iNBiCi magazine anno 8 - Gennaio 2016

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Hugo Koblet

‘le gambe di scorta’ del campione elvetico. Una fedeltà che, prim’ancora di quel fatidico Tour, gli costa i Mondiali del ‘51: “Ero la prima riserva, Coppi dette forfait ma scelsero Antonio Bevilacqua. Va bene che lui aveva appena vinto nell’inseguimento ma secondo me non vedevano l’ora di farmi fuori”. Manovra inutile, a Varese la maglia iridata se la infila proprio Kubler. Per Barducci, come per tanti ragazzi di quell’epoca, il ciclismo resta la migliore arma di riscatto sociale. Cinque fratelli, il babbo che lavora come operaio “quando capita”, lui stesso che comincia a 13 anni come garzone di un idraulico e la guerra tra capo e collo: in casi simili, attaccarsi un numero dietro la schiena può salvarti la vita. E pazienza se manca quello spunto veloce che fa di Barducci un piazzato le poche volte che ha il via libera dalla squadra. L’indole, tra l’altro, sarebbe quella dell’attaccante. Già alla prima corsa tra i pro, la Milano-Torino del ‘49, è in fuga: “Ma

sbagliavo sempre i tempi. Ero un testone perché non stavo sulle ruote e buttavo un sacco di energie”, racconta. Quando tutto andava bene arrivava l’ordine di tirare freni per aiutare i compagni in difficoltà: “Ogni tanto qualcuno si lamentava perché mi prendevo certe libertà, ma non ero proprio capace di stare in gruppo. Non avevo paura di andare in fuga e fare fatica”. Dopo aver ingoiato tanti rospi, al Romandia del ‘52 arriva finalmente il successo con un allungo a due chilometri dall’arrivo: “Vinsi con 50 metri di vantaggio su Albani, Coppi e Koblet. Non male, eh?”. Dei suoi sei Giri d’Italia - tra il ‘49 e il ‘54 - restano ricordi indelebili. Come la mitica Cuneo-Pinerolo del 10 giugno 1949, quella del celebre “un uomo solo è al comando, la sua maglia è bianco-celeste, il suo nome è Fausto Coppi”: “Una tappa esagerata. Gli ultimi 500 metri dell’Izoard sono sceso dalla bici. La strada era distrutta, non si andava su. Alla fine feci 48esimo”. L’Airone quel giorno plana nella leggenda del ciclismo, 192 chi-

lometri di fuga. Dietro di lui, con quasi 12 minuti di distacco, un certo Gino Bartali: “Conobbi Coppi nel ‘49 nel negozio di Mario Vicini dove a fine carriera ho lavorato come magazziniere. Mancava poco al Giro di Romagna, gli dissi che lo avrei aspettato sul Trebbio. Si sarebbe sempre ricordato di quell’episodio”. Il giorno della corsa il Campionissimo non delude: “Naturalmente vinse, in salita era già da solo. Lo vidi anche alla partenza a Lugo, tornai a casa a mangiare e mi precipitai in collina”. Totale: 200 chilometri di bici. Un Giro di Romagna anche per Barducci, in pratica. E Bartali? “Di quella storiaccia del ‘52 ne abbiamo parlato diversi anni più tardi. Ormai avevamo smesso di correre. Io volevo sapere la verità, se era stato lui a farmi fuori. Gino era imbarazzato. Mi farfugliò qualcosa del tipo: ‘Ma insomma... guarda un po’ cosa tiri fuori’. Lì ho avuto la conferma dei sospetti ma non gli ho serbato rancore. Siamo sempre rimasti amici”.


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