Il Periodico News - NOVEMBRE 2018 N°136

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CYRANO DE BERGERAC

e declinazioni, è il vino che viene sentito come più rappresentativo da oltre la metà del campione. Segue il Pinot nero anche declinato in rosso. Il Bonarda è visto ancora da oltre il 40% del campione come vino di punta del territorio, declinazione di rosso fortemente legata alla tradizione e immagine vitivinicola dell’Oltrepò. Infine è significativa l’intenzione di molti produttori di puntare su un rosso fermo ‘importante’, un vino strutturato sia giovane che da invecchiamento, un blend che possa competere sui mercati nazionali e internazionali con i grandi rossi di altre regioni italiane. Prendendo invece in considerazione i mercati esteri verso cui sono orientate le aziende spiccano Stati Uniti, Germania e Giappone quali punti cardine; in particolare gli States sono stati indicati da oltre un terzo del campione». Si fa presto a dire “export”, purtroppo meno di un terzo delle aziende del territorio è strutturato per poter far fronte a ciò che comporta in termini di organizzazione, professionalità interne e investimenti. Per di più pesa un fatto: l’assenza assoluta di una percezione vino-territorio. Se dici Franciacorta dici spumante Classico. Se dici Barolo dici rosso di fama mondiale. Se dici Lugana dici bianco internazionale. Se dici Timorasso dici trend

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NOVEMBRE 2018

nazionale e storia di riscoperta. Se dici Valtellina dici Nebbiolo delle Alpi. Se dici Oltrepò cosa succede? Laqualunque. Per capirlo mi sono mimetizzato tra i produttori a una recente degustazione guidata e ho chiesto un po’ in giro. Mi sono reso conto di aver scoperchiato una vera Babele. C’è chi non essendo strutturato per produrre Metodo Classico, che richiede comunicare qualità e immagine aziendale (fatica), denigra tra le righe gli sforzi dei colleghi, demolisce il valore aggiunto territoriale del Pinot nero spumante Classico e spinge a fare concorrenza al Prosecco con trent’anni di ritardo, avendo magari il solo argomento di costare un po’ meno. C’è chi avendo molta Bonarda da piazzare e non conoscendo il valore collettivo di una denominazione con tanta storia alle spalle regala il vino della tradizione locale a grandi imbottigliatori professionisti del “primo prezzo”, spiegandoti però con fare democristiano deteriore che ognuno fa il suo lavoro e ha il suo mercato… sì, come se esistesse una Ferrari da 270.000 euro e una da 27.000 euro con lo stesso nome per un target più popolare (vedasi a quanto si vende l’Oltrepò Pavese Metodo Classico DOCG al discount più noto per le svendite del vino). C’è poi chi non producendo Riesling critica chi lo fa, bene, nell’area ter-

ritoriale maggiormente vocata, spiegando che non si potrà mai arrivare a enormi numeri… sì, perché per l’oltrepadano medio necessita “inondare” non “produrre”. Ci sono poi i produttori di Buttafuoco che capiscono che il frizzantino al supermercato a basso prezzo con lo stesso nome toglie valore al loro rosso fermo importante, un vino da contemplazione, ma non chiudono il cerchio per non scatenare tempeste sui colli di Canneto Pavese. Non parlate poi di tracciabilità perché le cose sono due: o moltissimi non hanno capito quale sia l’importanza di combattere le frodi oppure a casa loro il sogno è sempre praticare l’aumma aumma… Nelle ultime settimane è poi riesploso il tema dei mediatori, quelli che secondo una base che ragiona così (cioè non ragiona), avrebbero anche loro gravi colpe sul mancato decollo a valore dell’Oltrepò. Al bar di Santa Maria della Versa ho sentito a tale riguardo una frase che non ho capito: «A furia di fare i furbi poi li pizzicano e… ne vedremo delle belle». Ci sono poi gli ultras del «si froda per disperazione». Ogni re ha il suo regno e ogni pagliaccio il suo circo. In realtà l’Oltrepò Pavese deve gioire perché ha realizzato alla perfezione il suo disegno: è il discount del vino che vuole essere, nonostante la

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foglia di fico del fatato Tavolo Regionale, dove si fabbricano parole e non arrivano investimenti, meritocrazia e riforme in termini di «contano tutti» e non «contano in pochi». A Broni, durante un pranzo di lavoro, ho sentito un signore sulla cinquantina che spiegava durante un’animata discussione che se la Regione avesse voluto far qualcosa per l’Oltrepò Pavese non avrebbe lasciato spegnere per anni il Centro Riccagioia, non avrebbe abbandonato al proprio destino la prima Enoteca Regionale della Lombardia a Cassino Po di Broni, non avrebbe trattato un problema politico come l’Oltrepò come un fatto tecnico: «All’Oltrepò non serve dire la sua, perché l’ha fatto per oltre trent’anni con risultati evidenti. All’Oltrepò servono una guida e regole ferree tra i produttori. L’autogoverno è impossibile. Il ministro Centinaio se la sente di dettarle? L’assessore Rolfi riesce a completare la trasformazione da Clark Kent a Superman e picchiare i pugni su quel tavolo al quale tutti sembrano andar d’accordo per finta? Qualcuno se la sente di prendere il toro ubriaco per le corna?». Senza un intervento forte si generano solo balletti e leccaculismi. Chi vive sperando… di Cyrano de Bergerac


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