Il Barlume

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IL BARLUME

Anno 3 - Numero 5 - Maggio 2009


EDITORIALE La nostra amica Violette si sistemò in un piccolissimo terratetto dell’appennino tosco-emiliano, appena uscita dal giovane quadrilatero esistenzialista, la boccetta di Somenal ancora ficcata nella borsetta parigina e qualche bagaglio trafugato nottetempo. Aveva appena ucciso i suoi genitori. Le dedicò persino una poesia l’eminente Breton, che recitava più o meno così: Pregasi apporre indicazioni vie di fuga. Vie di fuga, pregasi apporre. Indicazioni. Indicazioni, vie. Fuga, pregasi di apporre. Apporre fuga. Indicazioni di vie. Pregasi. Erroneamente, Breton vide nel gesto della nostra amica Violette il tentativo premiato dal fato di fuggire da stanze asfissiate, dalla cornucopia solida e geometrica di violenza verbale e vilipendio programmato della sua casa d’origine. Violette rimase isolata nel suo terratetto quasi emiliano per qualche mese, in compagnia della sua chitarra di flamenco, dei libri e dei pochi montanari ignari. Certo non giungeva l’eco delle sue gesta transalpine in quello sperduto paese dimenticato da Dio e dai politici. Si potrebbe supporre, come fecero certi giornalisti francesi, che la sua ricomparsa fosse stata dettata dai lancinanti sensi di colpa per il brutale genocidio. Non fu questa la versione che dette Violette a noi barlumisti ai tavolini del Petit Quat'z'Arts: “No, non furono i sensi di colpa, come dicono alcuni. Quelli li ho sistemati in dodici anni di carcere. Mi sono resa conto che ero uscita da un quadrilatero per infilarmi in un altro. Ero scampata alla cattura della polizia, non a quella dei miei bisogni. Al contrario, l’esistenza solitaria mi ha reso fin troppo sensibile alle escrescenze della mia anima. Credevo di avere tutto, l’arte, le lettere degli amici poeti, la libertà. La libertà, che parola inestricabile. La libertà è niente nella solitudine. Sapete di che cosa avevo bisogno davvero? Che gli altri sapessero del mio omicidio. Vi sembra pazzesco? Ma cos’altro è, la libertà, se non il confessare all’altro i tuoi quadrilateri, se non il mostrare ogni tua invisibile miseria?” Questo mese il Barlume prova ad entrare e ad uscire dai serrati quadrilateri che compongono la nostra esistenza, iniziando dalla quinta parte del visionario futuro di Emidio Picariello, un domani quanto mai presente invischiato d’ideologia neo-pagana; si prosegue con Denni Romoli che ci racconta dell’ultima deposizione d’armi concessa ad alcuni e si conclude con il viaggio giocoso nella tragedia di Alessandro Pagni. Sul limitare, le nostre rubriche fisse, la sdraio e la superba recensione per superbi. Buona lettura DePiCo P.s. Note per disambiguare: Tutto quello che farò sarà negarti il mio sguardo Il disappunto riguarda chi vede nel merito di una fotografia non tanto l’artefice, ma lo strumento che l’ha generata. Si cercano contenitori meccanici sempre più avveniristici, esteticamente ricercati, perdendo lentamente il senso della loro funzione primaria e delle profonde potenzialità, per ridursi a desiderare un involucro vuoto e finemente accessoriato. Lo stupido fruitore merita la fatica di trovarsi preclusa una visone facilmente accessibile, diretta, cucinata, per un’alternativa decisamente meno accomodante. Un vedere interrotto, dirottato dall’autore stesso in un altrove tutt’altro che rassicurante. Il Barlume - Anno 3 - Numero 5 - Maggio 2009

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I l f u t u r o par t e qu i n t a Emidio Picariello Lo stato d'ansia è una cosa che difficilmente si può descrivere a chi non l'ha mai provato. Non credo che esista qualcuno con un personalità tanto strutturata da non avere mai sentito l'impotenza e la rabbia trasformarsi in una sorta di asma che blocca il respiro. Ma se ciò fosse, gli suggerisco di non provare mai a scaricare l'mp1 dell'ansia sul suo iMotion2. Forse la vita perfetta sarebbe una vita senza averla mai provata. In questo momento con la scritta "fili per schizofrenici" fra le mani e la certezza che quelle cose siano accadute davvero, l'angoscia che mi attanaglia non mi permette quasi neanche di respirare, figuriamoci di dormire. La notte passa in modo lento, soprattutto se la si trascorre a fissare un pensiero. Peggio se il pensiero non è chiaro. Il primo problema, al mattino, è decidere che cosa fare. Se cercare di muoversi di nascosto è evidentemente inutile, ignorare la situazione certo non può servire. Improvvisamente, mentre sbrigo la posta del mattino, quasi tutto spam, mi possiede una calma glaciale. Devo ripercorrere la mia vita, devo capire, devo raffreddare il mio spirito. Devo fare in modo che questo stato di serenità si protragga e mi permetta di fare le scelte giuste. Prima di tutto: cosa dire a mia moglie? E' il caso di insospettirla? Devo fare di tutto per farla stare tranquilla? Devo confidarmi con lei? Mentre ci penso sento bussare alla porta del mio studio. Nonostante io abbia avuto pessime sorprese, in questi giorni, la calma non mi abbandona. E' mia moglie, con il mio bambino. - Hai pregato? - Sì - rispondo in fretta, mentendo, la preghiera obbligatoria non la fa ormai quasi nessuno, e nessuno si scandalizzerebbe, a saperlo, ma tutti fingono di farla - Dagli un bacio che lo porto a scuola Dovessi dire in che modo la religione abbia assunto una importanza così fondamentale nella storia dell'uomo negli ultimi decenni non sarei in grado. L'ha fatto e basta, durante la mia vita è sempre stato così, ma non sarei affatto sorpreso se prima le cose fossero diverse. Certe tracce, certi racconti tramandati, qualcuno dice di avere trovato anche dei DivX3 con documentari dai quali si capisce che tanti anni fa le cose non stavano così. Oggi ci sono quattro pilastri sui quali si fonda la società, ce li hanno insegnati da piccoli e tutti abbiamo cercato di costruire su questi la nostra vita: la religione, il privilegio, la tecnomanzia e l'io. La religione è unica, il privilegio non è per tutti, la tecnomanzia ci fornisce gli strumenti e ciascuno deve concentrarsi solo su se stesso. E' un mantra che abbiamo ripetuto tutti, fin da piccoli. Il quadrilatero però va sempre insieme, non si può spezzettare. In carcere, ad Alcazar, me lo hanno ripetuto un sacco di volte. Quando io cercavo di realizzarmi rubando, anche se lo facevo in nome di Dio, non avevo il Privilegio. Non avevo ancora fatto favori a sufficienza alle persone che hanno diritto ai favori, per questo non potevo pensare di farla franca. Ecco, il crimine di individualismo. O quel tecnomante che stava in cella con me, per esempio, quel Folla. Lui dominava la Il Barlume - Anno 3 - Numero 5 - Maggio 2009

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tecnologia, cercava la realizzazione personale, ma non credeva in Dio. Vi rendete conto? Non credeva in Dio. La cosa strana è che queste informazioni stiano riaffiorando proprio ora alla mia mente. Non ricordavo quasi nulla di Alcazar, fino a questa notte, quando quella donna mi ha, diciamo, rapito. Faccio l'unica cosa sensata da fare. Ho pregato, sono stato in chiesa e sono stato assolto - e questo vuol dire che non ho perso nulla dei miei privilegi - la tecnologia mi assiste quindi completo il quadrilatero pensando a me e ai miei affari. Torno in un ufficio. Ho una compagnia da mandare avanti. Solo l'iscrizione alla Loggia mi costa uno sproposito, non posso permettermi di perdere il passo. Mi fermo a prendere un caffè. Il barista di Starbucks ha uno strano aspetto stamattina. Non so, c'è qualcosa nei suoi occhi che mi lascia perplesso. Al primo sorso di caffè mi sento un pugno nello stomaco. Cazzo, l'acqua. L'acqua deve avere ucciso il tecnico e adesso stanno facendo la stessa cosa con me. Mi gira la testa, mi infilo nel bagno, sono davanti allo specchio. Sento l'anima refluirmi in gola, sto per vomitare, una fitta atroce mi prende lo stomaco. Forse muoio. No. No, aspetta. Non sto morendo. Succede qualcosa nella mia testa, è come se... Apro il rubinetto del lavandino, vorrei bere. Sono ancora debole. Sto per portare l'acqua alle labbra ma mi sento spingere a terra. Mi sembra di intravedere ancora quella donna. Sono ancora vivo, mentre esco dal caffè. Questo è certo. Strano, inquietante ma certo. Poi accade. Come se si spaccasse una diga. Ricordo ogni parola pronunciata dal mio compagno di cella. Tutte insieme, mi si spacca la testa. Sono così tante e così affollate che mi pare di impazzire. Tutto questo affluire di informazioni è inutile, sono tante e tali da essere incomprensibili. Poi svaniscono. Tutte insieme. Sono fermo in mezzo alla strada. Un'auto che suona mi riporta alla realtà. Ripeto il mantra del quadrilatero. Mi rimangono poche certezze e a quelle mi aggrappo.

1. l'mp3 è il formato dei file musicali. Si dice che determinate file che suonano specifiche frequenze siano in grado di modificare gli stati d'animo tanto da essere delle vere e proprie droghe, per quanto non ci sia attualmente nessun riscontro scientifico a questa tesi. 2. Il corrispondente per file emozionali è l’iPod, il noto riproduttore musicale della Apple. 3. File leggibili con un computer o con un riproduttore che contengono film o altro materiale video.

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I l g i o r n o i n c u i S i r i o de po s e l e ar m i Denni Romoli Sirio depose le armi ai piedi del secondo cassetto della cucina. Armi che si contavano sulla punta delle dita, una camicia a quadri di lana grossa, un berretto di feltro, peduncoli di velluto a righe e scarpe da tiro, scarpe da soma, di trent’anni di fabbrica. In fin dei conti, era il suo ultimo rettangolo. Fu un suo compagno di lavoro a spiegargli dei rettangoli, un laureato in filosofia che attendeva di trovare un posto statale impersonando Simone Weil in uno spettacolino di marionette per liceali affranti e marxisti irreprensibili. - Vedi, tu vivi in un rettangolo. Sei un degno ospite della nobile funny farm di Chalfont. Mai sentita? Ogni rettangolo un pezzetto di vita, una sezione aurea al contrario. Ti svegli in un rettangolo, guidi un rettangolo, entri in un altro rettangolo e muori infine la sera dentro un rettangolo. Di parete in parete, soltanto un altro rettangolo. La donna si voltò di lato, scostando le sue mani callose. Transitando la miseria televisiva disteso sul divano, Sirio sentì in cuor suo un bisogno di pietà umana, consacrata dalla blasfemia di una penetrazione carnale. Si avvicinò alla donna dagli occhi tondi, aprendosi un varco tra le vesti e lasciando vagare un indice sul seno denutrito. La donna si voltò di lato, scostando le sue mani callose. - Mi ami? - chiese Sirio. - Come sempre - rispose la donna dagli occhi tondi. Un deja-vu usuale, sarà stato da quel giorno. Aggrappandosi alla sponda del divano, Sirio si mise in piedi e avanzò verso il corridoio, aprendo la porta della camera da letto. Sua figlia riposava abbracciata ad un cuscino. Sirio si sistemò nel suo rettangolo e le sue mani callose assaporarono il velluto setoso delle lenzuola. - È solo un altro rettangolo. Sarà stato da quel giorno, quello in cui nacque sua figlia. Una breve asfissia perinatale, trentacinque secondi che lasciarono boccheggiare il suo cervello, ansimante, inciampare tra i giovani neuroni cagliosi avvolti in spirale, sottili rami dendritici che si staccarono disastrandosi, frapponendosi, disamorandosi. Rami, neuroni e mielina disprassici, di anno in anno condensati in ciò che tempo addietro avrebbero gettato da una rupe per vilipendio alla natura. Un lento sgretolarsi dell’immagine ideale, lo stillicidio di desideri banali da parte di quella minuzia di carne emblema del difettoso. Sarà stato da quel giorno, quando la donna dagli occhi tondi gelò le proprie membra, ostracizzando la camera della concezione, delegandosi al cibo e alla consunzione. E gli insetti iniziarono il loro paziente lavoro di intrusione, passando dalla bocca e dalle narici, lasciando Sirio ad avvertire il frinire di zampette vellicanti nell’esofago, scendere fino allo stomaco e da lì brancicare il suo sangue e i suoi tessuti, sordidi e neri animaletti dalla dura corazza e dagli occhi arancioni, centinaia di luridi animaletti con piccoli artigli famelici che riempivano il suo stomaco, si scavavano una strada al suo interno, riempiendolo come un sacchetto di caramelle. Sentiva gli animaletti neri che rigurgitavano dalla sua bocca in un atto di ruminante violenza, il vomito che si mischiava all’incedere marciante. Sirio sentì di non poter urlare, la bocca riempita di insetti verminosi che distorcevano il suo gridare, la voce contorta in uno scioglilingua aberrante, un idioma gutturale e preistorico, le mani impazzite che cacciavano animali dalla bocca, senza fine, infinite schiere di malsani animaletti neri e sordidi.

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Un attimo prima di deporre le armi si svegliò, grondante angoscia, ritrovando le sue mani che si accanivano sulle lenzuola bianche setose. Si alzò automaticamente, scivolò su un fianco, si infilò i peduncoli di velluto, la camicia e il berretto di feltro e si preparò per il prossimo rettangolo. Entrando in macchina accese la radio, un programma della prima mattina ironizzava malamente sugli eroi quotidiani comprimari delle ore premestruali della giornata. Squadrando il display luminoso di una farmacia si rese conto che facevano tre gradi sopra lo zero. Lo speaker alla radio ricordò agli ascoltatori di non dimenticarsi dell’appuntamento serale con il nuovo programma di musica elettronica. Si sfregò le braccia per scaldare i muscoli, ma non servì a molto. Strisciò il cartellino nell’abaco che rendicontava la sua dignità di cittadino, si illuse di salutare cameratamente qualche compagno e si diresse alle soglie del macchinario che alzava e strappava peli, una doppia botte di ferro che macinava chilometri di future imbottiture di divani. Quel macchinario che più di una volta lo aveva invitato al folle martirio di insediare una mano, chissà perché la destra, all’interno della sue grandi labbra, una cedevole e voluttuosa tentazione, un richiamo traumatofilo, forse una eco di visibilità repressa. - Mi ami? - Come sempre. Dondolando si accorse di quanto fosse vicino alla fessura metallica, le due botti che sferragliavano rapide e generose. Si ritrasse, fermò il clangore, si tolse di dosso la camicia e si accese una sigaretta, osservando le pareti della fabbrica, venate da rigature nere. In fondo alla parete vide un piccolo cancello che dava su un cortiletto di cemento con uno spicchio di verde, quasi un trompe l’oeil nel mare delle pareti bianche e rigate di nero. Chiuse il cancello, respirò. - Solo un altro rettangolo. – Sulla strada del rientro decise di deporre le armi per l’ultima volta. Si fermò a comprare dei fiori, calle bianche e gialle, che gettò dopo pochi minuti dal finestrino, lasciandone una soltanto in verticale sul sedile accanto al proprio, curando che non cadesse. Avvertì che sarebbe rientrato tardi. - Non torno per cena. Senti, ti posso chiedere una cosa? - Sì, dimmi. – - Mi ami? - Come sempre. – Nel pub accanto al supermercato ordinò una pinta di Lagavulin, un limone e del sale. E una birra doppio malto. Succhiò una manciata di sale, gettò la testa all’indietro, strizzò il limone nelle narici e bevve il liquore d’un fiato, sentendo i polmoni dilatarsi e la testa caracollare. Sorseggiò la birra lentamente, lasciandosi cullare dalla voce del commentatore che squarciava descrivendo le azioni salienti della partita. Si alzò, pagò il doppio del necessario e uscì dal rettangolo. Entrò in casa che erano le undici passate. La donna dagli occhi tondi si stendeva sul divano, le ultime briciole di fette biscottate disposte di lato, la televisione che ricordava le vittime di una tragedia abruzzese adesso condannate a vivere in container. Entrò nella camera da letto e incontrò il volto assopito della figlia. Strappò un pezzo delle lenzuola setose e bianche, una bandiera grottesca che avvolse delicatamente attorno alla testa della bambina, andando a coprirle gli occhi. La svegliò lisciandole il volto e le disse di far piano, che la donna dagli occhi tondi dormiva. - Non dobbiamo svegliarla, non ancora. È nel suo rettangolo, capisci? – Si stese sopra di lei e chiuse anche i suoi occhi, muovendosi sulla sua carne, cullando una Il Barlume - Anno 3 - Numero 5 - Maggio 2009

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memoria andata, con un sapore di vendetta che giaceva sulla punta delle dita che automaticamente la spogliarono, lasciando l’unica testimonianza di brevi scosse nel petto che segnalavano l’approssimarsi di lacrime castigate. Sirio contemplò la benda di tessuto sul volto della figlia. - Mi ami? Non rispose una voce, ma il clangore di botti metalliche e l’allucinazione di pareti venate di nero, e quello speaker mai dimenticato ricordò al mondo la bellezza dell’amore, e gli insetti che si avvicinarono al sudario bianco e setoso del cristo. Sirio ebbe un fremito algido d’orgasmo morente, si alzò e andò davanti allo specchio. - Mi ami? Lo specchio rispose piangendo. Tornato in soggiorno, prese dal secondo cassetto un rotolo di cellophane, si spogliò deponendo le sue armi sul pavimento, vicino al secondo cassetto della cucina. Fece mentalmente la somma ipotetica dei metri che sarebbero serviti e si avvolse nella pellicola diafana, giocando con la luce che filtrava dalla finestra che dava sul cortile interno. Lasciò scoperti gli arti. Il mio bozzolo, si trovò a sussurrare affettuosamente alla pellicola. Si fermò davanti alla lavagnetta appesa al muro accanto alla dispensa. Esitò davanti al grigiore biancastro del gesso appena vergato, riflettendo sul fatto che la solennità esiste solo nei film. Si trovò ridicolo in quella sua tenuta da larva, con il pene retratto e il lucore blando della sua pelle in controluce. Preso il coltello dal ripiano accanto al piano cottura, mirò leggermente a sinistra rispetto al centro del petto e spinse forte la lama contro la carne, forandone la superficie. Sentì un caldo deflagrare, il sangue correva all’interno del cellophane, gonfiando il suo bozzolo, irrigandolo. Una lieve euforia lo invase. - Nessun altro rettangolo. Io esco. -

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R ac c o n t o n at o da qu at t r o s o l l e c i t az i o n i e s t e r n e Alessandro Pagni Un quadrilatero. Gli occhi, ormai assuefatti a tubi e scatole annerite e puzzolenti, scivolano oltre, sintetizzano e decontestualizzano. Alla fine quello che rimane è solo un enorme quadrilatero. Un rettangolo nero sopra di me, un cielo cupo e odoroso di fumo, quello che mi sono abituato a guardare. Come stare appeso a faccia in giù sopra una fossa, anche se l’immagine è ribaltata. Le corde stette tentano di convincermi che posso tranquillamente dormire per qualche minuto, ma ogni volta che si inciampa in una buca, fa l’effetto di un elettroshock. Quindi occorre trovare un modo di passare il tempo senza prestare troppa fiducia a queste corde vigliacche. -Lazar, stai dormendo?- mi chiede Ilie con un filo di voce. -Non ci riesco.-E che fai?-Congetture…-…-Tu che fai?-Penso che non ce la farò ad arrivare in fondo.-Guarda che le corde sono robuste, reggeranno.-Non sono le corde, è la puzza.-Abbastanza fastidiosa, sono d’accordo.-…-…-…Lazar…-Dimmi Ilie.-…non sento più le mani.-Per il freddo?-No, si sono completamente bruciate…Ilie mi tocca con i palmi delle mani nel buio, sento qualcosa di gommoso sfiorarmi il viso e il suo respiro diventare ruvido e irregolare. -Dio mio, come hai fatto?-Per paura di cadere sono stato appeso per troppo tempo a questo tubo sopra di me, mi sono accorto tardi…-Perché non le hai staccate? Io neppure ti ho sentito…-è quando ci siamo fermati, non volevo che ci scoprissero…-Ilie…-…Chiudo gli occhi un secondo, poi li riapro e intravedo una lama di luce che ci attraversa e passa oltre, e un nuovo rumore fende il monotono brusio nelle mie orecchie ormai assuefatte. Bevo un sorso di fumo cinereo dei gas di scarico e sento un geyser di succhi gastrici rastrellarmi la gola. Stringo gli occhi per ricacciare giù il niente che piroetta nel mio stomaco. -Facciamo un gioco Lazar?- la voce di Ilie si fa sempre più distante, liquida, come se stesse parlando dall’interno di una vasca piena d’acqua. -Certo, conosci qualche gioco che si adatti a questa situazione?-Potremmo inventarci delle storie, ricordi quando ero piccolo? Inventavi sempre cose strane per farmi ridere.Il Barlume - Anno 3 - Numero 5 - Maggio 2009

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-Beh però ho un po’ perso la mia vena narrativa, dovresti darmi una mano.-Si capisce.-…-…-…Ilie?-Dimmi…-Perché mi hai seguito in questa cosa?-Perché si.-“Perché si” non è una risposta.-Non ti manca Bra?ov? Non ho idea questa cosa quanto tempo potrebbe impegnarci.-Bra?ov resterà li ad aspettare…e poi non sopporto più di aiutare papà con quel lavoro.Sorrido nel buio bonariamente: -Non ti diverte portare i turisti a visitare i luoghi leggendari del Conte?-Mi ha abbastanza stancato…-Mi ripeti l’itinerario con la voce che fa papà al microfono dell’autobus?Sento lo sforzo di mio fratello nel simulare il vociare da fiera di nostro padre: - Si parte da Bucarest e via verso il principato di Târgovište, il Castello dei Poienari, notte a Sibiu, segue il giorno dopo Sighi?oara città natale del Conte, e proseguiamo verso Bistri?a con pernottamento nel maniero di Vlad, infine l’ultima tappa è Bra?ov con visita al castello di Bran.Rido come un bambino ogni volta che Ilie imita nostro padre: -Beh sei nato in Transilvania, che lavoro volevi fare scusami?Ilie laconico chiude il discorso: -Come dire che sei nato in Italia e devi fare per forza il pizzaiolo insomma.-Beh ma papà quando torni non è detto che ti riprenda con sé, sai quanto è permaloso.-Pazienza…perché mi fai queste domande? Ti sono venuti i dubbi su questa cosa che stiamo facendo?-No, ma non voglio sentirmi responsabile per te se ti aspetteranno dei giorni poco piacevoli…stiamo entrando come clandestini, se ci prendono non ci tratteranno molto bene.-Infatti mi chiedo perché stiamo entrando di nascosto come clandestini?-Ti ho già spiegato tutto, per fare quell’articolo voglio conoscere bene la situazione…non posso raccontare qualcosa che non conosco, sarebbe prendere per il culo chi mi legge. Ma continuo a chiedermi perché hai deciso di venire con me?-Perché sei tu…-…-…facciamo quel gioco.-Si.-Comincia tu dai.-Cosa vuoi che dica?-Inventa qualcosa dai, qualsiasi cosa…dimmi che ti viene in mente in questo momento?Così su due piedi mi lascia un po’ spiazzato, è molto che non invento storie. Ci siamo fatti legare da un mio collega abbastanza vicini per non rischiare che il rumore copra totalmente le nostre voci: ogni tanto sento il fiato puzzolente della bocca asciutta di mio fratello passarmi sul viso. Provo di nuovo a chiudere gli occhi, a ignorare il tanfo ben più insopportabile dei fumi di scarico, a superare la selva dantesca di tubi e scatolame metallico e a concentrarmi su questo soffitto nero che mi si presenta sottoforma di quadrilatero. Stringo gli occhi e lo ribalto, non più un cielo, ora è diventato una parete nera, buia, un teatrino per marionette. -Ilie vedo le tue mani.-Sono bruciate.Il Barlume - Anno 3 - Numero 5 - Maggio 2009

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-Si, è vero, ma noi le vestiamo con due paia di calzini a strisce con colori molto accesi.-Quali colori?-La mano sinistra è coperta da strisce bianche e verdi e quella destra da strisce rosse e blu.-E adesso?-Adesso mettiamo alla mano destra una sigaretta spenta tra le dita e alla sinistra un paio d’occhiali gialli un po’ retrò.-Perché spenta?-Ti sembra di esserti bruciato poco?Ride come un bambino: -…ok ok…-Ora tu pensa a questi due calzini uno di fronte all’altro contro uno sfondo nero, come fosse un teatrino delle marionette…cosa ti fa venire in mente?Ride ancora mio fratello, si sente che il gioco, nell’assurdo della nostra situazione, un po’ lo diverte: -a me sembrano due serpenti di stoffa, come i personaggi dei Muppet in quel giornalino che avevamo in casa tanto tempo fa…e mi sembra che parlino tra loro.-Cosa si dicono?- Tengo gli occhi chiusi per vedere la stessa immagine che fa sorridere Ilie. -Anche loro raccontano una storia…ma non per ingannare il tempo come noi, loro sono degli attori di stoffa, quel grosso rettangolo alle loro spalle è una quinta teatrale.-Perché è tutta nera?-Beh perché loro sono i narratori e vogliono che lo spettatore si sforzi di immaginare quello che stanno raccontando…-Così risparmiano sulle scenografie…mica male.-E lo spettatore allena la propria fantasia.-Educativo.-Già…- il mio compagno di viaggio fa una pausa e si ferma a considerare la cosa, poi mi interroga -Quale storia staranno raccontando? Una favola per bambini?-Non credo, penso che sia una rappresentazione un po’ coraggiosa, dove si cerca di creare un contrasto, una scossa nel pubblico, quindi non una favola.-E io che mi ero figurato già di cosa avrebbero parlato.-Beh dimmi…magari poi riusciamo a stravolgere la situazione.-Mi piace…dunque, io avevo immaginato che i due serpenti stessero raccontando la storia di un uomo e del suo acquario.-Ah, mi sembra un’ottima scelta e che succede?-Beh, l’uomo diciamo che compra questo acquario e ci mette dentro alcune piccole piante e un pesce rosso, ma siccome la cosa lo annoia, dopo pochi giorni comincia a aggiungere elementi alla sua piccola vasca.-Interessante, però non correre, aspetta…com’è questo acquario? È una semisfera rovesciata? Ha una forma strana, è una colonna piena d’acqua?-No, niente di tutto questo…è un acquario comunissimo, con quattro pareti, formate da quattro rettangoli, solo che a differenza del grosso rettangolo nero dietro ai serpenti,queste pareti ovviamente sono trasparenti, così l’uomo può godersi lo spettacolo dei pesci.-Bene…mi hai detto che l’uomo aggiunge cose strane per rendere l’acquario più divertente…di cosa si tratta?-Hai troppa fretta.- mi ammonisce con un soffio di voce Ilie.- prima devi sapere che l’uomo fa l’impiegato in un ufficio postale.-Bravo, vedo che hai imparato…e com’è questo ufficio? È molto grande?-No, non troppo…ma neanche eccessivamente piccolo. Cinque dipendenti.-Compreso il nostro personaggio?-Si, compreso lui.-

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-E a lui piace lavorare lì?-Beh il lavoro di per sé lui lo adora, è meticoloso e preciso ma i suoi colleghi lo prendono spesso in giro dietro le spalle, dicono tutti che è troppo buono, che sorride sempre…-Che vuol dire che è troppo buono?Ilie sta in silenzio, mi sembra di vederlo con la sua espressione accigliata quando qualcosa lo riguarda direttamente: -…spesso “buono” sembra un sinonimo di “coglione”.-Hai ragione, purtroppo molti la pensano così, ma ora dimmi…cosa mette nell’acquario questo signore?-Mmm…sicuramente uno specchio, da un pesce ne ottiene due.-Beh, uno specchio si porta dietro molte altre implicazioni, lo “sdoppiare” non è che una delle molte peculiarità.-Che vuoi dire?-Si, pensa ad un pesce che di punto in bianco si trova di fronte alla sua immagine…si trova davanti a se stesso e allo stesso tempo in sé stesso vede un altro, in cui chiaramente non si riconosce perché non si è mai visto…-Non sto capendo un cazzo Lazar…-Scusami, è vero…è tua questa parte di storia, però mi piace che tu abbia inserito uno specchio…-Sai cosa vorrei metterci poi? Delle luci strane, di colori diversi che…-Come era fatto quello specchio? Di che forma l’avevi immaginato?-…rettangolare, semplice…-Come le pareti trasparenti dell’acquario, come la parete nera davanti a cui si esibiscono i serpenti. Forme rettangolari. Quadrilateri…uno nero, uno trasparente, uno riflettente…c’è la vita intera in questa storia.-Non vuoi sentire cosa aggiungerei all’acquario? Tutti questi discorsi sullo specchio mi stanno annoiando.-Scusami, a volte mi perdo nei miei pensieri. Continua, ti prego.La voce di mio fratello arriva da un antro nascosto in fondo al suo apparato digerente, dove forse così ferito e affamato, si riscopre un po’ bambino: -le luci le vorrei di due colori per creare un bel contrasto e scoprire le differenze sulle piccole squame del padrone di casa. Certo mi piacerebbe anche una piccola statua attorno a cui il pesce possa muoversi.-Che statuetta metteresti? Un crocifisso?-No…il crocifisso è noioso, è già dappertutto. Vorrei qualcosa di più divertente.-Tipo?-Ora come ora non mi viene in mente niente, mi piacerebbe poter conoscere le opinioni delle persone al riguardo, sai, fare una specie di sondaggio dove tutti dicono cosa ci metterebbero dentro…-Sembra un’idea simpatica…dici che le persone parteciperanno?-Probabilmente, come succede sempre, la maggior parte delle persone non capirà niente.-Probabile.-Vuoi stravolgere la mia storia adesso?-Beh qualcosa effettivamente mi è venuto in mente…mi vedo quest’uomo così meticoloso, abitudinario, mentre svolge tutti i suoi riti quotidiani in modo schematico e rigoroso, lo immagino mentre si avvicina all’acquario, stacca la pompa del filtro per non fare risucchiare via il cibo, poi apre e versa sempre la stessa esatta quantità di mangime: non più di tre chicchi.Ilie ascolta senza dire niente, mentre il motore copre i suoi respiri centellinati, come provviste da smistare in modo responsabile. -Ad un certo punto, in un giorno dei tanti, mentre spegne il filtro il pesce improvvisamente si blocca e comincia a fissarlo. I due si guardano per un tempo lunghissimo, poi il pesce stufo dice “che cazzo guardi idiota?”, l’uomo fa un balzo indietro e convinto di essersi immaginato Il Barlume - Anno 3 - Numero 5 - Maggio 2009

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tutto torna davanti al pesce, che di nuovo gli domanda stizzito cosa cavolo abbia da guardare…-E da quel giorno i due diventano amici?-No, da quel giorno il pesce comincia a fare esperimenti su di lui fino a riuscire a pilotarlo.-Che cosa lo obbliga a fare di divertente.-Non tutto quello che lo obbliga a fare sarà particolarmente divertente…però inizialmente lo farà andare in giro con in tasca un piccolo palloncino pieno di elio e glielo farà respirare prima di parlare con le persone che incontra sulla sua strada.-Mi sembra una cosa un po’ assurda e poi questa cosa del pesce mi ricorda una puntata dei Simpson.-Beh non esiste oggi una storia che non sia già stata raccontata in qualche modo…-La tua mi sembra un rispost….- la frase di Ilie si trasforma improvvisamente in un grido disperato, non capisco cosa stia accadendo, sento solo uno scartavetrare sadico d’asfalto sotto di me. Allungo la mano per toccare mio fratello ma afferro il vuoto, lo sento urlare pochi centimetri più in basso: -La schiena Lazar, la schiena…Le corde devono aver ceduto improvvisamente, mi sforzo di sporgermi verso di lui e riesco a toccargli le gambe ancora saldamente legate. Sento un cozzare sordo seguito a uno strisciare ostinato e nel buio il cielo nero del fondo di questo Tir sembra ancora più minaccioso. Mi immagino trucioli di pelle venir via dalla schiena di Ilie come scaglie di formaggio grattugiato. -Tieni su la testa Ilie, tienila su!- Gli grido spaventato non sentendo più la sua voce. Mi divincolo e riesco a stento ad afferrare il suo braccio, lo tiro su digrignando i denti per lo sforzo, non lo sento piangere, sento solo che la mia mano sta per perdere la presa. Sento la puzza tremenda sopra di me. Sento freddo. La fame. La spalla che si sta slogando. Cosa mi è venuto in mente… Chiamo Ilie ma non risponde. -Ilie dai, continuiamo la storia…il pesce convince l’uomo a entrare il giorno dopo nell’ufficio postale con una pistola per sterminare i colleghi…il pesce aveva anche…Ilie?…il pesce aveva anche ordinato all’uomo di telefonare ai suoi familiari…di invitarli per il fine settimana al suo funerale…Ilie rispondimi!…appena riappeso il telefono dell’ufficio, dopo l’ultimo invito, l’uomo si spara il quinto colpo alla la tempia…Ilie…E poi mugolo arreso tra i singhiozzi: -ripeti con me…si parte da Bucarest e via verso il principato di Târgovište, il Castello dei Poienari, notte a…Ilie…notte a…-

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L a s dr ai o - N an i , bal l e r i n e e bu g i ar di Denni Romoli e Emidio Picariello

6 dicembre 2008 Smetto. Finisco questo secondo mandato e a giugno lascio la politica. Schifato. Leonardo Domenici 10 ottobre 2008 Il problema non è Bruxelles e nemmeno Roma: se andassi, potreste dire che sono un ciarlatano. Sergio Cofferati Ma mica dicevano bugie, l'uno candidato alle europee e l'altro addirittura capolista sempre alle europee. Domenici lascia la politica. Evidentemente considera Bruxelles una specie di pensione di lusso dove lanciarsi con soddisfatta convinzione. Cofferati invece non ha mai detto che non intendeva farsi eleggere. Ha solo detto che non intendeva andarci. Mica c'è il gettone di presenza,al Parlamento Europeo. Lo stipendio glielo pagano lo stesso, anche in sua assenza. D’altronde ha dichiarato che deve stare vicino alla moglie, non che deve stare vicino alla moglie povero e senza potere. Certe buone abitudini, evidentemente, sono difficili da perdersi. E mentre Staino si candida con Sinistra e Libertà, rimanendo però iscritto al PD e abbattendo così da solo la propria credibilità, dall'altra parte la situazione invece è decisamente più rosea. Finalmente, grazie al Popolo delle Libertà, si esce dalle anguste pastoie mentali della politica fatta da gente che capisce di politica. Finalmente, con il beneplacito del rettangolo televisivo, possiamo mandare in Europa, a decidere le norme comunitarie che poi diventano legge in tutti i Paesi dell'Unione, una ex tronista, una ex concorrente del Grande Fratello e soprattutto un'attrice vera: Eleonora Gaggioli, co-protagonista nientepopodimenoche di CentroVetrine. Insomma, hai studiato? Sei coerente? Povera scema, povero inetto. Meno male che le liste sono a preferenza e noi prefeririremo preferire gente seria che sia in grado di capire le sedute. Senza traduttore. Ma soprattutto senza che qualcuno gliele spieghi. Bugiardi e ballerine. Infine i nani, quelli che le liste le hanno scritte, dal basso dei loro conti da bottegai di voti, ignari dell’altezza etica della Politica, di quel nobile mestiere inizialmente pensato come esente da ogni tipo di ricompensa economica.

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S i e t e s o l o de gl i s po c c h i o s i di m e r da Denni Romoli e Costanza Maremmi

Nodo alla gola – Regia di Alfred Hitchcock (1948) L’appartamento – Regia di Billy Wilder (1960) Interiors – Regia di Woody Allen (1979) Un unico, continuo piano-sequenza, tanto compiuto da consentire di vedere un unico movimento. Narrazioni, le chiamava Ricoeur, idem e ipse. La narrazione ci consente di guardare la nostra vita come un unico e illimitato piano-sequenza e, al contempo, di avvicinarlo alle storie altrui. Quella narrazione che ci consente di delineare la nostra esistenza come un inimitabile e ininterrotto sguardo d’insieme, l’illusione che all’interno di un’unica inquadratura possano coesistere l’arbitrio, la determinazione, la coagulata essenza di un peculiare movimento contiguo. Lo stesso sogno accarezzato da Hithcock, la fola del potere di non evadere dal quadrilatero della macchina da presa, il cinema come luogo del fluire incessante, l’esorbitante superbia del credersi speciali e alieni dal normale scorrere, dalla prova e dall’errore, dal punto di svolta. Lo scarto di lato, l’ipotesi divergente, il minimale che distorce. Ero, sono sempre stato e quindi sarò: l’onnipotenza superomistica, castrata, del regista che cerca di rendere incedere liquido ciò che è frammisto, segmentato, riunito faticosamente dai perché. Dimostrazione alla Aronofsky di teoremi del deliquio. Uno dei capolavori del pudico e crudele Alfred, un volo d’Icaro tanto maestoso da apparir indispensabilmente ridicolo. Ridicolo, come chiunque tenta la fuga da un luogo inviolabile. Come il Bud Baxter di Wilder, modesto travet che modera il suo ego mediocre attizzandolo nei fuochi fatui della gratitudine pelosa, della prostituzione morale, del compromesso intriso nell’umiliazione e in sua sorella la lamentazione, cattolica prerogativa di fronte all’imponderabile irrisolvibile, al sancta sanctorum dell’ubbidienza automatica. Wilder salva il suo personaggio, indaffarato probabilmente in uno sbrigativo buonismo deamicisiano, e questa è l’unica pecca della pellicola. Un uomo che ricorda gli idioti di Scorsese, primo tra tutti il Newland Archer de L’età dell’innocenza, ma anche i goodfellas di Quei bravi ragazzi, avvinti a regole di comportamento che li trasformano da persone in personaggi. Il baciapile, il borghese, il cattivo. Altri quadrilateri, altri copioni. Copioni di raffinata scrittura, utopistica e tragica, greca. Aberrante, di conseguenza. Come l’Eva di Interiors, madre con un utero svuotato e stanco, accalappiata nel rendere l’altro così tanto simile a sé da annullarlo. La claustrofobia di un interno misurato a passi di danza egizia e intarsiato da fobie di irreprensibilità. Niente da nascondere, per dirla alla Haneke. Tre figlie e un marito da manipolare, la misoginia di Strindberg in un Allen biecamente alessitimico, ossessivo e mortuario, nella retorica di un suicidio che consegna un alloro all’impotenza e alla vendetta, pareti anguste di un utero svuotato e sfibrato, oramai incapace di turgore e di vita. È cavità di donna che crea il mondo, ultimo usbergo della penultima speranza.

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Le foto di questo numero sono state scattate da Costanza Maremmi http://www.flickr.com/photos/costanzamaremmi

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Mensile fondato e diretto da: Costanza Maremmi c.maremmi@barlumismo.org Denni Romoli d.romoli@barlusmismo.org Emidio Picariello e.picariello@barlumismo.org

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