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_LABORATORIO
Tutto inizia con l’educazione dello sguardo. Lo sguardo che rivolgiamo sull’altroe che l’altro non rivolge più su se stesso. Lo sguardo guidato dalla necessità di proteggere, di avere riguardo. Lo sguardo su micro-eventi apparentemente non drammatici: incontri, passaggi, accensioni-spegnimenti di luci, suoni che escono da una radio, gesti, azioni, per arrivare a disegnare e comporre una drammaturgia di azioni che sarà fatta principalmente da luoghi, persone e fatti reali.
Un esperimento condiviso con il gruppo di fâneur formato in occasione di Termini. In una qualunque parte del pianeta_Laboratorio che si mette in ascolto, prende appunti, segna orari, misura temperature, osserva i movimenti delle persone, quello delle nuvole, registra suoni. E piano piano fnisce per immaginare rapporti, linee, incontri tra quelli possibili, e quelli effettivamente reali. Si muove all’interno degli spazi della stazione e cerca di mettere insieme i pezzi per arrivare a capire come raccontarli, come farli parlare, come farli emergere, senza giustapporre a essi narrazioni esterne o visioni eccessivamente artistiche, consapevole che ogni gesto di attenzione e rispetto dell’esistente può essere una forma di educazione civica che, nel suo piccolo, contribuisce a dare un futuro migliore al nostro pianeta.
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Gruppo di studio
MARCO AIELLO, DORINA ALIMONTI, MARCO BALDARI, DARIO BANDINELLI, SERAFINA BARBATI, LORENA BENATTI, MARIELLA BETTIOL, MASCIA CALAMANDREI, FRANCESCO CANCELLOTTI, FRANCESCA DI CIAULA, IRENE FABBRI, MIRIAM FRICANO, PAOLA GRASSO, SANÍA HEIKEAL, MARTINO LABONIA, MARTA MALATESTA, CLAUDIO MOLINARI, CHIARA MORGANTI, NIKOLAS PAPAKONSTANTINOU, FULVIO PIERANTONI, GAIA RINALDI, ALESSIA SALA, MARIELLA SCARPETTI.
Osservare un luogo della città senza dire cosa abbiamo intorno. Ascoltare i discorsi delle persone senza dire chi sono. Percepire la rete di relazioni tra gli elementi che compongono una scena urbana, destinata a segnare il confne tra permanere e allontanarsi, essere accolto o respinto, atteso o temuto, accomuna i linguaggi artistici contemporanei nel tentativo di accordare il proprio paesaggio interiore a quello esterno, organizzato secondo princìpi e leggi che travalicano l’umana capacità di controllo.
Noi siamo ben consapevoli che oggi il vero luogo è il confne, che il transito è diventato più essenziale dell’approdo, e che ogni stazione è lo spettacolo incessante del fuori da noi di un’eterogeneità irriducibile a una sintesi, o a una defnizione. Ben consapevoli che l’e..e…delle reti (rizomatiche) ha visto invecchiare l’aut/aut degli antagonismi (radicali). Di tutto ciò non possiamo negare né l’emergenza né il pericolo rispetto a quella che chiamiamo cultura. Ma cosa trattiene lo sguardo nel passaggio e il corpo nell’attraversamento quando essi non sono più soglie bensì imprevedibili sconfnamenti dell’identità nell’aperto, nel vuoto, nell’ignoto? Come si esercita positivamente la non-defnizione?