa norma prevede ispezioni speciali con l’utilizzo di indagini specifiche sui materiali e anche eventuali prove statiche. La norma è ad oggi una delle più restrittive al mondo, tuttora valida ma evidentemente disattesa da un sistema colpevole, distratto, trascurato nella capacità gestionale come nella moralità pubblica che ne è alla radice.

Una rinascita “sicura”

Torniamo quindi al volto poco noto e allo stile defilato ma professionale e determinato del ministro Giovannini. Il suo profilo, come quello di tutto il governo Draghi - di cui è tra gli esponenti più importanti - riporta alla possibilità di una svolta, nell’atteggiamento che è testimonianza di cambio d’abito sostanziale. Basta all’”infantilismo della politica”, come ha riportato brillantemente un bravo commentatore della carta stampata; largo invece alla prova capitale di una rinascita agognata da troppo tempo dalla società e dall’economia migliore del nostro Paese. In questo periodo di grave crisi socioeconomica causata dalla pandemia, all’esecutivo guidato da Mario Draghi spettano scelte in grado non

solo di contemperare le esigenze di tutela della salute con quelle di sostegno al lavoro e ai settori economici e produttivi, ma anche di cogliere le opportunità per realizzare trasformazioni radicali dell’attuale modello economico e sociale. La ripresa e la resilienza contenute nella dominazione del PNRR devono poter convivere oggi con quel cambio di paradigma proposto dall’Agenda 2030 delle Nazioni Unite, sottoscritta anche dall’Italia nel 2015, nel solco di un modello di sviluppo che ha come primo scopo il benessere delle persone e della società, nel rispetto dell’ambiente e dei limiti planetari, attraverso target concreti e misurabili da raggiungere in questo decennio. Un percorso già intrapreso dall’Unione Europea che ha indirizzato le proprie politiche “proprio verso quel mutamento di prospettiva al quale tutti sono chiamati a contribuire, guardando ai contenuti chiari e non negoziabili del Green Deal e del programma Next Generation EU”, come sottolineato dallo stesso ministro Enrico Giovannini, pochi giorni dopo il suo insediamento. Una delle iniziative fondamentali per la trasformazione economica e sociale in chiave sostenibile è proprio la messa in sicurezza delle nostre infrastrutture. L’obiettivo 9 dell’Agenda 2030 cita le infrastrutture sostenibili e resilienti come condizione necessaria per uno sviluppo pieno e durevole e lo stesso Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza dell’Italia pone grande attenzione a questo tema, con un investimento senza precedenti. Per accompagnare questo processo, lo stesso Ministero delle Infrastrutture e della Mobilità Sostenibili sta mettendo in atto una serie di iniziative inequivocabili. Tra queste, l’attuazione dell’articolo 49 del decreto-legge ‘Semplificazioni’, con l’adozione delle Linee Guida per il censimento, la classificazione e gestione del rischio, la valutazione della sicurezza e del monitoraggio dei ponti e delle gallerie lungo la rete stradale e autostradale. A questo si aggiungono le linee di finanziamento per la messa in sicurezza dei ponti e viadotti sulle strade provinciali e metropolitane, con uno stanziamento di 1.150 milioni di euro, ai quali si sommano gli interventi previsti, per alcune tratte, proprio dallo stesso Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza. “Una moderna cultura della sicurezza deve partire da questa nuova consapevolezza - sempre nelle parole del direttore di Ansfisa - Innanzitutto alla definizione del rischio accettabile secondo il modello Alarp (As Low As Reasonably Practicable) attraverso una riflessione che deve essere politica, basata direttamente sulle risorse che dovranno essere investite per la riduzione del rischio al di sotto dei parametri definiti. Una sicurezza di questo tipo deve sostenersi sulla qualità, intesa come dinamico avanzamento della prevenzione, anche sulla base delle risultanze di incidenti e inconvenienti, coadiuvata dallo sviluppo della Just Culture, ovvero un modello organizzativo in cui l’informazione sull’inconveniente non viene criminalizzata, ma diventa un dato prezioso da cui partire per rendere la prevenzione più efficace. L’evoluzione che Ansfisa vuole introdurre si traduce in un crescente coinvolgimento dei gestori delle infrastrutture e delle aziende di trasporto - come responsabili, secondo le norme vigenti, della sicurezza - assegnando loro il compito di definire Sistemi di Gestione della Sicurezza (SGS) efficaci e di prevedere in essi, tra l’altro, le modalità di programmazione e attuazione delle attività di manutenzione e di controllo dei rischi, occupandosi di sicurezza non in modo prescrittivo e intermittente, ma proattivo e continuo nella loro sfera di competenza”. Dalle parole di Fabio Croccolo possiamo ricavare il nuovo modo di pensare che appartiene al Paese che anela a rinascere, a voltare la pagina del declino e della colpevole ignavia. A un Paese che non vuole apparire, ma essere finalmente protagonista e guida di valori per un mondo nuovo.

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